L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XVIII)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XVIII)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER

RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA, OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

LIBRO SESTO.


SUI CAPITOLI XII, XIII, XIV, XV

Di alcune rivelazioni speciali e particolari fatte a San Giovanni riguardo ai regni di Mahometto e dell’Anticristo, e anche sulle ultime piaghe e sull’ultimo trionfo della Chiesa, così come su altri particolari che la riguardano.

OSSERVAZIONE PRELIMINARE.

Dopo che San Giovanni ebbe ricevuto la rivelazione generale dei principali eventi di tutto il corso della Chiesa, fino alla consumazione dei secoli, Dio gli fece conoscere in particolare alcuni misteri speciali, segreti e nascosti, e tanto terribili quanto sorprendenti, che avrebbe permesso di verificare nelle varie età della Chiesa militante. Questi misteri si riferiscono specialmente ai regni di Maometto e dell’Anticristo, e molte altre cose che sono contenute nei capitoli seguenti, sotto varie figure ed enigmi.

SEZIONE I.

SUI CAPITOLI XII E XIII.

DELLA GUERRA CHE IL DIAVOLO HA FATTO E FARÀ ANCORA ALLA CHIESA MEDIANTE COSROE, MAOMETTO E L’ANTICRISTO.

La guerra descritta nei capitoli seguenti è la più crudele, la più violenta, ostinata e lunga che lucifero, il principe delle tenebre, abbia mai intrapreso per distruggere la Chiesa di Dio, ove mai fosse possibile. Ma le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. Questa lotta accanita cominciò con l’orribile tiranno Cosroe, il quale, vinto da Eraclio, suscitò al suo posto un mostro ancor più orribile nella persona di Maometto, che si impadronì del trono dei Persi, ed estese considerevolmente il suo impero. Il regno di questo nemico ereditario ed implacabile. Che fece versare flutti di sangue ai Cristiani, continua a durare; e benché considerevolmente affievolita nell’età di consolazione della Chiesa, per mano dell’atteso Monarca, ne resterà nondimeno una porzione rinserrata in limiti stretti, fino a che venga il figlio della perdizione. Questi, con trame oscure, giungerà al prono di questo impero che farà rivivere, e che restaurerà al punto da sottomettere quasi tutto al suo potere. Allora lucifero si servirà di quest’ultimo e più potente sovrano di questo reame per mettere il colmo al suo furore contro la Chiesa di Dio. La guerra descritta nei capitoli seguenti, è la più crudele, la più violenta, ostinata e lunga che lucifero, il principe delle tenebre, abbia mai intrapreso per distruggere la Chiesa di Dio, ove mai fosse possibile. Ma le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. Questa lotta accanita cominciò con l’orribile tiranno Cosroe, il quale, vinto da Eraclio, suscitò al suo posto un mostro ancor più orribile nella persona di Maometto, che si impadronì del trono dei Persi, ed estese considerevolmente il suo impero. Il regno di questo nemico ereditario ed implacabile. Che fece versare flutti di sangue ai Cristiani, continua a durare; e benché considerevolmente affievolita nell’età di consolazione della Chiesa, per mano dell’atteso Monarca, ne resterà nondimeno una porzione rinserrata in limiti stretti, fino a che venga il figlio della perdizione. Questi, con trame oscure, giungerà al prono di questo impero che farà rivivere, e che restaurerà al punto da sottomettere quasi tutto al suo potere. Allora lucifero si servirà di quest’ultimo e più potente sovrano di questo reame per mettere il colmo al suo furore contro la Chiesa di Dio.

§ 1.

La guerra che il demonio suscitò per mezzo di Cosroe contro la Chiesa.

CAPITOLO XII – VERSETTI 1-18

Et signum magnum apparuit in caelo: mulier amicta sole, et luna sub pedibus ejus, et in capite ejus corona stellarum duodecim: et in utero habens, clamabat parturiens, et cruciabatur ut pariat. Et visum est aliud signum in cælo: et ecce draco magnus rufus habens capita septem, et cornua decem: et in capitibus ejus diademata septem, et cauda ejus trahebat tertiam partem stellarum cæli, et misit eas in terram: et draco stetit ante mulierem, quæ erat paritura, ut cum peperisset, filium ejus devoraret. Et peperit filium masculum, qui recturus erat omnes gentes in virga ferrea: et raptus est filius ejus ad Deum, et ad thronum ejus, et mulier fugit in solitudinem ubi habebat locum paratum a Deo, ut ibi pascant eam diebus mille ducentis sexaginta. Et factum est prælium magnum in cælo: Michael et angeli ejus praeliabantur cum dracone, et draco pugnabat, et angeli ejus: et non valuerunt, neque locus inventus est eorum amplius in cælo. Et projectus est draco ille magnus, serpens antiquus, qui vocatur diabolus, et Satanas, qui seducit universum orbem: et projectus est in terram, et angeli ejus cum illo missi sunt. Et audivi vocem magnam in caelo dicentem: Nunc facta est salus, et virtus, et regnum Dei nostri, et potestas Christi ejus: quia projectus est accusator fratrum nostrorum, qui accusabat illos ante conspectum Dei nostri die ac nocte. Et ipsi vicerunt eum propter sanguinem Agni, et propter verbum testimonii sui, et non dilexerunt animas suas usque ad mortem. Propterea lætamini cæli, et qui habitatis in eis. Væ terræ, et mari, quia descendit diabolus ad vos habens iram magnam, sciens quod modicum tempus habet. Et postquam vidit draco quod projectus esset in terram, persecutus est mulierem, quæ peperit masculum: et datæ sunt mulieri alæ duæ aquilæ magnæ ut volaret in desertum in locum suum, ubi alitur per tempus et tempora, et dimidium temporis a facie serpentis. Et misit serpens ex ore suo post mulierem, aquam tamquam flumen, ut eam faceret trahi a flumine. Et adjuvit terra mulierem, et aperuit terra os suum, et absorbuit flumen, quod misit draco de ore suo. Et iratus est draco in mulierem: et abiit facere prælium cum reliquis de semine ejus, qui custodiunt mandata Dei, et habent testimonium Jesu Christi. Et stetit supra arenam maris.

[E un grande segno fu veduto nel cielo: Una donna vestita di sole, e la luna sotto i suoi piedi, e sulla sua testa una corona di dodici stelle: ed essendo gravida, gridava pei dolori del parto, patendo travaglio nel partorire. E un altro segno fu veduto nel cielo: ed ecco un gran dragone rosso, che aveva sette teste e dieci corna, e sulle sue teste sette diademi, e la sua coda traeva la terza parte delle stelle del cielo, ed egli le precipitò in terra: e il dragone si pose davanti alla donna, che stava per partorire, affine di divorare il suo figliuolo, quando l’avesse dato alla luce. Ed ella partorì un figliuolo maschio, il quale ha da governare tutte le nazioni con scettro di ferro: e il figliuolo di lei fu rapito a Dio e al suo trono, e la donna fuggi alla solitudine, dove aveva un luogo preparatole da Dio, perché ivi la nutriscano per mille duecento sessanta giorni. E seguì in cielo una grande battaglia: Michele coi suoi Angeli combatterono contro il dragone, e il dragone e i suoi angeli combatterono: ma non vinsero, e il loro luogo non fu più trovato nel cielo. E fu precipitato quel gran dragone, quell’antico serpente, che si chiama diavolo e satana, il quale seduce tutto il mondo: e fu precipitato per terra, e con lui furono precipitati i suoi angeli. – E udii una gran voce nel cielo, che diceva: Adesso è compiuta la salute, e la potenza, e il regno del nostro Dio, e la potestà del suo Cristo: perché è stato scacciato l’accusatore dei nostri fratelli, il quale li accusava dinanzi al nostro Dio dì e notte. Ed essi lo vinsero in virtù del sangue dell’Agnello, e in virtù della parola della loro testimonianza e non amarono le loro anime sino alla morte. Per questo rallegratevi, o cieli, e voi che in essi abitate. Guai alla terra e al mare, perocché il diavolo discende a voi con grande ira, sapendo di avere poco tempo. E dopo che il dragone vide com’era stato precipitato sulla terra, perseguitò la donna che aveva partorito il maschio: ma furono date alla donna due ali di gramde aquila, perché volasse lungi dal serpente nel deserto al suo posto, dov’è nutrita per un tempo, per tempi e per la metà d’un tempo. E il serpente gettò dalla sua bocca, dietro alla donna dell’acqua come un fiume, affine di farla portar via dal fiume. Ma la terra diede soccorso alla donna, e la terra aprì la sua bocca, e assorbì il fiume che il dragone aveva gettato dalla sua bocca. E si adirò il dragone contro la donna: e andò a far guerra con quelli che restano della progenie di lei, i quali osservano i precetti di Dio e ritengono la confessione di Gesù Cristo. Ed egli si fermò sull’arena del mare.]

I. Vers. 1E apparve un grande segno nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi, e sul suo capo una corona di dodici stelle.

Vers. 2Portava un figlio nel suo grembo, e gridava nel suo dolore e provava tutta l’angoscia del parto. Sotto il tipo della donna che è descritto qui, si intende la Chiesa di Cristo sulla terra. Il Profeta la rappresenta giustamente come una donna, poiché è la sposa di Gesù Cristo e nostra madre, in quanto ci rende figli di Dio mediante il Battesimo. E apparve un grande segno, cioè la Chiesa, che è davvero un grande segno visibile in tutti i tempi e su tutta la terra, ed è contro questo segno che il figlio della perdizione si alzerà in modo speciale, a causa del nome di Nostro Signore Gesù Cristo, che egli bestemmierà, e che pochi uomini oseranno confessare sotto il suo regno di una orribile tirannia. Si dice che questo grande segno sia apparso in cielo, perché la Chiesa prende la sua luce dal cielo, una luce che la rende visibile a tutto il mondo. E sebbene sia sulla terra esposta alla furia delle persecuzioni e costantemente agitata e battuta dalle onde della tempesta che questo mondo solleva contro di essa, continua tuttavia a rimanere sotto la protezione del Dio del cielo, che le comunica i raggi del suo sole, e che non permetterà mai contro di essa altri mali se non quelli che la sua santa volontà e quella del suo Cristo giudicheranno utili o necessari. Infatti, Dio non è mai così vicino ai suoi che protegge, come quando sono in mezzo ai più grandi pericoli e mali. Questa Chiesa è paragonata ad un donna vestita di sole, perché Nostro Signore Gesù Cristo, che è il Sole di Rettitudine, la illumina costantemente, la sostiene e la rafforza con la sua assistenza divina; la glorifica e la circonda. La glorifica e la circonda con la sua protezione onnipotente. – San Giovanni l’annuncia sotto la figura di una donna vestita di sole, perché alla fine dei tempi, nei giorni delle sue più grandi tribolazioni, la Chiesa sarà più particolarmente assistita da Gesù Cristo, che ispirerà e rafforzerà i suoi eletti, che sono davvero pochi, per non soccombere. Con la luna sotto i suoi piedi, cioè l’orbe terrestre, che cresce e decresce come la luna, secondo che i Cristiani che ne fanno parte diminuiscano o si moltiplichino nel corso dei secoli. La Chiesa è rappresentata come se avesse la luna sotto i suoi piedi, a causa del potere che Gesù Cristo le ha dato su tutto il mondo, anche se, secondo la volontà di Dio, e secondo come Egli comunica la sua luce alla terra, il numero di coloro che gli obbediscono aumenta o diminuisce, secondo le circostanze dei tempi. Si nota soprattutto che questa luna è sotto i piedi della Chiesa; tuttavia, negli ultimi giorni i suoi piedi sfioreranno appena la terra, e Gesù Cristo, il Sole di Rettitudine, e la Sua Chiesa, che riflette la sua luce, saranno eclissati dagli abitanti dell’orbe. Perché allora saranno pochi gli uomini che confesseranno il suo santo Nome. I governanti della terra e quasi tutti i popoli che si oppongono alla luce di questo sole, copriranno la superficie dell’orbe come tante locuste, come la sabbia del mare o come le foglie degli alberi; e saranno gettati nell’inferno dall’ira dell’Agnello. E sul suo capo una corona di dodici stelle. Queste dodici stelle significano tutti i Santi che si alzeranno contro il torrente degli empi e combatteranno per la Chiesa e per il suo Cristo, come fecero gli Apostoli e gli altri Santi durante i primi secoli delle grandi persecuzioni. È di tutti questi santi che Daniele (XII, 3), dice: « Ora coloro che sono stati sapienti brilleranno come le luci del firmamento; e coloro che hanno istruito molti nella via della giustizia brilleranno come stelle nell’eternità. » Così questi Santi che combatteranno per la Chiesa alla fine dei tempi saranno la sua corona ed il suo ornamento sulla terra, come le stelle sono l’ornamento del cielo. E sul suo capo una corona di dodici stelle. Essa portava un figlio nel suo grembo, e gridava nel suo dolore, e provava tutta l’angoscia del parto. Queste parole si riferiscono alla terribile angoscia, al profondo dolore e ai grandi pericoli in cui la Chiesa militante e l’Impero Romano (che è anche rappresentato qui, in un altro senso letterale, dalla donna), sono stati immersi e continueranno ad essere immersi di fronte al drago, alla bestia ed al falso messia. Infatti l’imperatore Foca, uno dei principi più empi, malvagi ed effeminati del mondo, inondò l’impero con i suoi crimini. In seguito Cosroe, re dei Persiani, un tiranno crudelissimo ed i barbari al suo fianco, causarono un tale caos nel paese che lasciarono la Chiesa e l’Impero Romano a malapena sussistere.  L’Egitto, la Palestina, la Libia e Gerusalemme furono invase, e 90.000 Cristiani furono massacrati in queste orribili circostanze, che continuarono fino all’avvento di Eraclio. Questo principe, salito sul trono dell’Impero, si impadronì dell’Armenia e sconfisse l’esercito di Cosroe, che mise in fuga con una vittoria memorabile. – Dopo di che trionfò sui Persiani, che sconfisse in tre grandi battaglie, ed infine riconquistò la vera croce di Gesù Cristo dagli infedeli e la restituì alla Chiesa Cattolica.  Ora queste sono le ansie, i dolori, le difficoltà e questi i pericoli della Chiesa, che San Giovanni descrive sotto l’enigma di una donna in preda alle doglie del parto. Infatti, le quattro circostanze principali di queste prove della Chiesa di Cristo trovano la loro verifica figurata nel parto di una donna. a). Essa portava nel grembo un bambino, cioè Eraclio suo figlio e futuro imperatore. b). E gridò nel suo dolore e nelle sue tribolazioni. c). E sentì tutta l’angoscia, cioè il pericolo pressante che la minacciava. d). Essa provava tutta l’angoscia del parto, desiderando con timore e sollecitudine di partorire finalmente, con l’aiuto della misericordia divina, un figlio pieno di forza e di vita, cioè un buon Imperatore che la liberasse. Questo è infatti ciò che le fu concesso, anche se più tardi questo Imperatore cadde nell’eresia, fu abbandonato da Dio e perì miseramente, come vedremo più avanti. – 2° La Chiesa e l’Impero Romano hanno continuato, più o meno fino ad oggi, ad essere immersi nel dolore, nel pericolo e nell’angoscia dall’impero di Maometto, cioè l’impero dei Turchi, che i Cristiani devono considerare come una bestia molto feroce che non cesserà, a causa del suo istinto diabolico, di perseguitare la Chiesa ad oltranza. – 3º Questo pericolo e questa angoscia diventeranno estremi nei giorni dell’Anticristo, che sarà l’ultimo rappresentante di questo potere infernale, ma anche il più temibile e terribile, perché il serpente antico lo ispirerà nel consumare la sua rabbia e la sua vendetta. – Così l’enigma della donna nei dolori del parto non si riferisce ad un’unica epoca, ma a varie circostanze in cui Dio le darà sempre figli maschi forti e robusti, cioè, imperatori, re e principi che la difenderanno e proteggeranno essa e il suo Impero Romano dall’essere divorato da questa bestia crudele. Anche se l’impero turco è presentato nella storia con alcune modifiche, forma però, in realtà e nel suo insieme, un’unica monarchia, da Cosroe all’Anticristo, perché i suoi governanti hanno un obiettivo comune, che è lo sterminio del Cristianesimo e dell’Impero Romano.

II. Vers. 3E apparve un altro segno nel cielo: un grande drago rosso, con sette teste e dieci corna, e sette diademi sulle sue teste.

III. Vers. 4E la sua coda trasse la terza parte delle stelle del cielo, e le fece cadere sulla terra….. E un altro segno apparve in cielo. Questo segno è rappresentato in cielo, perché il drago dell’abisso con tutti gli empi osa salire verso le cose celesti per distruggerle. Ma qualunque siano i loro sforzi, sono sempre respinti e contenuti dal potere divino, e possono nuocere solo per quanto Dio permette. Un grande drago rosso, dice il testo latino, et ecce, ed ecco; queste parole sono piene di forza e richiamano tutta la nostra attenzione sull’orribile e terribile mostro che il Profeta sta per descrivere. Ed ecco un grande drago rosso, cioè Lucifero, il principe di tutti i demoni e di tutti i tiranni, contro il quale San Giovanni è attento a metterci in guardia, dicendo: Questo grande drago, il vecchio serpente, chiamato diavolo e satana, che inganna tutto il mondo, fu gettato sulla terra, e i suoi angeli con lui. Questo dragone è chiamato grande, a causa dell’immenso potere che Dio gli ha permesso di esercitare contro i santi, contro la Chiesa e contro l’Impero Romano, particolarmente al tempo di Cosroe, di Maometto e soprattutto dell’anticristo, che sarà l’epilogo e il rappresentante di tutti i tiranni, di tutti gli scellerati, di tutti i sortilegi e di tutti gli impostori. Quando un serpente cresce fino a raggiungere proporzioni mostruose, viene chiamato dragone. Ora è questo che si verificherà soprattutto nel figlio della perdizione; infatti, questo serpente diventerà molto grande con le sue vittorie, con la sua potenza, con le sue mostruose imposture, con la moltitudine dei suoi falsi miracoli e con la varietà e la raffinatezza dei suoi stratagemmi. Questo drago apparve rosso a San Giovanni, cioè il colore del sangue di cui si è macchiato a partire da Abele e dai primi martiri, fino all’ultimo dei Cristiani che questo mostro immolerà, per gelosia della gloria di Dio e del santo Nome di Gesù. È di questo drago che San Giovanni ci dice, VIII, 44: « Era omicida fin dal principio », perché non perseverò nella verità, e perse il posto che Dio gli aveva dato. Questo dragone è anche rosso, a causa del fuoco infernale in cui è tormentato con i suoi nei secoli dei secoli. Egli è anche rosso, a causa della sua antica gelosia, della rabbia e dell’invidia, che gli danno un colore livido, tanto arde dal desiderio di nuocere agli uomini e alla Chiesa di Cristo, cercando continuamente di divorare i Cristiani, e di rovinare i loro pii disegni e le loro buone opere, come i serpenti rossi ed i rospi, che sono considerati velenosissimi, cercano di nuocere agli uomini. Infine, è rosso, perché è e sarà, verso la fine dei tempi, molto astuto e fine, come ci avverte Gesù Cristo in San Matteo (XXIV, 24), « … in modo da sedurre gli stessi eletti, se fosse possibile ». Questo dragone apparve a San Giovanni con sette teste e dieci corna, e sette diademi sulle sue teste. Queste sette teste significano tutti i re, o piuttosto tutti i tiranni che regneranno nella monarchia turca fino alla fine. E con le dieci corna si intendono tutti i regni che saranno soggetti al potere del dragone. Si dice che questo dragone avrà o possiederà queste teste e queste corna, perché governa questi re e questi regni, e li spinge alla tirannia contro i Cristiani. Egli combatte con essi ed in essi, ed attraverso di essi infuria contro Gesù Cristo e la sua Chiesa. Si dice anche che avrà sette diademi sulla testa, perché la dignità reale continuerà a sussistere nella monarchia turca fino al figlio della perdizione, perché questo regno non sarà totalmente distrutto. Le dieci corna sono anche dieci re più o meno potenti che, verso la fine dei tempi, quando l’Impero Romano sarà distrutto, si incoroneranno da se stessi; ognuno di essi vorrà avere il proprio regno; ma il figlio della perdizione li vincerà e li sottometterà alla sua dominazione. Ed è così che otterrà una grande potenza, perché userà questi re come sue corna, per combattere e distruggere tutte le cose, come un animale la cui forza è nelle sue corna. E la sua coda portò via la terza parte delle stelle del cielo e le fece cadere sulla terra. Con la coda, comprendiamo le conseguenze di questa monarchia diabolica che ha trascinato via, in effetti, e coinvolto la terza parte delle stelle del cielo, cioè la Chiesa greca, che a poco a poco si separò dalla Chiesa romana, dopo essersi macchiata da vari errori, in occasione della setta di Maometto e sotto il giogo della monarchia turca. Questa Chiesa greca è rappresentata dalle stelle del cielo, perché fiorì prima, e brillò come le stelle, con un gran numero di Santi e dottori; tanto che dobbiamo riconoscerci noi stessi che quasi tutte le luci, e specialmente le più grandi della Chiesa di Cristo, hanno brillato soprattutto nella Chiesa primitiva e nella Chiesa greca. E li fece cadere sulla terra, perché la Chiesa greca fu dispersa, e così rimarrà nel suo triste stato sotto il dominio dell’impero turco, fino al tempo del figlio della perdizione. È vero che nella sesta epoca, quando questo impero turco sarà stato confinato in limiti più ristretti, la Chiesa greca sarà di nuovo unita alla Chiesa latina. Ma siccome questo periodo sarà di breve durata, rispetto alla durata di questo regno, questa riconciliazione con la nostra santa madre Chiesa non può essere considerata come costante e duratura. Inoltre, questa Chiesa greca sarà quasi la prima fra tutte quelle che, alla fine dei tempi, aderiranno al figlio della perdizione e ai suoi falsi profeti, e si rivolterà contro la donna vestita di sole, cioè contro la vera Chiesa di Gesù Cristo. Essa si impegnerà allora, secondo la sua vecchia abitudine diabolica, a riprodurre i suoi errori sulla natura del Figlio e della processione dello Spirito Santo, e adorerà e farà adorare sulla terra un falso salvatore del mondo e il più criminale degli impostori, l’anticristo. Allo stesso modo, con la coda sono designati i falsi Cristiani e i falsi profeti, che, come la coda di un drago, saranno pieni del veleno della dottrina più pestilenziale, e aderiranno a satana in modo inseparabile, seguendolo ovunque egli andrà, ed agendo secondo la sua volontà ed il suo potere che possiederà con il permesso di Dio. Ed essi inganneranno molti uomini, secondo la profezia di Gesù Cristo, (Matth. XXIV, 24): « Perché sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti, e mostreranno grandi segni e prodigi, in modo da ingannare, se fosse possibile, gli stessi eletti. »  Perciò è detto: E la sua coda trasse la terza parte delle stelle del cielo e le fece cadere sulla terra. Per stelle del cielo si intendono anche i dottori, i religiosi e gli ecclesiastici anche della Chiesa latina, i quali, in questi ultimi giorni, vedendo che tutto sarà capovolto e che Dio apparirà come addormentato, ed anche come impotente a reprimere gli empi ai quali permetterà tutto, si scandalizzeranno, e si lasceranno sedurre dai prodigi dei falsi profeti, e faranno defezione. Si abbandoneranno ai piaceri della carne, si sposeranno e immergeranno i loro cuori negli amori illeciti e nella concupiscenza delle donne. Perché allora il celibato e la santa virtù della castità saranno considerati uno scandalo ed un oggetto di derisione. Si vedranno rinascere i tempi di Noè, quando tutta la carne aveva corrotto le sue vie; e allora Dio distruggerà l’universo, non più con l’acqua, ma con il fuoco. E li fece cadere sulla terra, perché questi apostati, uniti nel cuore e nella mente ai falsi profeti, aderiranno alla loro falsa dottrina e si metteranno all’opera per turbare, in modo orribile, la Chiesa di Cristo. Essi commetteranno grandi scandali, inganneranno i popoli e le nazioni, e perseguiteranno i loro fratelli e i loro superiori che non vorranno camminare nella via delle loro abominazioni. Da questo l’avvertimento che Gesù Cristo ci dà in San Matteo, (XXIV, 9): « Allora vi consegneranno alla tribolazione, vi uccideranno e sarete odiati da tutte le nazioni a causa del mio nome. E molti si scandalizzeranno, e tradiranno e si odieranno l’un l’altro. E molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti. E poiché l’iniquità abbonderà, l’amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà fino alla fine sarà salvato. »

III. Vers. 5. – E quel drago stava davanti alla donna che doveva partorire, per divorare suo figlio appena partorito. E partorì un figlio maschio, che avrebbe dovuto governare tutte le nazioni con uno scettro di ferro e suo figlio fu portato a Dio e al suo trono. Questo stazionamento, in presenza e davanti alla donna, denota una violenza eccessiva e molto pressante, e una tirannia continua e sostenuta contro la Chiesa di Cristo e il suo Impero Romano; violenza che satana esercitò per la prima volta nella persona di Cosroe, re dei Persiani, che è un tutt’uno con satana. Per questo è chiamato il dragone in seconda e come uno strumento, perché ne era la coda e non aveva che un solo scopo, quello di distruggere il Nome di Gesù Cristo e della sua Chiesa. Lo stesso vale, a maggior ragione, per Maometto, e di conseguenza per il suo impero tirannico che durerà 1260 anni, e che sarà rinnovato dall’anticristo, il figlio della perdizione. Poiché è ammesso, una volta per tutte, come certo, che questa guerra così crudele e così lunga del dragone fu intrapresa e iniziata da Cosroe, e fu poi continuata per molto tempo da Maometto e dal suo impero turco, e finirà con l’Anticristo, che commetterà più crimini durante i giorni della durata del suo regno che tutti quelli che i precedenti avranno prodotto in tanti anni. Questi giorni sono indicati da Daniele e da San Giovanni, come abbiamo detto sopra. Del resto, ne parleremo più a lungo nel seguito. Tutti devono quindi sapere che sotto l’enigma del dragone, del grande capo e direttore degli empi, e sotto gli enigmi delle bestie e delle corna, delle teste, delle acque e delle donne, tutti gli abomini di questa guerra sono descritti dal Santo, che se ne stupisce lui stesso, perché sono davvero grandi e veramente stupefacenti le tribolazioni che rovineranno più o meno la Chiesa, e nelle quali gli eletti saranno provati come dal fuoco. Ecco perché il dragone, Cosroe, Maometto, tutti i successori della sua setta nell’impero turco, e anche il figlio della perdizione che sarà il loro complemento, sono tutti nemici dichiarati del santo Nome di Gesù e della sua Chiesa, e costituiscono un solo corpo morale, che è la bestia o il dragone. E questo dragone si arrestò davanti alla donna che doveva partorire. Queste parole significano la grande angoscia e il pericolo di perire in cui si trovavano la Chiesa e l’Impero Romano al tempo dell’imperatore Foca, sotto il cui regno Cosroe occupava una parte molto grande di quell’Impero. Infatti egli devastò tutte le chiese, trattò i fedeli in modo disumano e li fece massacrare crudelmente, si impadronì della città di Gerusalemme, dove 90.000 Cristiani furono passati a fil di spada, e portò via la vera croce del Salvatore. E se la misericordia di Dio non avesse dato alla Chiesa un potente liberatore nel suo figlio Eraclio, quel crudele tiranno, che si era ingrandito con tante depredazioni, e con tanti regni di cui si era impadronito, avrebbe forse finito per divorare tutto, come un dragone in furia. E questo dragone si fermò davanti alla donna che doveva partorire, per divorare suo figlio appena partorito. Cosroe, infatti, diventato insolente per le sue vittorie, voleva assolutamente divorare e distruggere Eraclio, quando salì sul trono dell’Impero, che aveva appena subito attacchi così violenti. Infatti, Cosroe, gonfio delle sue vittorie e pieno di fiducia nell’estensione del suo potere e nel valore dei suoi eserciti, rifiutò di concludere un trattato di pace con Eraclio, anche nei termini più umilianti per quell’imperatore.

IV. Essa mise al mondo un figlio maschio che avrebbe governato tutte le nazioni con scettro di ferro. Questi era Eraclio, che fu elevato all’Impero, e che mostrò veramente un vigore maschile, fin dall’inizio del suo regno. Egli represse l’insolenza di Cosroe con vittorie folgoranti, fece a pezzi molti dei suoi più formidabili eserciti, occupò la Persia, ripiantò la santa croce sul monte Calvario, e infine si dimostrò veramente degno di regnare su tutte le nazioni. E forse Dio gli avrebbe concesso questo vantaggio, se non si fosse allontanato da lui sostenendo l’eresia dei Monoteliti. Così dunque, quanto il felice inizio del suo regno fu gradito a Dio e alla Chiesa, ed utile all’Impero, tanto egli stesso divenne miserabile e odioso in seguito. Che i re, i principi e gli uomini potenti del mondo imparino da questo esempio cosa possono fare con l’aiuto e l’amicizia di Dio, e come, al contrario, diventano impotenti e miserabili allontanandosi da Lui. Che doveva governare tutte le nazioni con uno scettro di ferro. Con questo scettro di ferro si intende un potere molto grande e forte, che Dio ebbe dato a Eraclio per sottomettere al suo dominio, e per contenere nell’obbedienza e nella servitù, le nazioni barbare, se non si fosse separato da Lui, e se non avesse corrotto le sue vie cadendo nell’eresia. Ecco perché San Giovanni si esprime in modo condizionale e non assoluto: Che doveva governare, etc. – E suo figlio fu portato a Dio e al suo trono. Queste parole esprimono la protezione di Dio verso Eraclio, e i suoi eterni consigli contro i suoi nemici; e anche le brillanti vittorie e l’elevazione di questo principe al trono dell’Impero. Questi sono, infatti, doni che vengono da Dio, e che Egli distribuisce a suo piacimento. Si leggano, volendo, le guerre, le vittorie e gli atti pii di questo Imperatore, quando ancora difendeva la causa di Dio, e quando combatteva così valorosamente per la croce del suo Cristo, e vedremo chiaramente il dito di Dio nell’incoronazione di questo Imperatore, e nel suo brillante trionfo sui nemici più potenti e formidabili, con mezzi umani molto deboli. Ma poiché abbandonò le vie della giustizia e della verità, egli stesso fu abbandonato da Dio, ed in seguito soffrì ogni tipo di disgrazie e di miserie. La sua defezione diede alla bestia l’ingresso in uno dei regni più potenti, stabili e lunghi della storia del mondo, che si estende da Maometto fino all’anticristo. – Cosroe, diventato insolente per le sue vittorie, voleva assolutamente divorare e distruggere Eraclio, quando salì sul trono dell’Impero, che aveva appena subito attacchi così violenti. In effetti Cosroe, gonfio delle sue vittorie e pieno di fiducia nell’estensione del suo potere e nel valore dei suoi eserciti, rifiutò di concludere un trattato di pace con Eraclio, anche nei termini più umilianti per quell’imperatore.

IV. Essa mise al mondo un figlio maschio che avrebbe governato tutte le nazioni con scettro di ferro. Questi era Eraclio, che fu elevato all’Impero, e che mostrò veramente un vigore maschile, fin dall’inizio del suo regno. Egli represse l’insolenza di Cosroe con vittorie folgoranti, fece a pezzi molti dei suoi più formidabili eserciti, occupò la Persia, ripiantò la santa croce sul monte Calvario, e infine si dimostrò veramente degno di regnare su tutte le nazioni. E forse Dio gli avrebbe concesso questo vantaggio, se non si fosse allontanato da lui sostenendo l’eresia dei Monoteliti. Così, dunque, quanto il felice inizio del suo regno fu gradito a Dio e alla Chiesa, ed utile all’Impero, tanto egli stesso divenne miserabile e odioso in seguito. Che i re, i principi e gli uomini potenti del mondo imparino da questo esempio cosa possono fare con l’aiuto e l’amicizia di Dio, e come, al contrario, diventano impotenti e miserabili allontanandosi da Lui. Che doveva governare tutte le nazioni con uno scettro di ferro. – Con questo scettro di ferro si intende un potere molto grande e forte, che Dio ebbe dato a Eraclio per sottomettere al suo dominio, e per contenere nell’obbedienza e nella servitù, le nazioni barbare, se non si fosse separato da Lui, e se non avesse corrotto le sue vie cadendo nell’eresia. Ecco perché San Giovanni si esprime in modo condizionale e non assoluto: Che doveva governare, etc. – E suo figlio fu portato a Dio e al suo trono. Queste parole esprimono la protezione di Dio verso Eraclio, e i suoi eterni consigli contro i suoi nemici; e anche le brillanti vittorie e l’elevazione di questo principe al trono dell’Impero. Questi sono, infatti, doni che vengono da Dio, e che Egli distribuisce a suo piacimento. Si leggano, volendo, le guerre, le vittorie e gli atti pii di questo Imperatore, quando ancora difendeva la causa di Dio, e quando combatteva così valorosamente per la croce del suo Cristo, e vedremo chiaramente il dito di Dio nell’incoronazione di questo Imperatore, e nel suo brillante trionfo sui nemici più potenti e formidabili, con mezzi umani molto deboli. Ma poiché abbandonò le vie della giustizia e della verità, egli stesso fu abbandonato da Dio, ed in seguito soffrì ogni tipo di disgrazie e di miserie. La sua defezione diede alla bestia l’ingresso in uno dei regni più potenti, stabili e lunghi della storia del mondo, che si estende da Maometto fino all’anticristo. V. Vers. 6E la donna fuggì nel deserto, dove aveva un rifugio che Dio aveva preparato per lei, per esservi nutrita milleduecentosessanta giorni. Quando Dio vide che il Cristianesimo e l’Impero d’Oriente non potevano resistere, e che la stessa fede cattolica cominciava ad essere oscurata dal fumo dell’orgoglio e ad essere macchiata dal fango dell’arroganza di cui gli stessi fedeli erano colpevoli verso la Santa Sede; e quando vide le tenebre delle eresie e degli scismi insinuarsi gradualmente nella Chiesa, Egli la trasportò con il suo Impero Romano in Germania, la cui porzione principale era ancora sepolta negli errori del paganesimo. Dio, quindi, volendo mostrare clemenza verso la razza germanica, mandò loro grandi Santi, dell’ordine sempre celebre di San Benedetto, che successivamente la convertirono alla fede cattolica. Citiamo qui alcuni di questi nomi apostolici: San Goar convertì gli abitanti di Treviri; San Ruperto con i suoi compagni convertì la Baviera; San Primino convertì la Sassonia occidentale; San Gisleno fu l’apostolo dell’Austria. Le isole britanniche hanno ricevettero la luce della fede da San Riccardo, abate, Sant’Agostino, San Bonifacio e molti altri santi dottori. San Wilfrido convertì i popoli della Frisia, e San Chiliano quelli della Franconia. È così che l’intera razza alemanna si è trovata al centro della felicità e della luce della fede del Cristo con questi santi Apostoli e molti altri che Dio mandò ad essa. La bestia rabbrividì di rabbia. La Germania, che prima era considerata una vasta solitudine o un deserto, fu così fecondata dalla dottrina di questi santi Apostoli, e annaffiata dal sangue di molti di loro che suggellarono, con il martirio, le verità che predicavano. Perciò l’Apostolo dice: E la donna fuggì nel deserto; cioè, Dio portò la sua Chiesa in Occidente, e specialmente in Germania, che sono metaforicamente designate come il deserto: 1° Perché un deserto non è abitato, e non c’è vita sociale. 2° Perché i deserti sono di solito il ritrovo di bestie feroci. Ora la Germania e l’Inghilterra, cioè le isole britanniche verso il nord e l’Occidente, erano come piene di bestie feroci, cioè, di sacerdoti degli idoli e di idolatri, che fremevano di rabbia alla voce del Vangelo. In seguito, poiché la fede e il vero Dio non avevano ancora abitato ed illuminato queste regioni, il Profeta le chiama un deserto, dove la donna aveva un ritiro che Dio aveva preparato per lei, cioè aveva preparato queste regioni dell’Occidente a ricevere la fede cattolica, e di conseguenza la Chiesa di Gesù Cristo, rappresentata metaforicamente dalla donna, come è stato detto sopra. In effetti, Dio predispose la Germania e le parti occidentali dell’Europa a ricevere la fede cattolica attraverso le luci della sua grazia che riversò nei cuori, e attraverso le luci esteriori e sensibili dei suoi Apostoli. Per essere nutrita lì milleduecentosessanta giorni. Queste parole designano la durata effettiva del rifugio della Chiesa di Gesù Cristo in Occidente. E questa durata sarà di milleduecentosessanta anni, perché qui i giorni contano come anni, come spesso accade nella Scrittura. L’inizio di questo periodo risale all’origine della monarchia turca, e anche all’inizio della conversione degli inglesi e delle nazioni occidentali. Proprio come nell’Antico Testamento il popolo d’Israele aveva un nemico ereditario nei Gentili; così il popolo cristiano e la Chiesa di Cristo avranno sempre come avversari la nazione turca e tutti i popoli barbari della setta di Maometto fino alla fine dei tempi. Questa bestia riceverà infatti un grande colpo ed una profonda ferita dal grande Monarca che gli toglierà l’impero di Costantinopoli con gran parte del suo territorio. Ma l’anticristo, che sarà l’ottavo corno della bestia, curerà la sua ferita, e rafforzerà addirittura questa bestia in modo così considerevole, che occuperà quasi tutti gli Stati, e arriverà addirittura ad un grado supremo di elevazione tra tutti gli altri regni. – Ho detto che occuperà quasi tutti gli Stati; anzi, l’anticristo che sorgerà sul trono della monarchia turca, nelle terre dove il grande Monarca lo avrà relegato, ristabilirà il suo impero e lo renderà più potente che mai. E la donna fugge nel deserto….. per essere nutrita, cioè per essere mantenuta e conservata. Perché questo è ciò che Dio ha concesso alla Chiesa d’Occidente nella sua paterna bontà, e ciò che le concederà fino alla fine dei tempi, di poter conservare la sua fede con la predicazione del Vangelo e con gli esempi dei suoi Santi. In ogni epoca e tempo, Dio ha sempre mandato operai nella sua vigna per coltivarla; e così ha impedito che questa vigna o Chiesa perisse, specialmente nel terribile uragano dell’eresia di Lutero.

VI. Vers. 7. – E ci fu una grande battaglia in cielo, ecc. San Giovanni descrive con le seguenti parole la guerra che sorse, quando San Michele e gli angeli custodi si impegnarono a stabilire la Chiesa d’Occidente, ed il dragone, con gli angeli cattivi, fece tutti i suoi sforzi per opporvisi e persino per distruggerla. E ci fu un grande combattimento nel cielo. San Michele e i suoi Angeli combatterono contro il dragone, e il dragone con i suoi angeli combatteva contro di lui. San Michele è il protettore della Chiesa militante, e i suoi Angeli sono i guardiani delle chiese, dei regni e di tutta la Cristianità. San Michele è il principe e il capo di quelle migliaia di Angeli che combattono, secondo la volontà di Dio, contro il potere delle tenebre, per proteggere e conservare la Chiesa, che è più o meno estesa su tutta la terra, secondo le circostanze dei tempi, e che è affidata alla cura di questo Arcangelo. Il dragone, invece, è lucifero, il serpente antico, il diavolo e satana. I suoi angeli sono gli altri spiriti malvagi e reprobi che egli invia su tutta la superficie della sfera per distruggere la Chiesa ed il Nome di Cristo. – Così, mentre i primi si sforzavano di diffondere la fede cristiana in Europa, i secondi facevano del loro meglio per contrastarla e distruggerla, sollecitando le anime delle nazioni convertite a far defezione, ed eccitandoli alla sedizione, alla guerra, alla tirannia, alla persecuzione e all’odio contro i sacerdoti e gli Apostoli di Cristo. Inoltre, essi suscitarono falsi fratelli, i figli di Belial, nel seno della Chiesa con le eresie, in modo che questi potessero causare confusione e problemi tra i nuovi Cristiani con lo scandalo, per renderli odiosi alle altre nazioni che erano ancora nelle tenebre, e per impedire loro di convertirsi. Ma nonostante tutti questi sforzi tentati dal dragone e dai suoi angeli ribelli, né le sedizioni, né le guerre, né le defezioni, né lo spargimento di sangue dei martiri, né tante altre difficoltà di ogni genere potettero impedire la conversione della Germania e delle nazioni occidentali, perché quest’opera santa era sotto la protezione speciale di Dio, che si mostrava sensibile alle preghiere e ai sacrifici di tutti i santi Apostoli della Germania e di tutta l’Europa. Di modo che la potenza, le lotte, le fatiche, l’industria dei santi Angeli e l’estrema vigilanza prevalsero, e ottennero da San Michele un pieno trionfo. Ecco perché è detto nel testo, parlando dei primi:

Vers. 8. – Ma questi furono i più deboli, e il loro posto non si trovò più in cielo, cioè nella Chiesa della Germania e dell’Occidente, per impedire la nascita della Chiesa o per distruggerla dopo. Perché la fede cattolica fu stabilita e diffusa in tutta Europa dalla potenza e dalla pietà di Carlo Magno, verso l’anno 800.

Vers. 9. – E quel dragone, l’antico serpente, chiamato diavolo e satana, che inganna tutto l’universo, fu gettato a terra, e i suoi angeli con lui; cioè, satana e tutta la sua schiera furono scacciati, dispersi, emarginati e messi in fuga da San Michele e dai suoi Angeli, come un re è solito respingere un nemico che ha osato entrare nel suo regno. E questo dragone, il serpente antico, chiamato il diavolo e satana, che inganna tutto l’universo, ecc. San Giovanni spiega qui alla lettera cosa si deve intendere con questa parola il dragone per l’estensione della sua potenza, la sottigliezza e la penetrazione della sua intelligenza e la sua eccessiva astuzia, di cui troviamo un’idea in Genesi III, 15: « Io porrò inimicizia tra te e la donna, e tra la tua progenie e la sua progenie; essa ti schiaccerà il capo e tu le insidierai il calcagno. » Ora, questo passaggio non è da intendersi solo della beata Vergine Maria, ma anche della Chiesa contro la quale le porte dell’inferno non prevarranno.

VII. Questo dimostra quanto sia importante che i Vescovi, i prelati, i parroci e gli altri pastori di anime veglino sul gregge loro affidato, poiché lucifero, con migliaia di demoni, lavora a tutte le ore e senza tregua per la rovina delle anime. E questi pastori hanno tanti mezzi per garantire il loro gregge, poiché possiedono nello Spirito Santo l’alta intelligenza di tutte le cose, e poiché sono costituiti da Dio per governare. Infine, da quanto detto sopra, risulta quanta ammirazione, ringraziamento e fiducia meriti Nostro Signore Gesù Cristo da parte degli uomini che, sebbene accecati dal peccato, sono tuttavia protetti in modo molto paterno, in mezzo a tanti pericoli e trappole, dai santi Angeli che di conseguenza dobbiamo ricompensare con un tenero amore invocandoli. È solo dopo aver abbandonato la nostra carne mortale che vedremo chiaramente gli orribili pericoli che avremo corso e che non avremmo potuto evitare senza la speciale protezione dei santi Angeli. Ma dobbiamo anche essere sempre vigili, per non permettere al diavolo di entrare nei nostri cuori. Ecco perché S. Pietro, che è la colonna fondamentale della Chiesa di Cristo, ci dice (I Petr V, 8): « Siate temperanti e vigilanti. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare; resistetegli saldi nella fede. » E il grande dragone …. fu gettato a terra, e i suoi angeli con lui. Con la terra, San Giovanni designa qui l’Impero e la Chiesa d’Oriente, di cui si diceva che si era fermato davanti alla donna, al tempo di Cosroe. Infatti, essendo stato cacciato e respinto dalla Chiesa d’Occidente, gli fu permesso di continuare la sua furia con i suoi in Oriente, a causa della malvagità e i peccati di quelle nazioni, e per punire, tramite Maometto e la monarchia turca, l’orgoglio, l’avarizia, l’ambizione, le eresie e gli scismi della Chiesa greca, che era stata così a lungo ribelle ai Pontefici Romani, come vedremo in seguito.

VIII. Vers. 10E udii una gran voce nel cielo, che diceva: Ora è stabilita la salvezza del nostro Dio, e la sua potenza e il suo regno, e la potenza del suo Cristo. In queste parole seguono la gioia e la gratitudine della Chiesa trionfante per la conversione della Germania e delle contrade occidentali dell’Europa, perché è il carattere dei santi  gioire del bene e aborrire il male. E ho sentito una grande voce in cielo, dicendo, etc. Questa voce è la voce del vincitore, cioè di San Michele, che ritorna trionfalmente in cielo, dopo aver completato la sua spedizione bellica in qualità di generale in capo e protettore della Chiesa militante sulla terra. Ora la salvezza del nostro Dio è stabilita, e la sua potenza e il suo regno, e la potenza del suo Cristo. La salvezza viene da Dio, ed è concessa alle nazioni dalla loro conversione alla fede cattolica, senza la quale, dice San Paolo, è impossibile piacere a Dio ed ottenere la vita eterna. La potenza significa la grazia, le luci e i miracoli dello Spirito del Signore, che ha mandato operai santi e valorosi a queste nazioni, per farle uscire dalle tenebre e dall’ombra di morte in cui sedevano, e per condurle nella verità della fede e nell’ovile degli eletti. Il regno indica la sottomissione e l’obbedienza con cui queste nazioni cominciarono a servire Dio, il loro Creatore, e ad adorarlo, invece di servire gli idoli ed adorare i demoni, a cui erano stati miseramente sottoposti prima.La potenza di Cristo, infine, significa la giurisdizione acquisita dalla Chiesa militante su questi popoli e Nazioni. Questo potere è detto essere di Cristo, perché è stato Lui che l’ha acquisito per sé con il Suo prezioso sangue, per darlo poi alla Sua Chiesa sulla terra. Perché l’accusatore dei nostri fratelli, che li accusava giorno e notte davanti a Dio, è stato precipitato. – Vale a dire che il potere del dragone è stato proscritto e bandito dai cuori, così come l’idolatria, l’impostura e la falsità dalle quali queste Nazioni erano state precedentemente contaminate. Questo dragone è chiamato, dai Santi della Chiesa Trionfante, l’accusatore dei nostri fratelli, perché il suo innato orgoglio lo porta continuamente a rimproverare la fragilità umana e le imperfezioni della nostra natura corrotta davanti a Dio, come fece nei confronti di Giobbe (II). È così che satana, disprezzando l’estrema semplicità dei monaci che evangelizzavano la Germania, riteneva impossibile che Nazioni dotate di così grande prudenza umana, e popoli così barbari, bellicosi e potenti, si lasciassero distogliere dalla loro idolatria, per convertirsi alla voce di questi semplici monaci privi di ogni mezzo umano.

Vers. 11. – Ed essi lo hanno vinto per mezzo del sangue dell’Agnello e della testimonianza che hanno dato alla sua parola, e hanno disprezzato la loro vita fino alla morte. San Giovanni esprime qui la vittoria ed il trionfo che i servi e gli operai di Cristo, aiutati dalla sua grazia, hanno ottenuto su satana e i suoi angeli, portando gradualmente tutte le Nazioni alemanne e delle terre occidentali nell’ovile del buon Pastore. L’Apostolo attribuisce questa grande vittoria a tre cause principali, cioè: al sangue dell’Agnello, alla testimonianza che i martiri hanno dato alla sua parola, al disprezzo della vita fino a soffrire la morte. Perché è con il suo sangue adorabile che Cristo ha reso feconda la sua Chiesa. E fu con la predicazione del Vangelo che la fede si diffuse su tutta la terra. Il sangue dei martiri fu come un seme che moltiplicò i Cristiani; e questi divennero i tralci della vite del Signore. E hanno disprezzato la loro vita fino alla morte, cioè, si sono esposti per amore del santo Nome di Gesù e per la conversione delle anime, a tutti i disagi, le afflizioni, i pericoli della vita, e anche alla morte. (Vedere gli annali su questo argomento, dall’anno 600 all’anno 800).

Vers. 12. – Perciò rallegratevi, o cieli, e voi che abitate in essi. Queste parole esprimono la pace, la gioia, la felicità, la letizia e il riposo della Chiesa militante, così come le congratulazioni per la sua vittoria e il suo trionfo. È così che un re è solito congratularsi con la sua capitale e il suo regno, anche ordinando esultanze pubbliche, dopo aver seguito e disperso i nemici che si erano impadroniti di una parte dei suoi stati.

IX. Guai alla terra e al mare, perché il diavolo è sceso a voi con grande ira, sapendo che ha poco tempo. Queste parole annunciano una grande disgrazia per la Chiesa greca e per tutto l’Oriente. Questa disgrazia, infatti, si manifestò con molte tribolazioni e persecuzioni, e con una grande tirannia ed umiliante servitù da parte della setta di Maometto. Dio permise questi mali come punizione per l’indurimento della Chiesa greca e per i peccati delle Nazioni dell’Oriente. Il demonio è sceso a voi con grande ira. satana è il nemico implacabile e costante del genere umano, e se non riesce a fare del male agli uomini in nessuna parte del mondo, si arrabbia, si infuria e freme di rabbia. Ed è allora che si vendica fin dove Dio gli permette di farlo, e rovina e distrugge tutto. Ora, poiché satana aveva appena sperimentato una grande sconfitta, ed una vergognosa fuga nella Chiesa d’Occidente, disse nella sua rabbia: Matth. XII, 44: « Tornerò alla mia casa da dove sono uscito. » Sapendo che ha poche parole, mostra la nera invidia e l’inspiegabile ingratitudine del dragone contro il suo Creatore così buono, così amabile, così benefico, così misericordioso e così liberale, che creò lucifero dal nulla, e costituì lui e tutti i suoi angeli ribelli in grande potenza, saggezza e comprensione, e li dotò tutti di magnifiche qualità e brillanti prerogative. Nonostante questa generosità di Dio verso di loro, essi gli si sono ribellati contro; e ora il tempo sembrava loro troppo breve per soddisfare il loro desiderio sfrenato e la loro sete ardente di vendetta, sfogando la loro rabbia e la loro gelosia, e mostrando il loro orgoglio e la loro presunzione contro la bontà del loro Creatore e contro la razza umana la cui natura era unita al Verbo di Dio. Sapendo che ha poco tempo… Infatti, il tempo. In effetti, i tempi principali dell’Antico Testamento per perdere le anime, sono passati per lui; e nella legge della grazia è vincolato e limitato nel suo potere. E siccome il tempo per nuocere e per compiere la sua vendetta è molto breve in confronto all’eternità, in cui sarà incatenato con i suoi in orribili luoghi di tormento, il demone è pieno di grande rabbia, sapendo che ha poco tempo.

Vers. 13. – Ma il dragone, vedendosi gettato a terra, inseguì la donna che aveva dato alla luce un figlio maschio. Questo figlio maschio era l’imperatore Carlo Magno, che la Chiesa fece nascere e crescere nell’Impero Romano nell’anno 800 d. C. Fu il primo degli imperatori alemanni, e si dimostrò un ammirevole protettore della Chiesa latina e d’Occidente. Infatti, la difese, l’esaltò e propagò con tutte il suo potere. Per convincersene, si legga la storia del suo tempo. Ma il dragone, vedendosi gettato a terra, etc. Quando il dragone vide che non poteva impedire la conversione della Germania e delle Nazioni occidentali, perseguì la donna, cioè la Chiesa latina, suscitando nel suo seno turbolenze, sedizioni e partiti. È ciò che accadde sotto il Papa Leone III, che lo incoronò e lo dichiarò imperatore. Si dice anche che il dragone inseguì la donna, perché questo serpente è implacabile nella sua ira e gelosia contro il genere umano e contro la Chiesa di Cristo. E quando non riesce ad ostacolare la verità e la giustizia di Dio, non cessa di tentare e tormentare gli uomini, procurando loro ogni sorta di contrarietà e disgrazie. Questo è ciò che ogni Cristiano sperimenta fin troppo bene nelle sue crudeli e orribili tentazioni contro la fede, la purezza e le altre virtù. E l’autore di tutti questi mali è satana, che non può sopportare che noi viviamo piamente nel Signore.  Consoliamoci, dunque, se siamo messi alla prova da molte tentazioni, perché è un segno che siamo amici di Dio e che stiamo camminando nei sentieri della vita eterna.

Vers. 14. – E due ali di una grande aquila furono date alla donna, perché volasse nel deserto, nel luogo del suo ritiro, dove si è nutrita per un tempo, un tempo e mezzo, lontano dalla presenza del serpente. Questa grande aquila era Carlo Magno e tutti i suoi successori dell’Impero Romano; perché Carlo Magno portò quell’Impero in Occidente. Le due ali di quest’aquila sono tutti gli Stati di quel potere che fu così grande che si alzò come l’aquila nell’aria e dominava la terra d’Europa. Queste ali della grande aquila furono date alla donna, cioè alla Chiesa d’Occidente; e con queste ali questa Chiesa è sorta e continuerà a sostenersi per milleduecentosessanta anni, che sono un tempo, e tempi, e mezzo tempo. Perché mille anni è un tempo di dieci secoli, duecento anni è un tempo di due secoli, e sessanta anni sono circa mezzo tempo, o mezzo secolo, durante il quale la Chiesa d’Occidente continuerà ad esistere. Questi anni devono essere calcolati dall’inizio della setta di Maometto e dal momento in cui Dio ha trapiantato la sua Chiesa in Occidente. Così volò nel deserto, nel luogo del suo ritiro, dove si nutre per un tempo, e tempi, e mezzo tempo, lontano dalla presenza del serpente. Queste parole significano che la Chiesa di Cristo, che non è mai stata stabile in Oriente, prenderà il suo posto in Occidente, cioè nel deserto, e vi fisserà la sua dimora o sede, che manterrà per mille e duecento sessanta anni. E due ali di una grande aquila furono date alla donna, perché volasse nel deserto. Questo paragone è tratto dagli uccelli che vanno alla ricerca di foreste, alberi o altri luoghi adatti, che trovano soprattutto lungo le acque e in montagna, per viverci al sicuro dai cacciatori. È in questi luoghi di ritiro che amano fissare i loro nidi per deporre le uova e moltiplicarsi. E fu così che la Chiesa di Cristo, fuggendo dalla presenza del serpente in Oriente, volò a stabilire il suo ritiro in Occidente, dove si moltiplicò e generò milioni di fedeli per la vita eterna. Affinché volasse via nel deserto. Questo volo significa anche la libertà della Chiesa, una libertà che può essere paragonata agli uccelli che volano con le proprie ali. E così la Chiesa di Cristo godrà sempre della libertà di professare la fede cattolica, sotto le ali della grande aquila, cioè sotto il potere e la protezione dell’Impero Romano. Ed è con le ali di quest’aquila che essa volerà sempre, e continuerà a possedere il suo nido in Occidente, a moltiplicare lì la sua razza, secondo i disegni eterni della volontà divina. Perché tutti gli imperatori di questo Impero Romano saranno Cattolici fino all’ultimo. – Perché andasse nel deserto, cioè in Germania, il luogo del suo ritiro. Anche se le eresie e le defezioni hanno privato la Chiesa di una moltitudine di fedeli in Occidente, essa ha sempre conservato il suo luogo di ritiro che Dio le ha riservato, come si può vedere dalla storia delle Nazioni occidentali. Nel luogo del suo ritiro, lontano dalla presenza del serpente, perché verso la fine dei tempi, cioè sotto il regno dell’anticristo, la Chiesa avrà il suo luogo di ritiro in Occidente, e si nasconderà sulle montagne, nei luoghi aridi o deserti, e nelle fessure delle rocce. Ecco perché Gesù Cristo dice in San Matteo, XXIV, 16: « Allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti; e chi è in cima alla casa non scenda a prendere nulla dalla sua casa, e colui che è nei campi, non torni a prendere il suo vestito. »

Vers. 15. Allora il serpente gettò l’acqua come un fiume dietro alla donna per trascinarla in questo torrente. L’acqua che il serpente gettò dalla sua bocca come un fiume contro la donna è la grande tribolazione che lucifero suscitò contro la Chiesa latina con gli scismi che l’hanno divisa continuamente per 200 anni. L’acqua rappresenta i popoli e i loro numerosi eserciti che satana fece muovere dall’avarizia e dall’ambizione degli imperatori, per introdurre falsi papi e falsi vescovi nella Chiesa latina. Basta leggere le deplorevoli tragedie dell’undicesimo, dodicesimo e tredicesimo secolo, e si capirà cosa si intenda con le acque gettate contro la donna dal serpente. Si dice espressamente che il serpente gettò acqua come un fiume contro la donna, perché la tribolazione di questo scisma fu grandissimo e durò per lungo tempo. Come un fiume contiene molta acqua che scorre continuamente, così questi deplorevoli scismi della Chiesa latina dei secoli XI, XII e XIII, furono come un torrente di calamità, guerre e tribolazioni continue. Allora il serpente gettò acqua come un fiume contro la donna per trascinarla nel torrente, cioè per far sparire la fede di Gesù Cristo dalla Germania e dall’Occidente; ma Dio le venne in aiuto comprimendo sempre a tempo tutti questi scismi, finché alla fine furono completamente estinti. Ecco perché San Giovanni dice:

Vers. 16. – Ma la terra soccorse la donna, aprì il suo grembo e inghiottì il fiume che il dragone aveva fatto uscire dalla sua bocca. In effetti questi scismi non poterono mai prevalere, e quando questi scismatici combattevano contro la Chiesa e volevano costringerla con i loro eserciti ad accettare i loro vergognosi idoli, che introducevano ostinatamente nella sede pontificia e nelle sedi episcopali, queste armate perirono e i loro cadaveri furono inghiottiti e sepolti nel seno della terra. Fu con questo mezzo che la Chiesa recuperò il suo riposo e la sua stabilità; ed ecco perché:

Vers. 17 Il dragone si irritò contro la donna, cioè contro la Chiesa latina o d’Occidente, che è la più grande, la più estesa e la più popolosa. E il dragone era irritato con la donna, perché non riusciva mai a vincerla, per quanto provasse a nuocerle. Ed andò a combattere contro gli altri suoi figli che osservano i Comandamenti di Dio e che rendono testimonianza a Gesù Cristo. Gli altri figli di questa donna sono i Cristiani della Chiesa greca che sono sparsi in Oriente e che il drago, dopo la vergognosa sconfitta subita in Occidente, ha cominciato a perseguitare ad oltranza. Perciò è detto;

Vers. 18. – E si fermò sulla sabbia del mare. Queste parole ci mostrano questo dragone sulle rive del mare, immerso in una profonda meditazione dei mali che potrà immaginare per vendicarsi dei suoi nemici e per soddisfare la sua gelosia e la sua nera invidia. Questo è infatti ciò che ha fatto e ciò che continuerà a fare alla lettera, con la setta di Maometto, con la sua monarchia tirannica, e con gli scismi dei Greci.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XIX)

LA SUMMA PER TUTTI (12)

LA SUMMA PER TUTTI (12)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

SEZIONE SECONDA

Idea particolareggiata del ritorno dell’uomo verso Dio.

Capo XVII

La giustizia: sua natura, – Il diritto: diritto naturale e positivo; privato e pubblico; nazionale ed internazionale; civile ed ecclesiastico, – Giustizia legale; giustizia particolare. – Vizio opposto.

1008. La virtù della giustizia che avete no minata, è la più importante fra le altre virtù dopo la virtù della prudenza ed in armonia con essa, come del resto debbono esserlo ancora tutte le altre virtù morali?

Sì; dopo la virtù della prudenza che occupa un posto a parte nell’ordine delle virtù morali, nessuna delle quali può esistere Senza di essa, la più importante fra tutte le altre

è la virtù della giustizia (LVII – CXXI).

1009. Che cosa intendete per virtù della giustizia?

Intendo quella virtù che ha per oggetto il giusto ed il diritto (LVII, 1).

1010. Che cosa volete dire dicendo che la giustizia ha per oggetto il diritto ed il giusto?

Voglio dire che essa ha per oggetto di far regnare tra gli uomini l’armonia dei rapporti, fondati sul rispetto dell’essere e dell’avere, che sono legittimamente propri di ciascuno (LVII, 1).

1011. E come si sa che l’essere e l’avere di ciascuno fra gli uomini è tale, e deve essere tale legittimamente?

Si sa da ciò che detta la ragione naturale di ogni uomo e da ciò che di comune accordo ha potuto determinare la ragione dei diversi uomini, o la ragione di coloro che hanno autorità di regolare i rapporti degli uomini stessi tra loro (LVII, 2-4).

1012. Come si chiama il diritto ed il giusto, fondato su ciò che detta la ragione naturale di ogni uomo? Si chiama diritto naturale (LVII, 2).

Si chiama diritto naturale.

1013. E come si chiama il diritto ed il giusto costituito da ciò che di comune accordo è stato determinato dalla ragione dei diversi uomini, o dalla ragione di coloro che hanno autorità per regolare i rapporti degli uomini tra loro?

Si chiama diritto positivo, che si divide in diritto privato e diritto pubblico, che alla sua volta può essere nazionale ed internazionale, secondoché si tratta di convenzioni private o di leggi del paese, o di leggi convenute e stabilite fra diverse nazioni (LVII, 2).

1014. Non si parla anche di diritto civile e di diritto ecclesiastico?

Sì; e questi diritti si distinguono secondoché si tratta di rapporti degli uomini tra loro, determinati dall’autorità civile o dall’autorità ecclesiastica.

1015. Il diritto che è oggetto della virtù della giustizia, riguarda soltanto i rapporti degli individui fra loro nella società, o riguarda anche i rapporti degli individui con la collettività?

Riguarda l’una e l’altra di queste due specie di rapporti (LVIII, 5-7).

1016. Come si chiama la virtù della giustizia che ha per oggetto il secondo diritto?

Si chiama giustizia legale (LVII, 5).

1017. E come si chiama la virtù della giustizia che riguarda il primo diritto?

Si chiama giustizia particolare (LVIII, 7).

1018. Vorreste dirmi ora, con una definizionemprecisa, che cosa è la virtù della giustizia?

La virtù della giustizia è quella perfezione della volontà dell’uomo, che lo porta a volere ed a procurare in tutto, spontaneamente, e senza mai desistere, il bene della società di cui fa parte su questa terra; e tutto ciò ancora a cui può aver diritto ciascuno degli esseri umani in rapporto con lui (LVII, 1).

1019. Come si chiama il vizio opposto a questa virtù?

Si chiama ingiustizia: ingiustizia che ora si oppone alla giustizia legale, non tenendo conto del bene comune che la giustizia legale richiede; ed ora alla giustizia particolare, attentando alla uguaglianza che la giustizia particolare ha per oggetto di mantenere tra i diversi uomini (LIX).

1020. In che cosa consiste propriamente questo ultimo peccato di ingiustizia?

Consiste nell’attentare scientemente e volontariamente al diritto altrui, vale a dire a ciò che la propria volontà ragionevole deve naturalmente volere, andando invece contro a questa volontà (LIX, 3).

Capo XVIII.

Atto della giustizia particolare: il giudizio.

1021. La virtù della giustizia ha un atto che le appartiene a titolo speciale, soprattutto come giustizia particolare?

Sì; è latto del giudizio che consiste precisamente nel determinare con esattezza e secondo equità ciò che conviene a ciascuno, sia che si faccia di ufficio nel rendere giustizia a parti in litigio, come conviene al giudice; sia anche che si faccia in ogni tempo e per tutti nell’apprezzare anche interamente l’essere l’avere di ciascuno conforme al diritto, in omaggio al diritto in se stesso (LX).

1022. Il giudizio, atto della virtù di giustizia, deve interpretare piuttosto in bene le cose dubbie?

Sì; quando si tratta del prossimo e dei suoi atti, giustizia vuole che mai ci si pronunzi sia internamente che esternamente, a modo di sentenza stabile e definitiva, in senso contrario, se rimane qualche dubbio a questo proposito (LX, 4).

1023. Quando, tuttavia, si dubita di cose che potrebbero nuocere a noi od agli altri, si può diffidare e mettersi in guardia?

Sì; la giustizia legale, la prudenza e la carità vogliono che se si tratta di un male da prevenire per noi o per gli altri, sappiamo difenderci o difendere gli altri, supponendo talora il male come possibile da parte di certi uomini, anche dietro semplici congetture e senza averne una certezza assoluta (LX, 4 ad 3).

1024. Vi sono però anche allora delle riserve da fare?

Sì: anche nel caso in cui può essere necessario di prendere le volute precauzioni, bisogna guardarci accuratamente, nel prenderle per sé o per gli altri, di concepire o di esprimere sulle persone un giudizio che sia loro sfavorevole (Ibid.).

1025. Potreste darmi un esempio?

Se per esempio io vedo un uomo dalla faccia sospetta, non ho il diritto di ritenerlo per un malfattore ed ancor meno di darlo come tale; ma se si aggira intorno alla mia casa o alla casa di miei amici, ho il diritto ed un po’ anche il dovere di vigilare, acciocché presso di me o presso di loro tutto sia perfettamente guardato e tenuto al sicuro.

Caro XIX.

Giustizia particolare; sue specie: giustizia distributiva; giustizia commutativa.

1026. La virtù della giustizia, considerata come giustizia particolare, comprende varie specie?

Sì; comprende due specie: la giustizia distributiva e la giustizia commutativa (LXI, 1).

1027. Che cosa intendete per giustizia distributiva?

Intendo quella specie di giustizia particolare che provvede al bene della equità nei rapporti degli uomini tra loro, considerati nell’ordine che ad essi dice come a sue parti la società che essi compongono (LXI, 1).

1028. E per giustizia commutativa che così intendete?

Intendo quella specie di giustizia particolare che provvede al bene della equità nei rapporti degli uomini tra loro, considerati da pari a pari in questa stessa società (UXI, 1).

1029. E se si considerassero gli uomini come parti ordinate al tutto nella società, quale sarebbe la giustizia che provvederebbe al bene della equità nei rapporti degli uomini di fronte al tutto?

Sarebbe la grande virtù della giustizia legale (LXI, 1 ad 4).

Capo XX.

Atto della giustizia commutativa: la restituzione.

1030. La giustizia commutativa ha un atto che le appartiene propriamente?

Sì; la restituzione (LXII, 1).

1031. Che cosa intendete per restituzione:

Intendo quell’atto per il quale si ristabilisce o si ricostituisce la eguaglianza esterna di un uomo ad un altro, nel caso che questa eguaglianza sia stata alterata per il fatto che uno dei due non ha ciò che gli appartiene (LXI, 1).

1032. Dunque la restituzione non implica sempre la riparazione di una ingiustizia?

No; perché essa è anche l’atto dell’uomo giusto che restituisce prontamente e con fedeltà scrupolosa ciò che appartiene ad altri, quando deve essere restituito.

1033. Potreste darmi in poche parole le regole essenziali della restituzione?

Sì, eccole quali le impone la equità naturale. Con la restituzione, ciò che ad alcuno manca o mancherebbe ingiustamente, gli è dato, o meglio gli è di nuovo reso. Ciò che deve essere restituito è la cosa stessa o il suo esatto equivalente,  niente di più e niente di meno, secondoché alcuno la possedeva già, sia in modo attuale che virtuale, anteriormente all’atto che ha modificato il possesso di quella cosa; con questa differenza che bisognerà tener conto di tutte le conseguenze che potranno essere derivate dall’atto stesso, continuando a modificare a pregiudizio del legittimo possessore la integrità di ciò che avrebbe posseduto senza la posizione di detto atto. La cosa deve essere restituita al suo possessore e non ad altri, a men che nella persona di altri si renda al primo. Colui che deve restituire è chiunque sia detentore della cosa, o chiunque si trovi essere stato causa responsabile dell’atto che ha alterata l’eguaglianza della giustizia. Nell’atto della restituzione non si deve apportare nessuna dilazione, escluso il solo caso di impossibilità (LXII, 2-8).

Capo XXI.

Vizi opposti alla giustizia distributiva: preferenza di persone. Alla giustizia commutativa: l’omicidio, la pena di morte, la mutilazione la verberazione, l’incarcerazione.

1034. Fra i vizi opposti alla virtù della giustizia, ve ne è qualcuno che si oppone al giustizia distributiva?

Sì; la preferenza delle persone (LXII]

1035. Che cosa intendete per preferenza persone?

Intendo il fatto di dare o rifiutare qualche cosa a qualcuno quando si tratta di bene, o di imporre qualche cosa a qualcuno se si tratta di cosa gravosa od onerosa nella società, considerando non ciò che può renderlo degno o meritevole di un tal trattamento, ma solamente perché egli è tale individuo o tale persona (LXIII, 1).

1036. Potreste dirmi quali sono i vizi Opposti alla virtù della giustizia, considerata come giustizia commutativa?

Tali vizi sono numerosi, e si dividono in due categorie (LXIV-LXX VII).

1037. Quali sono quelli della prima categoria?

Sono quelli che toccano il prossimo senza che la sua volontà vi abbia alcuna parte (LXIV-LXXVI).

1038. Qual è il primo di questi peccati?

È l’omicidio che tocca il prossimo per vie di fatto nel principale dei suoi beni, togliendogli la vita (LXIV).

1039. L’omicidio è un peccato grave?

L’omicidio è il più grave peccato contro il prossimo.

1040. Non è mai permesso attentare alla vita del prossimo?

Non è mai permesso attentare alla vita del prossimo.

1041. La vita dell’uomo è un bene che non è mai permesso di togliergli?

La vita dell’uomo è un bene che non è mai permesso di togliergli, salvoché non abbia meritato per qualche delitto di esserne privato (LXIV, 2, 6).

1042. E chi ha il diritto di togliere la vita a colui che per un delitto ha meritato di esserne privato?

La sola autorità pubblica nella società ha il diritto di togliere la vita a colui che per un delitto ha meritato di esserne privato (LXIV, art. 2).

108. Donde proviene questo diritto alla pubblica autorità?

Proviene dal dovere che ha di vegliare al bene comune nella società (LXIV, 2).

1044. Il bene comune della società fra gli uomini, può richiedere che qualcuno sia mandato a morte?

3 Sì; il bene comune della società fra gli uomini può richiedere che qualcuno sia mandato a morte: sia perché può non esservi altro mezzo pienamente efficace per frenare i delitti nel seno di una società; sia perché la coscienza pubblica può esigere questa giusta soddisfazione per certi delitti più particolarmente odiosi ed esecrandi (LXIV, 2).

1045 Soltanto per ragione di delitto un nomo può essere mandato a morte dall’autorità pubblica nella società?

Sì; soltanto per una ragione di delitto un uomo può essere mandato a morte dall’autorità pubblica nella società (LXIV, 6).

1046. Il bene o l’interesse pubblico non potrebbe qualche volta giustificare o legittimare la morte stessa di un innocente?

No; il bene o l’interesse pubblico non può mai giustificare o legittimare la morte di un innocente; perché il bene supremo nella società degli uomini è sempre il bene della virtù (LXIV, 6).

1047. Ed un privato che si difende o difende il proprio bene, non ha il diritto di uccidere colui che attenta a lui stesso od al suo bene?

No: un privato non ha mai il diritto di uccidere un altro che attenta a lui od al suo bene; salvo che si tratti della propria vita o della vita dei suoi, e che non vi sia assolutamente alcun altro mezzo di difenderla fuori di quello che cagiona la morte dell’assalitore. Bisogna però che anche allora quegli che si difende non abbia minimamente intenzione di uccidere l’altro, ma solamente di difendere la propria vita o quella dei suoi (LXIV, 7).

1048. Quali sono gli altri peccati contro il prossimo nella sua persona?

Sono la mutilazione che attenta alla sua integrità; la verberazione che ne turba la pace ed il benessere normale; e la incarcerazione che lo priva del libero uso della sua persona (LXV, 1-3).

1049. Quando sono peccati questi atti?

Tutte le volte che sono compiuti da chi non ha autorità sul paziente; oppure avendo autorità su di lui, non osserva la misura voluta nell’uso che ne fa (Ibid.).

Capo X.XII.

Del diritto di proprietà: doveri che porta seco. – Violazione di questo diritto: il furto e la rapina.

1050. Dopo i peccati che attentano al prossimo nella persona, qual è il più grave degli altri peccati che si commettono contro di lui per vie di fatto?

È il peccato che attenta ai suoi beni, ossia a ciò che possiede (LXVI).

1051. Un uomo ha diritto di possedere in proprio qualche cosa?

Sì: l’uomo può aver diritto di possedere qualche cosa in proprio e di amministrarlo come vuole, senza che gli altri abbiano ad intromettervisi contrariamente alla sua volontà (LXVI, art. 2).

1052. Donde proviene all’uomo questo diritto?

Gli deriva dalla sua stessa natura. Perché essendo un essere ragionevole e fatto per vivere in società, il suo stesso bene, il bene della sua famiglia ed il bene della società tutta intiera reclamano che questo diritto di proprietà esista fra gli uomini (LXVI, 1, 2).

1053. Come dimostrate che questi diversi beni reclamano la esistenza fra gli nomini del diritto di proprietà?

Si dimostra con questo, che la proprietà dei beni posseduti dall’uomo è una condizione di libertà per lui, come è per la famiglia il modo per eccellenza di costituirsi perfetta e di conservarsi attraverso i tempi nel seno della società. Nella società stessa la proprietà fa sì che le cose siano amministrate con maggior cura, in maniera più ordinata, con meno contrasti e meno controversie (LXVI, 2).

1054. Vi sono però dei doveri uniti al diritto di proprietà?

Sì; al diritto di proprietà sono uniti gravissimi doveri,

1055. Potreste dirmi quali sono i doveri inerenti al diritto di proprietà?

Sì; eccoli in poche parole: Vi è anzitutto il dovere di far fruttificare e migliorare i beni che si posseggono. Poi, nella misura che i beni si accresceranno nelle mani dei possessori, quando questi vi abbiano una volta prelevato ciò che fa loro personalmente bisogno per se stessi e per la loro casa, non è più loro permesso di considerarli come beni propri, escludendo dalla loro partecipazione la società degli uomini in mezzo ai quali essi vivono. È per essi un dovere di giustizia sociale di ripartire il meglio possibile il superfluo dei loro beni, o di facilitare intorno ad essi il lavoro degli altri, affinché le necessità dei privati siano sollevate ed il bene pubblico ne sia accresciuto. La ragione del bene pubblico autorizzerà lo Stato a prelevare sui beni dei privati tutto quello che giudicherà necessario od utile al bene della società. In questo caso i privati sono tenuti a conformarsi alle leggi emanate dallo Stato; ciò è per essi un obbligo di stretta giustizia. La ragione del bene dei privati o delle loro necessità non obbliga con lo stesso rigore riguardo alla sua determinazione. Non esiste a questo proposito una legge che obblighi sotto forma di legge positiva umana, determinando la possibilità di coazione per via giudiziaria. Ma la legge naturale conserva tutto il suo rigore; è un andare direttamente contro di essa in ciò che ha di più imprescrittibile, cioè nell’obbligo di volere il bene dei propri simili, a disinteressarsi dei loro bisogni quando si possiede il superfluo. Tale obbligo già rigoroso in forza della sola legge naturale, riveste un carattere del tutto sacro in forza della legge divino-positiva, soprattutto della legge evangelica. Dio stesso è intervenuto personalmente per corroborare e rendere più urgente, con le sanzioni di cui la avvalora, la prescrizione già da Lui scolpita nel fondo del cuore umano (LXVI, art. 2-7; XXXI, 5, 6).

1056. Se tali sono i doveri di coloro che posseggono verso gli altri uomini, quali sono i doveri di questi ultimi verso i primi?

I doveri degli altri uomini verso coloro che posseggono sono di rispettare i loro beni, e di non manometterli mai contrariamente alla loro volontà (LXVI, 5, 8).

1057. Come si chiama l’atto di manomissione dei beni di coloro che posseggono, contrariamente alla loro volontà?

Si chiama furto o rapina (LXVI, 3, 4).

1058. Che cosa intendete per furto?

Intendo il fatto di impadronirsi occultamente di un bene altrui (LXVI, 3).

1059. E per rapina che cosa intendete?

Intendo quell’atto che in luogo di procedere all’insaputa di colui che viene derubato, come nel furto, lo assale invece di fronte, togliendogli visibilmente e violentemente il bene che gli appartiene (LXVI, 4).

1060. Qual è il più grave di questi due atti?

La rapina è cosa più grave del furto; ma anche il furto, come la rapina, costituisce sempre di per sé peccato mortale; salvo che la cosa rubata non ne valga la pena (LXVI, 9).

1061. Bisogna astenersi quanto più è possi bile fra gli uomini, da tutto ciò che anche lontanissimamente avesse apparenza di furto?

Sì: è cosa sommamente importante per il bene della società, che gli uomini si astengano quanto più è possibile da tutto ciò che anche lontanissimamente avesse apparenza di furto in mezzo ad essi.

Caro XXIII.

Peccati contro la giustizia per mezzo di parole: nell’atto del giudizio: da parte del giudice; da parte dell’accusa; da parte dell’accusato; da parte del testimone; da parte dell’avvocato.

1062. Oltre ai peccati che si commettono contro la giustizia rispetto al prossimo per mezzo di atti, ve ne sono altri che si commettono rispetto a lui con parole?

Sì; e si dividono in due categorie: quelli che si commettono nell’atto solenne del giudizio, ossia in tribunale; e quelli che si commettono nell’ordinario della vita (LXVII-LXXVI).

1062. Qual è il primo peccato che si può commettere nell’atto solenne del giudizio?

È il peccato del giudice che non giudica secondo la giustizia (LXVII).

1064. E che cosa si richiede da parte del giudice perché giudichi secondo la giustizia?

Si richiede che egli consideri se stesso come una specie di giustizia vivente, che ha per ufficio nella società di rendere a ciascuno che ricorra alla sua autorità il diritto leso, nel nome stesso della società che rappresenta (LXVII, 1).

1065. Che cosa consegue da ciò per il giudice nell’adempimento del suo ufficio?

Ne consegue che un giudice non può giudicare se non coloro che sono di sua giurisdizione: e che nel libello della sentenza non può basarsi che sui dati del processo quali le parti espongono e stabiliscono giuridicamente davanti a lui: non potendo altrimenti intervenire se una delle parti non muove querela e domanda giustizia. Ma in questo caso deve sempre rendere integralmente questa giustizia, senza falsa misericordia verso il colpevole, qualunque sia la pena che debba pronunziare contro di lui, nel nome del diritto stabilito da Dio o dagli nomini (LXVII, 2-4).

1066. Qual è il secondo peccato contro la giustizia nell’atto solenne del giudizio, o in riferimento ad esso?

È il peccato di coloro che mancano al dovere di accusare, oppure accusano ingiustamente (LXVIII).

1067. Che cose intendete per dovere di accusare?

Intendo il dovere che incombe ad ogni uomo, che vivendo in una società e trovandosi

dinanzi ad un male che funesta questa stessa società, è obbligato a deferire al giudice l’autore di questo male perché ne sia fatta giustizia. Egli non è dispensato da tale obbligo, se non trovandosi nella impossibilità di stabilire giuridicamente la verità del fatto (LXVILI, 1).

1068. Quando è ingiusta l’accusa?

L’accusa è ingiusta quando la pura malizia fa imputare ad alcuno delitti falsi; Oppure se una volta impegnata non si prosegue come la giustizia richiede: sia che si tratti fraudolentemente con la parte avversaria, sia che senza motivo si desista dall’accusa (LXVII, art. 3).

1069. Quel è il terzo peccato contro la giustizia nell’atto del giudizio?

È il peccato dell’accusato che non si conforma alle regole del diritto.

1070. Quali sono le regole del diritto alle quali deve conformarsi l’accusato, sotto pena di peccato contro la giustizia?

Deve dire la verità al giudice, quando questi lo interroga in virtù della sua autorità; e non può mai difendersi usando modi fraudolenti (LXIX, 1, 2).

1071. Può un accusato, in caso di condanna, declinare il giudizio appellandosene?

Dal momento che un accusato non può difendersi in modo fraudolento non ha diritto di fare appello contro un giudizio giusto al solo scopo di ritardarne la esecuzione. Non può appellare se non trattandosi di ingiustizia manifesta; e bisognerà pure che usi del suo diritto nei limiti stabiliti dalla legge (LXIX, 3).

1072. Un condannato a morte ha diritto di resistere alla sentenza che condanna?

Un condannato a morte ingiustamente può resistere anche con la violenza, con la sola eccezione che si debba evitare lo scandalo. Ma se è stato condannato giustamente, deve subire il supplizio senza resistenza di sorta; potrebbe tuttavia fuggire se ne avesse il mezzo, perché nessuno è tenuto a cooperare al proprio supplizio (LXIX, 4).

1073. Qual è il quarto peccato che si può commettere contro la giustizia nell’atto del giudizio?

Si il peccato del testimone che manca al suo dovere (LXX).

1074. Come può mancare al proprio dovere un testimone nell’atto del giudizio?

Un testimone può mancare al proprio dovere nell’atto del giudizio, sia rifiutandosi di testimoniare quando è richiesto dall’autorità del superiore a cui è tenuto ad obbedire nelle cose appartenenti alla giustizia, oppure quando la sua testimonianza può impedire un danno ad alcuno; sia, con più forte ragione, facendo una falsa testimonianza (LXX, 1, 4).

1075. La falsa testimonianza resa in giudizio è sempre un peccato mortale?

La falsa testimonianza resa in giudizio è sempre un peccato mortale, se non sempre per la menzogna che qualche volta può essere veniale, sempre almeno per lo spergiuro ed anche per la ingiustizia, se va contro ad una causa giusta (LXX, 4).

1076. Qual è l’ultimo peccato che si può commettere

contro la giustizia nell’atto del giudizio?

È quello dell’avvocato che rifiuta il suo patrocinio in una causa giusta che non può essere difesa se non da lui, oppure che difende una causa ingiusta specialmente nell’ordine delle cause civili, o che esige una ingiusta retribuzione per il suo patrocinio (LXXI, :1, 3, 4):

Caoo XXIV.

Peccati di parole nell’ordinario della vita: l’ingiuria, la detrazione (maldicenza e calunnia), la sussurrazione, la derisione, l’imprecazione.

1077. Potreste dirmi quali sono i peccati di ingiustizia che si commettono contro il prossimo con le parole nell’ordinario della vita?

Sono la ingiuria, la detrazione, la sussurrazione, la derisione e la imprecazione (LXXII-LXXVI).

1078. Che cosa intendete per ingiuria?

L’ingiuria o insulto od oltraggio, detta anche rimprovero, biasimo e rabbuffo, prendendo queste ultime tre cose nel senso di un intervento indebito o ingiustamente offensivo; indica un intervento oltraggioso per il quale si offende nel suo onore e nel dovuto rispetto un individuo preso di mira, con i gesti che si fanno o con le parole che si dicono (LXXII, 1).

1079. È un peccato mortale questo?

Sì; quando si fanno dei gesti o si proferiscono parole di natura tale da: attentare gravemente all’onore di chi ne è l’oggetto, con la formale intenzione di attentare realmente a questo onore. La colpa non sarà leggera se non nel caso in cui di fatto l’onore del soggetto non ne sia seriamente menomato, oppure non vi sia la intenzione di attentarvi in maniera grave (LXXII, 2

1080. Esiste per ogni nomo uno stretto dovere nell’ordine della giustizia, di trattare gli altri, chiunque essi siano, con la riverenza ed il rispetto loro dovuti?

Sì; è questo per ogni uomo uno stretto dovere nell’ordine della giustizia, ed è della più grande importanza per la buona armonia delle relazioni che gli nomini devono avere tra loro (LXXII, 1-3).

1081. Su: che cosa si basa questo dovere, e quale è la sua importanza?

Si basa sul fatto che l’onore è uno dei beni ai quali gli uomini tengono di più. Anche il più meschino di loro, in quanto lo comporta la sua condizione; vuole e deve essere trattato con rispetto. Mancargli di riguardo con gesti o con parole è un offenderlo in ciò che ha di più caro (Ibid.).

1082. Bisogna dunque evitare con la più grande cura di dire o fare alcunché in presenza di qualcuno, che sia di natura tale da contristarlo o umiliarlo, oppure da essergli di fastidio in qualunque maniera sia?

Sì: bisogna evitare ciò con la più grande cura (Ibid.).

1083. Non è mai permesso agire diversamente?

Non è mai permesso Se non trattandosi di un superiore riguardo ad un inferiore, al solo fine di correggerlo quando veramente lo merita, ed a condizione di non farlo mai sotto l’impeto della passione e in modo eccessivo ed indiscreto (LXXJI, 2 ad 2).

1084. Ed a riguardo di quelli che mancano essi stessi di rispetto che cosa bisogna fare?

A riguardo di coloro che si rendessero colpevoli del peccato di ingiuria contro di noi, o di coloro il cui onore possa esserci affidato sia direttamente che indirettamente, la carità ed anche la giustizia possono richiederci di non lasciare impunita la loro audacia. Ma in questo caso bisogna osservare nella repressione tutte le forme che l’ordine del diritto richiede, e guardarci premurosamente di non fare noi stessi alcun torto (LXXII, 3).

1085 Che cosa si deve intendere per detrazione?

La detrazione, nel suo senso formale e preciso, implica la intenzione di attentare con parole alla reputazione del prossimo o di togliergli in tutto od in parte la stima di cui gode presso gli altri, quando non è alcuna giusta ragione di farlo (LXXIII, 1).

1086. È un peccato molto grave questo?

Sì; perché è un togliere ingiustamente al prossimo un bene più prezioso delle ricchezze   che gli si tolgono col furto (LXXIII, 2, 3).

1087 . In quante maniere si commette il peccato di detrazione?

Si commette direttamente in quattro maniere: imputando al prossimo cose false; esagerando ciò che può esservi in lui di difettoso; manifestando cose ignorate ed a lui sfarorevoli; attribuendogli intenzioni dubbie se non anche malvagie, che snaturano ciò che opera di bene (LXXII, 1 ad 3).

1088. Non si può nuocere al prossimo anche in altra maniera nel peccato di detrazione?

Sì; in maniera indiretta, negando il suo bene, tacendolo maliziosamente ed attenuandolo (LXXIII, 1 ad 3)

1089. Che cosa intendete per peccato di sussurrazione?

Intendo quel peccato che consiste nell’attentare al bene degli amici, proponendosi direttamente con parole equivoche e sleali di seminare la discordia tra coloro che sono uniti in una mutua confidenza dai legami dell’amicizia (LXXIV, 1).

1090 È molto grave questo peccato?

Di tutti i peccati di parole contro il prossimo questo è il più odioso, il più grave ed il più degno di riprovazione davanti a Dio e davanti agli uomini (LXXIV, 2).

1091. Che cosa si deve intendere per derisione?

La derisione o motteggio ingiurioso è un peccato di parola contro la giustizia, consistente nello schernire il prossimo rinfacciandogli qualità malvagie o difettose che lo inducano a perdere la confidenza in se stesso, nei suoi rapporti con gli altri (LXXV, 1).

1092.  È un peccato molto grave?

Certissimamente; perché implica un disprezzo di persone, che è disprezzo di persone, che è una delle cose più detestabili e più meritevoli di riprovazione (LXXV, 2).

1093. L’ironia verso gli altri è sempre derisione con la gravità che si è detto?

L’ironia può essere cosa leggera se si tratta di difetti leggeri e di leggeri mancamenti che si scherniscono per riderne, senza che lo scherno implichi disprezzo alcuno per le persone. Può anche non esservi nessun peccato, quando la cosa avviene per modo di innocente ricreazione e non si corre alcun rischio di mortificare chi ne è l’oggetto. Tuttavia si tratta di un modo delicatissimo di ricreazione, di cui non si deve usare che con somma prudenza (LXXV, 1 ad 1).

1094. L’ironia può essere qualche volta un atto di virtù?

Si; se è adoperata come si conviene e per modo di correzione da parte di un superiore verso un inferiore, oppure anche da uguale ad uguale per modo di caritatevole correzione fraterna.

1095. Che cosa richiede in simili casi l’uso dell’ironia?

Richiede sempre grandissima discrezione. Perché se può essere cosa buona che coloro i quali sono portati ad avere troppa confidenza in se stessi, siano ricondotti ad un più giusto sentimento del proprio valore, bisogna guardarsi bene di sopprimere tale confidenza in ciò che può avere di legittimo; senza di che ci si esporrebbe a Paralizzare ogni slancio ed ogni spontaneità, annientando oppure avvilendo con la eccessiva diffidenza che gli si ispira di se stesso, il soggetto della ironia, che ne diviene la vittima.

1096. In quali rapporti si trovano col vizio della imprecazione i quattro vizi della ingiuria, della detrazione, della sussurrazione e della derisione?

Tutti questi convengono nell’attentare con parole al bene del prossimo; ma mentre gli altri lo fanno per modo di proposizione o di male che si enuncia e di bene che si nega, la imprecazione lo fa per modo di male che si augura (LXXVI, 1, 4).

1097. È cosa essenzialmente cattiva questa?

Sì; è cosa essenzialmente cattiva ogni volta che si augura ad alcuno il male per il male; e di per sé un tale atto è sempre colpa grave (LXXVI, 3).

Capo XXV.

Peccati coi quali si inganna il prossimo e si abusa di lui: la frode e l’usura.

1098. Qual è l’ultima specie di peccati che si commettono contro la giustizia commutativa?

Sono i peccati con cui indebitamente si attira il prossimo consentire a cose di suo pregiudizio (LXXVII, Prologo).

1099. Come si chiamano questi peccati?

Si chiamano frode ed usura (LXXVII, LXXVIII).

1100. Che cosa intendete per frode?

Intendo quell’atto di ingiustizia che si commette nei contratti di compra o di vendita, per il quale ingannando il prossimo lo si induce a volere ciò che è un danno per lui (LXXVII).

1101. In quanti modi può avvenire il peccato di frode?

Questo peccato si può commettere in ragione del prezzo, inquantoché si compra una cosa per meno di quello che vale o si vende per più del suo valore; in ragione della cosa venduta, inquantoché essa non è ciò che sembrava, lo sappia o lo ignori il venditore; in ragione del venditore stesso che tace un difetto che conosce; ed in ragione del fine che

è la ricerca del guadagno (LXXVII, 1-4).

1102. Non si può mai, sapendolo, comprare una cosa a meno di quello che vale, o venderla per più del suo valore?

No; perché il prezzo della cosa che si vende o si compra deve sempre, nei contratti di compra o di vendita, corrispondere al giusto valore della cosa stessa; domandare di più o dare di meno sapendolo, è di per sé cosa essenzialmente ingiusta e che obbliga alla restituzione (LXXVII, 1).

1103. È contro la giustizia vendere una cosa per quello che non è, o comprarla diversa da quella che si crede?

Sì: vendere o comprare una cosa diversa da quella che sembrava, si tratti della sua specie, della sua quantità o della sua qualità, è contrario alla giustizia; ed è peccato e vi è obbligo di restituzione se si fa scientemente. Molto più tale obbligo di restituzione esiste, anche quando non vi è stato peccato, dal momento che ci si accorge di ciò che è veramente la cosa comprata o venduta (LXXVII. art. 2).

1104. Il venditore è sempre obbligato a manifestare i difetti della cosa che vende, in quanto li conosce?

Sì: il venditore è sempre tenuto a manifestare i difetti della cosa che vende, quando tali difetti da lui conosciuti sono occulti e possono essere per il compratore una causa di pericolo o di danno (LXXVII, 3).

1105. È permesso dedicarsi a compre e vendite sotto forma di negozio, soltanto a scopo di guadagno?

Il negozio per il negozio ha qualche cosa di ignobile e di contrario alla onestà della virtù; perché in quanto è da esso favorisce la sete del lucro che non conosce limiti, ma tende ad acquistare senza fine (LXXVII, 4).

1106. Che cosa ci vorrà dunque perché la mercatura divenga cosa permessa ed onesta?

Bisogna che il guadagno non sia inteso per se stesso, ma per un fine onesto. Così avviene quando il guadagno moderato che si cerca nella mercatura è diretto a sostenere la propria famiglia o ad aiutare gli indigenti; oppure si attende alla mercatura per una ragione di utilità pubblica affinché le cose necessarie alla vita non vengano a mancare alla propria patria o fra gli uomini, e si cerca il guadagno non come fine, ma come prezzo del proprio lavoro (LXXVII, 4).

1107. Che cosa intendete per peccato di usura?

Intendo quell’atto di ingiustizia consistente nell’abusare del bisogno in cui uno si trova, e nel prestargli del denaro, od altra cosa computabile a prezzo di denaro, ma che non ha altro uso che il consumo ordinato alle necessità del momento, obbligandolo a restituire questo denaro e questa cosa a data fissa con un soprappiù, a titolo di usura o prezzo dell’uso (LXXVII, 1, 2, 83).

1108. L’usura è la stessa cosa che il prestito ad interesse?

No; perché se ogni usura è un prestito ad interesse, ogni prestito ad interesse non è usura.

1109. In che cosa si distingue il prestito ad interesse dall’usura?

Il prestito ad interesse si distingue dall’’usura in questo, che vi si considera il denaro come capace di essere fruttifero, in ragione delle circostanze sociali ed economiche in cui oggigiorno vivono gli uomini.

1110. Che cosa occorre perché il prestito ad interesse sia permesso e non rischi di degenerare in usura?

Occorrono due cose: 1° che il tasso dell’interesse non superi il tasso legale o il tasso stabilito da una consuetudine ragionevole; 2° che i ricchi che abbondano del superfluo sappiano non mostrarsi esigenti verso i poveri che prendono in prestito non per fare un commercio di denaro, ma per il solo consumo e per far fronte alle necessità della vita.

Capo XXVI.

Degli elementi della virtù di giustizia: fare il bene ed evitare il male. – Vizi opposti: l’omissione e la trasgressione.

1111. Quando si tratta della virtù della giustizia, oltre alle sue diverse specie possiamo considerare ancora certi elementi che la costituiscono, come si è detto per la prudenza?

Sì; e questi elementi non sono altro che il fare il bene ed evitare il male (LXXIX, 1).

1112. Perché questi due elementi sono: propri della virtù della giustizia?

Perché nelle altre virtù morali, come la fortezza e la temperanza, non vi è da distinguerli, perché in esse il non fare il male si identifica col fare il bene; mentre nella virtù della giustizia, fare il bene consiste nel procurare che coi nostri atti regni la uguaglianza tra noi ed il prossimo; e non fare il male consiste nel non far niente che possa andar contro alla uguaglianza stessa tra noi ed il prossimo nostro (LXXIX, 1).

1113. Come si chiama il peccato contro il primo modo?

Si chiama omissione (LXXIX, 3).

1114. Ed il peccato contro il secondo modo come si chiama?

Si chiama trasgressione (LXXIX, 2).

1115. Di questi due peccati qual è il più grave?

In sè è più grave il peccato di trasgressione, benché una determinata omissione possa essere più grave di una trasgressione. Per esempio è più grave ingiuriare qualcuno che il non usargli il dovuto rispetto; ma se si tratta di un alto superiore, sarà più grave mancare al rispetto che gli è dovuto non rendendogli la testimonianza esterna che il rispetto richiede specialmente in pubblico, che non sarà un leggero segno di dispregio o una parola leggermente offensiva all’indirizzo di una infima persona nella società (LXXIX, 4).

DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2021).

Semidoppio.- Paramenti verdi.

Nell’ufficio divino si effettua in questo tempo la lettura delle Parabole o Proverbi di Salomone. « Queste parabole sono utili per conoscere la sapienza e la disciplina, per comprendere le parole della prudenza, per ricevere l’istruzione della dottrina, la giustizia e l’equità affinché sia donato a tutti i piccoli il discernimento e ai giovani la scienza e l’intelligenza. Il savio ascoltando diventerà più savio e l’intelligente possederà i mezzi per governare! (7° Nott.). Salomone non era che la figura di Cristo, che è la Sapienza incarnata come leggiamo nel Vangelo di questo giorno: « Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete, poiché io ve lo dico, molti profeti e re hanno voluto vedere quello che voi vedete e non hanno potuto; e ascoltare quello che voi ascoltate e non hanno inteso ». « Beati, dice S. Beda, gli occhi che possono conoscere i misteri del Signore, dei quali è detto: « Voi li avete rivelati ai piccoli ». Beati gli occhi di questi piccoli, ai quali il Figlio degnò rivelarsi e rivelare il Padre. Ed ecco un dottore della legge che ha pensato di tentare il Signore e l’interroga sulla vita eterna (Vang.). Ma il tranello che tende a Gesù Cristo mostra come era vero quello che il Signore aveva detto rivolgendosi al Padre: « Tu hai nascoste queste cose ai saggi e ai prudenti e le hai rivelate ai piccoli» (2° Nott.). — « Figlio mio, dice Salomone, il timor di Dio è il principio della sapienza. Se i peccatori vogliono attirarti non acconsentir loro. Se essi dicono: Vieni con noi, tendiamo agguati all’innocente, inghiottiamolo vivo e intero com’è inghiottito il morto che scende nella tomba; noi troveremo ogni sorta di beni preziosi, riempiremo le nostre case di bottini; figlio mio, non andare con loro, allontana i tuoi passi dal loro sentiero. Poiché i loro passi sono rivolti al male ed essi si affrettano per versar sangue. E s’impadroniscono dell’anima di coloro che soggiogano » (7» Nott.). — Cosi i demoni agirono col primo uomo, poiché quando Adamo cadde nel peccato, lo spogliarono di tutti i suoi beni e lo coprirono di ferite. Il peccato originale, infatti, priva l’uomo di tutti i doni della grazia e lo colpisce nella sua stessa natura. La tua intelligenza è meno viva e la sua volontà meno ferma, poiché la concupiscenza che regna nelle sue membra lo porta al male. Per fargli comprendere la sua impotenza — poiché, dice S. Paolo, la nostra attitudine a intendere viene da Dio (Ep.) — Jahvé stabilì la legge mosaica che gli dava precetti senza dargli la forza di compierli, ossia senza la grazia divina. Allora, l’uomo comprendendo che gli bisognava l’aiuto di Dio per essere guarito, per volere il bene, per realizzarlo e per perseverare in esso fino alla fine, rivolse il suo sguardo al cielo: « O Dio, gridò, e non deve giammai cessare di gridare: O Dio, vieni in mio aiuto; Signore, affrettati a soccorrermi! Siano confusi coloro che cercano l’anima mia » (Intr.). — « Signore, Dio della mia salute, io ho gridato verso di te tutto il giorno e la notte » (All.). E Dio allora risolse di venire in aiuto dell’uomo e poiché i sacerdoti ed i leviti dell’antica legge non avevano potuto cooperare con lui, mandò Gesù Cristo, che si fece, secondo il pensiero di S. Gregorio, il prossimo dell’uomo, rivestendosi della nostra umanità per guarirla (3° Nott.). Queste è quanto ci dicono l’Epistola e il Vangelo. La legge del Sinai, scolpita in lettere su pietre, spiega S. Paolo, fu un ministero di morte perché, l’abbiamo già visto, non dava la forza di compiere ciò che comandava. Cosi l’Offertorio ci mostra come Mose dovette Intervenire presso Dio per calmare la sua ira provocata dai peccati del suo popolo. La Legge della grazia è Invece un ministero di giustificazione, perché lo Spirito Santo che fu mandato alla Chiesa nel giorno della Pentecoste, giorno in cui la vecchia legge fu abrogata, dava la forza di osservare i precetti del decalogo e quelli della Chiesa. Cosi S. Paolo dice: « La lettera uccide, ma lo Spirito vivifica » (Ep.). E il Vangelo ne fa la dimostrazione nella parabola del buon Samaritano. All’impotente legge mosaica, rappresentata in qualche modo dal sacerdote e dal levita della parabola evangelica, il buon Samaritano che è Gesù, sostituisce una nuova legge estranea all’antica e viene Egli stesso in aiuto dell’uomo. Medico delle nostre anime, versò nelle nostre ferite l’unzione della sua grazia, l’olio dei suoi sacramenti e il vino della sua Eucaristia. Per questo la liturgia canta, in uno stile ricco di immagini, la bontà del Signore, che ha fatto produrre sulla terra il pane che fortifica l’uomo, il vino che rallegra il suo cuore, e l’olio che dona al suo viso un aspetto di gioia (Com.). « Io benedirò, dice il Graduale, il Signore in tutti i tempi: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra ». Noi dobbiamo imitare verso il nostro prossimo quello che Dio ha fatto per noi e quello di cui il Samaritano è l’esempio. « Nessuna cosa è maggiormente prossimo delle membra che il capo, dice S. Beda: amiamo dunque colui che è fratello del Cristo, cioè siamo pronti a rendergli tutti i servizi sia temporali che spirituali dicui potrà aver bisogno » (3° Nott.). Né la legge mosaica, né il Vangelo separano l’amore verso Dio dall’amore di chi dobbiamo ritenere come prossimo: amore soprannaturale nella sua origine, poiché procede dallo Spirito Santo; amore soprannaturale nel soggetto perché è Dio nella persona dei nostri fratelli. Il prossimo di questo uomo ferito non è, come pensavano i Giudei, colui che è legato per vincoli di sangue, ma colui che si china caritatevolmente su di esso per soccorrerlo. L’unione in Cristo, che giunge fino a farci amare quelli che ci odiano e perdonare a quelli che ci hanno fatto del male, perché Dio è in essi, o è chiamato ad essere in essi, è il vero amore del prossimo. Perfezionati dalla grazia, noi dobbiamo imitare il Padre nostro del cielo, che, calmato dalla preghiera di Mosè, figura di Cristo, colmò di beni il popolo che l’aveva offeso (Off., Com.). — Uniti dunque con Cristo, [Questa unità dei Cristiani e del Cristo fa sì che si chiami Gesù il Samaritano, cioè lo straniero, per indicare che i Gentili imiteranno Cristo mentre i Giudei increduli lo disprezzeranno], curviamoci con Lui verso il prossimo che soffre. Questo sarà il miglior modo di diventare, per la misericordia divina, atti a servire Dio onnipotente, degnamente e lodevolmente, e di ottenere che, rialzati dalla grazia, noi corriamo, senza più cadere, verso il cielo promesso (Oraz.) . «Gesù, dice S. Beda, il Venerabile, mostra in maniera chiarissima che non vi è che un solo amore, il quale deve essere manifestato non solo a parole ma con le buone opere, ed è questo che conduce alla vita eterna ». (3° Nott.). – La gloria dei ministero di Mosè fu assai grande: raggi miracolosi brillavano sul volto del legislatore dell’antica legge, allorché discese dal Sinai. Ma questo ministero era inferiore al ministero evangelico. Il primo era passeggero: il secondo doveva surrogarlo e durare per sempre. Il primo era scritto su tavole di pietra, era il ministero della lettera; il secondo è tutto spirituale, è il ministero dello spirito. Il primo produceva spesso la morte spirituale spingendo alla ribellione con la molteplicità dei suoi precetti difficili ad adempirsi; il secondo è accompagnato dalle grazie dello Spirito d’amore, che gli Apostoli distribuiscono alle anime. L’uno è dunque un ministero che provoca i terribili giudizi di Dio, e l’altro è un ministero che giustifica gli uomini davanti a Dio, perché dona ad essi lo Spirito che vivifica. – « Quest’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico, dice S. Beda, è Adamo che rappresenta il genere umano. Gerusalemme è la città della pace celeste, della beatitudine dalla quale è stato allontanato per il peccato. I ladri sono il demonio e i suoi angeli nelle mani dei quali Adamo è caduto nella sua discesa. Questi lo spogliarono di tutto: gli tolsero la gloria dell’immortalità e la veste dell’innocenza.. Le piaghe che gli fecero, sono i peccati che, intaccando l’integrità dell’umana natura, fecero entrare la morte dalle ferite aperte. Lo lasciarono mezzo morto, perché se lo spogliarono della beatitudine della vita immortale, non riuscirono a togliergli l’uso della ragione colla quale conosceva Dio. Il sacerdote e il levita che, avendo veduto il ferito, passarono oltre, indicano i sacerdoti e i ministri dell’Antico Testamento che potevano solamente, con i decreti della legge, mostrare le ferite del mondo languente, ma non potevano guarirle, perché era loro impossibile – al dire dell’Apostolo – cancellare i peccati col sangue dei buoi e degli agnelli. Il buon Samaritano, parola che significa guardiano, e lo stesso Signore. Fatto uomo, s’è avvicinato a noi con la grande compassione che ci ha mostrata. L’albergo è la Chiesa ove Gesù stesso conduce l’uomo, ponendolo sulla cavalcatura perché nessuno, se non è battezzato, unito al corpo di Cristo, e portato come la pecora sperduta sulle spalle del buon Pastore, può far parte della Chiesa. I due danari sono i due Testamenti sui quali sono impressi il nome e l’effigie del Re eterno. La fine della legge è Cristo. Questi due denari furono dati all’albergatore il giorno dopo, perché Gesù il giorno seguente la sua risurrezione aprì gli occhi dell’intelligenza ai discepoli di Emmaus e ai suoi Apostoli perché comprendessero le sante Scritture. Il giorno seguente, infatti, l’albergatore, ricevette i due danari, come compenso delle sue cure verso il ferito perché lo Spirito Santo, venendo su la Chiesa, insegnò agli Apostoli tutte le verità perché potessero istruire le nazioni e predicare il Vangelo » (Omelia del giorno).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

LXIX: 2-3
Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam.

[O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]

Ps LXIX: 4

Avertántur retrórsum et erubéscant: qui cógitant mihi mala.

[Vadano delusi e scornati coloro che tramano contro di me.]

Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam.

[O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens et miséricors Deus, de cujus múnere venit, ut tibi a fidélibus tuis digne et laudabíliter serviátur: tríbue, quǽsumus, nobis; ut ad promissiónes tuas sine offensióne currámus.

[Onnipotente e misericordioso Iddio, poiché dalla tua grazia proviene che i tuoi fedeli Ti servano degnamente e lodevolmente, concedici, Te ne preghiamo, di correre, senza ostacoli, verso i beni da Te promessi.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios. 2 Cor III: 4-9.

“Fratres: Fidúciam talem habémus per Christum ad Deum: non quod sufficiéntes simus cogitáre áliquid a nobis, quasi ex nobis: sed sufficiéntia nostra ex Deo est: qui et idóneos nos fecit minístros novi testaménti: non líttera, sed spíritu: líttera enim occídit, spíritus autem vivíficat. Quod si ministrátio mortis, lítteris deformáta in lapídibus, fuit in glória; ita ut non possent inténdere fili Israël in fáciem Moysi, propter glóriam vultus ejus, quæ evacuátur: quómodo non magis ministrátio Spíritus erit in glória? Nam si ministrátio damnátionis glória est multo magis abúndat ministérium justítiæ in glória.

[“Fratelli: Tanta fiducia in Dio noi l’abbiamo per Cristo. Non che siamo capaci da noi a pensar qualche cosa, come se venisse da noi; ma la nostra capacità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei a essere ministri della nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito; perché la lettera uccide ma lo spirito dà vita. Ora, se il ministero della morte, scolpito in lettere su pietre, è stato circonfuso di gloria in modo che i figli d’Israele non potevano fissare lo sguardo in faccia a Mosè, tanto era lo splendore passeggero del suo volto; quanto più non sarà circonfuso di gloria il ministero dello Spirito? Invero, se è glorioso il ministero di condanna, molto più è superiore in gloria il ministero di giustizia”].

TUTTO E NIENTE.

Alessandro Manzoni ha colto ancora una volta perfettamente nel segno quando parlando di Dio, come ce Lo ha rivelato N. S. Gesù Cristo, come noi lo conosciamo alla sua scuola, ha detto che Egli atterra e suscita; due gesti contradditori, all’apparenza, ed entrambi radicali. Quando fa le cose sue, Dio non le fa a mezzo: se butta giù, atterra, inabissa; e se tira su, suscita, sublima: a questo radicalismo, e a questa completezza d’azione divina corrisponde anche quello che s. Paolo dice nella lettera d’oggi, messo a riscontro di ciò che afferma altrove. Ecco qua: oggi San Paolo dice ciò che è verissimo che, cioè, noi da soli siam buoni a nulla: neanche a formare un piccolo pensiero. Nel concetto di San Paolo e di tutti, è la cosa a noi più facile, assai più facile volere che fare. Il pensiero è il primo gradino della scala, il più ovvio, il più semplice. Non importa: neanche quello scalino l’uomo può fare da sé, proprio da sé, ci vuole l’aiuto di Dio. Il quale dunque, è tutto Lui e noi di fronte a Lui siamo un bel niente, uno zero. È un fiero e giusto colpo assestato al nostro orgoglio che ci fa credere di essere un gran che e di potere fare noi, proprio noi, chi sa che cosa. L’uomo ha degli istinti orgogliosamente, dinamicamente, mefistofelici. Noi vorremmo essere tutto: noi ci illudiamo di poter fare tutto. E invece ogni nostra capacità viene da Dio: « sufficientia nostra ex Deo est. » Il che non vuol dire che questa capacità (sufficientia) non ci sia. C’è ricollegata con Dio. E allora San Paolo appoggiato a Dio, immerso nell’umile fiducia in Lui, tiene un tutt’altro linguaggio, che par una negazione ed è invece un’integrazione del precedente. «Omnia possum in Eo qui me confortat » io posso tuto in Colui che mi conforta; dal niente siamo passati al tutto. Lo stesso radicalismo. Prima, nessuna possibilità e adesso nessuna impossibilità. Prima l’uomo buttato a terra, proprio umiliato (humus, vuol dire terra), adesso esaltato fino alle stelle, proclamato in qualche modo onnipotente. La contradizione non c’è perché chi dice così non è lo stesso uomo che viene considerato, non è lo stesso uomo di cui si parla. L’uomo che non può tutto, che è la stessa impotenza, è l’uomo solo o piuttosto l’uomo isolato da Dio, lontano effettivamente ed affettivamente da Lui: ramo reciso dal tronco, tralcio separato dalla vite, ruscello a cui è stata tolta la comunicazione colla sorgente e che perciò non ha più acqua. L’uomo isolato così è sterile, infecondo nel bene, può scendere, non può salire. Ma riattaccatelo a Dio, mettetelo in comunicazione viva, piena, conscia, voluta, e la situazione si modifica dalla notte al giorno. L’anima che sente questo contatto nuovo, sente un rifluire in se stessa di nuove, sante, inesauste energie. Non poteva nulla senza il suo Dio, adesso può tutto unita a Lui. «Omnia possumin Eo quì me confortat. » E’ il grido magnanimoe non ribelle dei Santi, appunto perché la loro onnipotenza la ripetono da Dio, tutta e solo daLui. Solo realizzando spiritualmente quel nientee quel tutto, solo vivendo tutta quella umiltàe tutta questa fede, si raggiunge l’equilibriotra la sfiducia e la presunzione.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXXIII: 2-3.

Benedícam Dóminum in omni témpore: semper laus ejus in ore meo.

[Benedirò il Signore in ogni tempo: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra.]

V. In Dómino laudábitur ánima mea: áudiant mansuéti, et læténtur.

[La mia anima sarà esaltata nel Signore: lo ascoltino i mansueti e siano rallegrati.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps LXXXVII: 2

Dómine, Deus salútis meæ, in die clamávi et nocte coram te. Allelúja.

[O Signore Iddio, mia salvezza: ho gridato a Te giorno e notte. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Lucam.

Luc. X: 23-37

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Beáti óculi, qui vident quæ vos videtis. Dico enim vobis, quod multi prophétæ et reges voluérunt vidére quæ vos videtis, et non vidérunt: et audire quæ audítis, et non audiérunt. Et ecce, quidam legisperítus surréxit, tentans illum, et dicens: Magister, quid faciéndo vitam ætérnam possidébo? At ille dixit ad eum: In lege quid scriptum est? quómodo legis? Ille respóndens, dixit: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo, et ex tota ánima tua, et ex ómnibus víribus tuis; et ex omni mente tua: et próximum tuum sicut teípsum. Dixítque illi: Recte respondísti: hoc fac, et vives. Ille autem volens justificáre seípsum, dixit ad Jesum: Et quis est meus próximus? Suscípiens autem Jesus, dixit: Homo quidam descendébat ab Jerúsalem in Jéricho, et íncidit in latrónes, qui étiam despoliavérunt eum: et plagis impósitis abiérunt, semivívo relícto. Accidit autem, ut sacerdos quidam descénderet eádem via: et viso illo præterívit. Simíliter et levíta, cum esset secus locum et vidéret eum, pertránsiit. Samaritánus autem quidam iter fáciens, venit secus eum: et videns eum, misericórdia motus est. Et apprópians, alligávit vulnera ejus, infúndens óleum et vinum: et impónens illum in juméntum suum, duxit in stábulum, et curam ejus egit. Et áltera die prótulit duos denários et dedit stabulário, et ait: Curam illíus habe: et quodcúmque supererogáveris, ego cum redíero, reddam tibi. Quis horum trium vidétur tibi próximus fuísse illi, qui íncidit in latrónes? At ille dixit: Qui fecit misericórdiam in illum. Et ait illi Jesus: Vade, et tu fac simíliter.”

[“In quel tempo Gesù disse a’ suoi discepoli: Beati gli occhi che veggono quello che voi vedete. Imperocché vi dico, che molti profeti e regi bramarono di vedere quello che voi vedete, e no videro; e udire quello che voi udite, e non l’udirono. Allora alzatosi un certo dottor di legge per tentarlo, gli disse: Maestro, che debbo io fare per possedere la vita eterna? Ma Egli disse a lui: Che è quello che sta scritto nella legge? come leggi tu? Quegli rispose, e disse: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuor tuo, e con tutta l’anima tua, e con tutte le tue forze, o con tutto il tuo spirito; e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù gli disse: Bene hai risposto: fa questo e vivrai. Ma quegli volendo giustificare se stesso, disse a Gesù: E chi è mio prossimo? E Gesù prese la parola, e disse: Un uomo andava da Gerusalemme a Gerico, e diede negli assassini, i quali ancor lo spogliarono; e avendogli date delle ferite, se n’andarono, lasciandolo mezzo morto. Or avvenne che passò per la stessa strada un sacerdote, il quale vedutolo passò oltre. Similmente anche un levita, arrivato vicino a quel luogo, e veduto colui, tirò innanzi: ma un Samaritano, che faceva suo viaggio, giunse presso lui; e vedutolo, si mosse a compassione. E se gli accostò, e fasciò le ferite di lui, spargendovi sopra olio e vino; e messolo sul suo giumento, lo condusse all’albergo, ed ebbe cura di esso. E il dì seguente tirò fuori due danari, e li diede all’ostiere, e dissegli: Abbi cura di lui: e tutto quello che spenderai di più te lo restituirò al mio ritorno. Chi di questi tre ti pare egli essere stato prossimo per colui che diede negli assassini? E quegli rispose: Colui che usò ad esso misericordia. E Gesù gli disse: Va’, fa’ anche tu allo stesso modo.”]

OMELIA

~DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933~ Visto nulla osta alla stampa.

Torino, 25 Novembre 1931. Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg. – Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.

Proprietà della traduzione (23-XI-07-10- 29-XII-32-15).

Sull’amore del prossimo.

“Vade, et tu fac similiter”.

(Luc. X, 37).

Un dottore della legge, narra S. Luca, si presentò a Gesù Cristo dicendogli per tentarlo: “Maestro, che cosa bisogna fare per ottenere la vita eterna?„ Gesù Cristo gli rispose: u Che cosa sta scritto nella legge, che cosa vi leggi?„ E l’altro rispose: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutte le tue forze: ed il prossimo tuo come te stesso.„ — “Hai risposto bene, gli replicò Gesù Cristo: va, fa questo, ed avrai la vita eterna.„ Il dottore gli domandò poi chi fosse il suo prossimo, e chi dovesse amare come se stesso. Gesù Cristo gli propose questa parabola: “Un uomo andava da Gerusalemme a Gerico: cadde fra le mani dei ladri che non contenti di averlo spogliato, lo copersero di ferite e lo lasciarono mezzo morto sulla strada. Per caso passò di là un sacerdote che scendeva per la medesima via. Avendolo visto in così misero stato, non lo guardò nemmeno. Poi un levita, avendolo scorto, passò via parimente: ma un Samaritano che faceva la stessa strada, avendolo visto gli si avvicinò, e ne fu vivamente mosso a compassione: discese dal cavallo, e si mise ad aiutarlo con ogni suo mezzo. Lavò le sue ferite con olio e vino, le fasciò, e messolo sul suo cavallo lo condusse ad un albergo, dove ordinò al padrone di prenderne cura, dicendogli che se il danaro datogli non bastava, al ritorno gli darebbe ciò che avesse speso di più. „ Gesù Cristo disse al dottore “Quale dei tre credi tu sia stato prossimo a |quest’uomo che cadde nelle mani dei ladri?„ Il dottore gli rispose: “Credo sia colui che gli ha usato misericordia.„ — “Ebbene va, gli disse Gesù Cristo, fa altrettanto ed avrai la vita eterna.„ Ecco F. M., il modello perfetto della carità che dobbiamo avere pel nostro prossimo. Vediamo quindi, F. M., se abbiamo questa carità che ci assicura la vita Eterna. – Ma, per meglio farvene sentire la necessità, vi mostrerò che tutta la nostra religione non è che falsità, e tutte le nostre virtù non sono che larve, e noi non siamo che ipocriti davanti a Dio, se non abbiamo questa carità universale per tutti senza distinzione: cioè per i buoni come per i cattivi, per i poveri come per i ricchi, per tutti coloro che ci fanno del male come per coloro che ci fanno del bene. No, F . M., non vi è virtù che meglio della carità ci faccia conoscere se siamo figli di Dio! e l’obbligo che abbiamo di amare il nostro prossimo è così grande, che Gesù Cristo ce ne fa un comandamento, che mette subito dopo quello col quale ci ordina di amar Lui con tutto il nostro cuore. Ci dice che tutta la legge ed i profeti son compresi nel comando di amare Dio e il prossimo.(Matt. XXII, 40). Sì, F. M., dobbiamo considerare questo dovere come il più universale, il più necessario ed essenziale alla religione e alla nostra salvezza; perché adempiendo questo comandamento adempiamo tutti gli altri. S. Paolo ci dice che gli altri comandamenti ci proibiscono l’adulterio, il furto, le ingiurie e il dire il falso in testimonio: se amiamo il nostro prossimo non faremo niente di tutto questo, perché l’amore che portiamo al nostro prossimo non può soffrire che gli facciamo alcun male (Rom. XIII, 9, 10). Dico anzitutto, che: – 1° questo comandamento che ci ordina di amare il nostro prossimo, è il più necessario alla nostra salvezza, poiché S. Giovanni ci dice che se non amiamo i nostri fratelli, cioè gli uomini, siamo in istato di riprovazione. Vediamo altresì che Gesù Cristo ha tanto a cuore l’adempimento di questo comandamento, che ci dice che solo dall’amore che avremo gli uni per gli altri Egli ci riconoscerà per suoi figli (Giv. XIII, 35). – 2° Affermo inoltre, F. M., che questo obbligo così grande di amarci gli uni gli altri, ci è imposto perché abbiamo tutti il medesimo Creatore, tutti la stessa origine; siamo tutti d’una stessa famiglia, della quale Gesù Cristo è il padre, e tutti portiamo la sua immagine e somiglianza; siamo tutti creati per uno stesso fine, che è la gloria eterna; e tutti fummo redenti dalla passione e morte di Gesù Cristo. Dopo di ciò, F. M., non possiamo rifiutarci di amare il nostro prossimo, senza offendere Gesù Cristo in persona che ce lo comanda sotto minaccia di dannazione eterna. S. Paolo ci dice che avendo tutti una stessa speranza, la vita eterna, uno stesso Signore, una stessa fede, uno stesso battesimo ed uno stesso Dio che è Padre di tutti gli uomini, dobbiamo amare tutti gli uomini come noi stessi se vogliamo piacere a Gesù Cristo e salvare le anime nostre (Ephes. IV, 2-6). Ma, forse chiederete, in che consiste adunque l’amore che dobbiamo al nostro prossimo?

— F. M., esso consiste in tre cose:

1 ° nel voler il bene di tutti; 2° nel farne loro ogni qual volta il possiamo; 3° nel sopportare, scusare e nascondere i loro difetti. Ecco, F. M., la vera carità dovuta al prossimo, ed il vero segno d’una vera carità, senza la quale non possiamo né piacere a Dio né salvare le anime nostre.

1° Dobbiamo desiderare bene a tutti, e sentirci afflitti davvero quando sappiamo che accade al nostro prossimo qualche sventura, perché dobbiamo considerare tutti gli uomini, anche i nemici, come nostri fratelli: dobbiamo usare maniere belle ed affabili verso tutti: non invidiare coloro che stanno meglio di noi; amare i buoni per le loro virtù, ed i cattivi perché diventino buoni: augurare la perseveranza ai primi e la conversione ai secondi. Se un uomo è gran peccatore, possiamo odiare il peccato che è opera dell’uomo e del demonio; ma bisogna amare l’uomo che è immagine di Dio.

2° Dobbiamo far del bene a tutti, almeno quanto possiamo: e lo si fa in tre maniere, che si riferiscono ai beni del corpo, dell’onore e dell’anima. Riguardo ai beni del corpo non dobbiamo mai recar danno al prossimo, né impedirgli di fare un guadagno anche se questo potesse esser nostro. Non vi sono cristiani così accetti a Dio come quelli che hanno compassione pei disgraziati. Vedete S. Paolo: ci dice che piangeva coi piangenti, e gioiva con chi era contento. Quanto all’onore del prossimo, dobbiamo guardarci bene dal nuocere alla sua riputazione con maldicenze e molto meno con calunnie. Se possiamo impedire quelli che parlano male, dobbiamo farlo; se non possiamo, dobbiamo lasciarli od almeno dire tutto il bene possibile di quelle persone. Ma quanto ai beni dell’anima, che sono cento volte più preziosi di quelli del corpo, possiamo loro procurarli pregando per loro, allontanandoli dal male coi nostri consigli, e soprattutto coi buoni esempi: vi siamo specialmente obbligati verso coloro coi quali viviamo. I padri e le madri, i padroni e le padrone vi sono obbligati in modo particolare per il conto che dovranno rendere a Dio dei loro figli e dei loro servi. Ahimè! F. M., si può dire che i padri e le madri amano i loro figli, quando li vedono vivere così indifferenti per ciò che riguarda la salvezza delle anime loro, e non muovono un dito? Ahimè! F. M., un padre ed una madre, che avessero la carità che debbono avere pei loro figli, potrebbero vivere senza piangere dì e notte sullo stato miserando dei loro figliuoli che sono in peccato, che vivono, purtroppo, da reprobi, che non sono più pel cielo, ma sono invece per l’inferno? … Ahimè! F. M., come desidereranno di procurare la loro salvezza se non pensano neppure alla propria? Davvero, F. M., quanti padri e madri che dovrebbero gemere e pregare continuamente per la condizione dei loro miseri figli, li distraggono invece dal bene e li avviano al male parlando ad essi dei torti, delle offese, delle ingiurie, che hanno loro detto o fatto i vicini, della lor mala fede, dei mezzi impiegati per vendicarsi: il che spinge spesso i figli a volersi essi pure vendicare, od almeno a conservare l’odio nel cuore. Oh! F. M., quanto i primi Cristiani erano ben lontani da ciò, perché comprendevano il valore di un’anima! F. M., se un padre ed una madre conoscessero il valore d’un’anima, potrebbero con tanta indifferenza lasciar perdere quelle dei loro figli o domestici? Potrebbero far loro trascurare la preghiera, per farli lavorare? Avrebbero il coraggio di farli mancare alle sacre funzioni? Mio Dio! che risponderanno a Gesù Cristo quand’Egli mostrerà loro che hanno preferito una bestia all’anima dei loro figli? Ah! che dico? un pugno di fieno! O povera anima, quanto poco sei stimata! No, no, F. M., questi padri e queste madri ciechi ed ignoranti, giammai hanno compreso che la perdita dell’anima è un male più grande che la distruzione di tutte le creature che esistono sulla terra. Giudichiamo, F. M., della dignità d’un’anima da quella degli Angeli: un Angelo è così perfetto che quanto vediamo sulla terra od in cielo è meno d’un grano di polvere in confronto al sole: eppure per quanto perfetti siano gli Angeli, non hanno costato a Dio che una parola: mentre un’anima ha costato il prezzo del suo Sangue adorabile. Il demonio per tentare il Salvatore gli offerse tutti i regni del mondo, dicendogli: “Se vuoi prostrarti davanti a me, ti darò tutti questi beni (Matt. IV, 9): „ il che ci mostra che un’anima è infinitamente più preziosa agli occhi di Dio, ed anche del demonio, che non tutto l’universo con quanto contiene (Matt. XVI, 26). Ah! quale vergogna per questi padri e queste madri che stimano l’anima dei loro figli meno di quanto le stima il demonio stesso! Sì, F. M., la nostra anima ha un valore così grande che, dice S. Giovanni Crisostomo, se vi fosse stato anche un sol uomo sulla terra, la sua anima è così preziosa agli occhi di Gesù Cristo, che non avrebbe stimato indegno di sé il morire per salvarla. ” Sì, dice egli, un’anima è sì cara al suo Creatore, che, se essa l’amasse, Egli annienterebbe i cieli piuttosto che lasciarla perire.„ — ” 0 mio corpo, esclamava S. Bernardo, quanto sei onorato di albergare un’anima così bella! „ Ditemi, F. M., se foste stati ai piedi della croce, ed aveste raccolto in un vaso il Sangue adorabile di Gesù Cristo, con qual rispetto l’avreste conservato? Ora, F. M., dobbiamo avere altrettanto rispetto e cura per conservare l’anima nostra, perché essa è costata tutto il sangue di Gesù Cristo. “Dacché ho riconosciuto, ci dice S. Agostino, che la mia anima è stata redenta col sangue d’un Dio, ho deciso di conservarla a costo pure della mia vita, e di non ridonarla mai al demonio col peccato. „ Ah! padri e madri, se foste ben convinti che siete i custodi delle anime dei figli vostri, potreste lasciarle perire con tanta indifferenza? Mio Dio, quante persone dannate per aver lasciato perdere qualche povera anima, ciò che, volendo, avrebbero potuto impedire! No, F . M., non abbiamo la carità che dovremmo avere gli uni per gli altri, e soprattutto pei nostri figli e domestici. – Leggiamo nella storia che al tempo dei primi Cristiani, quando gli imperatori pagani li interrogavano per sapere chi fossero, rispondevano: “Ci domandate che cosa siamo, eccolo: non formiamo che un solo popolo ed una sola famiglia, unita insieme dai vincoli della carità: Quanto ai nostri beni, sono tutti in comune: chi ha dà a chi non possiede; nessuno si lamenta, nessuno si vendica, nessuno dice male dell’altro o fa male ad alcuno. Noi preghiamo gli uni per gli altri, ed anche per i nemici; invece di vendicarci facciamo del bene a chi ci fa del male, benediciamo quelli che ci maledicono. „ Ah! F. M., dove sono quei tempi felici? Ahimè! quanti Cristiani al presente non hanno che amore per se stessi, niente pel prossimo! –  Volete sapere, F. M., che cosa sono i Cristiani dei nostri giorni? Ecco, ascoltatemi. Se due persone maritate sono del medesimo umore, dello stesso carattere, ovvero hanno le medesime inclinazioni, voi le vedete che amandosi vivono insieme: questo non è cosa rara. Ma se l’umore od il carattere non si accordano, non v’è più pace, amicizia, carità, prossimo. Ahimè! F. M., sono Cristiani che non hanno che una falsa religione: amano il loro prossimo solo quando esso possiede le loro inclinazioni, o favorisce i loro sentimenti ed interessi, altrimenti non possono più vedersi, né tollerarsi in compagnia: bisogna separarsi, si dice, per avere la pace e salvare l’anima propria. Andate, poveri ipocriti, andate, separatevi da quelli che non sono, come dite, del vostro carattere, e coi quali non potete vivere: non potete allontanarvi tanto da essi quanto già lo siete da Dio. Andate, la vostra religione non è che apparenza, e voi stessi non siete che dei riprovati. Non avete mai conosciuto né la vostra religione, né ciò che vi comanda, nè la carità che dovete avere pel vostro fratello per piacere a Dio e salvarvi. Non è difficile amare quelli che ci amano, e che sono del nostro parere in quanto diciamo o facciamo, perché in ciò non facciamo nulla di più dei pagani, che facevano altrettanto. S. Giacomo ci dice (Giac. II, 2, 3): “Se fate bella accoglienza ad un ricco, e disprezzate il povero; se salutate con garbo chi vi ha fatto del bene, mentre appena salutate chi vi ha insultato, voi né adempite la legge, né avete la carità che dovete avere: non fate niente di più di coloro che non conoscono il buon Dio. „ — Ma, mi direte, come dobbiamo adunque amare il nostro prossimo? — Eccolo. S. Agostino ci dice che dobbiamo amarlo come Gesù Cristo ci ama: Egli non ha ascoltato né la carne né il sangue, ma ci ha amati per santificarci e meritarci la vita eterna. Noi dobbiamo augurare e desiderare al nostro prossimo tutto il bene che possiamo desiderare per noi stessi. Sì, F. M., non conosceremo di essere sulla strada del cielo e di amare veramente il buon Dio, se non quando trovandoci con persone interamente opposte al nostro carattere e che sembrano contraddirci in tutto, tuttavia le amiamo come noi stessi, le vediamo di buon grado, ne parliamo bene e mai male, cerchiamo la loro compagnia, le preveniamo, e rendiamo loro servizi, a preferenza di tutti quelli che ci interessano e non ci contraddicono in nulla. Se facciamo questo, possiamo sperare che l’anima nostra sia nell’amicizia di Dio, e che amiamo il nostro prossimo cristianamente. Ecco la regola ed il modello che Gesù Cristo ci ha lasciato e che tutti i santi hanno riprodotto: non inganniamoci, non v’ha altra via che ci conduca al cielo. Se non fate questo, non dubitate un solo istante che voi camminate per la via della perdizione. Andate, poveri ciechi: pregate, fate penitenza, assistete alle funzioni sacre, frequentate i Sacramenti tutti i giorni, se vi piace: date tutta la vostra sostanza a quelli che vi amano, non per questo sfuggirete d’andar a bruciare nell’inferno dopo la vostra vita! Ahimè!F. M., quanto è scarsa la vera divozione, quante divozioni invece di capriccio, d’inclinazione! Vi sono di quelli che danno tutto, e sono pronti a tutto sacrificare, quando si tratta di persone che loro convenga di trattar così o che essi amano. Ahimè! pochi hanno quella carità che piace a Dio e conduce al cielo! F. M., volete un bell’esempio dicarità cristiana? eccovene uno che potrà servirvi di modello per tutta la vostra vita. Si racconta nella storia dei Padri del deserto (Vita dei Padri del deserto, t. IV, pag. 23. Storia di Eulogio d’Alessandria e del suo lebbroso), che un solitario incontrò un giorno per via un povero storpio, coperto di ulceri e di putredine: era in istato così miserabile da non poter né guadagnarsi la vita, e neppur trascinarsi. Il solitario, mosso a compassione, lo portò nella sua colletta, e gli diede tutti i conforti possibili. Avendo il povero riprese le forze, il solitario gli disse: “Volete, fratello mio, restare con me? farò quanto potrò per nutrirvi, e pregheremo e serviremo il buon Dio insieme. „ — “Oh! qual gioia mi date., dissegli il povero; quanto son felice di trovare nella vostra carità un sollievo alla mia miseria!„ Il solitario che stentava già tanto a guadagnarsi da vivere, raddoppiò il lavoro per poter nutrire il povero il meglio che potesse, ed assai meglio di se stesso. Ma, dopo qualche tempo, il povero cominciò a mormorare contro il suo benefattore, lamentandosi che lo nutriva troppo male. ” Ahimè! caro amico, gli disse il solitario, vi nutro meglio di me, non posso fare di più per voi. „ Alcuni giorni dopo, l’ingrato ricominciò i suoi lamenti, e lanciò contro il benefattore un torrente d’ingiurie. Il solitario soffrì tutto con pazienza, senza rispondere. Il povero si vergognò d’aver parlato in tal modo ad un uomo così santo, che non gli faceva che del bene, e gli domandò scusa. Ma ricadde bentosto nelle stesse impazienze, e concepì un tal odio contro il buon solitario, che nol poteva più sopportare. “Sono stanco di vivere con te, voglio che tu mi riporti dove m’hai trovato; non son uso ad esser nutrito così male… Il solitario gli domandò perdono, promettendogli che cercherebbe di trattarlo meglio. Il buon Dio gli ispirò d’andare da un caritatevole benestante vicino per domandargli del cibo migliore pel suo storpio. Il benestante, mosso a compassione, gli disse di venire ogni giorno a prendere il vitto. Il povero sembrò contento: ma dopo alcune settimane, ricominciò a fare nuovi e pungenti rimproveri al solitario. ~ Va, gli diceva, tu sei un ipocrita, fai mostra di cercar l’elemosina per me, ed invece lo fai per te: tu mangi la parte migliore di nascosto, e non mi dai che i tuoi avanzi. „ — “Ah! amico mio, dissegli il solitario, mi fate torto. vi assicuro che non domando mai niente per me , che non tocco neppur un briciolo di quanto mi si dà per voi: se non siete contento dei servizi che vi rendo, abbiate almeno pazienza per amore di Gesù Cristo, aspettando ch’io faccia meglio. „ — ” Va, rispose il povero, non ho bisogno delle tue esortazioni, „ e, preso un sasso, lo scagliò alla testa del solitario, che appena poté evitarlo. Di poi il tristo preso un grosso bastone, di cui servivasi per trascinarsi, gli diede un colpo così forte da gettarlo a terra. “Il buon Dio vi perdoni, dissegli il solitario; da parte mia, per amor di Gesù Cristo vi perdono i cattivi trattamenti che mi usate. „ — “Dici che mi perdoni, ma non è che a fior di labbra; perché so che tu vorresti vedermi morto. „ — “Vi assicuro, amico mio, dissegli dolcemente il solitario, che è con tutto il mio cuore che vi perdono. „ E volle abbracciarlo per dimostrargli che l’amava. Ma il miserabile lo prese alla gola, gli graffiò il viso colle unghie, e tentava strangolarlo. Essendosi il solitario svincolato dalle sue mani, il povero gli disse: “Va pure, ma non morrai che per mano mia. „ Il solitario, sempre preso da compassione e ripieno di carità veramente cristiana, portò pazienza con lui per tre o quattro anni. Durante questo tempo, Dio solo seppe quanto ebbe a soffrire da parte del povero. Questi gli diceva ad ogni momento di riportarlo al luogo dove l’aveva trovato, che preferiva morir di fame o di freddo, od esser divorato dalle belve piuttosto che vivere con lui. Il solitario non sapeva a qual partito appigliarsi: da una parte, la carità gli dimostrava che, riportandolo al posto dove l’aveva trovato, sarebbe morto di miseria: dall’altra, temeva di perder la pazienza nella prova. Pensò d’andar a consultare S. Antonio sul partito da prendere per essere più accetto a Dio: non temeva né le pene, né gli oltraggi che riceveva in cambio dei suoi benefizi; ma voleva soltanto conoscere la volontà di Dio. Arrivato da sant’Antonio, prima ancora di parlare, questi inspirato dallo Spirito Santo, gli disse : “Ah! figlio mio, so che cosa ti conduce qui, e perché vieni a trovarmi. Guardati bene dal seguire il pensiero che hai di mandar via quel povero: è una cattiva tentazione del demonio che vuol rapirti la corona: se avessi la sventura di abbandonarlo, figlio mio, non l’abbandonerebbe il buon Dio. „ Sembrava, a quanto dissegli S. Antonio, che la sua salvezza dipendesse dalle cure che aveva pel poveri. “Ma, padre mio, dissegli il solitario, temo di perdere la pazienza. „ — ” E perché la perderesti, figliuol mio? gli replicò S. Antonio: non sai che è appunto verso quelli che ci trattano peggio, che dobbiamo esercitare la nostra carità più generosamente? Figlio mio dimmi, qual merito avresti esercitando la pazienza con chi non ti facesse mai alcun male? Non sai tu che la carità è una virtù coraggiosa, che non guarda i difetti di chi ci fa soffrire, ma invece guarda Iddio solo? Quindi, figlio mio, ti impegno assai a custodire questo povero: più è cattivo, più devi averne pietà: quanto gli farai per carità, Gesù Cristo lo riterrà fatto a se stesso. Mostra colla tua pazienza che sei discepolo d’un Dio che ha patito. Ricordati che dalla pazienza e dalla carità si conosce il Cristiano. Considera questo povero come quegli di cui vuol servirsi Iddio per farti guadagnare la tua corona. „ Il solitario fu soddisfattissimo di udire da quel gran santo ch’era volontà di Dio ch’ei custodisse il suo povero, e che quanto faceva per luì era assai accetto al Signore. Ritornò presso il suo povero, e dimenticando tutte le ingiurie ed i maltrattamenti ricevuti sino allora, mostrò verso di lui una carità senza limiti, servendolo con una umiltà ammirabile, e non cessando di pregare per lui. Il buon Dio vide nel giovane solitario tanta pazienza e carità che gli convertì il povero: e con questo mostrò al suo servo, quanto gli fosse gradito tutto quello che aveva fatto, perché concesse all’infelice la conversione e la salvezza. Che ne pensate, F. M.? E questa una carità cristiana, sì o no? Oh! quanto quest’esempio nel gran giorno del giudizio confonderà i Cristiani che non vogliono neppur soffrire una parola, sopportare per otto giorni il cattivo carattere d’una persona senza mormorare, e forse volerle male. Bisogna lasciarsi, si dice bisogna separarsi per aver la pace. O mio Dio, quanti Cristiani si dannano per mancanza di carità! No, no, F. M., faceste anche miracoli, non andrete mai salvi, se non avete la carità. F. M., non aver carità è non conoscere la propria religione: è avere una religione di capriccio, stravagante, e volubile. Andate, non siete che ipocriti e riprovati! Senza la carità giammai vedrete Dio, giammai vedrete il cielo… Date i vostri beni, fate grandi elemosine a quelli che v’amano o vi piacciono, ascoltate tutti i giorni la santa Messa, comunicatevi anche, se vi piace ogni dì: non siete che ipocriti e riprovati: continuate la vostra strada e ben presto vi troverete all’inferno! … Non potete sopportare i difetti del vostro prossimo, perché è troppo noioso, non vi piace starvene con lui. Andate, andate pure, disgraziati, non siete che ipocriti, non avete che una falsa religione, la quale, con tutto il bene che fate, vi condurrà all’inferno. Mio Dio! Come è rara questa virtù! Ahimè! è così rara come sono rari quelli che andranno in cielo. Non amo vederli, mi direte: in chiesa, mi causano distrazioni con ogni loro atto. — Ah! disgraziato; di’ piuttosto che non hai carità, che sei un miserabile, che ami solamente quelli che s’accordano coi tuoi sentimenti od interessi, che non ti contraddicono in nulla, e ti adulano per le tue buone opere, che usano ringraziarti dei tuoi benefici, e ti ricambiano con la riconoscenza. – Voi farete di tutto per costoro, non vi rincresce neppur di privarvi del necessario por soccorrerli: ma se vi disprezzano, se vi contraccambiano con ingratitudini, non li amate più, non volete più vederli, fuggite la loro compagnia: nei colloquii che avete con loro, tagliate corto. Mio Dio! quante false divozioni che devono condurci tra i riprovati! Se ne dubitate, F. M., ascoltate S. Paolo, che non può ingannarvi: “Se donassi, egli dice, ogni mio avere ai poveri, se facessi miracoli risuscitando i morti, ma non avessi la carità, non sono altro che un ipocrita (1 Cor. XIII, 3). „ Ma per meglio convincervene, percorrete tutta la passione di N. Signore Gesù Cristo, vedete tutte le vite dei Santi, non ne troverete alcuno che non abbia questa virtù, cioè che non abbia amato quelli che lo ingiuriavano, che gli volevan male, che lo ricambiavano d’ingratitudine nei suoi benefizi. No, no, non ne vedrete uno, che non abbia preferito far del bene a chi gli abbia fatto qualche torto. Vedete S. Francesco di Sales, che ci dice che se avesse un’opera buona soltanto da fare, sceglierebbe chi gli ha fatto qualche oltraggio, piuttosto che uno da cui avesse ricevuto qualche servigio. Ahimè! F. M., una persona che non ha la carità quanto va innanzi nel male! Se alcuno le ha fatto qualche torto, vedetela esaminare ogni sua azione: le giudica, le condanna, le volge in male, credendo sempre d’aver ragione. — Ma, mi direte, tante volte, si vede che agiscono male, non si può pensar diversamente. — Amico mio, non avendo carità, credi che facciano male: ma se avessi la carità, penseresti ben diversamente, perché crederesti sempre che puoi ingannarti, come spesso avviene: e per convincervene, eccovi un esempio, che vi prego di non iscancellar dalla vostra mente, specialmente quando vi verrà il pensiero che il vostro prossimo faccia male. – Si racconta nella storia dei Padri del deserto (Vita dei Padri del deserto, t. VIII, pag. 244, S. Simeone, soprannominato Sal, o Salus. cioè lo Stravagante), che un solitario chiamato Simeone, dopo essere stato più anni nella solitudine, ebbe il pensiero di andare nel mondo: ma domandò a Dio che giammai gli uomini potessero conoscere le sue intenzioni. Avendogli Dio accordata questa grazia, andò nel mondo. Faceva il pazzo, liberava gli ossessi dal demonio, guariva gli ammalati: entrava nelle case delle donne di mala vita, faceva loro giurare che non avrebbero amato altri che lui, dando loro tutto il denaro che aveva. Ognuno lo teneva per un solitario impazzito. Si vedeva ogni giorno quest’uomo, che aveva più di settant’anni, giuocare coi fanciulli per le vie: altre volte si gettava in mezzo ai balli pubblici per danzare cogli altri, dicendo loro qualche parola che mostrasse il male che facevano. Ma tutto ciò si considerava come cosa che veniva da un pazzo, non raccoglieva che disprezzi. Altre volte saliva sui teatri, e gettava pietre su quelli ch’erano sotto. Quando vedeva qualche ossesso dal demonio, si metteva in sua compagnia e imitava l’ossesso come se lo fosse egli pure. Lo si vedeva correre per le osterie, accompagnarsi cogli ubbriachi: nei mercati si rotolava per terra, e faceva mille altre cose assai stravaganti. Tutti lo condannavano, lo disprezzavano; gli uni lo stimavano pazzo, gli altri un libertino ed un cattivo soggetto, meritevole solo della prigione. Eppure, F. M., malgrado ciò, era un santo, che cercava solo il disprezzo, e di guadagnare anime a Dio, sebbene il mondo lo giudicasse male. Il che ci mostra che sebbene le azioni del nostro prossimo ci appariscano cattive, non dobbiamo giudicarle male. Spesso le giudichiamo cattive, mentre agli occhi di Dio non sono tali. Ah! chi avesse la fortuna di possedere la carità, questa bella ed incomparabile virtù, si guarderebbe dal giudicare il suo prossimo e dal volergli male! — Ma, direte, il suo carattere: è troppo cattivo, non si può sopportarlo. — Voi non potete sopportarlo, amico mio; credete dunque d’essere un santo e senza difetti? povero cieco! vedrete un giorno che ne avete fatto soffrire più voi a coloro che vi stanno intorno, che non essi a voi. Ècosa solita che i cattivi credono di non far soffrire nulla agli altri, e che debbono tutto soffrire dagli altri. Mio Dio, quanto l’uomo è cieco, quando la carità non trovasi nel suo cuore! D’altra parte, se non aveste nulla da soffrire da coloro che vivono con voi, che cosa avreste da presentare al buon Dio? — Quando, dunque, si potrà conoscere di essere sulla strada che conduce al cielo? — No, no, F. M., finché non amerete coloro che sono d’umore, di carattere differente dal vostro, ed anche coloro che vi contraddicono in quanto fate, sarete solo un ipocrita, mai un buon cristiano. Fate, finché volete tutte le altre opere buone; esse non vi impediranno d’andar dannati. Del resto vedete la condotta che tennero i santi, e come si diportarono col prossimo: ed eccovi un esempio che ci mostra come questa virtù sola, sembra assicurarci il cielo. Narrasi nella storia che un solitario, il quale aveva condotto una vita assai imperfetta, almeno in apparenza ed agli occhi del mondo. si trovò all’ora della morte così contento e consolato, che il superiore ne fu sorpreso. Pensando fosse un inganno del demonio, gli domandò donde potesse venirgli tale contentezza, sapendo benissimo che la sua vita non poteva troppo rassicurarlo, considerato che i giudizi di Dio sono così terribili, anche pei più perfetti. “È vero, Padre mio, dissegli il morente; io non ho fatto opere straordinarie, anzi quasi nulla di bene: ma ho cercato in tutta la mia vita di praticare quel gran precetto del Signore, che è quello d’amar tutti, di pensar bene di tutti, di sopportare i difetti, di scusarli, di render loro servizi; io l’ho fatto tutte le volte che n’ebbi occasione: ho procurato di non far mai male ed alcuno, di non parlar male, e di pensar bene di tutti: ecco, Padre mio, ecco quanto forma tutta la mia consolazione e speranza in questo momento, e che, malgrado le mie imperfezioni, mi dà fiducia che il buon Dio avrà pietà di me. „ Il superiore ne fu così meravigliato, che esclamò con trasporto di ammirazione: “Mio Dio! quanto questa virtù è bella e preziosa agli occhi vostri. „ — “Andate, figlio mio, disse al solitario, avete tutto fatto ed adempiuto osservando questo comandamento: andate, il cielo per voi è sicuro. „ Ah! F. M., se conoscessimo bene questa virtù, e quale ne sia il valore davanti a Dio, con quanta premura coglieremmo tutte le occasioni per praticarla, poiché essa racchiude tutte le altre, e ci assicura così facilmente il cielo! No, no, F. M., non saremo che ipocriti, finché questa virtù non accompagnerà tutte le nostre azioni. Ma, penserete tra voi, donde nasce che non abbiamo questa carità, mentr’essa ci rende felici anche in questo mondo per la pace e l’unione che regnano tra coloro che hanno la gran fortuna di possederla ? — F. M., tre cose ce la fanno perdere, cioè: l’avarizia, l’orgoglio e l’invidia. — Ditemi: perché non amate quella persona? — Ahimè! perché non ne avete alcun interesse: avrà detto qualche parola o fatto qualche cosa che non vi piacque: ovvero le avete domandato qualche favore che vi ha rifiutato: ovvero avrà fatto qualche guadagno che speravate voi: ecco ciò che vi impedisce d’amarla come dovreste. E non pensate che, finché non amerete il vostro prossimo, cioè tutti gli uomini, come vorreste essere amati voi, siete un, che se aveste a morire sareste dannato. Eppure vi piace ancora nutrire nel vostro cuore sentimenti che non son davvero caritatevoli; fuggite quelle persone; ma badate bene, amico mio, che anche il buon Dio non vi fugga. Non dimenticate che finché non amate il vostro prossimo, Dio è in collera con voi: se veniste a morire, vi precipiterebbe subito nell’inferno. Mio Dio! si può vivere coll’odio nel cuore ? Ahimè! amico mio, voi siete davvero abbominevole agli occhi di Dio, se siete senza carità. È perché vedete dei grandi difetti nel vostro vicino? Ebbene, amico mio, siate ben persuaso che ne avete anche voi; e forse più grandi agli occhi di Dio, e che non conoscete. E vero che non dobbiamo amare i difetti ed i vizi del peccatore; ma dobbiamo amare la persona; perché sebbene peccatore, non cessa d’essere una creatura di Dio, fatta a sua immagine. Se non volete amare che coloro che non hanno difetti, non amereste nessuno, perché nessuno è senza difetti. Ragioniamo, F. M., un po’ più da Cristiani: più un Cristiano è peccatore, più è degno di compassione e d’aver un posto nel nostro cuore. No, P. M., per quanto cattivi siano coloro coi quali viviamo, non dobbiamo odiarli: ma, ad esempio di Gesù Cristo, amarli più di noi stessi. Vedete come Gesù Cristo, nostro modello, si è comportato coi suoi nemici: ha pregato per loro, e per loro è morto. Chi ha indotto gli apostoli attraversare i mari, ed a finire la vita col martirio? Non fu l’amore per gli uomini? Vedete la carità di S. Francesco Zaverio, che abbandona la patria ed i beni, per andar ad abitare tra i barbari, che gli fanno soffrire quanto è possibile far soffrire ad un Cristiano, salvo la morte. Vedete S. Abramo, un solitario, che abbandona la solitudine per andare a predicare la fede in un paese, dove nessuno aveva potuto farla ricevere. Non fu la sua carità causa ch’ei fosse battuto, e trascinato per terra fino ad esservi abbandonato mezzo morto? Non poteva lasciarli nella loro cecità? Sì, senza dubbio; ma la carità, il gran desiderio di salvare quelle povere anime gli fece soffrire tutte queste ingiurie (Vita dei Padri del deserto, t. VIII, pag. 165, s. Abramo, prete e solitario). Sì, F. M., chi ha la carità non vede i difetti del fratello, ma soltanto la necessità di aiutarlo a salvar l’anima a qualunque costo. Aggiungo inoltre, che se amiamo davvero il nostro prossimo ci guarderemo dallo scandalizzarlo, o far cosa che possa distoglierlo dal bene e portarlo al male. Sì, F. M., dobbiamo amar tutti, e a tutti far del bene quanto possiamo e per l’anima e pel corpo: perché Gesù Cristo ci dice, che quando facciamo qualche bene al prossimo nel suo corpo, lo facciamo a Lui stesso: quindi, a più forte ragione, quando l’aiutiamo a salvar l’anima. Non dimentichiamo mai queste parole che Gesù Cristo ci dice nel Vangelo: “Venite, benedetti del Padre mio, ebbi fame, e mi deste da mangiare, ecc. (Matt. XXV, 34). „ Vedete la carità di san Serapione, che lasciò il suo abito per donarlo ad un povero: ne incontrò un altro, gli diede la sottoveste: non restandogli che il libro del Vangelo, va a venderlo per poter ancora dare. Un discepolo gli domandò chi l’avesse cosi spogliato. Rispose, che avendo letto nel suo libro: “Vendete, date quanto avete ai poveri, ed avrete un tesoro in cielo: perciò ho venduto anche il libro. „ Andò ancora più innanzi, diede se stesso ad una povera vedova perché lo vendesse, e ne ricavasse di che nutrire i suoi figli: e, condotto fra i barbari, ebbe la lieta sorte di convertirne buon numero. Oh! bella virtù! se avessimo la felicità di possederti, quante anime condurremmo al buon Dio!… Quando S. Giovanni l’Elemosiniere pensava a questa bella azione di S. Serapione: “Credetti, diceva a’ suoi amici, d’aver fatto qualche cosa, dando tutto il mio denaro ai poveri: ma ho riconosciuto che non ho ancora fatto nulla, perché non ho dato me stesso come il beato Serapione, che si vendé per nutrire i figli della vedova „ (Vita dei Padri del deserto, t. IV, pag. 49. S. Serapione il Sindonita). – Concludiamo, P . M., che la carità è una delle più belle virtù, e che più d’ogni altra ci assicura l’amicizia del buon Dio: colle altre virtù, possiamo essere ancora sulla strada dell’inferno: ma con la carità, che è universale, che non fuge, che ama i nemici come gli amici, che fa del bene a chi cifa del male, come a chi ci fa del bene! Chi la possiede è sicuro che il cielo è suo!… È la felicità ch’io vi auguro.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Exod XXXII: 11;13;14

Precátus est Moyses in conspéctu Dómini, Dei sui, et dixit: Quare, Dómine, irascéris in pópulo tuo? Parce iræ ánimæ tuæ: meménto Abraham, Isaac et Jacob, quibus jurásti dare terram fluéntem lac et mel. Et placátus factus est Dóminus de malignitáte, quam dixit fácere pópulo suo. [Mosè pregò in presenza del Signore Dio suo, e disse: Perché, o Signore, sei adirato col tuo popolo? Calma la tua ira, ricordati di Abramo, Isacco e Giacobbe, ai quali hai giurato di dare la terra ove scorre latte e miele. E, placato, il Signore si astenne dai castighi che aveva minacciato al popolo suo.]

Secreta

Hóstias, quǽsumus, Dómine, propítius inténde, quas sacris altáribus exhibémus: ut, nobis indulgéntiam largiéndo, tuo nómini dent honórem. [O Signore, Te ne preghiamo, guarda propizio alle oblazioni che Ti presentiamo sul sacro altare, affinché a noi ottengano il tuo perdono, e al tuo nome diano gloria.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CIII: 13; 14-15

De fructu óperum tuórum, Dómine, satiábitur terra: ut edúcas panem de terra, et vinum lætíficet cor hóminis: ut exhílaret fáciem in oleo, et panis cor hóminis confírmet.

[Mediante la tua potenza, impingua, o Signore, la terra, affinché produca il pane, e il vino che rallegra il cuore dell’uomo: cosí che abbia olio con che ungersi la faccia e pane che sostenti il suo vigore.]

 Postcommunio

Orémus.
Vivíficet nos, quǽsumus, Dómine, hujus participátio sancta mystérii: et páriter nobis expiatiónem tríbuat et múnimen.

[O Signore, Te ne preghiamo, fa che la santa partecipazione di questo mistero ci vivifichi, e al tempo stesso ci perdoni e protegga.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “SUI COMANDAMENTI DI DIO”

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sui Comandamenti di Dio.

Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo.

(Deut. VI, 5).

Perché, Fratelli miei, il Signore ci fa un precetto di amarlo con tutto il nostro cuore, cioè senza restrizioni, e come egli stesso ci ha amati, con tutta l’anima nostra e con tutte le nostre forze; promettendoci una ricompensa eterna, se saremo fedeli, ed una eterna punizione se verremo meno? Per due ragioni:

1° per mostrarci la grandezza del suo amore;

2° per farci intendere che non possiamo essere felici se non amandolo, giacché in sostanza questo amore non consiste in altra cosa che nell’adempire i suoi comandamenti. Sì, F. M., se tanti mali ci opprimono in questo mondo è perché noi violiamo i comandamenti di Dio: poiché Egli stesso ci dice: “Se voi osserverete fedelmente i miei comandamenti io vi benedirò in mille maniere; ma se li trasgredirete, sarete maledetti in ogni opera vostra (Deuter. XXVIII)„ Perciò, F. M., se vogliam o essere felici in questo mondo, almeno per quanto è possibile l’esserlo, non abbiamo altro mezzo che osservare con fedeltà i comandamenti di Dio: all’incontro, finche ci allontaneremo dal sentiero che i suoi comandamenti ci hanno segnato saremo sempre infelici nell’anima e nel corpo, in questo mondo e nell’altro. Eccovi adunque ciò ch’io intendo dimostrarvi, F. M., che la nostra felicità è legata alla nostra fedeltà nell’osservare i comandamenti che Dio ci ha dati.

I . — Se apriamo i Libri santi, F. M., troviamo che tutti coloro che si fecero un dovere di osservare con esattezza quello che i comandamenti di Dio prescrivevano furono sempre felici; perché è certissimo che il buon Dio non abbandonerà mai chi fa tutto ciò ch’Egli comanda. Il nostro primo padre, Adamo, ce ne dà un bell’esempio. Finché restò fedele nell’osservare gli ordini del Signore, fu felice sotto ogni rapporto: il suo corpo, la sua anima, il suo spirito e tutti i suoi sensi non avevano altra aspirazione che Dio: gli angeli medesimi discendevano volentieri dal cielo per tenergli compagnia. Così avrebbe continuato il benessere dei nostri progenitori, se fossero stati fedeli ai loro obblighi: ma questa felicissima condizione non durò a lungo. Il demonio, invidioso di tale felicità, li rovinò ben presto, lasciandoli privi di tutti quei beni che dovevano durare per tutta l’eternità. Da quando sventuratamente trasgredirono i comandi del Signore, tutto andò a rovescio per loro: gli affanni, le malattie, il timore della morte, del giudizio e di un’altra vita infelice presero il posto della loro prima felicità: la loro vita non fu altro che una vita di lagrime e di dolori. Il Signore disse a Mosè: “Di’ al mio popolo che se esso è fedele nell’osservare i miei comandamenti, io lo colmerò di ogni benedizione: ma se osa trasgredirli, io l’opprimerò con ogni sorta di mali.„  (Drut. XXVIII). Il Signore disse ad Abramo: “Perché tu sei fedele nel custodire i miei comandi, io ti benedirò in tutto: io moltiplicherò i tuoi figli come i grani di sabbia che sono sulla riva del mare. Benedirò tutti coloro che ti benediranno: maledirò tutti coloro che ti malediranno: dalla tua schiatta nascerà il Salvatore del mondo.„ (Gen. XXII, 16). Egli fece dire al suo popolo quando stava per entrare nella terra promessa: « I popoli che abitano questa terra hanno commesso grandi peccati: perciò voglio scacciarli per mettervi al loro posto. Ma guardatevi bene dal violare i miei comandamenti. Se voi sarete fedeli nell’osservarli vi benedirò in tutto e dappertutto. – Quando sarete nei vostri campi, nelle vostre città e nelle vostre case, benedirò i vostri figli, i quali vi ameranno, vi rispetteranno, vi obbediranno e vi daranno ogni sorta di consolazioni. Benedirò i vostri frutti ed il vostro bestiame. Comanderò al cielo di darvi la pioggia a tempo opportuno, quanta ne occorrerà per innaffiare le vostre terre ed i vostri prati: tutto vi sarà favorevole „ In altro luogo, Egli dice loro: “Se custodirete fedelmente i miei comandi, io veglierò sempre alla vostra conservazione: voi starete senza timore nelle case vostre; impedirò alle bestie feroci di nuocervi, dormirete in pace e niente potrà turbarvi. Sarò sempre in mezzo a voi. Camminerò con voi. Sarò il vostro Dio, e voi sarete il mio popolo.„ (Lev. XXVI, 3-12). Più avanti dice a Mose: “Di’ al mio popolo che se osserva bene le mie leggi, io lo libererò da tutti i mali che lo affliggono. „ E lo Spirito Santo stesso ci dice: “che colui che ha la felicità di osservare esattamente i comandi del Signore è più felice che se possedesse tutte le ricchezze della terra. „ (Ps. CXVIII, 14). – Ditemi, avreste mai pensato che il buon Dio avesse tanto a cuore di farci osservare i suoi ordini, e che ci promettesse tante ricompense se saremo abbastanza fortunati di bene osservarli? Voi converrete dunque con me che dobbiamo far consistere tutta la nostra felicità nell’osservare fedelmente i suoi comandi. Per meglio convincervi, F. M., che trasgredendo gli ordini di Dio non possiamo essere che infelici, vedete quanto successe a Davide. Finché fu fedele nel camminare per la via che i comandi di Dio gli avevano tracciata, tutto andò bene per lui: era amato, rispettato ed ascoltato dai suoi vicini. Ma dal momento in cui volle lasciare l’osservanza dei comandamenti di Dio, allora la sua felicità finì, ed ogni sorta di mali gli piombarono addosso. Le inquietudini, i rimorsi della coscienza presero il posto di quella pace e di quella calma di cui godeva: le lagrime ed il dolore furono il suo pane di tutti i giorni. Un dì in cui egli piangeva e gemeva forte sui suoi peccati, gli si annunciò che suo figlio Ammone era stato pugnalato mentr’era ubbriaco dal fratello Assalonne (II Reg, XIII, 28). Assalonne cercò perfino di soppiantare il padre suo, di insidiargli la vita per regnare in sua vece, e Davide fu costretto a nascondersi nelle foreste per sfuggire la morte (ibid. 15). La peste gli tolse un numero quasi sterminato di sudditi (ibid. XXIV). Se andate più innanzi, vedete Salomone: finché fu fedele nell’osservare i comandi di Dio, egli era la meraviglia del mondo: la sua fama giungeva fino all’estremità della terra, e, voi lo sapete, la regina di Saba venne così da lontano per essere testimonio delle meraviglie che il Signore operava in lui (II Reg. X): ma noi vediamo che quando ebbe la disgrazia di non seguire più i comandi di Dio, tutto andò male per lui. (ibid. XI). Dopo tante prove tolto dalla sacra Scrittura, converrete con me, F. M., che tutti i nostri mali provengono da questo che non osserviamo fedelmente i comandamenti di Dio, e che se vogliamo sperare qualche felicità e qualche consolazione in questo mondo (almeno quanto è possibile averne, poiché questo mondo non è altro che un intreccio di mali e di dolori), il solo mezzo di procurarci questi beni è di fare tutto quello che potremo per piacere a Dio adempiendo quanto ci ordina coi suoi comandamenti. – Ma se passiamo dall’Antico Testamento al Nuovo, le promesse non sono men grandi. Al contrario, vediamo che Gesù Cristo ce le fa tutte pel cielo, perché niente di creato è capace di accontentare il cuore di un Cristiano, il quale non è fatto che per Iddio e che Dio solo può soddisfare [Fecisti nos ad te, et ìnquietum est cor nostrum donec requiescat in te – ci facesti per Te e perché il nostro cuore riposi in Te – (S. Agost. Conf. lib. II, c. 1). Gesù Cristo ci invitavivamente a disprezzare le cose di questomondo per attaccarci soltanto a quelle delcielo, le quali non finiscono mai. Si legge nelVangelo che trovandosi Gesù Cristo un giornocon alcuni che sembravano pensar solo ai bisognidel corpo, disse loro: “Non prendetevitroppa cura di ciò che mangerete e di ciò dicui vi vestirete.„ E per far meglio comprendereloro che è ben poca cosa ciò che riguardail corpo:  “Considerate, disse, i giglidel campo: essi non tessono e non hanno curadi sé; eppure il Padre vostro celeste pensa avestirli: io vi assicuro che Salomone in tutta lasua ricchezza e la sua potenza non fu mai cosìben vestito come uno di essi. Vedete altresìgli uccelli dell’aria, essi non seminano, némietono, né raccolgono nei granai, eppure ilPadre vostro celeste ha cura di nutrirli. Uomini di poca fede, non siete voi da più diessi? Cercate prima di tutto il regno di Dio;cioè osservate fedelmente i miei comandamenti: e tutto il resto vi sarà dato con abbondanza„. (Matth. VI, 25-53). Che cosa vogliono dire queste parole, F. M.?Che ad un Cristiano il quale cerca solo di piacerea Dio e salvar l’anima propria, non mancheràmai il necessario ai bisogni del corpo.—Ma, forse mi direte, non c’è nessuno che ci aiutiquando noi non abbiamo nulla. — Anzitutto, vi dirò che ogni cosa che noi abbiamo ci viene dalla bontà di Dio, e che da noi medesimi non abbiamo nulla. Ma ditemi, F. M., come volete che Dio faccia miracoli per noi? Forse perché alcuno osa spingere la propria incredulità ed empietà fino a voler credere che Dio non esiste, cioè che non vi è Dio; forse perché altri meno empì, senza esser perciò meno colpevoli, dicono che Dio non si cura di quanto avviene sulla terra, e non si dà pensiero di cose tanto piccole? o forse perché altri non vogliono ammettere che questa grande Provvidenza dipende dall’osservanza dei comandamenti di Dio, e quindi contano appena sul loro lavoro e sulla loro fatica? Questo mi sarebbe assai facile dimostrar velo col vostro lavoro della domenica, che prova ad evidenza che non fate alcun assegnamento su Dio, ma solo su di voi e sulle vostre fatiche. Vi sono però taluni che credono a questa grande Provvidenza, ma le oppongono |una barriera in superabile coi loro peccati. Volete voi, F. M., toccar con mano la grandezza della bontà di Dio verso Je sue creature? Procurate di osservare con esattezza! “tutto quanto vi ordinano i suoi comandamenti, e sarete meravigliati di vedere come Dio si prende cura di coloro che non cercano altro che di piacergli. Se ne volete le prove, F. M. aprite i Libri santi, e ne sarete perfettamente convinti. Leggiamo nella S. Scrittura che il profetaElia fuggendo la persecuzione della regina Gezabele, si nascose in un bosco. Il Signore lo lascerà morir di fame, là, sprovvisto d’ogni soccorso umano? No, di certo, F. M., il Signore dall’alto de’ cieli non toglie lo sguardo dal suo servo fedele. Quindi gli manda un Angelo celeste per consolarlo e portargli quanto gli occorre per nutrirsi (II Reg. XIX). Vedete la cura che ha il Signore di nutrire la vedova di Sarepta. Egli dice al suo Profeta: Va a trovare quella buona vedova, che mi serve ed osserva con fedeltà i miei comandamenti: tu moltiplicherai la sua farina, perché non abbia a soffrire la fame.„ (ibed. XVII, 14) Vedete come ordina all’altro profeta Abacuc di portar da mangiare ai tre fanciulli che erano stati settati nella fornace di Babilonia (Il profeta Abacuc fu mandato non ai tre fanciulli che erano nella fornace di Babilonia, ma bensì a Daniele chiuso nella fossa dei leoni. Dan. XIV, 38). Se passate dall’antica alla nuova Legge, le meraviglie che il buon Dio opera per coloro che osservano i suoi comandamenti non sono meno grandi. Vedete come Egli nutre migliaia di persone con cinque pani e due pesci (Matt. XIV, 19): e lo si comprende; costoro cercavano anzitutto il regno di Dio e la salute delle loro anime seguendo Gesù Cristo. — Vedete come si prende cura dì nutrire S. Paolo eremita, per quarant’anni, servendosi d’un corvo: prova ben chiara questa che Dio non perde mai di vista chi lo ama per fornirlo del necessario. Quando S. Antonio andò a trovare S. Paolo Dio mandò doppia quantità di cibo (Vita dei Padri del deserto, t. I, pag. 21). O mio Dio! Quanto amate quelli che vi amano! quanto avete paura che abbiano a soffrire! Ditemi, F. M., chi comandò al cane di portare ogni giorno la piccola provvista a S. Rocco nel bosco? Chi ordinò alla capra di offrire tutti i giorni il suo latte al bambino di Genoveffa di Brabante nella sua solitudine? Non è forse, F. M., il Signore? E perché, F. M., Dio si prende tanta cura di nutrire tutti questi santi, se non perché erano fedeli nell’osservanza di tutti i comandamenti che Egli ha dato? Sì, F. M., possiamo dire che i santi facevano consistere tutta la loro felicità nell’osservanza dei comandamenti di Dio, e che avrebbero sofferto ogni sorta di tormenti, piuttosto che violarli: possiamo dire altresì che tutti i martiri furono tali perché non vollero trasgredire i comandamenti di Dio. Infatti, domandate a S. Regina perché sopportò tanti tormenti, il più acerbo dei quali fu che suo padre le era carnefice? Carnefice crudele che la fece appendere pei capelli ad un albero, e percuotere con verghe finché il suo povero corpicciuolo innocente fu tutto una piaga. Dopo queste crudeltà, che fecero fremere persino i pagani presenti, la fece condurre in prigione, nella speranza che si piegherebbe ai suoi voleri. Vedendola irremovibile, la fece ricondurre presso lo stesso albero, e fattala come la prima volta attaccare pei capelli, ordinò che fosse scorticata viva. Quando la pelle fu staccata dal suo corpo, la fece gettare in una caldaia d’olio bollente, dove senza pietà alcuna la osserva abbrustolire. Mi domandate, F. M., perché sopportò ella tante crudeltà? Ah! eccolo. Perché non volle trasgredire il sesto comandamento di Dio, che proibisce ogni impurità. (Ribadeneira, Vita di s. Regina Martire e Vergine, 7 sett.)  — Perché la casta Susanna, non volle acconsentire ai desiderii di due vecchi infami, preferendo piuttosto la morte? (Dan. XIII) Non fu per la medesima ragione? Perché il casto Giuseppe fu screditato, calunniato presso Putifar, suo padrone, e messo in prigione (Gen. XXXIX)? non fu ancora per lo stesso motivo ? Perché S. Lorenzo si lasciò stendere sopra i carboni accesi? Non fu perché non volle trasgredire il primo comandamento della legge di Dio, che ci ordina di adorare Dio solo e di amarlo più di noi stessi? Sì, F. M., se noi scorriamo un po’ i libri che contengono gli atti dei santi, troviamo gli esempi meravigliosi della fedeltà loro nell’osservare i comandamenti di Dio, e vediamo che essi, piuttosto che mancavi preferirono soffrire tutto quanto i carnefici poterono inventare.Leggiamo nella storia dei martiri del Giappone che l’imperatore fece arrestare in una sol volta 24 Cristiani a cui si fece quanto poté suggerire la rabbia dei pagani. I martiri si dicevano a. vicenda: “Badiamo di non violare i comandamenti di Dio per obbedire all’imperatore, facciamoci coraggio; il cielo vale bene alcune sofferenze che durano pochi istanti; speriamo fermamente, ed il buon Dio, pel quale vogliamo soffrire, non ci abbandonerà. ,, Quando furono condotti al luogo dell’interrogatorio, colui che ve li aveva guidati, facendo l’appello e credendo che mancasse alcuno, gridò ad aita voce: “Matteo, dov’è Matteo? „ Un soldato che da lungo tempo desiderava dichiararsi Cristiano, esclamò: “Eccomi, del resto che importa l’individuo? Anch’io mi chiamo Matteo e sono Cristiano  come l’altro. „ Il giudice infuriato gli domandò se diceva sul serio. ” Sì, rispose il soldato, da molto tempo professo la religione cristiana e spero di non lasciarla: io non desideravo che il momento di professarla pubblicamente.„ Subito il giudice lo fece mettere nel numero dei martiri. Egli ne fu così contento che spirò di gioia, prima di morire fra i tormenti. Nel numero di quei martiri vi era un fanciullo di dieci anni. Il giudice vedendolo così giovane non volle per un po’ iscriverlo tra quelli che dovevano morire per Gesù Cristo. Il fanciullo era inconsolabile nel vedersi privato di sì grande fortuna: protestò così energicamente che mai avrebbe mutato pensiero e che sarebbe morto nella sua religione, e tanto fece che obbligò, per così dire, il giudice a metterlo nel numero dei martiri. Ne provò allora tanta gioia che sembrava fuori di sé: voleva sempre essere il primo, rispondere sempre per tutti: avrebbe voluto avere il cuore di tutti gli uomini per sacrificarli tutti a Gesù Cristo. Un signore pagano, avendo saputo che il fanciullo era destinato a morire con gli altri Cristiani, ne fu mosso a compassione. Andò egli stesso dall’imperatore per pregarlo di aver pietà del fanciullo, dicendo ch’egli non sapeva ciò che si facesse. Il fanciullo, che l’intese, si voltò a lui, dicendogli: “Signore, tenete per voi la vostra compassione: pensate invece a farvi battezzare ed a far penitenza, se no andrete ad abbruciare coi demoni. „ Questo signore, vedendolo così risoluto a morire, lo lasciò i n pace. Il fanciullo, trovandosi presente quando fu letta la sentenza che ordinava fossero loro tagliate le orecchie ed il naso, e venissero condotti su carri attraverso la città per ispirare maggior orrore per la religione cristiana, e perché i pagani li colmassero di ingiurie, ne provò tanta gioia che sembrava gli fosse stato annunciato il possesso di un regno. Gli stessi pagani erano sorpresi che un ragazzo così giovane avesse tanto coraggio, e provasse tanta gioia di morire pel suo Dio. Essendo venuti i carnefici per eseguire gli ordini dell’imperatore, tutti quei santi martiri si presentarono per farsi mutilare con tanta tranquillità e gioia, come se fossero stati condotti ad un festino. Si lasciarono tagliare il naso e le orecchie con la stessa calma come se avessero loro reciso un lembo di vestito. Il loro povero corpo era coperto di sangue e metteva orrore anche ai pagani presenti, che di tanto in tanto si udivano gridare: “Oh! quale crudeltà! quale ingiustizia far tanto soffrire chi non ha fatto alcun male! Vedete, si dicevano gli uni gli altri, vedete qual coraggio dà loro la religione che professano. „ Ogni volta che venivano interrogati rispondevano soltanto che erano Cristiani; che sapevano di dover soffrire e morire, ma giammai avrebbero trasgrediti i comandamenti del loro Dio, perché facevano consistere tutta la loro felicità nell’esservi fedeli. Ahimè! poveri martiri! Condotti per la città su carri, il loro corpo era tutto grondante sangue: le pietre ne erano macchiate, e la terra pure tutta irrorata del sangue che colava in abbondanza dalle loro ferite. Poiché la loro sentenza li condannava a morire crocifissi, colui che li aveva condotti la prima volta ne fece la ricognizione. Ciò che lo commosse assai fu la vista di quel fanciullo di dieci anni. Gli si avvicinò dicendogli: “Figliuol mio, sei ben giovane; è troppo duro morire in età così tenera: se vuoi, m’incarico io di ottenere per te la grazia presso l’imperatore ed anche una grande ricompensa.„ Il fanciullo, sentendolo così parlare, sorrise, dicendogli che lo ringraziava tanto: ma che conservasse tutte per sé le sue ricompense, giacché egli non poteva sperarne per l’altra vita: per conto suo egli disprezzava tutto ciò come cosa troppo da poco; il solo suo timore era di non avere la fortuna di morire, anch’egli come gli altri martiri, per Gesù Cristo. — La madre sua, presente a tutto era inconsolabile, sebbene cristiana, di vedere il figliuol suo morire sulla croce. Il fanciullo, vedendola così desolata, la chiamò vicino, dicendole ch’era poco edificante che una madre cristiana piangesse tanto la morte di un figlio martire, come se non conoscesse tutto il valore di un tal sacrificio: avrebbe anzi dovuto incoraggiarlo e ringraziare il buon Dio di sì grande favore. Questo figlio di benedizione, un momento prima di morire, disse cose così belle e commoventi sulla felicità di coloro che muoiono per Gesù Cristo, che i pagani al pari dei Cristiani piangevano tutti. Quando s’avvicinò alla croce, prima di esservi appeso l’abbracciò, la baciò, la bagnò di lagrime, tanta era la gioia che sentiva sapendo che davvero stava per morire pel suo Dio. Quando furono tutti confitti sulle croci s’intese un coro di Angeli che cantavano Laudate, pueri, Domìnum nella loro musica celeste: e li udirono pure tutti i pagani. Quale spettacolo! F. M., il cielo ammirato! la terra meravigliata! gli astanti piangenti, ed i martiri giubilanti perché abbandonano la terra, cioè tutte le sofferenze e le miserie della vita, per andare a prendere possesso d’una felicità che durerà quanto Dio stesso, eternamente. Ebbene! F. M., ditemi: chi indusse questi martiri a perseverar tanto nei patimenti? Non fu perché non vollero venir meno ai comandamenti di Dio? Qual vergogna per noi, F. M., quando Gesù Cristo ci confronterà con loro! noi che sì spesso un semplice rispetto umano, un maledetto che cosa si dirà? ci fa arrossire, o piuttosto ci fa sconfessare d’esser Cristiani per metterci nel numero dei rinnegati.

II. — Ma esaminiamo la cosa un po’ più da vicino, F. M., e vedremo che se il buon Dio ci ordina di osservare fedelmente i suoi comandamenti, questo Egli fa solo per nostro bene. Ci dice Egli stesso che sono facili da adempiere (Joan. V, 3), e che se li osserviamo vi troveremo la pace delle anime nostre (Ps. CXVIII, 165). Se nel primo comandamento Dio ci ordina di amarlo, di pregarlo e di non attaccarci che a Lui, e se dobbiamo pregarlo sera e mattina e spesso durante la giornata, ditemi, F. M., non è questa la più grande delle fortune per noi, che il buon Dio ci. permetta di presentarci tutte le mattine davanti a Lui, per domandargli le grazie che ci sono necessarie per passare santamente la giornata? Non è un favore che ci fa? e questo favore che Dio ci fa ogni mattina, non rende tutte le nostre azioni meritorie pel cielo? non fa sì che le troviamo meno dure? Se questo medesimo comandamento ci ordina di amare Dio solo e di amarlo con tutto il nostro cuore, non è perché sa che Egli solo può contentarci e renderci felici in questo mondo? Vedete una casa ove non si vive che per Iddio: non è un piccolo paradiso? Convenite dunque con me, F. M., che questo precetto è davvero dolce e consolante per chi ha la fortuna d’osservarlo con fedeltà. Se passiamo al secondo, che ci proibisce ogni giuramento, ogni bestemmia, ogni imprecazione e maledizione e qualsiasi sfogo di collera, raccomandandoci la dolcezza, la carità e la cortesia con tutti quelli che ci avvicinano, ditemi, F. M., chi sono i più felici: coloro che si lasciano andare a questi eccessi di collera, di furore e di maledizioni, o coloro che in tutto ciò che fanno o dicono, mostrano padronanza del loro spirito, e si studiano continuamente di fare la volontà degli altri? Vediamo pertanto che questo comandamento contribuisce a render felici noi e quelli che vivono con noi. – Se veniamo al terzo, che ci ordina di santificare la Domenica, lasciando ogni lavoro servile per non occuparci che di ciò che riguarda il servizio di Dio e la salute dell’anima nostra, ditemi, F. M., non è esso pure pel nostro bene? giacché cessando di lavorare per questo mondo, che è nulla e nel quale viviamo brevissimo tempo, e consacrandoci alla preghiera e a fare opere buone, accumuliamo pel cielo un tesoro che non perderemo mai, e attiriamo sul lavoro di tutta la settimana ogni sorta di benedizioni? Non è questo un mezzo per la nostra felicità? Questo medesimo comandamento ci ordina altresì di impiegare questo santo giorno a piangere i nostri peccati della settimana, purificarcene con la virtù dei Sacramenti: e non è questo, F. M.,s forzarci, per così dire, a cercare il nostro bene, la nostra beatitudine, la nostra felicità eterna? Non siamo noi più contenti quando abbiamo passato bene il santo giorno di Domenica occupati a pregare Iddio, che non se avessimo avuto la disgrazia di passarlo nei piaceri, nei giuochi e nei disordini? Il terzo comandamento adunque non è che consolante e vantaggioso per noi. – Se passiamo al quarto, che ordina ai figli di onorare i loro genitori, di amarli, rispettarli, aiutarli e procurar loro tutto il bene che possono; ditemi: non è questa una cosa giusta e ragionevole? I genitori hanno fatto tanto per i loro figli! non è ragionevole che questi li amino, e diano loro tutte le consolazioni possibili? Se questo comandamento fosse ben osservato, le famiglie non sarebbero un piccolo paradiso pel rispetto, l’amore che i figli avrebbero per i loro genitori? E se questo medesimo comandamento ordina ai genitori d’aver cura delle anime dei loro figli, e dice loro che un giorno ne renderanno conto rigoroso, non è questa una cosa giusta, poiché queste anime hanno costato tanto a Gesù Cristo per salvarle, ed esse saranno la gioia e la gloria dei genitori durante tutta l’eternità? Se questo medesimo comandamento ordina ai padroni ed alle padrone d’aver gran cura dei loro dipendenti, di considerarli come loro figli, questi padroni non devono stimarsi felici di poter favorire la salvezza di anime che hanno costato tanti tormenti ad un Dio fattosi uomo per noi? Dirò ancor di più, F. M., se questo comandamento fosse bene osservato, il cielo non discenderebbe sulla terra per la pace e felicità che vi si godrebbe? – Venendo poi al quinto, che ci proibisce di danneggiare il nostro prossimo nei suoi beni, nella riputazione e nella persona, non è cosa più che giusta, poiché dobbiamo amarlo come noi stessi; ed una cosa insieme assai vantaggiosa per noi, poiché Gesù Cristo ci dice che mai chi detiene roba d’altri entrerà in cielo? Voi vedete che questo comandamento non ha niente di duro, poiché con esso ci assicuriamo il cielo. – Se passiamo al sesto comandamento, che ci proibisce ogni impurità nei pensieri, nei desiderii e nelle azioni: non è per la nostra pace e felicità che il buon Dio ci proibisce tutte queste cose? Se abbiamo la disgrazia di abbandonarci a qualcuno di questi infami peccati, la nostra povera anima non è come in un inferno? non ne siete voi tormentato giorno e notte? D’altra parte, il vostro corpo e l’anima vostra non sono destinati ad essere la dimora della Ss. Trinità, non debbono, aggiungo, passare l’eternità con gli Angeli, vicino a Gesù Cristo che è la stessa purità? Vedete adunque che questo comandamento non ci è dato che pel nostro bene e per la nostra felicità anche in questo mondo? Se il buon Dio ci dice, F. M., per la bocca della sua Chiesa: “Vi  comando di non lasciar passare più di un anno senza confessarvi, „ ditemi: questo comandamento non ci mostra la grandezza dell’amor di Dio per noi? Ditemi: quand’anche la Chiesa non avesse fatto questo precetto, si può viver tranquilli col peccato nel cuore ed il cielo chiuso per noi, esposti a piombare ad ogni istante nell’inferno? Se il buon Dio ci comanda di accostarci a riceverlo a Pasqua, ahimè! F. M., può forse un’anima vivere, cibandosi una volta sola all’anno? Mio Dio, quanto poco conosciamo il nostro bene, il nostro interesse! – Se la Chiesa ci ordina di non mangiar carne, di digiunare in certi giorni, è forse una cosa ingiusta, mentre, peccatori come siamo, dobbiamo necessariamente far penitenza in questo mondo o nell’altro? E non è questo un cambiare con piccole pene o privazioni i tormenti ben più rigorosi dell’altra vita? Non converrete dunque con me, F. M., che se il buon Dio ci ha fatto dei comandamenti e ci obbliga di osservarli, non è che per renderci felici in questo mondo e nell’altro? Di modo che, F. M., se vogliamo sperare delle consolazioni e dei conforti nelle nostre miserie, non le troveremo che osservando con fedeltà gli ordini di Dio: e finché li violeremo, saremo infelici, anche in questo mondo. Sì, F. M., quand’anche alcuno fosse padrone di mezzo mondo, se non fa consistere tutta la sua felicità nel ben osservare i comandamenti di Dio, egli non sarà che uno sventurato. – Vedete, F . M., quale dei due era più felice: S. Antonio nel deserto, datosi a tutti i rigori della penitenza, o Voltaire con tutti i suoi beni e piaceri, come dice san Luca, nell’abbondanza e nella crapula (Luc. XXI, 34). S. Antonio vive felice, muore contento, ed ora gode una felicità che non finirà mai più: mentre l’altro vive infelice con tutti i suoi beni, muore disperato ed ora, secondo ogni apparenza, senza volerlo giudicare, soffre qual riprovato. Perché, F. M., questa grande differenza? Perché l’uno fa consistere tutta la sua felicità nell’osservare fedelmente la legge di Dio, e l’altro mette tutte le sue cure nel violarla, e farla disprezzare: l’uno nella povertà è contento, l’altro nell’abbondanza è miserabile: il che ci mostra, F. M., che Dio solo e nessun’altra cosa può farci paghi. Vedete la felicità che godiamo se osserviamo fedelmente i comandamenti di Dio; poiché leggiamo nell’Evangelo che Gesù Cristo disse: “Chi osserva i miei comandamenti mi ama, echi mi ama sarà amato dal Padre mio: noi verremo a lui e in lui porremo la nostra dimora. „ (Giov. XIV, 23). Vi può essere fortuna più grande, egrazia più preziosa? osservando i comandamenti di Dio, attiriamo in noi tutto il cielo. Il santo re Davide aveva ben ragione d’esclamare: “O mio Dio, quanto sono felici coloro che vi servono!„ (Ps. CXVIII, 1). Vedete inoltre come Dio benedice le case di coloro che osservano le sue leggi. Leggiamo nell’Evangelo che il padre e la madre di S. Giovanni Battista osservavano i comandamenti cosi perfettamente che nessuno poteva rimproverar loro il minimo fallo (Luc. I, 6): perciò Dio in ricompensa diede loro un figliuolo che fu il più grande di tutti i Profeti. Un Angelo venne dal cielo per annunciar loro la lieta novella: l’eterno Padre gli diede il nome di Giovanni, che vuol dire, figlio di benedizione e di felicità. Appena Gesù Cristo fu concepito nel seno di Maria, andò in persona in quella casa, per spandervi ogni sorta di benedizioni. Santificò il bambino prima ancora che fosse nato, e riempì il padre e la madre di Spirito Santo. (Luc. I, 39). Volete, F. M., che il buon Dio vi visiti e vi colmi di ogni benedizione? procurate di mettere ogni vostra cura nell’osservare i comandamenti di Dio, e tutto andrà bene in casa vostra. – Leggiamo nel Vangelo che un giovane domandò a Gesù Cristo che cosa dovesse fare per avere la vita eterna. Il Salvatore gli rispose: “Se vuoi avere la vita eterna, osserva con fedeltà i miei comandamenti.„ (Matt. XIV, 19). Nostro Signore trattenendosi un giorno coi suoi discepoli sulla felicità dell’altra vita disse che è assai stretta la strada che conduce al cielo, che ben pochi la cercano davvero, e, fra quelli che la trovano, ben pochi la seguono. “Non tutti quelli che dicono: Signore, Signore, saranno salvi, ma solo quelli che fanno la volontà del Padre mio, custodendo i miei comandamenti. Molti diranno nel giorno del giudizio: “Signore, noi abbiamo profetato in vostro nome, abbiamo scacciato i demoni dal corpo degli ossessi, ed abbiamo fatto grandi miracoli.„ Ed io risponderò loro: “Ritiratevi da me, artefici d’iniquità. Voi avete fatto grandi cose: ma non avete osservato i miei comandamenti: non vi conosco.„ (Matt., VII, 14-23) Gesù Cristo disse al discepolo prediletto: “Sii fedele fino alla fine, e ti darò la corona di gloria.„ (Apoc. II, 10). Vedete dunque, F. M., che la nostra salute è assolutamente attaccata ai comandamenti di Dio. Se vi agita il dubbio intorno alla vostra salvezza, prendete i comandamenti di Dio, e confrontateli colla vostra condotta. Se vedete che camminate per la via che essi vi hanno tracciata, non pensate ad altro che a perseverare: ma se vivete in maniera affatto opposta, avete ragione di inquietarvi; voi vi dannerete senza fallo. (Prov. XV, 15).[S. Girolamo. Risposta ad una domanda che gli rivolse una dama romana per sapere se si sarebbe salvata – Nota del Beato).

III. — Se vogliamo avere la pace dell’anima dobbiamo osservare i comandamenti di Dio, perché lo Spirito Santo ci dice che chi ha la coscienza pura è come in una festa continua. (Act. XXVI, 29). È certissimo, F. M., che chi vive secondo le leggi di Dio è sempre contento, e di più nulla lo può turbare. S. Paolo (II Cor. VII, 14) 3 ci dice che era più felice e contento nella sua prigione, tra i suoi patimenti, le sue penitenze e la sua povertà, che i suoi carnefici nella libertà, nell’abbondanza e nelle gozzoviglie: che la sua anima era piena di tanta gioia e consolazione, che traboccava da ogni parte. S. Monica ci dice d’aver vissuto sempre contenta, sebbene fosse frequentemente maltrattata da suo marito, che era pagano. (S. Aug. Conf. IX, IX). S. Giovanni della Croce dice di aver passato i giorni più felici di sua vita proprio quando aveva maggiormente sofferto. ” Ma, al contrario, dice il profeta Isaia, chi non vive secondo le leggi del Signore non sarà né contento né felice. La sua coscienza sarà simile ad un mare agitato da furiosa tempesta, le inquietudini ed i rimorsi lo seguiranno dappertutto.„ Se costoro vi dicono che sono in pace, non credete, mentiscono, perché il peccatore non avrà mai pace (Isa. LVII, 20). Vedetene la prova, F. M., in Caino. Dacché ebbe la sventura di uccidere il fratello Abele, il suo peccato f u per tutta la vita il carnefice dell’anima sua, non l’abbandonò mai sino alla morte, per trascinarlo poi nell’inferno (Gen. IV, 14). Vedete i fratelli di Giuseppe (Gen. XLII). Vedete anche Giuda: dopo aver venduto il suo divin Maestro, si sentì così tormentato dai rimorsi, che s’appiccò ad un fico; tanto gli pesava la vita (Matt. XXV, 5). Leggiamo nella storia che un giovane in un eccesso di furore, uccise il padre suo. Il suo peccato non gli die’ più pace né dì né notte. Gli sembrava udir suo padre gridargli: “Ah! figlio mio, perché mi hai tu ucciso?„ Andò egli stesso a denunciarsi perché lo facessero morire, pensando che l’inferno non sarebbe stato più duro di quel rimorso. Ahimè! F. M., se abbiamo la disgrazia di non osservare i comandamenti di Dio, mai saremo contenti, anche possedendo le maggiori ricchezze. Vedete Salomone, ecc. Ma, cosa strana, F. M., l’uomo può ben essere tormentato dai rimorsi e conoscere i rimedi che occorrono per avere la pace col suo Dio e con se stesso; egli preferisce cominciare quaggiù il suo inferno, piuttosto che ricorrere ai rimedi che Gesù Cristo gli ha preparato. Siete ben infelice, amico mio, ma perché volete restare in questo stato ? Ritornate a Gesù Cristo, e ritroverete quella pace dell’anima, (Matt. XI, 29). che i vostri peccati vi hanno rapita.

IV. — Dico inoltre, F. M., che se non osserviamo i comandamenti della legge di Dio saremo infelici per tutti i giorni di nostra vita. Vedetene la prova in Adamo. Dopo il peccato il Signore gli disse: “Poiché tu hai violata la mia legge, la terra sarà maledetta per te, non produrrà da sola che triboli e spine. Mangerai il tuo pane col sudore della tua fronte, e questo per tutti i giorni di tua vita.„ (Gen. III, 17-19) Vedete Caino: il Signore gli disse: ” Caino, il sangue di tuo fratello grida vendetta; andrai errante, vagabondo, fuggitivo per tutti i giorni di tua vita (Gen. IV, 10-12).„ Vedete altresì Saul … Sicché, F. M., dall’istante in cui cessiamo di eseguire ciò che i comandamenti di Dio impongono, dobbiamo aspettarci ogni sorta di mali spirituali e temporali. Padri e madri, volete voi esser felici? Cominciate ad osservar bene i comandamenti della legge di Dio voi stessi, per poter offrirvi come modelli ai vostri figli ed aver sempre diritto di dir loro: “Fate come me. „ Se volete che facciano bene la loro preghiera, datene ad essi l’esempio. Volete che siano raccolti e devoti in chiesa? Datene loro l’esempio: teneteli al vostro fianco. Volete che osservino il santo giorno di Domenica? cominciate a santificarlo voi stessi. Volete che siano caritatevoli? siatelo voi anzi tutto. Ahimè! F. M.; se tanti mali ci opprimono, cerchiamone la ragione soltanto nella moltitudine dei peccati che commettiamo, trasgredendo i comandamenti di Dio. Compiangiamo, F. M., quelli che verranno alcuni secoli dopo di noi. Ahimè, lo stato di cose sarà peggiore, peggiore assai! Vogliamo, F. M., che Dio cessi di castigarci? cessiamo di offenderlo: facciamo come i santi che hanno tutto sacrificato piuttosto che violare le sue sante leggi. Vedete S. Bartolomeo e S. Regina che furono scorticati vivi per non aver voluto offender Dio. Vedete S. Pietro e S. Andrea che furono confitti ad una croce. Vedete quelle turbe di martiri che hanno sopportato mille tormenti per non trasgredire i comandamenti. Vedete tutte le lotte che hanno sostenuto i santi Padri del deserto contro il demonio e le loro inclinazioni. Trovandosi S. Francesco d’Assisi su d’una montagna a pregare, gli abitanti dei dintorni vennero a supplicarlo di liberarli colle sue preghiere da una quantità di belve feroci che divoravano tutto ciò che essi possedevano. Il santo disse loro: “Figli miei, tutto questo deriva dall’aver voi violato i comandamenti della legge di Dio: ritornate a Dio e sarete liberati.„ Infatti, appena ebbero cambiato vita, furono liberati. Parimente, finendo, dico che se vogliamo che i nostri mali spirituali e temporali finiscano, dobbiamo cessare di offendere Dio: di trasgredire i suoi comandamenti. Cessate, F. M., di dare il cuore, lo spirito e fors’anche il corpo all’impurità. Cessate di frequentare i giuochi, le osterie, i luoghi di divertimento. Cessate il lavoro in Domenica. Cessiamo di star lontani dai Sacramenti. Cessiamo, F. M., di considerare cosa da nulla il violare le leggi del digiuno e dell’astinenza: abbandoniamo la via che seguono i pagani, ai quali i comandamenti sono ignoti. Cerchiamo il nostro vero benessere, che non può trovarsi che in Dio solo, osservando fedelmente i suoi precetti. Cessiamo, F. M., di faticare a prepararci la nostra sventura per tutta l’eternità. Ritorniamo a Dio, ricordiamoci che siamo Cristiani e che, per conseguenza, dobbiamo combattere le nostre inclinazioni cattive ed il demonio, fuggire il mondo ed i suoi piaceri, vivere nelle lagrime, nella penitenza ed umiltà. Diciamo come il santo re Davide: “Sì, mio Dio, io mi sono allontanato dai vostri comandamenti eoi miei peccati; ma, aiutatemi, ritornerò a voi con le lagrime e con la penitenza, e camminerò tutti i giorni della mia vita nella via dei vostri comandamenti, che mi condurranno fino a Voi, per non perdervi mai più. „ Felice, F. M., colui che imiterà questo santo re, il quale tornato a Dio, non lo abbandonò mai più! Ecco, F. M., quanto vi auguro…

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO XII – “MEMINISSE JUVAT”

Era passata da poco una terribile guerra mondiale, c’era la guerra fredda, si approntavano micidiali armi atomiche, tutto il mondo era in subbuglio, la Chiesa perseguitata in Europa orientale e in estremo Oriente, i comunisti atei anticristiani imperversavano nelle America, in Occidente, un quadro allarmante, ma il Santo Padre S. S. Pio XII, invita tutti alla concordia invocando l’aiuto della Vergine Maria. Oggi la situazione è ancora peggiore, con l’inferno scatenato in tutti gli ambiti, i precursori dell’anticristo in azione con la bestia mondialista ed i falsi profeti ingannatori travestiti da sacerdoti della Chiesa di Cristo, la Chiesa Cattolica Romana eclissata nel “deserto” delle catacombe, due zombi usurpanti vestiti di bianco, uno paravento dell’altro, il Vicario di Cristo impedito, per non dire peggio. Ma le parole della Meminisse iuvat risuonano ancora con una forza divina, forza che come sempre stroncherà le armate del male, compatte e coalizzate, ma come al solito, di corta memoria … ricordate: “non prævalebunt” e “Ipsa conteret caput tuum”? Queste parole si sono sempre avverate, e questa volta la vittoria sarà ancor più schiacciante ed eclatante, definitiva! Poveri illusi, oggi apparentemente vincenti … banchieri, governanti, capi di conventicole infami, falsi scienziati, medici assassini e dall’anima venduta per un vile bonifico, servi delle comunicazioni, affaristi, giudici e magistrati venduti, gaudenti, falsi e corrotti ministri della sinagoga di satana, tutti falsi ed infami … tutti, tutti … non ce n’è neppure uno – come recita il Salmo XIII -, filosofi e scrittori azzeccagarbugli, artisti di ogni risma, … tutti concordi contro Dio, il suo Cristo e la sua Chiesa: pensate forse che il Signore dorma e vi lasci fare per sempre, o che mai vi giudicherà? Leggete l’Apocalisse e saprete qual fine vi aspetta … le piaghe, i “guai”, la prostituta bruciata, ed infine il premio tanto da voi agognato: lo stagno di fuoco e di zolfo dove finirete con il vostro capo, lucifero, quello che chiamate pomposamente “signore dell’universo”, adorato nei riti satanici del Novus ordo, che in eterno si delizierà con voi. A quelli del pusillus grex tocca pure l’impegno di pregare per loro, oltre che pazientare, soffrire ed essere martirizzati se il Signore li rende degni di tanto onore. Ma consoliamoci con lo scritto, l’ultima Enciclica di un Papa vero liberamente operante,,,

«Meminisse iuvat»

Pubbliche preghiere nella novena dell’Assunta

Ci sembra opportuno ricordare che, quando nuovi pericoli minacciavano il popolo cristiano e la Chiesa, sposa del divino Redentore, Noi, come nei secoli scorsi già i Nostri predecessori avevano fatto; ci rivolgemmo supplichevoli alla vergine Maria, nostra amorevolissima Madre, ed invitammo tutto il gregge affidatoCi, ad abbandonarsi fiduciosamente alla sua protezione. E mentre il mondo era funestato da guerra spaventosa, abbiamo fatto di tutto per esortare alla pace città, popoli e nazioni, e per richiamare gli animi dilaniati dalle contese, al mutuo accordo nel nome della giustizia e dell’amore; né ci limitammo a questo vedendo che venivano a mancarCi i mezzi umani e le umane risorse, con diverse Lettere ammonitrici indicendo come una santa gara di preghiere, invocammo l’aiuto celeste mediante la potente intercessione della gran Madre di Dio, al cui Cuore immacolato consacrammo con Noi tutta l’umana famiglia. – Al momento presente, se finalmente si è quietato l’urto guerresco dei popoli, non regna tuttavia ancora la giusta pace, né gli uomini la vedono consolidarsi in fraterna intesa; serpeggiano infatti latenti germi di discordia, che di tratto in tratto minacciosamente erompono, e tengono gli animi in ansiosa trepidazione. tanto più che le spaventose armi, scoperte ora dall’ingegno umano, sono di sì immane potenza da travolgere e sommergere nell’universale sterminio non solo i vinti, ma altresì i vincitori e l’umanità intera.

I.

Ma se esaminiamo con animo pensoso le cause di tanti pericoli, presenti e futuri, facilmente vediamo che le decisioni, le forze e le istituzioni degli uomini sono inevitabilmente destinate a venir meno, qualora l’autorità di Dio — che illumina le menti con i suoi comandi e i suoi divieti, che è principio e garanzia, fonte della verità e fondamento delle leggi – o venga trascurata, o non collocata al suo giusto posto, o addirittura soppressa. Ogni casa, che non poggi su una base solida e sicura, crolla; ogni intelligenza, che non sia illuminata dalla luce di Dio, più o meno si allontana dalla pienezza della verità; sorgono le discordie, aumentano, si accrescono, se la carità fraterna non infervora i cittadini, i popoli e le nazioni. – Orbene, soltanto la Religione Cristiana insegna questa verità piena, questa giustizia perfetta, e questa carità divina, che elimina odi, animosità e lotte; essa sola, infatti, le ha ricevute in custodia dal divino Redentore, via verità e vita (cf. Gv XIV, 6). e con tutte le forze deve farle mettere in pratica. Non vi è dubbio allora che coloro i quali vogliono deliberatamente ignorare la Religione Cristiana e la Chiesa Cattolica, oppure si sforzano di ostacolarle, misconoscerle, sottometterle, indeboliscono di per ciò stesso le basi della società, o ve ne sostituiscono altre, che assolutamente non possono reggere l’edificio dell’umana dignità, libertà e benessere. – È necessario, pertanto, ritornare ai precetti del Cristianesimo, se si vuole formare una società solida, giusta ed equa. È dannoso, è imprudente venire a conflitto con la Religione Cristiana, la cui perenne durata è garantita da Dio e provata dalla storia. Si rifletta che uno stato, senza la Religione, non può avere dirittura morale, né ordine. Essa, infatti, fa sì che gli animi siano formati alla giustizia, alla carità, all’obbedienza delle giuste leggi; condanna e proscrive il vizio; induce i cittadini alla virtù, anzi regge e regola la loro condotta pubblica e privata; insegna che la miglior distribuzione della ricchezza non si ottiene con la violenza e la rivoluzione, ma con giuste norme, talché il proletariato, che non abbia ancora i mezzi necessari e opportuni di vita, può essere elevato a una più decorosa condizione, con felice soluzione delle contese sociali; in tal modo essa porta un validissimo contributo al buon ordine e alla giustizia benché non sia stata istituita unicamente per procurare e accrescere gli agi della vita. – Ripensando pertanto a tali cose con quella disposizione d’animo, che Ci pone al disopra degli umani contrasti, e che Ci fa paternamente amare i popoli di tutte le stirpi, due cose Ci stanno innanzi, e Ci procurano intense angustie e preoccupazioni. Vediamo, infatti, da un lato, che in non pochi paesi, i preecetti cristiani e la Religione Cattolica non sono tenuti nella necessaria considerazione. Folle di cittadini, specialmente del popolo meno istruito, sono attratte con facilità da errori ampiamente divulgati, e spesso rivestiti dall’apparenza della verità: le lusinghe e gli incentivi del vizio, che turbano con influssi nefasti gli animi, per mezzo di pubblicazioni di ogni genere, di spettacoli cinematografici e televisivi, corrompono specialmente l’incauta gioventù. Molti scrivono e diffondono le loro opere non per servire la verità e la virtù, e dare un giusto svago ai lettori, ma per eccitarne, a scopo di lucro, le torbide passioni; oppure per offendere e infangare con menzogne, calunnie e offese tutto ciò che è sacro, nobile e bello. Molto spesso — è doloroso dirlo — la verità è travisata; e si dà pubblico risalto a cose false e vergognose. Non è dunque chi non veda quanto male ne derivi alla società stessa e quanto danno alla Chiesa. D’altro lato, vediamo con sommo dolore del Nostro cuore di Padre, che la Chiesa Cattolica, di rito sia latino sia orientale, e, in non poche nazioni, oppressa da gravi vessazioni; si mettono i fedeli e i ministri del culto, se non a parole, certamente coi fatti, di fronte a questo dilemma: o astenersi dal professare e diffondere pubblicamente la loro fede, o subir danni, anche gravi. Molti Vescovi sono già stati scacciati dalle loro sedi, o immpediti dall’esercitare liberamente il ministero, o imprigionati o mandati in esilio. Si tenta, in una parola, di far temerariamente avverare il detto: «Percuoterò il pastore, e il gregge si scompiglierà» (Mt XXVI, 31; cf. Zc XIII,7). Inoltre i giornali, le riviste, le pubblicazioni cattoliche quasi del tutto sono messe al silenzio, come se la verità sia esclusivo dominio e arbitrio di chi comanda, e come se le scienze divine e umane, e le arti liberali non abbiano il diritto di essere libere, per poter fiorire a vantaggio del pubblico bene. Le scuole un tempo aperte dai Cattolici, sono vietate e abolite: al loro posto ne sono state istituite altre, che o non impartiscono affatto le nozioni di Dio e della Religione, o proclamano e diffondono le massime dell’ateismo, cosa che spessissimo avviene. – I missionari, che, abbandonata la casa e la dolce terra natia, avevano sopportato gravi e numerosi disagi per dare agli altri la luce e la forza dell’evangelo, sono stati espulsi da tanti luoghi, come individui nocivi e pericolosi; in tal modo il clero rimasto, impari di numero in confronto dell’estensione territole, e spesso inviso e perseguitato, non può provvedere alle esigenze dei fedeli. – Con dolore vediamo che talora sono calpestati i diritti della Chiesa, alla quale spetta, soltanto dietro il mandato della Santa Sede, scegliere e consacrare i Vescovi, destinati a reggere legittimamente il gregge cristiano; e questo avviene con grandissimo danno dei fedeli, come se la Chiesa cattolica sia cosa interna di una sola nazione, dipendente dall’autorità civile, e non un’istituzione divina, rivolta ad accogliere tutti i popoli. – Malgrado queste gravi e dolorose angustie, vi è tuttavia qualche cosa, che dà grande conforto al Nostro cuore di Padre. – Sappiamo infatti che la maggior parte dei fedeli di rito latino e orientale rimangono con tutte le forze attaccati alla fede avita, quantunque siano privi di quegli aiuti spirituali, che i loro pastori potrebbero loro amministrare, se non ne fossero impediti. Continuino dunque con coraggio, e ripongano la loro speranza in Colui, che conosce il pianto e le sofferenze di chi « soffre persecuzione a causa della giustizia » (Mt V,10); Egli «non fa tardare troppo la sua promessa» (2Pt III,9), ma consolerà finalmente i suoi figli col giusto premio. – Con paterno affetto esortiamo poi, in particolar modo quei venerabili fratelli e figli Nostri diletti, che sono spinti in tutti i modi, anche subdoli e insidiosi, a lasciare la ferma, salda e costante unione con la Chiesa e la strettissima fedeltà a questa Sede Apostolica, senza la quale tale unità non può avere alcun fondamento sicuro. Nessuno, infatti, ignora che in qualche luogo tale unità è insidiata e impugnata con ingannevoli opinioni e con tutte le arti. Ma ricordino tutti che il mistico Corpo di Cristo, la Chiesa, dev’essere «compaginato e connesso in tutte le giunture di comunicazioni e, secondo un’operazione proporzionata a ciascun membro» (Ef IV,16); «fino a tanto che ci riuniamo tutti, per l’unità della fede e della cognizione del Figlio di Dio, in un uomo perfetto, alla misura dell’età piena di sto» (Ef IV,13), di cui il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è, per divina disposizione, stabilito Vicario in terra. Ricordino e meditino queste sapientissime parole di san Cipriano, Vescovo e martire: «Il Signore così parla a Pietro: “Io dico che tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa…” (cf. Mt XVI, 18). Su di lui solo edifica la Chiesa. Questa unità dobbiamo fermamente tenere e difendere, specie noi Vescovi, che nella chiesa governiamo… Anche la Chiesa è una, ed essa si estende ampiamente a una gran moltitudine con l’incessante accrescersi della sua fecondità; allo stesso modo che i raggi del sole sono molti, ma una è la luce; e molti i rami dell’albero, ma uno è il tronco, che affonda nel terreno con resistenti radici; e quando da una sola sorgente scaturiscono diversi corsi d’acqua, sebbene sembri che il loro numero si ramifichi per l’abbondanza dell’acqua erompente, c’è tuttavia sempre una sola fonte. Puoi strappare dal sole un raggio, ma l’unità della luce non si divide; puoi spiccare un ramo dall’albero, ma essendo rotto non potrà più germogliare; interrompi un ruscello dalla sua fonte, ed esso si inaridirà. Cosicché la Chiesa, inondata dalla luce di Dio, manda i suoi raggi a tutto l’universo: ma è tuttavia un solo splendore, quello che ovunque si diffonde; e l’unità dell’organismo non viene divisa. Essa stende i suoi rami su tutta la terra con lussureggiante ricchezza, riversa per ogni dove ruscelli ampiamente traboccanti, ma uno solo è il tronco, una la sorgente … E non può avere Dio per padre, chi non ha per madre la Chiesa… Chi non mantiene questa unità, non mantiene la legge di Dio, non mantiene la fede del Padre e del Figlio, non ha la vita e la salvezza». Queste parole del santo Vescovo martire saranno di conforto. di esortazione, di difesa specialmente a coloro i quali, non potendo in nessun modo, o solo con difficoltà, essere in rapporto con la Sede Apostolica, si trovano in grandi pericoli, e hanno da superare diversi ostacoli e insidie. Confidino tuttavia nell’aiuto di Dio, e non tralascino d’invocarlo con fervide suppliche. E ricordino che tutti i persecutori della Chiesa — la storia insegna — sono passati come un’ombra, mentre il sole della verità divina mai non tramonta, perché «la parola di Dio resta in eterno» (1Pt 1, 25). La società fondata da Cristo può essere impugnata, ma non vinta, perché attinge la sua forza non dagli uomini, bensì da Dio. Anzi, non vi è dubbio che essa dev’essere martoriata nei secoli da persecuzioni, contrasti, calunnie. come avvenne al suo divin Fondatore, secondo la parola: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Giov. XV,20); ma è ugualmente certo che essa, alla fin fine, come Cristo, nostro Redentore; trionfò, riporterà su tutti i nemici una pacifica vittoria. Confidate dunque; siate forti e costanti. Vi esortiamo ancora con le parole di sant’Ignazio; benché siamo certi che non avete bisogno di esortazioni: «Siate graditi a Colui, per il quale combattete. … Nessuno fra di voi diventi disertore. Il vostro Battesimo sia come un’arma, la fede come un elmo. la carità come una lancia, la pazienza come una completa armatura. Le vostre opere siano i vostri tesori, affinché meritiate una degna mercede». Inoltre, le bellissime parole di sant’Ambrogio Vescovo vi diano una sicura speranza e una fortezza inconcussa: «Stringi il timone della fede, affinché le tempestose procelle di questo mondo non ti turbino. È ben vero che il mare è vasto e immenso, ma non temere; poiché Egli la fondò sui mari, e la stabilì sui fiumi (Sal XXIII,2). Non senza ragione, dunque, la chiesa del Signore rimane immobile in mezzo a tanti flutti, perché fondata sulla Rocca Apostolica, e persevera sopra il suo fondamento, immobile contro le furie del mare (cf. Mt XVI, 18). È sbattuta dalle onde, ma non scossa; e sebbene i marosi di questo mondo, frangendosi rumoreggino intorno, essa ha tuttavia un porto sicurissimo, per accogliere i naviganti affaticati».

II

Come già dall’età apostolica, quando i Cristiani in qualche luogo subivano particolari persecuzioni, tutti gli altri, stretti da vincoli di carità, innalzavano suppliche e preghiere a Dio, Padre delle misericordie, con unanime fraterno consenso, perché infondesse loro forza e facesse quanto prima risplendere tempi migliori per la Chiesa; così al presente, o venerabili fratelli, desideriamo che a tutti coloro i quali nelle regioni dell’Europa e dell’Asia orientale così a lungo sono provati da una condizione di cose a loro avversa e penosa, non vengano a mancare gli aiuti e i conforti divini, implorati dai fratelli. – E poiché molto confidiamo nell’interposto patrocinio della Vergine Maria, esprimiamo ardenti voti, perché in ogni regione della terra i Cattolici, durante la novena che suole precedere la festa dell’augusta Madre di Dio Assunta al cielo, innalzino pubbliche preghiere, in modo particolare per la Chiesa che, come si è detto, in talune contrade è vessata e afflitta. Noi nutriamo speranza che la vergine Madre, durante l’anno santo 1950, non senza divino volere, da Noi proclamata Assunta al cielo con l’anima e col corpo; essa, che è stata da Noi solennemente dichiarata Regina del cielo, e come tale da venerarsi da tutti; Ella infine, alla quale, nel compiersi di un secolo, da quando apparve nella Grotta di Lourdes, benigna largitrice di doni, a una innocente fanciulla, abbiamo invitato le moltitudini dei pellegrini, perché potessero fruire delle sue materne grazie; Ella, non dubitiamo, in nessun modo vorrà allontanare e respingere questi Nostri voti, e le universali preghiere dei Cattolici. – Adoperatevi, dunque, venerabili fratelli, perché con la vostra esortazione e col vostro esempio, i fedeli a voi affidati, quanto più è possibile numerosi e supplici accorrano nei giorni stabiliti agli altari della Madre di Dio, la quale «a tutto il genere umano è fatta causa di salvezza»; e con una sola voce e con un solo cuore implorino che alfine dappertutto sia resa la libertà alla Chiesa; quella libertà che ad essa serve non soltanto per ottenere l’eterna salvezza degli uomini, ma anche per confermare le giuste leggi col dovere di coscienza, e per consolidare i fondamenti della società civile. Implorino in modo speciale dal materno patrocinio che i sacri pastori tenuti lontano dal loro gregge, che sono impediti di esercitare liberamente il loro ministero, quanto prima possano essere restituiti, com’è doveroso, al loro pristino stato; che i fedeli turbati da insidie, errori e dissidi, in piena luce della verità raggiungano completa concordia e carità; che quanti sono nell’incertezza del dubbio e deboli siano rinvigoriti dalla divina grazia di modo che siano pronti e disposti a tutto soffrire piuttosto che staccarsi dalla fede cristiana e dall’unità cattolica. Possano le singole diocesi — è questo l’oggetto dei Nostri ardenti desideri — avere il proprio legittimo pastore; possano diffondere la legge cristiana liberamente in tutte le contrade e in tutte le classi cittadine; possano i giovani nelle scuole primarie e superiori, nelle officine e sui campi, non essere irretiti nelle ideologie del materialismo, ateismo, edonismo, che debilitano il volo della mente, e tolgono il vigore alle virtù, ma illuminati invece dalla luce della Sapienza evangelica, che li sproni, sollevi e diriga verso tutto ciò che è ottimo. Dappertutto si aprano le vie alla verità; nessuno vi opponga ostacoli; tutti comprendano che nulla può resistere a lungo alla verità, e che nulla può durevolmente opporsi alla carità. Possano finalmente quanto prima i missionari ritornare tra quelle genti, che hanno guadagnato a Cristo con lo zelo apostolico e con le sudate fatiche, e che ardentemente desiderano progredire nella civiltà cristiana anche a costo di travagli, sacrifici e dolori. Tutto ciò implorino i fedeli dalla divina Madre; né omettano di chiedere perdono per gli stessi persecutori della Religione Cristiana secondando l’impulso di quella carità, per la quale l’Apostolo delle genti non dubitò di asserire: «Benedite coloro che vi perseguitano» (Rm XII.14): né desistano di invocare loro le grazie e i lumi celesti, che possano insieme dissipare le tenebre e mettere nel retto ordine le coscienze.

III

Ma a queste pubbliche suppliche, come ben sapete, venerabili fratelli, occorre sia congiunta la riforma cristiana dei costumi, senza la quale le nostre preghiere sono vane voci che non possono del tutto essere gradite a Dio. Per la carità tenera e ardente, con cui i Cristiani tutti amano la Chiesa Cattolica, non soltanto elevino al cielo pie preghiere, ma altresì offrano sentimenti di penitenza, opere virtuose, sacrifici, pene, e tutti i dolori e le asprezze, quelle necessariamente inerenti a questa vita mortale e quelle pure, a cui talvolta liberamente e con generoso animo conviene sottometterci. – Con questa auspicata rinnovazione morale congiunta alle supplici preghiere non soltanto essi rendano propizio Iddio a e stessi, ma anche alla santa Chiesa, che debbono amare quale affezionatissima madre. Riproducano tra loro, ogni qualvolta che circostanze lo esigano, quello spettacolo, che con tanto merivigliosa ed espressiva bellezza è descritto nella lettera a Diogneto: «I Cristiani … sono nella carne, ma non vivono secondo a carne. Abitano sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi sancite e col loro tenore di vita superano le leggi stesse. Amano tutti, e tutti li perseguitano. Sono  ignorati e condannati; sono messi a morte e si sentono vivificati … sono beffeggiati e fra le ignominie acquistano gloria. La loro fama è lacerata, e viene resa testimonianza alla loro giustizia. … Si comportano come gente onesta, e sono puniti come malfattori; mentre sono puniti, gioiscono come coloro e si sentono vivificati»! «Insomma per esprimere tutto questo in breve, quello che nel corpo è l’anima, sono nel mondo i Cristiani» !! – Se, com’erano all’età degli Apostoli e dei martiri, cosi rifioriranno i costumi cristiani, allora con sicura fiducia possiamo sperare nell’esaudimento benignissimo da parte della beata Vergine Maria, desiderosa com’è che quanti numera suoi figli ritraggano in sé la sua virtù; e nella sollecita impetrazione da parte di Lei invocata da tante supplici voci, possiamo altresì sperare tempi più pacati e più felici per la Chiesa del suo unigenito Figlio e per l’intero umano consorzio. – Questi Nostri voti, queste Nostre esortazioni, venerabili fratelli, desideriamo che nel modo stimato da voi migliore; a Nostro nome facciate presenti ai fedeli, affidati alle vostre cure. – Intanto in auspicio dei doni celesti e quale pegno della Nostra benevolenza, impartiamo di cuore la benedizione apostolica a voi singolarmente e al gregge a voi affidato; e in modo particolare a quelli che per rivendicare i diritti della Chiesa e per amore di essa sostengono persecuzioni.

Roma, presso S. Pietro, il giorno 14 del mese di luglio dell’anno1958, ventesimo del Nostro pontificato.

PIO PP XII

FESTA DELLA BEATA VERGINE MARIA ASSUNTA IN CIELO (2021)

15 AGOSTO (2021)

Assunzione della B. V. M.

[D. G. LEFEBVRE O. S. B.: Messale romano – L.I.C.E. –R. BERRUTI, TORINO 1936]

In questa festa, la più antica e la più solenne del Ciclo Mariano (VI secolo), la Chiesa invita tutti i suoi figli sparsi nel mondo a unire la loro gioia (Intr.), la loro riconoscenza (Pref.) a quella degli Angeli che lodano il Figlio di Dio, perché sua Madre è entrata in questo giorno, con il corpo e con l’anima, nel cielo (All.). Nella Basilica di Santa Maria Maggiore si celebra a Natale il Mistero, che è il punto di partenza di tutte le glorie della Vergine ed ancora si celebra oggi l’Assunzione, che ne è l’ultimo. Maria, porta in sé l’umanità di Gesù al momento dell’incarnazione del Verbo; oggi è Gesù, che riceve a sua volta il corpo di Maria in cielo. Ammessa a godere le delizie della contemplazione eterna, la Madre ha scelto ai piedi del suo divin Figlio la miglior parte, che non le sarà giammai tolta (Vang., Com.). – In altri tempi si leggeva il Vangelo della Vigilia, dopo quello del giorno, a fine di dimostrare che la Madre di Gesù è la più fortunata tra tutte, perché meglio d’ogni altra, « Ella ascoltò la parola di Dio ». Questa Parola, questo Verbo, questa Sapienza divina che stabilisce, sotto l’Antica Legge, la sua dimora nel popolo d’Israele (Ep.), è discesa sotto la Nuova Legge in Maria. Il Verbo si è incarnato nel seno della Vergine e ora negli splendori della celeste Sion egli l’ha colmata delle delizie della visione beatifica. Come Marta, la Chiesa sulla terra si dedica alle sollecitudini delle quali necessita la vita presente ed ancora come Marta, la Chiesa reclama l’aiuto di Maria (Or., Secr., Postc). Una processione fu sempre fatta nel giorno della festa dell’Assunzione. A Gerusalemme era formata dai numerosi pellegrini che andavano a pregare sulla tomba della Vergine e contribuirono così all’istituzione di questa solennità. Il clero di Costantinopoli faceva anch’esso nel giorno della festa dell’Assunzione di Maria una processione. A Roma, dal VII al XVI secolo, il corteo papale, al quale prendevano parte le rappresentanze del Senato e del popolo, andava in quel giorno dalla chiesa di San Giovanni in Laterano a quella di Santa Maria Maggiore. Questo si chiamava fare la Litania.

Assunzione della Beata Maria Vergine.

[Appendice al Messale ut supra]

Doppio di classe con Ottava Comune. – Paramenti bianchi.

La credenza nell’Assunzione corporea di Maria SS. era già radicata da secoli nel cuore dei fedeli, profondamente persuasi che la Vergine, sin dal momento del suo transito da questa terra al Cielo, era stata glorificata da Dio anche nel corpo, senza che dovesse attendere che questo risorgesse, insieme con quello di tutti gli altri, alla fine del mondo. Cosi la festa dell’Assunzione, celebrata già verso il 500 in Oriente, costituì la più antica e la maggiore solennità dell’anno in onore di Maria SS. Tuttavia la realtà dell’Assunzione corporea di Maria in Cielo non fu oggetto di una solenne definizione da parte del Papa se non il 1° novembre 1950. In tale giorno, il Sommo Pontefice Pio XII proclamò dogma di fede che « Maria, terminata la carriera della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste quanto all’anima e quanto al corpo. – Questa definizione, maturata lentamente, ma incessantemente nei diciannove secoli che seguirono al beato transito di Maria da questa terra, ha ed avrà un’eco incalcolabile nella dottrina come nella vita cristiana. – Una delle sue conseguenze pratiche sarà quella di attirare vieppiù l’attenzione dei fedeli sulla futura glorificazione nostra non solo quanto all’anima, ma anche quanto al corpo. Come Adamo ci rovinò nell’una e nell’altro, così Gesù ci redense non solo quanto all’anima, ma anche quanto al corpo, cosicché l’anima del giusto è destinata ad una beatitudine immensa mediante la visione beatifica di Dio, ed il corpo alla sua volta verrà risuscitato, trasformato e configurato a quello glorioso del Cristo. Per Maria SS. la glorificazione corporea avvenne alla fine della sua carriera mortale; per gli altri giusti non avverrà che alla fine del mondo; ma se devono attenderla, non possono però dubitarne; la loro redenzione è certissima e sarà completa e perfetta (Rom. VIII, 23; Ef. IV, 30). Avendo già realizzato pienamente in se stessa il disegno divino della nostra redenzione, Maria SS. è per noi, colla sua Assunzione corporea, un altro modello, oltre quello di Gesù, della divinizzazione dell’anima mediante la visione beatifica e della glorificazione del corpo cui tutti siamo chiamati e che tutti dobbiamo meritare con le buone opere e con le sofferenze di questa vita cristianamente sopportate. Come del Cristo, così saremo coeredi di Maria SS., se soffriremo con Lei e come Lei (Rom. VIII, 17). – D’altra parte, l’Assunta non soltanto ci ricorda quale sia la nostra meta soprannaturale e la via per raggiungerla, ma ci presta anche il suo validissimo aiuto. A quel modo che una buona mamma mira sempre a rendere partecipi della sua felicità tutti i suoi figli, così la Madre nostra celeste regna in Paradiso sempre sollecita della salvezza di tutti gli uomini. S. Paolo ci rappresenta Gesù che vive alla destra del Padre, sempre pregando per noi (Rom. VIII, 34; Ebr. VII, 25); la Chiesa, alla sua volta, ci dice che la Vergine è stata assunta in cielo, affinché fiduciosamente s’interponga presso Dio per noi peccatori (Segreta della Vigilia).

Affine di perpetuare anche nella Liturgia il ricordo della definizione del dogma dell’Assunzione di Maria SS., la Santa Sede ha pubblicato una nuova Messa in onore dell’Assunta, ordinando di inserirla nel Messale il giorno 15 d’agosto, in luogo di quella antica (A. A. S. 1950, pag. 703-5).

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ap XII:1
Signum magnum appáruit in cœlo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim

[Un gran segno apparve nel cielo: una Donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi, ed in capo una corona di dodici stelle].
Ps XCVII:1
Cantáte Dómino cánticum novum: quóniam mirabília fecit.

[Cantate al Signore un càntico nuovo: perché ha fatto meraviglie].


Signum magnum appáruit in coelo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim

[Un gran segno apparve nel cielo: una donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi, ed in capo una corona di dodici stelle].

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui Immaculátam Vírginem Maríam, Fílii tui genitrícem, córpore et ánima ad coeléstem glóriam assumpsísti: concéde, quǽsumus; ut, ad superna semper inténti, ipsíus glóriæ mereámur esse consórtes.

[Onnipotente sempiterno Iddio, che hai assunto in corpo ed ànima alla gloria celeste l’Immacolata Vergine Maria, Madre del tuo Figlio: concédici, Te ne preghiamo, che sempre intenti alle cose soprannaturali, possiamo divenire partecipi della sua gloria].

Lectio

Léctio libri Judith.
Judith XIII, 22-25; XV:10

Benedíxit te Dóminus in virtúte sua, quia per te ad níhilum redégit inimícos nostros. Benedícta es tu, fília, a Dómino Deo excelso, præ ómnibus muliéribus super terram. Benedíctus Dóminus, qui creávit coelum et terram, qui te direxit in vúlnera cápitis príncipis inimicórum nostrórum; quia hódie nomen tuum ita magnificávit, ut non recédat laus tua de ore hóminum, qui mémores fúerint virtútis Dómini in ætérnum, pro quibus non pepercísti ánimæ tuæ propter angústias et tribulatiónem géneris tui, sed subvenísti ruínæ ante conspéctum Dei nostri. Tu glória Jerúsalem, tu lætítia Israël, tu honorificéntia pópuli nostri.

[Il Signore ti ha benedetta nella sua potenza, perché per mezzo tuo annientò i nostri nemici. Tu, o figlia, sei benedetta dall’Altissimo piú che tutte le donne della terra. Sia benedetto Iddio, creatore del cielo e della terra, che ha guidato la tua mano per troncare il capo al nostro maggior nemico. Oggi ha reso cosí glorioso il tuo nome, che la tua lode non si partirà mai dalla bocca degli uomini che in ogni tempo ricordino la potenza del Signore; a pro di loro, infatti, tu non ti sei risparmiata, vedendo le angustie e le tribolazioni del tuo popolo, che hai salvato dalla rovina procedendo rettamente alla presenza del nostro Dio. Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu la gloria di Israele, tu l’onore del nostro popolo!]

Graduale

Ps XLIV:11-12; XLIV:14
Audi, fília, et vide, et inclína aurem tuam, et concupíscit rex decórem tuum.

[Ascolta, o figlia; guarda e inclina il tuo orecchio, e s’appassionerà il re della tua bellezza.]

V. Omnis glória ejus fíliæ Regis ab intus, in fímbriis áureis circumamícta varietátibus. Allelúja, allelúja.

[V. Tutta bella entra la figlia del Re; tessute d’oro sono le sue vesti. Allelúia, allelúia].


V. Assumpta est María in cælum: gaudet exércitus Angelórum. Allelúja.  

[Maria è assunta in cielo: ne giúbila l’esercito degli Angeli. Allelúia.]

Vangelo

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc 1:41-50
“In illo témpore: Repléta est Spíritu Sancto Elisabeth et exclamávit voce magna, et dixit: Benedícta tu inter mulíeres, et benedíctus fructus ventris tui. Et unde hoc mihi ut véniat mater Dómini mei ad me? Ecce enim ut facta est vox salutatiónis tuæ in áuribus meis, exsultávit in gáudio infans in útero meo. Et beáta, quæ credidísti, quóniam perficiéntur ea, quæ dicta sunt tibi a Dómino. Et ait María: Magníficat ánima mea Dóminum; et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo; quia respéxit humilitátem ancíllæ suæ, ecce enim ex hoc beátam me dicent omnes generatiónes. Quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus, et misericórdia ejus a progénie in progénies timéntibus eum.”

[In quel tempo: Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo, e ad alta voce esclamò: Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno! Donde a me questo onore che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, infatti, che appena il tuo saluto è giunto alle mie orecchie, il bimbo ha trasalito nel mio seno. Beata te, che hai creduto che si compirebbero le cose che ti furono dette dal Signore! E Maria rispose: L’ànima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato all’umiltà della sua serva; ed ecco che da ora tutte le generazioni mi diranno beata. Perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente, e santo è il suo nome, e la sua misericordia si estende di generazione in generazione su chi lo teme.]

OMELIA

[I Sermoni del B. GIOVANNI B. M. VIANNEY, trad. It. di Giuseppe D’Isengrad P. d. M. – vol. IV, Torino, Libreria del Sacro Cuore – 1908- imprim. Can. Ezio Gastaldi-Santi, Provic. Gen., Torino, 8  apr. 1908]

SULLE GRANDEZZE DI MARIA.

Quia retpexit humilitatem ancillæ suæ.

[Perché il Signore ha riguardato la bassezza della sua ancella].

(S. LUCA I, 48).

Se noi vediamo, fratelli miei, la SS. Vergine abbassarsi nella sua umiltà al disotto d’ogni creatura, vediamo pure quest’umiltà innalzarla al di sopra di tutto ciò che non è Dio. No, non i grandi della terra l’han sollevata al sommo grado di dignità nella quale abbiamo oggi la lieta ventura di contemplarla. Le tre Persone della SS. Trinità l’han posta su quel trono di gloria; l’han proclamata Regina del cielo e della terra, facendola depositaria di tutti i tesori celesti. No, miei fratelli, non riusciremo mai ad intender sufficientemente le grandezze di Maria, e il potere conferitole dal suo divino Figliuolo; non potremo mai conoscer bene quanto desidera di farci felici. Ci ama come figli: e si rallegra del potere datole da Dio, perché può così giovarci di più. Sì, Maria è nostra mediatrice; essa presenta tutte le nostre preghiere, le nostre lacrime, i nostri gemiti al suo divin Figlio; Ella attira su noi le grazie necessarie alla nostra salute. Lo Spirito Santo ci dice che Maria è, tra tutte le creature, un prodigio di grandezza, un prodigio di santità e un prodigio d’amore. Quale felicità per noi, miei fratelli, e quale speranza per la nostra salute! Ravviviamo dunque la nostra fiducia in questa buona e tenera Madre, considerando: 1° la sua grandezza; 2° il suo zelo per la nostra salute; 3° ciò che dobbiam fare per piacerle e meritarne la protezione.

I. — Parlar delle grandezze di Maria, miei fratelli, è voler impicciolire l’idea grande che ve ne fate; poiché dice S. Ambrogio che Maria è innalzata a sì alto grado di gloria, d’onore e di potenza, cui neppur gli Angeli son capaci di comprendere: ciò è riservato a Dio solo. Quindi concludo che quanto potrete udire, sarà nulla o quasi nulla a confronto di ciò che è Maria agli occhi di Dio. Il più bell’elogio, che possa farcene la Chiesa, è dirci che Maria è Figlia dell’eterno Padre, Madre del Figliuol di Dio salvatore del mondo, e Sposa dello Spirito santo. Se l’eterno Padre ha scelto Maria qual sua Figlia privilegiata, qual torrente di grazie non dovette Egli versar nell’anima sua? Ella sola ne ricevette più che tutti insieme gli Angeli e i Santi. Innanzi tutto, la preservò dal peccato originale, grazia concessa soltanto a Lei. L’ha confermata in questa grazia, con piena certezza che mai la perderebbe. Sì, miei fratelli, l’eterno Padre l’arricchì de’ doni celesti a proporzione dell’alta dignità, a cui doveva innalzarla. Ne formò un tempio vivo delle tre Persone della SS. Trinità. – Diciamo meglio ancora: fece per Ella quanto poteva farsi per una creatura. Se l’eterno Padre ebbe sì gran cura di Maria, sappiamo che lo Spirito Santo scese pure ad abbellirla in tal grado, che, fin dall’istante del suo concepimento, divenne oggetto delle compiacenze delle tre divine Persone. Maria soltanto ha la bella sorte d’esser Figlia privilegiata dell’eterno Padre, ed ha pur quella d’esser Madre del Figliuolo e Sposa dello Spirito Santo. Per tale dignità incomparabile si vede congiunta alle tre divine Persone per formare il corpo adorabile di Gesù Cristo. Di Lei Dio doveva servirsi per abbattere e rovinare l’impero del demonio. Di Lei si valsero le tre Persone divine per salvare il mondo dandogli un Redentore. Avreste pensato mai che Maria fosse un tale abisso di grandezza, di potenza e d’amore? Dopo il Corpo adorabile di Gesù Cristo Ella è il più bello ornamento della corte celeste. Possiam dire che il trionfo della SS. Vergine in cielo è il compimento di tutti i meriti di quest’augusta Regina del cielo e della terra. In quell’istante ricevette l’ultimo ornamento della sua incomparabile dignità di Madre di Dio. Dopo aver per qualche tempo tollerato le molteplici miserie della vita e incontrato poi le umiliazioni della morte, andò infine a godere della vita più gloriosa e più felice di cui possa godere una creatura. Talora ci meravigliamo che Gesù, il quale amava tanto sua Madre, l’abbia lasciata dopo la sua resurrezione così a lungo sulla terra. La ragione fu che voleva con questo ritardo procurarle maggior gloria; d’altra parte, gli Apostoli avevano ancor bisogno di Lei per essere consolati e guidati. Maria, infatti, rivelò agli Apostoli segreti più grandi della vita nascosta di Gesù Cristo. Maria pure spiegò il vessillo della verginità, ne fece conoscere tutto lo splendore, tutta la bellezza, e ci mostra l’inestimabile premio riserbato a uno stato sì santo. Ma rimettiamoci in via, fratelli miei, e continuiamo a seguire Maria fino al momento, in cui abbandona questo mondo. Gesù Cristo volle, che, prima d’essere assunta al cielo, potesse anche una volta rivedere gli Apostoli. Tutti, eccetto S. Tommaso, furono miracolosamente trasportati intorno al suo povero letto. Per un atto profondissimo di quell’umiltà, che aveva spinto sempre al più alto grado, Maria volle baciare a tutti i piedi, e chiese loro la benedizione. Quest’atto era apparecchio all’altissima gloria, a cui il suo Figliuolo doveva innalzarla. Quindi Maria diede a tutti la sua benedizione. È impossibile far intendere quante lacrime abbiano allora versato gli Apostoli per la perdita che stavano per fare. Dopo il Salvatore la SS. Vergine non era loro unica felicità, loro sola consolazione? Per mitigare un po’ la loro pena, Ella promise che non li dimenticherebbe dinanzi al suo divino Figliuolo. Si crede che l’Angelo medesimo, da cui le era stato annunziato il mistero dell’Incarnazione, venisse a indicarle, a nome del suo Figliuolo l’ora della sua morte. La SS. Vergine rispose all’Angelo: « Ah! qual felicità! E come desideravo questo momento! » Dopo sì lieta notizia volle fare il suo testamento che fu presto fatto. Aveva due vesti e le diede a due vergini, che da lungo tempo la servivano. Si sentì allora infiammata di tanto amore, che l’anima sua, simile ad accesa fornace, non poté più rimanere nel corpo. Beato momento! È possibile, fratelli miei, considerar le meraviglie, che accompagnarono tal morte, e non sentir ardente desiderio di viver santamente per santamente morire? Certo non dobbiamo aspettarci di morir d’amore, ma almeno abbiamo speranza di morir nell’amor di Dio. Maria non teme punto la morte, poich’essa la metterà a possesso della perpetua felicità. Sa che l’aspetta il paradiso, e ch’Ella ne sarà uno de’ più belli ornamenti. – Il suo Figliuolo e tutta la corte celeste si fanno anzi per celebrare così splendida festa; i santi e le sante del cielo aspettano solo gli ordini di Gesù, per venir in cerca di questa Regina e condurla trionfalmente nel suo regno. In cielo tutto è apparecchiato per riceverla; essa riceverà onori superiori a quanto può immaginarsi. Per uscir da questa vita Maria non ebbe a soffrir malattia, perché esente da peccato. Non ostante la sua età, il suo corpo non fu mai deperito, come quello degli altri mortali, anzi sembrava prendere nuovo splendore a misura che si avvicinava alla fine. S. Giovanni Damasceno ci dice che Gesù Cristo in persona venne in cerca della Madre sua. Così spariva questo bell’astro, che per settantadue anni aveva rischiarato il mondo. Sì, miei fratelli, Maria rivide il suo Figliuolo, ma in aspetto ben diverso da quello in cui l’aveva visto, quando, tutto coperto di sangue, era confitto alla croce. O Amor divino, ecco la più bella delle tue vittorie e delle tue conquiste! Non potevi far di più, ma neppure avresti potuto far di meno! Sì, miei fratelli, se la Madre d’un Dio doveva morire, non poteva morire che in un impeto d’amore. O bella morte! o morte beata! o morte desiderabile! Ah! Ella è pur compensata di quel torrente d’umiliazioni e di dolori, di cui la sua sant’anima fu inondata nel corso della sua vita mortale! Sì, essa rivede il suo Figliuolo, ma ben diverso da ciò che era il giorno in cui l’aveva visto nel tempo della sua dolorosa passione, tra le mani de’ suoi carnefici, sotto il peso della croce senza poterlo sollevare. Oh! no: non lo vede più in sì triste apparato, capace di annichilare una creatura un po’ sensibile; ma lo vede, dico, splendente di tanta gloria, ch’è la gioia e la felicità del cielo: vede gli Angeli e i Santi che lo circondano, lo lodano, lo benedicono e l’adorano fino ad annientarsi dinanzi a Lui. Sì, rivede quel tenero Gesù, esente da tutto ciò che può farlo patire. Ah! chi di noi non vorrà lavorare per andare a raggiungere Madre e Figlio in quel luogo di delizie? Pochi momenti di combattimento e di patimenti sono larghissimamente ricompensati. – Ah! miei fratelli, che morte beata! Maria non teme nulla, perché ha sempre amato il suo Dio: non rimpiange nulla, perché non possedette mai altro che il suo Dio. Vogliamo morire senza timore? Viviamo nell’innocenza come Maria; fuggiamo il peccato, ch’è nostra sola sventura nel tempo e nell’eternità. Se avemmo la grande sventura di commetterlo, piangiamo, conforme all’esempio di S. Pietro, fino alla morte, e il nostro dolore termini solo colla vita. Imitando l’esempio del santo re David, scendiamo nella tomba versando lacrime: e nell’amarezza del nostro pianto laviamo le anime nostre (Ps. VI, 7). Vogliamo, come Maria, morire senza rammarico? Viviamo com’Ella senza attaccarci alle cose create; facciamo com’Ella, amiamo Dio solo, Lui soltanto desideriamo, e cerchiamo unicamente di piacergli in tutto ciò che facciamo. Beato il Cristiano, che non lascia nulla e ritrova tutto!… Accostiamoci ancora un momento a quel povero letticciuolo, che ha la bella sorte di reggere questa perla preziosa, questa rosa sempre fresca e senza spine, questo globo di luce e di gloria, che deve dare nuovo splendore a tutta la corte celeste. Gli Angeli, si dice, intonarono un cantico d’allegrezza nell’umile casetta ov’era il sacro corpo, ed essa era imbalsamata d’odore sì gradito, che pareva vi fossero scese tutte le dolcezze del paradiso. Andiamo, fratelli miei, accompagniamo questo sacro corteo; teniam dietro a questo tabernacolo in cui l’eterno Padre aveva rinchiuso tutti i suoi tesori, e che, per qualche tempo starà nascosto, come fu nascosto il corpo del suo divino Figliuolo. Il dolore e i gemiti resero senza parola gli Apostoli e i fedeli venuti in grandissimo numero a vedere anche una volta la Madre del loro Redentore. Ma, riavutisi, cominciarono a cantare inni e cantici per onorare il Figlio e la Madre. Degli Angeli una parte salì al cielo per condurre in trionfo quest’anima senza pari; l’altra restò sulla terra per celebrar le esequie del suo corpo. Or vi chiedo, fratelli miei, chi potrà esser capace di dipingerci sì bello spettacolo? Da una parte s’udivano gli spiriti celesti usar tutto la loro arte di paradiso per manifestare la gioia ond’erano pieni per la gloria della loro Regina; dall’altra si vedevano gli Apostoli e gran numero di fedeli levare anch’essi le loro voci per accompagnare le armonie di quei divini cantori. S. Giovanni Damasceno ci dice che, prima di mettere nel sepolcro il santo corpo, tutti ebbero la sorte felice di baciare quelle mani sacrosante, che avevan tante volte portato il Salvatore del mondo. In quell’istante non vi fu infermo che non fosse guarito; non vi fu alcuno in Gerusalemme, che non chiedesse a Dio qualche grazia per intercessione di Maria e non l’ottenesse. Dio volle così per farci intendere che tutti coloro, i quali poi avrebbero ricorso a Lei, erano certi di tutto ottenere. Poiché ciascuno, dice il medesimo santo, ebbe soddisfatto alla sua pietà, e ottenuto ciò che chiedeva, si pensò alla sepoltura della Madre di Dio. Gli Apostoli, secondo l’usanza de’ Giudei, ordinarono che si lavasse e s’imbalsamasse il sacro corpo. Incaricarono di quest’ufficio due vergini, ch’erano ai servizi di Maria. Queste, per miracolo, non poterono veder, né toccare il santo corpo. Si credette riconoscere in questo il volere di Dio, e il corpo fu sepolto con tutte le sue vesti. Se Maria fu sulla terra umile in guisa che non ebbe pari, anche la sua morte e la sua sepoltura non ebbero eguale per la grandezza delle meraviglie che vi accaddero. Gli Apostoli in persona portarono quel prezioso deposito, e il sacrosanto corteo traversò la città di Gerusalemme fino al luogo della sepoltura, ch’era nel borgo di Gethsemani nella valle di Giosafat. Tutti i fedeli l’accompagnarono con fiaccole in mano, molti si univano per via a quella pia folla, che portava l’arca della nuova alleanza e la conduceva al luogo del suo riposo. Dice S. Bernardo che gli Angeli facevano anch’essi la loro processione, precedendo e seguendo il corpo della loro Sovrana con cantici d’allegrezza: tutti gli astanti udivano il canto degli Angeli, e, dovunque passava, quel sacro corpo spandeva una fragranza deliziosa, come se tutte le dolcezze e i profumi celesti fossero discesi sulla terra. Vi fu, aggiunge il santo, un disgraziato Giudeo, che, consumato dalla rabbia nel vedere che si rendevano sì grandi onori alla Madre di Dio, si scagliò sul santo corpo per farlo cadere nel fango; ma appena l’ebbe toccato, ambe le mani gli caddero inaridite. Pentito pregò S. Pietro a farlo accostare al corpo della SS. Vergine; e nell’atto in cui lo toccava, le sue due mani si rimisero a posto da sé in modo che pareva non fossero state mai separate dal braccio. Il corpo della Madre di Dio essendo stato rispettosamente deposto nel sepolcro, i fedeli tornarono a Gerusalemme; ma gli Angeli continuarono a cantar per tre giorni le lodi di Maria, gli Apostoli venivano, gli uni dopo gli altri, ad unirsi agli Angeli che se ne stavano sopra la tomba. In capo a tre giorni S. Tommaso, il quale non aveva assistito alla morte della Madre di Dio, chiese a S. Pietro la consolazione di vedere anche una volta quel corpo verginale. Andarono dunque al sepolcro; ma non vi trovarono più che le vesti. Gli Angeli l’avevano trasportata in cielo, poiché non si sentivano più i loro canti. Per farvi una fedele descrizione della sua entrata gloriosa e trionfante in cielo, bisognerebbe, fratelli miei, ch’io fossi Dio medesimo, che in quel momento volle prodigare alla Madre sua tutte le ricchezze del suo amore e della sua riconoscenza. Possiam dire che allora raccolse quant’era capace di abbellirne il celeste trionfo. « Apritevi, porte del cielo, ecco la vostra Regina che abbandona la terra per adornare i cieli colla grandezza della sua gloria, coll’immensità de’ suoi meriti e della sua dignità ». Quale stupendo spettacolo! Il cielo non aveva visto mai entrare nel suo recinto creatura sì bella, sì compita, sì perfetta, sì ricca di virtù. « Chi è costei – dice lo Spirito Santo – che s’innalza dal deserto di questa vita ricolma di delizie e d’amore, appoggiata al braccio del suo Diletto?… » (Cant. C. VIII, 5). Avvicinatevi: le porte del cielo si schiudono, e tutta la corte celeste si prostra dinanzi a Lei come a sua Sovrana. Gesù Cristo in persona la conduce in mezzo alla gloria del suo trionfo, e le fa sedere sul più bel trono del suo regno. Le tre persone della SS. Trinità le mettono in capo una splendente corona e la rendono depositaria di tutti i tesori del cielo. Oh! miei fratelli, qual gloria per Maria! Ma insieme quale argomento di speranza per noi saperla elevata a sì alta dignità, e conoscer quanto ardentemente desideri di salvare le anime nostre!

II. — Quale amore non ha Maria per noi? Ci ama come figli; se fosse stato necessario, sarebbe stata pronta a morire per noi. Rivolgiamoci a Lei con grande fiducia, e saremo sicuri che, per quanto siamo meschini, ci otterrà la grazia della conversione. Ha tanta cura della salute delle anime nostre, e desidera tanto la nostra felicità!… Nella vita di S. Stanislao, devotissimo della Regina del cielo (Ribadeneira: 15 Agosto), leggiamo che, mentre un giorno pregava, chiese alla SS. Vergine che volesse una volta lasciarsegli vedere insieme al bambino Gesù. Tale preghiera riuscì così gradita a Dio, che nell’istante medesimo Stanislao vide apparirgli dinanzi la SS. Vergine, la quale teneva tra le braccia il santo Bambino. Un’altra volta, essendo infermo e in casa di luterani che non volevano permettergli di ricevere la Comunione, si rivolse alla SS. Vergine e la pregò di procacciargli tanta felicità. Finita appena la sua preghiera vide venire un Angelo, che gli recava l’Ostia santa, accompagnato dalla SS. Vergine. L’istesso gli accadde in circostanza quasi simile: un Angelo gli recò Gesù Cristo e gli diede la santa Comunione. Vedete, fratelli miei, quanta cura ha Maria della salvezza di chi confida in Lei? Siam pur felici d’aver una Madie che ci ha preceduto nella pratica delle virtù, di cui dobbiamo essere adorni, se vogliamo piacere a Dio e giungere al cielo! Ma badiamo bene di non far poco conto di Lei e del culto che le si rende! S. Francesco Borgia ci narra che un gran peccatore sul letto di morte non voleva udir parlare né di Dio, né d’anima, né di confessione. S. Francesco, ch’era allora nel paese di quel disgraziato, si mise a pregare Iddio per lui; e, mentre pregava piangendo, udì una voce che gli disse: « Va’, Francesco, va a portar la mia croce a quest’infelice, esortalo alla penitenza ». S. Francesco corse presso il malato ch’era già in braccio alla morte. Ohimè! aveva già chiuso il cuore alla grazia. S. Francesco lo scongiuro’ d’aver pietà dell’anima sua, di chiedere perdono a Dio; ma no: per lui tutto era perduto; il santo udì ancor due volte la stessa voce che gli disse: « Va’, Francesco, a portar la croce a questo sciagurato ». Il santo gli mostrò ancora il suo crocifisso, che si trovò tutto coperto di sangue, il quale grondava da ogni parte; disse al peccatore che quel sangue adorabile gli otterrebbe il perdono, purché volesse chieder misericordia. Ma no: per lui tutto fu vano; e morì bestemmiando il nome di Dio. – La sua sventura veniva di qui: che aveva schernita e spregiata la SS. Vergine negli onori che le si rendono. Ah! fratelli miei! badiamo bene di non dispregiar nulla di ciò che si riferisce al culto di Maria, di questa Madre sì buona, così inclinata ad aiutarci alla minima confidenza che si riponga in Lei. Ecco alcuni esempi, dai quali apparirà manifesto che, se saremo fedeli anche alla più piccola pratica di devozione verso la SS. Vergine, Essa non permetterà mai che moriamo in peccato. – È riferito nella storia che un giovane libertino si abbandonava senza rimorso a tutti i vizi del suo cuore. Una malattia venne ad interrompere i suoi disordini. Per quanto libertino non aveva lasciato mai di dire ogni giorno un’Ave Maria: era la sua sola preghiera, ed anche mal fatta: era ormai una mera abitudine. Quando si seppe che la sua malattia era disperata, si andò in cerca del Curato che venne a visitarlo e l’esortò a confessarsi. Ma il malato gli rispose, che, se aveva da morire, voleva morir com’era vissuto; e che, se riusciva a scamparla, voleva continuare a vivere com’era vissuto fino allora. Egual risposta diede a tutti coloro che vollero parlargli di confessione. Tutti erano grandemente costernati: niuno osava più parlargliene per timore d’essergli occasione di vomitar le stesse bestemmie e le stesse empietà. Frattanto uno de’ suoi compagni, ma più assennato di lui, e che l’aveva spesso ripreso de’ suoi disordini, venne a trovarlo. Dopo avergli parlato di varie altre cose, gli disse senza giri di parole: « Compagno mio, dovresti pur pensare a convertirti ». — « Amico, rispose l’infermo, sono troppo gran peccatore: sai bene qual vita ho menato ». — « Ebbene, prega la SS. Vergine, ch’è rifugio de’ peccatori ». — « Ah! ho ben detto ogni giorno un’Ave Maria; ma son qui tutte le preghiere che ho fatto. Credi forse che questo debba giovarmi a qualche cosa? » — « Eccome, replicò l’altro: ti gioverà per tutto. Non le hai chiesto che preghi per te all’ora della morte? Adesso dunque pregherà per te ». — « Poiché credi che la SS. Vergine preghi per me, va a cercare il signor Curato perch’io faccia una buona confessione ». Così dicendo cominciò a versare torrenti di lacrime. « Perché piangi? » gli chiese l’amico. « Ah! potrò pianger mai abbastanza, rispose, dopo aver menato una vita così peccaminosa, dopo aver offeso un Dio così buono, che vuole ancora perdonarmi? Vorrei poter piangere a lacrime di sangue per mostrare a Dio quanto mi duole d’averlo offeso: ma troppo impuro è il mio sangue e non è degno d’essere offerto a Gesù Cristo in espiazione dei miei peccati. Mi consola il pensare che Gesù Cristo ha offerto il suo al Padre per me: in Lui è posta la mia speranza ». L’amico, udendo queste parole e vedendo le sue lacrime grondare copiose, cominciò a pianger di gioia con Lui. Tale cangiamento era sì straordinario che l’attribuì alla protezione della SS. Vergine. In quell’istante tornò il Curato, e, meravigliato assai di vederli piangere ambedue, chiese che cosa fosse accaduto. — « Ah! Signore, rispose il malato, piango i miei peccati! Ohimè! Ho cominciato a piangerli troppo tardi! Ma so che sono infiniti i meriti di Gesù Cristo e che senza confini è la sua misericordia; perciò spero che Dio avrà ancora pietà di me ». – Il prete, stupito, gli chiese chi avesse operato in lui sì gran cangiamento. « La SS. Vergine, rispose l’infermo, ha pregato per me; e ciò m’ha fatto aprire gli occhi sul misero mio stato ». — « Volete ben confessarvi? » — « Oh! sì, Signore, voglio confessarmi, e pubblicamente; poiché ho dato scandalo colla mia vita cattiva, voglio che tutti siano testimoni del mio pentimento ». Il Sacerdote gli disse che ciò non era necessario; ma bastava, per riparazione dello scandalo, che si sapesse com’egli aveva ricevuto i Sacramenti. Si confessò con tanto dolore e tante lacrime, che il sacerdote dovette più volte fermarsi per lasciarlo piangere. Ricevette i Sacramenti con segni sì grandi di pentimento, che si sarebbe creduto ne dovesse morire. – Non aveva ragione S. Bernardo di dire che, chi è sotto la protezione della SS. Vergine è sicuro; e che non s’è vista mai la SS. Vergine abbandonare chi ha fatto in suo onore qualche atto di pietà? No, miei fratelli, ciò non s’è visto e non si vedrà mai. Vedete in che modo la SS. Vergine ha ricompensato un’Ave Maria che quel giovine aveva detto ogni giorno? E come la diceva! Tuttavia, avete visto che fece un miracolo, anziché lasciarlo morire senza confessione! Qual felice sorte è per noi invocare Maria, poich’Ella ci salva così e ci fa perseverare nella grazia! Qual motivo di speranza è il pensare che, non ostante i nostri peccati, si offre continuamente a Dio per implorarci il perdono! Sì, miei fratelli, Maria ravviva la nostra speranza in Dio. Ella presenta a Lui le nostre lacrime, e ci trattiene dal cadere nella disperazione alla vista delle nostre colpe. – S. Alfonso de’ Liguori racconta che un suo compagno prete vide un giorno entrare in una chiesa un giovane, il cui aspetto rivelava un’anima straziata da’ rimorsi. Il prete s’accostò al giovane e gli disse: « Volete confessarvi, amico mio? » Egli rispose di sì, ma ad un tempo chiese che la sua confessione fosse ascoltata in luogo recondito, perché va esser lunga. Quando furono soli, il nuovo penitente parlò così: « Padre mio, son forestiero e gentiluomo; ma credo di non potere esser mai oggetto delle misericordie d’un Dio, che ho tanto offeso con una vita così colpevole. Per tacere gli omicidi e le infamie, di cui sono reo, vi dirò, che, disperando della mia salvezza, mi sono lasciato andare ad ogni maniera di colpe, meno per contentare le mie passioni, che per oltraggiare Iddio e far pago l’odio mio contro di Lui. Portava indosso un crocifisso, e l’ho gettato via per disprezzo. Questa mattina istessa mi sono accostato alla sacra Mensa per commettere un sacrilegio, ed era mia intenzione calpestar l’Ostia santa, se non me avesse trattenuto la presenza degli astanti »; e così dicendo, consegnò al sacerdote l’Ostia consacrata che aveva conservata in una carta. « Passando dinanzi a questa chiesa, continuò, mi son sentito muovere ad entrarvi a segno che non ho potuto resistere: ho provato rimorsi così violenti, e straziavano talmente la mia coscienza, che, di mano in mano ch’io m’accostava al vostro confessionale, cadeva in grandissima disperazione. Se non foste uscito per accostarvi a me, me ne sarei andato via di chiesa: non so davvero come sia andata ch’io mi trovi adesso a’ vostri piedi per confessarmi ». Ma il prete gli disse: « Avete forse fatto qualche opera buona che vi abbia meritato tal grazia? Avete forse offerto qualche sacrifizio alla santissima Vergine, o implorata l’assistenza di Lei, poiché tali conversioni sono, d’ordinario, effetto della potenza di questa buona Madre? » — « Padre mio, siete in errore: avevo un crocifisso, e l’ho gettato via per disprezzo ». — « Eppure… riflettete bene, questo miracolo non s’è compiuto senza qualche ragione ». — « Padre, disse il giovane accostando la mano al suo scapolare, quest’è quanto ho conservato ». — « Ah! mio buon amico, gli disse il prete abbracciandolo, non vedete che la SS. Vergine appunto v’ha ottenuto la grazia, v’ha tratto in questa chiesa a Lei consacrata? ». A quelle parole il giovane ruppe in amaro pianto; narrò tutti i particolari della sua vita di peccato, e, crescendo sempre il suo dolore, cadde come morto ai piedi del confessore: riavutosi, terminò la sua confessione. Prima d’uscir di chiesa promise che avrebbe narrato dappertutto la misericordia che Maria aveva ottenuto dal suo Figliuolo per lui.

III. — Siam pure avventurati, fratelli miei, d’avere una Madre sì buona, e così intenta a procurare la salute delle anime nostre! Tuttavia non bisogna contentarsi di pregarla, bisogna altresì praticare tutte le altre virtù, che sappiamo essere gradite a Dio. Un gran servo di Maria, S. Francesco di Paola, fu un giorno chiamato da Luigi XI, che sperava di ottener da lui la guarigione. Il santo riconobbe nel re ogni maniera di pregi: attendeva a molte buone opere e preghiere ad onor di Maria. Diceva ogni giorno il Rosario, faceva molte limosine per onorare la santissima Vergine, portava indosso parecchie reliquie. Ma sapendo che non era abbastanza modesto e riserbato nel parlare, e che tollerava presso di sé gente di mala vita, S. Francesco di Paola gli disse piangendo: « credete forse, o principe che tutte codeste vostre devozioni siano gradite alla SS. Vergine? No, no, principe: imitate innanzi tutto Maria, e sarete sicuro che vi porgerà la mano ». Invero avendo fatto una buona confessione generale, ricevette tante grazie ed ebbe tanti mezzi di salute, che morì d’una morte edificantissima, dicendo che Maria con la sua protezione gli era valsa il cielo. Il mondo è pieno di monumenti che attestano le grazie ottenuteci dalla SS. Vergine; vedete tanti santuari, tanti quadri, tante cappelle in onor di Maria. Ah! miei fratelli, se avessimo una tenera devozione verso Maria, quante grazie otterremmo tutti per la nostra salute? Oh! padri e madri, se ogni mattina metteste tutti i vostri figli sotto la protezione della SS. Vergine, Maria pregherebbe per loro, li salverebbe e salverebbe voi con essi. Oh! il demonio come teme la devozione alla SS. Vergine!… Un giorno si lamentava altamente con S. Francesco che due classi di persone lo facevano soffrire assai: prima quelli che concorrono a diffondere la divozione alla SS. Vergine, e poi quelli che portano il santo Scapolare. Ah! miei fratelli, non basta questo per ispirarci grande fiducia nella Vergine Maria e desiderio vivo di consacrarci interamente a Lei, mettendo tra le sue mani la nostra vita, la nostra morte e la nostra eternità? Quale consolazione per noi ne’ nostri affanni, nelle nostre pene, sapere che Maria vuole e può soccorrerci! Sì, possiam dire che chi ha la lieta ventura d’aver gran fiducia in Maria ha assicurato la sua salute; e mai non si udì né si udirà dire che sia andato dannato colui che aveva posto la sua salvezza nelle mani di Maria. All’ora della morte riconosceremo quanti peccati ci abbia fatto sfuggire la Vergine SS., e quanto bene ci abbia fatto fare, che senza la sua protezione non avremmo fatto. Prendiamola per nostro modello, e saremo sicuri di camminar veramente per la via del cielo. Ammiriamo in Lei l’umiltà, la purezza, la carità, il disprezzo della vita, lo zelo per la gloria del suo Figliuolo e per la salute delle anime. Sì, miei fratelli, diamoci tutti e consacriamoci a Maria per l’intera nostra vita. Beato chi vive e muore sotto la protezione di Lei! Il paradiso è per lui assicurato: il che vi desidero.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Gen III:15
Inimicítias ponam inter te et mulíerem, et semen tuum et semen illíus.

[Porrò inimicizia tra te e la Donna: fra il tuo seme e il Seme suo.]

Secreta

Ascéndat ad te, Dómine, nostræ devotiónis oblátio, et, beatíssima Vírgine María in coelum assumpta intercedénte, corda nostra, caritátis igne succénsa, ad te júgiter ádspirent.
[Salga fino a Te, o Signore, l’omaggio della nostra devozione, e, per intercessione della beatissima Vergine Maria assunta in cielo, i nostri cuori, accesi di carità, aspirino sempre verso di Te.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Luc 1:48-49
Beátam me dicent omnes generatiónes, quia fecit mihi magna qui potens est.

[Tutte le generazioni mi diranno beata, perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente.]

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, salutáribus sacraméntis: da, quǽsumus; ut, méritis et intercessióne beátæ Vírginis Maríæ in coelum assúmptæ, ad resurrectiónis glóriam perducámur.
[Ricevuto, o Signore, il salutare sacramento, fa, Te ne preghiamo, che, per i meriti e l’intercessione della beata Vergine Maria Assunta in cielo, siamo elevati alla gloriosa resurrezione.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

I DISCORSI DELL’AQUILA DI MEAUX: LA BEATA VERGINE ASSUNTA IN CIELO

LA BEATA VERGINE ASSUNTA IN CIELO

[J. B. BOSSUET: LA MADONNA – DISCORSI NELLE SUE FESTE – Vittorio Gatti ed. Brescia, 1934]

Quæ est ista quæ ascendit de deserto  deliciis affluens, innixa super dilectum suum.

I misteri della religione cristiana hanno tra di loro un rapporto meraviglioso: quello che oggi noi celebriamo, è legato, in modo tutto particolare, colla incarnazione del Verbo divino. È ben giusto che se Maria ricevette in terra Gesù Salvatore, Gesù suo Figlio riceva in cielo la beata Vergine! Non disdegnò farsi suo figliolo, prender carne nel suo seno, disdegnerebbe oggi di elevarla così a sé, da farla entrare nella sua gloria? Per questo non deve affatto meravigliarci se una luce fulgida circonda la tomba dalla quale la Vergine sale alla gloria e se il suo passaggio all’eternità ha tutta la magnificenza d’un trionfo!… Gesù, oggi, restituisce la vita a Colei dalla quale l’ebbe … è la riconoscenza del Figlio, Uomo-Dio, a sua Madre; Dio è sempre magnifico nei suoi gesti: ricevuta dalla creatura una vita mortale, la ricambia con la vita gloriosa immortale. Così i due misteri, l’Incarnazione del Verbo e l’Assunzione della Vergine si collegano completandosi: e, quasi a render più sublime il rapporto, il collegamento, gli Angeli vengono a congratularsi con la Vergine, essi che avevan annunciato a Lei il grande mistero di un Dio che in Lei si sarebbe fatto Uomo. È giorno di trionfo… fratelli e sorelle mie, mettiamoci anche noi nel grande corteo, alziamo anche noi la povera nostra voce per esaltare Maria! Ma la nostra voce d’uomini forse stona nel grande canto degli Angeli, usiamo anche noi le parole d’un Angelo e cantiamo alla Vergine, pregando — Ave Maria! — Il cielo e la terra hanno le loro solennità, feste, trionfi, cerimoniali speciali per questi giorni di entrate trionfali… magnifici spettacoli proprio di paradiso! Voglio esser più preciso: la terra usurpa questo aggettivo per dar maggior splendore alle sue piccole e meschine pompe. Solo nella nostra patria, nella santa e celeste Gerusalemme, è la realtà della gloria e del trionfo senza fine! Voi, siete certo persuasi che tra tutti questi giorni di festa trionfale, quello che oggi ricordiamo deve essere stato il più luminosamente grande. Gli Angeli belli e gli Spiriti beati certamente non videro mai nulla di più splendido dell’entrata di Maria in cielo, quando vi salì per seder sul trono che Dio Padre, Gesù suo Figlio, lo Spirito Santo suo Sposo, le avevan preparato!… giorno più solenne, (bisogna parliamo di giorni, noi, per capire, mentre l’eternità non ha misura), giorno più solenne non Vi fu certo in cielo! Vorrei, per descrivere questo ingresso trionfale, poter descrivervi e la folla plaudente ripetere le grida acclamanti, i canti di lode e di gioia che avranno risuonato da ogni coro degli Spiriti beati, dalla corte celeste… vorrei poter andar più alto colla mia parola e ritrarvi il momento solenne in cui Gesù avrà presentato al trono del Padre, Maria la sua Vergine Madre, perché la incoronasse!.. Dev’essere stato un momento di gioia tale da far delirare il cielo intero!… Vorrei, ma la parola è povera e la mente nostra è troppo meschina per comprendere queste meraviglie! Il mio ministero però, mi impone di parlare, di dirvi qualche cosa di questo mistero: lo dovrò fare servendomi di similitudini, di esempi. Io penso di presentarvi di descrivervi il viaggio trionfale della Vergine seguita soltanto dalle sue virtù… penso mostrarvela splendente solo della gloria fulgida di queste virtù. A dir vero, la virtù di questa Principessa è quella che più merita d’esser contemplata nel giorno del suo trionfo! È la sua virtù che lo prepara. Lo fa risplendere lo fa perfetto questo giorno trionfale! Voglio dirvi tutto ciò; ma mettiamo un poco d’ordine per dire meglio e capire di più. – Maria entra nella gloria: bisogna, prima di tutto, che le togliamo di dosso la misera nostra mortalità… è un abito sconosciuto nel cielo! e poi bisogna vestirla, anima e corpo: d’immortalità: è questo il manto regale, l’abito del trionfo: vestita così, la faremo sedere in trono; su di un trono al di sopra dei cherubini e dei serafini… al di sopra di ogni creatura! Ecco il mistero di questo giorno! Ed io sento che tre furono le virtù di questa nostra Regina, che compirono l’opera trionfale! Bisognava toglierla al corpo di morte: fu questa l’opera dell’amore; il suo candore verginale sparse nella sua stessa carne una luce d’immortalità; fatti da queste due virtù, direi quasi i preparativi, ecco venir la sua umiltà per collocarla sul trono della gloria dove riceverà nei secoli e nell’eternità l’omaggio degli Angeli e degli uomini. Questo vorrebbe fare la mia povera parola coll’aiuto della grazia divina.

I° punto.

Natura e grazia concorrono a fissare una necessità per l’uomo: morire. È legge di natura: ogni mortale è soggetto al tributo di morte: la grazia stessa non strappa gli uomini a questa triste condizione, poiché il Figlio di Dio che s’era proposto la vittoria e la distruzione della morte, pose come condizione di passar sotto il suo giogo per sfuggirle poi: scender nella tomba per risuscitarne, morire una volta per trionfare completamente della mortalità. La pompa sacra, che oggi io bramo descrivervi, bisogna la cominci dal transito della Vergine: è un momento necessario del trionfo di questa Regina: subir la legge di morte per lasciar nelle sue mani e nelle sue braccia quanto in Lei era di misera mortalità. – Diciamo subito, fratelli, dovendo sottostare Maria a questa legge comune, non lo fece in modo comune! Tutto è soprannaturale nella Vergine … un fatto prodigioso doveva riunirla al suo Figlio divino: una morte in cui splendeva il divino. Doveva chiudere questa vita seminata di prodigi e meraviglie celesti! – Chi opererà questa morte meravigliosa? Non la pensate voi fratelli? sarà l’amore materno; l’amore divinamente bello di Maria che compirà quest’opera! Esso, spezzando i lacci del corpo che le ritardan di abbracciare il Figliolo, stringerà in cielo quelli che solo una violenza estrema poteva separare. Non la possiamo certo comprendere questa morte misteriosa, se non cerchiamo, almeno quanto lo può la nostra pochezza, comprendere quale sia stata la natura dell’amore della Vergine santa: quale la sua origine: quali i suoi slanci, quali le sue manifestazioni, infine quali ferite le produsse nel cuore. – Un santo Vescovo, Amedeo di Losanci, offre una grande immagine di questo amore materno, nella sua omelia in lode della Vergine in due sole parole: « a formare l’amore della Vergine, si fusero in uno due amori. — « Duæ dilectiones in unam convenerant; ex duobus amoribus factus est amor Unus ». Qual è di grazia l’anello di congiunzione di questi amori? Lo spiega lo stesso santo Vescovo: La Vergine amava Gesù dello stesso amore di cui amava un Dio ed insieme amava Dio dell’amore di cui una madre (e che Madre!) amava il suo Figliolo. « Cum Virgo mater Filio divinitatis amorem infunderet, et in Deo amorem Nato exiberet », Studiate bene queste parole, o fratelli, e vedrete che nulla di più grande, di più forte, di più sublime può ritrarre l’amore della Vergine. Le parole di questo santo Vescovo, dicono che grazia e natura concorsero a destare nel cuore di Maria le vibrazioni più forti dell’amore. – Nulla di più forte, direi prepotente, dell’amore per i propri figlioli, ed insieme nulla di più ardente dell’amore che la grazia sveglia nelle anime verso Dio. Questi amori sono due abissi di cui né è possibile scandagliare il fondo né misurarne la estensione. Possiamo ripetere qui la frase del Salmista: « Abyssus abyssum invocat! — L’abisso domanda abisso!… » poiché vediamo che per formar l’amore di Maria dovette fondersi, e quanto la natura ha di più delicatamente tenero, e la grazia di più efficacemente fattivo! La natura, poiché si trattava d’un Figlio di Dio, dovette sentirsi abisso… non è questo però che passa i limiti della nostra immaginazione: è che natura e grazia, così come sono, non bastano: la natura non può pensare ad un Figlio di Dio, e la grazia, almeno ordinaria, non può far amare Dio in un nato da donna. Andiamo allora più in alto a cercare: andremo più in alto, me lo permettete, nevvero, fratelli? più in alto, al disopra della grazia e della natura: cercheremo la sorgente di questo amore nel seno del Padre celeste. – Mi trovo costretto a dire che Dio e Maria hanno un figlio comune, del resto lo disse l’Angelo: « Quegli che nascerà da te, sarà Figlio di Dio » – Maria diventando Madre del suo unigenito si unisce a Dio Padre in questa generazione: si unisce a Dio Padre in questa generazione: « cum eo solo tibi est generatio ista communis ». (S. Bernardo – Discorso sull’Annunciazione). Più alto ancora: vediamo da dove le venga quest’amore: cioè come Maria generò il vero Figlio di Dio. Non fu certo per la sua fecondità naturale: come donna non poteva che dar vita ad un uomo … perché desse vita al Cristo… dovette lo Spirito Santo coprirla della sua virtù. « Virtus Altissimi obumbrabit tibi»: ecco come Maria è associata a Dio nella generazione del Verbo incarnato. Ma questo Dio che volle darle un Figliolo, comunicando a Lei la sua virtù, e parteciparLe la sua fecondità per compiere l’opera misteriosa d’un Dio-uomo, dovette necessariamente far cadere nel suo cuore, accendervi qualche scintilla di quell’amore con cui ama il suo Verbo Unigenito, splendore della gloria del Padre e vivente immagine della sua sostanza. Nacque così l’amore della Vergine, cioè non fu che una effusione una comunicazione fattale dal Padre. celeste, che le dava l’amore come l’aveva fatta capace di esser madre e le aveva dato un figlio. Povera ragione nostra, avresti qualcosa da dire? pretenderesti comprendere quale vincolo stringa Gesù, figlio di Dio, e Maria Madre del Figlio di Dio? Ma v’è forse un vincolo che abbia qualcosa dell’unione che stringe il Padre al suo Verbo, in una unità perfetta? – Cessiamo fratelli dallo scandagliare che sia questo amore materno le cui origini sono così alte, e che altro non è che una emanazione dell’amore che Dio Padre porta al suo Verbo! – Incapaci di comprenderne la forza, la veemenza, credete che potremo immaginarne i movimenti, gli slanci, i trasporti? Non lo possiamo fratelli: l’unica cosa che possiamo è immaginare la tensione dell’anima di Maria, tensione colla quale costantemente aspirava ad unirsi al suo Gesù, tensione che supera ogni sforzo di anima, e per contrasto quindi non poté esservi separazione più violenta, che abbia lacerato un cuore, della separazione che Maria soffri negli anni in cui attese che il suo Gesù la chiamasse a sé. – Dopo l’ascensione trionfante di Gesù, e la discesa dello Spirito Santo promesso, lo sappiamo, la Vergine rimase ancora lungo tempo sopra la terra. Quali fossero i pensieri della sua mente, gli affetti del suo cuore in questo ultimo tratto del suo pellegrinaggio terreno, io credo non lo possa dire labbro umano. Se amare Gesù ed essere da lui amati, attira le divine benedizioni, quale abisso di benedizioni e grazie celesti non si sarà, lasciamelo dire, rovesciato ed avrà inondato l’anima di Maria? Chi potrà descrivere l’ardenza di questo reciproco amore in cui la natura metteva quanto aveva di più tenero, la grazia di più fattivo? – Gesù non ha mai un istante in cui non si sente amato da Maria, e questa Madre celeste non crede amar mai abbastanza questo suo unico Diletto: a lui altro mai non domanda che d’amarlo di più, e questa sua brama ardente attira nuove grazie e nuove benedizioni sulla sua anima. Un’idea, si sa molto grossolana, noi possiamo farcela di questi prodigi: ma, quale ardore veemente abbia avuta la fiamma di amore che Gesù riversava nel cuore di Maria e questa ricambiava a Gesù, non noi, ma nemmeno i serafini celesti. brucianti d’amore, potranno comprenderlo mail! Ed allora vorremo noi misurare su l’amore della Vergine la impaziente brama della sua anima d’esser riunita al suo Figlio? Lo vorremmo, ma lo potremmo? Oh no! Un desiderio bruciante torturò tutta la vita del Salvatore… esser battezzato di un battesimo di sangue… quel battesimo che doveva lavare tutte le nostre iniquità!… e non ebbe pace il suo cuore se non quando — tutto fu compiuto! — Se tanta impazienza agitava il Cristo di morire per noi, quale agitazione impaziente non avrà sconvolto il cuore di Maria per vivere con il suo Gesù! – Se l’Apostolo, vaso d’elezione, bramò esser liberato dal corpo di morte, d’essere distrutto per unirsi al suo Maestro lassù alla destra del Padre (Filippesi, I, 21-23) quale sussulto non avrà sconvolto il sangue materno di Maria? Un anno d’assenza del giovane Tobia lacerò di crudo dolore il cuore di sua madre: fratelli quale differenza tra Tobia e Gesù, tra la madre di Tobiolo e la Madre di Gesù, quale differenza tra i dolori di queste due madri! Oh! che non avrà detto la Vergine in cuor suo, quando vide partire da questo mondo l’uno o l’altro dei nuovi credenti nella parola del suo Gesù!… quando vide salire l’anima di Stefano il primo martire… Ah Figliol mio, avrà gridato, perché ancor mi lasci… dovrò esser ultima tra i tuoi fedeli a ritornare a te? Ah se occorre sangue ad aprir le porte del cielo, Figliol mio, che traesti la tua carne ed il tuo sangue dal mio, oh, tu lo sai… il mio sangue è pronto… vuol esser versato tutto per te!… Io lo ricordo, là nel tempio, il vecchio Simeone dopo averti abbracciato, non bramò che andarsene a dormire eternamente in pace… tanta era stata la sua gioia per un istante della tua presenza!… Ed io, non dovrò io desiderare di riabbracciarti, o Figlio mio, mio Dio, là sul trono della tua gloria?… mi conducesti sul Calvario… volesti che ti vedessi morire… ed ora perché mi vuoi tanto ritardare di vederti regnare?… non porre ostacoli, non ammorzare la fiamma del mio amore per ritardarne l’azione distruttrice… lasciala bruciare e presto, subito brucerà i lacci del corpo, e porterà la mia anima a Te per cui solo vivo! Credetemelo, anime cristiane che mi ascoltate… sarebbe cercar invano… il cercar altra causa della morte di Maria! fu l’amore: un amore sì forte, sì ardente sì bruciante che non le permetteva mandar un solo sospiro senza che scuotesse, fino a spezzarli quasi, i lacci del corpo di morte; di mai provare una pena che non bastasse a sconvolgere tutta l’anima, che mai fosse un desiderio che innalzandosi al cielo non portasse con sé l’anima di Maria! Io dissi che fu un prodigio la morte di Maria; ma non dissi bene… devo dire che colla morte cessò il prodigio… il prodigio fu che Maria abbia potuto continuare a vivere senza il suo Diletto! – Ma potrò io descrivervi come cessasse questo prodigio, e come l’amore abbia dato il colpo di desiderio più ardente, qualche slancio più affettuoso, qualche trasporto più violento venne a liberare quest’anima dai legami della carne? Se voi mi lasciate dire, fratelli, quanto penso, io vi dico che non fu affatto uno slancio più violento d’amore… ma la perfezione stessa dell’amoremdella Vergine. Nel suo cuore, l’amore regnava senza ostacolo, occupava ogni pensiero, dominava ogni desiderio: aumentando la sua attività veniva giorno per giorno perfezionandosi: e perfezionandosi aumentava si moltiplicava fino a che questo continuo aumentare giunse ad una perfezione tale che non era più della terra… la terra non lo poté contenere. – «Vai, diceva quel re greco al suo figliolo, vai figlio mio porta più lontano le tue conquiste dilata i tuoi confini… è troppo piccolo il mio regno per tenerviti rinchiuso ». Oh amore di Maria, o ardente amore della Vergine, tu sei troppo ardente, troppo vasto… un Corpo mortale non può trattenerti… è troppo bruciante il tuo ardore perché possa celarsi sotto questa povera cenere! Vai… brilla nell’eternità, vai ardi brucia davanti al trono di Dio… spegniti, moltiplicati nel seno di questo Dio solo capace di contenerti. – Quando l’amore della Vergine non poteva più esser contenuto nel corpo di morte la Vergine rese la sua anima, la consegnò nelle mani del Figlio: non vi fu bisogno d’uno sforzo speciale: per un piccolo soffio d’aria si stacca d’autunno la foglia secca e la fiamma volgesi all’alto, così fu staccata quest’anima per essere trasportata in cielo: morì così la Vergine: in un atto d’amor divino e la sua anima su l’ali di santi desideri fu Portata in cielo! Fu allora che gli Spiriti celesti si domandavano meravigliati: chi è mai costei che sale dal deserto come nuvoletta di fumo di mirra e d’incenso brucianti? Figura, similitudine meravigliosa che ci ritrae al vivo il modo tranquillo e beato di questo morire! – Una nube di fumo profumato… quale potremmo gustare da profumi bruciati; nube che s’alza tranquilla, non strappata non spinta con violenza… ma delicatamente Vaporizzata da un calore dolce e temperato che la fa innalzarsi spontaneamente! Non una scossa violenta staccò l’anima di Maria: il calore della carità dolcemente la staccava dal corpo avviandola al Paradiso in un’onda di desiderio ardente del suo Amato! Impariamo, Cristiani, a desiderare Gesù Cristo: Egli è infinitamente amabile! Ma cosa desidererai tu o Gesù?… Vi sarà tra questi miei uditori un cuore che brami esser liberato da questo corpo di morte? Ah fratelli e sorelle mie, raramente questi casti desideri si trovan nel mondo! … Segno evidente che Gesù è poco desiderato e che si mette la felicità nei beni della terra, siate sinceri, fratelli quando la fortuna vi arride ed avete ricchezze per procurarli, salute per goderli i piaceri, siate sinceri sognate che vi sia un altro paradiso? pensate almeno che vi possa essere un’altra felicità? Se parla il cuore, voi dovete rispondere che vi trovate bene… che una tal vita vi basta!… ma allora parlo anch’io e vi dico: Voi non siete Cristiani! Meravigliate?.. non volete questa offesa? È subito fatto: mutate giudizio, e persuadetevi che quando dite d’aver tutto vi manca proprio tutto! Bisogna che, circondati da quanto piace alla natura nostra, abbiate a gemere cercando la pace, la tranquillità, pace e tranquillità che non avrete mai fino a quando non sarà in voi Gesù Cristo. – Ci avverte S. Agostino: « Qui non gemit peregrinus non gaudebit civis » — non godrà la gioia della patria, chi non pianse, viaggiatore, sospirandola —. Cioè non saremo mai felici abitanti del cielo se non l’abbiamo bramato in terra: rifiutando di camminar verso la patria non vi giungeremo mai, non ne avremo la gioia… chi s’arresta quando occorre camminare non giungerà mai alla fine del suo viaggio. – Maria ci dà l’esempio: nella sua vita sospirò il cielo, la patria vera: il suo cuore non aveva, non poteva aver pace lontano dal suo Diletto… i suoi sospiri, gli incessanti desideri la condussero, la portarono a Lui facendola passare attraverso la tomba. Facendola passare, poiché Ella non vi rimase nella tomba: la verginità immacolata della sua carne sarà, per il corpo mortale, scintilla di vita nuova: ecco il …

II° punto.

Il corpo immacolato della Vergine, trono della Purezza, tabernacolo della Sapienza divina, strumento di opere meravigliose nelle mani dello Spirito santificatore, sede della Trinità Santissima, non poteva, non doveva rimanere nella tomba! Il trionfo della Vergine non sarebbe stato completo, se la carne sua immacolata non vi avesse avuto parte: fu la sua carne la sorgente della sua gloria!La verginità la preserva dalla corruzione, conservando nel suo corpo la vita: anzi esercita sulla carne una influenza celestiale che la risuscita prima della grande resurrezione restituendole la vita;  infine circondandola di uno splendore celestiale, le dona la gloria. Ecco per ordine quanto vi voglio dire. Devo, prima di tutto, persuadervi che la Verginità in Maria, fu come un balsamo che ne preservò il corpo dalla corruzione. Non sarà molto difficile: ponete mente a quale perfezione s’innalzò la purezza immacolata di Maria! – Per farcene un’idea, richiamiamo una verità: Gesù, nostro Salvatore, essendo proprio per la carne unito intimamente alla Vergine, doveva esigere che tale unione fosse accompagnata da una completa somiglianza con Lui, Doveva cercare qualcuno che lo rassomigliasse: ed ecco che lo Sposo dei Vergini si elegge a Madre una vergine: quasi per fare di questa rassomiglianza la base, il fondamento della unione del corpo della Vergine in cui avrebbe preso carne umana. Questa verità ci avverte che è impossibile pensare ad una purità che possa sostenere un confronto con la purezza di Maria! Non è possibile avere un’idea precisa ,,, pensiamo che questa purezza operò in Maria una perfetta integrità d’animo e di corpo! – Tale azione faceva dire al grande S. Tomaso (p. III, q. 27) che una grazia straordinaria diffuse su di Lei una celeste rugiada che non solo mitigò, come negli altri eletti, ma distrusse, annientò addirittura il fomite della concupiscenza. Vuol dire che, non solo distrusse le opere cattive che sono come la ramificazione, la produzione della concupiscenza, i desideri cattivi che sono la fiaccola che agita per incendiare, e le cattive inclinazioni esca all’incendio, ma fu spento addirittura il braciere, il focolaio, il fomes peccati, la radice cioè più profonda, la causa più intima del male, in Maria. Non poteva quindi esser corrotta la carne della Vergi.ne in cui la verginità di anima e di corpo, e la perfetta somiglianza col Cristo spensero il germe della concupiscenza e con esso ogni, principio di corruzione! – Ricordatelo, o fratelli, la corruzione non dobbiamo noi considerarla come l’anatomico od il medico, conseguenza naturale del composto o di una miscela: noi dobbiamo elevare più alto il nostro pensiero, e credendo all’insegnamento della fede, persuaderci che ciò che spinge la carne nostra alla corruzione è la tendenza sua al male, sorgente di cattive brame, che fa della nostra una carne di peccato, come si esprime S. Paolo. Anche in tutti gli altri eletti doveva essere distrutta questa carne: una carne di colpa e peccato non può essere riunita ad un’anima ed entrare nel regno di Dio di purezza infinita! « Caro et sanguis regnum Dei non possidebunt ». Bisognerà che, cessando dalla sua prima forma, si rinnovelli e perduto il suo primo essere un altro ne riceva dalla mano di Dio! Come si lascia sfasciare o si demolisce pietra per pietra un vecchio palazzo, non più adatto o errato nelle forme, per innalzarne un altro, secondo norme più adatte di arte e di architettura, così si deve riformare, ricostruire questa povera carne vecchia e deformata: È Dio stesso che la lascia ruinare: perché vuol rifarla sul disegno suo primo: quello con cui l’aveva creata. A questo modo, che è basato sui principi della Scrittura Santa, noi dobbiamo parlare della corruzione della nostra carne: imparando che la carne è condannata a ritornare in polvere perché servì al peccato… mentre quella di Maria tutta pura ed immacolata non doveva esser pasto della corruzione. Per questa stessa ragione la sua carne doveva godere dell’immortalità con una risurrezione anticipata: Dio ha segnato è vero, il giorno della risurrezione finale ed universale: ma chi o che cosa può impedire ch’Egli deroghi a questa data e l’anticipi in favore della Vergine? Il sole matura ogni frutto alla sua stagione: ma vi sono terreni così ben coltivati che anticipano, o meglio hanno una azione fruttifera più rapida e pronta e danno frutti precoci. Allo stesso modo: sono molte le piante fruttifere nel giardino del Padre Celeste: ma la carne di Maria era già così pronta, così ben preparata che proprio non aveva bisogno d’attendere il giorno fissato per la risurrezione universale, per produrre i suoi frutti di immortalità. La sua purezza verginale esercitò su di lei una influenza tutta particolare, e la sua somiglianza con Gesù Cristo la fece più rapida a produrre gli effetti della sua azione vivificatrice. La sua purezza può ben attrarre al cielo la Vergine quando fu capace di attrarre a Lei il Verbo di Dio, che scese in questa carne affascinato dal candore della purità… e fece sua dimora il corpo di Maria per nove mesi, e si legò tanto ad esso che da Lei trasse la sua stessa carne — in utero radicem egit — dice Tertulliano. Sarà dunque possibile che il suo Figlio lasci questa carne nella tomba, questa carne tanto amata?… ah no, Egli la trasporterà in cielo ornandola d’una gloria immortale. – Ancora un dono farà la verginità alla Vergine… le preparerà l’abito del giorno del trionfo. Descrivendoci Gesù, nel suo Vangelo, la gloria dei corpi risuscitati dice questa espressiva parola: « Erunt sicut angeli Dei — saranno come Angeli del Signore —: e Tertulliano trae una conseguenza e parlando della carne risuscitata la dice: carne angelicata … angelificata caro —. Tra le virtù di un’anima quella che più è capace di produrre questa spiritualizzazione della carne è la verginità: essa forma Angeli sulla terra, e S. Agostino dice che nella carne produce qualcosa che non è carne: « Habet aliquid jam non carnis in carne » (Della Verginità). Di modo che chi la possiede è più Angelo che uomo. Ed allora questa virtù capace di formare gli Angeli in terra sarà capace, non vi pare, di formarli nella vita futura? Dunque avevo ragione, io, quando vi affermai che la verginità ha una forza speciale per contribuire alla gloria dei corpi risuscitati. Vuoi tu ora Cristiano, immaginare, lo puoi? Di quale splendore sarà circondato il corpo della Vergine la cui purezza eguaglia e supera la purezza degli Angeli del cielo? Le Scritture Sante cercando descriverci questo splendore, par che nel mondo non trovin raggi luminosi abbastanza, ricorrono alla stessa sorgente della luce dicendo di Maria: — Mulier amicta sole — tanto lo scrittore ispirato dovette sentire che una luce grande doveva ornare di gloria questa carne immacolata! O anime che in un voto santo, in un bisogno di cielo avete consacrata la vostra purezza a Gesù, gioite; pensate quali onori la purità santa prepara al vostro stesso corpo: lo purifica, lo consacra, spegne in esso la concupiscenza, mortifica i cattivi desideri e preparatolo così, dispone questa carne mortale ad una luce che non verrà mai meno. – Stimiamolo questo grande tesoro, che noi portiamo in vasi di terra! Rimondiamo, rinnovelliamo quotidianamente il nostro amore alla purezza… praticamente: non sopportando che mai ombra di impurità tocchi il nostro corpo: gelosi della purezza del corpo siamolo altrettanto, anzi più ancora della purezza dello spirito. Così saremo degni figli e compagni alla Vergine, così non saremo indegni della sua divisa… puri nella mente e nel cuore seguiremo più da vicino il carro di trionfo su cui sale al trono della gloria eterna la nostra Madre! – Su avanti… Ella già s’avvia per salire al cielo… tutto è pronto per il viaggio trionfale: l’amore le tolse di dosso la mortalità, la purezza verginale la vesti d’un abito regale… ecco le si fa incontro l’umiltà e la prende per mano per guidarla al trono di gloria.  Contempliamo l’ultima scena del trionfo.

III° punto.

L’umiltà fece trionfare Gesù, l’umiltà fa trionfare la Vergine: per nessun’altra strada Ella avrebbe potuto entrar alla gloria, che per quella tracciata e battuta dal suo Figliolo. Caratteristica propria dell’umiltà, voi lo sapete, è di impoverirsì, lasciatemi parlar così, spogliarsi d’ogni proprio utile: ma, come di rimbalzo, mentre si spoglia arricchisce: poiché si rende più sicuro quello che pare perda. Mai come all’umiltà si possono applicare con esattezza le parole di S, Paolo: tanquam nihil habentes omnia autem possidentes — nulla ha ma tutto possiede. Potrei esporre qui una teoria solida basata al Vangelo:ma è più opportuno alla nostra solennità, ed all’ordine del mio discorso: mostrarne l’attuazione pratica in Maria. –  Tre doni preziosissimi aveva la Vergine: una sublime dignità; una purezza ammirabile di corpo e di anima; e quel che supera ogni tesoro, Ella possedeva Gesù Cristo. Aveva un Figlio diletto nel quale abitava, secondo la frase di S. Paolo, la pienezza di Dio: plenitudo divinitatis. – Eccola alta più d’ogni creatura ma la sua umiltà. La spoglierà di tutto: elevata al di sopra d’ogni creatura per la sua dignità di Madre di Dio si stima umile serva. Separata, o meglio innalzata su tutte le creature per la sua purezza, si confonde coi peccatori ed al tempio unita alle altre mamme attende la purificazione… possiamo pensare uno spogliamento più completo di ogni prerogativa? Eccovi qualcosa di più: perde, sacrifica volontariamente il suo tesoro, il suo Gesù: non solo perché lo vide morire d’una morte crudele là sul Calvario, ma lo perde, direi costantemente, perché se lo vede sostituire con un altro con le parole: — Donna eccoti il figlio tuo — a Lei dette da Lui mentre coll’occhio indicava Giovanni. – Riflettiamo bene fratelli: lo so, il pensiero è un po’ arduo ma so però che è bene posato sulla Scrittura. Pare quasi che Gesù non la riconosca neppur più per sua madre: la dice — donna — non — madre! — Non ne fa alcun mistero: coperto di un cumulo d’umiliazione Egli stesso, vuole con Lui la sua Madre. Gesù ha un Dio per Padre, Maria ha un Dio per Figlio. Gesù Salvatore ha perduto il suo Padre: udite che gli grida: «Dio! Dio mio perché mi hai abbandonato? » Anche Maria perde il suo Figlio: non si sente più chiamar Madre… la chiama — Donna! — Ma l’umiliazione si fa più grande ancora… alla Vergine che perde il Figlio, se ne dà un altro; come se il suo vero Figlio cessi di esserlo, come se il vincolo santo che univa Madre e Figlio si spezzi per sempre! — Ecce filius tuus!… Giovanni! — Nella sua vita mortale Gesù tributò alla Vergine tutte le tenerezze e gli ossequi d’un figlio innamorato: era la sua consolazione, sarebbe stato il suo appoggio nella vecchiaia. Ma ora che sta per entrare nella gloria pare prenda sentimenti degni d’un Dio, par lasci ad un altro il dovere della pietà che la natura vuole nei figli verso la madre! Non è un mio pensiero, fratelli miei; lo prendo da S. Paolino Vescovo nella sua Epistola III° ad Agostino. — Jam Salvator ab humana fragilitate, qua erat natus ex fœmina, per erucis mortem demigraus in æternitatem Dei, delegat homini jura pietatis humanæ —. Vicino a passar dalla fragilità umana, per cui era nato da donna, alla gloria ed alla eternità del suo Padre… che fa?… delegat — trasmette — dà S. Giovanni per figlio a Maria, ed a lui uomo mortale passa i sentimenti naturali della pietà umana. Ecco che Maria non ha più figlio… Gesù la lasciò nelle mani di Giovanni! Quanti anni passa in questo misero stato! Se ne dovette certo rammaricare col suo Gesù. « Ah Salvatore, Gesù, mia consolazione perché mi lasci così a lungo? » Gesù pare che non l’ascolti: e Maria rimane affidata a Giovanni: viva dunque con lui, che è il figlio datole da Gesù… È tuo figlio donna, par ripeta, confortati nel suo amore. Qual cambio! esclama S. Bernardo: le si dà Giovanni per Gesù: il discepolo al posto del Maestro, il servo al posto del padrone… il figlio di Zebedeo al posto del Figlio di Dio! — Il suo Gesù la vuol umiliare, gode nel vederla umili0ata, e Giovanni si prende la libertà di riconoscerla per madre: e Lei l’accetta l’umile sostituzione, umilmente, e l’amor suo materno avvezzo ad accarezzare un Uomo-Dio, non rifiuta di abbassarsi ad amare un uomo. « Non lo meriterebbe questo uomo il mio amore, lo so bene; ma anch’io non meritavo d’esser la Madre di Dio » e così profondamente s’abbassa s’umilia si sottomette!,., – Riassumiamo, fratelli miei, tutti questi atti di umiltà in uno solo… la  grandezza della Vergine scompare… pare che la oscuri completamente l’ombra della sua servitù… ancilla Domini — la sua purezza è offuscata… si presenta, come le segnate da colpa, bisognose di purificazione: giunge ad abbandonare. ad esser privata del suo unico Figlio… e ne accetta. in cambio, un altro. Tutto è perduto… la sua umiltà l’ha completamente spogliata… non ha più nulla « tanquam nihil habentes » ma togliamoci Presto da questo incubo angoscioso: vediamo, fratelli miei, avverarsi per la stessa umiltà l’omnia possident… vediamo l’umiltà che tutto le restituisce centuplicato! – O Madre del mio Gesù, vi chiamaste la serva del Signore nella vostra umiltà: ed oggi l’umiltà vostra vi erige un trono… Salite i gradini di questo trono sul quale riceverete l’omaggio di tutte le creature di cui siete Signora! O Vergine, tutta pura, tutta innocente, il cui candore oscura i raggi fulgidi del sole… vi presentaste, confusa colle madri ed i peccatori, a domandare la purificazione… ma ecco che l’umiltà vostra rivendica il vostro candore…: innocente e pura, voi sarete l’avvocata dei poveri peccatori; sarete il loro rifugio, la speranza di vita più grande dopo il vostro Gesù: « Refugium peccatorum… spes nostra! » Finalmente… Voi perdeste il Figlio vostro unico: anzi parve quasi ch’Egli vi abbia abbandonata, tanto vi lasciò ad attender la sua chiamata qui in terra! Ma la paziente sottomissione con cui sopportaste questa angoscia, muove il Figlio vostro a rivendicare i suoi diritti sul vostro cuore materno… li aveva ceduti a Giovanni per un poco di tempo; oggi li riprende: lo vedo tendervi le braccia, correre ad incontrarvi preceduto dalla corte celeste estasiata, nel contemplarvi salire al Cielo appoggiata al vostro Diletto: « Innixa super Dilectum suum ». – Oh davvero voi siete appoggiata al vostro Diletto: da Lui viene ora la vostra gloria, come fu base ai vostri meriti la sua misericordia. – Cieli… se davvero nell’ammirabile vostra armonia voi raccogliete e moltiplicate le armonie dell’universo, intonate un inno nuovo di lode, di gloria… un inno trionfale. La mano celeste che vi muove e guida vi spinge a questo canto… a dire cantando la vostra gioia. – Se io, piccolo uomo, posso portare il mio piccolo pensiero alto e unirlo ai secreti celesti… mi par vedere Mosè, che più non può frenarsi estasiato davanti allo splendore del trionfo di questa Regina e ripete: « Orietur stella ex Jacob et consurget virga de Israel » (Num: XXIV-17) la grande profezia lasciataci nei suoi libri. Un’estasi meravigliosa inebria Isaia che pieno dello Spirito del Signore ripete il grido che riempiva di gioiosa attesa i secoli: « Ecce Virgo concipiet et pariet Filium » (VII, 14). Ezechiele mira estatico Maria entrare nel cielo: « riconosce in Lei la porta chiusa per la quale nessuno mai entrò nè uscì, e solo vi passò trionfante il Signore Iddio degli Eserciti » (XLIV, 2). – Ed ecco il Re cantore: Davide, l’ispirato, cantare nei salmi: riprende la sua arpa melodiosa e danzando canta davanti alla sua Regina l’ammirabile canto: « Alla tua destra, o mio Re, siede vestita d’oro e di meravigliosa bellezza una Regina: né tutta appare, che, figlia di re, intima è la sua gloria… e sono d’oro i lembi del suo manto. Uno stuolo di fanciulle pure, dietro a Lei correndo l’accompagneranno alla Reggia: e sarà introdotta con gaudio immenso nel Santuario del Re ». (Salmo XLIV). – Ma ecco che la Vergine stessa impone silenzio agli spiriti beati, ed ancora una volta il canto si sprigiona dal cuore e l’anima sua canta: Magnificat anima mea Dominum: il mio cuore trabocca di gioia nel suo Dio Salvatore, poiché guardò al nulla della sua serva e le fece cose grandi… e tutte le genti mi chiameranno beata. Eccovi, fratelli e sorelle mie, eccovi l’entrata trionfante della Vergine… il corteo è sciolto, tacciono i canti trionfali, Maria siede sul suo trono tra le braccia del suo Figlio… « in medio æterno » dice S. Bernardo: è questa l’opera glorificatrice dell’umiltà! – E noi che ci stiamo a fare?… abbiamo contemplato la nostra Regina salire al Cielo, la contempliamo sul suo trono… presto presentiamole i nostri omaggi: siede tra le braccia del suo Gesù il nostro Salvatore… oh su preghiamola di assisterci colla sua potente intercessione. È di lei che dice S. Bernardo, che nessuno fuor che a Lei tocca di parlare al cuore di Gesù nostro Signore: « Quis tam idoneus ut loquatur ad cor Domini Nostri Jesu Christi ut tu, felix Maria? » Lassù vi sarà, io penso, una gara: l’amor materno in domandare, l’amor figliale nel prevenire le domande della Madre. Su, preghiamola perché parli a questo cuore divino e ci ottenga la santa umiltà. – O Vergine Santa, che con Gesù, godendo di una felicità eterna godete della sua benefica famigliarità, parlate per noi al suo cuore: parlate Egli vi ascolta! Non domandiamo grandezze umane: bramiamo quell’umiltà santa che circondò voi di gloria: ottenetela a me, a queste vostre figlie, a tutti quelli che ascoltarono la mia parola! Oh fate, Vergine Santa, che tutti coloro che celebrarono la vostra Assunzione mirabile, penetrino in questo grande mistero, cosicché nulla più vedano, nulla più stimino grande se non quanto nasce e prospera nell’umiltà! Comprendiamo tutti, fatelo o Vergine, che solo l’umiltà prepara trionfi e corone di vittoria: perché nessuna parola mai suonò più vera della parola del vostro Gesù: « Chi si umilia sarà esaltato, chi si abbassa sarà innalzato » a quella felicità eterna dove ci attendono, guidano, invitano il Padre il Figlio, lo Spirito Santo,

Amen.

LO SCUDO DELLA FEDE (169)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (V)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

IV. — Il Cristianesimo cattolico.

b) Schizzo di un’apologia interna.

D. Questo carattere integrale e organico della tua religione ti apparisce senza dubbio una seria presunzione in suo favore, voglio dire in favore di quella origine divina che tu le attribuisci.

R. Una tale presunzione, appunto, ai miei occhi è una prova formale. E io le riconosco una doppia forma: 1° il Cristianesimo cattolico è divino perché presenta una coerenza meravigliosa di tutti i suoi elementi tra loro, coerenza umanamente inesplicabile, e 2°, il Cristianesimo cattolico è divino perché offre, in tutte le sue parti, una capacità di adattamento alla natura e ai fatti, una capacità di reggere la natura e i fatti umanamente inesplicabili.

D. Sono tutte lì le tue prove?

R. Ce ne sono altre in gran quantità; ma in mancanza di altro, io stimo che queste potrebbero e dovrebbero convincere.

D. In che consiste la loro forza di convinzione?

R. Secondo Platone, il carattere delle idee vere è di maritarsi tra loro, e, per le stesse ragioni, il carattere delle idee vere in materia pratica è di adattarsi esattamente a ciò che esse devono reggere. Se dunque l’enunziato della rivelazione, che contiene una così grande somma di nozioni d’ogni specie, e va incontro a una massa anche più grande di fatti esteriori, si mostra a un tempo di una impeccabile unità sintetica e di una perfetta concordanza con tutto l’insieme dei fatti umani, io dico che questo è un segno di verità manifesta.

D. Questa perfetta convenienza, interna ed esterna, supposto che esista, non è forse semplicemente il segno di una notevole sapienza organizzatrice, ma affatto umana?

R. La tua obiezione è naturale; tuttavia, tu stesso sarai meravigliato di vedere quanto poco valore essa abbia. Pesa accuratamente, di grazia, quello che sto per dire.

D. Ascolto.

R. In nessuna parte, nell’universo religioso, si vede all’opera la sapienza organizzatrice « notevole, ma affatto umana » che tu supponi. Nessuno ha concepito i dogmi a titolo d’insieme; nessuno li ha proposti in blocco organicamente, come Sieyès la sua costituzione o Bonaparte il Codice. Il Credo non è un sistema di idee a priori che si sarebbe cercato di rendere coerente e ragionevole prima di consegnarlo ai fedeli, e che si sarebbe poi accuratamente conservato. Le nostre credenze sono agli antipodi di questo, esse poggiano su fatti, e su fatti che si ripartiscono sopra migliaia d’anni, nei dominii più disparati, comparendo, si crederebbe, a piacimento del caso, isolatamente, senza vincoli tra loro, salvo quell’inesplicabile finalità la quale fa sì che si trovino da per tutto dove è necessario, a guisa di quegli eroi da romanzi, disseminati per rapimenti, guerre o tempeste, e che si ritrovano in vista d’un matrimonio.

D. Che cosa intendi per fatti cristiani?

R. Intendo, non solo avvenimenti, ma anche parole, dichiarazioni di principii, enunziati di dottrine, precetti o suggerimenti pratici. E questi fatti, dico, appartengono a tutti i mondi, al mondo giudaico, al mondo evangelico e all’era cristiana tutta quanta; sono fatti grandiosi, come la risurrezione di Cristo o il Discorso del Monte, e umilissimi fatti, come quei che avvengono tra le nostre pareti domestiche o nei nostri cuori; fatti che riguardano tutte le razze e tutte le latitudini come pure tutti i tempi, e hanno il dovere di accomodarvisi. Questi fatti impegnano Dio, la natura e l’nomo; la morale, la storia, l’etnografia, la geografia umana e fisica, la linguistica, l’archeologia, la psicologia vi sono strettamente implicate. In questo gruppo incalcolabile di fatti, ce n’è una folla di arbitrari, di liberi e per conseguenza d’imprevedibili prima dell’avvenimento, ed anche questi saranno tenuti a concordare. Supponiamo che nel corso di tanti secoli di applicazione del regime della grazia, per esempio, l’idea della grazia si fosse modificata nelle teste come al tempo dei Pelagiani, o la nozione della penitenza si fosse modificata come sotto S. Clemente, o la teologia di Cristo stesso, come sotto Ario ed Eutiche, senza che una ferma autorità pensasse di interporsi per ristabilire la dottrina: da quale immenso perturbamento interno il dogma non sarebbe stato assalito! La religione oggi non sarebbe più la stessa; non sarebbe più atta vivere; non si reggerebbe più; quello che sarebbe allora la sua incoerenza, lo possono misurare solo quelli che hanno seguito con uno sguardo chiaro gli avanzamenti del pensiero cattolico. Supponi che un giorno un Papa, per errore o per passione, per pressione d’un partito o per capriccio, sotto l’influsso di un genio, di un principe o di una scuola particolare, si lasci andare a definire un dogma senza vincolo di necessità o di convenienza con gli altri: ecco la nostra unità dogmatica spezzata per sempre. Io cito questi casi tra centomila appartenenti all’ordine del tempo; se ne potrebbe citare altresì un gran numero a proposito delle razze, degli ambienti, delle circostanze, delle idee, delle persone. Qui le difficoltà possono sorgere da tutte le parti. Ebbene si è evitato tutto; si sono vinte tutte le antinomie e si è circolato tra tutte le insidie senza ricorrere ad alcun sistema di precauzioni, che del resto erano per lo più impossibili a prendere ed anche a conoscere. Tutto è stato inquadrato; ogni fatto nuovo risponde come a un appello, ogni dogma particolare corrobora l’insieme e vi si aggiunge per mille legami. E il tutto si adatta all’umanità individuale e sociale, ai suoi caratteri, ai suoi bisogni, alle sue evoluzioni, alla sua coscienza morale soprattutto e al suo senso religioso, con una evidenza di rigore tanto maggiore quanto più profondamente si studia e la nostra umanità da una parte e il dogma dall’altra. Infatti, come osserva Pascal, «la religione non fa che conoscere a fondo ciò che si riconosce tanto più quanto si hanno maggiori lumi ».

D. La fede, in tutto questo, non trova quello che essa cerca?

R. Essa trova quello che cerca e meglio ancora, sembra, quello che non cerca. Essa è una relazione universale. La sua profondità nativa la fa coincidere dovunque con l’esperienza. Essa non è sorpresa da niente, in bene o in male. Non è stata inventata, e sarebbe stato necessario inventarla perché la vita si spiegasse, perché la vita avesse i suoi soccorsi innumerevoli; perché avesse soddisfazione ne’ suoi istinti d’integrità, di giustizia, di sociabilità, d’ideale; perché non mancasse punto di consolazioni e di speranze; perché potesse essere preparata agli accidenti che l’attraversano, alle inquietudini che la turbano, e, in mancanza del resto, al suo vuoto. Ma ciò che non ha inventato l’uomo, esiste per un miracolo permanente il quale è giocoforza che sia constatato. Un filosofo poco credente, liberissimo di spirito, Novalis, scrisse: «Si potrà studiare il Cristianesimo ancora per delle eternità, ma esso apparirà sempre più alto, più molteplice e più magnifico ». Il più grande miracolo di Gesù Cristo non è di aver risuscitato dei morti, ma di avere rigenerato a fondo la vita e la coscienza dell’uomo; non è d’avere compiute le profezie giudaiche, ma d’aver realizzato quelle del nostro cuore.

D. Tu presti così al Cristianesimo una specie di necessità ideale.

R. Non è una necessità, ma una straordinaria convenienza che permette di dire: il Cristianesimo era in noi in qualche maniera, prima di essere in se stesso; vi era come una chiamata: Gesù Cristo ha portato come una risposta. E non c’è da dire, questa risposta è perfetta; è «un getto su natura » (AGOSTINO COCHIN). Nell’immensa estensione della vita e delle verità naturali che la esprimono, vi possono essere dei punti di attrito provenienti dalla nostra ignoranza o dalla nostra inesperienza, provenienti anche dalle inevitabili imperfezioni di un sistema che congloba i difetti umani; ma è impossibile rilevare una contradizione. C’è lì un mistero.

D. Non è forse misteriosa ogni nascita?

R. Tant’è che ogni nascita dimostra una causa proporzionata a ciò che nasce, e questo vale in favore del Cristianesimo ugualmente che per una nascita d’uomo. Chi, dunque, in seno alla madre, ha distribuito alle membra, agli organi, ai tessuti, alle cellule innumerevoli del corpo che ella ha generato gli elementi della sua propria nutrizione, in tal modo che questo corpo viva, sia un corpo, e il tipo così realizzato risponda a un pensiero ereditario, a un pensiero eterno? Forse che qualcuno ha disposto gli atomi con la mano? Parimenti nessun uomo o gruppo d’uomini ha organizzato industriosamente e adattato il nostro dogma. Esso è apparso allo stato frammentario, senza piano umanamente preconcetto; l’anima sua, simile all’idea direttrice dell’embrione umano, non è di questo mondo. E allora di qual mondo è?

D. Il sistema cattolico è fondato per pretendere a così alte meraviglie?

R. Il sistema cattolico, nel suo insieme, è l’organizzamento dell’infinito, Ecco un’impresa assai pericolosa per uomini! Vi si devono necessariamente introdurre delle cose che ci stupiscono, delle cose incredibili in se stesse, assurde, si oserebbe dire, se si prendessero a parte, come la presenza reale di un corpo organico, in un’apparenza di pane, come la Risurrezione, quel Ritorno dalle ceneri dell’altro mondo. Chi penserebbe a inventare tutto questo? chi potrebbe poi sperare di metterlo d’accordo, e di mettere d’accordo noi con esso, e ottenere in suo favore la compiacenza infinita del tempo e degli uomini? Ad ogni svolta si può produrre uno squarcio mortale, un fatto che ricalcitra, un agente di esecuzione che fallisce, una dottrina che trionfa e può farsi vedere caduca, uno scioglimento profondo come quelli dei ghiacci che l’inverno aveva ammucchiato e che il sole di primavera disgrega. Nessuno interviene per impedire qualche cosa; una turba di gente è lì per compromettere tutto e tutto cammina a seconda; il sistema funziona, per la grazia d’una potenza immanente che la Chiesa rappresenta, ma che essa non conosce.

D. La Chiesa cattolica può forse ignorare il suo proprio funzionamento?

E. Lo ignora nella sua sintesi completa, nella sua legge misteriosa, che è una grazia di vita, non di cognizione lucida. Gli uomini organizzano con perspicacia degli insieme ristretti; Dio organizza con chiara visione l’insieme totale delle cose; la Chiesa, che organizza da parte sua, entra nell’organizzazione di Dio che conosce la sua portata, che sa dov’essa conduce; per una ispirazione interiore, essa s’adatta all’insieme e lo serve; ma quest’insieme e tutta la somma di provvidenza che vi si dispensa, la Chiesa non ha la grazia di discernerlo.

D. Donde viene a questo gran corpo di dottrine, di fatti e di esseri, il suo « sublime » discernimento?

R. È quello che io domando. Non vi è convergenza del caso; non vi è concorso di illusioni disperse. Una concordanza non ideologica, ancora una volta, ma sperimentale, che la pratica individuale e sociale conferma, che ha la firma dei fatti, questa concordanza estesa in tutte le direzioni e in tutti gli ordini, magnifica per altezza e per profondità, oltre le sue dimensioni temporali e spaziali, vuole una spiegazione.

D. La falsità non ha essa pure le sue riuscite?

R. La falsità è come i bugiardi, si contradice sempre; solamente la verità piena non si prende mai in fallo. «Tu credi alla scienza perché aduna molti fatti, scrive Giacomo Rivière: tanto più devi credere alla religione, perché essa li raccoglie tutti ».

D. Divina istituzione, insomma?

R. Non è forse proprio di una istituzione divina, lo sposare in tutti i suoi contorni e in tutti i suoi annali l’umana e universale realtà? Se il Cattolicismo comprende tutto, non è forse perché esso è al di sopra di tutto, perché il suo Dio è al di sopra di tutto, perché il suo Cristo è il riformatore di tutto, perché lo Spirito che lo governa è la guida suprema di tutto? Nessuna rivelazione riesce bene e neppure ha valore se non è una confermazione; ma ancora una confermazione integrale, e sotto questo aspetto precisa, non si dimostra forse come un’autentica rivelazione? Chi avesse potuto inventarlo avrebbe potuto concepire un universo, e concepire un universo non appartiene se non a chi lo può creare: questa è opera divina.

D. Ciò mi sembra importante, e vorrei penetrare meglio il tuo pensiero.

R. Bisognerebbe esplorare i particolari, e ciascuno di essi porterebbe seco la conclusione con una certezza crescente. Preciserò solo qualche caso. – Tutto quanto il dogma dipende dal quadruplice fatto della Trinità, dell’incarnazione, della redenzione e della grazia. La Trinità è un’espansione di Dio in se stesso. L’incarnazione è una manifestazione della Trinità in missione umana. La redenzione è il lavoro del Dio incarnato, della Trinità manifestata e data, lavoro che include tutta la storia, dalle origini fino «all’ultimo avvenimento », nel quale tutto si deve concludere. La grazia è il dono stesso secondo che egli è nell’uomo in virtù dell’incarnazione redentrice e delle missioni trinitarie, e la grazia prende tutte le forme della vita, anzitutto la forma individuale e la forma sociale, con tutti gli aspetti che, nell’ora stessa e nel corso di tutti i tempi riveleranno la vita fisica, la vita morale, la vita professionale, la vita domestica, la vita politica, la vita ecclesiastica, la vita sacramentale e la vita mistica. Tutto questo forma un insieme infrangibile, di una coerenza meravigliosa, che dà soddisfazione alla mente sempre più in proporzione che vi penetra, rispondendo ai più alti pensieri e alle più intime aspirazioni dell’uomo riguardo al divino: infatti è questo il divino eretto, se così posso dire, dalla Trinità, al di sopra di ciò che la ragione ne poteva conoscere, ma è soddisfazione della ragione, come dovremo poi far vedere, ed è poscia il divino ridiscendente in fascio nel creato, per il canale di Cristo, in forme che sposano tutte quelle del creato, riproducono i suoi caratteri, sopraelevano i suoi poteri e li utilizzano senza sforzo né mutilazione.

D. È questa la tua sintesi dogmatica?

E. Ne è uno schema. La Trinità, vita di Dio in se stesso; l’incarnazione, prima tappa delle comunicazioni; la grazia, seconda tappa che utilizza la nostra unità solidale nell’Uomo Dio; la Chiesa, mezzo sociale di un’ampiezza e di un’organizzazione ammirabile, mai interamente penetrata, mai uguagliata; i sacramenti, mezzi della Chiesa e di Cristo che comprendono tutta la vita per rigenerarla, nutrirla, purificarla, fortificarla, reggerla e perpetuarla fino alla vita eterna: si ha il diritto di dire che questo solo risponde pienamente, a fondo, nello stesso tempo trascendentalmente ed esattamente, al senso religioso che l’analisi constata in tutti gli uomini, e gli dà una sovrabbondante soddisfazione.

D. Ad ogni modo io registro il fatto.

R. È tutto quello che io domando. Ma ecco! quest’insieme, espresso schematicamente, ma i cui aspetti sono innumerevoli, conglobando direttamente o indirettamente tutto ciò che è, non può mancare di essere eccessivamente delicato, I teologi lo sanno; alcuni lo sanno anche troppo. Entrandovi, la mente si trova in un terribile ingranaggio; sbagliato il minimo pezzo, è tutto il sistema che non funziona più e non può più servire. Oltreché la complessità è estrema, i legami sono rigidi; niente caucciù lì dentro, niente batuffoli di ovatta; metallo, sempre. Lo stesso Renan, per esperienza, disse: « La teologia cattolica è formata di blocchi di granito legati insieme da ramponi di ferro ». Ora tutto ciò, com’è ben manifesto, non è stato elaborato, umanamente, da nessuno.

D. Non vi sono delle fonti?

R. Se si cercano fonti per ciascuno enunziato di fatto o di dottrina, se ne trovano; ma questa necessità di laboriose ricerche prova già quello che io affermo. Queste fonti si presentano allo stato frammentario e senza nessi visibili. Non si sa ben determinatamente donde ciò esca fuori, La Bibbia è una selva dottrinale. Lo stesso Gesù Cristo si è espresso senza alcuna cura di segnare la coerenza de’ suoi discorsi, a seconda dell’insegnamento. Egli gettò la sua parola alle turbe, e nessun Platone e nessun Senofonte era presente per stabilirvi un ordine, per interpretarla sapientemente o anche per raccoglierla stendendola accuratamente per iscritto.

D. Gesù ebbe dei discepoli.

R. I suoi discepoli fecero come Lui; vissero religiosamente e fecero vivere; insegnarono, ma non costruirono nessuna teologia sistematica; spiegarono dei fatti e ne trassero delle regole pratiche; i loro scritti sono scritti di circostanza, concepiti in vista di un’utilità immediata; i principali, dopo le quattro raccolte di note chiamate Vangeli, sono le Epistole, vale a dire delle lettere. I fatti, le parole e i precetti sacri passarono di là in una tradizione in cui dominavano uomini senza cultura, e la cui mente era orientata in tutti i sensi. Ciò non si è elaborato se non più tardi, e l’elaborazione, notalo bene, consistette nel mostrare l’accordo, non nel crearlo.

D. La Teologia non è una fattrice d’ordine?

R. La teologia mette in luce l’ordine; ma non lo crea punto. La teologia non crea nulla; getta dei ponti d’idee tra certi fatti, tra certi dati che non le appartengono in alcun modo; essa si deve servire di ciò che è, senza modificarlo mai, quand’anche lo potesse, e per lo più, presa la posizione immutabile, essa non lo potrebbe. L’astronomia che inventa un sistema del mondo non crea gli astri.

D. L’accordo così manifestato, secondo te, era dunque nelle cose stesse?

R. Esattamente, e per conseguenza in qualche mente collocata al di sopra delle cose: ecco quello a cui io voglio venire.

D. Quale mente?

R. Lo domando a te stesso. Quale mente assegnare, per un insieme a un tempo disperso e organico di tanti elementi, di tante dottrine delicate ed astruse, di tante asserzioni nuove e generalmente sorprendenti, di tanti fatti gli uni passati o presenti, gli altri futuri, che avvolgono tutte le cose umane? Quale mente, se non una mente sovrumana?

D. Perché parlare di cose future?

R. Perché se l’accordo intimo dei dogmi poté essere messo in luce abbastanza presto, avviene affatto diversamente dell’adattamento del dogma, di ciascun dogma, all’insieme e ai particolari di tutti i fatti ai quali una religione universale e permanente si dovrebbe un giorno applicare. Un tale adattamento, per essere così anticipatamente assicurato, non suppone forse una cognizione antecedente o un’intuizione superiore di tutto il contenuto e di tutto lo sviluppo della natura umana, di tutte le sorprese della storia, di tutte le richieste future della civiltà? Chi ha potuto far prevedere ai primi apostoli, quando predicavano la dottrina dell’Uomo Dio, lo sfolgorante successo di questa dottrina straordinaria, incredibile per i pagani, scandalosa per i Giudei; i suoi frutti incomparabili di santificazione; la sua riuscita per Dio stesso, se così posso dire, per il fatto dell’avvicinamento insperato del Creatore e della creatura sopra questo terreno vivente; la potenza con la quale questa dottrina ha attratto le anime, le ha strappate a se stesse, le ha sollevate, le ha lanciate in tutte le imprese, le ha sottomesse a tutti gli sforzi, piegate a tutte le discipline, pacificate in tutte le loro sofferenze, esaltate nei loro sentimenti più generosi, più larghi e più intimamente beatificanti, le ha avvinte a sé con una tenerezza che non si ha per un padre, per un fratello, per un amico, neppure per uno sposo o una sposa, poiché per Lui si è rinunziato alla sposa, allo sposo ed è stato dato a Lui stesso questo nome?

D. Ammetto che ciò sia prodigioso.

R. Pensa al culto della croce, a quello del tabernacolo, a quelle messe che fanno il giro del mondo col sole, a quelle comunioni che inondano i cuori di calorose gioie, e a quelle liturgie che le accompagnano con un decoro non solo spirituale, ma estetico, infatti di lì procede tutta l’arte cristiana. E pensa che si trattava di milioni di esseri, d’una folla d’istituzioni, d’una costellazione di popoli, e di quanti secoli, dopo che il ventesimo è sorto?

D. Ragioni questa volta a proposito dell’ordine sociale?

R. Di fatti! Nell’ordine sociale, chi ha detto a Pietro il barcaiolo e a Paolo di Tarso, a Gesù stesso, che ci sarebbero un giorno dei barbari da incivilire, una situazione imperiale da liquidare, dei re da domare, delle terre immense da dissodare, delle turbe da istruire e da educare, dei comuni da organizzare, delle corporazioni da formare, delle guerre da ridurre o da temperare, una Cristianità da mantenere coerente in un tempo di turbolenta anarchia? ecc., ecc.

D. La religione non ha fatto tutto questo da sola.

R. Io non lo pretendo affatto. Vi ha però collaborato in un modo che si può chiamare materno, nel senso proprio della parola. E per collaborarvi così, non bisognava forse che essa fosse a ciò adatta di sua natura stessa, che il suo principio concordasse con ciò che si può chiamare il principio o lo spirito incivilitore?

D. Tutto ciò è molto lontano da noi.

R. Ma per più tardi, negli stessi tempi nostri, chi ha detto al pescatore d’uomini che vi sarebbe una democrazia da moralizzare, un regime del lavoro da rinnovare, una società internazionale da creare, un capitalismo, un sindacalismo, immensi corpi sociali che offrono dei problemi come nessuno ne conosceva né poteva sospettarne una volta? Chi disse loro che in questi giorni, le soluzioni sarebbero tanto più difficili in quanto che il sentimento della personalità umana e del valore individuale si svilupperebbero nei gruppi sociali come mai si erano sviluppati; che le distinzioni artificiali tra gli uomini sarebbero sempre più ripudiate e cancellate dalle costituzioni politiche; che la vita pubblica sarebbe obbligata a piegarsi a principii di uguaglianza a volte eccessivi, ma in fondo umanissimi e nobilissimi, e che questo non andrebbe scompagnato da furiosi dibattiti e da terribili scosse? Chi, dunque, chi ha potuto far presagire tutto questo agli organizzatori della fede,

D. Io non ne vedo la necessità.

R. Io la vedo in ciò che, in questo nuovo campo, l’adattamento non è meno perfetto di quello che fosse al principio dell’era cristiana; anzi lo è infinitamente di più. Quanto più l’umanità progredisce, tanto più il Vangelo le conviene e le è necessario.

D. Il Vangelo non entra in causa.

R. Io parlo del Vangelo vivente, della Chiesa, e della dottrina precisa della Chiesa. Metti in presenza tutti i fatti contemporanei e il dogma cattolico; fa la critica dei loro rapporti mediante un’analisi comparativa ben condotta, e io ti prometto una meraviglia. I nostri sociologi moderni non sospettano ciò che essi trascurano, Io scrivo freddamente, pronto a provarlo, che questi sapienti «avanzati» sono dei retrogradi; che essi hanno fatto indietreggiare, per cecità spirituale e per presunzione la scienza reale, la scienza profonda degli assettamenti umani, che si trova appunto nel dogma, ad ogni modo importata da esso, concordante con esso e dipendente dal suo aiuto. Lo stesso avviene dell’economia domestica moderna, del regime individuale moderno, che più ancora che i regimi antichi trovano nel dogma cattolico e in esso solo la loro consistenza morale e le loro garanzie di progresso.

D. La tua Chiesa avrebbe dunque risposto a tutto?

R. In nessun modo, e mi preme anche di protestare, come ho fatto molte volte, contro quei che domandano alla religione delle soluzioni che non dipendono se non dalla tecnica e dall’umana esperienza. A ciascuno il suo compito. Ma se tu vi rifletti seriamente, vedrai che alla radice di tutte le difficoltà umane, si trova una o più difficoltà morali, e sono quelle che la Chiesa risolve. In certo modo, nulla di questo mondo la riguarda, poiché essa non è di questo mondo, e tutto la riguarda, perché questo mondo ha tutte le sue radici nell’altro, come la pianta nella terra e nel cielo. La Chiesa, se vuoi, non apre alcuna porta; ma fornisce tutte le chiavi-

D. Non tutti la pensano così.

R. È possibile; eppure, io pretendo di dimostrarne a chi vorrà la verità smagliante. E del resto, in mancanza di una confessione di verità, non è forse sufficiente che una tale pretensione si possa anche solo enunziare; che essa non sia ridicola; che, in una discussione serrata, abbia per sé la minima probabilità seria? Riguardo a una dottrina che risale a venti secoli e predicata da pescatori, tu mi confesserai che questo è già un bel miracolo.

D. Si trattava di una prova.

E. Se si può dire che per il nostro tempo la prova non è fatta, non lo si può dire per il passato, che è acquisito, e che dimostra la coincidenza perfetta del dogma cattolico con la vita, col movimento storico, con la civiltà. Un’altra sola dottrina, religiosa o filosofica, oserebbe qui presentarsi in concorrenza con la dottrina di Cristo? La si attende nella lizza.

D. Ma tu non hai detto come la Chiesa conserva e svolge il deposito che le fu affidato; sta forse lì il segreto de’ tuoi «miracolosi» adattamenti tra il dogma una volta acquisito e î fatti umani.

R. Aspetta! La Chiesa è lei stessa un dogma; sarebbe troppo facile riguardarla come piovuta dal cielo senza farne onore al cielo. La Chiesa è un dogma che ne contiene molti altri, come quell’ammirabile comunione dei santi, sopra la quale bisognerà ritornare, e come l’infallibilità la cui importanza è qui visibilissima. Ora il dogma della Chiesa, della Chiesa infallibile, ci fornisce uno di questi segni di coerenza che io rilevo; perché  esso è legato con un vincolo così necessario ai dogmi della Trinità, dell’incarnazione, della redenzione, e della grazia, che non è possibile separarnelo.

D. Sotto quali rapporti tu ve lo annetti?

R. Sotto il rapporto della loro manifestazione, della loro conservazione e della loro utilizzazione. Il dogma della Chiesa è indispensabile alla manifestazione degli altri; perché la vita interiore della Chiesa è fatta del commercio della Trinità, se mi è lecita l’espressione, con gli uomini invitati alla sua intima dimestichezza. Essa stessa, la Chiesa, è come un’incarnazione e una redenzione continuata, una grazia sociale, pegno e mezzo di tutte le altre, conforme alla nostra natura, che è altresì sociale, e temporale, e sensibile. Il dogma della Chiesa è necessario inoltre all’utilizzazione degli altri dogmi, per gli stessi motivi tratti dalla nostra natura, donde risultano i nostri bisogni individuali e sociali. Ed è non meno necessario alla loro conservazione; perché senza la Chiesa insegnante, e infallibilmente insegnante, tutti i dogmi, compreso quello della Chiesa madre delle anime, sono abbondonati a tutte le variazioni e dati alle bestie.

D. Lo spirito conservatore della Chiesa non è sufficiente garanzia?

E. Lo spirito conservatore della Chiesa appartiene a ciò che io asserisco; del resto esso non potrebbe impedire lente derivazioni. Appunto a questo proposito, un illustre protestante, Augusto Sabatier, dopo ampia discussione, conclude con questo dilemma: o accettare la Chiesa infallibile, o rinunziare a ogni dogma. Egli per conto suo, rinunzia a ogni dogma; ma la sua testimonianza è giusta. Si ha il diritto di dire: Senza la Chiesa sparisce tutto quello che è cattolicismo, e senza le prerogative essenziali che la Chiesa a sé attribuisce, sparirebbe lei stessa. Questa, credo io, è coerenza.

D. Ma come si è stabilito questo dogma della Chiesa?

R. Tanto poco artificiosamente quanto gli altri, per il proprio gioco dei fatti, in virtù di parole, di gesti e d’interventi sporadici. Alcune dichiarazioni semplicissime di Gesù ne sono il punto di partenza, e si crede di metterci nell’imbarazzo dicendo che vi è sproporzione tra queste dichiarazioni e l’immensa macchina attuale, o anche con i suoi abbozzi primitivi, le Chiese di Barnaba o di Paolo. Ma questa sproporzione è per noi un trionfo; io ne concludo che questo ha germogliato affatto da solo, come la pianta quando si è gettato il grano. Il grano germoglia e subito vede tutta la vita della natura collaborare seco, perché? Perché anch’esso è vita, perché vi è in esso uno spirito di vita. Io chiedo qual è, per la Chiesa, lo spirito di vita. Le scosse dei primi giorni, e poi i venti della storia avevano tutto quello che ci voleva in fatto di violenza e di capriccio per sradicare un germoglio senza vita ardente, senza vita miracolosamente salda: a più forte ragione non avrebbero fecondato un germe senza vita.

D. Anzitutto io parlavo della conservazione del dogma.

R. Infatti, vengo ora alla tua domanda: come la Chiesa, così stabilita, ha conservato tutto il resto? Coi medesimi procedimenti tanto poco artificiosi quanto era possibile; coi procedimenti della vita. Un’autorità decide, proprio, come nel vivente, un ordine parte dal cervello per mettere in azione gli organi. Ma nello stesso modo che il cervello non fa altro che servire l’idea vitale inclusa in tutto il corpo e da cui procede esso stesso: così l’autorità dottrinale non fa altro che prestare una voce al dogma immanente nella turba cristiana. Essa non pretende di innovare niente; ma consacra. Essa s’informa precedentemente; ma non in aria, astrattamente; consulta la massa vivente per sapere che cosa essa porta seco. Assistono dei teologi per secondarla; essa riapre i suoi grandi libri: la Bibbia, gli scritti dei Padri, quelli dei dottori illustri, la Somma di S.Tommaso D’Aquino, e i teologi viventi si sforzano d’interpretare questo insieme. Ma i teologi, come ho detto, si son guardati bene dal creare qualche cosa; essi riducono a sistema, ecco tutto il loro compito personale; quanto al resto, raccolgono ed adunano.

D. E dove attingono essi?

R. Te lo dico: nella vita, nella pratica corrente, nelle forme della preghiera, che rivelano loro il «senso della Chiesa », il suo contenuto spirituale, l’anima sua. La tradizione e l’applicazione spontanea, l’unica attestazione del che se ne fa sono così l’unica attestazione del « deposito ». Se l’autorità insegnante riflette, e molto, prima di decidere qualche cosa, la sua riflessione non ha che questo oggetto: quale è il deposito? che cosa contiene il germe? Proclamando tale dottrina, restiamo noi nella specie umano-divina che è il frutto della nostra istituzione, oppure creiamo un ibrido in cui la vita autentica non continuerebbe.

D. E chi finalmente deve dire l’ultima parola per decidere?

R. Tu penseresti che sia il più sapiente, il più influente, il più esperimentato, il più religioso, il più santo, o comunque colui che, nella stima altrui, aduna in sé tutti questi vantaggi! Niente affatto. È un uomo che generalmente è dotato e competente in una sufficiente misura, ma che può anche non esserlo e che a volte non lo fu punto; egli è l’eletto di una maggioranza del caso, un giudice che non offre alcuna garanzia speciale, salvo che egli è regolarmente investito come successore di Pietro e con ciò diventa l’erede della promessa.

D. Questo veramente ti basta?

R. Con questo tutto Va bene; la vita continua; nessuna alterazione si produce; nessuna perdita minaccia, la coerenza dogmatica non si smentisce mai; si evitano delle difficoltà alle quali soccombono le più grandi menti, quando speculano per loro conto; l’adattamento all’umanità e alle sue miriadi di condizioni si manifesta sempre più ricco, come lo accertano oltre i risultati della vita, gl’immensi lavorio di confrontazione e di approfondimento a cui si dedicano i teologi, storici e i sociologi di tutti i tempi. Pascal direbbe: ciò supera l’uomo.

D. L’adattamento di cui parli è solamente sociale, o anche individuale?

R. Bisogna che sia individuale per essere sociale; perché, ad onta dei sociologi inesperti, la società prende i suoi caratteri appunto nel cuore dell’individuo e nel quadro della famiglia, individuo completo. Una dottrina di vita ha dunque il dovere di adattarsi a tutte le particolarità individuali legittime, a tutte le attitudini, a tutti i temperamenti morali, a tutti gli stati di vita, a tutte le professioni; altrimenti la sua nozione stessa e specialmente i suoi mezzi non avrebbero niente di concreto; non sarebbe che uno schema senza utilità realmente pratica. Ogni cristiano dovrà indubbiamente sentirsi figlio di Cristo, partecipe della sua salute, stimolato da Lui a vivere conforme alla legge di amore e a tutte le sue conseguenze comuni; ma nello stesso tempo egli si sentirà una « vocazione », delle «chiamate», un ideale proprio, un « dovere di stato », delle «grazie di stato », e anche delle «grazie attuali», vale a dire grazie di atto, grazie per ciascun atto e che ne prenderanno la forma; a tal segno che egli saprà di essere stato preso di mira nella singolarità del suo caso e della sua persona.

D. Di ciò vi sono tracce antiche?

R. È quello che fa vedere la dottrina cattolica prima ancora della sua nascita effettiva, nella persona del Precursore. Giovanni Battista non raccomanda a tutti quello che fa egli stesso; parla ai soldati dei doveri del soldato, al pubblicano, al doganiere dei doveri dell’esattore delle imposte. Gesù alla sua volta, pur lodando il Battista come il più grande degli uomini, ha cura di notare che non farà come lui; Egli proclama la varietà; la consacra con la sua azione, che parte sempre dal fatto personale, dal caso e dalla disposizione presente; e ne dà questa ragione sublime: Così la Sapienza sarà giustificata da tutti i suoi figliuoli, cioè dall’insieme de’ suoi figliuoli.

D. Ciò è continuato indubbiamente?

R. Più tardi, i santi, quelli che tra i fedeli incarnano meglio la dottrina, non si dànno alcun pensiero di rassomigliarsi; sono dei potenti originali, a volte fino all’eccentricità, come lo Stilita, Benedetto Labre o Filippo Neri. Non hanno neppure la cura di rassomigliare a se stessi nelle varie fasi della loro vita; essi seguono lo Spirito; ma lo Spirito è uno; tutti vivono del medesimo succo, che si mostra così conveniente alle piante umane e alle più disparate forme di evoluzione umana.

D. Vi sono altri segni di questa verità?

R. Eccone uno: tra le persone che vivono attorno a noi, se ne vedono di quelle che aderiscono o ritornano alla Religione Cattolica per le ragioni più diverse: ragioni propriamente religiose, ragioni sociali, ragioni politiche, ragioni estetiche, ragioni sentimentali, delle quali ben si vede il lavoro, nel corso di una procedura che si sforza di oltrepassarle. Ciascuno ha cercato il suo adattamento personale, l’ha trovato e si figurerebbe volentieri che la Chiesa sia fatta specialmente per offrirgli quello che a lui importa. Ma un altro ha raggiunto la verità da un altro lato, un terzo da un altro ancora, e tutti insieme ne provano l’integrità, il carattere compito, come una statua ben riuscita è dimostrata conforme alle leggi dell’equilibrio delle masse e della giustezza dei profili, dove si svela la forma perfetta. «In fondo, è il Cattolicismo che noi oggi cerchiamo tutti », scriveva recentemente un giovane Ebreo convertito (MARCELLO SCHWOB).

D. Donde viene la tua fiducia in un simile adattamento per l’avvenire?

R. Dal fatto che l’avvenire di cui tu parli è un avvenire di uomini, e che s’incontra necessariamente quest’avvenire incontrando l’uomo. Per il Cattolicismo, essere un risultato autentico del passato, una sintesi perfetta del presente e un’esatta previsione dell’avvenire, è la stessa cosa.

D. Ma l’uomo aspira al progresso.

R. Se queste speranze di progresso si effettuano, io dico che la ricchezza dell’adattamento andrà sempre crescendo; perché la nostra fede rappresenta un ideale. Essa si offre ad un’umanità imperfetta con tutto quel che ci vuole per trarre partito dalle sue imperfezioni; ma spinge di sua natura al perfezionamento e in seguito vi si accorda. Di tappa in tappa, può condurci, e seguirci, e condurci ancora, fino all’impossibile ideale di Cristo: Siate perfetti come il vostro Padre celeste è perfetto.

D. Una tale dottrina della vita non sembra un po’ fuori della vita?

R. Essa è la vita stessa. La vita non è altro che uno sforzo più o meno riuscito verso l’ideale, un eroismo, come dice William James. Ciò non si oppone per nulla alla semplicità e al senso pratico. La fede cattolica è tanto pratica quanto ideale, tanto semplice quanto profonda e ricca. Ce n’è per i pastori e per i magi, per i passeri e per gli elefanti. Chiunque, grande o piccolo, ritorna in sé e si trova collocato in faccia ad essa, la riconosce.

D. Allora, perché discutere?

R. Si discute con l’ineredulo, per forza; egli non si vorrebbe arrendere senza argomenti; gli argomenti sono la sua difesa istintiva, le sue armi. Ma in fondo, lo slancio decisivo non viene dalla disputa, ma dalla connaturalità ben manifestata, poi riconosciuta, del Vangelo e dell’anima, del dogma e della vita. La verità è una cosa « tanto naturale quanto il sole e l’acqua fresca, scrive Paolo Claudel, tanto facile all’anima quanto il pane e il vino ». Per questo il povero incredulo, una volta fatto il passo, è di solito stupefatto del tempo è degli sforzi che gli occorsero per varcare un abisso che non esiste.

D. Tuttavia, nel dogma, si rilevano apparenti contradizioni.

R. Non vedi che queste contradizioni dipendono appunto dalla sua pienezza e dalla sua integrità? Quando si tiene tutta la strada, si tengono i due fossati, e si trova sempre qualcuno che ti dice: tu sei troppo a destra; tu sei troppo a sinistra; oppure: tu raccomandi nello stesso tempo la destra e la sinistra. Al che il Cattolicismo risponderebbe: È vero, ma io armonizzo tutto. Il dogma è il maestro della giustezza; esso raduna in sé tutto e spinge tutto alla sua pienezza, senza che vi sia nulla di discorde. Ma abbracciando tutta la vita, deve sembrare che esso si contraddica; perché le circostanze della vita sono infinitamente diverse, e quello che conviene oggi o qui, domani o là, si fa vedere contrario. Onde, per questo solo che abbiamo definito la dottrina cattolica una relazione universale, potremmo definirla, per il fatto delle sue opposizioni apparenti: un paradosso universale; ma ciò sarebbe una suprema lode.

D. Ti farebbe dunque piacere l’opposizione degli estremisti e nello stesso tempo quella del « giusto mezzo »?

R. Esattamente per la stessa ragione, Le persone estreme sono estreme non perché raccomandano un estremo; ma perché non ne raccomandano che uno solo. Quelli che tu chiami del «giusto mezzo» si tengono in un posto intermedio donde non si sprigiona nessun orizzonte. La dottrina cattolica tiene tutto lo spazio, ed è lontana dalla mediocrità quanto dalla parzialità di questo o di quel dato estremo. È quello che aveva profondamente colpito Pascal in ciò che riguarda l’eminente dignità e la miseria dell’uomo, con tutte le loro conseguenze. La fede cristiana è al confluente di questi contrari e ammette diversamente l’uno e l’altro. Essa è ottimista e pessimista a fondo, secondo il punto di vista da cui uno si colloca. Esalta a un tempo il misticismo e la positività, l’austerità e la gioia, la verginità e l’amore, la sollecitudine di se Stesso e il generoso sacrifizio, il dolore e la felicità, la libertà e la subordinazione, l’uguaglianza e la gerarchia, la pace e la giusta guerra, la dolcezza e la fermezza, la prudenza e la facile confidenza, l’abbandono alla Provvidenza e il lavoro, la fede e le opere, il libero arbitrio e la grazia, il distacco e l’ardore di vivere, la misericordia e la giustizia, la pietà e la bontà paziente in tutte le tappe della prova terrestre, e la necessaria implacabilità del supremo giudizio.

D. Lì, ce n’è per tutti!

R. Sì, ce n’è per tutti al positivo; ma ce n’è anche per tutti al negativo, cioè, vi è di che suscitare delle opposizioni da tutte le parti, e dei rimproveri e delle contese che si distruggono a vicenda quando si mira la totalità, ma che, lasciate ciascuna a se stessa, sembrano giustificate e turbano le teste. È la luce totale del Vangelo che, offendendo tutti per una ragione o per un’altra, accumula attorno a sé le nubi. Così il sole è offuscato dagli effetti del suo proprio irradiamento.

D. Non è così delle altre dottrine?

R. Le altre dottrine mi offrono precisamente la controprova di ciò che io affermo. Non ce n’è nessuna che non risponda a qualche punto di vista del pensiero e a qualche esigenza della vita. Ciò che non corrispondesse a niente non si potrebbe far riconoscere, poiché il bisogno che si crede di averne è quello stesso che lo crea. Ma la concordanza col bisogno umano non è mai se non parziale; si afferma una verità, se ne dimentica un’altra complementare, come noi lo davamo a giudicare un po’ più sopra. « La loro colpa, dice Pascal, non è di seguire una falsità, ma di non seguire un’altra verità ». « Perciò, aggiunge egli, il mezzo più spedito per impedire le eresie (0 tutti gli errori di qualsiasi genere) è istruire su tutte le verità, e il più sicuro mezzo di confutarli è dichiararle tutte », sapere tutte le verità.

D. Queste dottrine che tu dici insufficienti possono essere coerenti in se stesse?

R. Ciò non è possibile. Da questo difetto di adattamento alla realtà, che si chiama errore, risulta necessariamente, in materia religiosa, un’incoerenza interna. Ciò che ha rapporto a tutto e non si adatta a tutto non si può adattare a se stesso. Una chiave universale che non apre certe porte dimostra un difetto che si dovrebbe riconoscere anche prima di tentare di aprire.

D. È tale il caso di tutte le dottrine di cui parlo io?

R, Tal è il caso di tutte le dottrine tranne la sola dottrina cattolica. Tutte offrono un carattere di parzialità facile a svelarsi, delle dimenticanze che nel Cristianesimo cattolico fanno brillare la sua trascendente esperienza, delle mutilazioni che, per trovare il rimedio invitano a ricorrere a Colui « che sapeva quello che è nell’uomo » e alla sua rappresentanza autentica, la Chiesa.

D. Così tu rifiuti ogni parità!

R. Di tutte le dottrine ce n’è una sola che sia sensata, ed è quella che si dice soprannaturale; ce n’è una sola che sia umana, ed è quella che si presenta come divina. Tutto il vasto movimento di riflessione e di indagini al quale si dedicano gli nomini, checché ne sia di passeggere fluttuazioni e di fuggitive esperienze, non è diretto che a una cosa: rovesciare le dottrine avversarie della fede e confermare la fede; convincere d’insufficienza e d’inumanità parziale tutto ciò che non è la pura e semplice verità cattolica, e giustificare la Chiesa Cattolica.

D. Certi dicono tuttavia che la religione va morendo; si dice perfino che sia morta.

R. È forse per questo che la questione religiosa, la quale, nel mondo civile, si è sempre confusa con la questione cristiana, e si confonde sempre più con la questione cattolica, è quella che domina apertamente o sordamente tutte le altre? Strana morte, quella che riempie il nemico d’inquietudine e il cimitero di rumore!

D. Quello che tu chiami il nemico, appartiene indubbiamente prima di tutto al mondo politico?

R. Difatti. Ora la società politica riconosce la Chiesa poiché si difende da essa. La società politica riconosce il pregio della Chiesa, poiché gareggia d’influenza con essa, poiché applica sotto altri nomi i suoi principii civilizzatori.

D. Si sente dire che l’istituzione cristiana ha fallito al suo compito e che la sua ricerca d’un ideale di umanità è finito in una sconfitta.

R. Il mondo non è finito. La « sconfitta » del Cristianesimo è la nostra civiltà! Vi è una sconfitta relativa in ragione delle nostre infedeltù e delle nostre resistenze; vi è però un trionfo, trionfo parziale che un’altra éra ha per missione di completare.

D. Attribuisci dunque ad onore del Cristianesimo tutta la civiltà?

R. In questo io non faccio altro che ispirarmi ai più grandi annalisti e ai pensatori meno cattolici: Renan, Taine, Harnack, Guizot, Agostino Thierry, Disraeli, Strauss stesso, che, dopo avere tentato di scoronare Cristo, scriveva a suo dispetto: « La morale di Cristo è il fondamento della civiltà umana ».

D. Vedi bene! si tratta della morale, e non del dogma.

R. Conosci tu una morale di Cristo che “operi storicamente” e che sia indipendente dal dogma? Invano si pretende che il Vangelo in se stesso sia una pura morale e che il dogma sia una creazione ecclesiastica. Ma questo non ci interessa. La morale di cui si parla così non consiste che in belle sentenze. Si fa parlare Gesù « come un libro  »; ma non è un libro e neppure il suo, che ha rinnovato il mondo; è un’istituzione vivente, operante, senza la quale il libro chiamato Vangelo non avrebbe maggiore importanza umana e influenza incivilitrice che il Manuale di Epitteto o il Baghava-Gita. Ora l’istituzione vivente e operante uscita da Cristo non ha morale che non sia dogmatica. La sua morale è una parte della sua teologia, e la sua teologia è dogmatica alla base: la parte morale non è che una conclusione, come già in S. Paolo. Te lo spiega Bossuet, con una grandiosa immagine: « Non ci vogliono punto due soli, nella religione del pari che nella natura, e chiunque ci è mandato per illuminarci nei costumi, il medesimo ci dà la conoscenza delle cose divine, che sono il fondamento necessario della buona vita ».

D. La religione non insegna i costumi per mezzo di massime pratiche?

R. La Religione rende costumata la società con l’applicazione effettiva e con l’azione concreta del suo insegnamento riflettente la natura dell’uomo soprannaturalizzato dalla grazia, unito per mezzo di Cristo al Padre, nell’unità dello Spirito, e orientato, in comunione coi suoi fratelli, nella Chiesa, verso la vita eterna. Tal è il principio civilizzatore; non ce n’è altro. Coloro che parlano di morale cristiana separata si attaccano a un’astrazione, oppure si lasciano prendere dalle puerilità a volte eloquenti, ma sempre ingannatrici e spesso nefaste. Il Gran Rabbino Lyon scriveva sapientemente: « Per apprezzare l’influenza del carattere e dell’opera di Gesù sul progresso dell’umanità, ci vorrebbe la scienza universale ». Un Gran Rabbino si onora di parlare in tal modo. Ma lui parla, con ragione dell’opera di Gesù, e non delle sue parole. Ora l’opera di Gesù è la Chiesa, la Chiesa dogmatica, o non è niente: sopravvive a Lui realmente nella storia; solo questo opera nel suo Nome. E se per apprezzare il risultato ci vuole «la scienza universale », è dunque perché il risultato è universale, perché esso si estende a tutto, perché niente di umano, di vivente, di moderno gli è estraneo.

D. Per me l’opera di Gesù è soprattutto spirituale

R. Difatti, noi dimenticavamo qui l’essenziale, voglio dire quella corrente di santità che, attraverso alla civiltà esterna e nel più profondo de’ suoi immensi veli, si espande come un Gulf-Stream spirituale, attestante il fuoco divino sorto dal Vangelo. Si può contestare questo fatto quando ci si lascia ipnotizzare dai mille difetti che l’umanità presenterà sempre; ma questa stessa severità dei nostri giudizi, donde viene se non dalla santità introdotta nel mondo da Cristo e che suscita la critica, quando non può suscitare la virtù? Prima di Cristo, la perfezione morale era una rarità, quasi un’anomalia; in seno alla Chiesa, essa è combattuta, ma comune e non ci stupisce se non per la sua grandezza.

D. Tu fai così allusione agli eroi di santità; ma non ce ne sono forse in tutti i gruppi religiosi?

R. Trovami un S. Vincenzo de’ Paoli mussulmano; una Giovanna d’Arco buddista, un curato d’Ars pastore protestante, un S. Vincenzo Ferreri o un S. Francesco Saverio salutista. E dico questo, credimi, non per disconoscere delle grandi anime, né per sdegnare il bene sparso dovunque. Asserisco soltanto che la spiritualità vera, il succo evangelico sbocciato nelle profondità, l’eroismo spirituale che fa capo a quella pienezza di donazione, a quel calore di sacro entusiasmo, a quella carità nel grande senso in cui consiste la santità, questo non si vede manifestamente, e al completo, se non nella nostra Chiesa.

D. Vi sono delle santità nascoste.

R. Ve ne sono anche presso di noi; spero molte; saranno queste le nostre scoperte del cielo. Ma perché non ve ne sono di splendide, e di pubbliche, e che si completano, se non in un solo gruppo? Un tal caso fortuito sarebbe assai meraviglioso. La risposta naturale non è forse piuttosto che là dove sorgono gli eroi religiosi, ivi appunto si formano, normalmente, gli uomini religiosi, e che se la religione si estende a tutto, è condizione di tutto, si fa vedere preziosa per ogni cosa, è lì, normalmente, che si dovrebbero formare gli uomini?

D. Da ciò si dovrebbe concludere che per essere uomo, bisogna farsi Cattolico Romano.

R. È veramente quello che io ne concludo. Se ciò ti sembra offensivo, è perché ti collochi dal punto di vista delle persone. Io rispetto le persone, e so fare le loro parti. Ma parlando di dottrina, dico: Sì, per essere pienamente uomo secondo il punto di vista dell’ideale adottato, del programma e dei mezzi, bisogna essere Cattolico Romano. Ciò non significa affatto che questi o quei Cattolici Romani valgano più di questi o quegli altri; ma significa che essi hanno la verità e che gli altri non l’hanno. Chiunque non sia esplicitamente o implicitamente Cattolico non è uomo al completo. È indubbiamente per questo che il convertito ha sempre l’impressione di ritrovare se stesso e di reintegrarsi in se stesso. E viceversa, come dice finemente Giacomo Rivière, l’incredulo « ha sempre l’aria di uno al quale si nasconde qualche cosa, e che non se lo immagina ».

LA SUMMA PER TUTTI (11)

LA SUMMA PER TUTTI (11)

R. P. TOMMASO PÈGUES O. P.

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

SEZIONE SECONDA

Idea particolareggiata del ritorno dell’uomo verso Dio.

Capo XIII.

Delle virtù morali. – La prudenza: natura ed elementi; virtù annesse; specie: prudenza individuale, familiare, regia, militare.

946. Che cosa deve fare l’uomo per rendersi un giorno degno di possedere nel cielo a titolo di ricompensa Dio stesso, quale la fede, la speranza e la carità gli permettono di raggiungere anche sulla terra?

Nello stesso tempo che deve vivere continuamente di queste grandi virtù e dei doni che loro corrispondono, deve anche mettere in opera tutte le virtù morali ed i doni corrispondenti.

947. Quale è la prima di queste virtù morali?

È la virtù della prudenza (XLVII).

948. Che cosa intendete per questa virtù?

Intendo un principio di azione morale che perfeziona la ragione pratica dell’uomo, affinché in ciascuna delle sue azioni disponga ed ordini tutte le cose come si conviene, imponendo a se stesso ed a tutti quelli l’azione dei quali è subordinata alla propria e da essa dipende, ciò che bisogna fare ad ogni istante per il perfetto adempimento di. ciascuna virtù (XLVII, 1-9).

949. Questa virtù ha una grande importanza nella vita morale dell’uomo?

Questa virtù ha una somma importanza nella vita morale dell’uomo; perché senza di essa è impossibile nella vita morale dell’uomo ogni atto virtuoso (XLVII, 13).

950. Questa virtù, quando esiste e compie eccellentemente il proprio atto, basta ad assicurare il lato virtuoso di tutta la vita del uomo?

Sì; quando esiste e compie eccellentemente il proprio atto, questa virtù basta ad assicurare il lato virtuoso di tutta la vita dell’uomo (XLVII, 14).

951. Perché questo privilegio è attribuito alla prudenza?

Perché in essa sono riunite tutte le virtù, non potendone esistere alcuna senza di essa, e non potendo essa stessa esistere senza il concorso di tutte le altre.

952. Questa virtù, per essere perfetta, esige numerose condizioni preliminari per ciò che riguarda il suo atto?

Sì; questa virtù, per essere perfetta, esige ed implica numerose condizioni preliminari per ciò che appartiene al suo atto.

953. Quali sono le condizioni preliminari che la virtù della prudenza esige ed implica per la perfezione del suo atto?

Anzitutto occorrono certi elementi che la costituiscano e senza dei quali non potrebbe esistere; quindi, nello stesso tempo, anche altre virtù che le sono ordinate e preparano il suo atto; infine la divisione di essa medesima secondo la natura dei soggetti da governare e da reggere (XLVHI-LI).

954. Quali sono gli elementi che la costituiscono e senza dei quali non potrebbe esistere?

Sono il ricordo delle cose passate; la intelligenza e la chiara visione dei principi dell’azione sia in generale che in particolare; la docilità ed il rispetto per quello che è stato determinato dai più saggi predecessori; la sagacità nel trovare essa medesima ciò che le sarebbe impossibile domandare ad altri in una circostanza improvvisa; il sano esercizio della ragione, applicando come si conviene i principi dell’azione alle varie condizioni particolari così diverse ed incerte dell’azione stessa: la previdenza e la determinazione voluta nel momento dell’azione per ogni atto particolare, riguardo alla sostanza di tale atto; la circospezione in ordine a tutto ciò che circonda questo atto; la precauzione contro tutto quello che potrebbe porvi ostacolo o comprometterne il frutto (XLIX, 1-8).

955. Quali sono le altre virtù che le sono ordinate e ne preparano l’atto?

Sono la virtù del buon consiglio e le due virtù che assicurano il buon giudizio: l’una nei casi ordinari della vita, tenendo conto delle leggi stabilite; l’altra nei casi straordinari, ed allorché si deve ricorrere ai lumi superiori di solo diritto naturale (LI, 1-4).

956. Come si chiama l’atto proprio che deve regolare la prudenza, quando si compie in seguito ai due atti del buon consiglio e del buon giudizio?

È l’atto stesso del comando che provoca l’azione (XLVII, 8).

957. Dunque la prudenza è propriamente la virtù del comando?

Sì: la prudenza è propriamente la virtù del comando.

958. Ma non sembra al contrario che sia la virtù del consiglio, dal momento che si sogliono chiamare «prudenti» gli uomini che si assicurano prima di agire?

Gli uomini non si chiamano « prudenti » che in ragione del consiglio che infatti precede il comando; ma la virtù propria della prudenza sta nell’atto stesso di comandare con energia e risolutezza nel momento voluto in cui bisogna agire (XLVII, 8 ad 2).

959. Vi sono diverse specie della virtù della prudenza?

Sì: vi sono tante specie della virtù della prudenza, quante sono le specie degli atti di comando che rivestono una speciale difficoltà nell’ordine della virtù.

960. Quante sono le specie di questi atti di comando?

Sono quattro: l’atto di comandare a se stesso; l’atto di comandare nella famiglia; l’atto di comandare nella società; e l’atto di comandare nell’esercito, (L, 1-4).

961. Come si chiamano le diverse specie della virtù della prudenza, corrispondenti a questi diversi atti di comando?

Si chiamano: prudenza individuale; prudenza familiare; prudenza regia, e prudenza militare (L, 1-4).

962. Che cosa intendete per prudenza individuale?

Intendo quella specie di prudenza richiesta in ogni individuo per il governo della sua vita morale, in ordine al proprio bene personale.

963. Che cosa intendete per prudenza familiare?

Intendo quella specie di prudenza necessaria a tutti i membri della famiglia, perché ciascuno nella parte che a lui conviene e sotto la direzione del capo, concorra al bene della famiglia medesima (L, 3).

964. Che cosa intendete per prudenza regia?

Intendo quella specie di prudenza necessaria al capo della società perfetta, che è la città indipendente o la nazione ed il regno, per governare come si conviene questa società (L. 1).

965. Basta per il bene della città e della nazione che questa prudenza si trovi in colui o in coloro che governano?

No: bisogna che anche che anche nei governati si trovi una specie di prudenza, proporzionata a quella del capo o del governo (L;,-2).

966. In che cosa consiste la prudenza dei governati?

Consiste in questo, che ogni membro della società, in ciascuno dei propri atti di ordine sociale, faciliti il conseguimento del bene comune, con la perfetta corrispondenza agli ordini del capo o del governo (L, 2).

967. Anche la prudenza militare è ugualmente ordinata al conseguimento del bene comune nella società?

Sì: e tale prudenza è di estrema importanza per il bene della società, perché essa deve assicurare col retto comando dei capi e la disciplina corrispondente dei subordinati fino all’ultimo soldato, la difesa della patria contro gli attacchi o le ingiustizie dei nemici esterni (L. 4).

Capo XIV.

Del dono del consiglio corrispondente alla prudenza.

968. La virtù della prudenza ha un dono speciale dello Spirito Santo che le corrisponde?

Sì; il dono del consiglio (LII).

969. Che cosa intendete per dono del consiglio?

Intendo quella disposizione soprannaturale o trascendente che perfeziona la ragione pratica dell’uomo, rendendola pronta e docile a ricevere dallo Spirito Santo, nella ricerca o investigazione e nel consiglio che si riferisce all’azione in tutto l’ordine della vita umana, tutto ciò che è necessario alla salute; venendo così in aiuto alla ragione dell’uomo, che sebbene fornita di tutte le virtù acquisite o infuse in ordine al retto consiglio che deve disporre al perfetto giudizio ed al perfetto atto del comando, resta sempre soggetta all’errore ed alle sorprese, nella complessità quasi infinita delle circostanze che possono interessare il suo atto, sia per se stessa che per gli altri, in ordine all’acquisto del cielo (LII, 1, 2).

970. Il dono del consiglio potrà continuare ad esistere dopo questa vita?

Sì: ma in maniera particolarmente trascendentale (LII, 3).

971. Quale sarà questo modo speciale, secondo il quale il dono del consiglio continuerà ad esistere nel cielo?

Consisterà in questo, che tutte le intelligenze saranno meravigliosamente illuminate da Dio sopra tutto ciò che nel dominio dell’azione armonizza per esse col conseguimento del loro fine già ottenuto; sia che si tratti di atti derivanti eternamente dal conseguimento stesso del fine, sia che si tratti dell’aiuto che esse sono destinate a portare fino all’ultimo giorno a coloro che devono ancora lavorare alla conquista od al conseguimento di questo fine (LII, 3).

Capo XV

Dei vizi opposti alla prudenza: l’imprudenza, la precipitazione, l’inconsideratezza, l’incostanza, la negligenza, la falsa prudenza, la prudenza della carne, l’astuzia, l’inganno, la frode, la falsa sollecitudine.

972. Vi sono dei vizi opposti alla virtù della prudenza?

Sì; vi sono dei vizi che le sono opposti per difetto, ed altri che le sono opposti per eccesso.

973. Come si chiama la categoria dei vizi opposti per difetto alla virtù della prudenza?

Si chiamano col nome generico di imprudenza (LIII).

974. Potreste dirmi che cosa è la imprudenza considerata in generale?

Si dice imprudenza in generale ogni atto della ragione pratica compiuto dall’uomo fuori delle regole che assicurano la retta ragione della prudenza (LI, 1).

975. Può esservi peccato mortale nell’atto di imprudenza?

Sì: e ciò avviene quando la ragione dell’uomo ordina la propria azione contrariamente alle regole divine; come colui che disprezzando e ripudiando i divini ammonimenti, agisce con precipitazione (LIII, 1).

976. E quando non vi sarebbe che peccato veniale?

Quando l’uomo agisce fuori delle regole divine, ma senza che vi sia da parte sua

disprezzo, e senza compromettere ciò che è di necessità di salute (LII, 1).

977. Il peccato di imprudenza si trova unito ad ogni altro peccato?

Sì; il peccato di imprudenza si trova unito ad ogni altro peccato, perché non vi sarebbe alcun peccato se non vi fosse qualche atto di imprudenza: tuttavia questo peccato può esistere anche da sé solo distinto dagli altri peccati (LII, 2).

978. Quando è che il peccato di imprudenza esiste da sé solo distinto dagli altri peccati?

Tutte le volte che senza fare alcun cosa di male, o anche facendo qualche cosa di bene in se stesso, si agisce con precipitazione o senza riflessione, in maniera incostante o con negligenza (LIII, 2).

979. Che cosa intendete per precipitazione? La precipitazione è quel peccato contro la prudenza che consiste nel tralasciare di investigare prima di agire, quando e come bisognerebbe (LIII, 137).

980. E la inconsideratezza che cosa è?

È un peccato contro la rettitudine del giudizio, e consiste nel disprezzare o nel trascurare ciò che assicura il retto giudizio in ciò che riguarda l’azione (LIII, 4).

981. Perché la incostanza è un vizio opposto alla prudenza?

Perché è un difetto nell’atto stesso del comando che è l’atto proprio. della prudenza: infatti, incostante è colui che per mancanza di fermezza nel comando, non ottiene nell’ azione ciò che era stato stabilito dopo la investigazione ed il consiglio (LII   I, 5).

982. Soltanto questo difetto può interessare l’atto principale della prudenza?

Ve ne è anche un altro che gli è opposto da parte della sollecitudine che esso implica, ed è la negligenza (LIV).

983. Che cosa è dunque la negligenza?

La negligenza è una mancanza di prontezza o di rapidità nel mettere immediatamente in opera, per via di precetto o di comando, le risoluzioni del giudizio preparato dalla investigazione e dal consiglio, in ordine all’azione che deve conseguire il fine della virtù (LIV, 1).

984. È un grave peccato la negligenza?

Sì; può dirsi che questo peccato sia gravissimo, nel senso che paralizza tutto nel dominio dell’azione virtuosa; perché  o impedisce che questa azione si compia, o fa sì che si compia fiaccamente ed in maniera così stentata da perdere la maggior parte del proprio merito e del proprio valore (LIV, 3).

985. Come si chiama questa negligenza quando si estende all’atto esterno per ritardarlo o rallentarlo ed indebolirlo?

Si chiama accidia e torpore (LIV, 2 ad 1).

986. Questi altri due vizi si distinguono dalla negligenza propriamente detta e considerata in se stessa?

Sì; perché il peccato della negligenza in senso stretto consiste propriamente nella assenza o mancanza di prontezza e di vigore nell’atto del comando, in quanto questo difetto proviene da una rilassatezza interna della volontà (LIV, 2).

987. È importante vigilare sul vizio della negligenza e non lasciarsene invadere?

Si: ciò è di somma importanza perché il peccato di negligenza si trova alla origine stessa dell’azione, e riguarda l’atto principale della ragione pratica, dalla quale tutto dipende nell’esercizio di ogni atto di virtù; donde consegue che si estende a tutto nel dominio di questa vita, e può tutto infettare del suo veleno.

988. Questo vizio può essere qualche volta mortale?

Sì; ed è sempre tale quando è causa del non risolversi a volere e ad agire nelle cose necessarie di precetto alla salute; ma anche quando non lo è, se non ci si impegna a sorvegliarlo per combatterlo senza tregua, costituisce di per se stesso una malattia di languore, che conduce fatalmente al deperimento ed alla morte (LIV, 3).

989. Come si chiamano i vizi opposti alla prudenza per eccesso?

Si chiamano falsa prudenza e falsa sollecitudine (LV).

990. Che cosa intendete per falsa prudenza?

Intendo quel complesso di vizi che snaturano il vero carattere della prudenza, favorendo un cattivo fine o eccedendo da parte dei mezzi (LV, 1-5).

991. Qual è il vizio che snatura il vero carattere della prudenza favorendo un fine cattivo?

E la prudenza della carne (LV, 1).

992. In che cosa consiste la prudenza della carne?

Consiste nel disporre le cose della vita umana in ordine agli interessi materiali considerati come fine (LV, 1).

993. La prudenza della carne è peccato mortale?

Sì: quando considera gli interessi materiali come ultimo fine; se li considera come fine particolare non ordinato attualmente al vero ultimo fine che rimane sempre il fine abituale, non è che peccato veniale (LV, 2).

994. Ed i vizi che eccedono da parte dei mezzi quali sono?

Questi vizi sono l’astuzia ed i suoi annessi: l’inganno e la frode (LV, 3-5).

995. Che cosa intendete per astuzia?

Intendo quella falsa prudenza consistente nell’usare mezzi falsi ed ingannevoli, si tratti pure di un fine buono o cattivo per cui vengono usati (LV, 3).

996. E l’inganno che cosa è?

L’inganno è un vizio che consiste nel mandare ad effetto, con la parola o con gli atti, i disegni interiormente stabiliti dall’astuzia (LV, 4).

997. Potreste dirmi la differenza che passa tra l’inganno e la frode?

Tra l’inganno e la frode passa questa differenza, che pure essendo ambedue diretti alla esecuzione dell’astuzia, l’inganno è diretto a tale esecuzione sia per via di parole che di fatti indistintamente; la frode invece non è diretta alla stessa esecuzione che per via di atti, ossia di fatti (LV, 5).

998. L’astuzia, l’inganno e la frode sono la stessa cosa che la menzogna?

No; perché la menzogna si propone il falso come fine; invece, l’astuzia, inganno e la frode se lo propongono come mezzo. Se ingannano, lo fanno per conseguire un certo fine che si propongono:

999. Che cosa si deduce da questa differenza?

Si deduce che la menzogna è un peccato speciale nell’ordine delle virtù morali, che si trova in opposizione soltanto con la virtù della verità;  invece l’astuzia, l’inganno e la frode possono trovarsi in diverse specie di vizi e di peccati senza costituirne distintamente alcuno nell’ordine delle virtù morali, ma solamente nell’ordine della prudenza, la cui caratteristica è di entrare in tutte le altre virtù.

1000. Che cosa intendete per peccato di falsa sollecitudine?

Intendo quella sollecitudine per la quale si pone ogni cura nella ricerca delle cose temporali, ossia una cura superflua ed un timore esagerato di mancare di queste cose (LV, 6)

1001. Esiste una sollecitudine delle cose temporali che può anche essere buona?

Si, la sollecitudine che in tali cose una cura moderata, ordinandola al fine della carità ed affidandosi alla Divina Provvidenza (LV, 6).

1002. Che cosa si deve pensare della sollecitudine che riguarda l’avvenire?

Questa sollecitudine è sempre cattiva quando si estende a ciò che dovrà essere proprio di altro tempo (LV, 7)

1003. Dunque quando sarà buona la sollecitudine che riguarda l’avvenire?

Quando si contenta di provvedere alle cose avvenire, in quanto che esse dipendono da quelle che debbono occuparci nel momento in cui siamo; lasciando al tempo che verrà poi ciò che ci dovrà occupare allora (LV, 7).

Capo XVI.

Dei precetti relativi alla prudenza.

1004. La virtù della prudenza ha qualche precetto che le corrisponde fra i precetti del Decalogo?

No; la virtù della prudenza non ha precetti che le corrispondano fra i precetti del Decalogo; perché i precetti del Decalogo, formulando ciò che appartiene alla ragione naturale, dovevano riferirsi ai fini della vita umana che sono la caratteristica delle altre virtù, e non a ciò che è ordinato al fine, intorno a cui si esercita propriamente la virtù della prudenza. Ma alla prudenza si riferiscono tutti i precetti del Decalogo, inquantoché essa deve dirigere tutti gli atti delle virtù (LVI, 1).

1005. I precetti aventi direttamente rapporto con la virtù della prudenza, sono dunque precetti complementari venuti più tardi?

Sì: e si trovano sia negli altri testi dei libri ispirati anche nell’Antico Testamento, sia più perfettamente nel Nuovo (LVI, 1).

1006. Non vi sono anche nell’Antico Testamento dei precetti particolarmente urgenti per condannare vizi opposti alla virtù della prudenza?

Sì; sono i precetti relativi all’astuzia, all’inganno ed alla frode (LVI, 2).

1007. Perché questi vizi sono stati particolarmente proibiti?

Perché essi hanno soprattutto la loro applicazione esterna nelle cose di giustizia, che è la virtù direttamente intesa da tutti i precetti del Decalogo (LVI, 2).

LA SUMMA PER TUTTI (12)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XVII)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XVII)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

LIBRO QUINTO

§ II.

Dell’ultima tromba e dell’ultimo “guai”.

CAPITOLO XI. – VERSETTI 14-19.

Væ secundum abiit: et ecce vae tertium veniet cito. Et septimus angelus tuba cecinit: et factæ sunt voces magnae in caelo dicentes: Factum est regnum hujus mundi, Domini nostri et Christi ejus, et regnabit in sæcula sæculorum. Amen.  Et viginti quatuor seniores, qui in conspectu Dei sedent in sedibus suis, ceciderunt in facies suas, et adoraverunt Deum, dicentes: Gratias agimus tibi, Domine Deus omnipotens, qui es, et qui eras, et qui venturus es : quia accepisti virtutem tuam magnam, et regnasti. Et iratæ sunt gentes, et advenit ira tua et tempus mortuorum judicari, et reddere mercedem servis tuis prophetis, et sanctis, et timentibus nomen tuum pusillis et magnis, et exterminandi eos qui corruperunt terram. Et apertum est templum Dei in cœlo: et visa est arca testamenti ejus in templo ejus, et facta sunt fulgura, et voces, et terræmotus, et grando magna.

 [Il secondo guai è passato: ed ecco che tosto verrà il terzo guai. E il settimo Angelo diede fiato alla tromba: e si alzarono grandi voci nel cielo, che dicevano: Il regno di questo mondo è diventato del Signor nostro e del suo Cristo, e regnerà pei secoli dei secoli: così sia. E i ventiquattro seniori, i quali siedono sui loro troni nel cospetto di Dio, si prostrarono bocconi, e adorarono Dio, dicendo: rendiamo grazie a te, Signore Dio onnipotente, che sei, e che eri, e che sei per venire: perché hai fatto uso della tua grande potenza, e ti sei messo a regnare. E le genti si sono adirate, ed è venuta l’ira tua e il tempo di giudicare i morti, e di rendere la mercede ai profeti tuoi servi, e ai santi, e a coloro che temono il tuo nome, piccoli e grandi: e di sterminare coloro che mandano in perdizione la terra. E si aprì il tempio di Dio nel cielo: e apparve l’arca del suo testamento nel suo tempio, e avvennero folgori, e grida, e terremoti e molta grandine.]

I. Dopo la tribolazione di questi grandi giorni e la rovina dell’Anticristo, non ci saranno più anni, ma solo giorni, che saranno ancora dati agli uomini per fare penitenza. Ed è in questi ultimi giorni che avranno luogo i grandi segni e gli orribili presagi che precederanno la dissoluzione del cielo e della terra e il grande giorno del giudizio. Questi segni e presagi si manifesteranno nei quattro elementi: nel sole, nella luna, nelle stelle, nel mare e sulle colline. Questo è ciò che leggiamo in San Matteo, (XXIV, 29): « E subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà e la luna non darà la sua luce; le stelle cadranno dal cielo e i cieli saranno scossi. E allora apparirà il segno del Figlio dell’uomo, che viene sulle nuvole del cielo con grande potere e maestà. Ed Egli manderà i suoi Angeli con una tromba e con un gran rumore, ed essi raccoglieranno i suoi eletti dai quattro venti, da un capo all’altro del cielo. » Leggiamo allo stesso modo in San Luca, (XXI, 25): « E ci saranno prodigi nel sole, nella luna e nelle stelle; e sulla terra lo sgomento dei popoli, a causa del fragore tumultuoso del mare e delle onde. E gli uomini avvizziranno di paura, aspettando quello che verrà su tutto l’universo; perché le virtù celesti saranno scosse, etc. » Così allora, dopo la caduta dell’Anticristo, non ci saranno più mesi o anni, ma solo pochi giorni, pieni di ogni miseria, calamità ed orribili presagi. Perché allora tutta la stessa terra combatterà contro gli stolti che vivranno soprattutto in quei tempi.

Vers. 14. – Il  secondo “guai” è passato, e il terzo sta per venire. – (San Giovanni annuncia tre sventure per la Chiesa. Il primo è quando dice nel capitolo IX, 12: Il primo “guai” è passato, ed ecco altri due “guai” che vengono dopo. Ora egli annuncia che la prima sventura è passata, subito dopo aver descritto i mali causati alla Chiesa dall’eresia di Ario; e annuncia gli altri due “guai” che seguiranno, subito prima della descrizione dell’eresia di Lutero; infine, annuncia solo la fine del secondo “guai” dopo la caduta dell’Anticristo, da cui possiamo concludere che San Giovanni vuole farci capire che l’eresia di Lutero, che riassume tutte le precedenti, deve anche essere considerata come l’inizio o il principio preparatorio che disporrà gradualmente gli uomini alla dottrina dell’Anticristo. E la consolazione della sesta età può essere considerata come un ammorbidimento ed un riposo della Chiesa in mezzo al suo dolore, per farle recuperare le forze prima della terribile consumazione della secondo “guai”. Lutero preparò la strada all’Anticristo, specialmente abolendo il Santo Sacrificio della Messa ed il celibato. Ma Dio, che deve sempre trionfare, e che sa trarre il bene dal male per la conservazione della sua Chiesa, le concederà la consolazione della sesta età, attraverso la conversione universale degli uomini, sia per ristorarla dalle sue passate fatiche e defezioni, sia per umiliare i suoi nemici, e per renderla più capace di sostenersi nell’ultima persecuzione. Anche se la fede deve diffondersi in tutta la terra nella sesta epoca, ci saranno sempre abbastanza uomini malvagi e perversi e dei libertini corrotti per sviluppare nuovamente il veleno del male contenuto nell’eresia del protestantesimo. Ed è così che verso la fine della sesta epoca, la fede comincerà a scomparire anche tra molti Cristiani. Senza questa e altre circostanze, la dottrina dell’Anticristo non potrebbe penetrare ed estendersi sì lontano che quasi tutti gli uomini vi aderiranno. Il terzo “guai” è quello della consumazione dei tempi, una sventura così terribile per cui gli uomini moriranno di paura). – Questo terzo e ultimo “guai”, il più terribile di tutti, come l’ultima e definitiva tempesta, si riferisce alla consumazione dei secoli, alla dissoluzione del mondo e al giudizio universale. Inoltre, quest’ultimo Angelo che seguirà la tempesta non sarà come i precedenti, un angelo cattivo, ma piuttosto un angelo buono. Questi sarà l’Arcangelo S. Michele, che come capo di Guerra, dopo aver terminato il combattimento, e riportato una vittoria definitiva ed eterna, chiamerà il suo popolo al giudizio universale e alla risurrezione dei morti, affinché le opere e i pensieri segreti degli uomini siano resi manifesti alla luce del sole, ed così i soldati di Cristo, che hanno combattuto valorosamente, possano ricevere la loro ricompensa e la loro corona. I nemici di Dio e i soldati di Lucifero, invece, saranno gettati nei tormenti dell’inferno. È la stessa cosa con la tromba di questo Angelo, di cui parla San Paolo nella sua Prima Lettera ai Corinzi, (c. XV), e la chiama anche l’ultima tromba. Egli dice inoltre (I. Thess, IV, 15): « Appena sarà dato il segnale dalla voce dell’Arcangelo e dalla tromba di Dio, il Signore stesso scenderà dal cielo, e quelli che sono morti in Gesù Cristo risorgeranno per primi, etc. » Vediamo lo stesso anche in San Matteo (XXIV, 31): « Egli manderà i suoi Angeli con una tromba e con un gran rumore, ed essi raccoglieranno i suoi eletti dai quattro venti, etc. » Così, al suono della tromba di questo settimo Angelo, l’epoca attuale finirà con le trombe, le guerre, i peccati e le calamità. Il sistema di questo mondo sarà dissolto, un nuovo cielo e una nuova terra saranno costituiti. Dio giudicherà il secolo con il fuoco che prova l’oro, e il mistero del regno di Dio sarà consumato, come ha predicato attraverso i profeti suoi servi fin dall’inizio del mondo.

II. Vers. 15. – E il settimo angelo suonò; e il cielo risuonò di grandi voci, dicendo: Il regno di questo mondo è diventato il regno del Signore nostro e del suo Cristo, ed egli regnerà nei secoli dei secoli. Così sia. Queste e le seguenti parole descrivono la grande gioia che la Chiesa trionfante sperimenterà dopo la vittoria ottenuta sull’Anticristo e sul mondo, perché finalmente sarà arrivato il grande giorno del Signore: un giorno in cui sarà fatta vendetta sui nemici della croce di Cristo, ed i giusti saranno ricompensati. E si udirono grandi voci nel cielo, che dicevano, etc. Cioè, nella Chiesa trionfante, ci saranno grandi acclamazioni al Signore Dio e al suo Cristo. Queste voci dal cielo saranno quelle dei santi, cioè i loro desideri, le loro preghiere, le loro lodi e le loro azioni di grazie, che tutti i cori dei Santi martiri, dei vergini, degli Angeli e di tutti i Santi faranno intendere con acclamazione, dopo questa vittoria riportata sull’Anticristo, e dopo lo sterminio di tutti i suoi adepti sulla terra. E questi santi diranno: Il regno di questo mondo è diventato il regno di Nostro Signore e del suo Cristo, ed Egli regnerà nei secoli dei secoli. Così sia. – Questa acclamazione si addice al Re dei re, che ha conquistato tutti gli altri, e che regna da solo, come sovrano assoluto, senza alcuna opposizione, al quale tutti i sudditi sono perfettamente soggetti, e il cui regno è eterno. Perché satana non potrà più fare guerra a lui né ai suoi amici, che lo serviranno nella gloria; mentre i suoi nemici gli saranno sottomessi nell’inferno e non potranno più uscirne. Di questo regno si parla nei Salmi di Davide, (Ps. CIX, 1): « Il Signore disse al mio Signore: siedi alla mia destra, finché non avrò fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi. » E in Daniele, (II, 44): « Al tempo di questi regni, il Dio del cielo susciterà un regno che non sarà mai distrutto, un regno che non passerà a nessun altro popolo, che rovescerà e ridurrà in polvere tutti questi regni e resterà in piedi per sempre. » Così è detto ancora in San Luca, (I, 33): « Il suo regno non avrà fine. »

Vers. 16. – E i ventiquattro vegliardi, seduti sui loro seggi davanti alla faccia di Dio, caddero faccia a terra e adorarono Dio, dicendo, etc. Con i ventiquattro vegliardi, San Giovanni designa l’universalità dei giudici che rappresenta già seduti sui loro seggi, per farci capire che il giudizio universale è così vicino, che i giudici hanno già preso posto per giudicare tutti gli uomini. Questi ventiquattro vegliardi caddero faccia a terra ed adorarono Dio, dicendo, etc. Questi atti testimoniano la più perfetta sottomissione e adorazione che i Santi rendono al Signore Dio in cielo, in pace, in amore e verità: sono perfettamente sottomessi a Lui, riconoscendo, lodando, glorificando e adorando solo Lui, per la sua maggior gloria nei secoli dei secoli.

Vers.  17. Rendiamo grazie a te, o Signore Dio onnipotente, che sei, che eri e che vieni. Queste parole sono un atto della più giusta azione di grazie, con il quale i Santi attribuiscono a Dio Onnipotente, principio primo e fonte eterna di ogni bene, tutta la gloria e la felicità che godono in cielo. Perché in effetti, per tutto ciò che siamo e per tutto ciò che noi diventeremo è a Dio Padre che dobbiamo dare gloria, perché è da Lui, per primo, che abbiamo tutto ciò che possiamo possedere.

Vers. 18. – Poiché avete ricevuto la vostra grande potenza e il vostro regno, le nazioni si sono adirate, e il tempo della vostra ira è venuto, e il tempo di essere giudicati; e di dare la ricompensa ai profeti vostri servi, e ai Santi e a quelli che temono il vostro Nome, ai piccoli e ai grandi, e di sterminare coloro che hanno corrotto la terra. L’Apostolo specifica qui le cause di questa gioia luminosa e solenne dei Santi, la prima delle quali è: dai  morti per causa vostra, è che avete ricevuto il vostro grande potere e che regnate. Questo è un modo di parlare degli uomini di cui si serve la Scrittura e seve anche per esprimere che Dio è immutabile, e che possiede in Lui tutto ciò che manifesta fuori da Lui; ed è in questo senso che ha ricevuto ed esercitato il suo grande potere contro gli empi, e che infine ha sottomesso e domato tutti i suoi nemici, per regnare da solo per tutta l’eternità. – Allo stesso modo si dice di un principe o di un guerriero: Il re gli diede una spada per combattere i suoi nemici, anche se la portava già. È nello stesso senso che si esprime il Salmista, Sal. XCII: « Il Signore ha regnato, si è rivestito di gloria e di maestà, il Signore si è rivestito di forza e si è preparato. » Dio ha indubbiamente operato molti prodigi nel corso del tempo, ma è soprattutto per la consumazione dell’epoca che Egli riserva i suoi grandi colpi, quando Egli colpirà l’Anticristo con tutti i suoi adepti, e che mostrerà segni e prodigi, e scuoterà il cielo e la terra, e verrà nell’ultimo giorno in grande potenza e maestà per giudicare tutti gli uomini, rendendo a ciascuno ciò che gli spetta, senza accezione di persone. È con ragione che la Chiesa trionfante manifesterà allora la sua gioia con veementi acclamazioni, perché il Signore Dio Onnipotente si sarà finalmente armato del suo grande potere per sterminare gli empi e tutti i re che hanno tiranneggiato i giusti, e per concedere ai buoni una ricompensa eterna nel suo regno. –  La seconda causa di queste acclamazioni è indicata in queste parole: Le nazioni sono adirate; e perché? Perché non potranno più dominare e opprimere, né affliggere il giusto, né derubare la vedova e l’orfano, né disprezzare il povero, né soddisfare i loro desideri malvagi; perché secondo il Salmista, (Sal. LVIII, 14): « Torneranno alla sera, avranno fame come cani e andranno in giro per la città. Si disperderanno in cerca di cibo, e se non saranno soddisfatti, mormoreranno. Ma quanto a me, canterò le lodi della tua potenza, e darò gloria alla vostra misericordia al mattino con canti di gioia perché vi siete dichiarato mio protettore e siete diventato il mio rifugio nel giorno della mia afflizione, etc. ». In questo mondo sono le vedove, gli orfani, i poveri, gli oppressi, i miserabili, i perseguitati e i santi di Dio che corrono per le città, implorando, troppo spesso senza effetto, la misericordia di coloro che possiedono le sostanze della terra. Ma nell’altra vita, le circostanze saranno ben diverse, quando Gesù Cristo, il Re dei re, regnerà da solo per l’eternità nella giustizia, nella verità e nella santità, ecc. e il regno dei principi malvagi, dei tiranni e dei ricchi spietati sarà passato e sarà cambiato in tormenti eterni. È allora che questo tipo di nazioni si adirerà con il regno eterno di Dio Onnipotente. (Sal. XCVIII, 1): « Il Signore ha stabilito il suo regno; i popoli siano commossi dall’ira; Egli che siede sui cherubini, la terra sia scossa. » Ma l’ira di queste nazioni sarà vana e la loro ira sarà perenne, e un verme le roderà continuamente, ed esse invecchieranno e si seccheranno nei loro interminabili dolori; e gli effetti della loro ira contro il Signore sarà molto più impotente che la sabbia del mare contro il firmamento. Per questo si dice: (Ps. CXI, 9): « Il peccatore lo vedrà e se ne irriterà; digrignerà i denti e si consumerà; ma il desiderio dell’empio perirà. » Perché saranno come cani affamati, senza speranza di essere mai sciolti dalle loro catene eterne, perché essi stessi sono stati senza pietà e misericordia sulla terra. – La terza causa della loro ira sarà: E il tempo della tua ira è venuto; cioè, il giorno della vendetta universale, il giorno delle tenebre e della grande tempesta che colpirà gli empi, è venuto. E saranno adirati invano; perché se l’ira di Dio è giusta e onnipotente per tutta l’eternità, la loro ira avrà meno effetto degli sforzi di una formica per rovesciare l’universo. (Sal. II, 4): « Colui che abita nei cieli si riderà di loro e il Signore se ne prenderà beffe. Allora egli parlerà loro nella sua ira, e nella sua ira li riempirà di confusione. Poiché io sono stato designato da Lui in Sion, il suo santo monte, per annunciare i suoi comandamenti. » È di questa rabbia degli empi che David ha anche profetizzato: (Sal. XX, 9): « Voi li brucerete come una fornace ardente nel momento in cui mostrerete la vostra faccia; l’ira del Signore li getterà nella confusione e il fuoco li divorerà. » Infine, lasciamo al lettore il compito di leggere i molti passi della Scrittura che si riferiscono all’ira del Signore nell’ultimo giorno. È questa stessa ira che la Chiesa canta nel suo Dies iræ, dies illa, etc. – La quarta causa si trova in queste parole: E il tempo sarà giudicato. I Santi si rallegreranno di questa ira e della giusta vendetta di Dio, e la attendono. È con questo che il Signore consola i suoi da questa vita nei morti per le loro tribolazioni, dicendo: Rom. XII, 19 « Non vendicatevi, ma lasciate passare l’ira. Perché sta scritto: La vendetta è mia e sono Io che la farò, dice il Signore. » – (Deut. XXIII, 22): « Il mio furore si è acceso come un fuoco; esso penetrerà nelle profondità dell’inferno; divorerà la terra con le sue più piccole erbe e brucerà le montagne fin nelle loro fondamenta. Io li sommergerò di mali; io scoccherò tutte le mie frecce contro di loro. La carestia li consumerà e gli uccelli li dilanieranno con i loro morsi crudeli. Metterò contro di loro i denti delle bestie, e la furia di quelli che strisciano ed arrampicano sulla terra. La spada li distruggerà all’esterno e il terrore all’interno, etc. ….. Ma a causa dell’ira dei loro nemici, ho ritardato, nel timore che i loro nemici non si inorgogliscano e dicano: La nostra mano potente, non il Signore, ha fatto tutte queste cose. Perché sono una razza senza consiglio e senza prudenza, che non aprono gli occhi! Che non comprendono! Che non ne prevedono la fine! etc. …. La vendetta è mia, e io pagherò il loro salario a tempo debito, perché il loro piede inciampi; il giorno della perdizione è vicino, e i tempi si affrettano a venire, etc. » Così è che nel giorno del giudizio Dio eseguirà la sua vendetta, i Santi se ne rallegreranno, essi lo desiderano in anticipo. Perché allora: 1°. tutte le ipocrisie saranno rivelate, gli ipocriti saranno turbati da un’orribile confusione, e i giusti insorgeranno con forza contro coloro che predominavano e splendevano nel mondo, ove essi erano disprezzati, respinti, misconosciuti, poveri e oppressi. – 2°. Tutti i segreti più nascosti saranno portati alla luce, e allora la gloria sarà data solo a Dio, e ognuno riceverà secondo le sue opere. Questo è lo scudo della pazienza che San Paolo raccomanda (in I Corinzi IV, 5): « Non giudicate dunque prima del tempo, finché non venga il Signore, il quale illuminerà ciò che è nascosto nelle tenebre e scoprirà i pensieri più segreti dei cuori, e allora ciascuno riceverà da Dio la lode che gli sarà dovuta. » – 3° Dio ci giudicherà tutti senza distinzione di sorta; e nessuno sarà dimenticato, né il povero né il ricco, né il suddito né il re, né il semplice fedele né il prelato. (Colossesi III, 24): « Servite il Signore Gesù Cristo. Perché colui che agisce ingiustamente riceverà la pena per la sua ingiustizia, e Dio non fa accezione di persone. » – La quinta causa dell’ira degli empi sarà la ricompensa per le fatiche, le tribolazioni e le buone opere dei Santi nel servizio di Dio. E per dare ricompensa ai profeti vostri servi, ai santi e a coloro che temono il vostro Nome, ai piccoli e ai grandi. San Giovanni designa tutte queste classi per farci capire che Dio non dimenticherà nessuno, e che ci saranno ricompense speciali per ognuno. (Baruch, III, 24): « O Israele, quanto è grande la casa di Dio e quanto sono ampi i luoghi che Egli possiede. » – E (Jo., XIV, 1): « Non sia turbato il vostro cuore. Voi credete in Dio, credete anche in me. Ci sono molte dimore nella casa di mio Padre. » – Infine, la sesta causa sarà lo sterminio generale e universale di tutti i malvagi e gli empi della terra; essi saranno distrutti da cima a fondo, tutti quelli che, dall’inizio del mondo e soprattutto alla fine, hanno versato il sangue dei giusti ed oppresso i loro simili, corrompendo la terra con la loro malvagità, e periranno come Sodoma, come l’Egitto e come gli uomini del diluvio di cui si parla in Genesi, VI, 11: « La terra era corrotta davanti a Dio e piena di iniquità ». Questo sterminio universale dei malvagi è espresso in queste parole: … e per sterminare quelli che hanno corrotto la terra.

III . Vers. 19E il tempio di Dio si aprì nel cielo, e l’arca della sua alleanza vi apparve, e ci furono lampi, voci, un terremoto e una grandine molto grande. Dopo le acclamazioni, le lodi, le azioni di grazia e i desideri della Chiesa trionfante di cui sopra, segue il solenne arrivo di Gesù Cristo nell’aria. E il tempio di Dio fu aperto nel cielo; vale a dire che il Figlio dell’uomo verrà e apparirà sulle nuvole, perché Egli è il tempio del Dio vivente, (Colossesi II, 9): « Poiché tutta la pienezza della Divinità abita in Lui corporalmente » e secondo San Giovanni, (II, 21), Egli chiama il Suo corpo un tempio. E vi apparve l’arca della sua alleanza, cioè la croce di Cristo, il segno del Figlio dell’uomo, apparirà in cielo nell’ultimo giorno. Perché il segno della croce è chiamato l’arca della Sua alleanza? La ragione è che come il Suo Testamento e i Suoi segreti restarono nascosti e depositati nell’arca dell’alleanza dell’Antico Testamento, finché fossero spiegati e rinnovati; così la croce di Cristo è la vera arca del Nuovo Testamento, nel quale il mistero della nostra redenzione rimarrà impenetrabile agli occhi degli empi fino al giorno del giudizio, quando la croce si manifesterà per la loro confusione, perché non avranno voluto accettarne l’eredità, considerandola una follia ed uno scandalo, secondo San Paolo: (I. Cor., I, 23): « Ma noi predichiamo Gesù Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i Gentili ». Ma quando quest’arca apparirà e la vedranno, gemeranno, ma troppo tardi. Apocalisse, I: « E tutte le tribù della terra, quando lo vedranno, si batteranno il petto. » La Scrittura dice ancora, (Jo. XIX , 37): « Vedranno chi è Colui che hanno trafitto. » E ci furono lampi, voci, un terremoto e una grande grandine. I lampi ci fanno capire l’immenso terrore che scenderà dal cielo, perché il Giudice eterno verrà a giudicare la terra ed il mondo con il fuoco. Le voci sono il lamento, il pianto e lo stridore di denti dei malvagi, e anche le grida di gioia, le acclamazioni e gli applausi dei santi. Un terremoto, il più grande che ci sia mai stato, perché la terra e il mare consegneranno i loro cadaveri, tutti i morti usciranno dai loro sepolcri, e il Cristo scenderà dal cielo con migliaia di migliaia di Angeli e Santi per giudicare tutti gli uomini. E una grandine fortissima, cioè la più grande e orribile tempesta, in mezzo alla quale i dannati saranno gettati con i demoni nell’inferno dal fuoco che uscirà dalla bocca del Giudice sovrano, Gesù Cristo, che dirà loro: « Andate maledetti nel fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo e i suoi angeli, etc., » Tutto ciò che è stato rivelato a San Giovanni in questo capitolo IX sull’Anticristo e sul Giudizio Universale è solo una descrizione generale e accidentale; lo scopo del Profeta in ciò, era di terminare tutta la sua rivelazione con la descrizione della settima tromba, omettendo così, per non interrompere il corso della sua narrazione, diverse descrizioni speciali e particolari degli orribili regni di Maometto e dell’Anticristo, e anche delle ultime piaghe, ecc. che gli furono rivelate nei nove capitoli successivi.

§ III.

Concordanza della profezia di Daniele con quella di San Giovanni sulle due ultime circostanze della fine del mondo.

I. Dal momento in cui il Sacrificio continuo sarà abolito e l’Anticristo sarà entrato nella pienezza del suo potere, il profeta Daniele calcola milleduecentonovanta giorni; mentre San Giovanni fissa quarantadue mesi che fanno tre anni e mezzo, e milleduecentosettanta – sette giorni e mezzo. Questi due profeti differiscono quindi l’uno dall’altro di dodici giorni e mezzo. Ed è con ragione, perché Daniele annuncia la pienezza del regno dell’Anticristo, mentre San Giovanni, che viene dopo di lui, annuncia questo regno come abbreviato dalla misericordia divina; come dice espressamente Gesù Cristo in San Matteo, (XXIV, 22): « Se quei giorni non fossero stati abbreviati, tutta la carne sarebbe stata distrutta; ma saranno abbreviati per amore degli eletti. » Questi giorni saranno quindi ridotti di dodici giorni e mezzo, di dalla caduta dell’Anticristo, che, come è stato detto, sarà gettato nell’inferno nel momento in cui vorrà salire in cielo al seguito di Enoch ed Elia. Così, l’Anticristo, giunto alla pienezza del suo potere, lasciando da parte il tempo in cui farà guerra a tutti i regni e li sottometterà tutti, regnerà quarantadue mesi, cioè tre anni e mezzo, e milleduecentosettantasette giorni e mezzo. Ora, se sottraiamo quest’ultima cifra dai milletrecentotrentacinque giorni che Daniele ha fissato per la durata degli ultimi tempi, dalla morte dell’Anticristo fino alla dissoluzione del mondo, non resteranno che cinquantasette giorni e mezzo perché gli uomini facciano penitenza. Ma come sta scritto in San Matteo, (XXIV, 36): « Questo giorno e quest’ora nessuno li conosce, nemmeno gli Angeli del cielo; solo il Padre mio li conosce », i milletrecentotrentacinque giorni di Daniele devono essere presi in un senso indeterminato in relazione all’ultima ora e all’ultimo giorno, come fa San Giovanni nel capitolo X, 7, quando dice anche in modo indeterminato: Ma nel giorno della voce del settimo Angelo, quando la tromba comincerà a suonare, il mistero di Dio sarà compiuto. Allora Daniele menziona i giorni come gli sono stati rivelati; ma l’ultimo giorno e l’ora della seconda venuta di Gesù Cristo non gli sono stati certamente rivelati in modo preciso, poiché Gesù Cristo stesso dice che sono riservati alla prescienza e alla volontà di suo Padre. Si può obiettare che San Giovanni abbia fissato in mille e duecento sessanta giorni la durata della testimonianza dei profeti Enoch ed Elia, e che dopo la loro morte l’Anticristo regnerà per altri ventiquattro giorni; ora, queste due cifre addizionate insieme fanno mille duecento ottantaquattro giorni: dunque l’anticristo regnerà per più di ventiquattro mesi, e l’abbreviazione di questi giorni di calamità non avrebbe avuto luogo. La soluzione di questa difficoltà si trova nel fatto che questi due profeti saranno apparsi per iniziare la loro missione molti giorni prima che l’Anticristo entri nella pienezza del suo potere; perché questo passaggio del versetto 7, cap. XI, La bestia che sale dall’abisso farà guerra contro di loro, deve essere inteso al tempo presente e non al passato, cioè che la bestia non farà guerra contro di loro dopo essere completamente salita dall’abisso, ma mentre sale dall’abisso (Nota presa da Antonio Martini sull’interpretazione di 11 e 12 del cap. XII, sulla profezia di Daniele, dove vediamo che il venerabile Holzhauser è d’accordo con i Santi Padri nei suoi calcoli e nella sua interpretazione.). Dan, XII, 11: « Dal momento in cui il sacrificio continuo sarà abolito e l’abominazione della desolazione sarà stabilita, ci saranno milleduecentonovanta giorni. » Abbiamo visto più volte come i profeti sono soliti parlare dei misteri della Chiesa di Cristo con espressioni prese dai riti della Chiesa giudaica. È così che San Girolamo, Teodoreto, Sant’Ireneo, Sant’Ippolito Martire e molti altri non dubitano che per sacrificio perpetuo si intenda il Sacrificio dell’Eucaristia, che l’Anticristo vorrà far sparire dal mondo; come anche per abominio della desolazione si intende l’idolo, cioè l’Anticristo stesso, che vorrà essere adorato come Dio. (Vedi II Tessalonicesi II: 4), così che dal tempo di queste due cose alla fine della persecuzione ci saranno tre anni e mezzo, e altri dodici o tredici giorni. Vedi Apoc. XI: 2, Dan. XII:12: « Beato colui che aspetta e che arriva a milletrecento trentacinque giorni. » Che significa: Beato colui che, dalla morte dell’Anticristo, aspetta con pazienza, oltre al numero di giorni indicato sopra, altri quarantacinque giorni, nei quali il Signore e Salvatore verrà in tutto l’assetto della sua maestà. È così, che San Girolamo dice che questi milletrecentotrentacinque giorni fanno quarantacinque giorni in aggiunta ai milleduecentonovanta giorni, di cui si parla nel versetto precedente.


FINE DEL LIBRO QUINTO.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XVIII)