LA SUMMA PER TUTTI (16)

LA SUMMA PER TUTTI (16)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE TERZA

GESÙ CRISTO OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO

Capo I.

Il mistero di Gesù Cristo, ossia del Verbo fatto carne per ricondurre l’uomo a Dio.

1414. Che cosa intendete per il mistero di Gesù Cristo, ossia del Verbo fatto carne?

Intendo il fatto assolutamente incomprensibile per noi su questa terra, della seconda Persona della Ss.ma Trinita, cio il Vero, ossia il Figliuolo unico di Dio, che essendo da tutta la eternità col Padre e con lo Spirito Santo, lo stesso solo ed unico vero Dio da cui sono state create tutte le cose che governa da Sovrano Signore, è venuto nel tempo sulla terra mediante la sua Incarnazione nel seno della Maria Vergine dalla quale è nato. Ha vissuto della nostra vita mortale; ha evangelizzato il popolo giudeo della Palestina al quale era personalmente inviato dal Padre; è stato da questo popolo disconosciuto, tradito e consegnato al governatore romano Ponzio Pilato, condannato e messo a morte sopra una croce. È stato seppellito; discese all’inferno, il terzo giorno è risuscitato dalla morte. Quaranta giorni dopo è salito al cielo e siede alla destra di Dio Padre, di dove governa la Chiesa da Lui fondata sulla terra, ed alla quale ha mandato il suo Spirito che è pure lo Spirito del Padre, a santificare la Chiesa stessa per mezzo dei Sacramenti della sua grazia, e prepararla alla sua seconda venuta alla fine dei tempi, allorché Egli giudicherà i vivi ed i morti, facendo uscire questi ultimi dai loro sepolcri, per fare la separazione definitiva dei buoni che prenderà con Sé nel regno del Padre — dove assicurerà loro la vita eterna — dai cattivi che caccerà lontani da Se, maledetti e condannati ai supplizi del fuoco eterno.

Capo II.

Convenienza, necessità ed armonia della Incarnazione.

1415. La venuta del Figliuolo di Dio su questa terra mediante la sua Incarnazione, è in armonia con quello che noi sappiamo di Dio?

Si: niente poteva essere più in armonia con quello che noi sappiamo di Dio, di questa venuta del Figliuolo di Dio sulla terra mediante la sua Incarnazione. Noi sappiamo infatti di Dio che Egli è la stessa bonta, ossia il Bene supremo; e d’altra parte la caratteristica del bene, ossia della bontà, è quella di comunicarsi. E Dio non poteva comunicarsi alla creatura in una maniera più meravigliosa, che mediante il mistero della sua Incarnazione (I, 1).

1416. Era necessaria la Incarnazione del Figliuolo di Dio?

No; considerata in se stessa la Incarnazione del Figliuolo di Dio non era affatto necessaria. Ma data la caduta del genere umano per il peccato del primo uomo, se Dio voleva rialzare il genere umano nella maniera più perfetta e più armoniosa, e soprattutto se voleva che soddisfazione piena ed intera fosse data per questo peccato, bisognava necessariamente che un Dio-Uomo si caricasse del peccato e ne facesse riparazione (I, 2).

1417. Dunque il Figliuolo di Dio si è incarnato appunto per causa del peccato dell’uomo e per ripararlo?

Si; il Figliuolo di Dio si è incarnato per causa del peccato dell’uomo e per ripararlo (1, 3, 4).

1418. Ma allora perché il Figliuolo di Dio non si è incarnato subito dopo la caduta di primo uomo?

Perché bisognava che il genere umano acquistasse coscienza della propria miseria del bisogno che aveva di un Dio Salvatore, ed anche perché questo Dio Salvatore potesse essere preceduto da una lunga serie di profeti, che ne annunziassero e ne preparassero la venuta (I, 5, 6).

1419. In che cosa consiste la Incarnazione del Figliuolo di Dio, considerata in se stessa?

Consiste in questo, che la natura divine e la natura umana, conservando ciascuna tutto ciò che le appartiene in proprio, sono state sostanzialmente ed indissolubilmente unite nella unità di una sola e medesima Persona divina, cioè nella Persona del Figliuolo di Dio (I, 1-6)

1420. Perché questa unione della Incarnazione si è compiuta nella Persona del Figliuolo, anziché in quella del Padre o dello Spirito Santo?

Perché le proprietà del Figliuolo di Dio, che ha la ragione di Verbo ed a cui conviene per appropriazione tutto quello che si riferisce alla Sapienza con la quale Dio aveva creato tutte le cose, facevano sì che il Verbo fosse in particolare armonia col mistero della restaurazione del genere umano decaduto. Anche perché procedendo dal Padre, Egli poteva essere inviato da Lui; e dopo, alla sua volta, Egli stesso poteva inviare a noi il suo Spirito, come frutto della Redenzione (III, 8).

Caro III.

Ciò che il Figliuolo di Dio ha assunto e  si è unito di nostro nella Su Incarnazione.

1421. Quando diciamo che il Figliuolo di Dio si è incarnato, oppure che il Verbo si è fatto carne o si è fatto uomo, che cosa significano questi diversi termini per quanto riguarda ciò che il Verbo, ossia il Figliuolo di Dio, ha assunto di nostro per unirlo alla sua Persona?

Tutte queste espressioni significano che il Verbo, ossia il Figliuolo di Dio, ha assunta la nostra natura umana, quale risulta nel suo essere individuale tra i discendenti del primo uomo dopo il peccato, per unirla alla sua Persona (1V, 1-6).

1.422. Ne consegue forse che nel Verbo incarnato, ossia nel Figliuolo di Dio fatto-uomo, si abbia un individuo umano?

Niente affatto. Nel Verbo si ha una natura umana individuata, ma non un individuo umano o una persona umana; perché questa natura è individuata nella sola ed unica Persona del Verbo, ossia del Figliuolo di Dio (IV, 3).

1423. La natura umana, che il Figliuolo di Dio ha unito alla propria Persona, è precisamente nelle sue due parti essenziali ciò che è la natura umana in ciascuno di noi?

Si; la natura umana che il Figliuolo di Dio ha unito alla propria Persona, è precisamente, nelle sue due parti essenziali, ciò che è la natura umana in ciascuno di noi (V, 1-4).

1424. Il Figliuolo di Dio incarnato ha dunque un corpo simile al nostro, di carne e di ossa come il nostro, con le stesse membra, gli stessi sensi e gli stessi organi?

Si; il Figliuolo di Dio incarnato ha un corpo simile al nostro, di carne e di ossa come il nostro, con le stesse membra, gli stessi sensi e gli stessi organi (V, 1, 2)

1425. Ha anche un’anima come la nostra, con le sue stesse parti, le sue stesse facoltà, compresa la nostra intelligenza e la nostra volontà?

Si; Egli ha anche un’anima come la nostra, con le sue stesse parti, le sue stesse facoltà, compresa la nostra intelligenza e la nostra volontà; quale, in una parola, l’abbiam descritta studiando la nostra natura, opera di Dio (V, 3, 4).

1426. Il Figliuolo di Dio ha unito a Sé nello stesso tempo tutte le parti costitutive della natura umana individuata, nella sua essenza e nella sua integrità?

Si; nello stesso tempo il Figliuolo di Dio ha unito a Sè tutte le parti costitutive della natura umana individuata, nella sua essenza e nella sua integrità; ma se le è unite secondo un certo ordine (VI, 1-6).

1427. Quale è questo ordine, secondo il quale il Figliuolo di Dio si è unita la natura umana e le sue parti?

Tale ordine consiste in questo, che il Figliuolo di Dio ha preso il corpo e tutte le parti di esso in ragione dell’anima; l’anima e tutte le altre potenze in ragione dell’intelletto; ed il corpo, l’anima e l’intelletto in ragione della natura umana costituita da tutto questo nella sua essenza e nella sua integrità (VI, 1-5).

1428. La unione della natura umana e di tutte le sue parti alla Persona del Figliuolo di Dio, è avvenuta direttamente ed immediatamente, senza interposizione di alcuna realtà creata fra questa natura e le sue parti, e la Persona del Figliuolo di Dio?

Si; la unione della natura umana e di tutte le sue parti alla Persona del Figliuolo di Dio è avvenuta direttamente ed immediatamente, senza alcuna interposizione di realtà create neppure di ordine gratuito, tra questa natura e le sue parti e la Persona del Figliuolo di Dio, precisamente perché tale unione ha per termine l’essere stesso della Persona del Figliuolo di Dio, comunicato alla natura umana ed a tutte le sue parti (VI, 6).

Capo IV.

Dei privilegi e delle prerogative di cui il Figliuolo di Dio ha voluto che fosse insignita la natura umana che ha unito a Sé nella Sua Incarnazione. – Grazia abituale o santificante; virtù e doni dello Spirito Santo. – Grazie gratis date.

1429. Non vi sono però, nella natura umana unita alla Persona del Figliuolo di Dio e nelle facoltà della Sua anima, delle realtà create di ordine gratuito che la uniscono a Dio?

Si; queste realtà create di ordine gratuito si trovano nella natura umana unita alla Persona del Figliuolo di Dio e nelle facoltà dell’anima Sua; ma non per unirla alla Persona del Figliuolo di Dio, sebbene come conseguenza di tale unione e come richieste dalla sua eccellenza assolutamente trascendente (VI, 6).

1430. Quali sono le realtà create di ordine gratuito che si trovano o si sono trovate nella natura umana unita alla Persona del Figliuolo di Dio, e che sono una conseguenza di tale unione e come richieste dalla sua eccellenza assolutamente trascendente?

Anzitutto la grazia abituale, nella essenza della Sua anima; poi, nelle Sue facoltà, tutte le virtù fuorché la fede e la speranza; tutti i doni dello Spirito Santo; tutte le grazie gratis date aventi per iscopo o per oggetto la manifestazione della verità divina al mondo, non esclusa la profezia per ciò che implica di stato profetico propriamente detto (VII, 1-8).

1431. Quale era e qual é l’ufficio della grazia abituale che si trova nella essenza dell’anima unita al Figliuolo di Dio nella Sua Persona?

Tale ufficio era, e continuerà ad esserlo per tutta la eternità, di rendere quest’anima per partecipazione ciò che è in se stessa la natura divina per essenza; ed inoltre di permettere a questa stessa anima di possedere, riversandoli nelle sue facoltà, quei principi di azione divina che sono le virtù ed i doni (VII, 1).

1432. Perché dite che l’anima umana unita al Figliuolo di Dio nella Sua Persona dovette avere tutte le virtù, fuorché la fede e la speranza?

Perché queste due virtù hanno qualche cosa di imperfetto, che sarebbe stato incompatibile con la perfezione dell’anima umana unita al Figliuolo di Dio nella Sua Persona (VII, art. 3, 4).

1433. In che cosa consiste tale imperfezione?

Nel fatto che la fede suppone che non si veda quello che si crede, e la speranza riguarda Dio non ancora posseduto per mezzo della chiara visione beatifica (Ibid.).

1434. Che cosa intendete per grazie gratis date aventi per iscopo o per oggetto la manifestazione della divina verità al mondo, e che dovettero trovarsi nella natura umana unita al Figliuolo di Dio nella Sua persona?

Intendo quei privilegi enunciati da S. Paolo nella prima lettera ai Corinti, c. XII, vers. 8 e seguenti, che sono: la fede, la sapienza, la scienza, la grazia delle guarigioni, il compimento dei prodigi, la profezia, la penetrazione dei cuori, la diversità delle lingue e la interpretazione dei discorsi (VII, 7).

1435. La fede, grazia gratis data, è cosa diversa dalla virtù della fede?

Si; perché quivi si tratta di una tal quale certezza sovreminente per ciò che concerne le verità divine, che rende qualcuno atto ad istruire gli altri in queste verità (a – 2æ CXI, 4 ad 2).

1436. E la sapienza e la scienza enunciate nel numero delle grazie gratis date, sono cosa diversa dalle virtù intellettuali, ossia dai doni dello Spirito Santo dello stesso nome?

Si; esse designano una tale abbondanza di scienza e di sapienza, che il soggetto che le riceve non soltanto può avere per se stesso delle idee giuste sulle cose divine, ma anche istruirne gli altri e confutare gli avversari (1a-2æ, CXI, 4 ad 4).

1437. Il Figliuolo di Dio, vivendo su questa terra, ha usato della grazia gratis data che si chiama diversità delle lingue?

Il Figliuolo di Dio vivendo su questa terra non ebbe bisogno di servirsi di tale grazia, non avendo esercitato: il suo ministero di apostolato che fra i Giudei o fra coloro che avevano la stessa lingua; ma la possedeva eccellentemente come tutte le altre grazie, ed avrebbe potuto usarne se avesse avuto occasione di farlo (VII, 7 ad 3).

1438. Che cosa intendete dire dicendo che il Figliuolo di Dio incarnato ebbe nella sua natura umana anche la grazia della profezia, per ciò che implica di stato profetico propriamente detto?

Intendo significare con ciò che il Figliuolo di Dio, durante la sua vita terrena, viveva della nostra vita tra noi; ed a questo titolo era lontano dalle cose del cielo di cui ci parlava, benché con la parte superiore dell’anima sua vivesse addentro ai misteri di Dio, di cui godeva la piena visione ed il possesso attuale. Infatti, la caratteristica del profeta è di parlare di cose lontane, che non sono alla portata di coloro ai quali le annunzia, ed in mezzo ai quali egli vive (VIl, 8).

1439. In quali rapporti si trovano le grazie gratis date con la grazia abituale santificante, e le virtù ed i doni che l’accompagnano?

La grazia abituale o santificante e le virtù ed i doni che l’accompagnano hanno per iscopo di santificare il soggetto in cui si trovano; mentre le grazie gratis date sono in ordine all’ apostolato da esercitarsi presso gli altri (1a – 2æ, CXI, 1, 4).

1440. Queste due specie di grazie possono essere separate?

Si; poiché tutte le anime giuste o sante possiedono la grazia abituale o santificante, con le virtù ed i doni che l’accompagnano; e le grazie gratis date non sono invece che la porzione di coloro che hanno un ministero da compiere presso gli altri. Di più: benché per questi ultimi le due specie di grazie siano ordinariamente congiunte, possono anche essere separate, come avvenne nel caso di Giuda, che era un demonio e possedeva intanto le grazie gratis date conferite agli Apostoli.

1441. Nella natura umana che il Figliuolo di Dio aveva unito alla sua Persona, tutte queste specie di grazie erano unite e insieme ed innalzate al loro più alto grado di perfezione?

Si; nella natura umana che il Figliuolo di Dio aveva unito alla sua Persona, tutte queste grazie erano unite insieme ed innalzate al più alto grado di perfezione (VII, 1 8).

i442. Perché avvenne cosi in Lui?

Perché Egli era di una dignità personale infinita, e perché doveva essere il Dottore per eccellenza nelle cose di fede (VII,7)

Capo V.

La pienezza della grazia che fu nella natura umana del Figliuolo di Dio Incarnato.

1443. Dobbiamo dire che nella natura umana che il Figliolo di Dio ha unito alla propria Persona, la grazia si è trovata in tutta la sua pienezza?

Sì; nella natura umana che il Figliuolo di Dio ha unito alla propria Persona, la grazia si è trovata in tutta la sua pienezza. In questo senso, che non vi è niente che si riferisca all’ordine della grazia che non vi si sia trovato, e che tutto ciò vi si è trovato nel suo più alto grado possibile, nell’ordine attuale della grazia (VII, 9).

1444. Questa pienezza di grazia è affatto propria della natura umana nella Persona del Figliuolo di Dio?

Sì; essa le è del tutto propria, perché deriva dalla prossimità di questa natura con la natura divina sorgente della grazia, nella medesima Persona del Figliuolo di Dio; nonché dalla missione che doveva avere il Figliuolo di Dio vivendo su questa terra, missione che consisteva nel diffondere Se stesso in tutti gli uomini, trovandosi in Lui la sovrabbondanza della grazia (VII, 10).

1445. Possiamo dire che la grazia conferita alla natura umana unita alla Persona del Figliuolo di Dio, fu una grazia infinita?

Sì: in un certo senso si può dire. Perché se si tratta della grazia di unione, essa è infinita in senso puro e semplice, non essendo altro che la unione della natura umana con la natura divina nella unica Persona del Figliuolo di Dio. E se si tratta della grazia abituale con tutto quello che l’accompagna, essa non ha limite di sorta nell’ordine attuale della grazia, ossia in rapporto a tutti gli altri che ne partecipano, quantunque in se stessa sia qualche cosa di creato e per conseguenza di finito (VII, 11).

1446. Questa grazia così intesa, può essere aumentata nella natura umana che il Figliuolo di Dio ha unito alla propria Persona?

Questa grazia potrebbe essere aumentata, non considerando che la infinita potenza di Dio; ma considerando l’attuale ordine della grazia quale è stato stabilito da Dio, questa grazia stessa non può essere aumentata (VII, 12).

1447. Quali sono i rapporti di questa grazia con la grazia di unione?

Questa grazia, nella natura umana che il Figliuolo di Dio ha unito alla propria Persona, è una conseguenza della grazia di unione alla quale è proporzionata (VII, 13).

1448. Come si chiama la grazia di unione, causa e principio d’ogni altra grazia nella natura umana che il Figliuolo di Dio ha unito alla propria Persona?

Si chiama grazia di unione «ipostatica» da una parola greca che significa « persona »; perché essa è, come abbiamo detto, il fatto unico e per noi incomprensibile, dovuto all’azione gratuita della Persona del Figliuolo di Dio in unione con il Padre e con lo Spirito Santo, che costituisce per la natura umana che il Figliuolo di Dio ha unito a sé, quell’eccesso di dignità e di onore per il quale essa è unita immediatamente alla natura divina, nella stessa ed unica Persona del Figliuolo di Dio.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XX)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XX)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER

RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET.

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

LIBRO SESTO.

SEZIONE II.

SUI CAPITOLI XIV E XV.

DELLA GLORIA E DEL TRIONFO DELLA CHIESA.

§ I.

Della gloria e del trionfo dei santi martiri che moriranno nell’ultima persecuzione, per il nome di Gesù e del Padre suo.

CAPITOLO XIV. – VERSETTI 1-14.

Et vidi: et ecce Agnus stabat supra montem Sion, et cum eo centum quadraginta quatuor millia, habentes nomen ejus, et nomen Patris ejus scriptum in frontibus suis. Et audivi vocem de caelo, tamquam vocem aquarum multarum, et tamquam vocem tonitrui magni: et vocem, quam audivi, sicut citharædorum citharizantium in citharis suis. Et cantabant quasi canticum novum ante sedem, et ante quatuor animalia, et seniores: et nemo poterat dicere canticum, nisi illa centum quadraginta quatuor millia, qui empti sunt de terra. Hi sunt, qui cum mulieribus non sunt coinquinati: virgines enim sunt. Hi sequuntur Agnum quocumque ierit. Hi empti sunt ex hominibus primitiæ Deo, et Agno: et in ore eorum non est inventum mendacium: sine macula enim sunt ante thronum Dei. Et vidi alterum angelum volantem per medium caeli, habentem Evangelium aeternum, ut evangelizaret sedentibus super terram, et super omnem gentem, et tribum, et linguam, et populum: dicens magna voce: Timete Dominum, et date illi honorem, quia venit hora judicii ejus: et adorate eum, qui fecit cælum, et terram, mare, et fontes aquarum. Et alius angelus secutus est dicens: Cecidit, cecidit Babylon illa magna: quæ a vino iræ fornicationis suæ potavit omnes gentes. Et tertius angelus secutus est illos, dicens voce magna: Si quis adoraverit bestiam, et imaginem ejus, et acceperit caracterem in fronte sua, aut in manu sua: et hic bibet de vino irae Dei, quod mistum est mero in calice iræ ipsius, et cruciabitur igne, et sulphure in conspectu angelorum sanctorum, et ante conspectum Agni: et fumus tormentorum eorum ascendet in sæcula sæculorum: nec habent requiem die ac nocte, qui adoraverunt bestiam, et imaginem ejus, et si quis acceperit caracterem nominis ejus. Hic patientia sanctorum est, qui custodiunt mandata Dei, et fidem Jesu. Et audivi vocem de caelo, dicentem mihi: Scribe: Beati mortui qui in Domino moriuntur. Amodo jam dicit Spiritus, ut requiescant a laboribus suis : opera enim illorum sequuntur illos. Et vidi: et ecce nubem candidam, et super nubem sedentem similem Filio hominis, habentem in capite suo coronam auream, et in manu sua falcem acutam.

[E vidi : ed ecco l’Agnello che stava sul monte di Sion, e con lui cento quaranta quattro mila persone, le quali avevano scritto sulle loro fronti il suo nome e il nome del suo Padre. E udii una voce dal cielo, come rumore di molte acque, e come rumore di gran tuono: e la voce, che udii, era come di citaristi che suonino le loro cetre. E cantavano come un nuovo cantico dinanzi al trono e dinanzi ai quattro animali e ai seniori: e nessuno poteva dire quel cantico, se non quei cento quarantaquattro mila, i quali furono comperati di sopra la terra. Costoro sono quelli che non si sono macchiati con donne: poiché sono vergini. Costoro seguono l’Agnello dovunque vada. Costoro furono comperati di tra gli uomini primizie a Dio e all’Agnello, e non si è trovata menzogna nella loro bocca: poiché sono di Dio. E vidi un altro Angelo, che volava per mezzo il cielo, e aveva il Vangelo eterno, affine di evangelizzare gli abitatori della terra, e ogni nazione, e tribù, e lingua, e popolo: e diceva ad alta voce: Temete Dio, e dategli onore, perché è giunto ii tempo del suo giudizio: e adorate colui che fece il cielo, e la terra, il mare, e le fonti delle acque. E seguì un altro Angelo dicendo: È caduta, è caduta quella gran Babilonia, la quale ha abbeverato tutte le genti col vino dell’ira della sua fornicazione. E dopo quelli venne un terzo Angelo dicendo ad alta voce: Se alcuno adora la bestia e la sua immagine, e riceve il carattere sulla sua fronte, o sulla sua mano anch’egli berrà del vino dell’ira di Dio versato puro nel calice della sua ira, e sarà tormentato con fuoco e zolfo nel cospetto dei santi Angeli, e nel cospetto dell’Agnello: e il fumo dei loro tormenti si alzerà nei secoli dei secoli: e non hanno riposo né dì, né notte coloro che adorarono la bestia e la sua immagine, e chi avrà ricevuto il carattere del suo nome. Qui sta la pazienza dei santi, i quali osservano i precetti di Dio e la fede di Gesù. E udii una voce dal cielo che mi diceva: Scrivi: Beati i morti, che muoiono nel Signore. Già fin d’ora dice Io Spirito, che si riposino dalle loro fatiche: poiché vanno dietro ad essi le loro opere. E vidi: ed ecco una candida nuvola, e sopra la nuvola uno che sedeva simile al Figliuolo dell’uomo, il quale aveva sulla sua testa una corona d’oro, e nella sua mano una falce tagliente. E un altro Angelo uscì dal tempio gridando ad alta voce a colui che sedeva sopra la nuvola: Gira la tua falce, e mieti, perché è giunta l’ora di mietere, mentre la messe della terra è secca. E colui che sedeva sulla nuvola, menò in giro la sua falce sulla terra, e fu mietuta la terra. E un altro Angelo uscì dal tempio, che è nel cielo, avendo anch’egli una falce tagliente. E un altro Angelo uscì dall’altare, il quale aveva potere sopra il fuoco: e gridò ad alta voce a quello che aveva la falce tagliente, dicendo: Mena la tua falce tagliente, e vendemmia i grappoli della vigna della terra: poiché le sue uve sono mature. E l’Angelo menò la sua falce tagliente sopra la terra, e vendemmiò la vigna della terra, e gettò (la vendemmia) nel grande lago dell’ira di Dio: e il lago fu pigiato fuori della città, e dal lago uscì sangue fino ai freni dei cavalli per mille seicento stadi.]

I. Vers. 1. – E vidi, ed ecco l’Agnello in piedi sul monte Sion, e con lui cento quarantaquattromila, che avevano il suo nome e il nome di suo Padre scritto sulla  fronte. – E vidi, ed ecco l’Agnello in piedi sul monte Sion. Questo agnello è il Cristo che è qui chiamato l’Agnello, perché come fu sacrificato nella sua passione come un agnello, e fu abbandonato da tutto il mondo alla sua morte; così nell’ultima persecuzione Egli sarà l’Agnello nei suoi martiri, che saranno uccisi come pecore, e che saranno abbandonati dagli uomini e anche da Dio per questa circostanza; perché saranno senza aiuto e senza un liberatore. In questi giorni di desolazione, Gesù Cristo si mostrerà dunque veramente come un agnello che permette ai nemici della croce di infierire contro i suoi santi, di vincerli per questo mondo e di ucciderli. Si dice che questo Agnello fosse in piedi, perché sarà testimone dei loro tormenti e li rafforzerà nell’intimo delle loro anime, per non farli svenire. Così è riportato di Santo Stefano, (Atti VII, 55), che nel suo martirio egli era « pieno di Spirito Santo, e guardando verso il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù in piedi alla destra del Padre. » E vidi, ed ecco l’Agnello in piedi sul monte Sion. Per Monte Sion si intende la Chiesa di Cristo, che Egli presiede sempre come suo Capo universale. Ed è soprattutto allora che Egli si ergerà come generale in capo per guidare la sua Chiesa e per incoraggiare i suoi soldati alla vittoria spirituale. Perché tale è la vittoria del martire, soffrire, morire ed essere sterminato nel suo corpo per vincere nella sua anima. E con lui cento quarantaquattromila. Questo numero deve essere preso in senso indeterminato, e designa l’universalità dei martiri che saranno immolati in grandissima moltitudine, e persevereranno in questi tempi nella confessione del Nome di Gesù e del Padre suo. Ecco perché il testo aggiunge: che avevano il suo Nome ed il Nome del Padre suo scritto sulla fronte; perché queste parole indicano che questi cento quarantaquattromila fedeli, cioè una moltitudine molto grande di Cristiani, che tuttavia saranno la minoranza relativamente alla massa di coloro che faranno defezione; questi Cristiani, diciamo, confesseranno apertamente e pubblicamente Gesù Cristo di Nazareth crocifisso, e il suo vero Padre Dio con Lui, e sigilleranno la loro testimonianza con il loro sangue, morendo divorati dalla bestia. Si dice che questi cento quarantaquattromila martiri erano in piedi con l’Agnello Gesù Cristo, cioè per combattere con Lui contro la bestia. Questi martiri saranno i dottori, i predicatori, i pastori delle anime; perché saranno soprattutto i sacerdoti dei vari ordini gerarchici della Chiesa militante che si presenteranno apertamente per resistere all’anticristo e ai suoi falsi profeti, e per proteggere il popolo cristiano dalla defezione. È di questi martiri che Daniele parla nella sua profezia, quando dice: (Dan. XI, 33 e segg.). « E i saggi del popolo insegneranno a molti, e cadranno di spada, nella fiamma, nella cattività e nella rovina di quei tempi. E nel momento della loro rovina saranno sostenuti da un debole aiuto, e molti si uniranno a loro in una finta alleanza. Ma i saggi cadranno, per essere rinnovati e resi bianchi fino al tempo stabilito. » Gli altri, invece, che saranno stati terrorizzati dall’orrore dei tormenti e dalla terribile tirannia della bestia, fuggiranno dalla sua presenza e si nasconderanno nei luoghi deserti, nelle solitudini, nelle gole delle montagne e nelle fessure delle rocce. Si dice anche, per distinguere i Cristiani impavidi da quelli che diserteranno, e come per indicare la gloria speciale di questi, che avevano il suo (di Gesù Cristo) Nome e il Nome di suo Padre scritto sulla loro fronte. E più avanti si dice che cantavano un canto nuovo, e che nessuno poteva cantare questo canto se non questi cento quarantaquattromila, come spiegheremo più avanti. Infine il Profeta cita questo numero cento quarantaquattromila, perché è precisamente il numero dei dodicimila segnati da ciascuna delle dodici tribù di Israele di cui si parla nel cap. VII; e anche per significare l’universalità e la grande moltitudine delle vittime che saranno immolate nei vari ordini gerarchici della Chiesa; perché questi ordini sono come tribù di cui le dodici tribù d’Israele erano la figura.

II. Vers. 2. E udii una voce dal cielo, come il rumore di molte acque e come il rumore di un grande tuono; e la voce che udii era come il suono di molti arpisti che suonavano le loro arpe.

Vers. 3. Ed essi cantavano come un canto nuovo davanti al trono e davanti ai quattro animali bestie e ai seniori, e nessuno poteva cantare questo canto se non i cento quarantaquattromila che erano stati redenti della terra.

Vers. 4. Questi non si sono contaminati con le donne, perché sono vergini. Sono coloro che seguono l’Agnello ovunque egli vada: sono stati comprati tra gli uomini, come primizie consacrate a Dio e all’Agnello.

Vers. 5Nessuna menzogna è stata trovata nella loro bocca, perché sono puri davanti al trono di Dio. Tutte queste parole si applicano molto meglio alla Chiesa militante che alla Chiesa trionfante. Esse esprimono le virtù, la gloria e il coraggio di questi fedeli servitori di Dio di cui abbiamo appena parlato. Essi esprimono: 1° La loro impavida predicazione e la confessione del Nome di Gesù e del Padre suo; per questo è detto sopra: (Che essi) avevano il suo Nome e il Nome del Padre suo scritti sulle loro fronti…. E udii una voce dal cielo come il rumore di molte acque e come il rumore di un grande tuono. Questa voce è la voce dei predicatori e dei confessori del Nome di Gesù Cristo e di suo Padre nei giorni della bestia. Questa voce sarà come il suono di grandi acque, perché come le grandi acque fanno un grande rumore che eccita l’attenzione degli uomini e ispira loro paura; e come anche le acque lavano e sono un solvente molto attivo, così la predicazione di questi santi agirà fortemente sui cuori dei popoli Cristiani, che istruirà e preserverà nella fede ortodossa e nella confessione del Nome di Gesù e del Padre suo. Si dice inoltre che questa voce fosse come il suono di un grande tuono. Ci sono quattro cose nel tuono. 1° Il bagliore del fulmine. 2° Il boato del tuono. 3° Gli effetti dei fulmini. 4° La paura e il timore che gli uomini provano per questo. Ora, tali saranno gli effetti della predicazione dei ministri di Gesù Cristo negli ultimi giorni. 1° Risplenderà con grandi miracoli contro l’anticristo e i suoi falsi profeti. 2. Sarà forte e potente come il ruggito del leone. 3° Distruggerà e annienterà il prestigio dei prodigi della bestia; e 4° Ispirerà in una moltitudine di uomini un grande timore di Dio e dei mali a venire. Così la predicazione di questi santi confermerà il popolo nella fede, e lo incoraggerà a confessare il Nome di Gesù e del Padre suo, piuttosto che adorare la bestia e ricevere il suo carattere. Ma poiché questa non sarà in grado di vincere i martiri e trascinare le loro anime nell’abisso, si vendicherà sui loro corpi con il più grande furore, e li immolerà come i Giudei immolavano le pecore, i buoi e gli altri animali, quando solennizzavano la Pasqua in ricordo della loro uscita dall’Egitto. Ecco perché è detto nel capitolo precedente: Essa ricevé il potere di fare guerra ai Santi e di vincerli. 2° Le parole del versetto 3 citato sopra esprimono la perfetta concordanza degli spiriti e dei cuori di questi ministri del Signore, e anche un’esatta conformità delle loro opere con la loro dottrina, così che, la loro predicazione produca un dolce accordo, il cui suono toccherà e impressionerà potentemente i cuori del popolo e produrrà una piacevole armonia alla presenza di Dio e dell’Agnello. Da qui le parole del profeta: La voce che ho sentito era come il suono di molti arpisti che suonavano le loro arpe. Queste parole esprimono con grande bellezza la verità della dottrina, la purezza dei costumi e la perfezione della carità di quei santi che predicheranno in quel tempo nel Nome di Gesù Cristo e di Suo Padre, contro le abominazioni e gli errori della bestia. Infatti, così come molti arpisti, quando i loro strumenti sono in perfetta sintonia e quando suonano insieme pezzi armoniosi, producono un effetto meraviglioso ed esercitano un grande potere sulla mente e sui cuori della gente, così la predicazione della parola di Dio, confermata e abbellita dai santi esempi e dalla grande purezza degli ultimi apostoli, produrrà un effetto potente ed efficace sui cuori e sulle menti dei peccatori. Perché le buone opere sono l’anima di questo strumento celeste della Parola di Dio. Il profeta usa questo bellissimo e toccante paragone per lodare questi santi e soldati di Gesù Cristo, che oseranno, in mezzo al pericolo e nella dispersione dei loro fratelli, usare le loro arpe per contenerli, raccoglierli e riportarli alla battaglia. E nessuno, tranne questi cento quarantaquattromila che sono segnati sulla loro fronte con il nome di Gesù Cristo e di suo Padre, oserà resistere alla furia della bestia. – Tutti gli altri fuggiranno dalla sua presenza in luoghi deserti o faranno defezione, riceveranno il suo carattere e adoreranno la sua immagine. 3° E cantarono come un cantico nuovo. Queste parole designano la confessione di Gesù Cristo e del Padre suo, e anche la castità verginale o il celibato: due meriti che saranno così rari tra gli uomini di questo tempo, a causa soprattutto della tirannia della bestia, che appaiono come un nuovo canto. Perché allora la fede sarà completamente scomparsa, tutta la carne avrà corrotto le sue vie, gli uomini si crogioleranno nei piaceri della carne e la concupiscenza delle donne. Molti ecclesiastici calpesteranno persino i loro doveri più sacri, e diventeranno apostati per diventare sposi, e il volto della cristianità sarà livido e orribile, come non lo è mai stato prima. Ora siccome la fede e il celibato fiorirono nei secoli passati, ed erano ben noti nei tempi passati, ecco che l’Apostolo non dice assolutamente che le due virtù saranno canti nuovi, ma come o quasi nuovi. La parola cantare in questo caso contiene una metafora, e significa predicare in pubblico, proclamare, confessare la verità con gioia e con grande libertà e indipendenza di mente e di carattere, mettere tutta la propria gloria nel farlo, mostrando anche una certa esaltazione dello spirito; perché allora la Chiesa militante in mezzo alla sua desolazione, abbandono, dispersione e povertà, non sarà senza alcuna consolazione. E la consolazione della Chiesa in quel tempo sarà, per i cuori cattolici che sapranno apprezzarla, vedere tanti intrepidi soldati, uniti dai più forti legami, dai legami della carità in Gesù Cristo, far consistere la loro gloria, la loro speranza di ogni sangue speranza, il loro amore e la loro felicità nel versare il loro sangue per il Nome del Signore. 4° Ed essi cantavano come un nuovo canto davanti al trono, e davanti ai quattro animali e gli seniori … – Davanti ai quattro animali e ai seniori. Queste parole devono essere intese sia della Chiesa militante che della Chiesa trionfante, per la grande gioia che il trionfo di questi intrepidi e costanti atleti della fede porterà a queste due Chiese. Perché cantare davanti a qualcuno è manefestargli e procurargli gioia; e questo sarà l’effetto prodotto dal canto di questi santi martiri, predicando, combattendo e sapendo morire se necessario, in difesa della loro fede e della loro verginità. In quei giorni di terrore, la persecuzione non solo infurierà contro la fede dei Cristiani, ma anche contro la verginità o il celibato sacerdotale; perché la bestia, che sarà affondata nella feccia del vizio e nella concupiscenza delle donne, disprezzerà la verginità. (Dan, XI, 37). 5 ° E nessuno poteva cantare questo canto, se non i cento quarantaquattromila che furono comprati della terra. Queste parole contengono un segreto dell’eterna prescienza di Dio, un segreto che è stato tuttavia rivelato a San Giovanni, per informarci in anticipo del piccolo numero di coloro che resisteranno a una prova così dura. E Dio ci ha rivelato questo mistero, per evitare che i Cristiani se ne offendano e sia un’altra pietra d’inciampo aggiunta a tutte le altre, per scoraggiare i fedeli (la verifica di questa profezia dovrebbe, al contrario, essere per i retti di cuore ed i veri soldati di Gesù Cristo, un ulteriore motivo per rafforzare la loro fede e costanza). E nessuno poteva cantare questo canto se non i cento quarantaquattromila che furono acquistati della terra. Oh, che numero esiguo in proporzione alla massa degli uomini che popolano l’universo! Ah, In questo tempo di abominio, ci saranno mille malvagi per ogni dieci giusti, e cento empi per ogni santo. E nessuno poteva, etc. Queste parole mostrano fin troppo bene l’immensa difficoltà ed i pericoli incalcolabili che ci saranno per la salvezza delle anime. La crudeltà delle torture, la corruzione, la malizia degli uomini, gli incredibili prodigi dei falsi profeti, il potere dell’Anticristo su tutto il mondo, il silenzio di Dio, che sembrerà chiudere gli occhi davanti a questa scena orribile, il rapimento e la scomparsa dei migliori per la violenza dei tormenti, saranno saranno tutte cause di questa defezione universale. O Dio, quanto profondi sono i tuoi giudizi e quanto imperscrutabili le tue vie! E nessuno poteva, etc. ….. Queste parole, messe al tempo imperfetto, non contengono un’impossibilità assoluta, ma una condizionale. Sarà infatti assoluta per quanto riguarda la prescienza di Dio; ma sarà condizionata per quanto riguarda la volontà umana. Perché coloro che lo desiderano potranno resistere, aiutati dalla grazia di Dio. Ma, oh disgrazia (Cor. IX, 24): « Non sapete che quando si corre in una gara, tutti partono, è vero, ma solo uno vince il premio. Corri, quindi, in modo da vincere. Ora tutti gli atleti mantengono un’esatta temperanza in tutte le cose; e (tuttavia) è solo per vincere una corona corruttibile, invece di quella incorruttibile che ci aspettiamo. Io (aggiunge San Paolo) corro, e non corro a caso; combatto, non come se colpissi l’aria, ma castigo severamente il mio corpo e lo porto in schiavitù, per evitare che, avendo predicato agli altri, io stesso sia riprovato. » (Questo è un esempio per noi, sacerdoti del Signore, e per tutti voi, Cristiani, discepoli di Gesù Cristo; la nostra vita deve essere una lotta continua; prepariamoci dunque alla grande opera di conversione del mondo che sta per cominciare, e poi alla lotta che minaccia così da vicino la Chiesa). E nessuno poteva cantare questo cantico. Ah, allora la carne e la concupiscenza prevarranno sullo spirito, e le donne coglieranno il frutto dell’albero della Chiesa, cioè i cuori di molti sacerdoti che solo Gesù Cristo dovrebbe possedere. Ci sarà allora una carenza di uomini coraggiosi, e la terra abbonderà di alberi egoisti e infruttuosi, di Cristiani infedeli e dai costumi corrotti. 6° … che sono stati riscattati dalla terra. Questi cantori indicano gli eletti, i cittadini della Gerusalemme celeste, che sono stati comprati da questo mondo al prezzo del sangue dell’Agnello, e che saranno preservati e custoditi per la vita eterna, dal loro stesso sangue, che essi spargeranno generosamente per la fede e la confessione del nome di Gesù.

Vers. 4 – 7º Questi non si sono contaminati con donne, cioè conserveranno fedelmente il celibato sacerdotale, che sarà un merito raro e una specialità in quei giorni. 8°. Perché sono vergini. Questi buoni e santi sacerdoti sono chiamati vergini:

1°. Perché non si contaminano con nessun vizio della carne.

2°. Perché non si indeboliranno mai per accettare il carattere della bestia ed adorare la sua immagine, ma si terranno puri da ogni commercio e rapporto con essa, come le vergini e le donne oneste che sanno come preservarsi dagli insulti di un uomo impudente. Infine, rimarranno fedeli a Dio e all’Agnello con la loro fermezza nella fede cattolica. In questi brutti giorni, è vero, molti cadranno nell’apostasia e adoreranno l’immagine della bestia, per fragilità umana, per la crudeltà e la durata dei tormenti, e per il terrore che il potere della bestia ispirerà loro; ma in seguito riconosceranno la loro colpa, e con l’aiuto della grazia di Dio si rialzeranno prontamente dalla loro caduta, confesseranno i loro peccati, e saranno confermati e rafforzati nella vera fede. 9 ° Questi sono quelli che seguono l’Agnello ovunque Egli vada. San Giovanni esprime con queste parole: 1° la perfetta obbedienza di questi santi che saranno sempre pronti a intraprendere tutto, anche ciò che è più difficile e più ripugnante per la natura, e che, mossi dallo spirito di Gesù Cristo, si esporranno, se necessario, a tutti i tormenti, alla prigione e persino alla morte, e confesseranno con gioia che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio. 2° Questi sono coloro che seguono l’Agnello ovunque Egli vada. Queste parole significano inoltre una conformità della vita dei giusti con la vita di Gesù, loro modello e guida; poiché essi saranno poveri, miti, umili, afflitti, perseguitati, respinti dagli uomini e privati delle loro risorse e dei loro beni, secondo queste parole dell’Apostolo, Ebr, XI, 35: « Alcuni furono crudelmente tormentati, non volendo riscattare la loro vita presente, per trovarne una migliore nella risurrezione. Altri hanno subito insulti e frustate, catene e preghiere. Furono lapidati, furono segati, furono sottoposti alle prove più dure; morirono a fil di spada; condussero una vita errante, coperti di pelli di pecora e di capra, abbandonati, afflitti, perseguitati; coloro di cui il mondo non era degno (passarono la vita), vagando nei deserti e sulle montagne, e ritirandosi nelle tane e nelle caverne della terra. » Ora tali sono i tormenti riservati a questi santi, che tuttavia si mostreranno dolci come un agnello condotto al macello. Sopporteranno tutto con rassegnazione, pensando al risultato del loro martirio, e tenendo sempre davanti agli occhi l’immagine viva del loro Maestro infinitamente buono e perfettamente puro, Gesù Cristo. 10°. Sono riscattati tra gli uomini, come primizie consacrate a Dio e all’Agnello. Con queste parole, San Giovanni vuole mostrarci, come ha già fatto sufficientemente sopra, che questi santi martiri apparterranno agli Ordini sacri, e che questi cento quarantaquattromila saranno presi tra i dottori, i predicatori, i pastori di anime, tra i sacerdoti in generale, e che saranno massacrati in odio soprattutto al santo sacrificio della Messa, che la bestia cercherà di sopprimere. In questo testo di San Giovanni non si fa menzione del popolo cristiano, ma non c’è dubbio che anche una moltitudine molto grande di fedeli laici combatterà coraggiosamente per la fede, attraverso la parola e l’esempio dei loro pastori. Così i Cristiani in generale saranno sacrificati come pecore in tutto il mondo, e subiranno il martirio con l’aiuto di Dio. Questa affermazione è inoltre fondata sui versetti 9, 13 e 14 del capitolo VII. Essi sono stati riscattati di tra gli uomini, cioè questi santi sacerdoti, saranno scelti e separati dagli altri uomini perché osserveranno il celibato, e non si immischieranno negli affari del secolo, e perché si comporteranno veramente come primizie consacrate a Dio e all’Agnello.

Vers. 5 – 11° Nessuna bugia fu trovata nella loro bocca. Qui San Giovanni esprime l’amore per la verità e la semplicità di cuore che sarà l’ornamento di questi santi. Non saranno sedotti dalle imposture dei falsi profeti, essendo protetti dallo scudo della verità e della semplicità di cuore. Questo scudo sarà davvero la migliore difesa che potrà proteggerli sotto il regno della menzogna in questi ultimi giorni; perché è nella semplicità dei loro cuori che questi santi chiuderanno le loro orecchie ad ogni seduzione. Non crederanno in nient’altro che in Gesù Cristo e nella fede cattolica, che mantiene la verità sempre antica e sempre nuova. Questo è lo stesso scudo che usarono i figli d’Israele nella persecuzione di Antioco, quando dissero, I. Mach. II, 37: « Lasciaci morire tutti nella semplicità del nostro cuore, e il cielo e la terra testimonieranno che ci metti a morte ingiustamente. » Nessuna menzogna è stata trovata nella loro bocca, perché essi predicheranno e insegneranno al mondo tutta la verità, senza alcuna mescolanza di errori, senza circuire i loro fratelli con l’ipocrisia, la menzogna, la doppiezza, l’inganno, la seduzione e la falsa politica, con cui il mondo sarà allora infettato e coperto, come la terra è coperta di locuste nel calore dell’estate. Questi santi cammineranno in rettitudine e semplicità alla presenza di Dio e degli uomini. Per questo San Giovanni aggiunge: 12° Perché sono puri davanti al trono di Dio. Cioè, si manterranno puri da ogni contaminazione in mezzo all’epoca più corrotta; perché questa epoca sarà la feccia della corruzione di tutte le epoche. Tutto ciò che è stato abominevole e criminale nel mondo dalla sua origine sarà ripetuto e portato al culmine sotto il regno dell’anticristo. È quindi con buona ragione che San Giovanni loda questi santi come se godessero di una prerogativa speciale ed eccezionale, perché sono puri davanti al trono di Dio.

§ II.

Della voce dei tre Angeli e della voce dal cielo.

CAPITOLO XIV. VERSETTI 6-13

Et vidi alterum angelum volantem per medium caeli, habentem Evangelium æternum, ut evangelizaret sedentibus super terram, et super omnem gentem, et tribum, et linguam, et populum: dicens magna voce: Timete Dominum, et date illi honorem, quia venit hora judicii ejus: et adorate eum, qui fecit cælum, et terram, mare, et fontes aquarum. Et alius angelus secutus est dicens: Cecidit, cecidit Babylon illa magna: quae a vino irae fornicationis suæ potavit omnes gentes. Et tertius angelus secutus est illos, dicens voce magna: Si quis adoraverit bestiam, et imaginem ejus, et acceperit caracterem in fronte sua, aut in manu sua: et hic bibet de vino irae Dei, quod mistum est mero in calice iræ ipsius, et cruciabitur igne, et sulphure in conspectu angelorum sanctorum, et ante conspectum Agni: et fumus tormentorum eorum ascendet in sæcula sæculorum: nec habent requiem die ac nocte, qui adoraverunt bestiam, et imaginem ejus, et si quis acceperit caracterem nominis ejus. Hic patientia sanctorum est, qui custodiunt mandata Dei, et fidem Jesu. Et audivi vocem de caelo, dicentem mihi: Scribe: Beati mortui qui in Domino moriuntur. Amodo jam dicit Spiritus, ut requiescant a laboribus suis: opera enim illorum sequuntur illos.

[E vidi un altro Angelo, che volava per mezzo il cielo, e aveva il Vangelo eterno, affine di evangelizzare gli abitatori della terra, e ogni nazione, e tribù, e lingua, e popolo: e diceva ad alta voce: Temete Dìo, e dategli onore, perché è giunto ii tempo dèi suo giudizio: e adorate colui che fece il cielo, e la terra, il mare, e le fonti delle acque. E seguì un altro Angelo dicendo: È caduta, è caduta quella gran Babilonia, la quale ha abbeverato tutte le genti col vino dell’ira della sua fornicazione. E dopo quelli venne un terzo Angelo dicendo ad alta voce: Se alcuno adora la bestia e la sua immagine, e riceve il carattere sulla sua fronte, o sulla sua mano: anch’egli berrà del vino dell’ira di Dio, versato puro nel calice della sua ira, e sarà tormentato con fuoco e zolfo nel cospetto dei santi Angeli, e nel cospetto dell’Agnello: e il fumo dei loro tormenti si alzerà nei secoli dei secoli: e non hanno riposo né dì, né notte coloro che adorarono la bestia e la sua immagine, e chi avrà ricevuto il carattere del suo nome. Qui sta la pazienza dei santi, i quali osservano i precetti di Dio e la fede di Gesù. E udii una voce dal cielo che mi diceva: Scrivi: Beati i morti, che muoiono nel Signore. Già fin d’ora dice Io Spirito, che si riposino dalle loro fatiche: poiché vanno dietro ad essi le loro opere.]

Vers. 6. E vidi un altro Angelo che volava in mezzo al cielo, portando il Vangelo eterno, per predicarlo a coloro che siedono sulla terra, ad ogni nazione, tribù, lingua e popolo.

Vers. 7. Dicendo a gran voce: Temete il Signore, e rendetegli gloria, perché l’ora del suo giudizio è venuta; e adorate Colui che ha fatto il cielo e la terra, il mare e le sorgenti. Il primo Angelo è Gesù Cristo, che ha annunciato al mondo la volontà del Padre. Questo secondo Angelo è chiamato un altro Angelo, perché è succeduto immediatamente a Gesù Cristo nella predicazione della parola di Dio. Così, dunque, questo Angelo, che San Giovanni vide volare in mezzo al cielo, portando il Vangelo eterno, ecc., è il corpo apostolico, il sacerdozio (o piuttosto San Michele che rappresenta la persona morale della Chiesa). Ora, verso la fine dei tempi, secondo il decreto della volontà del Cristo suo fondatore, il sacerdozio fiorirà di nuovo, e diventerà più bello come l’uccello quando rinnova le sue piume. E quando le ali della sua libertà sono cresciute, questo uccello volerà in mezzo al cielo. Per cielo si intende qui la Chiesa militante, il cui sacerdozio diventerà l’ornamento e la gioia per la sua santa condotta e la sua vita apostolica, metaforicamente rappresentata dal volo dell’Angelo. Per quanto riguarda il Vangelo eterno che San Giovanni vide nella sua mano, questa è l’interpretazione: Questo Vangelo eterno è la lode divina che Dio ha rivelato ai suoi Apostoli attraverso suo Figlio Gesù Cristo, e che essi hanno comunicato al mondo predicando il Vangelo su tutta la terra. Si dice che questo secondo Angelo portò il Vangelo eterno, perché il Vangelo fu effettivamente affidato alle mani degli Apostoli, ai quali spetta di annunciare la parola eterna di Dio. Da qui questo passaggio: Per proclamarlo a coloro che siedono sulla terra, ad ogni nazione, tribù, lingua e popolo. Per coloro che siedono sulla terra si intendono i re, i principi, i governanti, i nobili, e in generale tutti coloro che hanno il dominio sulla terra, sulle nazioni, sulle tribù, sulle lingue e sui popoli.

Vers.. 7 . Dicendo a gran voce: Temete il Signore e rendetegli gloria, perché è giunta l’ora del suo giudizio; e adorate Colui che ha fatto il cielo e la terra, il mare e le sorgenti…. Dicendo a gran voce, cioè quest’altro Angelo che San Giovanni vide predicherà con zelo, ardore ed efficacia; e che il dito di Dio si manifesterà nella predicazione di quegli Apostoli che questo Angelo rappresenta. E diranno a coloro che governano la terra: Temete il Signore e dategli gloria, perché è giunta l’ora del suo giudizio; e adorate Colui che ha fatto il cielo e la terra, il mare e le sorgenti. Questa predicazione è enfatica e rappresenta implicitamente le cose più necessarie per la salvezza, cioè: temere il Signore ed adorarlo. San Giovanni aggiunge due motivi efficaci che questi Apostoli useranno per persuadere con la loro predicazione. La prima ragione è che Dio è il Creatore del cielo e della terra, del mare e delle fonti. Ora queste quattro cose contengono in sé tutte le creature, e sono menzionate qui come rappresentanti tutte le meraviglie del Creatore. La seconda ragione è il giudizio; perché l’ora del giudizio è stata stabilita per rendere ad ogni uomo secondo le sue opere; e quest’ora si avvicina sempre, ed è come se fosse presente, in relazione all’eternità. Ora, poiché questi due motivi sono sempre stati molto efficaci nel mantenere gli uomini nel loro dovere verso Dio, è così che verso la fine dei tempi, la considerazione di queste verità sarà molto utile, e persino necessaria, per disporre gli uomini a resistere alla bestia. Infine, la predicazione di questo Angelo deve avvenire in due tempi diversi: Il primo è quando le nazioni, i popoli, gli uomini di varie lingue e molti re torneranno nel seno della Chiesa Cattolica, nella sesta epoca, come abbiamo visto nel capitolo X, versetto 11. Perché è attraverso il sacerdozio che avrà luogo questa grande opera di conversione generale degli increduli e dei peccatori che torneranno alla penitenza. Allora la voce del sacerdozio, o dell’Angelo che ne è il rappresentante, sarà veramente una voce forte e molto efficace.  La conversione dei peccatori avverrà prima che la bestia (l’impero turco) riceva la sua ferita mortale, e prima della caduta della prima Babilonia, che è il regno delle nazioni, come vedremo più avanti. La seconda epoca della predicazione di questo Angelo è quella degli ultimi tempi in cui la carità di molti si raffredderà, la fede scomparirà e si manifesterà il figlio della perdizione. Allora questo Angelo (il sacerdozio) alzerà la sua voce con potenza nel nome di Gesù Cristo e del Padre suo, e predicherà con audacia per tutta la terra; e dirà a tutti gli uomini che vi abitano: Temete il Signore e dategli gloria. E adorate colui che ha fatto il cielo e la terra, il mare e le fonti. Perché in quel tempo, dice Daniele, (XI, 33): « I saggi del popolo ne istruiranno molti ». È allora che gli ultimi apostoli percorreranno la terra, portando il Vangelo eterno, e facendo meraviglie per la virtù dell’Onnipotente, e non per il potere di questo mondo. Questa seconda epoca sarà il tempo della fine, quando Babilonia, che è il regno di questo mondo, cadrà e sarà consumato dal fuoco, come vedremo più avanti.

II. Vers. 8.E un altro Angelo lo seguì dicendo: È caduta, è caduta, la grande Babilonia, che ha fatto bere a tutte le nazioni il vino dell’ira della sua fornicazione. Babilonia e Babele sono sinonimi e significano confusione e mescolanza. Babilonia inquesto libro dell’Apocalisse contiene un grande mistero, che San Giovanni descrive sotto la sua figura e il suo enigma. Essa ha due significati: 1° Essa rappresenta il regno speciale delle nazioni, un regno che fu sempre nemico e avversario della casa d’Israele nell’Antico Testamento, così come fu e sarà sempre opposto al Cristianesimo nel Nuovo Testamento, fino alla consumazione dei secoli.Ora, l’attuale regno delle nazioni è l’impero dei Turchi fondato da Maometto, e di cui l’Anticristo sarà l’ultimo e più potente sovrano. È con ragione e verità che San Giovanni gli dà il nome di Babilonia, poiché questo impero è formato e mescolato da varipopoli e nazioni, e la sua setta è una fusione di paganesimo, giudaismo e Cristianesimo, insegnando i dogmi più bizzarri o piuttosto errori, come si può vedere dal Corano. – Questo impero è anche chiamato Babilonia, perché Babilonia caldea era una città molto potente e considerevole, che si poteva considerare come la metropoli del regno delle nazioni. 2º Babilonia rappresenta anche il mondo con tutte le sue delizie e tutte le sue voluttà, come l’aggregazione di tutti i malvagi uniti contro i buoni, sotto la guida del loro capo lucifero. Fu in questo senso che Gesù Cristo indicò questo mondo ai suoi apostoli: (Jo. XV, 18, 19). Si distinguono due città, che sono le due capitali dei due regni che dividono la terra, di cui una è Sion o Gerusalemme, il cui re è Gesù Cristo, e i cui cittadini sono tutti i giusti o eletti, da Abele fino all’ultimo nato; e tutti gli abitanti di questa città costituiscono il regno di Gesù Cristo. L’altra città è Babilonia, il cui re è lucifero, e i cui abitanti sono i malvagi e i reprobi da Caino fino al figlio della perdizione. Tutti questi costituiscono il regno delle nazioni, cioè di tutti gli empi; e questo regno è anche chiamato il mondo, il cui regno e la cui rovina San Giovanni descrive di seguito sotto la figura di Babilonia. È in entrambi questi sensi che questa Babilonia menzionata nel testo deve essere intesa anche letteralmente, ed è per questo che la sua rovina è ripetuta due volte: È caduta, è caduta, la grande Babilonia. La prima caduta si applica alla rovina dell’impero turco, e la seconda deve essere riferita alla rovina del regno di questo mondo, come vedremo più avanti. E un altro Angelo lo seguì, dicendo, etc. Questo Angelo rappresenta anche due persone: quella che annuncia la caduta di Babilonia a San Giovanni, e quella della persona rappresentata.  1°. Questo Angelo è San Michele, che ha annunciato in alto la caduta dell’impero turco, e la rovina finale di questo mondo. 2°. Questo Angelo rappresenta allo stesso tempo il potente Monarca sotto il cui impero il regno delle nazioni sarà distrutto, e l’impero dei turchi sarà mortalmente ferito. Ecco perché San Michele, che rappresenta la Chiesa militante sulla terra, si congratula con questa Chiesa per la caduta dell’impero turco e il regno delle nazioni, e le dà motivo di consolazione. Si dice che quest’altro Angelo seguì il primo, e questa differenza è dovuta al fatto che l’annuncio di un evento precede naturalmente la sua realizzazione. Infatti, nello spazio del tempo che separerà l’annuncio dall’evento stesso, Dio susciterà un potente Monarca tra i principi della terra,  per abbattere il grande corno della bestia, cioè l’impero di Costantinopoli, o l’impero d’Oriente, e per occupare la sua sede. È caduta, è caduta; queste parole esprimono gioia e congratulazioni per un evento che è stato a lungo desiderato e atteso. – È caduta, è caduta; l’Angelo annuncia questa caduta al passato, per la consolazione della Chiesa e di tutta la Cristianità, che gemevano a causa della durata e della grande potenza dell’impero di Maometto, e che erano sul punto di disperare di non vedere mai la rovina e l’umiliazione di questo impero. È caduta, è caduta; esprimendosi al passato e non al futuro, come per garantire l’infallibilità dell’evento. È caduta, è caduta … è come se dicesse: per quanto potente, per quanto vasto e per quanto prospero sia l’impero turco, è altrettanto certo che cadrà come se lo fosse già accaduto. Ora sarà lo stesso con la fine del mondo, così a lungo desiderata dai giusti, e nella quale gli empi rifiutano di credere. È caduta, è caduta… lo ripete per due motivi.1° Per confermare la verità di questo grande evento, che sembra tanto più remoto, quanto più lo si attende con impazienza. 2° Per designare le due cose che sono la rovina dell’impero turco e delle nazioni in particolare, e poi la rovina universale di questo mondo, di cui parla a lungo nel seguito. È caduta, è caduta la grande Babilonia. È un modo di parlare con enfasi per esprimere questa caduta e questa rovina in due modi. 1°. La bestia cadrà dalla sua sede, che è Costantinopoli e l’Impero d’Oriente; perché così perderà la sua potenza, l’estensione del suo impero, la moltitudine dei suoi popoli, il fasto del suo orgoglio, e sarà umiliata al punto di possedere solo un piccolo stato. Il secondo modo è che questo mondo con tutte le sue voluttà, le delizie della sua gloria, la pompa e lo splendore delle sue ricchezze finirà. Tutti gli abitanti del mondo che hanno dimenticato Dio, il loro Creatore, e hanno vissuto senza temere i suoi giudizi e secondo i loro desideri corrotti, periranno con esso, per essere gettati tutti insieme nel lago di fuoco. Così si adempirà la parola del Salmista, (CXI, 9): « Il desiderio degli empi perirà ». Allora gli amori illeciti, le voluttà della carne, le ricchezze, gli onori, i principati, il fasto, la gloria, il lusso, svaniranno; i campi, i boschi, le vigne non daranno più frutti, e gli empi saranno agitati nei tormenti delle fiamme eterne, tormenti che saranno proporzionati alla malizia e al numero dei loro crimini, senza alcuna attenuazione e senza alcuna consolazione. Gli eletti, invece, si riposeranno dalle loro pene e fatiche temporali in una perfetta e incontaminata beatitudine per tutta l’eternità. La grande Babilonia è caduta. È chiamata grande per la potenza, l’estensione e la forza dei suoi regni sulla terra, e per l’orgoglio con cui dominava i poveri, gli umili, i semplici, i giusti, che opprimeva, disprezzava e guardava con occhio di disdegno. È anche chiamata grande a causa della moltitudine innumerevole dei malvagi e degli empi, e a causa del numero e della grandezza infinita dei suoi peccati. Ecco perché San Giovanni aggiunge: Che ha fatto bere a tutte le nazioni il vino dell’ira della sua fornicazione. Questo passaggio contiene tre sostantivi che esprimono l’enormità della sua malizia e la sua malvagità. Perché il vino inebria, l’ira suscita rabbia e tirannia, e la fornicazione esprime l’idolatria e ogni tipo di infedeltà commessa contro Dio e contro il suo Cristo. Così il vino dell’ira della sua fornicazione è la malvagità feroce della setta di Maometto, che ha fatto bere questo vino a tutte le nazioni, cioè che le ha eccitate, corrotte e sedotte, e le ha continuamente spinte alla tirannia contro il Cristianesimo, e le ha costrette ad apostatare e a rifiutare il culto del vero Dio, come la storia di tutti i secoli passati dimostra fin troppo chiaramente. Che questo sia detto nel primo senso senso spiegato sopra. – In secondo luogo, il vino dell’ira della sua fornicazione è inteso come le eresie, i vizi, le voluttà e le immondizie del secolo, di cui le nazioni e i popoli della terra si saranno come ubriacati, dimenticando Dio loro Creatore e rifiutando di rendergli omaggio con opere di santità e di giustizia. Ora il culmine di questa fornicazione sarà nel regno dell’anticristo, che farà bere a tutte le nazioni il vino dell’ira della sua fornicazione, con la sua terribile tirannia e le sue seducenti imposture, costringendole ad apostatare e a rinnegare il loro Dio Gesù Cristo con il Padre suo.

III. Vers. 9. – E un terzo angelo li seguì, gridando ad alta voce: Chi adora la bestia e la sua immagine e porta il suo carattere sulla fronte o sulla mano;

Vers. 10. Egli berrà del vino dell’ira di Dio, del vino puro preparato nel calice della sua ira, e sarà tormentato con fuoco e zolfo davanti agli Angeli santi e alla presenza dell’Agnello:

Vers. 11. – E il fumo dei loro tormenti salirà nei secoli dei secoli, e non ci sarà riposo né giorno né notte per coloro che hanno adorato la bestia e la sua immagine e hanno portato il suo nome.

Vers. 12. – Ecco la pazienza dei santi che osservano i comandamenti di Dio e la fede di Gesù. Questo Angelo è l’ultimo Pontefice Romano. Egli è chiamato terzo Angelo, perché sarà il terzo dopo Gesù Cristo, di cui sarà l’immediato predecessore nel suo Secondo Avvento, come San Pietro fu il suo successore nel primo; e perché anche entrambi questi due soli Papi avranno portato il nome di Pietro. Infatti, secondo la profezia di San Malachia, Primate d’Irlanda, non ci sarà stato un tale pontefice in tutta la catena dei Papi, tranne il primo e l’ultimo. Questo Pontefice governerà la Chiesa nelle ultime e più grandi tribolazioni, quando la questione e l’orribile eresia del presunto arrivo di Cristo e del Messia, che la bestia che sale dalla terra annuncerà come il re di Gerusalemme, apparirà gradualmente; cioè, quando il figlio della perdizione si manifesterà. Allora questo Papa o terzo Angelo griderà a gran voce contro l’Anticristo e i suoi seguaci, contro i Giudei, le nazioni e i Cristiani apostati, con le sue definizioni apostoliche e con le sue Encicliche che rivolgerà a tutti i principi, a tutti i popoli e a tutta la cristianità. Li esorterà ad osservare i comandamenti di Dio e la fede in Gesù Cristo di Nazareth crocifisso, e li avvertirà di non essere ingannati da quella terribile eresia: che Gesù Cristo di Nazareth, che fu crocifisso dai Giudei, era un impostore, e che solo in questi giorni il vero Salvatore e Messia, atteso per tanti secoli dai Giudei e dalle nazioni, è finalmente apparso nel mondo. Perché questa eresia prenderà forme gigantesche, e sarà già stata condannata dalla Chiesa, prima che il figlio della Perdizione entri nella pienezza del suo regno e del suo potere. E poiché allora gli uomini avranno la testa dura, e questo tempo sarà la congregazione e la sintesi di ogni prevaricazione, questo Pontefice si servirà del ministero dei suoi apostoli, di cui abbiamo parlato sopra, per proteggere e difendere la verità e la giustizia. Li manderà per confermare e riportare il popolo nell’obbedienza e nella fede in Nostro Signore Gesù Cristo crocifisso, nel Padre suo e nello Spirito Santo. Ed egli griderà forte a tutti gli uomini, dicendo: Chiunque adora la bestia e la sua immagine e porta il suo carattere sulla fronte o nella mano, berrà il vino dell’ira di Dio, il vino puro che è preparato nel calice della sua ira; e sarà tormentato con fuoco e zolfo davanti agli Angeli santi e alla presenza dell’Agnello. E il fumo dei loro tormenti salirà per i secoli dei secoli, e non ci sarà riposo né giorno né notte per coloro che adorano la bestia e la sua immagine e che hanno portato il carattere del suo nome. Tutte queste parole devono essere intese alla lettera. Esse esprimono la dannazione eterna di tutti coloro che in quei giorni, per quanto malvagi possano essere, abbandoneranno la giustizia di Dio e la fede in Nostro Signore Gesù Cristo di Nazareth crocifisso. Inoltre, queste parole insegnano agli uomini a temere il vero Dio e i loro ultimi fini; perché dopo la morte e la passione di Gesù Cristo, questo timore sarà l’unico scudo del popolo cristiano, per ottenere la vittoria sul mondo e i suoi falsi profeti: Chi adorerà la bestia ….. Egli berrà del vino dell’ira di Dio, del vino puro preparato nel calice della sua ira. Queste parole esprimono il tipo di punizione eterna, che è l’ira implacabile di Dio per tutta l’eternità; e questo è il più grande supplizio che possa affliggere i dannati. Questo tormento è chiamato il vino della sua ira, a causa della veemenza della giustizia e della vendetta divina. Di questo vino puro preparato nel calice della sua ira; poiché ognuno sarà punito secondo la misura delle sue iniquità. Più l’empio pecca, più sarà tormentato; e sarà tormentato con fuoco e zolfo. Queste parole esprimono il primo tipo di tormento che i dannati subiranno, il tormento del fuoco eterno.Infatti, sebbene i tormenti dell’inferno siano così grandi e così numerosi che è impossibile esprimerli, San Giovanni li indica tutti e li riassume mirabilmente con queste due forti espressioni: fuoco e zolfo. Perché il fuoco dell’inferno non servirà a illuminare i dannati, secondo San Matteo (VIII, 12): « I figli del regno saranno gettati nelle tenebre esteriori; là ci sarà pianto e stridore di denti. » Ma questo fuoco brucerà i corpi di questi miserabili per tutta l’eternità, e questo fuoco sarà mescolato con lo zolfo, così che lo zolfo alimenterà il fuoco, e il fuoco svilupperà l’orribile fetore dello zolfo. – Il secondo tipo di questi tormenti saràla confusione eterna dei malvagi, espressa da queste parole del testo: Davanti agli angeli santi e alla presenza dell’Agnello. Così, dunque, tutta la corte celeste,e l’Agnello, che è il re Gesù Cristo, saranno testimoni per tutta l’eternità della terribile vergogna e della confusione dei peccatori. Perché non potranno più nascondere i loro peccati e le loro abominazioni, poiché il segreto dei loro cuori non esisterà più. – Il terzo tipo di questi supplizi sarà l’eternità, indicato da queste parole: E il fumo dei loro tormenti salirà nei secoli dei secoli. Ora nel luogo dal quale il fumo si alza incessantemente, c’è sempre il fuoco; e come questo fumo si alzerà per sempre, il fuoco che lo produce sarà eterno, perché c’è alcuna redenzione per i dannati. – Il quarto tipo [di supplizi] è contenuto implicitamente nelle stesse parole di cui sopra, dalle quali si può concludere che questi miserabili esaleranno con il fumo dei loro tormenti, la bestemmia, l’invidia, la gelosia e l’odio contro l’Onnipotente, e faranno sentire lo stridore dei loro denti nei secoli dei secoli. È con buona ragione che questa rabbia dei peccatori contro il cielo è paragonata al fumo che non può mai salire abbastanza in alto per raggiungere le regioni celesti. Perché Dio, fondato sulla giustizia della sua causa, si befferà a sua volta degli empi che lo hanno disprezzato sulla terra. E questo tormento sarà orribile per i malvagi che saranno divorati dalla sete di vendetta, senza poterla mai esercitare. Perché le loro bestemmie saranno vane e senza effetto, comeil fumo che sale nell’aria non potrà mai raggiungere le stelle. Pertanto, i malvagi cercheranno vanamente la vendetta e non ci riusciranno mai. Vorranno liberarsi dai loro tormenti, e nessuno verràin loro soccorso. Ricorderanno i piaceri della loro vita, e ne saranno privati per sempre; desidereranno morire, e la morte fuggirà da loro; infine invocheranno il nulla o crederanno di trovarlo nel fuoco; ma il fuoco li brucerà eternamente senza mai distruggerli, perché il luogo che abitano è la terra dell’oblio. O voi dunque, figli degli uomini, ricordatevi della vostri ultimi fini, e non peccherete più! – Il quinto tipo di supplizi nell’inferno è che non ci sarà riposo né di giorno né di notte, cioè i dannati non saranno mai sollevati dai loro mali da nessun sonno, e i loro dolori saranno continui e di ogni momento. – Qui si esercita la pazienza dei santi che osservano i comandamenti di Dio e la fede di Gesù. Questa conclusione emerge dalla considerazione di quanto sopra, cioè dai supplizii eterni di cui i santi hanno una vivida immagine davanti ai loro occhi continuamente. Ecco perché sopportano con pazienza tutte le prove della vita presente, per evitare i supplizi dell’inferno. Così, nell’ultima persecuzione, i veri Cristiani, considerando il destino dei buoni, per confrontarlo con quello dei malvagi, sopporteranno con coraggio e rassegnazione tutti i tormenti che la bestia infliggerà loro, per quanto lunghi e crudeli possano essere; e rimarranno fedeli nell’amore e nella fede di Gesù, sfidando la furia della bestia. Ma chiunque adora la bestia e la sua immagine, e porta il suo carattere sulla fronte o nella mano, sarà tormentato con fuoco e zolfo per i secoli dei secoli. Perché Dio non ammetterà scuse per l’eccessiva crudeltà,e le seducenti imposture della bestia. Per questo motivo Gesù Cristo si preoccupa di informare in anticipo tutta la Cristianità, per rafforzare i fedeli e per esortarli a morire coraggiosamente e a sopportare con pazienza i tormenti temporanei con i quali Egli permetterà di mettere alla prova i suoi eletti. Gesù Cristo ha voluto che le pene dell’inferno riservate ai vigliacchi che Lo rinnegano adorando la bestia e la sua immagine e portando il suo carattere, siano solennemente promulgate dal sovrano Pontefice, che griderà a gran voce: Chi adora la bestia della sua immagine ….. Egli berrà il vino dell’ira di Dio, etc. .

IV . Vers. 13. – E udii una voce dal cielo che mi diceva: Scrivi: Beati quelli che muoiono nel Signore. Fin da ora, dice lo Spirito, si riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono. Questa voce è quella della Chiesa militante, che sarà intendere nella persecuzione dell’anticristo, per felicitarsi in anticipo con i giusti per il loro martirio, e allo stesso tempo per compatire i loro dolori e le loro fatiche nelle tribolazioni, nell’ora più difficile della tentazione e nell’ora della più terribile agonia che sia possibile subire. Beati coloro che godono del grande beneficio e della misericordia paterna che Dio concederà loro, per morire di peste, di carestia o di guerre che precederanno quei giorni pieni di pericolo per le anime. Vedi quanto detto nel Libro III, capitolo VII. Felici coloro che muoiono nel Signore. Cioè, felici coloro che sono morti in grazia di Dio, prima dell’ora di quella tentazione che è mille volte più orribile e pericolosa dei dolori e delle angosce del parto! Fin da ora, dice lo Spirito, si riposeranno dalle loro fatiche, perché i loro opere li seguiranno. Queste parole sono piene di consolazione per coloro i cui corpi e le cui anime riposano nel Signore: diciamo corpi, perché essi riposano, infatti, e dormono un dolce sonno nelle loro tombe, in attesa della loro gloriosa risurrezione, in cui saranno trasformati e liberati da tutte le fatiche, i pericoli e i dolori della vita presente. Beate le anime, cioè gli spiriti dei giusti, perché le loro opere li seguono. Perché essi sono nella gloria e non devono più soffrire alcun pericolo o tentazione. Sono inaccessibili agli errori, alle paure e agli inganni dei tiranni. Nessuno potrà più perseguitarli, né perderli, perché saranno in perfetta bellezza e riposo, che godranno davanti agli Angeli santi e alla presenza dell’Agnello nei secoli dei secoli. Beati coloro che muoiono nel Signore. Questa frase può essere presa al passato e al presente. Le parole sono piene di energia; sono un avvertimento per tutti gli uomini, e specialmente per quelli che vivranno nel tempo dell’anticristo. Gesù Cristo dice loro di ricordarsi della morte dei giusti e di confrontarla con la morte dei peccatori. Perché quando sono ben convinti dell’infinita differenza tra l’uno e l’altro, non esiteranno a sacrificare la vita presente per quella futura. Preferiranno di gran lunga il sacrificio del loro corpo deperibile a quello della loro anima immortale. Beati coloro che muoiono nel Signore. Queste parole sono la voce di un moribondo in una lunga e crudele agonia; perché in questi ultimi giorni i tormenti saranno lunghi e la morte tardiva!

§ III.

Sulla futura estirpazione delle eresie.

CAPITOLO XIV VERSETTI 14-20.

Et vidi: et ecce nubem candidam, et super nubem sedentem similem Filio hominis, habentem in capite suo coronam auream, et in manu sua falcem acutam. Et alius angelus exivit de templo, clamans voce magna ad sedentem super nubem: Mitte falcem tuam, et mete, quia venit hora ut metatur, quoniam aruit messis terræ. Et misit qui sedebat super nubem, falcem suam in terram, et demessa est terra. Et alius angelus exivit de templo, quod est in caelo, habens et ipse falcem acutam. Et alius angelus exivit de altari, qui habebat potestatem supra ignem: et clamavit voce magna ad eum qui habebat falcem acutam, dicens: Mitte falcem tuam acutam, et vindemia botros vineæ terræ: quoniam maturæ sunt uvæ ejus. Et misit angelus falcem suam acutam in terram, et vindemiavit vineam terrae, et misit in lacum irae Dei magnum: et calcatus est lacus extra civitatem, et exivit sanguis de lacu usque ad frenos equorum per stadia mille sexcenta.

[E vidi: ed ecco una candida nuvola, e sopra la nuvola uno che sedeva simile al Figliuolo dell’uomo, il quale aveva sulla sua testa una corona d’oro, e nella sua mano una falce tagliente. E un altro Angelo uscì dal tempio gridando ad alta voce a colui che sedeva sopra la nuvola: Gira la tua falce, e mieti, perché è giunta l’ora di mietere mentre la messe della terra è secca. E colui che sedeva sulla nuvola, menò in giro la sua falce sulla terra, e fu mietuta la terra. E un altro Angelo uscì dal tempio, che è nel cielo, avendo anch’egli una falce tagliente. E un altro Angelo uscì dall’altare, il quale aveva potere sopra il fuoco : e gridò ad alta voce a quello che aveva la falce tagliente, dicendo : Mena la tua falce tagliente, e vendemmia i grappoli della vigna della terra: poiché le sue uve sono mature. E l’Angelo menò la sua falce tagliente sopra la terra, e vendemmiò la vigna della terra, e gettò (la vendemmia) nel grande lago dell’ira di Dio: e il lago fu pigiato fuori della città, e dal lago uscì sangue fino ai freni dei cavalli per mille seicento stadi.]

Vers. 14. – E vidi, ed ecco una nuvola bianca, e sulla nuvola uno seduto come il Figlio dell’uomo, che aveva sul capo una corona d’oro e in mano una falce affilata.La descrizione del raccolto e della vendemmia di cui si parla in questo capitolo contiene una specie di enigma difficile e oscuro, sotto il quale è descritta la futura estirpazione delle eresie e della setta delle nazioni o dell’impero turco, estirpazione che avrà luogo sotto il potente Monarca e il santo Pontefice. Perché Dio consolerà ancora una volta la Sua Chiesa prima che venga la notte oscura del regno dell’anticristo. Ora l’interpretazione di questo enigma è questa: Colui che San Giovanni vide seduto sulla nuvola bianca è il grande Monarca di cui abbiamo già parlato più volte. Si dice che è seduto su una nuvola bianca, perché il suo regno, designato dalla parola “seduto”, sarà un regno santo e stabile, sostenuto dalla protezione di Dio Onnipotente. Questo Monarca è chiamato simile al Figlio dell’Uomo, a causa delle sue grandi virtù con le quali imiterà il suo Salvatore Gesù Cristo. Egli infatti, sarà umile, mite, amante della verità e della giustizia, potente nelle armi, prudente, saggio e zelante per la gloria di Dio. Egli adempirà, per così dire, quella profezia di Isaia su Gesù Cristo, (XI, 2):« Lo spirito del Signore si poserà su di Lui; lo spirito di sapienza e di intelletto, lo spirito di consiglio e di fortezza, lo spirito di scienza e di pietà; ed Egli sarà pieno dello spirito del timore del Signore. Egli non giudicherà secondo le apparenze, né condannerà per sentito dire; ma giudicherà il povero con giustizia, e si dichiarerà il giusto vendicatore dei miti sulla terra. Egli colpirà la terra con la verga della sua bocca e ucciderà gli empi con il soffio delle sue labbra. La rettitudine sarà la cintura dei suoi fianchi e la fede i finimenti di cui sarà cinto. Il lupo abiterà con l’agnello, il leopardo si sdraierà con il cammello, il vitello, il leone e la pecora abiteranno insieme e un bambino li guiderà. Il vitello e l’orso pascoleranno insieme, agli stessi pascoli, i loro piccoli si riposeranno gli uni con gli altri, e il leone mangerà la paglia come il bue. Il bambino che allatta si trastullerà sulla buca dell’aspide; e lo svezzato metterà la mano nella caverna del basilisco. Non faranno del male né uccideranno su tutto il mio santo monte, perché la terra è piena della conoscenza del Signore, come il mare con le acque di cui essa è coperta. In quel giorno la radice di Iesse sarà esposta come vessillo davanti a tutti i popoli; e le nazioni verranno a offrirgli le loro preghiere e il suo sepolcro sarà glorioso. Allora il Signore stenderà di nuovo la sua mano per possedere i resti del suo popolo, che sono sfuggiti alla violenza dell’Assiria, dell’Egitto, di Phetros, dell’Etiopia, di Elam, di Sennaar, di Emath e delle isole del mare. Egli innalzerà il suo stendardo tra le nazioni; raccoglierà i fuggitivi d’Israele e radunerà dai quattro angoli della terra quelli di Giuda che erano stati dispersi. La gelosia di Efraim sarà distrutta e i nemici di Giuda periranno; Efraim non sarà invidioso di Giuda e Giuda non combatterà più contro Efraim. E voleranno sul mare verso i Filistei, e insieme saccheggeranno i popoli dell’Oriente; l’Idumea e Moab saranno soggetti alle loro leggi, e i figli di Ammon obbediranno loro. Il Il Signore renderà desolata la lingua del mare d’Egitto, alzerà le sue mani sul fiume e lo scuoterà con il suo soffio potente; lo colpirà e lo dividerà in sette torrenti, perché possa essere attraversato a piedi. E il resto del mio popolo che scamperà agli Assiri vi troverà un passaggio, come lo trovò Israele quando uscì dall’Egitto. » Ciò che è stato appena detto di Gesù Cristo, in questa profezia, può essere applicato, in qualche modo e per somiglianza, a questo potente Monarca del quale San Giovanni dice che sarà come il Figlio dell’Uomo, avendo sul capo una corona d’oro. Cioè, sarà un grande Monarca, ricco e potente, e il sovrano dei sovrani. Egli vincerà i re delle nazioni e sarà pieno dell’amore di Dio. Rileggiamo ciò che è stato detto di lui, capitolo III, nella sesta epoca della Chiesa. E nella sua mano una falce affilata. Il grande Monarca avrà in mano un esercito grande e forte, con il quale passerà attraverso i regni delle nazioni, le repubbliche e le roccaforti, e li trafiggerà da parte a parte (transfodiet). Si dice che la sua falce è affilata, perché non combatterà se le sue armi non saranno vittoriose o se il nemico non subirà grandi perdite e massacri. Nell’Antico Testamento si dice di Giona e Saulo che (II. Reg. I, 22): « mai la freccia di Gionata non tornò unta di grasso e di sangue, e mai la spada di Saul non uscì inoperosa dai combattimenti » – Ora, tale sarà l’esercito di questo grande e potente Monarca (Il Venerabile Holzhauser usa qui la parola re, ma non si può dedurre nulla sul titolo di questo Monarca, poiché egli usa quasi sempre questa parola, anche per gli imperatori, come quelli di Turchia, che egli chiama anche re e il loro impero regno. Si sarà notato sopra, che si dice di questo grande Monarca che sarà il figlio di un re e la gloria della sua casa reale. Inoltre, quest’ultima parola reale deve essere presa in generale per sovrana. Abbiamo usato la parola monarca, perché è il titolo che l’autore gli dà abitualmente e anche in questo caso; perché egli aggiunge il titolo di monarca a quello di re. Si sarà notato altrove che in occasione dell’ultimo Concilio i cui decreti questo monarca farà eseguire i decreti, l’autore parla dei suoi editti imperiali. (Il Monarca dalla sesta epoca sembra essere ben diverso da quello della fine della settima epoca – ndr. -). – Si dice che tenga in mano la sua falce, perché il suo esercito non intraprenderà nulla senza il suo consiglio, ed è lui stesso che lo dirigerà con i suoi consigli, come si racconta di Alessandro Magno. Si dice anche che tenga in mano la sua falce, perché il suo esercito gli obbedirà alla perfezione, e sarà attaccato a lui e lo amerà in modo tale che egli lo maneggerà come un bastone, e farà con esso cose grandi, sorprendenti e ammirevoli.

II. Vers. 15. E un altro Angelo uscì dal tempio, gridando ad alta voce a colui che sedeva sulla nuvola: Gettate la vostra falce e mietete, perché è venuto il tempo di mietere, perché la messe della terra è matura. Questa voce è quella di chi esorta con veemenza alla guerra e alla messe della zizzania degli eretici e dei turchi. Questo Angelo che uscirà dal tempio e griderà così è il grande e santo Pontefice di cui abbiamo parlato, che Dio farà sorgere in questi giorni. E questo Pontefice, mosso da un’ispirazione divina, esorterà e impegnerà questo Monarca a intraprendere questa guerra sacra. Gli dirà: Getta la tua falce, cioè il tuo potente esercito, e mieti, cioè abbatti, sradica e distruggi gli eretici ed i barbari, perché è giunta l’ora di mietere, poiché il raccolto della terra è maturo. Questo Pontefice pronuncerà questa parola per rivelazione, e con queste parole ecciterà i cuori dei principi e li spingerà ad unirsi per intraprendere questa guerra. E Dio disporrà i cuori dei soldati in modo che aderiscano con la mente e con il cuore all’impresa del loro potente Monarca. Perché il raccolto è maturo, cioè è il momento di tagliare la zizzania e di gettarla nel fuoco. È una metafora che significa l’annientamento e la rovina delle eresie e della barbarie.

Vers. 16. – E colui che sedeva sulla nuvola gettò la sua falce sulla terra, e la terra fu mietuta. Tutte queste parole esprimono il felice successo ottenuto secondo le parole del santo Pontefice. E la terra fu mietuta, perché il grande Monarca sterminerà o sottometterà al suo potere le nazioni dei turchi e degli eretici, e occuperà le loro terre.

Vers. 17. – E un altro Angelo uscì dal tempio che è nei cieli, e anche lui aveva una lama affilata. Questa falce è un altro esercito che gli Stati della Chiesa e i loro alleati, strettamente e fortemente uniti, riuniranno e manderanno in aiuto del grande Monarca. Ecco perché si dice che quest’altro Angelo uscì dal tempio, cioè, dagli Stati della Chiesa di cui il tempio è la figura, che è in cielo, cioè nella Chiesa militante che questa parola cielo significa e rappresenta. Colui di cui si dice: E un altro Angelo uscì dal tempio, sarà il grande generale in capo che questo santo Pontefice, di cui si è parlato, costituirà o nominerà per comandare quel forte esercito che sarà impiegato per distruggere e annientare il potere dei turchi e degli eretici.

Vers. 18 . E un altro angelo uscì dall’altare e aveva potere sul fuoco, e gridò ad alta voce a colui che aveva la falce affilata: Getta la tua falce affilata e raccogli l’uva dalla vigna della terra, perché è matura. È ancora un’altra voce, che esorta con ardente zelo ad agire e a combattere con forza, per ottenere la vittoria sui nemici della Chiesa che l’avevano così affossata. Perché la bestia, che è l’impero turco, dovrà occupare prima l’Italia, e si espanderà molto ovunque. Arriverà così vicino alla Cristianità, che quest’ultima, ridotta all’ultima necessità, tenterà anche gli estremi, e otterrà un immenso successo. Essa distruggerà la sede o il regno della bestia, cioè l’impero turco, e relegherà la perfidia del degli eretici all’inferno. È per questo che San Giovanni designa due tipi di nemici, che distingue con le parole raccolto e vendemmia. La prima parola significa le nazioni dei Turchi, e la seconda designa gli eretici. Infatti, i covoni di paglia sono le nazioni barbare, i grappoli d’uva selvatica sono gli eretici che si vantano di essere Cristiani. È di quest’ultimo che parla per allegoria il Vangelo (Jo., XV, 1-7): « Io sono la vera vite e mio Padre è il vignaiolo. Egli taglierà tutti i rami che non portano frutto in me, e poterà tutti quelli che portano frutto, perché ne portino di più. Voi  siete già puri a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e Io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da solo, se non rimane unito alla vite, così è per voi, se non rimanete in me. Io sono la vite e voi i tralci. Chi rimane in me, e Io in lui, porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla. Se qualcuno non rimane in me, sarà gettato via come un tralcio, appassirà, e sarà gettato fuori: seccherà, lo si raccoglierà e lo getteranno nel fuoco, e sarà consumato ».  Queste parole della mietitura e della vendemmia di cui parla l’Apocalisse sono una grande e difficile metafora. Perché Dio ha sempre dato grandi regni alle nazioni della terra, mentre ha racchiuso il suo popolo eletto entro confini stretti, serrati e svantaggiosi, come una terra delimitata da una siepe spinosa. E questo è lo stato in cui si trova ora la Chiesa, la vigna del Dio degli eserciti. Quindi, con la messe, o piuttosto con i covoni di paglia secca, o la zizzania, si intendono le nazioni della terra, e con l’uva che cresce sui tralci della vite, che è la Chiesa di Cristo, si intendono letteralmente gli eretici. Poiché Gesù Cristo è la vite, e nella sua vigna, che è la Chiesa, crescono due tipi di uva, quella buona, cioè i veri Cristiani, e quella selvatica, cioè gli eretici altrimenti rappresentati dai tralci secchi.

Vers. 19. – E l’angelo gettò la sua falce affilata sulla terra, vendemmiò la vite della terra e ne gettò l’uva nel grande torchio dell’ira di Dio. Queste parole insistono di nuovo sulla prosperità della Chiesa, e sulla certezza ed evidenza della testimonianza data da San Giovanni, che queste cose accadranno al loro tempo, per la consolazione della santa Chiesa Romana. Perché il Signore ha parlato e sempre eseguirà la sua parola. E ne gettò l’uva nel grande torchio dell’ira di Dio. Questo grande torchio dell’ira di Dio è il torchio o il tino in cui la giustizia divina compirà la sua vendetta sugli eretici e sulle nazioni barbare. È in questo grande torchio che il Signore ha sempre gettato gli uni e gli altri, per la consolazione del popolo d’Israele e della Chiesa di Cristo, affinché le nazioni non dicano: Dov’è il loro Dio? Si parla nella Scrittura di questa collera, o di questa vendetta di Dio (Ps. LXXVII, 65: « Il Signore si svegliò come se avesse dormito, e come un uomo reso più terribile dall’ubriachezza. E colpì i suoi nemici alle spalle e li coprì di confusione e di un obbrobrio eterno. » Questo tino sarà lo sterminio e la rovina delle nazioni barbare e degli eretici; ed è il potente Monarca che, con il permesso e la cooperazione della giustizia, della vendetta e dell’ira dell’Onnipotente, ve li precipiterà. Perché Dio è la causa principale e gli uomini sono come strumenti del suo braccio onnipotente.

Vers. 20. – E il tino fu pigiato fuori della città, e il sangue che usciva dal tino salì fino ai freni dei cavalli per lo spazio di mille e seicento stadi. Queste parole significano uno spargimento di sangue molto grande, che Dio, nella sua ira ed indignazione, farà versare ai suoi nemici dalle sue armate cristiane. E il tino fu calpestato fuori dalla città. Cioè, Dio porterà gli effetti della sua ira su queste nazioni, fuori dalla città santa e dalla Palestina, che era riservata alle nazioni, finché non verrà il figlio della perdizione. E il sangue della moltitudine salì fino ai freni dei cavalli. Questa espressione è iberbolica, e significa uno spargimento di sangue così grande, che i cavalli quasi nuoteranno nel sangue dei morti e dei feriti. Perché quando i cavalli nuotano, sono affondati nell’acqua fino alle narici. Nello spazio di milleseicento stadi. Questa è di nuovo un’iperbole che rappresenta l’immensa carneficina che i cristiani infliggeranno ai loro nemici.

§ IV.

Della grande gloria e del trionfo che i Giudei e i Cristiani che sopravviveranno all’Anticristo renderanno a Dio Onnipotente e al suo Figlio Gesù Cristo.

CAPITOLO XV – VERSI 1-4.

Et vidi aliud signum in cælo magnum et mirabile, angelos septem, habentes plagas septem novissimas: quoniam in illis consummata est ira Dei. Et vidi tamquam mare vitreum mistum igne, et eos, qui vicerunt bestiam, et imaginem ejus, et numerum nominis ejus, stantes super mare vitreum, habentes citharas Dei: et cantantes canticum Moysi servi Dei, et canticum Agni, dicentes: Magna et mirabilia sunt opera tua, Domine Deus omnipotens: justæ et veræ sunt viæ tuæ, Rex sæculorum. Quis non timebit te, Domine, et magnificabit nomen tuum? quia solus pius es: quoniam omnes gentes venient, et adorabunt in conspectu tuo, quoniam judicia tua manifesta sunt.

[E vidi nel cielo un altro segno grande e mirabile: sette Angeli che portavano le sette ultime piaghe: perché con queste si sazia l’ira di Dio. E vidi come un mare di vetro misto di fuoco, e quelli che avevano vinto la bestia, e la sua immagine, e il numero del suo nome, stavano ritti sul mare di vetro, tenendo cetre divine: e cantavano il canto di Mosè, servo di Dio, e il cantico dell’Agnello, dicendo: Grandi e mirabili sono le tue opere, o Signore Dio onnipotente: giuste e vere sono le tue vie, o Re dei secoli. Chi non ti temerà, o Signore, e non glorificherà il tuo nome? Poiché tu solo sei pio: onde tutte le nazioni verranno, e si incurveranno davanti a te, perché i tuoi giudizi sono stati manifestati.]

I. Vers. 1 E vidi un altro segno grande e meraviglioso nel cielo: sette Angeli che portavano le sette ultime piaghe, con le quali si consuma l’ira di Dio. Questi sette Angeli con le loro sette piaghe sono menzionati nel prossimo capitolo.

II. Vers. 2.- E vidi un mare di vetro, mischiato al fuoco; e quelli che avevano vinto la bestia e la sua immagine, e non avevano voluto portare il carattere del suo nome, che erano in piedi su quel mare che brillava come vetro, portando delle arpe di Dio. Coloro che vinceranno la bestia, sono: 1° I resti dei Cristiani, che fuggendo e nascondendosi durante la durata della persecuzione dell’anticristo, gli sopravviveranno dopo la sua caduta all’inferno. – 2°. Con coloro che vinceranno la bestia si intende anche il resto dei Giudei, che, dopo essere stati testimoni del giudizio e dell’orribile morte del figlio della perdizione, gli sopravviveranno, e daranno gloria a Dio Padre e al suo Figlio Gesù Cristo, e saranno salvati. È di tutti questi che parla Daniele, quando dice: Cap. XII, 12: « Beato chi aspetta e arriva a milletrecento trentacinque giorni. » Il mare di vetro significa il Battesimo, perché i Cristiani che sono immersi nell’acqua del Battesimo diventano trasparenti come il vetro, essendo santificati da Gesù Cristo. Si aggiunge che questo mare di vetro è mescolato al fuoco. Il fuoco rappresenta lo Spirito Santo, che vivifica e santifica le anime nel Battesimo; e coloro che avranno vinto la bestia sono rappresentati in piedi su questo mare che brilla come vetro, perché dopo la morte dell’anticristo, i resti dei Giudei ed i Cristiani che saranno stati privati del Battesimo per paura della tirannia, saranno battezzati nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e confesseranno il Nome del nostro Signore Gesù Cristo, come il vero Figlio di Dio e Messia.- Quando tutti questi usciranno dal sacro bagno del Battesimo, saranno più saldamente costituiti nella grazia di Dio e nella confessione di Gesù Cristo di Nazareth crocifisso, e glorificheranno sopra ogni cosa il Signore del cielo e della terra, che ha creato tutto. Ecco perché sono rappresentati con le arpe di Dio. Con queste arpe di Dio, intendiamo le grandissime lodi che questi neofiti canteranno in onore di Dio, quando saranno stati testimoni della sua virtù e della sua onnipotenza, e la verità sarà stata loro chiaramente manifestata. Inoltre, queste arpe significano l’applauso e la gioia inesprimibile che esploderanno con trasporto, quando vedranno la grande misericordia che Dio ha usato nei loro confronti, nel preservarli da tanti pericoli e da una così grande rovina. Allora benediranno la sua bontà e la sua giustizia, come migliaia di arpisti suonano le loro arpe, di cui già si è parlato sopra.

Vers. 3. E cantarono il canto di Mosè, servo di Dio, e il canto dell’Agnello, dicendo: Grandi e meravigliose sono le tue opere, o Signore onnipotente. O Re dei secoli, le vostre vie sono giuste e vere. Con il canto di Mosè è significata la confessione dell’unico vero Dio, che ha creato il cielo e la terra. E con il canto dell’Agnello l’Apostolo intende la confessione di Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Ora queste sono due verità che il figlio della perdizione bandirà dalla terra. Questi due inni sono chiamati l’inno di Mosè e il Cantico dell’Agnello, perché il primo contiene la fede nell’unico vero Dio, che ha creato il cielo e la terra e tutto ciò che è in essi, e la confessione dei Giudei su questa verità riguarda specialmente l’Antico Testamento; mentre la fede in Gesù Cristo è applicata più specialmente e come per appropriazione al Nuovo Testamento. Ora, siccome negli ultimi giorni del mondo, i resti dei Giudei saranno uniti dai legami della vera fede con il resto dei Cristiani, San Giovanni scrive eloquentemente: Ed essi cantavano il canto di Mosè servo di Dio e il canto dell’Agnello, dicendo: Grandi e meravigliose sono le tue opere, o Signore onnipotente! O Re dei secoli, le tue vie sono giuste e vere.

Vers. 4. Chi non ti teme, o Signore? E chi non glorificherà il tuo Nome, perché tu sei misericordioso; e tutte le nazioni verranno ad adorarti, perché Voi avete manifestato i vostri giudizi. Queste parole contengono un grande applauso, che gli ultimi Giudei e gli ultimi Cristiani faranno in onore della maestà divina, quando vedranno il suo braccio onnipotente ed il giudizio che ha esercitato sul figlio della perdizione e i suoi falsi profeti. Ecco perché: 1°. confesseranno la misericordia di Dio manifestata nella grandezza e nelle meraviglie delle sue vere opere. Opere che supereranno e confonderanno infinitamente le opere dell’anticristo. Perché queste non saranno altro che imposture con le quali il figlio di di perdizione ingannerà così tanto gli ebrei e le nazioni che lo riconosceranno come il Messia. 2°. Con queste parole gli ultimi Giudei e Cristiani proclameranno Dio come il vero Re dei secoli, perché solo Lui, con la sua saggezza, ha fondato tutti i secoli nella giustizia e nella verità. Ora questi due grandi attributi di Dio, la giustizia e la verità, sono descritti nell’Antico e nel Nuovo Testamento, ,che questi neofiti riconosceranno poi solennemente. Le vie di Dio sono veramente sorprendenti e ammirevoli nella manifestazione delle sue opere dalla creazione del primo uomo all’ultimo; ma queste vie di Dio, per quanto sorprendenti possano apparirci, sono fondate con ammirevole saggezza sulla sua giustizia infinita e la sua verità eterna. Questa giustizia e questa verità di Dio ci sono poco note ora, e appaiono come velate ai nostri occhi; lo saranno ancora di più agli occhi degli uomini, che vivranno al tempo del figlio della perdizione; ma dopo la sua sorprendente morte, e soprattutto nell’ultimo giudizio, questi due attributi saranno manifestati in modo evidente. Perciò i Giudei e i Cristiani glorificheranno soprattutto il Dio del cielo, soprattutto per l’invio del suo unico Figlio e dello Spirito Santo sulla terra. E diranno: Le tue vie sono giuste e vere, o Re dei secoli! E i Giudei in particolare lo loderanno secondo la profezia di Gesù Cristo (Matth. XXIII, 39): « Perché io vi dico che non mi vedrete più, finché non mi direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore ». 3º I Cristiani e i Giudei negli ultimi giorni glorificheranno il Signore a causa dei suoi mirabili e imperscrutabili giudizi di Dio, anche nelle sue opere esteriori che custodiscono la creazione, la conservazione e il governo del genere umano, che sono abissi che saranno ben conosciuti solo negli ultimi giorni, e soprattutto nell’ultimo giudizio. Ed è la manifestazione di questi giudizi che risulterà allora: – 1° dal timore del Signore espresso da queste parole: Chi non vi temerà, o Signore? – 2° L’indescrivibile glorificazione del suo Nome, espressa in queste altre parole: E chi non glorificherà il tuo nome? – 3°. La confessione della misericordia e della fedeltà di Dio, perché tu solo sei misericordioso. – 4° È a causa di questa manifestazione dei giudizi di Dio, che tutte le nazioni, dall’inizio del mondo, riconosceranno la sua giustizia infinita: E tutte le nazioni verranno. 5° Infine, tutti gli uomini e anche i dannati riconosceranno tutti questi misteri divini, secondo queste parole: E adoreranno alla vostra presenza. I demoni stessi crederanno, secondo San Giacomo, II, 19: « Voi credete che c’è un solo Dio, fate bene; anche i demoni credono e tremano ».

Qui finisce l’interpretazione del venerabile servo di Dio BARTHÉLEMI HOLZHAUSER

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXI)

LA SUMMA PER TUTTI (15)

LA SUMMA PER TUTTI (15)

R. P. TOMMASO PÈGUES: LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

SEZIONE SECONDA

Idea particolareggiata del ritorno dell’uomo verso Dio.

 Capo XLIX  

La temperanza. – L’astinenza. – Il digiuno. – Vizio opposto: la gola.

1283. Quale è l’ultima delle grandi virtù morali che devono assicurare la perfezione della vita dell’uomo nel suo viaggio di ritorno verso Dio?

È la virtù della temperanza (CXLICLXX).

1284. Che cosa intendete per virtù della temperanza?

Intendo quella virtù che mantiene in tutte le cose la parte affettiva sensibile nell’ordine della ragione, affinché non si lasci andare illecitamente ai piaceri riguardanti più particolarmente il senso del tatto, negli atti necessari alla conservazione della vita corporale (CXLI, 1-5).

1285. Quali sono queste specie di piaceri?

Sono i piaceri della mensa e del matrimonio.

1286. Che nome prende la virtù della temperanza in materia di piaceri della mensa?

Si chiama astinenza o sobrietà (CXLVICXLIX).

1287. In che consiste l’astinenza?

Consiste nel regolare la parte affettiva sensibile rispetto al bere ed al mangiare, perché vi si comporti conforme a ciò che detta la ragione (CXLVI, 1).

1288. Quale è la forma speciale che può rivestire la pratica della virtù dell’astinenza?

È la forma del digiuno (CXLVII).

1289. Che cosa intendete per digiuno?

Intendo la rinunzia ad una parte di ciò che normalmente è richiesto per la propria alimentazione quotidiana (CXLVII, 1, 2).

1290. Ma non è cosa illecita questa?

No; al contrario il digiuno può essere cosa eccellente, perché serve a reprimere la concupiscenza, rende lo spirito più libero di attendere alle cose di Dio, e permette di soddisfare per il peccato (CXLVII, 1).

1291. Che cosa occorre perché il digiuno sia cosa buona ed eccellente?

Occorre che sia sempre regolato dalla prudenza e dalla discrezione, e non abbia mai a compromettere la salute o riuscire un ostacolo per i doveri del proprio stato (CXLVII, art. 1 ad 2).

1292. Ogni uomo che abbia l’uso di ragione è tenuto al digiuno?

Ogni uomo che abbia l’uso di ragione è tenuto ad una certa forma di digiuno o di

privazione proporzionata al bisogno della virtù nella vita morale; ma non al digiuno prescritto dalla Chiesa (CXLVII, 3-4).

1293. Che cosa intendete per digiuno prescritto dalla Chiesa?

Intendo una forma speciale di digiuno determinata dalla Chiesa, e prescritta a partire

da una certa età per certi giorni dell’anno (CXLVII, 5-8).

1294. In che cosa consiste questa forma speciale di digiuno?

Consiste nel fare un solo pasto propriamente detto nella giornata (CXLVII, 6).

1295. L’ora ed il momento di questo pasto sono cosa assolutamente fissa ed immutabile?

No; perché si può fare a mezzogiorno o la sera.

1296. Si può prendere qualche cosa fuori di questo pasto propriamente detto?

Sì; si può prendere qualche cosa la mattina sotto forma di leggerissimo anticipo,

e la sera sotto forma di colazione (Codice, can, 1251).

1297. Chi è tenuto al digiuno prescritto dalla Chiesa?

Tutti i Cristiani battezzati che hanno compiuto il loro ventunesimo anno, fino alla età di cinquantanove anni parimente compiuti (Codice, can. 1254).

1298. Che cosa occorre per non digiunare quando si è in queste condizioni?

Bisogna essere impediti da una manifesta ragione di salute o di lavoro; e nel dubbio occorre la dispensa della legittima autorità (CLXVII, 4).

1299. Chi può dare questa dispensa?

Praticamente basta chiederla al proprio superiore ecclesiastico immediato.

1300. Quali sono i giorni in cui si è obbligati al digiuno ecclesiastico?

Tutti i giorni di Quaresima, eccetto la domenica; il mercoledì, venerdì e sabato dei Quattro Tempi dell’anno; e le vigilie della Pentecoste, dell’Assunzione [commutata alla vigilia dell’Immacolata -ndr.-], di Tutti i Santi e del Natale. Se queste vigilie cadono in domenica non si è obbligati ad anticiparle (Codice, can. 1252).

1301. Non vi è una legge ecclesiastica per l’astinenza, distinta dalla legge del digiuno?

Sì; e questa legge consiste nell’obbligo di astenersi dalla carne e dal brodo di carne in tutti i venerdì dell’anno; e durante la Quaresima, il mercoledì delle Ceneri ed ogni sabato fino al mezzogiorno del Sabato Santo. Finalmente il mercoledì ed il Sabato dei Quattro Tempi (Codice, can. 1250-1252).

1302. Chi è tenuto alla legge dell’astinenza?

Tutti i fedeli che hanno compiuto il settimo anno di età (Codice, can. 1254).

1303. Qual è il vizio opposto alla virtù dell’astinenza?

È il vizio della gola (CXLVIII

1304. Che cosa intende per vizio di gola?

Intendo una propensione disordinata verso il bere ed il mangiare (CXLVTIII, 1:

1305. Questo vizio ha diverse specie?

Sì; perché questa tendenza disordinata al bere ed al mangiare può riferirsi alla natura dei cibi, alla loro qualità, alla loro quantità, alla loro preparazione, o anche al fatto stesso di prenderli senza attendere l’ora voluta, o mangiando con troppa avidità (CXLVIII, 4).

1306. La gola è un vizio capitale?

Sì; la gola è un vizio capitale, perché inclina ad uno di quei piaceri che sono di natura tale da provocare maggiormente il desiderio dell’uomo e farlo agire secondo essi (CXLVII, 5).

1307. Quali sono gli effetti della gola?

Sono la ebetudine dello spirito riguardo alle cose della intelligenza; la gioia insensata: la intemperanza di linguaggio, la scurrilità e la impurità (CXLVIII, 6).

1308. Sono vizi questi particolarmente lascivi; e perché provengono specialmente dalla gola?

Questi vizi sono particolarmente lascivi perché implicano maggiormente una diminuzione o una quasi assenza della ragione; e provengono dalla gola perché la ragione, quasi assopita e addormentata sotto l’azione delle smoderatezze di essa, non tenendo più il governo di una mano ferma, tutto nell’uomo declina (Ibid).

Capo L.

La sobrietà. – Vizio opposto: la ebrietà.

1309. Oltre l’astinenza, vi è un’altra virtù che aiuta l’uomo a prevenire tali effetti?

Sì; vi è la virtù della sobrietà (CXLIX)

1310. Che cosa intendete per virtù della sobrietà?

Intendo una virtù speciale, che ha per proprio oggetto di fare sì che l’uomo non usi se non come conviene, di ogni bevanda capace di inebriare (CXLIX, 1-2),

1311. Qual è il vizio opposto a questa virtù?

È il vizio di passare la misura nell’uso di tali bevande, fino a cadere in istato di ebrietà od ubriachezza (CL).

1312. Che cosa intendete per istato di ebrietà od ubriachezza?

Intendo uno stato fisico nel quale le bevande eccessive hanno fatto perdere l’uso della ragione (CL, 1).

1313. Tale stato di ebrietà od ubriachezza è sempre peccato?

Tale stato è sempre peccato quando uno vi è caduto per propria colpa, non cessando di bere eccessivamente allorché poteva e doveva diffidare della natura inebriante della bevanda (CL, 1).

1314. Che cosa si richiede perché questo stato sia peccato mortale?

Si chiede che sia stato previsto che sia stato previsto che l’eccesso della bevanda poteva cagionare la ubbriachezza, e si sia accettata questa. Possibile conseguenza, piuttosto che rinunziare al piacere trovato nella bevanda stessa (CI 2)

1315. Quando questo peccato diventa abitudine, come si chiama?

Si chiama vinolenza.

1316. La vinolenza è un vizio particolarmente lascivo e degradante?

Sì; la vinolenza è un vizio particolarmente degradante; perché priva scientemente l’uomo della ragione, mettendolo in modo più o meno ripetuto e frequente in uno stato inferiore anche a quello del bruto, che mantiene almeno sempre il suo istinto per regolarsi (CL, 3).

Capo LI.

La castità, – La verginità. – Vizio opposto: la lussuria.

1317. Accanto alla virtù dell’astinenza e della sobrietà, quale è altra grande virtù che forma una Specie a parte della temperanza?

È la virtù della castità (CLI).

1318. Che cosa intendete per virtù della castità?

Intendo quella perfezione della facoltà affettiva sensibile, che rende l’uomo padrone di tutti i moti che portano alle cose del matrimonio (CLI, 1).

1319. Nell’ordine della castità vi è una virtù speciale che ne è il coronamento e la più alta perfezione?

Sì; la verginità (CLIL),

1320. Che cosa intendete per verginità?

Intendo il fermo ed assoluto proposito santificato da un voto, di rinunziare per sempre ai piaceri del matrimonio (CLII, 1-3).

1321. Qual è il vizio opposto alla virtù della castità?

È la lussuria (CLII).

1322. In che consiste la lussuria?

La lussuria consiste nell’usare con azioni, con desideri o con pensieri voluti e compiacenti, delle cose che la natura ha ordinato alla conservazione della specie umana, contrariamente all’ordine naturale ed alla onestà che regola l’uso delle cose stesse, per il godimento che vi è annesso (CLIII, 1-3).

1323. Il vizio della lussuria ha varie specie?

Sì; questo vizio ha tante specie, quanti possono essere i disordini distinti nelle cose della lussuria (CLIV).

1324. Quali sono queste specie di disordine nelle cose della lussuria?

Sono la semplice fornicazione, direttamente opposta al retto ordine delle cose del matrimonio in ciò che riguarda il loro fine, cioè la procreazione e la educazione dei figli che verranno: il vizio contro natura, cosa più grave di tutte in questo ordine, che si oppone direttamente e totalmente al fine principale ed essenziale del matrimonio, cioè alla venuta stessa dei figli; l’incesto, l’adulterio, lo stupro ed il ratto, che si basano sull’abuso di persone prossime parenti, o maritate, o sotto la tutela del padre che si inganna o a cui si fa violenza; e finalmente il sacrilegio, che è l’abuso di persone consacrate a Dio (CLIV, 1-12).

1325. Il vizio della lussuria, in ciò che costituisce la sua base essenziale che si trova in ciascuna delle sue specie, e che non è altro che il godimento illecito dei piaceri annessi alle cose del matrimonio, è un vizio capitale?

Sì; la lussuria è un vizio capitale in causa di quello appunto che ha di particolarmente veemente nel proprio oggetto, per cui gli uomini vi si sentono estremamente inclinati (CLIII, 4).

1326. Quali sono le conseguenze della lussuria?

Sono l’accecamento dello spirito, la precipitazione, la inconsideratezza, la incostanza, l’amore di sé, l’odio a Dio, l’attaccamento alla vita presente, l’orrore della vita futura (CLIII, 5).

1327. Queste conseguenze della lussuria hanno tutte un carattere comune e particolarmente grave?

Sì; esse hanno tutte benché in diversi gradi questo di comune, che implicano l’assorbimento dello spirito da parte della carne; e ciò che forma la gravità speciale di ciascuna di esse e della lussuria che ne è la madre, è appunto questo, che l’uomo precipita dalla sua sovranità, per cadere al di sotto dei bruti animali privi di ragione (CLVIII, 5, 6).

Capo LII.

Virtù annesse alla temperanza: la continenza. – Vizio opposto: la incontinenza.

1328. Oltre alle virtù che hanno natura di specie rispetto alla temperanza, vi sono altre virtù che in relazione ad essa hanno natura di virtù annesse?

Sì; vi sono le virtù che imitano il suo atto, ossia il suo modo di agire, cioè la modeazione di ciò che per natura tende a trascinare, ma in materie meno difficili a padroneggiarsi; oppure che non toccano la perfezione del suo atto (CLV).

1329. Quali sono queste altre virtù?

Sono la continenza, la clemenza, la mansuetudine e la modestia (CLV -CLXX).

1330. Che cosa intendete per continenza?

Intendo quella virtù, imperfetta del resto nella sua ragione di virtù, che consiste nel preferire di non seguire i moti violenti della passione che trascinerebbe, ma che non si segue per un motivo di ragione (CLV, 1).

1331. Perché dite che è cosa imperfetta nell’ordine della virtù?

Perché la virtù perfetta suppone e tiene sottomessi i moti della passione, mentre la continenza non fa che resistere loro (Ibid.).

1332. Questa virtù imperfetta ha un vizio che le si oppone?

Sì: la incontinenza (CLVI).

1333. In che consiste la incontinenza?

Consiste in questo, che l’uomo cede alla violenza della passione ed in qualche modo se ne lascia guidare (CLVI, 1).

1334. Tra l’intemperante e l’incontinente chi pecca più gravemente?

L’intemperante; perché per la stessa ragione che la continenza è meno perfetta della temperanza nell’ordine della virtù, nell’ordine del vizio la incontinenza è meno perfetta, ossia meno malvagia, della intemperanza (CLVI, 3).

Capo LIII.

La clemenza e la mansuetudine. Vizi opposti: la collera, la crudeltà o ferocia.

1385. Che cosa intendete per clemenza e mansuetudine?

La clemenza e la mansuetudine sono due virtù, delle quali l’una modera e regola la punizione esterna perché non passi i limiti della ragione; e l’altra, il moto interno della passione che è la collera (CLVII, 1).

1336. La clemenza e la severità sono opposte tra loro, come pure la mansuetudine e la vendetta?

Niente affatto; perché non hanno lo stesso motivo, ed in certi casi e per motivi differenti tendono tutte a ciò che è secondo ragione (CLVII, 2 ad 1) x

1337. Quali sono i vizi opposti alla clemenza ed alla mansuetudine?

Sono la collera nel senso peccaminoso della parola; e la crudeltà, ossia ferocia (CLVIII, CLIX).

1338. Che cosa intendete per collera nel senso peccaminoso della parola?

Intendo un moto dell’appetito irascibile, diretto ad una vendetta ingiusta, oppure anche giusta ma con troppa eccitazione (CLVIII, 2).

1339. Vi sono diverse specie di collera?

Sì; ve ne sono tre specie: la collera degli «irritabili», che vanno in collera per un nonnulla; la collera degli «aspri», che conservano lungamente la memoria delle ingiurie; e la collera degli «intrattabili», che perseguono senza a indugio la esecuzione della vendetta (CLVIII, 5).

1340. La collera è un peccato capitale?

Si la collera è un peccato capitale, perché il suo oggetto è cosa alla quale gli uomini sono specialmente inclinati, cioè la vendetta ed il male, sotto la ragione di un bene giusto ed onesto (CLVIII, 6).

1341. 1341. Quali sono le conseguenze della collera?

Sono la indignazione, il gonfiamento del cuore, il clamore, la bestemmia; l’ingiuria e le risse (CLVII, 7).

1342. Può esservi un vizio opposto alla collera?

Sì; consiste nella mancanza del moto di collera quando la ragione lo comanda, e che deve essere effetto della giusta volontà di punire (CLVII, 8).

1343. Che cosa intendete per crudeltà, vizio che si oppone alla clemenza?

Intendo quella specie di « crudezza » d’animo, per la quale si è inclinati ad aumentare la pena oltre i giusti limiti stabiliti dalla ragione (CLXI, 1).

1344. E la ferocia che cosa sarà?

La ferocia è quel qualche cosa di selvaggio, di assolutamente inumano, per cui uno si diletta della pena o vi trova piacere sotto la sola ragione di male; è un compiacersi della sofferenza altrui, non sotto l’aspetto di giusto castigo, ma sotto il solo aspetto di pena e di sofferenza. La ferocia si oppone al dono della pietà (CLIX, 2).

1345. È cosa possibile questa?

Per quanto possa sembrare impossibile, la natura umana depravata può arrivare a tale eccesso; e si sono vedute nazioni intere, anche apparentemente le più civili, , trovare il loro supremo piacere in ciò che di più feroce avevano gli spettacoli dell’anfiteatro.

Capo LIV.

La modestia. – La umiltà. – Vizio opposto: l’orgoglio, il peccato di Adamo e di Eva, il naturalismo ed il laicismo.

1346. Quale è l’ultima delle virtù annesse alla temperanza?

È la modestia (CLX-CLXX).

1347. Che cosa intendete per modestia?

Intendo la virtù che consiste nel raffrenare e regolare la parte affettiva in cose meno difficili di quelle che sono oggetto della temperanza ed anche della continenza, della clemenza e della mansuetudine (CLX,1, 2)

1348. Quali sono le altre cose meno difficili a dominarsi, a moderarsi e regolarsi, quanto ai moti della parte affettiva che portano ad esse?

In ordine di decrescenza sono il desiderio della propria eccellenza, il desiderio di conoscere, i moti o le azioni esterne del corpo, e finalmente la divisa esteriore riguardo al modo di vestirsi (CLX, 2).

1349. Quali sono le virtù che regolano la parte affettiva in relazione a queste diverse cose?

Sono la umiltà, la studiosità e la diligenza nello studio, la modestia in senso stretto (CLX, 2).

1350. Che cosa intendete per umiltà?

Intendo quella virtù per la quale l’uomo, avuto riguardo al sovrano dominio di Dio, reprime in sè e regola l’aspirazione ad eccellere, in modo da non tendere a più di quello che gli appartiene o gli conviene, secondo il grado od il posto che Dio gli ha assegnato (CLXI, art. 1, 2).

1351. Che cosa segue da ciò nei rapporti dell’uomo con gli altri?

Ne segue che l’uomo non giudica essere dovuto a sè qualche cosa, considerato in se stesso ed in quanto si sottrae all’azione ed al dominio di Dio, perché da se stesso non ha niente se non il peccato. Al contrario giudica che tutto sia dovuto agli altri, nella misura stessa del bene che essi ricevono da Dio e che li fa sottostare al dominio di Lui. Che se si tratta di ciò che egli stesso ha da Dio, per cui esso pure sta sottomesso al dominio di Lui, non vorrà altro che ciò che gli compete, al suo posto e nel suo ordine, fra tutti gli altri esseri che parimente dipendono dal dominio di Dio (CLXI, 3).

1352. Dunque l’umiltà è una questione di stretta verità, ed è secondo verità che per essa l’uomo può e deve tenersi al di sotto di tutti gli altri?

Sì: l’umiltà è una questione di stretta verità; ed è secondo verità che per essa l’uomo può e deve tenersi al di sotto di tutti gli altri, nel senso che abbiamo precisato (Ibid.).

1353. Come si chiama il vizio opposto all’umiltà?

Si chiama orgoglio (CLXII).

1354. Che cosa intendete per orgoglio?

Intendo quel vizio speciale ed in certo modo generale, che in onta a Dio ed alla regola di subordinazione stabilita da Lui nell’opera sua e nel suo dominio, intende di dominare su tutti e di preferirsi a tutti, considerandosi a tutti superiore in eccellenza (CLXII, 1, 2).

1355. Perché dite che questo vizio è speciale ed in certo modo anche generale?

Perché ha un oggetto proprio e distinto che è la propria eccellenza; e l’amore e la ricerca della propria eccellenza, in onta a Dio ed alla regola da Lui stabilita, conduce l’uomo a commettere tutti gli altri peccati (Ibid.).

1356. È un gran peccato questo?

È il maggiore di tutti i peccati per il disprezzo di Dio che implica direttamente; e da questo lato costituisce la maggiore gravità di tutti gli altri peccati, per quanto gravi possano essere già di per se stessi (CLXII

1357. L’orgoglio è il primo di tutti i peccati?

Sì; l’orgoglio è il primo di tutti i peccati, perché, sempre in ragione del disprezzo di Dio che esso implica, perfeziona e completa la natura di peccato in tutti gli altri per cui l’uomo si allontana da Dio: dimodochè non può darsi alcun peccato grave che non implichi o non presupponga l’orgoglio, benché non sia sempre in se stesso, o rispetto al motivo che lo specifica, un peccato di orgoglio (CLXII, 7).

1358. L’orgoglio è un peccato capitale?

L’orgoglio è più che un peccato capitale; perché è il capo e come il sovrano di tutti gli altri vizi e peccati (CUXII, 8).

1359. I nostri primi genitori, nel loro primopeccato, peccarono di orgoglio?

Sì; nel loro primo peccato i nostri primi genitori peccarono di orgoglio, come in cielo avevano peccato di orgoglio gli angeli malvagi (CLXII, 1).

1360. Ma Adamo ed Eva, nel loro primo peccato, non peccarono piuttosto di gola o di disobbedienza o di vana curiosità di fronte alla scienza di Dio, e di mancanza di fede alla parola di Lui?

Tutti questi peccati che infatti possono trovarsi nel peccato dei nostri primi padri, non furono che una conseguenza del peccato di orgoglio, senza il quale nessun altro peccato poteva da essi commettersi (CLXIII, 1).

1361. Perché dite che senza il peccato di orgoglio nessun altro peccato poteva commettersi dai nostri primi padri?

Perché il loro stato di integrità faceva sì che in essi tutto fosse perfettamente sottomesso e subordinato, fintantoché il loro spirito fosse rimasto soggetto a Dio; ed il loro spirito stesso non poté sottrarsi a Dio che per un motivo di orgoglio, volendo attribuirsi una eccellenza. che non era affatto loro dovuta. (CLXII, 1, 2).

1362. Il peccato di naturalismo e di laicismo che oggi regna un poco dappertutto, specialmente dopo la Riforma protestante, la Rinascenza pagana, l’empia Rivoluzione del secolo decimottavo, non è esso pure specialmente un peccato di orgoglio?

Sì; ed è ciò che ne forma la eccezionale gravità; perché è una imitazione del disprezzo e della ribellione che furono prima il peccato di satana  degli angeli malvagi, e poi il peccato dei nostri primi padri.

Capo LV.

La studiosità. – Vizio opposto: la curiosità.

1363. Che cosa intendete per studiosità, che la seconda delle virtù annesse alla temperanza sotto il nome e la influenza della modestia?

Intendo quella virtù che modera nell’uomo conforme alla retta ragione, il desiderio di conoscere e di imparare (CLXVI, 1).

1364. E come si chiama il vizio opposto?

Si chiama curiosità (CLXVII).

1365. Che cosa è dunque la curiosità?

La curiosità è il desiderio disordinato di conoscere e di sapere ciò che non è di propria competenza, o che può essere pericoloso a sapersi, data la propria fragilità (CLXVII, 1, 2).

1366. Si può peccare facilmente di curiosità?

Sì; il peccato di curiosità si può commettere e si commette frequentissimamente nell’ordine di ogni cognizione in generale, come nell’ordine più speciale delle cognizioni che possono interessare i sensi e le passioni (CLXVII, art. 1, 2).

1367. Appartiene a questo peccato il desiderio smoderato di leggere soprattutto appendici e romanzi, e di assistere a feste profane e spettacoli, come teatri, cinematografi e cose simili?

Sì; tutto questo appartiene al peccato di curiosità, al tempo stesso che appartiene anche al peccato di sensualità e di lussuria; e non sarebbe mai troppo l’impegno messo a porvi rimedio.

Capo LVI.

La modestia esteriore.

1368. Quale è l’ultima delle virtù annesse alla temperanza, sotto il nome generale di modestia?

È la virtù speciale della modestia, che va sotto questo nome nel suo stretto senso (CLXVII – CLXX).

1369. Che cosa intendete per questa virtù?

Intendo quella finitezza di perfezione nelle disposizioni affettive del soggetto, per cui tutto nel suo esterno, si tratti dei suoi gesti e dei suoi movimenti, delle sue parole, del tono della voce, del vestito, del portamento, delle sue maniere ecc., è ciò che deve essere secondoché conviene alla persona, all’ambiente, allo stato, all’azione che si fa; cosicché niente stona e niente contrasta; e tutto, nell’esterno stesso del soggetto, apparisce in una somma e perfetta armonia. A questo titolo la virtù della modestia si collega con l’affabilità, l’amicizia e con la verità (CLXVIII, 1).

1370. Si deve attribuire alla virtù della modestia ciò che può avere attinenza col giuoco col divertimento e con la ricreazione, nella economia della vita umana?

Sì; e questa virtù prende allora un nome speciale, quello di « eutrapelia », virtù per la quale si scherza, ci si diverte e ci si ricrea come si conviene, evitando da un lato l’eccesso, e dall’altro il difetto contrario (CLXVIII, 2-4).

1371. La modestia comprende anche ciò che ha attinenza con la divisa esterna, cioè col vestito?

Sì; la modestia si estende anche a ciò che riguarda il vestito, cioè la divisa esterna, ed allora appunto prende in senso affatto stretto il nome di modestia (CLXIX).

1372. E che cosa fa la modestia a questo proposito?

Fa che il moto affettivo interno sia quello che deve essere rispetto alla divisa esterna, ossia al vestire; e per essa si conserva quella misura perfetta che esclude insieme troppa ricercatezza e la negligenza sconveniente (CLXIX, 1).

1373. Peccano specialmente contro la modestia le persone mondane che non osservano alcuna misura negli eccessi della moda, e possono divenire per questo occasione di peccato per gli altri?

Sì; queste specie di persone peccano specialmente contro la virtù della modestia, al tempo stesso che peccano anche contro la castità; e non sarebbe mai troppo il biasimo contro gli eccessi che in questo senso si commettono (CLXIX, 2).

Capo LVII.

Del dono corrispondente alla virtù della temperanza.

1374. Fra i doni dello Spirito Santo, ve ne è qualcuno che corrisponda alla virtù della temperanza?

Sì; vi è il dono del timore (CXLI, 1ad 3).

1375. Ma non si è detto prima che il dono del timore corrisponde alla virtù teologale della speranza?

Il dono del timore infatti corrisponde simultaneamente alla virtù teologale della speranza ed alla virtù cardinale della temperanza; ma non sotto il medesimo aspetto ed allo stesso titolo (Ibid.).

1576. In che consiste questa differenza?

Consiste in questo, che il dono del timore corrisponde alla virtù teologale della speranza in quanto ché l’uomo rispetta Dio direttamente per la sua infinita grandezza ed evita per questo di offenderlo. Corrisponde poi alla virtù cardinale della temperanza, inquantoché la riverenza ed il rispetto che ispira verso la grandezza di Dio, fa che si rifugga da ciò che inclina di più ad offendere Dio, vale a dire dai piaceri dei sensi (Ibid.).

1377. Ma la virtù della temperanza non porta già ad evitare tutto questo?

Sì; ma in misura incomparabilmente meno perfetta. Essa infatti non porta ad evitare ciò se non in una misura e secondo un modo che è frutto dell’uomo operante da sé alla luce della ragione o della fede; mentre il dono del timore lo fa evitare nella misura e secondo il modo che è frutto dello Spirito Santo stesso, movente personalmente l’uomo con la sua azione onnipotente, e conducendolo, in ordine al rispetto ed alla riverenza che gli ispira la Maestà divina, a riguardare come fango i piaceri sensuali e quanto con essi ha attinenza.

Caro LVIII.

Precetti relativi alla temperanza ed alle sue parti.

1378. Nella legge divina abbiamo qualche precetto che ha attinenza con la temperanza?

Sì; abbiamo nello stesso Decalogo due precetti che hanno attinenza con la virtù della temperanza (CLXX).

1379. Quali sono questi due precetti?

Sono il sesto ed il nono: «Non commetterai adulterio»; e «Non desidererai la donna del prossimo tuo ».

1380. Perché non si parla che di adulterio; e perché in materia di adulterio vi sono nel Decalogo due precetti distinti?

Perché di quanto ha attinenza con la temperanza l’adulterio è ciò che più interessa le relazioni dell’uomo col prossimo, specialmente dal punto di vista della giustizia, che è quello dei precetti del Decalogo. E se a questo proposito si danno due precetti distinti, si è per la importanza che vi è di frenare fino nella sua prima origine il gran male dell’adulterio (CLXX, 1).

1381. Fra i precetti del Decalogo ve ne è qualcuno che abbia attinenza con le parti della temperanza?

No; non esistono precetti che abbiano direttamente questa attinenza, perché dette parti non interessano affatto da se stesse i rapporti dell’uomo con Dio o col prossimo. Tuttavia le diverse parti della temperanza ne sono riguardate indirettamente a motivo dei loro effetti, sia nei precetti della prima tavola che in quelli della seconda. Infatti, a motivo dell’orgoglio, l’uomo non rende a Dio né al prossimo gli omaggi ed il culto che loro è dovuto; ed a motivo della collera, opposta alla mansuetudine, l’uomo se la prende con la persona del prossimo fino ad attentarne alla vita nell’omicidio (CLXX, 2).

1382. Per ciò che riguarda il lato positivo dei precetti relativi sia alla temperanza che alle sue divisioni, non sarebbe stato a proposito che fosse indicato nel Decalogo?

No; perché il Decalogo doveva contenere soltanto i primi precetti della legge divina applicabili a tutti gli uomini ed in tutti i tempi; e ciò che si riferisce al lato positivo di queste virtù, come l’astinenza, il modo esterno di parlare, di agire, di comportarsi etc., può variare assai secondo i diversi uomini, nei diversi tempi e nei diversi luoghi (CLXX, 1 ad 3).

1383. A chi appartiene determinare queste cose con speciale autorità, nella nuova legge?

Appartiene alla Chiesa di determinare su ciò, con opportuni precetti, la condotta dei fedeli.

1384. Nella spiegazione della divina legge contenuta nella Santa Scrittura si fa un invito speciale sotto forma di preghiera, di appoggiarsi al dono del timore in quanto corrisponde alla temperanza?

Sì; è il bellissimo testo del salmo CXVIII, vers. 120: « Confige timore tuo carnes meas: Il tuo timore, o Signore, reprima le ribellioni della mia carne».

Capo LIX.

Sufficienza delle virtù e loro compito. – Duplice vita: attiva e contemplativa; lo stato di perfezione. – La vita religiosa: le famiglie religiose nella Chiesa.

1385. Abbiamo ora la conoscenza sufficiente di tutte le virtù che l’uomo può essere chiamato a praticare per guadagnare il cielo, e dei vizi che deve fuggire per non esporsi a. perdere il paradiso e cadere nell’inferno?

Sì; noi abbiamo ora tale sufficiente conoscenza. Conosciamo infatti le tre grandi virtù della fede, della speranza e della carità, che permettono all’uomo di conseguire il suo ultimo fine soprannaturale come deve raggiungerlo su questa terra, affinché il fine stesso diriga e domini la sua vita morale. Conosciamo pure le altre quattro grandi virtù morali cardinali, che sono la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza con tutte le virtù annesse, considerate non soltanto nell’ordine naturale e sotto la ragione di virtù acquisite, ma più ancora nell’ordine soprannaturale e sotto la loro ragione di virtù infuse proporzionate alle virtù teologali, che permettono all’uomo di ordinare tutto come deve nella sua vita morale, sia riguardo agli altri sia riguardo a se stesso, per essere in tutte le cose in armonia col suo fine soprannaturale. Cosicché basta all’uomo di praticare tutte queste virtù in unione coi doni corrispondenti, per essere sicuro di conseguire la visione di Dio, che noi sappiamo dovere essere la sua felicità nel cielo per tutta la eternità: con questo solamente che se pecca contro una qualunque di queste virtù, bisognerà che con una nuova virtù di cui parleremo nella Terza Parte e che sarà la penitenza, soddisfaccia per il suo peccato, in unione con la soddisfazione di Gesù Cristo.

1386. La pratica di questo insieme di virtù e di doni che costituisce veramente la vita dell’uomo sulla terra, non può presentarsi sotto due forme distinte ed in qualche modo separate?

Sì: e queste due forme sono la vita contemplativa e la vita attiva (CLXXIX-CLXXXII).

1387. Che cosa intendete per vita contemplativa?

Intendo quella forma di vita in cui l’uomo, con l’anima libera dalle passioni viziose e dal tumulto delle azioni esteriori, sotto l’impulso dell’amore di Dio, passa il suo  tempo, nella misura del possibile su questa terra nella contemplazione di Dio in Se stesso e nelle opere sue, godendo della visione di Dio che egli ama, e trovando in tale fruizione di Dio la sua più alta perfezione, che lo fa vivere separato da qualsiasi altra cosa fuori di Dio (CLXXX, 1-8).

1388. Questa vita contemplativa suppone tutte le virtù? Sì; questa vita contemplativa suppone tutte le virtù e concorre a perfezionarle; ma essa stessa consiste in una certa azione propria ove intervengono tutte le virtù intellettuali e teologali, rimanendo sempre nel più alto grado alla mercè dell’azione personale dello Spirito Santo per mezzo dei doni (CLXXX, 2).

1389. E la vita attiva che cosa comprende?

La vita attiva comprende propriamente tutti gli atti delle virtù morali, e specialmente gli atti della virtù della prudenza; perché suo proprio oggetto è la disposizione in quelle stesse ed in quanto conviene all’ordine della vita presente, nelle necessità della vita terrestre, di tutte le cose che hanno attinenza con questa vita stessa (CLXXXI, 1-4).

1390. Di queste due vite quale è la più perfetta?

La più perfetta è incontestabilmente la vita contemplativa, perché è quella che dà su questa terra come una anticipazione del paradiso (CLXXXII, 1).

1391. Ciascuna di queste due vite, ossia la pratica delle virtù e dei doni che esse implicano, non possono trovarsi come in una duplice condizione tra gli uomini?

Sì; esse possono trovarsi secondo la condizione comune, oppure come poste in uno stato di perfezione.

1392. Che cosa intendete per istato di perfezione?

Intendo una certa condizione di vita per cui l’uomo si trova posto in modo stabile, permanente ed immutabile, fuori dei legami che lo rendono schiavo delle necessità della vita presente, e libero di attendere esclusivamente e con tutto se stesso alle cose di Dio e della divina carità (CLXXXIII, 1, 4).

1393. Questo stato di perfezione è la stessa cosa che la perfezione stessa?

No; perché la perfezione consiste in qualche cosa di interiore; mentre lo stato di perfezione di cui si parla consiste in una condizione di vita, considerata piuttosto in ordine ad un insieme di atti esteriori (CLXXXIV, 1).

1394. Si può avere la perfezione delle virtù e dei doni, ossia della vita della divina carità senza essere nello stato di perfezione; e viceversa, si può essere nello stato di perfezione senza avere la perfezione della carità?

Sì; queste due cose sono possibili (CLXXXIV, 4).

1395. Perché dunque ricorrere allo stato di perfezione?

Perché di per sé lo stato di perfezione facilita mirabilmente l’acquisto della perfezione stessa. Generalmente, infatti, la perfezione si trova nello stato di perfezione.

1396. Che cosa è dunque che costituisce lo stato di perfezione?

È il fatto di obbligarsi perpetuamente, sotto una certa forma solenne, alle cose che appartengono alla perfezione, in quanto riguardano l’ordinamento esteriore della propria vita (CLXXXIV, 4).

1397. Chi si trova dunque in questo stato di perfezione?

I Vescovi ed i Religiosi (CLXXXIV, 5).

1398. Perché i Vescovi sono nello stato di perfezione?

Perché essi dal momento che assumono l’ufficio ed il dovere pastorale, si obbligano a dare la propria vita per le pecorelle, e ciò avviene mediante la solennità della consacrazione (CLXXXIV, 6).

1399. Ed in quanto ai Religiosi, per che cosa si trovano nello stato di perfezione?

Perché essi si astringono, sotto forma di voto perpetuo, ad abbandonare le cose del secolo di cui potrebbero usare lecitamente, per attendere più liberamente alle cose di Dio. E ciò essi fanno con una certa solennità di professione o di benedizione (CLXXXIV, 5).

1400. Di questi due stati di perfezione quale è il più perfetto?

Quello dei Vescovi (CLXX.XIV, 7).

1401. Perché lo stato di perfezione dei Vescovi è più perfetto di quello dei religiosi?

Perché sta a questo ultimo, come chi dà, sta a chi riceve. I Vescovi infatti debbono per lo stato loro possedere la perfezione che i religiosi per lo stato loro tendono ad acquistare (CLXXXIV, 7).

1402. In qual modo i religiosi tendono per lo stato loro ad acquistare la perfezione?

I religiosi tendono per lo stato loro ad acquistare la perfezione, inquantoché essi per i tre voti di povertà, di castità e di obbedienza, si trovano nella felice impossibilità di peccare, e nella felice necessità di bene agire in tutte le cose (CLXXXVI, 1-10).

1403. Questi tre voti sono essenziali per lo stato di perfezione dei religiosi?

Sì; questi tre voti sono essenziali per lo stato di perfezione dei religiosi; cosicché senza di essi lo stato religioso non potrebbe esistere (CLXXXVI, 2-7).

1404. Può esservi diversità tra le famiglie religiose aventi tutte le condizioni essenziali dello stato religioso?

Sì; può esservi diversità tra le famiglie religiose aventi tutte le condizioni essenziali dello stato religioso (CLXXXVII).

1405. In che cosa consisterà la diversità delle famiglie religiose, quando tutte convengano nelle condizioni essenziali dello stato religioso?

Consisterà in questo, che essendovi diverse cose nelle quali l’uomo può votarsi totalmente al servizio di Dio, l’uomo può disporsi a questo in diverse maniere e secondo esercizi diversi (CLXXXVII, 1).

1406. Quali sono le due grandi forme di famiglie religiose?

Le due grandi forme di famiglie religiose sono quelle derivanti dalle due grandi condizioni di vita di cui abbiamo parlato: la vita contemplativa e la vita attiva (CLXXXVIII, art. 2-6).

1407. Vi sono dunque famiglie religiose di vita attiva ed altre di vita contemplativa?

Sì; vi sono famiglie religiose di vita attiva ed altre di vita contemplativa.

1408. Che cosa intendete per famiglie religiose di vita attiva?

Intendo quelle famiglie religiose dove la maggior parte delle azioni dei membri che le compongono, è ordinata a servire il prossimo per amor di Dio (CLXXXVII, 2). i

1409. E che cosa intendete per famiglie religiose di vita contemplativa?

È Intendo quelle famiglie religiose dove la totalità delle azioni dei membri che le compongono, è ordinata al servizio di Dio stesso (CLXXXVIII, 2 ad 2).

1410. Di queste due specie di famiglie religiose quali sono le più perfette?

Sono quelle di vita contemplativa; con questo nondimeno che le più perfette di tutte sono quelle di cui la parte principale è votata alla contemplazione delle cose divine, al culto ed al servizio di Dio in Se stesso, ma per riversare poi sul prossimo la soprammisura della loro contemplazione, ed attirare il prossimo stesso al culto ed al servizio di Dio (CLXXXVII, art. 6).

1411. La esistenza delle diverse famiglie religiose nella Chiesa ed in mezzo al mondo è un bene molto grande?

Niente di più prezioso che la esistenza delle diverse famiglie religiose nella Chiesa ed in mezzo al mondo. Perché oltre a formare i focolari scelti dove si praticano nella loro massima perfezione tutte le virtù, esse hanno per effetto di contribuire al più gran bene della umanità con le loro opere di carità e di apostolato, e con la loro vita di immolazione a Dio.

1412. Donde viene alle famiglie religiose nella Chiesa la loro eccellenza in ciò che riguarda la pratica di tutte le virtù. fino alla più alta perfezione?

Tale eccellenza viene loro dall’applicarsi ostensibilmente e per vocazione o di ufficio a camminare nella via dove ogni uomo deve camminare per praticare queste stesse virtù e conseguire la felicità del cielo.

Quale è la via fuori della quale non è possibile nessun cammino verso Dio con la pratica delle virtù?

Questa via non è altri che Gesù Cristo mistero stesso del Verbo fatto carne. Ora  ci resta di occuparci di Lui; e questo formerà la materia della nostra « Terza Parte ».

LA SUMMA PER TUTTI (16)

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XII, “HAURIETIS AQUAS” (1)

Haurietis aquas è une delle più belle ed importanti lettere Encicliche del Magistero pontificio. Una scritto meraviglioso, ben ordinato e ricco di riferimenti dottrinali miscelati sapientemente con una linearità ed una verità che illustra mirabilmente questo culto che la Chiesa ha accolto ha accolto come doveroso omaggio all’amore di Cristo per gli uomini, ed indica a tutti i Cristiani ed all’umanità intera come elemento salvifico decisivo in vista dell’eterna beatitudine.  … « di fronte alla minaccia di gravi sciagure che già da molto tempo sovrasta, è urgente che si ricorra, per scongiurarle, all’aiuto di Colui che soltanto, ha la potenza per allontanarle. E chi altri potrà essere costui, se non Gesù Cristo. l’Unigenito di Dio? Poiché non c’è sotto il cielo alcun altro nome dato agli uomini, dal quale possiamo aspettarci d’essere salvati ». « A Lui dunque si deve ricorrere, che  è via, verità e vita ». Queste parole del grande Leone XIII, qui ricordate da S. S. Pio XII, risuonano balsamo dolce per i nostri cuori in un momento storico in cui tutta l’umanità sente di aver bisogno di un’ancora di salvezza per non soccombere sotto l’azione delle forse del male, che S. Giovanni nell’Apocalisse definiva come “bestia”, “falso profeta”, e “dragone”. Quest’ancora è il Cuore di Gesù che, unito a quello Immacolato della Vergine Maria, alla fine trionferà portando tutti i fedeli resistenti alle suggestioni del male ed al marchio della bestia, alla cena delle nozze dell’Agnello. Per poter meglio gustare la profondità teologica della lettera, assaporarne le delizie spirituali e poterla meditare al meglio, ne riportiamo una prima parte, ripromettendoci di completarne poi il testo alla prossima.

HAURIETIS AQUAS

S. S. PIO XII

LETTERA ENCICLICA SULLA DEVOZIONE AL SACRO CUORE DI GESÙ

(I)

Ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi e agli altri Ordinari locali che hanno pace e comunione con la Sede Apostolica.

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

«Voi attingerete con gaudio le acque dalle fonti del Salvatore » . Queste parole, con le quali il profeta Isaia simbolicamente preannunziava le molteplici e abbondanti benedizioni di Dio, che l’era messianica avrebbe apportato, spontanee ritornano sulle Nostre labbra, allorché diamo uno sguardo ai cento anni che sono trascorsi da quando il Nostro Predecessore di imm. mem. Pio IX, ben lieto di assecondare i voti del mondo cattolico, si compiaceva di estendere e rendere obbligatoria per la Chiesa intera la Festa del Cuore Sacratissimo di Gesù. – Innumerevoli, infatti, sono le grazie celesti che il culto tributato al Cuore Sacratissimo di Gesù ha trasfuso nelle anime dei fedeli; grazie di purificazione, di sovrumane consolazioni, di incitamento alla conquista di ogni genere di virtù. – Noi pertanto, memori della sapientissima sentenza dell’apostolo S. Giacomo: « Ogni donazione buona e ogni dono perfetto viene dall’alto e scende dal Padre de’ lumi », a buon diritto possiamo scorgere in questo culto, divenuto ormai universale e ogni giorno sempre più fervoroso, il dono che il Verbo Incarnato, nostro Salvatore divino e unico Mediatore di grazia e di verità tra il celeste Padre e il genere umano, ha fatto alla Chiesa, sua mistica Sposa, in questi ultimi secoli della sua travagliata storia. Grazie a questo dono d’inestimabile valore, la Chiesa può agevolmente manifestare l’ardente carità che essa nutre verso il suo Divin Fondatore e corrispondere in più larga misura all’invito che l’evangelista S. Giovanni riferisce come rivolto da Gesù Cristo stesso: « Nell’ultimo gran giorno della festa, Gesù levatosi in piedi, diceva ad alta voce: “ Chi ha sete, venga da me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura, dal ventre di Lui sgorgheranno torrenti d’acqua viva ”. Ciò Egli disse dello Spirito che dovevano ricevere i credenti in Lui. Agli uditori di Gesù non fu certamente difficile cogliere in quelle sue parole, che contenevano la promessa di una sorgente di «acqua viva » che sarebbe scaturita dal suo seno, una chiara allusione ai vaticini con i quali i profeti Isaia, Ezechiele e Zaccaria predicevano l’avvento del Regno Messianico, come pure alla tipica pietra che, percossa dalla verga di Mosè, versò acqua in abbondanza. – La carità divina ha in realtà la sua principale sorgente nello Spirito Santo, ch’è Amore personale sia del Padre che del Figlio in seno all’augustissima Trinità. – Ben a ragione quindi l’Apostolo, quasi facendo eco alle parole di Gesù Cristo, attribuisce allo Spirito Santo l’effusione della carità nell’animo dei credenti: « La carità di Dio si è riversata nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci fu dato ». – Questo strettissimo nesso, che secondo le parole della S. Scrittura intercorre tra la carità che deve ardere nei cuori dei Cristiani e lo Spirito Santo, ch’è Amore per essenza, ci manifesta in modo mirabile, Venerabili Fratelli, l’intima natura stessa di quel culto che è da tributarsi al Cuore Sacratissimo di Gesù. Se è vero, infatti, che questo culto, considerato nella sua propria essenza, è un atto eccellentissimo della virtù di religione, cioè un atto di assoluta e incondizionata sottomissione e consacrazione da parte nostra all’amore del Redentore Divino, di cui è indice e simbolo quanto mai espressivo il suo Cuore trafitto; è vero parimente, ed in un senso ancora più profondo, che tale culto è il ricambio dell’amore nostro all’Amore Divino. Poiché soltanto per effetto della carità si ottiene la piena e perfetta sottomissione dello spirito umano al dominio del Supremo Signore, allorché cioè gli affetti del nostro cuore in tal modo aderiscono alla divina volontà da formare con essa quasi una cosa sola, secondo che è scritto: « Chi aderisce al Signore forma un solo spirito con Lui ».

I.

Ma, mentre la Chiesa ha sempre tenuto in alta considerazione il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, così da favorirne in ogni modo il sorgere e il propagarsi in mezzo al popolo cristiano, non mancando altresì di difenderlo apertamente contro le accuse di Naturalismo e di Sentimentalismo; è da lamentare che non uguale onore e stima, sia nei tempi passati che ai giorni nostri, questo nobilissimo culto gode presso alcuni Cristiani e talvolta anche presso alcuni di coloro, che pur si dicono animati da sincero zelo per gli interessi della Religione Cattolica e per la propria santificazione. « Se tu conoscessi il dono di Dio ». Ecco, Venerabili Fratelli, il paterno monito che Noi, chiamati per divina disposizione ad essere custodi e dispensatori del tesoro di fede e di pietà, che il divin Redentore ha affidato alla sua Chiesa, Ci sentiamo in dovere di rivolgere a tutti quei Nostri figli; i quali, nonostante che il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, trionfando degli errori e della indifferenza degli uomini, abbia pervaso il Mistico Corpo del Salvatore, nutrono ancora dei pregiudizi a riguardo e giungono persino a ritenerlo meno rispondente, per non dire dannoso, alle necessità spirituali più urgenti della Chiesa e dell’umanità nell’ora presente. Taluni, infatti, confondendo o equiparando l’indole primaria di questo culto con le varie forme di devozione che la Chiesa approva e favorisce, ma non prescrive, lo stimano quasi come alcunché di superfluo, che ciascuno può praticare o no a suo arbitrio; altri, poi, stimano che questo stesso culto sia oneroso e di nessuno o ben modesto vantaggio specialmente per i militanti del Regno di Dio, preoccupati soprattutto di consacrare il meglio delle loro energie spirituali, dei loro mezzi e del loro tempo alla difesa e alla propaganda della verità cattolica, alla diffusione della dottrina sociale cristiana e all’incremento di quelle pratiche e opere di religione, che giudicano molto più necessarie per i tempi nostri; vi sono inoltre alcuni, i quali anziché riconoscere in questo culto un mezzo efficacissimo per l’opera di rinnovamento e di progresso dei costumi cristiani, sia degli individui che delle famiglie, vi vedono una forma di devozione pervasa piuttosto di sentimento che di nobili pensieri ed affetti, e perciò più confacente al femmineo sesso che alle persone colte. – Vi sono anche altri, i quali, ritenendo questo culto come troppo vincolato agli atti di penitenza, di riparazione e di quelle virtù che stimano piuttosto « passive », perché prive di appariscenti frutti esteriori, lo giudicano senz’altro meno idoneo a rinvigorire la spiritualità moderna, cui incombe il dovere dell’azione aperta e indefessa per il trionfo della fede cattolica e la strenua difesa dei costumi cristiani, in mezzo ad una società inquinata di indifferentismo religioso, incurante di ogni norma discriminatrice del vero dal falso nel pensiero e nell’azione, ligia ai princìpi del materialismo ateo e del laicismo. – Come non vedere, Venerabili Fratelli, lo stridente contrasto tra simili opinioni e le pubbliche attestazioni di stima per il culto al S. Cuore di Gesù, professate dai Nostri Predecessori su questa Cattedra di verità? Come giudicare inutile o meno adatta per l’epoca nostra quella forma di pietà, che il Nostro Predecessore di imm. mem. Leone XIII non esitò a definire: « pratica religiosa encomiabilissima »; e nella quale additava il rimedio a quegli stessi mali, individuali e sociali, che anche oggi, e indubbiamente in modo più vasto ed acuto, travagliano l’umanità? « Questa devozione, che a tutti consigliamo, asseriva Egli, sarà a tutti di giovamento ». Ed inoltre, aggiungeva questi ammonimenti ed esortazioni, che ben si addicono anche al culto verso il Cuore sacratissimo di Gesù: « Di fronte alla minaccia di gravi sciagure che già da molto tempo sovrasta, è urgente che si ricorra, per scongiurarle, all’aiuto di Colui che soltanto, ha la potenza per allontanarle. E chi altri potrà essere costui, se non Gesù Cristo. l’Unigenito di Dio? Poiché non c’è sotto il cielo alcun altro nome dato agli uomini, dal quale possiamo aspettarci d’essere salvati ». « A Lui dunque si deve ricorrere, che  è via, verità e vita».

Né meno degno di encomio e giovevole per fomentare la pietà cristiana riconosceva essere questo culto il Nostro immediato Predecessore di fel. mem. Pio XI, il quale nell’Enciclica Miserentissimus Redemptor affermava: «Non son forse racchiusi in tale forma di devozione il compendio di tutta la Religione Cattolica e quindi la norma della vita più perfetta, costituendo essa la via più spedita per giungere alla conoscenza profonda di Cristo Signore e il mezzo più efficace per piegare gli animi ad amarLo più intensamente e ad imitarLo più fedelmente? ».

A Noi poi, non certamente meno che ai Nostri Predecessori, questa sublime verità è apparsa evidente e degna di approvazione; ed allorché iniziammo il Nostro Pontificato, nel contemplare il felice e quasi trionfale incremento del Culto al Cuore Sacratissimo di Gesù in mezzo al popolo cristiano, sentimmo il Nostro animo ricolmo di gioia e Ci rallegrammo degli innumerevoli frutti di salvezza che ne erano derivati a tutta la Chiesa; e questi Nostri sentimenti Ci compiacemmo di manifestare già nella prima Nostra Lettera Enciclica. I quali frutti, in questi lunghi anni del Nostro Pontificato — pieni di calamità e di angustie, ma anche ricolmi di ineffabili consolazioni — non sono andati diminuendo né per numero né per qualità né per bellezza, ma piuttosto aumentando. Infatti, varie sono state le opere felicemente iniziate allo scopo di favorire l’incremento sempre maggiore di questo stesso culto: associazioni cioè di cultura, di pietà e di beneficenza; pubblicazioni di carattere storico, ascetico e mistico pertinenti a tale scopo; pie pratiche di riparazione; e soprattutto crediamo degne di menzione le manifestazioni di ardentissima pietà promosse dall’Associazione dell’« Apostolato della Preghiera », al cui zelo si deve principalmente se famiglie, istituti e talvolta anche Nazioni intere si sono consacrate al Cuore Sacratissimo di Gesù; per le quali manifestazioni di culto non di rado, o mediante Lettere, o per mezzo di Discorsi, o anche servendoCi di Radiomessaggi, abbiamo espresso la Nostra paterna compiacenza. – Pertanto, commossi nel veder tanta copia di acque salutari, cioè di effusione celestiale di amore superno, che scaturendo dal Sacro Cuore del nostro Redentore, non senza l’ispirazione e l’azione del Divino Spirito, si è riversata su innumerevoli figli della Chiesa Cattolica, non possiamo astenerCi, Venerabili Fratelli, dal rivolgervi un paterno invito, affinché vi uniate a Noi nello sciogliere un inno di somma lode e di fervidissime azioni di grazie a Dio, largitore di ogni bene, esclamando con l’Apostolo: « A Lui che può far tutto, ben al di là di quel che noi domandiamo, o pensiamo, secondo la virtù che opera in noi, a Lui sia la gloria nella Chiesa, e in Cristo Gesù per tutte le generazioni nei secoli dei secoli. Amen ». Ma, dopo aver reso all’Altissimo le dovute grazie, Noi desideriamo con questa Lettera Enciclica di esortar voi e tutti gli amatissimi figli della Chiesa ad una più attenta considerazione di quei princìpi dottrinali, contenuti nella S. Scrittura, nei Ss. Padri e nei teologi, sui quali, quasi su solidi fondamenti, poggia il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù. Siamo infatti pienamente persuasi che soltanto allorché, al lume della divina rivelazione, avremo penetrato più a fondo l’intima ed essenziale natura di questo culto, saremo in grado di convenientemente e perfettamente apprezzarne l’incomparabile eccellenza e l’inesauribile fecondità di ogni sorta di celesti grazie, e per tal modo trarre, dalla pia meditazione e contemplazione dei benefici da esso derivati, motivo a una degna celebrazione del primo centenario dell’estensione della festa obbligatoria del Cuore Sacratissimo di Gesù alla Chiesa universale. – Allo scopo, dunque, di offrire alle menti dei fedeli un pascolo di salutari riflessioni, grazie alle quali essi possano più facilmente comprendere la natura di questo culto e ricavarne più copiosi frutti, Noi ci soffermeremo anzitutto su quelle pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento, che contengono la rivelazione e descrizione dell’infinita carità di Dio per il genere umano, la cui sublime grandezza mai potremo sufficientemente scrutare; poi accenneremo al commento che ce ne hanno lasciato i Padri e i Dottori della Chiesa; infine, procureremo di porre in evidenza il nesso intimo che intercorre tra la forma di devozione da tributarsi al Cuore del Redentore Divino e il culto che gli uomini sono tenuti a rendere all’amore che Egli e le altre Persone della Santissima Trinità nutrono verso l’intero genere umano. Stimiamo infatti che, una volta contemplati alla luce della S. Scrittura e della Tradizione i fondamenti e gli elementi costitutivi di questo nobilissimo culto, riuscirà più agevole ai Cristiani l’attingere « con gaudio le acque dalle fonti del Salvatore », apprezzare cioè tutta l’importanza che il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù ha assunto nella Liturgia della Chiesa, nella sua vita interna ed esterna, ed anche nelle sue opere; per tal modo, sarà più facile ad essi raccogliere quei frutti spirituali, che segnino un rinnovamento salutare nei loro costumi, conforme ai voti dei Pastori del gregge di Cristo. – Se vogliamo in primo luogo ben comprendere il valore racchiuso in alcuni testi dell’Antico e del Nuovo Testamento in ordine a questo culto, occorre tener ben presente il motivo del culto di latria che la Chiesa tributa al Cuore del Redentore divino. Orbene, come voi ben sapete, Venerabili Fratelli, tale motivo è duplice. L’uno, cioè, che è comune anche alle altre sacrosante membra del corpo di Gesù Cristo, è costituito dal fatto che il suo Cuore, essendo una parte nobilissima dell’umana natura, è unito ipostaticamente alla Persona del Verbo di Dio; pertanto, esso è meritevole dell’unico e identico culto di adorazione con cui la Chiesa onora la Persona dello stesso Figlio di Dio Incarnato. Si tratta di una verità di fede cattolica, essendo stata solennemente definita nei Concili Ecumenici di Efeso e II di Costantinopoli. L’altro motivo, che appartiene in modo speciale al Cuore del Divin Redentore, e che perciò conferisce al medesimo un titolo tutto proprio a ricevere il culto di latria, risulta dal fatto che il suo Cuore, più di ogni altro membro del suo corpo, è l’indice naturale, ovvero il simbolo della sua immensa carità per il genere umano. « È insita nel Sacro Cuore, come osservava il Nostro Predecessore Leone XIII di imm. mem., la qualità di simbolo e di espressiva immagine dell’infinita carità di Gesù Cristo, che ci stimola a ricambiarlo col nostro amore ». – È fuor di dubbio che nei Libri Sacri non si hanno mai sicuri indizi di un culto di speciale venerazione e di amore, tributato al Cuore fisico del Verbo Incarnato, per la sua prerogativa di simbolo della sua accesissima carità. Ma questo fatto, se è doveroso apertamente riconoscerlo, non ci deve recar meraviglia, né in alcun modo indurci a dubitare che la carità, la quale è la ragione principale di questo culto, sia nell’Antico, che nel Nuovo Testamento, è esaltata e inculcata con immagini tali, da commuovere potentemente gli animi. Queste immagini, poiché sono contenute nei Libri Sacri che preannunziavano la venuta del Figlio di Dio, fatto uomo, possono considerarsi come un presagio di quello che doveva essere il più nobile simbolo e indice dell’amore divino, cioè del Cuore sacratissimo e adorabile del Redentore Divino. – Per quanto riguarda lo scopo della presente Lettera non crediamo necessario addurre molte testimonianze dei libri dell’Antico Testamento, nei quali sono contenute le prime verità divinamente rivelate; ma stimiamo sia sufficiente far rilevare che l’Alleanza stipulata tra Dio e il popolo eletto e sancita con vittime pacifiche — le cui leggi fondamentali, scolpite su due tavole, furono promulgate da Mosè e interpretate dai Profeti — fu un patto oltre che fondato sui vincoli di supremo dominio da parte di Dio e di doverosa ubbidienza da parte dell’uomo, consolidato e vivificato, anche dai più nobili motivi dell’amore. Infatti, anche per il popolo d’Israele la ragione suprema della sua obbedienza doveva essere non tanto il timore dei divini castighi, che i tuoni e le folgori sprigionantisi dalla vetta del Sinai incutevano negli animi, quanto piuttosto il doveroso amore verso Dio; « Ascolta, Israele: il Signore Dio nostro è il solo Signore. Amerai il Signore Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze. Queste parole che io oggi ti bandisco, staranno nel tuo cuore ». – Non deve pertanto meravigliare se Mosè e i Profeti, che a buon diritto l’Angelico Dottore chiama i « maggiori » del popolo eletto, ben comprendendo che il fondamento di tutta la Legge era riposto in questo comandamento dell’amore, hanno descritto tutti i rapporti esistenti tra Dio e la sua Nazione ricorrendo a similitudini tratte dal reciproco amore tra padre e figli, o dall’amore dei coniugi, piuttosto che rappresentarli con immagini severe ispirate al supremo dominio di Dio, o alla dovuta e timorosa servitù di noi tutti. – Così, ad esempio, Mosè stesso, nel celeberrimo suo cantico di liberazione del popolo dalla schiavitù dell’Egitto, volendo significare che essa era avvenuta per l’intervento onnipossente di Dio, ricorre a queste espressioni ed immagini, che riempiono l’animo di commozione: « Com’aquila che addestra al volo i suoi piccoli e vola sovr’essi, stese le sue ali (il Signore), sollevò Israele, e lo portò sulle sue spalle ». – Ma forse nessun altro tra i Profeti, meglio di Osea, manifesta e descrive con accenti veementi l’amore, mai venuto meno, di Dio verso il suo popolo Nel linguaggio infatti di questo eccellentissimo tra i Profeti minori per profondità di concetti e concisione di espressioni, Dio manifesta un tale amore verso il Popolo Eletto, cioè giusto e santamente sollecito, qual è appunto l’amore di un padre misericordioso e amorevole, o di uno sposo adirato per il suo onore offeso. È un amore, che, lungi dal venir meno alla vista di mostruose infedeltà e di ignobili tradimenti, prende sì da essi motivo per infliggere ai colpevoli i meritati castighi — non già per ripudiarli e abbandonarli a se stessi — ma soltanto allo scopo di vedere la sposa resasi estranea e infedele, ed i figli ingrati, pentirsi, purificarsi e tornare a riunirsi con Lui con rinnovati e più solidi vincoli di amore. « Quando era fanciullo Israele, io l’amai e dall’Egitto ho chiamato il figlio mio… Ed io ho fatto da balia ad Efraim; ho portato essi in braccio, ma non compresero la cura ch’io avevo di loro. Li ho attirati a me con attrattive piene d’umanità e con vincoli d’amore… Io sanerò le loro piaghe, li amerò spontaneamente, perché la mia collera si è da loro allontanata. Sarò come rugiada, e Israele fiorirà come giglio e dilaterà radici come il Libano ». – Accenti simili a questi risuonano sulle labbra del profeta Isaia, allorché, impersonando gli opposti sentimenti di Dio stesso e del Popolo Eletto, esce in queste espressioni: « Sion aveva detto: “ Il Signore mi ha abbandonato, il Signore si è scordato di me! ”. Potrà forse una donna dimenticare il suo bambino, da non sentire più compassione per il figlio delle sue viscere? e se pur questa lo potrà dimenticare, io non mi dimenticherò mai di te! ». Né meno commoventi sono le espressioni, con le quali l’Autore del Cantico dei Cantici, servendosi del simbolismo dell’amore coniugale, dipinge con vividi colori i legami di vicendevole amore, che uniscono fra loro Dio e la Nazione da Lui prediletta: «Come un giglio fra gli spini, così l’amica mia tra le fanciulle!… Io sono del mio diletto, e il mio diletto è per me, egli che pascola tra i gigli… Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo sul tuo braccio, perché forte come la morte è l’amore, inesorabile come gli Inferi la gelosia: le sue fiaccole sono fiaccole di fuoco e di fiamme ». – Tuttavia questo tenerissimo, indulgente e longanime amore di Dio, che, pur sdegnandosi per le ripetute infedeltà del popolo di Israele, mai giunse a ripudiarlo definitivamente, benché siasi manifestato come veemente e sublime, non fu in sostanza che preludio di quell’ardentissima carità, che il Redentore promesso avrebbe riversato dal suo amantissimo Cuore su tutti, e che sarebbe dovuta divenire il modello del nostro amore e la pietra angolare della Nuova Alleanza. Solo infatti Colui che è l’Unigenito del Padre e il Verbo fatto carne « pieno di grazia e di verità », essendosi avvicinato agli uomini, oppressi da innumerevoli peccati e miserie, poté far scaturire dalla sua umana natura, unita ipostaticamente alla sua Divina Persona, « una sorgente di acqua viva », che irrigasse copiosamente l’arida terra dell’umanità e la trasformasse in giardino fiorente e fruttifero. – È nel profeta Geremia che si ha un lontano presagio di questo stupendo prodigio, che sarebbe stato l’effetto del misericordiosissimo ed eterno amore di Dio: « D’un amore eterno ti ho amato e perciò ti ho tirato a me pieno di compassione… Ecco che verranno giorni, dice il Signore, e io stringerò con la casa di Israele e con la casa di Giuda una nuova alleanza… Questa sarà l’alleanza che avrò stretta con la casa d’Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Io metterò la mia legge nel loro interno e la scriverò nel loro cuore, e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo…; perché farò grazia alle loro iniquità e del loro peccato non mi ricorderò più ».

II.

Ma soltanto dai Vangeli veniamo a conoscere con perfetta chiarezza che la nuova Alleanza stipulata tra Dio e l’umanità — di cui si erano avuti la prefigurazione simbolica nell’alleanza sancita tra Dio e il popolo d’Israele per mezzo di Mosè e il preannunzio nel vaticinio di Geremia — è quella stessa che è stata attuata mediante l’opera conciliatrice di grazia del Verbo Incarnato. Questa Alleanza è da stimarsi incomparabilmente più nobile e più solida, perché, a differenza della precedente, non è stata sancita nel sangue di capri e di vitelli, ma nel Sangue sacrosanto di Colui, che quegli stessi pacifici ed irrazionali animali avevano prefigurato come « l’Agnello che toglie il peccato del mondo ». – Ebbene, l’Alleanza Messianica, più ancora che l’antica, si manifesta chiaramente come un patto non ispirato da sentimenti di servitù e di timore, ma da quella specie di amicizia, che deve regnare nelle relazioni tra padre e figli, essendo essa alimentata e consolidata da una più munifica elargizione di grazia divina e di verità, conforme alla sentenza dell’Evangelista S. Giovanni: « E della pienezza di Lui tutti abbiamo ricevuto, e grazia su grazia. Perché la legge è stata data da Mosè; la grazia e la verità sono venute da Gesù Cristo ». – Introdotti con queste parole del «Discepolo prediletto da Gesù, quegli che durante la cena aveva posato il capo sul petto di Gesù »(28), nel mistero stesso dell’infinita carità del Verbo Incarnato, è cosa degna e giusta, equa e salutare, che noi ci soffermiamo alquanto, Venerabili Fratelli, nella contemplazione di così soave mistero, affinché, illuminati dalla luce che su di esso riflettono le pagine del Vangelo, possiamo anche noi esperimentare il felice adempimento del voto che l’Apostolo formulava scrivendo ai fedeli di Efeso: « Cristo dimori nei vostri cuori per mezzo della fede, e voi, radicati e fortificati in amore, siate resi capaci di comprendere con tutti i santi quali siano la larghezza e la lunghezza e l’altezza e la profondità, e intendere quest’amore di Cristo che sorpassa ogni scienza, affinché siate ripieni di tutta la pienezza di Dio ». – Il Mistero della Divina Redenzione, infatti, è propriamente e naturalmente un mistero di amore: un mistero, cioè, di amore giusto da parte di Cristo verso il Padre celeste, cui il sacrificio della Croce, offerto con animo amante ed obbediente, presenta una soddisfazione sovrabbondante ed infinita per le colpe del genere umano: «Cristo, soffrendo per carità ed ubbidienza, offrì a Dio qualche cosa di maggior valore, che non esigesse la compensazione per tutte le offese a Dio fatte dal genere umano ». Inoltre, il Mistero della Redenzione è un mistero di amore misericordioso dell’Augusta Trinità e del Redentore divino verso l’intera umanità, poiché questa, essendo del tutto incapace di offrire a Dio una soddisfazione degna per i propri delitti, Cristo, mediante le inscrutabili ricchezze di meriti, che si acquistò con l’effusione del suo preziosissimo Sangue, poté ristabilire e perfezionare quel patto di amicizia tra Dio e gli uomini, ch’era stato una prima volta violato nel Paradiso terrestre per colpa di Adamo, e poi innumerevoli volte per le infedeltà del Popolo Eletto. – Pertanto il Divin Redentore — nella sua qualità di legittimo e perfetto Mediatore nostro — avendo, sotto lo stimolo di una accesissima carità per noi, conciliato perfettamente i doveri e gli impegni del genere umano con i diritti di Dio, è stato indubbiamente l’autore di quella meravigliosa conciliazione tra la divina giustizia e la divina misericordia, che costituisce appunto l’assoluta trascendenza del mistero della nostra salvezza, così sapientemente espressa dall’Angelico Dottore in queste parole: «Giova osservare che la liberazione dell’uomo, mediante la passione di Cristo, fu conveniente sia alla sua misericordia che alla sua giustizia. Alla giustizia anzitutto, perché con la sua passione Cristo soddisfece per la colpa del genere umano: e quindi per la giustizia di Cristo l’uomo fu liberato. Alla misericordia, poi, poiché, non essendo l’uomo in grado di soddisfare per il peccato inquinante tutta l’umana natura, Dio gli donò un riparatore nella persona del Figlio suo. Ora questo fu da parte di Dio un gesto di più generosa misericordia, che se Egli avesse perdonato i peccati senza esigere alcuna soddisfazione. Perciò sta scritto: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore che ci portava pur essendo noi morti per le nostre colpe, ci richiamò a vita in Cristo” ». – Ma, affinché possiamo veramente, per quanto è consentito a uomini mortali, « comprendere con tutti i santi, quali siano la larghezza e la lunghezza e l’altezza e la profondità dell’arcana carità del Verbo Incarnato verso il suo celeste Padre e verso gli uomini macchiati di tante colpe; occorre tener ben presente che il suo amore non fu unicamente spirituale, come si addice a Dio, poiché « Iddio è spirito ». Indubbiamente d’indole puramente spirituale fu l’amore nutrito da Dio per i nostri progenitori e per il popolo ebraico; perciò, le espressioni di amore umano, sia coniugale che paterno, che si leggono nei Salmi, negli scritti dei Profeti e nel Cantico dei Cantici, sono indizi e simboli di una dilezione verissima ma del tutto spirituale, con la quale Dio amava il genere umano; al contrario, l’amore che spira dal Vangelo, dalle lettere degli Apostoli e dalle pagine dell’Apocalisse, dov’è descritto altresì l’amore del Cuore di Gesù Cristo, non comprende soltanto la carità divina, ma si estende ai sentimenti dell’affetto umano. Per chiunque fa professione di fede cattolica è questa una verità inconcussa. Il Verbo di Dio, infatti, non ha assunto un corpo illusorio e fittizio, come già nel primo secolo dell’era cristiana osarono affermare alcuni eretici, attirandosi la severa condanna dell’apostolo S. Giovanni: «Poiché sono usciti per il mondo molti seduttori, i quali non confessano che Gesù Cristo sia venuto nella carne. Questo è il seduttore e l’anticristo »; ma Egli ha unito alla sua divina Persona una natura umana individua, integra e perfetta, concepita nel seno purissimo di Maria Vergine per virtù dello Spirito Santo(36). Niente, dunque, mancò alla natura umana assunta dal Verbo di Dio; in verità, Egli la possedette senza alcuna diminuzione, senza alcuna alterazione, tanto nei suoi elementi costitutivi spirituali quanto nei corporali, vale a dire: dotata di intelligenza e di volontà, e delle altre facoltà conoscitive interne ed esterne; dotata parimenti delle potenze affettive sensitive e di tutte le loro corrispondenti passioni. È questo l’insegnamento della Chiesa Cattolica, sanzionato e solennemente confermato dai Romani Pontefici e dai Concili Ecumenici: « Integro nelle sue proprietà, integro nelle nostre »(37); « perfetto nella Divinità ed Egli stesso perfetto nell’umanità »; « tutto Dio (fatto) uomo, e tutto l’uomo (sussistente in) Dio ». Non essendovi allora alcun dubbio che Gesù Cristo abbia posseduto un vero corpo umano, dotato di tutti i sentimenti che gli sono propri, tra i quali ha chiaramente il primato l’amore, è altresì verissimo che Egli fu provvisto di un cuore fisico, in tutto simile al nostro, non essendo possibile che la vita umana, priva di questo eccellentissimo membro del corpo, abbia la sua connaturale attività affettiva. Pertanto il Cuore di Gesù Cristo, unito ipostaticamente alla Persona divina del Verbo, dovette indubbiamente palpitare d’amore e di ogni altro affetto sensibile; questi sentimenti, però, erano talmente conformi e consonanti con la volontà umana, ricolma di carità divina, e con lo stesso infinito amore, che il Figlio ha comune con il Padre e con lo Spirito Santo, che mai tra questi tre amori s’interpose alcunché di contrario e discorde. – Tuttavia, il fatto che il Verbo di Dio abbia assunto una vera e perfetta natura umana, e si sia plasmato e quasi modellato un cuore di carne, che, non meno del nostro, fosse capace di soffrire e di essere trafitto, questo fatto, diciamo, se non è visto e considerato nella luce, la quale emana non solo dall’unione ipostatica e sostanziale, ma anche dalla verità della umana Redenzione, ch’è, per così dire, il complemento di quella, potrebbe ad alcuni apparire « scandalo » e « stoltezza », come infatti tale sembrò « Cristo Crocifisso » ai Giudei e ai Gentili. Orbene, i Simboli della fede, perfettamente concordi con le Divine Scritture, ci assicurano che il Figlio Unigenito di Dio ha assunto la natura passibile e mortale in vista principalmente del Sacrificio cruento della croce, che Egli desiderava offrire allo scopo di compiere l’opera dell’umana salute. È questo del resto, l’insegnamento espresso dall’Apostolo delle genti: « Poiché sia chi santifica sia i santificati provengono tutti da uno; è per questo che non ha scrupolo di chiamarli fratelli dicendo: « Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli ». E ancora: « Eccomi, io e i figlioli che Dio mi ha dato ». Poiché dunque i figliuoli partecipano del sangue e della carne, anch’egli ugualmente ne ebbe parte… « Ond’è ch’egli doveva in tutto essere fatto simile ai suoi fratelli, per diventare misericordioso e fedele sacerdote nelle cose divine, affinché fossero espiate le colpe del popolo. Perché appunto per essere stato provato lui e avere sofferto, per questo può venire in aiuto a quelli che sono nella prova ». – I Santi Padri, veridici testimoni della divina rivelazione, ben compresero, dietro il chiaro insegnamento dell’Apostolo Paolo, che il mistero dell’amore divino è in pari tempo il fondamento e il culmine sia dell’Incarnazione, sia della Redenzione. Infatti, nei loro scritti sono frequenti e luminosi i passi, nei quali si legge che lo scopo per cui Gesù Cristo assunse una natura umana integra e un corpo caduco e fragile come il nostro, fu appunto quello di provvedere alla nostra salvezza e di manifestare a noi nel modo più evidente il suo amore infinito, compreso quello sensibile. – San Giustino, quasi facendo eco alle parole dell’Apostolo, scrive: « Noi adoriamo ed amiamo il Verbo, nato dall’ingenito e ineffabile Dio; Egli in verità si è fatto uomo per noi, affinché, resosi partecipe delle nostre umane affezioni, recasse ad esse il rimedio ». San Basilio, poi, il primo dei tre Padri Cappadoci, afferma decisamente che gli affetti sensibili di Cristo furono ad un tempo veri e santi: « Benché sia a tutti noto che il Signore ha assunto gli affetti naturali per confermare la realtà dell’Incarnazione, vera e non fantastica; tuttavia Egli respinse da sé gli affetti disordinati, che inquinano la purezza della nostra vita, perché li ritenne indegni della sua incontaminata divinità ». Anche per San Giovanni Crisostomo, il più illustre decoro della Chiesa Antiochena, le emozioni sensibili, cui andò soggetto il Redentore divino, cooperarono mirabilmente a comprovare che Egli aveva assunto una natura umana integra sotto ogni aspetto: « Infatti, se Egli non fosse stato composto della nostra natura, non avrebbe pianto per ben due volte ». – Fra i Padri Latini meritano di essere ricordati coloro, che la Chiesa onora oggi tra i principali suoi Dottori. Così Sant’Ambrogio vede nell’unione ipostatica la sorgente naturale delle affezioni e commozioni sensibili, cui andò soggetto il Verbo di Dio fatto uomo: « Pertanto, poiché Egli assunse l’anima, ne assunse parimente le passioni; in quanto Dio, infatti, com’Egli era, non avrebbe potuto né turbarsi né morire »(46). Anche San Girolamo dall’esistenza in Cristo di quelle affezioni sensibili trae l’argomento più persuasivo per asserire ch’Egli aveva realmente assunto l’umana natura: Il Signor nostro, per manifestare che aveva veramente unito alla sua Persona la natura dell’uomo, soggiacque veramente alla tristezza. – Sant’Agostino poi con particolare insistenza rileva l’intimo nesso che esiste tra le affezioni sensibili del Verbo Incarnato e il fine dell’umana redenzione: « Ora il Signore Gesù assunse questi sentimenti della fragile natura umana, come la carne stessa che fa parte dell’inferma natura dell’uomo, e la morte dell’umana carne, non spinto da bisogno della sua condizione divina, ma stimolato dalla sua libera volontà di usarci misericordia; allo scopo, cioè, di offrire in se stesso il modello da imitare al suo corpo, che è la Chiesa, di cui si degnò di farsi capo, vale a dire, alle sue membra, che sono i suoi santi e i suoi fedeli; in modo che se ad alcuno di loro, sotto l’assalto delle umane tentazioni, accadesse di rattristarsi e soffrire, non per ciò stimasse di essersi sottratto all’influsso della sua grazia; e comprendesse che tali affezioni non sono di per sé peccati, ma solo indizi dell’ umana passibilità. Così il suo Mistico Corpo, simile ad un coro di voci che s’accorda a quella di chi dà l’intonazione, avrebbe imparato dal suo proprio Capo ». – Più concisamente, ma non meno efficacemente dei precedenti, manifestano la dottrina della Chiesa i seguenti testi di San Giovanni Damasceno: «Certamente, tutto Dio ha assunto tutto ciò ch’è in me uomo, e tutto si è unito a tutto, affinché arrecasse la salvezza a tutto l’uomo. Poiché, altrimenti, non avrebbe potuto essere sanato ciò che non fosse stato assunto ». « Cristo dunque, assunse tutti gli elementi componenti l’umana natura, affinché li santificasse tutti ». – È doveroso tuttavia riconoscere che né gli Autori sacri, né i Padri della Chiesa, sia nei testi riferiti che in molti altri simili, pur affermando chiaramente la realtà delle affezioni sensibili, che commovevano l’animo di Gesù Cristo, e pur mettendo in stretto rapporto l’assunzione dell’umana natura con lo scopo della nostra eterna salvezza prefissosi da Cristo, mai pongono in esplicito rilievo il nesso esistente tra quegli stessi affetti e il cuore fisico del Salvatore, così da indicare in esso espressamente il simbolo del suo amore infinito. – Ma, se gli Evangelisti e gli altri scrittori ecclesiastici non ci rivelano direttamente gli effetti vari che nel ritmo pulsante del Cuore del Redentore nostro, non meno vivo e sensibile del nostro, dovettero indubbiamente produrre le passioni del suo animo e il ridondante amore della sua duplice volontà, divina ed umana, essi mettono però in evidenza l’amore e tutti gli altri sentimenti con esso connessi, cioè: il desiderio, la letizia, la tristezza, il timore, l’ira, secondo che si manifestavano attraverso il suo sguardo, le parole, i gesti. E principalmente il Volto adorabile del Salvatore nostro dovette apparire l’indice e quasi lo specchio fedelissimo di quelle affezioni, che, commovendo in vari modi il suo animo, a somiglianza di onde che si ripercuotono sulle opposte rive, raggiungevano il suo Cuore santissimo e ne eccitavano i battiti. In verità, anche a proposito di Cristo vale quanto l’Angelico Dottore, ammaestrato dalla comune esperienza, osserva in materia di psicologia umana e dei fenomeni ad essi connessi: «Il turbamento prodotto dall’ira raggiunge anche le membra esterne; e soprattutto si fa notare in quelle membra, nelle quali più apertamente si riflette l’influsso del cuore, come negli occhi, nel volto e nella lingua ». – A buon diritto, dunque, il Cuore del Verbo Incarnato è considerato come il principale simbolo di quel triplice amore, col quale il Divino Redentore ha amato e continuamente ama l’Eterno Padre e l’umanità. Esso, cioè, è anzitutto il simbolo dell’amore, che Egli ha comune col Padre e con lo Spirito Santo, ma che soltanto in Lui, perché Verbo fatto carne, si manifesta attraverso il fragile e caduco velo del corpo umano, « poiché in Esso abita corporalmente tutta la pienezza della Divinità ». Inoltre, il Cuore di Cristo è il simbolo di quell’ardentissima carità, che, infusa nella sua anima, costituisce la preziosa dote della sua volontà umana e i cui atti sono illuminati e diretti da una duplice perfettissima scienza, la beata cioè e l’infusa. Finalmente — e ciò in modo ancor più naturale e diretto — il Cuore di Gesù è il simbolo del suo amore sensibile, giacché il corpo del Salvatore divino, plasmato nel seno castissimo della Vergine Maria per influsso prodigioso dello Spirito Santo, supera in perfezione e quindi in capacità percettiva ogni altro organismo umano. – Edotti allora dai Sacri Testi e dai simboli di fede della perfetta consonanza ed armonia regnante nell’anima santissima di Gesù Cristo, e dell’aver Egli diretto al fine della nostra Redenzione tutte le manifestazioni del suo triplice amore, noi possiamo con ogni sicurezza contemplare e venerare nel Cuore del Divin Redentore l’immagine eloquente della sua carità e il documento dell’avvenuta nostra redenzione, come pure quasi la mistica scala per salire all’amplesso di « Dio Salvatore nostro » . Perciò nelle parole, negli atti, negli insegnamenti, nei miracoli e specialmente nelle opere che più luminosamente testimoniano il suo amore per noi — come l’istituzione della divina Eucaristia, la sua dolorosa Passione e Morte, la donazione della sua Santissima Madre, la fondazione della Chiesa, la missione dello Spirito sugli Apostoli e su tutti i credenti — in tutte queste opere, ripetiamo, noi dobbiamo ammirare altrettante testimonianze del suo triplice amore; e meditare i battiti del suo Cuore, con i quali sembrò che Egli misurasse gli attimi di tempo del suo pellegrinaggio terreno, fino al supremo istante, in cui, come ci attestano gli Evangelisti: « Gesù, dopo aver di nuovo gridato con gran voce, disse: È compiuto. E chinato il capo, rese lo spirito ». Fu allora che il battito del suo Cuore si arrestò, e il suo amore sensibile rimase come sospeso fino all’istante della Risurrezione gloriosa. Unitasi quindi nuovamente l’anima del Redentore vittorioso  della morte al suo corpo glorificato, il Cuore suo Sacratissimo riprese il suo battito regolare e da allora non ha mai cessato né cesserà di significare, con ritmo ormai divenuto per sempre calmo e imperturbabile, il triplice amore che vincola il Figlio di Dio al suo celeste Padre e all’intera comunità umana, di cui è, con pieno diritto, il Mistico Capo.

[Continua …]

DOMENICA XIII DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA XIII dopo PENTECOSTE (2021)

La Chiesa ci fa leggere in questo tempo nel Breviario il principio del libro dell’Ecclesiaste: « Vanità delle vanità, dice l’autore sacro, tutto è vanità. Si dimentica ciò che è passato, e le cose che debbono ancora venire non lasceranno ricordi presso quelli che verranno più tardi. Io ho vedute tutte le cose che avvengono sotto il sole, ed ecco che sono tutte vanità e afflizione dell’anima. I perversi difficilmente si correggono e infinito è il numero degli insensati » (7° Nott.). « Dopo che Salomone poté contemplare la luce della vera sapienza, dice S. Giovanni Crisostomo, uscì in questa esclamazione sublime e degna del cielo: « Vanità delle vanità, tutto è vanità! ». A vostra volta, se volete, potete rendere simile testimonianza. È vero che nei secoli passati, Salomone non era tenuto a una diligente ricerca della sapienza, poiché l’antica legge non considerava vanità il godimento dei beni superflui; tuttavia, malgrado questo stato di cose, si può vedere quanto siano vili e dispregevoli. Ma noi, chiamati a virtù più perfette, saliamo a cime più alte, ci esercitiamo in opere più difficili. Che dire di più se non che ci è stato comandato di regolare la nostra vita su virtù celesti, che non hanno nulla di materiale e che sono tutta intelligenza? » (2° Nott.). Queste virtù celesti sono per eccellenza, le tre virtù teologali: « fede, speranza, carità » che l’orazione ci fa chiedere a Dio affinché noi « non amiamo se non quello che Egli ci comanda ». Ed è per questo motivo che la Chiesa fa leggere in questo giorno [‘Epistola di S. Paolo ai Corinti, che ha per oggetto la fede in Gesù Cristo, fede che agisce mediante la carità e che ci fa mettere, come già Abramo, la nostra speranza nel divino Salvatore. Infatti solo per questa fede operante e confidente, le anime coperte dalla lebbra del peccato vengono guarite come ci mostra il Vangelo. I dieci lebbrosi che rappresentano in qualche modo le trasgressioni fatte dagli uomini ai dieci comandamenti, scorgono il loro divino Medico e, ponendo subito in Lui ogni speranza:« Maestro, abbi pietà di noi! » gridano. La fede loro è operante,perché quando Cristo li mette alla prova dicendo: « Andate, mostratevi ai sacerdoti », essi vanno senza esitare e, andando, sono guariti. Ma questa guarigione è confermata da uno solo di quelli che tornò indietro per mostrare la sua riconoscenza a Gesù « Quando uno di essi si vide guarito, tornò sui suoi passi, glorificando Dio ad alta voce e cadendo con la faccia a terra ai piedi di Gesù, lo ringraziò ». Gesù allora gli disse: « Va, la tua fede ti ha salvato ». Questo mostra che è la fede in Gesù che salva le anime. Ora se è la fede in Gesù che salva le anime, la Chiesa ha precisamente da Gesù la missione di far penetrare nelle anime questa fede mediante la predicazione e la lettura. Questo passo del Vangelo ci indica anche l’espulsione dei Giudei che sono stati ingrati verso Colui che era venuto per guarirli, mentre i Gentili gli sono stati fedeli. Dei dieci lebbrosi infatti nove erano Giudei e uno solo non lo era, ed è a questo solo — che era Samaritano, e tornò indietro a ringraziare il Salvatore —che Gesù dice: La tua fede t’ha salvato. Da ciò si vede non essere soltanto ai figli d’Abramo secondo il sangue che è stata fatta questa promessa, ma ancora a tutti coloro i quali sono suoi figli perché partecipi della sua fede in Gesù Cristo. Infatti, è per questa fede che la promessa di vita eterna fatta ad Abramo si estende a tutti i popoli. Così l’Orazione della III Profezia del Sabato Santo dice che « col Battesimo, Dio, moltiplicando i figli della promessa stabilisce Abramo, suo servo, padre di tutte le genti secondo la profezia ». « Fate, soggiunge la quarta Orazione, che tutti i popoli della terra diventino figli d’Abramo e partecipino della grandezza toccata in sorte al popolo d’Israele». I Gentili occupano dunque il posto dei Giudei. « I nove, commenta S. Agostino, gonfi d’orgoglio, credevano di umiliarsi col ringraziare; e non ringraziando sono stati riprovati e rigettati dall’unità che si trova nel numero dieci (vi erano dieci lebbrosi), mentre l’unico che ringrazia è approvato dall’unica Chiesa. — Così per il loro orgoglio, i Giudei perdettero il regno dei cieli dove regna la più grande unità; mentre il Samaritano, sottomettendosi al re col suo ringraziamento, ha conservata l’unità del regno per la sua devozione. piena di umiltà» (Mattutino). I Giudei entreranno in massa nel regno dei cieli alla fine del mondo, allorché crederanno in Gesù, ed è a ciò cui fa allusione l’Introito quando essi chiedono che la loro esclusione dalla Chiesa non sia irrevocabile: « Ricordati, o Signore, della tua alleanza, non abbandonare le anime dei poveri alla fine.  Perché, o Dio, ci hai rigettati? Perché la tua collera si è accesa contro le pecore del tuo ovile? ». E la Chiesa chiede a Dio « d’essere propizio al suo popolo, e, placato dal sacrificio che gli viene offerto, di perdonare la sua ingratitudine » (Secr.). Quanto ai Gentili, essi dicono a Gesù che ripongono in Lui tutta la loro speranza (Off.) perché si è fatto loro rifugio di generazione in generazione (All.) e li nutre del suo pane celeste, come fece per gli Ebrei nel deserto, allorché dette la manna che conteneva ogni sapore ed ogni dolcezza (Com.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXXIII: 20; 19; 23
Réspice, Dómine, in testaméntum tuum, et ánimas páuperum tuórum ne derelínquas in finem: exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam, et ne obliviscáris voces quæréntium te.

[Signore, abbi riguardo al tuo patto e non abbandonare per sempre le anime dei tuoi poveri: sorgi, o Signore, difendi la tua causa e non dimenticare le voci di coloro che Ti cercano.]

Ps LXXIII: 1

Ut quid, Deus, reppulísti in finem: irátus est furor tuus super oves páscuæ tuæ?
[Perché, o Signore, ci respingi ancora? Perché arde la tua ira contro il tuo gregge?]

Réspice, Dómine, in testaméntum tuum, et ánimas páuperum tuórum ne derelínquas in finem: exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam, et ne obliviscáris voces quæréntium te.

[Signore, abbi riguardo al tuo patto e non abbandonare per sempre le ànime dei tuoi poveri: sorgi, o Signore, difendi la tua causa e non dimenticare le voci di coloro che Ti cercano.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, da nobis fídei, spei et caritátis augméntum: et, ut mereámur asséqui quod promíttis, fac nos amáre quod præcipis.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, aumenta in noi la fede, la speranza e la carità: e, affinché meritiamo di raggiungere ciò che prometti, fa che amiamo ciò che comandi.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti S. Pauli Apóstoli ad Gálatas.

[Gal. III: 16-22]

“Fratres: Abrahæ dictæ sunt promissiónes, et sémini ejus. Non dicit: Et semínibus, quasi in multis; sed quasi in uno: Et sémini tuo, qui est Christus. Hoc autem dico: testaméntum confirmátum a Deo, quæ post quadringéntos et trigínta annos facta est lex, non írritum facit ad evacuándam promissiónem. Nam si ex lege heréditas, jam non ex promissióne. Abrahæ autem per repromissiónem donávit Deus. Quid igitur lex? Propter transgressiónes pósita est, donec veníret semen, cui promíserat, ordináta per Angelos in manu mediatóris. Mediátor autem uníus non est: Deus autem unus est. Lex ergo advérsus promíssa Dei? Absit. Si enim data esset lex, quæ posset vivificáre, vere ex lege esset justítia. Sed conclúsit Scriptúra ómnia sub peccáto, ut promíssio ex fide Jesu Christi darétur credéntibus”.

[“Fratelli: Le promesse furono fatte ad Abramo ed alla sua discendenza. Non dice la scrittura: E ai suoi discendenti, come si trattasse di molti; ma come parlando di uno solo: E alla tua discendenza; e questa è Cristo. Ora, io ragiono così; un’alleanza convalidata da Dio non può, da una legge venuta quattrocento anni dopo, essere annullata, così da rendere vana la promessa. Poiché, se l’eredità viene dalla legge, non vien più dalla promessa. Ma Dio l’ha donata ad Abramo in virtù d’una promessa. Perché dunque la legge? È stata aggiunta in vista delle trasgressioni, finché non venisse la discendenza a cui era stata fatta la promessa, e fu promulgata per mezzo degli Angeli per mano di un mediatore. Ora non si dà mediatore di uno solo, e Dio è uno solo. Dunque la legge è contraria alle promesse di Dio? Niente affatto. Se fosse stata data una legge capace di procurarci la vita, allora, sì, la giustizia verrebbe dalla legge. Ma la Scrittura ha racchiuso tutto sotto il peccato, affinché la promessa, mediante la fede in Gesù Cristo, fosse data ai credenti»”.

UNO SGUARDO AL CROCIFISSO

S. Paolo aveva insegnato ai Galati che la giustificazione non dipende dalla legge di Mosè, ma dalla fede in Gesù Cristo, morto per noi in croce. Ma Gesù Crocifisso. dipinto tanto vivamente dall’Apostolo ai Galati, era stato ben presto dimenticato da essi, lasciatisi affascinare da coloro che insegnavano dover noi attendere la nostra salvezza dalla legge. S. Paolo, rimproverata la loro stoltezza, nota come Gesù, morendo sulla croce, maledetta dalla legge, libera i Giudei dalla maledizione, e conferisce a tutti, Giudei e Gentili, che si uniscono nella fede in Gesù Cristo, lo Spirito promesso. Passa poi a far osservare come vediamo nell’epistola di quest’oggi, che la promessa dei beni celesti, fatta ad Abramo e alla sua discendenza. cioè al Cristo, nel quale si sarebbero unite tutte le nazioni a formare un solo popolo, essendo incondizionata, fatta ad Abramo direttamente da Dio, e da Dio confermata, aveva tutto il carattere d’un patto irremissibile. Non poteva, quindi, venir indebolita o modificata dalla legge di Mosè venuta 430 anni dopo, con un contratto temporaneo. La legge, del resto, non escludeva la promessa, dal momento che essa non poteva giustificare e dare la vita, come fa la promessa. E neppure fu inutile; perché, facendo conoscere i numerosi doveri da compiere, senza porgere l’aiuto necessario, metteva l’uomo nella condizione di dover sperimentare tutta la propria debolezza e di sentir la necessità d’un Redentore; e di riconoscere, per conseguenza, che le celesti benedizioni non possono essere effetto della legge, ma della promessa, e che non si ottengono che con la fede in Gesù Cristo. Gesù Cristo, che morendo in croce, adempie le promesse fatte da Dio, sarà l’argomento di questa mattina. – Gesù Cristo Crocifisso, così presto dimenticato dai Galati, fermi la nostra attenzione.

 [A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]

Graduale

Ps LXXIII:20; 19; 22.

Réspice, Dómine, in testaméntum tuum: et ánimas páuperum tuórum ne obliviscáris in finem.
[Signore, abbi riguardo al tuo patto: e non dimenticare per sempre le ànime dei tuoi poveri.]

Exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam: memor esto oppróbrii servórum tuórum. Allelúja, allelúja
[V. Sorgi, o Signore, e difendi la tua causa e ricordati dell’oltraggio a Te fatto. Allelúia, allelúia].

Alleluja

Ps LXXXIX: 1
Dómine, refúgium factus es nobis a generatióne et progénie. Allelúja.

[O Signore, Tu fosti il nostro rifugio in ogni età. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XVII: 11-19


In illo témpore: Dum iret Jesus in Jerúsalem, transíbat per médiam Samaríam et Galilaeam. Et cum ingrederétur quoddam castéllum, occurrérunt ei decem viri leprósi, qui stetérunt a longe; et levavérunt vocem dicéntes: Jesu præcéptor, miserére nostri. Quos ut vidit, dixit: Ite, osténdite vos sacerdótibus. Et factum est, dum irent, mundáti sunt. Unus autem ex illis, ut vidit quia mundátus est, regréssus est, cum magna voce magníficans Deum, et cecidit in fáciem ante pedes ejus, grátias agens: et hic erat Samaritánus. Respóndens autem Jesus, dixit: Nonne decem mundáti sunt? et novem ubi sunt? Non est invéntus, qui redíret et daret glóriam Deo, nisi hic alienígena. Et ait illi: Surge, vade; quia fides tua te salvum fecit.” 
 

[“In quel tempo andando Gesù in Gerusalemme, passava per mezzo alla Samaria e alla Galilea. E stando por entrare in un certo villaggio, gli andarono incontro dieci uomini lebbrosi, i quali si fermarono in lontananza, e alzarono la voce dicendo: Maestro Gesù, abbi pietà di noi. E miratili, disse: Andate, fatevi vedere da’ sacerdoti. E nel mentre che andavano, restarono sani. E uno di essi accortosi di essere restato mondo, tornò indietro, glorificando Dio, ad alta voce: e si prostrò per terra ai suoi piedi, rendendogli grazie: ed era costui un Samaritano. E Gesù disse: Non sono eglino dieci que’ che son mondati? E i nove dove Sono? Non si è trovato chi tornasse, e gloria rendesse a Dio, salvo questo straniero. E a lui disse: Alzati, vattene, la tua fede ti ha salvato”]

OMELIA

DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

[Vol. IV, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933

Visto nulla osta alla stampa, Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.

Proprietà della traduzione (23-XI-07-10- 29-XII-32-15).]

Sull’Assoluzione.

Quorum remiseritis peccata, remittuntur eis; et quorum retinueritis retenta sunt.

(JOAN. XX, 23).

Quanto è costato, F. M., al divin Salvatore il dar efficacia a queste parole: “Saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete, e ritenuti a chi li riterrete! „ Ahimè! quanti tormenti, quanti obbrobri, qual morte dolorosa!… Ma noi siamo così ciechi, così grossolani, così poco spirituali, che la maggior parte di noi, crede che spetti solo al sacerdote concedere o rifiutare l’assoluzione, a suo piacimento. No, F. M., ci inganniamo assai: il ministro del sacramento della Penitenza non è che il dispensatoredelle grazie e dei meriti di Gesù Cristo (1 Cor. IV, 1) e non può dispensarli che secondo regole prescritte. Ahimè! da qual terrore deve esser preso un povero sacerdote, che esercita un ministero così formidabile, in cui corre grave pericolo di perder se stesso volendo salvare gli altri. Qual terribile rendiconto dovrà dare il sacerdote, quando verrà il dì del giudizio, e da Dio stesso gli verran messe davanti agli occhi tutte le assoluzioni impartite, per esaminare se fu troppo prodigo delle grazie del cielo o troppo avaro. Davvero, F. M., che è assai difficile adempiere sempre bene il proprio dovere!… Quanti sacerdoti, nel dì del giudizio, desidereranno non essere stati sacerdoti, ma semplici laici! Quanti fedeli pure si riconosceranno colpevoli, perché, forse, non pregarono mai Dio pei loro pastori, che si sono esposti al pericolo di perdersi per salvarli!… Ma se un sacerdote ha il potere di rimettere i peccati, ha pure quello di ritenerli; e S. Gregorio il Grande ci dice che un sacerdote deve esaminar bene le disposizioni del peccatore, prima di dargli l’assoluzione. Deve vedere se il suo cuore è cambiato, se ha davvero tutte le disposizioni, che deve avere un peccatore convertito. È quindi evidente che il ministro della Penitenza deve differire o rifiutare l’assoluzione a certi peccatori, sotto pena di dannare se stesso insieme col penitente. Vi mostrerò dunque, o vi insegnerò: 1° che cos’è l’assoluzione; 2° quali sono coloro ai quali si deve concederla o rifiutarla: argomento ben interessante, poiché trattasi della vostra salvezza o perdizione. Quanto l’uomo è fortunato, F. M., ma quanto altresì è colpevole! Dissi che è fortunato, poiché dopo aver perduto il suo Dio, il cielo e l’anima, può ancora sperare di trovar mezzi facili per riparare una perdita grande, quale è quella d’una felicità eterna. Il ricco che ha perduto le sue sostanze, spesso non può ricuperarle, malgrado ogni suo buon volere; ma se il Cristiano ha perduto la propria felicità eterna, può riacquistarla senza, per così dire, far fatica. Mio Dio! quanto amate i peccatori, poiché date ad essi tanti mezzi di ricuperare il cielo! Vi assicuro che siamo ben colpevoli disprezzando tutti questi mezzi, mentre possiamo con essi conseguire tanti beni. Avete perduto il cielo, amico mio, e perché volete vivere in tanta povertà? Mio Dio! l’uomo peccatore può davvero riparare la sua sventura!… e ha mezzi assai facili a sua portata!

I. — Se mi domandate che cos’è l’assoluzione, vi dirò che è una sentenza che il sacerdote pronuncia, in nome e coll’autorità di Gesù Cristo, e per la quale i nostri peccati vengono così rimessi, così cancellati, come se non li avessimo mai commessi, purché chi si confessa, abbia le disposizioni richieste dal Sacramento. Ah! F. M., chi di noi non vorrà ammirare l’efficacia di questa sentenza di misericordia? O momento felice per un peccatore convertito!… Appena il ministro ha pronunciato le parole: “Io ti assolvo, „ l’anima è lavata, purificata da tutte le sue lordure pel Sangue prezioso che scorre su di essa. Mio Dio! quanto siete buono col peccatore!… Inoltre, F. M., la povera anima nostra è strappata dalla tirannia del demonio e ristabilita nell’amicizia e nella grazia del suo Dio; riacquista la pace, quella pace sì preziosa, che forma tutta la felicità dell’uomo in questo mondo e nell’altro; le vien restituita l’innocenza, con tutti i diritti al regno di Dio, che i peccati le avevano rapito. Ditemi. F. M., non dobbiamo essere inteneriti e commossi sino alle lagrime alla vista di tante meraviglie? Avreste potuto pensare che ogni qual volta il peccatore riceve l’assoluzione gli siano accordati tutti questi beni? Ma tutto ciò non è dato e non dev’esser dato che a quelli che se lo meritano, cioè, che sono peccatori è vero, ma peccatori convertiti, che sentono dispiacere della loro vita passata, non solo perché hanno perduto il cielo, ma perché oltraggiarono Colui che merita d’essere infinitamente amato.

II. — Se desiderate sapere quando vi si debba differire o rifiutare l’assoluzione, eccolo: ascoltate bene, ed imprimetevelo nel cuore, affinché ogni volta che andrete a confessarvi possiate conoscere se meritate d’essere assolti o rimandati. Io trovo otto ragioni, che debbono indurre il Sacerdote a differirvi l’assoluzione; è la Chiesa stessa che ha dato queste regole, sulle quali il sacerdote non deve transigere; se le trascura, sventura a lui ed a quelli che dirige: è un cieco che fa da guida ad un altro cieco, tutti e due precipiteranno nell’inferno (Matt. XV, 14). E dovere del ministro di Dio di ben applicare queste regole, ed il vostro è di non mormorare quando vi si nega l’assoluzione. Se un sacerdote ve la rifiuta, è perché vi ama, e desidera davvero di salvar l’anima vostra; e voi non lo conoscerete che al dì del giudizio: allora vedrete che era solo il desiderio di condurvi al cielo che l’ha indotto a differirvi l’assoluzione. Se ve l’avesse accordata, come desideravate, sareste dannato. Non dovete adunque, F. M., mormorare quando un sacerdote non vi dà l’assoluzione; al contrario, dovete ringraziarne il buon Dio, ed adoperarvi con tutte le vostre forze per meritarvi questa fortuna. Vi dico, 1°, che non meritano l’assoluzione quelli che non sono abbastanza istruiti: il sacerdote non deve e non può darla a costoro senza rendersi colpevole, perché ogni Cristiano è obbligato di conoscere Gesù Cristo, i suoi misteri, la sua dottrina, le sue leggi ed i Sacramenti. S. Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano, ci dice espressamente che non si deve dar l’assoluzione a chi non conosce i misteri principali della nostra santa fede e gli obblighi particolari del proprio stato: “Specialmente, ci dice, quando si capisce che la loro ignoranza deriva dalla indifferenza per la propria salvezza.„ Le leggi della Chiesa proibiscono di dare l’assoluzione ai padri ed alle madri, ai padroni e padrone che non istruiscono i loro figli o domestici, o non li fanno istruire da altri intorno a ciò che è necessario per salvarsi; che non sorvegliano la loro condotta; che trascurano di correggerli dei loro disordini e difetti. Dirvi che non merita l’assoluzione chi non sa quanto è necessario per salvarsi, è come dicessi a qualcuno, che egli è nel precipizio, e non gli offrissi i mezzi di uscirne. Vi mostrerò dunque ciò che dovete sapere per uscire da questo abisso d’ignoranza: imprimetevelo bene nel cuore, affinché non si cancelli mai più, per insegnarlo ai vostri figli, e questi ad altri. Ripeto, F. M., quanto già vi dissi più volte: un Cristiano deve sapere il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo, il Confiteor, gli atti di Fede, Speranza e Carità, i Comandamenti della legge di Dio, i precetti della Chiesa, e l’atto di Contrizione. E non intendo dire soltanto le parole; poiché bisognerebbe esser estremamente ignoranti per non saperle, ma occorre anche, se foste interrogati, che possiate dare la spiegazione di ogni articolo in particolare, chiarendone il significato. Questo vi si domanda, e non che sappiate soltanto le parole. Dovete sapere che il Pater noster è stato composto da Dio stesso; che l‘Ave Maria fu composta, parte dall’Angelo quando si presentò alla Ss. Vergine ad annunciarle il mistero dell’Incarnazione (Luc. I, 28), e l’altra parte dalla Chiesa; che il Credo fu composto dagli Apostoli dopo la discesa dello Spirito Santo, prima di disperdersi pel mondo; perciò avviene che in tutte le regioni del mondo è insegnata la medesima Religione cogli stessi misteri. Esso contiene il compendio di tutta la nostra santa Religione, il mistero della Ss. Trinità, cioè un Dio solo in tre Persone: il Padre che ci ha creati, il Figliuolo che ci ha redenti coi suoi patimenti e morte, e lo Spirito Santo che ci ha santificati nel Battesimo. Quando dite : “Credo in Dio Padre onnipotente, creatore, ecc.„ è come se diceste: Credo che l’eterno Padre ha creato tutte le cose, i nostri corpi e le nostre anime, che il mondo non è sempre stato, non durerà sempre, che un giorno tutto sarà distrutto… “Credo in Gesù Cristo ,, è come se diceste: Credo che Gesù Cristo, la seconda Persona della Ss. Trinità, si è fatto uomo, ha patito, è morto per redimerci, per meritarci il cielo, che il peccato di Adamo, ci aveva rapito. “Credo nello Spirito Santo, nella S. Chiesa cattolica, ecc. „ è come se diceste: Credo che v’è una sola Religione, che è quella della Chiesa, che Gesù Cristo stesso l’ha fondata, e le ha affidato tutte le sue grazie, che tutti coloro che non sono in questa Chiesa non si salveranno, e che essa durerà fino alla fine del mondo. Quando dite: “Credo nella comunione dei santi, „ è come se diceste: Credo che tutti i Cristiani si mettono vicendevolmente a parte del merito delle loro preghiere, di tutte le loro opere buone; credo che i santi che sono in cielo preghino Dio per noi, e che noi possiamo pregare per quelli che trovansi nelle fiamme del Purgatorio. Quando dite: “Credo nella remissione dei peccati, „ è come se diceste: Credo che vi è nella Chiesa di Gesù Cristo un Sacramento, il quale rimette ogni sorta di peccati, e che non vi sono peccati che la Chiesa di Gesù Cristo non possa rimettere. Dicendo; “Credo la risurrezione della carne, „ vogliamo dire che gli stessi corpi che abbiamo ora, un giorno risusciteranno, che le anime nostre si congiungeranno ad essi per andare insieme in cielo, se avremo la fortuna di aver servito bene il buon Dio, o per andare insieme all’inferno ad abbruciarvi per tutta l’eternità, se… dicendo: “Credo la vita eterna, „ è come se diceste: Credo che l’altra vita non finirà mai, che l’anima nostra durerà quanto Dio stesso, cioè senza fine. Quando dite: “D’onde verrà a giudicare i vivi ed i morti,„ è come se diceste: Credo che Gesù Cristo è nel cielo in corpo ed anima, e che Lui stesso verrà a giudicarci, a ricompensare chi avrà fatto bene, e punire chi l’avrà disprezzato. – Bisogna anche sapere che i Comandamenti della legge di Dio furon dati ad Adamo quando fu creato, cioè che Dio li scolpì nel suo cuore; e, dopo che Adamo peccò, Dio li diede a Mosè (Esod. XXXI, 18) scritti su tavole di pietra, sul monte Sinai. E questi stessi, Dio medesimo confermò quando venne sulla terra per salvarci. Inoltre dovete sapere i tre atti di Fede, Speranza e Carità. E intendo ancora che non dovete sapere semplicemente le parole: chi non le sa? Ma il senso di questi atti. La fede ci fa credere tutto ciò che la Chiesa ci insegna, quantunque non possiamo comprenderlo; ci fa credere che Dio ci vede, che veglia alla nostra conservazione, che ci premierà o ci punirà, secondo che avremo fatto bene o male; che v’è un cielo per i buoni, ed un inferno per i cattivi; che Dio ha sofferto ed è morto per noi. La speranza ci induce a fare tutte le nostre azioni coll’intenzione di piacere a Dio, perché verranno ricompensate durante un’eternità. Dobbiamo credere che né la fede né la speranza saranno più necessarie in cielo, o meglio, non vi sarà più né fede né speranza: non avremo più nulla da credere, perché non vi saranno più misteri; nulla da sperare perché vedremo quanto abbiamo creduto, e possederemo quanto abbiamo sperato; non vi sarà più che l’amore che ci consumerà per tutta l’eternità: e ciò formerà tutta la nostra felicità. – In questo mondo, l’amor di Dio consiste nell’amare il buon Dio al disopra di ogni cosa creata, nel preferirlo a tutto, anche alla nostra vita. Ecco, F. M., che cosa significa sapere il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo, il Confiteor, i Comandamenti, i tre atti di Fede, di Speranza e di Carità. Se non sapete ciò, non conoscete quanto è necessario per salvarvi; bisogna almeno che. interrogati su quanto vi dissi, sappiate rispondere. E qui non è ancora tutto: bisogna che conosciate il mistero dell’incarnazione, e che cosa vuol dire la parola incarnazione. È necessario sapere che questo mistero ci propone da credere che la seconda Persona della Ss. Trinità ha preso un corpo come il nostro nel seno della Ss. Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo. Noi onoriamo questo mistero il 25 di Marzo, giorno dell’Annunciazione, perché in tal giorno il Figliuol di Dio ha unito, ha congiunto la sua divinità alla nostra umanità; si è fatto uomo come noi, ad eccezione del peccato, e si è caricato di tutti i nostri peccati per soddisfare alla giustizia del Padre suo. Occorre sapere che Gesù Cristo è nato il 25 Dicembre, a mezzanotte, il giorno di Natale. Sapere che in tal giorno si dicono tre Messe per onorare le tre nascite di Gesù Cristo: la prima nel seno dell’Eterno Padre, sin dall’eternità; la seconda, quella corporale nel presepio, e la terza, quella nelle anime nostre colla santa comunione. Bisogna altresì sapere che nel Giovedì Santo Gesù Cristo istituì l’adorabile Sacramento dell’Eucaristia (Luc. XXII). La sera avanti la sua morte, circondato da’ suoi apostoli, prese del pane, lo benedisse, lo mutò nel suo Corpo. Prese del vino con un po’ d’acqua, lo mutò nel suo Sangue, e diede a tutti i sacerdoti, nella persona degli Apostoli, il potere di fare lo stesso miracolo ogni volta che pronunciassero le medesime parole: il che avviene nella santa Messa quando il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione. Bisogna sapere che Gesù Cristo morì nel Venerdì Santo, e morì come uomo e non come Dio , perché come Dio non poteva morire; che risuscitò nel giorno santo di Pasqua, cioè che la sua Anima si riunì al Corpo; e che dopo essersi fermato quaranta giorni sulla terra salì al cielo nel giorno dell’Ascensione (Act. I, 3-9); che lo Spirito Santo discese sugli Apostoli il giorno di Pentecoste. Se venite interrogati e domandati quando furono istituiti i Sacramenti da Gesù Cristo o quando ebbero il loro effetto, cioè poterono comunicarci le grazie, dovete saper rispondere che fu solo dopo la Pentecoste. — Se vi si domandasse chi li ha istituiti, dovete sapere spiegare che Gesù Cristo solo poté farlo: non la Ss. Vergine né gli Apostoli. Dovete sapere quanti sono, quali gli effetti di ognuno, e quali disposizioni occorrono per riceverli; dovete sapere che il Battesimo cancella il peccato originale, cioè il peccato di Adamo, che noi tutti portiamo venendo al mondo; che quello della Confermazione ci vien conferito dal Vescovo, e ci dà lo Spirito Santo colla abbondanza delle sue grazie e de’ suoi doni; che quello della Penitenza lo riceviamo ogni qual volta ci confessiamo, e che mentre il sacerdote ci dà l’assoluzione, se siamo ben disposti, tutti i nostri peccati vengono rimessi. Nella santa Eucaristia riceviamo, non la Vergine Ss., né gli Apostoli od i santi, ma il Corpo adorabile ed il Sangue prezioso di Gesù Cristo. Col Figliuolo, in quanto Dio, riceviamo le altre Persone della Ss. Trinità, il Padre e lo Spirito Santo; e in quanto uomo, riceviamo appena il Figliuolo, cioè il suo Corpo e l’Anima uniti alla Divinità. — Il sacramento dell’Estrema Unzione è quello che ci aiuta a ben morire, ed è istituito per purificarci dai peccati commessi con tutti i nostri sensi. Quello dell’Ordine comunica agli uomini il medesimo potere che il Figlio di Dio diede a’ suoi Apostoli. Questo sacramento fu istituito quando Gesù Cristo disse agli Apostoli: “Fate questo in memoria di me (Luc. XXII, 19), ed ogni volta che pronuncerete queste parole opererete il medesimo miracolo.„ Il sacramento del Matrimonio santifica i Cristiani che si uniscono insieme, secondo le leggi della Chiesa e dello Stato. Vi è però una differenza tra il sacramento dell’Eucaristia e gli altri. Nell’Eucaristia riceviamo il Corpo adorabile ed il Sangue prezioso di Gesù Cristo, mentre negli altri non riceviamo che l’applicazione dei meriti del suo Sangue prezioso. Inoltre alcuni si chiamano Sacramenti dei morti, altri Sacramenti dei vivi. Ecco perché si dice che il Battesimo, la Penitenza ed alcune volte l’Estrema Unzione sono sacramenti dei morti: perché quando li riceviamo l’anima nostra è morta agli occhi di Dio per i peccati; questi sacramenti risuscitano l’anima nostra alla grazia; gli altri invece sono sacramenti dei vivi…, perché per riceverli bisogna essere in istato di grazia di Dio, cioè non aver peccati sull’anima. Si deve ancora sapere che quando Gesù Cristo ha sofferto sulla croce, né il Padre né lo Spirito Santo hanno sofferto o sono morti, ma solo il Figliuolo patì e morì, come uomo e non come Dio. Ebbene! F. M., se vi avessi interrogati, avreste voi risposto a tutto ciò? Ebbene, se non sapete quanto vi dissi, non siete istruiti sufficientemente per salvarvi. Ho detto che i padri e le madri, i padroni e le padrone debbono per salvarsi essere istruiti di quanto riguarda la loro condizione. Il padre, la madre, il padrone, la padrona devono conoscere tutti gli obblighi da adempiere verso i figli e domestici: devono cioè conoscere perfettamente la religione per insegnarla agli altri; diversamente sono poveri disgraziati e finiscono tutti all’inferno. Ahimè! quanti padri e quante madri, quanti padroni e padrone vi sono che non conoscono neppure la religione e che insieme ai lor figli e domestici marciscono in un’ignoranza crassa, e non aspettano che la morte per gettarsi nell’inferno! S. Paolo ci dice che chi ignora i propri obblighi merita d’essere ignorato da Dio (1Cor. XIV, 38) . Converrete con me, dunque, che tutte queste persone sono indegne di ricevere l’assoluzione, e che se hanno la disgrazia di riceverla, essa è un sacrilegio che viene a pesare sulla povera anima loro. Mio Dio! quanti vanno perduti per la loro ignoranza! Possiamo essere sicuri che questo solo peccato ne dannerà più che tutti gli altri insieme, perché una persona ignorante non conosce né il male che fa peccando, né il bene che perde: cosicché un ignorante è una persona perduta!

2° Dico inoltre che bisogna differire l’assoluzione a chi non dà segno di pentimento, cioè di dolore dei peccati commessi. Anzitutto, l’esperienza ci insegna che non dobbiamo affatto fidarci di tutte le promesse e proteste che si fanno. Tutti dicono che sono dolenti d’aver offeso il buon Dio, che vogliono correggersi davvero, e che si confessano appunto per questo. Il sacerdote, credendoli sinceri, li assolve: che avviene di queste risoluzioni? Eccolo: otto giorni dopo dimenticano tutte le promesse, e ” ritornano al vomito, „ (II Piet. III, 22), cioè alle loro cattive abitudini. Così tutte le proteste non sono certamente prove sufficienti di conversione. Gesù Cristo ci dice che “solo dal frutto si conosce l’albero;„ (Matt. XII, 33), così, solo dal cambiamento di vita si conosce se v’era la contrizione necessaria per essere degni dell’assoluzione. Quando si ha davvero rinunciato ai propri peccati, non basta piangerli, bisogna anche rinunciare, abbandonare e fuggire quanto può indurvici: cioè esser disposti a tutto soffrire piuttosto che ricadere nei peccati che abbiamo confessati. Si deve adunque vedere in noi un cambiamento completo, senza del quale non abbiamo meritata l’assoluzione, e v’è ragione di credere che abbiamo commesso un sacrilegio. Ahimè! come sono poco numerosi coloro in cui si vede questo cambiamento dopo ricevuta l’assoluzione!… Mio Dio! quanti sacrilegi adunque! … Ah! se almeno ogni trenta assoluzioni ve ne fosse una buona, il mondo sarebbe presto convertito! Non merita dunque l’assoluzione chi non dà sufficienti segni di conversione. Ma costoro, purtroppo, d’ordinario non ritornano più quando furon rimandati. Essi fanno ciò appunto perché non hanno intenzione di convertirsi, giacché diversamente invece di aspettare un’altra Pasqua, avrebbero fatto di tutto per cambiar vita, e riconciliarsi con Dio.

3° In terzo luogo dico che si deve rifiutare l’assoluzione a chi conserva odio, risentimento nel cuore, a chi rifiuta di perdonare o di fare i primi passi per riconciliarsi; cosicché, F. M., bisogna guardarsi dal ricevere l’assoluzione quando si ha qualche rancore contro il prossimo. Dopo aver avuto con esso qualche contrarietà, bisogna sentirsi così ben disposti a rendergli servizio, come se per il passato non aveste ricevuto da lui altro che bene. Se vi accontentate di dire che non gli volete male, ma che lo trascurate, che non lo salutate con garbo, che evitate la sua compagnia, preferendone altre, voi non lo amate quanto dovete, perché il buon Dio vi perdoni i vostri peccati. Dio vi perdonerà nella misura che voi perdonerete al prossimo, e sinché avrete risentimento nel cuore contro di esso, ciò che di meglio possiate fare è procurare di sradicarlo; poi riceverete l’assoluzione. So benissimo che si può, anzi si deve evitare ogni compagnia che possa esporci al pericolo di litigare con l’uno o con l’altro, e la famigliarità di coloro che continuamente mormorano dei vicini. Ecco come bisogna regolarsi con queste persone: frequentarle solo quand’è necessario; non volere loro male e neppure sparlarne; accontentarsi di pregare il buon Dio per loro. Ascoltate quanto ci dice Gesù Cristo nel Vangelo: “Se, mentre sei per presentare la tua offerta all’altare, ti ricordi che il fratello tuo abbia qualche cosa contro di te, o che tu l’hai offeso, lascia la tua offerta, e va prima a riconciliarti col fratello. „ (Matt. V, 23) — “Un giudizio severo, scrive S. Giacomo, è riservato a chi non avrà avuto misericordia col fratello. „ (Giac. II, 13). Voi comprendete ora, al par di me, o F. M., che ogni qual volta abbiamo animosità contro alcuno, non dobbiamo ricevere l’assoluzione, perché sarebbe come esporci a commettere sacrilegio, ciò che è la più grande di tutte le disgrazie.

4° Aggiungo in quarto luogo, che vanno trattati alla stessa maniera coloro che hanno recato qualche torto al prossimo e rifiutano di riparare il male fatto o nella persona o nella roba; non si può neanche dare l’assoluzione in punto di morte a chi ha dello restituzioni da fare, e ne lascia la cura agli eredi. Tutti i Padri della Chiesa dicono che non v’è perdono, né speranza di salvezza per chi tiene roba d’altri, e potrebbe, e non vuol restituirla.

5° In quinto luogo si deve ricusare l’assoluzione a coloro che sono nell’occasione prossima di peccato, e rifiutano di uscirne. Si chiama occasione prossima di peccato tutto quanto può indurci ordinariamente a commetterlo, come spettacoli, balli, danze, libri cattivi, conversazioni disoneste, canzoni oscene, pitture indecenti, abbigliamento immodesto, cattive compagnie, il frequentar persone di sesso diverso, le relazioni con persone colle quali già altra volta si è peccato, ecc. Così pure i mercanti che non sanno vendere senza mentire o bestemmiare, gli osti che danno da bere agli ubbriaconi, ovvero durante le sacre funzioni, o di notte: come anche i domestici sollecitati al male da qualcuno della casa. A tutti costoro il sacerdote non deve e non può, senza suo danno, dare l’assoluzione, a meno che promettano di lasciar tali abitudini e di rinunciare a tutto ciò che li può indurre al peccato, o ne offre loro occasione. Altrimenti, ricevendo l’assoluzione. fanno senza dubbio un sacrilegio.

6° In sesto luogo deve negarsi l’assoluzione agli scandalosi, che colle loro parole, con consigli ed esempi perniciosi inducono gli altri al peccato; tali sono i cattivi Cristiani che mettono in derisione la parola di Dio e chi l’annunzia, sia il loro pastore oppure altro sacerdote; che motteggiano la religione, la pietà e le cose sante; che fanno discorsi contrari alla fede od ai buoni costumi; che nelle loro case tengono veglie, danze profane, giuochi proibiti; che conservano pitture disoneste, indecenti, o libri cattivi; così pure le persone che s’abbigliano coll’intenzione di piacere, che coi loro sguardi e modi procaci fanno rimettere col cuore tante fornicazioni ed adulteri. Un confessore, dice S. Carlo, deve rifiutare l’assoluzione a tutti costoro, poiché sta scritto : “Guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo „. (Matt. XVIII, 7).

7° In settimo luogo si deve rifiutare l’assoluzione, ovvero differirla, ai peccatori abitudinari, che ricadono da lungo tempo nelle medesime colpe, e fanno nulla o ben poco per correggersi. Di questo numero sono coloro che hanno l’abitudine di mentire ad ogni momento, non se ne fanno scrupolo, si divertono anzi a dir menzogne per far ridere gli altri; quelli che mormorano facilmente del prossimo ed hanno sempre alcunché da dire sul suo conto; quelli che hanno spesso sulle labbra parole di giuramento con leggera offesa del nome di Dio; quelli che hanno l’abitudine di mangiare ad ogni ora, anche senza bisogno; che s’impazientano ad ogni momento, per un nonnulla; che mangiano e bevono eccessivamente; coloro che non fanno sforzo abbastanza per correggersi dei pensieri d’orgoglio, di vanità, o dei pensieri contrari alla purezza; infine si dovrà rifiutare l’assoluzione a tutti coloro che non accusano da sé i loro peccati, che aspettano, per così dire, che il confessore li interroghi. Non tocca al sacerdote, ma tocca a voi di confessare i vostri peccati; se il sacerdote vi fa qualche domanda è per supplire a quanto non avreste potuto conoscere. — Ahimè! a tanti si deve, per così dire, strappare i peccati dal fondo del cuore; e ve ne sono di quelli che disputeranno perfino col confessore, volendo provare che non hanno fatto un gran male. È evidente che costoro non son degni di ricevere l’assoluzione, e non hanno le disposizioni che necessariamente richiede questo Sacramento, perché non sia profanato. Tutti i Padri della Chiesa sono d’accordo su questo punto, che quando non vi è cambiamento, né emendazione in chi si confessa, la sua penitenza è falsa ed ingannevole. Il santo Concilio di Trento ci ordina di non dare l’assoluzione che a quelli nei quali si vede la cessazione dal peccato, l’odio e la detestazione del passato, il proposito e l’inizio d’una vita nuova. Ecco, F. M., le regole dalle quali un confessore non può allontanarsi senza perdere se stesso ed i penitenti. Ma vediamo ora le ragioni che si mettono innanzi, per indurre il confessore a dare l’assoluzione. – Gli uni dicono che il non dare l’assoluzione a chi si confessa frequentemente è distruggere la religione, far apparire troppo difficile il compiere quanto essa comanda; è scoraggiare i peccatori ed esser causa che abbandonino la via del bene; è lo stesso che mandarli all’inferno; che molti altri confessori sono più accondiscendenti; che si avrebbe almeno la consolazione di vedere in parrocchia far la Pasqua un gran numero di persone, le quali ogni anno tornerebbero volentieri a confessarsi; che pretendendo troppo, non si ottiene nulla. F. M., quelli che ragionano così sono: 1° coloro che non meritano l’assoluzione. Ma, amici miei, fin dal principio della Chiesa tutti i Padri hanno seguito questa regola: che bisogna assolutamente aver lasciato il peccato per ricevere degnamente l’assoluzione. Questo rifiuto non sembra duro che ai peccatori impenitenti; questa regola non può dispiacere che a coloro i quali non pensano a convertirsi. Che cosa si ricava, F. M., da queste assoluzioni precipitate? Lo sapete benissimo anche voi. Ahimè! una catena di sacrilegi. Appena assolti, ricadete negli antichi peccati; la facilità con la quale avevate ottenuto il perdono, vi ha fatto sperare che l’otterrete ancora, del pari, facilmente, ed avete continuata la medesima vita; mentre se vi si fosse rifiutata l’assoluzione subito, sareste rientrati in voi stessi, avreste aperto gli occhi sulla vostra disgrazia, dalla quale forse non vi libererete mai più. La vostra povera vita non è che una serie di assoluzioni e di ricadute. Mio Dio, quale sventura! Ecco dove vi conduce la dolorosa facilità di assolvervi. Non è piuttosto crudeltà darvi l’assoluzione, che rifiutarvela, quando non siete disposti a riceverla? S. Cipriano ci dice che un prete deve stare alle regole della Chiesa, ed aspettare che il penitente dia segni certi che il suo cuore è cambiato e che comincia a condurre una vita diversa da quella che menava prima di confessarsi, perché Gesù Cristo stesso, che è Dio e padrone della grazia, non ha accordato il perdono che ai veri penitenti: accolse il buona ladrone, la cui conversione era sincera, ma respinse il cattivo, per la sua impenitenza. Perdonò a S. Pietro, di cui conosceva il dolore, ma abbandonò Giuda, il cui pentimento era falso. Quale disgrazia pel sacerdote e pel penitente, se il confessore gli dà l’assoluzione quando egli non la merita! Se mentre il ministro dice al penitente: Io ti assolvo; Gesù Cristo invece gli dice: Io ti condanno… Ahimè! quanto il numero di costoro è grande, poiché sono pochi quelli che abbandonano il peccato dopo ricevuta l’assoluzione, e cambiano vita. Tutto questo è vero, soggiungerete voi: ma che si dirà di me, dopo avermi più volte visto a confessarmi, non vedendomi far la comunione? Si crederà ch’io conduca una vita scorretta; d’altra parte, conosco altri, più peccatori di me, che pure furono assolti: voi avete assolto il tale, che ha mangiato di grasso con me, che, al pari di me, andò in giorno di domenica … — La coscienza di colui non è la vostra: se egli ha fatto male, non si deve seguirlo. Forse, per salvar le apparenze, vorreste dannarvi commettendo un sacrilegio? Non sarebbe quella la maggiore sventura? Credete che vi si faccia osservazione, perché foste visto a confessarvi più volte senza comunicarvi. Ah! amico mio, temete piuttosto lo sguardo irato di Dio, alla cui presenza avete fatto il male, e non badate a tutto il resto. Dite che ne conoscete di più colpevoli di voi, che pure furono assolti. Che ne sapete voi? Forse è venuto un angelo a dirvi che Dio non li ha cambiati e convertiti? E quand’anche non fossero convertiti, volete far il male, anche voi, perché essi lo hanno fatto? Vorreste dannarvi perché gli altri si dannano? Mio Dio! quale spaventevole linguaggio! — Ma, soggiungono costoro, che non solo non sono convertiti, ma che non desiderano nemmeno di convertirsi, e soltanto bramano di salvare le apparenze, quando dovremo venire per comunicarci? non vorremmo attender troppo. — Quando dovrete venire a comunicarvi? Ascoltate S. Giovanni Crisostomo: egli stesso ci insegnerà quando dovrete venire. Forse a Pasqua, a Pentecoste, a Natale? No, vi dice. Forse in punto di morte? No, vi dice ancora. Quando adunque? Quando, vi dice, avrete rinunciato seriamente al peccato, e sarete risoluti di non più cadervi, coll’aiuto della grazia di Dio; quando avrete restituito ciò che non è vostro; quando vi sarete riconciliati col vostro nemico; insomma quando vi sarete convertito davvero. — Altri peccatori ci diranno: Se siete così severo, andremo da altri, che ci assolveranno. Sono già venuto tante volte; ho ben altro da fare che andar avanti ed indietro; torno da tanto tempo, vedo bene che non volete saperne di me. Del resto, che male ho dunque fatto? — Andrete a trovarne un altro, amico mio, siete padrone d’andar ove meglio vi piace; ma credete voi che un altro avrà volontà di dannarsi più che non l’abbia io? no, senza dubbio. Se egli vi assolve è perché non vi conosce abbastanza. Volete sapere chi è colui il quale parla in tal modo, e cerca altrove una assoluzione? Ascoltate e tremate. E colui che abbandona la guida che può condurlo a salvamento, per cercare un passaporto per andar diritto all’inferno. — Ma, mi direte, son già tante volte che vengo. — Ebbene, amico mio, correggetevi, e vi assolverò la prima volta che ritornerete. — E già gran tempo, direte, ch’io non ritorno. — Tanto peggio per voi solo, amico mio. Non ritornando più, camminate a passi da gigante sulla via dell’inferno. Vi sono alcuni così ciechi da credere che il confessore non li assolve perché porta loro astio. Senza dubbio, amico mio, egli è irritato con voi, ma solo perché vuole la salvezza dell’anima vostra. Per questo non vuol darvi una assoluzione, che lungi dal salvarvi vi dannerebbe per tutta l’eternità. — Ma, dite voi, che gran male ho dunque fatto? non ho né ammazzato né rubato… — Non avete ammazzato né rubato, dite? Ma, amico mio, l’inferno racchiude altri che non hanno né rubato, né ammazzato; non sono questi i due soli peccati che trascinano le anime all’inferno. Se io fossi così debole da darvi l’assoluzione quando non la meritate, sarei il carnefice della povera anima vostra, che ha costato tanti patimenti a Gesù Cristo. – Ascoltate, F. M., questo tratto di storia, che ci insegna quali sono gli effetti di queste assoluzioni precipitose, impartite quando il penitente non è disposto. S. Carlo Borromeo ci racconta che un ricco napoletano conduceva una vita niente affatto cristiana. Si indirizzò ad un confessore che passava per facile ed accondiscendente. Questo sacerdote, infatti, appena udito il penitente, gli diede l’assoluzione senza aver alcuna prova del di lui pentimento. Il gentiluomo, quantunque senza religione, meravigliato d’una facilità, che tanti confessori saggi ed illuminati non avevano avuto per lui, si alza bruscamente, e togliendo alcune monete di tasca: “Prendete, Padre, gli disse, ricevete questo denaro, e conservatelo sino a quando ci troveremo insieme nel medesimo posto. — Quando, ed in qual luogo ci ritroveremo? risposegli il sacerdote tutto meravigliato. — Padre mio, in fondo all’inferno, dove ci troveremo presto ambedue: voi per avermi data l’assoluzione, di cui ero indegno, ed io per essere stato così sciagurato di riceverla, senz’essere convertito. „ Che ne pensate di questo fatto, F. M.? Meditiamole insieme queste parole; abbiamo in esse motivo di tremare tutti. — Ma, direte dunque, quando si può ricevere l’assoluzione? — Appena sarete convertiti, appena avrete cambiato metodo di vita: quando pregherete il buon Dio che faccia conoscere al vostro confessore le disposizioni del cuor vostro; quando avrete adempiuto esattamente ciò il confessore vi avrà prescritto, e non mancherete di ritornare nel tempo che egli vi ha fissato. Raccontasi d’un peccatore, che si convertì in una missione, che dopo la sua confessione il sacerdote lo vide così ben disposto, che fece per dargli l’assoluzione. Il povero uomo gli disse: “Ecchè, Padre mio! a me l’assoluzione! ah! lasciatemi piangere un po’ i peccati, che ebbi la disgrazia di commettere: mettetemi alla prova, affinché possiate essere sicuro che il mio pentimento è sincero.„ Quel penitente nell’atto di ricevere l’assoluzione, credeva morir di dolore. Mio Dio! quanto sono rare disposizioni simili! Ma quanto lo sono anche le confessioni buone! – Concludiamo: non dobbiamo mai sollecitare il confessore a darci l’assoluzione, perché dobbiamo sempre temere di non essere preparati, di non essere, cioè, abbastanza convertiti. Domandiamo al buon Dio che ci converta mentre ci confessiamo, affinché i nostri peccati ci siano davvero perdonati. È la fortuna che vi auguro.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIII:15-16
In te sperávi, Dómine; dixi: Tu es Deus meus, in mánibus tuis témpora mea.

[O Signore, in Te confido; dico: Tu sei il mio Dio, nelle tue mani sono le mie sorti.]

Secreta

Popitiáre, Dómine, pópulo tuo, propitiáre munéribus: ut, hac oblatióne placátus, et indulgéntiam nobis tríbuas et postuláta concedas.

[Sii propizio, o Signore, al tuo popolo, sii propizio alle sue offerte, affinché, placato mediante queste oblazioni, ci conceda il tuo perdono e quanto Ti domandiamo.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Sap XVI: 20
Panem de cælo dedísti nobis, Dómine, habéntem omne delectaméntum et omnem sapórem suavitátis.

[Ci hai elargito il pane dal cielo, o Signore, che ha ogni delizia e ogni sapore di dolcezza.]

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, coeléstibus sacraméntis: ad redemptiónis ætérnæ, quǽsumus, proficiámus augméntum.

[Fa, o Signore, Te ne preghiamo, che, ricevuti i celesti sacramenti, progrediamo nell’opera della nostra salvezza eterna.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS “SULL’ASSOLUZIONE”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “SULL’ASSOLUZIONE”

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS Vol. IV, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933

Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.

Proprietà della traduzione (23-XI-07-10- 29-XII-32-15).

Sull’Assoluzione.

Quorum remiseritis peccata, remittuntur eis; et quorum retinueritis retenta sunt.

(JOAN. XX, 23).

Quanto è costato, F. M., al divin Salvatore il dar efficacia a queste parole: “Saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete, e ritenuti a chi li riterrete! „ Ahimè! quanti tormenti, quanti obbrobri, qual morte dolorosa!… Ma noi siamo così ciechi, così grossolani, così poco spirituali, che la maggior parte di noi, crede che spetti solo al sacerdote concedere o rifiutare l’assoluzione, a suo piacimento. No, F. M., ci inganniamo assai: il ministro del sacramento della Penitenza non è che il dispensatore delle grazie e dei meriti di Gesù Cristo (1 Cor. IV, 1) e non può dispensarli che secondo regole prescritte. Ahimè! da qual terrore deve esser preso un povero sacerdote, che esercita un ministero così formidabile, in cui corre grave pericolo di perder se stesso volendo salvare gli altri. Qual terribile rendiconto dovrà dare il sacerdote, quando verrà il dì del giudizio, e da Dio stesso gli verran messe davanti agli occhi tutte le assoluzioni impartite, per esaminare se fu troppo prodigo delle grazie del cielo o troppo avaro. Davvero, F. M., che è assai difficile adempiere sempre bene il proprio dovere!… Quanti sacerdoti, nel dì del giudizio, desidereranno non essere stati sacerdoti, ma semplici laici! Quanti fedeli pure si riconosceranno colpevoli, perché, forse, non pregarono mai Dio pei loro pastori, che si sono esposti al pericolo di perdersi per salvarli!… Ma se un sacerdote ha il potere di rimettere i peccati, ha pure quello di ritenerli; e S. Gregorio il Grande ci dice che un sacerdote deve esaminar bene le disposizioni del peccatore, prima di dargli l’assoluzione. Deve vedere se il suo cuore è cambiato, se ha davvero tutte le disposizioni, che deve avere un peccatore convertito. È quindi evidente che il ministro della Penitenza deve differire o rifiutare l’assoluzione a certi peccatori, sotto pena di dannare se stesso insieme col penitente. Vi mostrerò dunque, o vi insegnerò: 1° che cos’è l’assoluzione;

2° quali sono coloro ai quali si deve concederla o rifiutarla: argomento ben interessante, poiché trattasi della vostra salvezza o perdizione. Quanto l’uomo è fortunato, F. M., ma quanto altresì è colpevole! Dissi che è fortunato, poiché dopo aver perduto il suo Dio, il cielo e l’anima, può ancora sperare di trovar mezzi facili per riparare una perdita grande, quale è quella d’una felicità eterna. Il ricco che ha perduto le sue sostanze, spesso non può ricuperarle, malgrado ogni suo buon volere; ma se il Cristiano ha perduto la propria felicità eterna, può riacquistarla senza, per così dire, far fatica. Mio Dio! quanto amate i peccatori, poiché date ad essi tanti mezzi di ricuperare il cielo! Vi assicuro che siamo ben colpevoli disprezzando tutti questi mezzi, mentre possiamo con essi conseguire tanti beni. Avete perduto il cielo, amico mio, e perché volete vivere in tanta povertà? Mio Dio! l’uomo peccatore può davvero riparare la sua sventura!… e ha mezzi assai facili a sua portata!

I. — Se mi domandate che cos’è l’assoluzione, vi dirò che è una sentenza che il sacerdote pronuncia, in nome e coll’autorità di Gesù Cristo, e per la quale i nostri peccati vengono così rimessi, così cancellati, come se non li avessimo mai commessi, purché chi si confessa, abbia le disposizioni richieste dal Sacramento. Ah! F. M., chi di noi non vorrà ammirare l’efficacia di questa sentenza di misericordia? O momento felice per un peccatore convertito!… Appena il ministro ha pronunciato le parole: “Io ti assolvo, „ l’anima è lavata, purificata da tutte le sue lordure pel Sangue prezioso che scorre su di essa. Mio Dio! quanto siete buono col peccatore!… Inoltre, F. M., la povera anima nostra è strappata dalla tirannia del demonio e ristabilita nell’amicizia e nella grazia del suo Dio; riacquista la pace, quella pace sì preziosa, che forma tutta la felicità dell’uomo in questo mondo e nell’altro; le vien restituita l’innocenza, con tutti i diritti al regno di Dio, che i peccati le avevano rapito. Ditemi. F. M., non dobbiamo essere inteneriti e commossi sino alle lagrime alla vista di tante meraviglie? Avreste potuto pensare che ogni qual volta il peccatore riceve l’assoluzione gli siano accordati tutti questi beni? Ma tutto ciò non è dato e non dev’esser dato che a quelli che se lo meritano, cioè, che sono peccatori è vero, ma peccatori convertiti, che sentono dispiacere della loro vita passata, non solo perché hanno perduto il cielo, ma perché oltraggiarono Colui che merita d’essere infinitamente amato.

II. — Se desiderate sapere quando vi si debba differire o rifiutare l’assoluzione, eccolo: ascoltate bene, ed imprimetevelo nel cuore, affinché ogni volta che andrete a confessarvi possiate conoscere se meritate d’essere assolti o rimandati. Io trovo otto ragioni, che debbono indurre il Sacerdote a differirvi l’assoluzione; è la Chiesa stessa che ha dato queste regole, sulle quali il sacerdote non deve transigere; se le trascura, sventura a lui ed a quelli che dirige: è un cieco che fa da guida ad un altro cieco, tutti e due precipiteranno nell’inferno (Matt. XV, 14). E dovere del ministro di Dio di ben applicare queste regole, ed il vostro è di non mormorare quando vi si nega l’assoluzione. Se un sacerdote ve la rifiuta, è perché vi ama, e desidera davvero di salvar l’anima vostra; e voi non lo conoscerete che al dì del giudizio: allora vedrete che era solo il desiderio di condurvi al cielo che l’ha indotto a differirvi l’assoluzione. Se ve l’avesse accordata, come desideravate, sareste dannato. Non dovete adunque, F. M., mormorare quando un sacerdote non vi dà l’assoluzione; al contrario, dovete ringraziarne il buon Dio, ed adoperarvi con tutte le vostre forze per meritarvi questa fortuna. Vi dico, 1°, che non meritano l’assoluzione quelli che non sono abbastanza istruiti: il sacerdote non deve e non può darla a costoro senza rendersi colpevole, perché ogni Cristiano è obbligato di conoscere Gesù Cristo, i suoi misteri, la sua dottrina, le sue leggi ed i Sacramenti. S. Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano, ci dice espressamente che non si deve dar l’assoluzione a chi non conosce i misteri principali della nostra santa fede e gli obblighi particolari del proprio stato: “Specialmente, ci dice, quando si capisce che la loro ignoranza deriva dalla indifferenza per la propria salvezza.„ Le leggi della Chiesa proibiscono di dare l’assoluzione ai padri ed alle madri, ai padroni e padrone che non istruiscono i loro figli o domestici, o non li fanno istruire da altri intorno a ciò che è necessario per salvarsi; che non sorvegliano la loro condotta; che trascurano di correggerli dei loro disordini e difetti. Dirvi che non merita l’assoluzione chi non sa quanto è necessario per salvarsi, è come dicessi a qualcuno, che egli è nel precipizio, e non gli offrissi i mezzi di uscirne. Vi mostrerò dunque ciò che dovete sapere per uscire da questo abisso d’ignoranza: imprimetevelo bene nel cuore, affinché non si cancelli mai più, per insegnarlo ai vostri figli, e questi ad altri. Ripeto, F. M., quanto già vi dissi più volte: un Cristiano deve sapere il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo, il Confiteor, gli atti di Fede, Speranza e Carità, i Comandamenti della legge di Dio, i precetti della Chiesa, e l’atto di Contrizione. E non intendo dire soltanto le parole; poiché bisognerebbe esser estremamente ignoranti per non saperle, ma occorre anche, se foste interrogati, che possiate dare la spiegazione di ogni articolo in particolare, chiarendone il significato. Questo vi si domanda, e non che sappiate soltanto le parole. Dovete sapere che il Pater noster è stato composto da Dio stesso; che l‘Ave Maria fu composta, parte dall’Angelo quando si presentò alla Ss. Vergine ad annunciarle il mistero dell’Incarnazione (Luc. I, 28), e l’altra parte dalla Chiesa; che il Credo fu composto dagli Apostoli dopo la discesa dello Spirito Santo, prima di disperdersi pel mondo; perciò avviene che in tutte le regioni del mondo è insegnata la medesima Religione cogli stessi misteri. Esso contiene il compendio di tutta la nostra santa Religione, il mistero della Ss. Trinità, cioè un Dio solo in tre Persone: il Padre che ci ha creati, il Figliuolo che ci ha redenti coi suoi patimenti e morte, e lo Spirito Santo che ci ha santificati nel Battesimo. Quando dite : “Credo in Dio Padre onnipotente, creatore, ecc.„ è come se diceste: Credo che l’eterno Padre ha creato tutte le cose, i nostri corpi e le nostre anime, che il mondo non è sempre stato, non durerà sempre, che un giorno tutto sarà distrutto… “Credo in Gesù Cristo ,, è come se diceste: Credo che Gesù Cristo, la seconda Persona della Ss. Trinità, si è fatto uomo, ha patito, è morto per redimerci, per meritarci il cielo, che il peccato di Adamo, ci aveva rapito. “Credo nello Spirito Santo, nella S. Chiesa cattolica, ecc. „ è come se diceste: Credo che v’è una sola Religione, che è quella della Chiesa, che Gesù Cristo stesso l’ha fondata, e le ha affidato tutte le sue grazie, che tutti coloro che non sono in questa Chiesa non si salveranno, e che essa durerà fino alla fine del mondo. Quando dite: “Credo nella comunione dei santi, „ è come se diceste: Credo che tutti i Cristiani si mettono vicendevolmente a parte del merito delle loro preghiere, di tutte le loro opere buone; credo che i santi che sono in cielo preghino Dio per noi, e che noi possiamo pregare per quelli che trovansi nelle fiamme del Purgatorio. Quando dite: “Credo nella remissione dei peccati, „ è come se diceste: Credo che vi è nella Chiesa di Gesù Cristo un Sacramento, il quale rimette ogni sorta di peccati, e che non vi sono peccati che la Chiesa di Gesù Cristo non possa rimettere. Dicendo; “Credo la risurrezione della carne, „ vogliamo dire che gli stessi corpi che abbiamo ora, un giorno risusciteranno, che le anime nostre si congiungeranno ad essi per andare insieme in cielo, se avremo la fortuna di aver servito bene il buon Dio, o per andare insieme all’inferno ad abbruciarvi per tutta l’eternità, se… dicendo: “Credo la vita eterna, „ è come se diceste: Credo che l’altra vita non finirà mai, che l’anima nostra durerà quanto Dio stesso, cioè senza fine. Quando dite: “D’onde verrà a giudicare i vivi ed i morti,„ è come se diceste: Credo che Gesù Cristo è nel cielo in corpo ed anima, e che Lui stesso verrà a giudicarci, a ricompensare chi avrà fatto bene, e punire chi l’avrà disprezzato. – Bisogna anche sapere che i Comandamenti della legge di Dio furon dati ad Adamo quando fu creato, cioè che Dio li scolpì nel suo cuore; e, dopo che Adamo peccò, Dio li diede a Mosè (Esod. XXXI, 18) scritti su tavole di pietra, sul monte Sinai. E questi stessi Dio medesimo confermò quando venne sulla terra per salvarci. Inoltre dovete sapere i tre atti di Fede, Speranza e Carità. E intendo ancora che non dovete sapere semplicemente le parole: chi non le sa? Ma il senso di questi atti. La fede ci fa credere tutto ciò che la Chiesa ci insegna, quantunque non possiamo comprenderlo; ci fa credere che Dio ci vede, che veglia alla nostra conservazione, che ci premierà o ci punirà, secondo che avremo fatto bene o male; che v’è un cielo per i buoni, ed un inferno per i cattivi; che Dio ha sofferto ed è morto per noi. La speranza ci induce a fare tutte le nostre azioni coll’intenzione di piacere a Dio, perché verranno ricompensate durante un’eternità. Dobbiamo credere che né la fede né la speranza saranno più necessarie in cielo, o meglio, non vi sarà più né fede né speranza: non avremo più nulla da credere, perché non vi saranno più misteri; nulla da .sperare perché vedremo quanto abbiamo creduto, e possederemo quanto abbiamo sperato; non vi sarà più che l’amore che ci consumerà per tutta l’eternità: e ciò formerà tutta la nostra felicità. – In questo mondo, l’amor di Dio consiste nell’amare il buon Dio al disopra di ogni cosa creata, nel preferirlo a tutto, anche alla nostra vita. Ecco, F. M., che cosa significa sapere il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo, il Confiteor, i Comandamenti, i tre atti di Fede, di Speranza e di Carità. Se non sapete ciò, non conoscete guanto è necessario per salvarvi; bisogna almeno che. interrogati su quanto vi dissi, sappiate rispondere. E qui non è ancora tutto: bisogna che conosciate ilmistero dell’incarnazione, e che cosa vuol dire la parola incarnazione. È necessario sapere che questo mistero ci propone da credere che la seconda Persona della Ss. Trinità ha preso un corpo come il nostro nel seno della Ss. Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo. Noi onoriamo questo mistero il 25 di Marzo, giorno dell’Annunciazione, perché in tal giorno il Figliuol di Dio ha unito, ha congiunto la sua divinità alla nostra umanità; si è fatto uomo come noi, ad eccezione del peccato, e si è caricato di tutti i nostri peccati per soddisfare alla giustizia del Padre suo. Occorre sapere che Gesù Cristo è nato il 25 Dicembre, a mezzanotte, il giorno di Natale. Sapere che in tal giorno si dicono tre Messe per onorare le tre nascite di Gesù Cristo: l a prima nel seno dell’Eterno Padre, sin dall’eternità; la seconda, quella corporale nel presepio, e la terza, quella nelle anime nostre colla santa comunione. Bisogna altresì sapere che nel Giovedì Santo Gesù Cristo istituì l’adorabile Sacramento dell’Eucaristia (Luc. XXII). La sera avanti la sua morte, circondato da’ suoi apostoli, prese del pane, lo benedisse, lo mutò nel suo Corpo. Prese del vino con un po’ d’acqua, lo mutò nel suo Sangue, e diede a tutti i sacerdoti, nella persona degli Apostoli, il potere di fare lo stesso miracolo ogni volta che pronunciassero le medesime parole: il che avviene nella santa Messa quando il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione. Bisogna sapere che Gesù Cristo morì nel Venerdì Santo, e morì come uomo e non come Dio , perché come Dio non poteva morire; che risuscitò nel giorno santo di Pasqua, cioè che la sua Anima si riunì al Corpo; e che dopo essersi fermato quaranta giorni sulla terra salì al cielo nel giorno dell’Ascensione (Act. I, 3-9); che lo Spirito Santo discese sugli Apostoli il giorno di Pentecoste. Se venite interrogati e domandati quando furono istituiti i Sacramenti da Gesù Cristo o quando ebbero il loro effetto, cioè poterono comunicarci le grazie, dovete saper rispondere che fu solo dopo la Pentecoste. — Se vi si domandasse chi li ha istituiti, dovete sapere spiegare che Gesù Cristo solo poté farlo: non la Ss. Vergine né gli Apostoli. Dovete sapere quanti sono, quali gli effetti di ognuno, e quali disposizioni occorrono per riceverli; dovete sapere che il Battesimo cancella il peccato originale, cioè il peccato di Adamo, che noi tutti portiamo venendo al mondo; che quello della Confermazione ci vien conferito dal Vescovo, e ci dà lo Spirito Santo colla abbondanza delle sue grazie e de’ suoi doni; che quello della Penitenza lo riceviamo ogni qual volta ci confessiamo, e che mentre il sacerdote ci dà l’assoluzione, se siamo ben disposti, tutti i nostri peccati vengono rimessi. Nella santa Eucaristia riceviamo, non la Vergine Ss., né gli Apostoli od i santi, ma il Corpo adorabile ed il Sangue prezioso di Gesù Cristo. Col Figliuolo, in quanto Dio, riceviamo le altre Persone della Ss. Trinità, il Padre e lo Spirito Santo; e in quanto uomo, riceviamo appena il Figliuolo, cioè il suo Corpo e l’Anima uniti alla Divinità. — Il sacramento dell’Estrema Unzione è quello che ci aiuta a ben morire, ed è istituito per purificarci dai peccati commessi con tutti i nostri sensi. Quello dell’Ordine comunica agli uomini il medesimo potere che il Figlio di Dio diede a’ suoi apostoli. Questo sacramento fu istituito quando Gesù Cristo disse agli Apostoli: “Fate questo in memoria di me (Luc. XXII, 19), ed ogni volta che pronuncerete queste parole opererete il medesimo miracolo.„ Il sacramento del Matrimonio santifica i Cristiani che si uniscono insieme, secondo le leggi della Chiesa e dello Stato. Vi è però una differenza tra il sacramento dell’Eucaristia e gli altri. Nell’Eucaristia riceviamo il Corpo adorabile ed il Sangue prezioso di Gesù Cristo, mentre negli altri non riceviamo che l’applicazione dei meriti del suo Sangue prezioso. Inoltre alcuni si chiamano Sacramenti dei morti, altri Sacramenti dei vivi. Ecco perché si dice che il Battesimo, la Penitenza ed alcune volte l’Estrema Unzione sono sacramenti dei morti: perché quando li riceviamo l’anima nostra è morta agli occhi di Dio per i peccati; questi sacramenti risuscitano l’anima nostra alla grazia; gli altri invece sono sacramenti dei vivi…, perché per riceverli bisogna essere in istato di grazia di Dio, cioè non aver peccati sull’anima. Si deve ancora sapere che quando Gesù Cristo ha sofferto sulla croce, né il Padre né lo Spirito Santo hanno sofferto o sono morti, ma solo il Figliuolo patì e morì, come uomo e non come Dio. Ebbene! F. M., se vi avessi interrogati, avreste voi risposto a tutto ciò? Ebbene, se non sapete quanto vi dissi, non siete istruiti sufficientemente per salvarvi. Ho detto che i padri e le madri, i padroni e le padrone debbono per salvarsi essere istruiti di quanto riguarda la loro condizione. Il padre, la madre, il padrone, la padrona devono conoscere tutti gli obblighi da adempiere verso i figli e domestici: devono cioè conoscere perfettamente la religione per insegnarla agli altri; diversamente sono poveri disgraziati e finiscono tutti all’inferno. Ahimè! quanti padri e quante madri, quanti padroni e padrone vi sono che non conoscono neppure la religione e che insieme ai lor figli e domestici marciscono in un’ignoranza crassa, e non aspettano che la morte per gettarsi nell’inferno! S. Paolo ci dice che chi ignora i propri obblighi merita d’essere ignorato da Dio (1Cor. XIV, 38). Converrete con me, dunque, che tutte queste persone sono indegne di ricevere l’assoluzione, e che se hanno la disgrazia di riceverla, essa è un sacrilegio che viene a pesare sulla povera anima loro. Mio Dio! quanti vanno perduti per la loro ignoranza! Possiamo essere sicuri che questo solo peccato ne dannerà più che tutti gli altri insieme, perché una persona ignorante non conosce né il male che fa peccando, né il bene che perde: cosicché un ignorante è una persona perduta!

2° Dico inoltre che bisogna differire l’assoluzione a chi non dà segno di pentimento, cioè di dolore dei peccati commessi. Anzitutto, l’esperienza ci insegna che non dobbiamo affatto fidarci di tutte le promesse e proteste che si fanno. Tutti dicono che sono dolenti d’ aver offeso il buon Dio, che vogliono correggersi davvero, e che si confessano appunto per questo. Il sacerdote, credendoli sinceri, li assolve: che avviene di queste risoluzioni? Eccolo: otto giorni dopo dimenticano tutte le promesse, e ” ritornano al vomito, „ (II Piet. III, 22), cioè alle loro cattive abitudini. Così tutte le proteste non sono certamente prove sufficienti di conversione. Gesù Cristo ci dice che “solo dal frutto si conosce l’albero;„ (Matt. XII, 33), così, solo dal cambiamento di vita si conosce se v’era la contrizione necessaria per essere degni dell’assoluzione. Quando si ha davvero rinunciato ai propri peccati, non basta piangerli, bisogna anche rinunciare, abbandonare e fuggire quanto può indurvici: cioè esser disposti a tutto soffrire piuttosto che ricadere nei peccati che abbiamo confessati. Si deve adunque vedere in noi un cambiamento completo, senza del quale non abbiamo meritata l’assoluzione, e v’è ragione di credere che abbiamo commesso un sacrilegio. Ahimè! come sono poco numerosi coloro in cui si vede questo cambiamento dopo ricevuta l’assoluzione!… Mio Dio! quanti sacrilegi adunque! … Ah! se almeno ogni trenta assoluzioni ve ne fosse una buona, il mondo sarebbe presto convertito! Non merita dunque l’assoluzione chi non dà sufficienti segni di conversione. Ma costoro, purtroppo, d’ordinario non ritornano più quando furon rimandati. Essi fanno ciò appunto perché non hanno intenzione di convertirsi, giacché diversamente invece di aspettare un’altra Pasqua, avrebbero fatto di tutto per cambiar vita, e riconciliarsi con Dio.

3° In terzo luogo dico che si deve rifiutare l’assoluzione a chi conserva odio, risentimento nel cuore, a chi rifiuta di perdonare o di fare i primi passi per riconciliarsi; cosicché, P. M., bisogna guardarsi dal ricevere l’assoluzione quando si ha qualche rancore contro il prossimo. Dopo aver avuto con esso qualche contrarietà, bisogna sentirsi così ben disposti a rendergli servizio, come se per il passato non aveste ricevuto da lui altro che bene. Se vi accontentate di dire che non gli volete male, ma che lo trascurate, che non lo salutate con garbo, che evitate la sua compagnia, preferendone altre, voi non lo amate quanto dovete, perché il buon Dio vi perdoni i vostri peccati. Dio vi perdonerà nella misura che voi perdonerete al prossimo, e sinché avrete risentimento nel cuore contro di esso, ciò che di meglio possiate fare è procurare di sradicarlo; poi riceverete l’assoluzione. So benissimo che si può, anzi si deve evitare ogni compagnia che possa esporci al pericolo di litigare con l’uno o con l’altro, e la famigliarità di coloro che continuamente mormorano dei vicini. Ecco come bisogna regolarsi con queste persone: frequentarle solo quand’è necessario; non volere loro male e neppure sparlarne; accontentarsi di pregare il buon Dio per loro. Ascoltate quanto ci dice Gesù Cristo nel Vangelo: “Se, mentre sei per presentare la tua all’altare, ti ricordi che il fratello tuo abbia qualche cosa contro di te, o che tu l’hai offeso, lascia la tua offerta, e va prima a riconciliarti col fratello. „ (Matt. V, 23) — “Un giudizio severo, scrive S. Giacomo, è riservato a chi non avrà avuto misericordia col fratello. „ (Giac. II, 13). Voi comprendete ora, al par di me, o F. M., che ogni qual volta abbiamo animosità contro alcuno, non dobbiamo ricevere l’assoluzione, perché sarebbe come esporci a commettere sacrilegio, ciò che è la più grande di tutte le disgrazie.

4° Aggiungo in quarto luogo, che vanno trattati alla stessa maniera coloro che hanno recato qualche torto al prossimo e rifiutano di riparare il male fatto o nella persona o nella roba; non si può neanche dare l’assoluzione in punto di morte a chi ha dello restituzioni da fare, e ne lascia la cura agli eredi. Tutti i Padri della Chiesa dicono che non v’è perdono, né speranza di salvezza per chi tiene roba d’altri, potrebbe, e non vuol restituirla.

5° In quinto luogo si deve ricusare l’assoluzione a coloro che sono nell’occasione prossima di peccato, e rifiutano di uscirne. Si chiama occasione prossima di peccato tutto quanto può indurci ordinariamente a commetterlo, come spettacoli, balli, danze, libri cattivi, conversazioni disoneste, canzoni oscene, pitture indecenti, abbigliamento immodesto, cattive compagnie, il frequentar persone di sesso diverso, le relazioni con persone colle quali già altra volta si è peccato, ecc. Così pure i mercanti che non sanno vendere senza mentire o bestemmiare, gli osti che danno da bere agli ubbriaconi, ovvero durante le sacre funzioni, o di notte: come anche i domestici sollecitati al male da qualcuno della casa. A tutti costoro il sacerdote non deve e non può, senza suo danno, dare l’assoluzione, a meno che promettano di lasciar tali abitudini e di rinunciare a tutto ciò che li può indurre al peccato, o ne offre loro occasione. Altrimenti, ricevendo l’assoluzione. fanno senza dubbio un sacrilegio.

6° In sesto luogo deve negarsi l’assoluzione agli scandalosi, che colle loro parole, con consigli ed esempi perniciosi inducono gli altri al peccato; tali sono i cattivi Cristiani che mettono in derisione la parola di Dio e chi l’annunzia, sia il loro pastore oppure altro sacerdote; che motteggiano la religione, la pietà e le cose sante; che fanno discorsi contrari alla fede od ai buoni costumi; che nelle loro case tengono veglie, danze profane, giuochi proibiti; che conservano pitture disoneste, indecenti, o libri cattivi; così pure le persone che s’abbigliano coll’intenzione di piacere, che coi loro sguardi e modi procaci fanno rimettere col cuore tante fornicazioni ed adulteri. Un confessore, dice S. Carlo, deve rifiutare l’assoluzione a tutti costoro, poiché sta scritto : “Guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo „. (Matt. XVIII, 7).

7° In settimo luogo si deve rifiutare l’assoluzione, ovvero differirla, ai peccatori abitudinari, che ricadono da lungo tempo nelle medesime colpe, e fanno nulla o ben poco per correggersi. Di questo numero sono coloro che hanno l’abitudine di mentire ad ogni momento, non se ne fanno scrupolo, si divertono anzi a dir menzogne per far ridere gli altri; quelli che mormorano facilmente del prossimo ed hanno sempre alcunché da dire sul suo conto; quelli che hanno spesso sulle labbra parole di giuramento con leggera offesa del nome di Dio; quelli che hanno l’abitudine di mangiare ad ogni ora, anche senza bisogno; che s’impazientano ad ogni momento, per un nonnulla; che mangiano e bevono eccessivamente; coloro che non fanno sforzo abbastanza per correggersi dei pensieri d’orgoglio, di vanità, o dei pensieri contrari alla purezza; infine si dovrà rifiutare l’assoluzione a tutti coloro che non accusano da sé i loro peccati, che aspettano, per così dire, che il confessore li interroghi. Non tocca al sacerdote, ma tocca a voi di confessare i vostri peccati; se il sacerdote vi fa qualche domanda è per supplire a quanto non avreste potuto conoscere. — Ahimè! a tanti si deve, per così dire, strappare i peccati dal fondo del cuore; e ve ne sono di quelli che disputeranno perfino col confessore, volendo provare che non hanno fatto un gran male. E evidente che costoro non son degni di ricevere l’assoluzione, e non hanno le disposizioni che necessariamente richiede questo Sacramento, perché non sia profanato. Tutti i Padri della Chiesa sono d’accordo su questo punto, che quando non vi è cambiamento, né emendazione in chi si confessa, la sua penitenza è falsa ed ingannevole. Il santo Concilio di Trento ci ordina di non dare l’assoluzione che a quelli nei quali si vede la cessazione dal peccato, l’odio e la detestazione del passato, il proposito e l’inizio d’una vita nuova. Ecco, F. M., le regole dalle quali un confessore non può allontanarsi senza perdere se stesso ed i penitenti. Ma vediamo ora le ragioni che si mettono innanzi, per indurre il confessore a dare l’assoluzione. – Gli uni dicono che il non dare l’assoluzione a chi si confessa frequentemente è distruggere la religione, far apparire troppo difficile il compiere quanto essa comanda; è scoraggiare i peccatori ed esser causa che abbandonino la via del bene; è lo stesso che mandarli all’inferno; che molti altri confessori sono più accondiscendenti; che si avrebbe almeno la consolazione di vedere in parrocchia far la Pasqua un gran numero di persone, le quali ogni anno tornerebbero volentieri a confessarsi; che pretendendo troppo, non si ottiene nulla. F. M., quelli che ragionano così sono: 1° coloro che non meritano l’assoluzione. Ma, amici miei, fin dal principio della Chiesa tutti i Padri hanno seguito questa regola: che bisogna assolutamente aver lasciato il peccato per ricevere degnamente l’assoluzione. Questo rifiuto non sembra duro che ai peccatori impenitenti; questa regola non può dispiacere che a coloro i quali non pensano a convertirsi. Che cosa si ricava, F. M., da queste assoluzioni precipitate? Lo sapete benissimo anche voi. Ahimè! una catena di sacrilegi. Appena assolti, ricadete negli antichi peccati; la facilità con la quale avevate ottenuto il perdono, vi ha fatto sperare che l’otterrete ancora, del pari, facilmente, ed avete continuata la medesima vita; mentre se vi si fosse rifiutata l’assoluzione subito, sareste rientrati in voi stessi, avreste aperto gli occhi sulla vostra disgrazia, dalla quale forse non vi libererete mai più. La vostra povera vita non è che una serie di assoluzioni e di ricadute. Mio Dio, quale sventura! Ecco dove vi conduce la dolorosa facilità di assolvervi. Non è piuttosto crudeltà darvi l’assoluzione, che rifiutarvela, quando non siete disposti a riceverla? S. Cipriano ci dice che un prete deve stare alle regole della Chiesa, ed aspettare che il penitente dia segni certi che il suo cuore è cambiato e che comincia a condurre una vita diversa da quella che menava prima di confessarsi, perché Gesù Cristo stesso, che è Dio e padrone della grazia, non ha accordato il perdono che ai veri penitenti: accolse il buon la cui conversione era sincera, ma respinse il cattivo, per la sua impenitenza. Perdonò a S. Pietro, di cui conosceva il dolore, ma abbandonò Giuda, il cui pentimento era falso. Quale disgrazia pel sacerdote e pel penitente, se il confessore gli dà l’assoluzione quando egli non la merita! Se mentre il ministro dice al penitente: Io ti assolvo; Gesù Cristo invece gli dice: Io ti condanno… Ahimè! quanto il numero di costoro è grande, poiché sono pochi quelli che abbandonano il peccato dopo ricevuta l’assoluzione, e cambiano vita. Tutto questo è vero, soggiungerete voi: ma che si dirà di me, dopo avermi più volte visto a confessarmi, non vedendomi far la comunione? Si crederà ch’io conduca una vita scorretta; d’altra parte, conosco altri, più peccatori di me, che pure furono assolti: voi avete assolto il tale, che ha mangiato di grasso con me, che, al pari di me, andò in giorno di domenica … — La coscienza di colui non è la vostra: se egli ha fatto male, non si deve seguirlo. Forse, per salvar le apparenze, vorreste dannarvi commettendo un sacrilegio? Non sarebbe quella la maggiore sventura? Credete che vi si faccia osservazione, perché foste visto a confessarvi più volte senza comunicarvi. Ah! amico mio, temete piuttosto lo sguardo irato di Dio, alla cui presenza avete fatto il male, e non badate a tutto il resto. Dite che ne conoscete di più colpevoli di voi, che pure furono assolti. Che ne sapete voi? Forse è venuto un angelo a dirvi che Dio non li ha cambiati e convertiti? E quand’anche non fossero convertiti, volete far il male, anche voi, perché essi lo hanno fatto? Vorreste dannarvi perché gli altri si dannano? Mio Dio! quale spaventevole linguaggio! — Ma, soggiungono costoro, che non solo non sono convertiti, ma che non desiderano nemmeno di convertirsi, e soltanto bramano di salvare le apparenze, quando dovremo venire per comunicarci? non vorremmo attender troppo. — Quando dovrete venire a comunicarvi? Ascoltate S. Giovanni Crisostomo: egli stesso ci insegnerà quando dovrete venire. Forse a Pasqua, a Pentecoste, a Natale? No, vi dice. Forse in punto di morte? No, vi dice ancora. Quando adunque? Quando, vi dice, avrete rinunciato seriamente al peccato, e sarete risoluti di non più cadervi, coll’aiuto della grazia di Dio; quando avrete restituito ciò che non è vostro; quando vi sarete riconciliati col vostro nemico; insomma quando vi sarete convertito davvero. — Altri peccatori ci diranno: Se siete così severo, andremo da altri, che ci assolveranno. Sono già venuto tante volte; ho ben altro da fare che andar avanti ed indietro; torno da tanto tempo, vedo bene che non volete saperne di me. Del resto, che male ho dunque fatto? — Andrete a trovarne un altro, amico mio, siete padrone d’andar ove meglio vi piace; ma credete voi che un altro avrà volontà di dannarsi più che non l’abbia io? no, senza dubbio. Se egli vi assolve è perché non vi conosce abbastanza. Volete sapere chi è colui il quale parla in tal modo, , e cerca altrove una assoluzione? Ascoltate e tremate. E colui che abbandona la guida che può condurlo a salvamento, per cercare un passaporto per andar diritto all’inferno. — Ma, mi direte, son già tante volte che vengo. — Ebbene, amico mio, correggetevi, e vi assolverò la prima volta che ritornerete. — E già gran tempo, direte, ch’io non ritorno. — Tanto peggio per voi solo, amico mio. Non ritornando più, camminate a passi da gigante sulla via dell’inferno. Vi sono alcuni così ciechi da credere che il confessore non li assolve perché porta loro astio. Senza dubbio, amico mio, egli è irritato con voi, ma solo perché vuole la salvezza dell’anima vostra. Per questo non vuol darvi una assoluzione, che lungi dal salvarvi vi dannerebbe per tutta l’eternità. — Ma, dite voi, che gran male ho dunque fatto? non ho né ammazzato né rubato… — Non avete ammazzato né rubato, dite? Ma, amico mio, l’inferno racchiude altri che non hanno né rubato, né ammazzato; non sono questi i due soli peccati che trascinano le anime all’inferno. Se io fossi così debole da darvi l’assoluzione quando non la meritate, sarei il carnefice della povera anima vostra, che ha costato tanti patimenti a Gesù Cristo. – Ascoltate, F . M., questo tratto di storia, che ci insegna quali sono gli effetti di queste assoluzioni precipitose, impartite quando il penitente non è disposto. S. Carlo Borromeo ci racconta che un ricco napoletano conduceva una vita niente affatto cristiana. Si indirizzò ad un confessore che passava per facile ed accondiscendente. Questo sacerdote, infatti, appena udito il penitente, gli diede l’assoluzione senza aver alcuna prova del di lui pentimento. Il gentiluomo, quantunque senza religione, meravigliato d’una facilità, che tanti confessori saggi ed illuminati non avevano avuto per lui, si alza bruscamente, e togliendo alcune monete di tasca: “Prendete, Padre, gli disse, ricevete questo denaro, e conservatelo sino a quando ci troveremo insieme nel medesimo posto. — Quando, ed in qual luogo ci ritroveremo? risposegli il sacerdote tutto meravigliato. — Padre mio, in fondo all’inferno, dove ci troveremo presto ambedue: voi per avermi data l’assoluzione, di cui ero indegno, ed io per essere stato così sciagurato di riceverla, senz’essere convertito. „ Che ne pensate di questo fatto, F. M.? Meditiamole insieme queste parole; abbiamo in esse motivo di tremare tutti. — Ma, direte dunque, quando si può ricevere l’assoluzione? — Appena sarete convertiti, appena avrete cambiato metodo di vita: quando pregherete il buon Dio che faccia conoscere al vostro confessore le disposizioni del cuor vostro; quando avrete adempiuto esattamente ciò il confessore vi avrà prescritto, e non mancherete di ritornare nel tempo che egli vi ha fissato. Raccontasi d’un peccatore, che si convertì in una missione, che dopo la sua confessione il sacerdote lo vide così bendisposto, che fece per dargli l’assoluzione. Il povero uomo gli disse: “Ecchè, Padre mio! a me l’assoluzione! ah! lasciatemi piangere un po’ i peccati, che ebbi la disgrazia di commettere: mettetemi alla prova, affinché possiate essere sicuro che il mio pentimento è sincero.„ Quel penitente nell’atto di ricevere l’assoluzione, credeva morir di dolore. Mio Dio! quanto sono rare disposizioni simili! Ma quanto lo sono anche le confessioni buone! – Concludiamo: non dobbiamo mai sollecitare il confessore a darci l’assoluzione, perché dobbiamo sempre temere di non essere preparati, di non essere, cioè, abbastanza convertiti. Domandiamo al buon Dio che ci converta mentre ci confessiamo, affinché i nostri peccati ci siano davvero perdonati. È la fortuna che vi auguro.

LO SCUDO DELLA FEDE (170)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (VI)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

IV. — Il Cristianesimo cattolico.

c) Schizzo di un’apologia esterna.

D. Mi dicevi che la coerenza interna della dottrina cattolica e il suo adattamento alla vita non erano che una delle ragioni in suo favore. Che cosa avevano di sottinteso queste parole?

R. Io non ti faccio un trattato di apologetica; mi sono già, allontanato molto dal lavoro catechistico che mi sono proposto. Non ti posso tuttavia rifiutare alcune indicazioni sommarie. Per cominciare, citerò quel giudizio del Lacordaire che io noto in ogni coscienza: «Ogni uomo di buona fede si può convincere, con pochissima fatica, che il concatenamento dei fatti cristiani è al di sopra delle forze umane se si suppongono falsi, e ancora al di sopra delle forze umane se sono veri». In questa sola frase, il grande apologista dà la prova essenziale sulla quale s’innestano tutte le altre,

D. Che cosa intende il tuo autore per «il concatenamento dei fatti cristiani? ».

R. Si tratta di quell’immensa serie di avvenimenti, che, in passato, si estende da Abramo a Pio XI, e si mostra in grado di realizzare la sua pretensione di durare sino alla fine dei tempi.

D. Questa serie di fatti è continua e omogenea?

R. È continua, ma non omogenea; essa importa tre fasi: una fase di preparazione, che è il giudaismo; una fase di effettuazione, che è l’insieme dei fatti evangelici, e una fase di utilizzazione che è la nostra, cioè l’éra cristiana. Il giudaismo è un Vangelo nascosto; il Vangelo è un giudaismo spiegato; i tempi cristiani sono un Vangelo in azione, o per lo meno un saggio di applicazione laboriosa.

D. Tutta questa evoluzione ha dunque un centro?

R. Il centro o il perno di questa evoluzione è Cristo.

D. E che cosa deduci da questa constatazione?

R. Non sei tu colpito, prima di tutto, da un fenomeno storico di questa ampiezza: una forza all’opera dalle origini della storia fino a oggi; che sviluppa gli annali di Dio e la filosofia di Dio senza interruzione, senza lacuna e senza contradizione; che attraversa tutti i fatti umani senza intralciarli come senza confondervisi; che si crea una tradizione propria nel corso delle nostre tradizioni, una società a sé, una società perfetta e indipendente nel cuore delle nostre società; che suscita una vita la quale abbraccia l’altra e ne sposa tutte le forme, con la mira di elevarla al di sopra di se stessa e di portarla più avanti? È questa una cosa così ordinaria che non valga la pena di fermarci per domandare a noi stessi: Quale è questa forza? Il giudaismo, in quanto storia, sembra più prodigioso di tutti i prodigi particolari che vi si rilevano, e la fondazione del cristianesimo, la sua conservazione, il suo modo di evoluzione un prodigio più grande di tutti i miracoli di Gesù Cristo. Un tal movimento ha il carattere d’una vera creazione, d’una creazione dinamica. È un mondo che attraversa un mondo.

D. Gli storici non ne menzionano le cause?

R. Tutto ha delle cause; ma si dimentica di dire quello che ha causato codeste cause, organizzato il loro concorso e assicurata la loro efficacia, ad onta di tante cause contrarie. Vi sono anche cause che assicurano la grandezza degli imperi umani, delle imprese umane: mostrami un caso che a questo si possa paragonare, fosse pure lontanissimamente.

D. È una questione di grado.

R. Quando le cose arrivano a un certo grado, ti presentano un problema, come se alla bisca tu sbancassi tutti i giorni il tuo compagno di giuoco. Nel caso di cui parlo, tutte le leggi dell’equilibrio storico sono spiegate; il « ricominciamento eterno », senza perdere i suoi diritti sopra una materia che rimane materia umana, è al servizio di una continuità che lo domina. – Ascolta uno storico (Ernesto Lavisse): « Io storico, non so quello che avvenne il mattino di Pasqua; ma quello che ben so, è che, quel giorno, nacque un’umanità che non muore. Christus resurgens non moritur . Ascolta Ernesto Renan, poco sospetto: «L’avvenimento capitale della storia del mondo è quella rivoluzione per la quale le più nobili parti dell’umanità passarono dalle antiche religioni a una Religione fondata sull’unità, la Trinità, l’incarnazione del Figliuolo di Dio ». E se vuoi il commento, ecco Rémusat: «I casi fortuiti delle faccende umane non portano affatto tali risultati » E Bossuet: «È un’opera così grande, che se Dio non l’avesse fatta, Lui stesso la invidierebbe al suo autore ».

D. Ciò mi colpisce, ma non mi convince.

R. Godo di vederti difficile. Ma vi è altro. Questo immenso spiegamento offre, nel suo decorso, un carattere profetico; la sua continuazione è annunziata fino dal principio e ciascuna delle sue tappe è annunziata nella tappa precedente, diciamo meglio, per mezzo della tappa precedente, che non ha senso se non in essa.

D. I primi Cristiani annunziarono la fine prossima dei tempi, e credevano veramente di appoggiarsi in ciò sopra le parole di Gesù stesso; ebbene era un errore.

R. Era di fatto un errore; ma non era un errore religioso, e a proposito delle parole di Gesù, che avevano formalmente scartato questo problema, era una pura interpretazione. L’errore veniva precisamente da una persuasione religiosa dominante, unita a una mancanza di prospettiva riguardo al temporale. Gesù aveva predicato l’essenziale; i suoi discepoli, imbevuti dell’essenziale, lo schematizzavano così: ieri Adamo; ora Cristo; domani la reintegrazione del mondo in Dio. Che importa che questo domani fosse stato compreso in un modo più o meno stretto? Il fatto sta che lo schema è esatto. Il giudaismo è un lungo messianismo; il Vangelo è un annunzio formale dei tempi cristiani; alla sua volta il Cristianesimo profetizza gli ultimi tempi, e l’avvenire darà la risposta.

D. Chi può giudicarne prima?

R. Già ne abbiamo molti segni; ad ogni modo, oggi è certo che il fatto della Chiesa giustifica Cristo e il fatto di Cristo giustifica il giudaismo. Renan fu molto colpito da questi fatti, che altri « critici » preferiscono passare sotto silenzio.

D. Le profezie di cui parli sono veramente chiare?

R. Puoi leggere dovunque, nella più antica Bibbia, le visioni che riguardano l’avvenire, i testi sorprendenti dei profeti che annunziano per minuto la vita, la morte e l’opera di Gesù Cristo, come pure i suoi effetti, e trovi nel Vangelo l’annunzio della Chiesa, delle sue traversie e dell’opera sua sino alla fine dei tempi.

D. Si è preteso che i testi antichi relativi a Cristo s’incontrino con Lui per questa buona ragione che da essi si sono presi gli elementi della sua storia.

R. Ecco delle baie che non reggono all’esame. È certo che gli evangelisti hanno cercato i raffronti e forse hanno un po’ raffinato nella materia; certi loro raffronti sono forzati, altri discutibili. Ma ciò stesso prova la loro sincerità. Quando s’inventa, non si ha bisogno di raffinare così e di esaurire tutte le proprie risorse; si può lasciar correre; la fantasia è ubbidiente.

D. Secondo ciò sembrerebbe che il giudaismo e il Cristianesimo non siano che una sola e identica religione; tuttavia si oppongono l’una all’altra.

R. Si oppongono e si confondono con ragione, sotto diversi rapporti. Il giudaismo letterale e carnale si oppone al Cristianesimo, Religione spirituale; ma il giudaismo vero gli è identico, tenuto conto della differenza dei tempi. Il vero giudeo non era colui che si faceva circoncidere e compiva a Gerusalemme dei saorifizi materiali, ma colui che amava Dio con tutto il suo cuore e, coscientemente o no, per mezzo dei simboli della legge mosaica, si univa a Colui che è la salvezza degli uomini. Il vero Cristiano non è colui che va alla messa nei giorni festivi e scioglie i suoi voti; ma sì colui che ama Dio con tutto il suo cuore e, per mezzo dei simboli questa volta vivificanti della legge evangelica, si unisce a Colui che è il Salvatore degli nomini. Agli uni e agli altri, e per essi a tutti, Cristo può rivolgere le solenni parole del Deuteronomio: Prendo oggi come testimonio il cielo e la terra: ho posto davanti a voi la morte e la vita, affinché scegliate la vita, e amiate Dio, e gli ubbidiate; perché Dio è la vostra vita (Deut., XXX, 19).

D. Quale compito attribuisci tu a’ Giudei riguardo al Cristianesimo?

R. Essi ne son i testimoni. Attestano la continuità di cui io parlo. Accoliti involontari, essi presentano il Libro, e la luce dei fatti antichi, e l’incenso dei salmi. Vi recano un bello zelo; sono incomparabili conservatori dei nostri testi e delle nostre tradizioni; sono degli antichi che si vedono e fanno vedere degli antenati contemporanei, se posso dire così, dei morti che vivono. Sono dispersi da per tutto e sono una sola cosa; hanno altre patrie senza potere né voler rinnegare quella che ai divini disegni importa di conservare sussistente. Una tale testimonianza permanente, senza pari, senza sospetto, poiché depone contro di sé; questa testimonianza delle cose predette delle quali il testimonio rifiuta di vedere il compimento, ma conserva con amore i testi in cui i suoi profeti annunziano ciò stesso, cioè che egli sarà il nemico del compimento, benché amico della promessa, è un fenomeno provvidenziale sorprendente all’ultimo segno; esso, dicevo, commosse Renan, e strappa a Pascal la sua grande esclamazione: « È cosa ammirabile! ».

D. Ma perché i Giudei non credettero, perché non credono, dopo avere atteso quello che rifiutano?

R. Non è esatto che tutti non abbiano creduto. Le prime Chiese cristiane sono dei gruppi giudaici. In quel momento la divisione si fa tra i veri Giudei, che comprendono lo spirito della loro religione e lo riconoscono in Cristo, e i Giudei carnali, che disconoscono Cristo perché Egli non è carnale. Il seguito si spiega mediante la tradizione, e mediante la permanenza, in molti, di questo spirito carnale.

D. Dunque, secondo te, vi è qualche cosa di miracoloso nelle profezie successive di cui parli?

R. Una profezia è necessariamente un miracolo; nessuno sa naturalmente l’avvenire. Del resto a questo miracolo psicologico delle profezie si aggiunge il miracolo propriamente detto, il miracolo esterno, dei quali io non ritengo che il numero meglio attestato, il più impressionante, quello che forma attorno a Cristo una costellazione di fatti dolcemente luminosa come le nostre stelle.

D. L’idea dei miracoli mi urta.

R. Perché?

D. Per la sua stranezza, per la parte arbitraria che vi si insinua, per il disordine evidente che introdurrebbe nella trama delle cose, in opposizione con le leggi che studia la scienza e a scapito di tutte le nostre certezze.

R. Il miracolo non può apparire strano se non a una mente ancora lontana da Dio. Colui che vive abitualmente in presenza di Dio non si meraviglia di vedere che Dio fa qualche miracolo dal momento che Egli ha fatto tutto e tutto conserva. Nell’Enciclopedia, di solito antireligiosa, si trova questa lucida osservazione: « Supponi il nulla, e ti renderai conto che i fatti naturali e i fatti soprannaturali non tengono all’essere più gli uni che gli altri, non son più facili o più difficili a compiere gli uni che gli altri. Il rendere la vita a un morto è a Dio altrettanto facile quanto il conservarla a un Vivo ».

D. Ecco la facilità di ciò che è arbitrario.

R. È forse arbitrario che le leggi d’un ordine inferiore cedano alle leggi d’un ordine superiore? Ciò non si produce forse in tutta la natura, e la libertà umana non si oppone forse al determinismo nel nome dello spirito? Perché l’ordine soprannaturale non s’imporrebbe alle leggi naturali nel nome di fini superiori? Il funzionamento della natura è forse fatto per se stesso, e non deve se stesso allo spirito? Io direi volentieri con Hello che, turbando un ordine di fatti che ci opprime o che si oppone ai nostri fini spirituali, Dio non fa altro che «turbare il disordine »; difatti l’ordine è nella subordinazione della natura alla vita e della vita alle leggi morali che la regolano.

D. La mia impressione d’un ordine alla rovescia non è dissipata.

R. Aggiungo questo. Secondo nessun punto di vista vi è qui un «ordine alla rovescia », o disordine. Vi è solo un ordine nuovo, in ragione di un’inversione che orienta altrimenti i fenomeni e così fa capo ad altri risultati. Nessun agente naturale è per questo violentato né strappato alle sue proprie tendenze. Il miracolo scaturisce da Dio, ma è nella natura; «la sua trascendenza opera secondo modi immanenti » (MARCELLO SCHWOB).

D. Il determinismo nondimeno viene spezzato.

R. Niente affatto, se tu intendi di quel determinismo che è una legge della mente e una condizione di ogni scienza; perché il determinismo così inteso vuole soltanto che in date condizioni si produca un dato effetto. Aggiungi una condizione — qui l’intervento divino — lo stesso determinismo vuole che il risultato sia diverso. In quanto al determinismo naturale lasciato a se stesso, non ha niente d’intangibile; è un’abitudine dei fatti materiali; dunque, è inferiore allo spirito, del quale, per Enrico Bergson, esso rappresenta una meccanizzazione, una caduta; esso cede già davanti allo spirito umano: donde la libertà; cede anche davanti a Dio: donde il miracolo,

D. Ma che cosa diventa la certezza della scienza?

R. Sei tu certo di ciò che io farò domani? e perché saresti tu certo di ciò che farà o non farà Dio? Le certezze della scienza non hanno questo oggetto; esse hanno di mira ciò che io chiamavo or ora le abitudini dei fatti, i loro collegamenti spontanei, rivelatori d’una natura delle cose. Ma la natura delle cose si estende fino a Dio stesso; essa si dispone in gradi in tal modo che ciò che è natura per sé è soprannatura per rapporto a quello che esso domina e regge. Dio è soprannatura in modo assoluto; la sua volontà è la legge suprema, come la volontà dell’architetto è la legge della sua opera, come la volontà dell’acqua, se posso dire così, è la legge d’una turbina insieme immobile e che gira romoreggiando. Qui non c’è difficoltà se non per coloro a cui preme che la natura sia sola, senza che Dio la penetri. Ma questi partigiani non hanno più nulla a vedere coi diritti della scienza o con quelli del cosmo. Il miracolo non violenta affatto la natura; esso concorre con lei, e con ciò consacra le sue leggi.

R. E a che serve il miracolo?

R. A fare del bene e a fare della luce. I miracoli di Cristo sono tutti benefici, tutti rischiaranti.

D. Non dànno alla sua vita un’aria di leggenda atta a diminuire la sua azione, invece d’ingrandirla?

R. I miracoli di Cristo non hanno l’aria di leggenda; nessuno elemento di curiosità, di ostentazione o di puerilità ci si trova; essi si connettono strettamente al compito redentore. Gesù guarisce i corpi con quella stessa bontà che guarisce le anime; per il corpo Egli vuole arrivare all’anima, rendere autorevole la missione col suggello di Dio, rendere inescusabili i suoi negatori, e i suoi fedeli sicuri della loro prudenza, supplire per la durata della sua vita alle profezie non ancora compiute (come la sua sopravvivenza e quella dell’opera sua), combattere l’evidenza opprimente della sua umanità con uno splendore della sua divinità, allontanare lo scandalo dalle sue affermazioni trascendenti circa la sua Persona, prendendo il diritto di domandare, davanti a un paralitico: « Che cosa è più facile, dire: I tuoi peccati ti sono rimessi, o dire: Alzati e cammina? (Matteo, IX, 6).

D. I miracoli di Gesù Cristo non si spiegherebbero con la magia di una personalità meravigliosa?

R. La personalità di Gesù fu potente; ma ogni influenza ha dei limiti che ad ogni istante il Vangelo supera, e nessuno ha influsso sopra la morte. Del resto nella vita di Gesù vi sono dei miracoli ai quali la sua personalità è estranea.

D. Fai, dunque, allusione ai racconti dell’Infanzia. Ma queste storie di pastori e di magi non sono forse assai infantili?

R. Non vorrai giudicare infantile quella divina semplicità che tante grandezze compensano. È la sublimità propria del Vangelo l’aver messo insieme queste cose: le narrazioni di Betlemme, e il Discorso del Monte, il Gloria în excelsis e l’anatema contro i Farisei, l’officina di Nazaret e il Tabor; il presepio e la croce.

D. Ma queste narrazioni di miracoli non sarebbero state inserite dopo dai discepoli ingenui e zelanti?

R. Ciò si potrebbe supporre di qualche miracolo isolato; ma in generale essi fanno corpo con la Persona, con la dottrina e con la trama storica della vita; è impossibile ritirarli senza distruggere tutto.

D. Ma ancora, che cosa valgono questi testi e qual è la loro autorità?

R. Sotto l’aspetto della loro trasmissione, è riconosciuto che nessuno scritto dell’antichità offre tali garanzie critiche; e ciò, in grazia del gran numero di manoscritti prossimi agli originali, delle versioni primitive diverse, delle citazioni sparse e quasi immediate, delle edizioni scrupolose, ecc. In quanto agli stessi autografi, possono portare la data in media di una quarantina d’anni dopo la morte di Gesù; ma nota che lì non si tratta che della scrittura; prima vi è la testimonianza orale; vi sono quelli che hanno veduto e udito, e che attestano a costo della loro vita l’oggetto del loro messaggio. « Io mi fido di testimoni che si fanno sgozzare » (PASCAL).

D. Molti si sono fatti sgozzare per le loro credenze.

R. Non si tratta di credenze, ma di fatti, di tutta una vita di fatti.

D. Non vi sono nel Vangelo molte oscurità e contradizioni?

R. Esse sono minime, e provano la sincerità, l’indipendenza scambievole degli scrittori, fino a qual punto essi hanno «la passione del vero », come dice Origene. Con ciò, se lasciano del dubbio là dove i racconti non concordano, cioè in quanto all’accessorio, esse rinforzano la certezza là dove tutto concorda, cioè in quanto al principale. Sarebbe stato così facile, fuori del profondo rispetto del vero e delle fonti, il mettere d’accordo gli scritti!

D. Sai che si è arrivato a mettere in dubbio perfino la vita reale di Gesù Cristo.

R. È un eccesso estremamente oltraggioso di critici dilettanti. Ma se ve ne sono dei sinceri, coloro che qui dubitano hanno davvero perduto il senso del reale. Negli Evangelisti, la vita splende altrettanto e più che il misticismo; in essi tutto è profondamente umano, preso sul vivo dell’azione quotidiana, in connessione evidente con un ambiente e tempi storici determinatissimi, con uomini di carne ed ossa e con istituzioni positive che ogni sorta di minute particolarità fanno riconoscere. E tratti di realtà locale confermati dalla storia, dalla topografia, dalla psicologia e dall’esperienza si contano nel Vangelo a migliaia. Qui non si tratta di immaginazioni disparate. Le lacune dei racconti, le loro contraddizioni superficiali, l’opposizione apparente di certi tratti con lo scopo dei narratori, il carattere delle sconnessioni che nessun ritocco letterario corregge, la corsa allo spogliamento registrata nei fatti, ma non preparata, una moltitudine di affermazioni sconcertanti per il senso umano, ambigue, insospettabili, ingenuamente proposte tuttavia, come venienti da relatori che ti dicono: Ecco, noi non ne possiamo niente: mi sembra che sia già abbastanza per invalidare la supposizione d’una vita di Gesù tutta fabbricata di pezzi, e specialmente di pezzi, come si suppone, fuori di ogni realtà. Una tale supposizione è propriamente insensata. Ma c’è molto di più ancora. Ed è che la personalità di Gesù si rifiuta a ogni composizione letteraria o mistica, a ogni creazione spontanea e concertata all’infuori di un fatto storico, e di un fatto trascendente. Infatti, queste due cose sono legate insieme. Al Gesù del Vangelo è tanto impossibile l’essere solamente un uomo quanto il dileguarsi in fantasma.

D. Non sono sicuro di capire.

R. Mi spiegherò con gioia; perché il mio rispetto e il mio amore di questa sacra personalità mi rende dolcissimo il presentarla, se posso dire così, a chi mi può intendere. Domando solo che non dimentichiamo di raccoglierci.

D. Dici che la persona di Gesù non potrebbe essere una creazione della mente, che è necessariamente reale, e aggiungi: divinamente reale?

R. È così. Tu conosci questa brusca interrogazione di Pascal: «Chi ha insegnato agli Evangelisti le qualità di un’anima perfettamente eroica, per dipingerle così perfettamente in Gesù Cristo? ». Prendendo un esempio aggiunge: « Perché lo fanno debole nella sua agonia? Non sanno essi dipingere una morte costante? Sì; perché lo stesso S. Luca dipinge quella di S. Stefano più forte che quella di Gesù Cristo ». È un particolare; ma ve ne sono mille simili. Il carattere di Gesù nel Vangelo è elevato quanto lo può essere ideale d’uomo; la sua qualità morale permette di vedervi, se posso dire così, una forma umana degli attributi di Dio; ma, con ciò, questo carattere non ha niente di astratto; offre delle disparità che in una composizione o in un sogno collettivo sarebbero incomprensibili; in lui l’inatteso è un segno certo di autenticità, perché ce lo mostra radicato in realtà vive, che Egli stesso non esaurisce.

D. Bisognerebbe vedere questo.

R. Qui non posso far altro che fornire l’indicazione; ma tu verifica, e sarai colpito dall’evidenza. Nello stesso modo che la dottrina di Gesù non è una teoria, ma l’espressione della sua propria vita e della sua propria Persona, così la sua vita e la sua Persona, quali si presentano nei racconti evangelici, non sono costruzioni astratte, ma l’espressione di un ambiente in cui si manifesta un’anima, in cui si manifesta Iddio. Gesù è « una specie di giustizia animata », dice S. Tommaso d’Aquino; ma animato, alla base, significa corporale, misto alla natura, versato nella storia, come un prodotto di questo suolo così come del cielo. Ciò non si fabbrica punto in un gabinetto di lavoro, né scaldandosi in riunioni mistiche. Nessun vapore d’immaginazione ha questa densità cristallina, questi contorni spiccati, queste faccette in cui scherza una doppia chiarezza: quella di un’anima individuale infinitamente larga, ma tanto più consistente, e quella d’un ambiente di vita troppo complesso e obbiettivo da poterlo sognare. Qui, il concreto splende da per tutto ed è il miracolo! Trova tu altrove la perfezione dell’ideale nella realtà storica! « La grandezza emanata dalla persona di Cristo, scrive Goethe, è d’un genere divino tale, che mai il divino apparve così sopra la terra ».

D. Questo gran pagano non vuol forse dire che Gesù è divinamente uomo?

R. Lo credo; ma non mi basta. Perché ciò suppone contro i nostri sognatori una piena realtà storica, e offre una salda base per una prova di divinità.

D. Quest’ultimo punto mi tocca.

R. Ecco. Che Gesù sia « divinamente uomo », cioè più semplicemente, uomo perfetto, ciò suppone che in Lui nulla sia difettoso, né sotto l’aspetto dell’intellettualità, né in quanto alla condotta. Bisogna che i suoi nemici siano confusi, quando l’accusano sia di follia, sia di ambizione esasperata e satanica, proprio come quando lo dicono un beone o un seduttore. Ora confronta questa esigenza coi fatti, nella supposizione che Gesù sia semplicemente uomo. Ecco un riformatore che ti dice: « Ogni potere mi è stato dato in cielo e sopra la terra »; «il cielo e la terra passeranno, ma non passeranno le mie parole »; «Io sono la luce del mondo »; un Giudeo che, in un paese di teocrazia, si arroga il diritto di abrogare in qualche modo la legge del suo popolo e di fondare un avvenire sopra di se solo; un uomo che parla con autorità di ciò che ignorano gli uomini; che esige la credenza e il culto; che, mortale, pretende di risuscitare se stesso e di risuscitare gli altri; che crede di poter fissare, nel giorno del giudizio e già sopra la croce, la sorte eterna di chi lo confessa e ubbidisce a’ suoi precetti; in una parola, che in ciò e in mille altre cose si diporta come una personalità trascendente, e tu dici: È un uomo ideale? Ma io dico: Se non è che un uomo, egli è l’ideale della superbia o della divagazione, dell’esaltazione morbosa o dell’oltracotanza. Nei due casi bisogna voltargli le spalle, sia con ironia o con ira. Se questo non si fa, io stimo che non si possono scusare le sue parole e i suoi atti se non con l’adorazione.

D. Eppure Gesù non si disse Dio.

E. Questa parola cruda: «Io sono Dio », non rispondeva alle circostanze e non avrebbe procacciate le transizioni necessarie. Gesù dice quello che bisogna, giorno per giorno, per una progressiva educazione de’ suoi figli. Quando i suoi discepoli o i suoi miracolati vogliono precipitare le dichiarazioni, Egli li riprende; loro impone silenzio; alle volte pare che Egli stesso escluda perfino quello che rivendica, perché non è ancora venuto il momento e vi sono dodici ore nel giorno ». Riserva i misteri; ma pone nondimeno le premesse. Quello che non dice in termini propri, lo afferma equivalentemente, Dice se stesso figliuolo di Dio in un senso speciale ed unico; «Il Padre e io non formiamo che una sola cosa»; « Chi vede me, vede mio Padre ». Ha le creature spirituali al suo servizio. Giudica i vivi e i morti. Domanda che gli si sacrifichi tutto. Rimette i peccati e delega Egli stesso questo potere. Annunzia che manderà a’ suoi lo Spirito di Dio. Riceve senza rinviarli a Dio degli omaggi dovuti a Dio solo. Venne dal Padre sopra la terra. Si dice Signore di Davide, sedente alla destra del Signore Iddio. Lui solo conosce il Padre come il Padre conosce se Stesso, e tutti gli altri non conoscono il Padre se non per mezzo di lui. Tutto gli è stato rimesso nelle mani. Relativamente alla vigna umana, di cui Dio è il vignaiolo, è lui il Figlio, l’Erede per opposizione agli inviati apostoli o profeti. Davanti all’autorità suprema del suo paese e della sua religione, Egli pone quell’affermazione solenne, che porta seco la sua morte, cioè che Egli è il Cristo, Figliuolo di Dio vivo, e che verrà sopra le nubi del cielo alla destra della potenza di Dio.

D. Ma ha Egli veramente detto tutto questo, preteso tutto questo?

R. Ancora una volta, si potrebbe discutere sopra una data parola, come si potrebbe cavillare su un dato miracolo, e, secondo l’uso, distinguere tra i « sinottici » e « Giovanni », Ma se si prendono le cose nell’insieme, lealmente, tali quali si presentano, è impossibile negare che Gesù non si sia presentato come un personaggio sovrumano. E ciò non ci basta? Vorremmo noi, come certi gnostici, domandarci se Egli non fosse un eone? – La questione è questa: È Egli realmente sovrumano, o è il pazzo? È Egli sovrumano, o è il « seduttore » che denunziarono i pontefici chiedendo la sua morte? Perché bisogna ben confessarlo, se Gesù non è sovrumano, quindi avente autorità in tutto quello che disse, in tutto quello che fece, allora sono i farisei che hanno ragione; ed Egli meritò la sua sorte; gli fecero espiare con giustizia le sue sacrileghe impertinenze.

D. Eppure, Renan

R. Sostenne una scommessa, e non vi riuscì. Volle collocare «al sommo dell’umanità » un essere che Egli stesso descrive — in frasi graziose — come un allucinato e un mentitore. Lo incensa e lo beffeggia. Lo dichiara « divino » dolendosi amaramente della sua divinità e del suo onore nello stesso tempo. «Un essere miracoloso in un universo senza miracolo », dice Bernanos; un prodigio di umiltà e di orgoglio; un predicatore di Dio che « attira tutto a sé »; un dottore della rinunzia, tutta la dottrina del quale si fonda sullo spogliamento dell’io; e che spinge Lui stesso la sua ambizione fino a brigare — e ottenere — un culto universale. Ciò non regge.

D. Non sarebbe possibile un’altra interpretazione di questa vita e di questa personalità?

R. Vi è quella di Giulio Soury: Gesù figlio di alcoolico o di degenerato; quella di Binet-Sanglé: Gesù pazzo.

D. Parliamo seriamente.

R. Seriamente, tutte le interpretazioni naturali del fatto di Gesù Cristo sono state distrutte una dopo l’altra, distrutte l’una dall’altra; collettivamente si annullano, e il fatto di Gesù rimane.

D. Che impressione diretta ne avresti tu, facendo astrazione da’ tuoi dogmi?

R. Una tale astrazione è assai difficile; non si può garantire che la propria sincerità. Col benefizio di questa riserva, ecco quel che io penso.

D. Ti ascolto ardentemente.

R. Gesù si presenta come trascendente al primo sguardo. Si può credere al migliore Napoleone; «io m’intendo di uomini, e e ti dico che Gesù Cristo non era un uomo ». Questo equilibrio, quest’armonia di una condotta tanto eminente quanto semplice e di una parola tanto naturale quanto sublime; questo dono di essere in casa sua nei due mondi, di parlare delle cose terrene e delle cose celesti come ugualmente familiari, dei grandi oggetti e dei piccoli come dello stesso valore, come un uomo opulento parla di milioni, un generale di piazze forti, un capo di Stato di province; questa facoltà di non mai stupirsi, di essere all’altezza di tutto, di sciogliere ogni difficoltà e di dirimere ogni questione con un solo sprazzo di luce: ecco di che trasportarci in una sfera a parte; questo non è umanità corrente, e la parola eccezionale non mi basta. Gesù parla positivamente delle cose dell’altro mondo come un viaggiatore parla al forestiero delle istituzioni del suo paese; Egli dice quello che sa, quello che ha veduto, e che è per lui cosa di famiglia, quello che è Lui stesso, ed opera in conformità.

D. È qualcosa di sublime al modo di Socrate.

R. Che differenza! «La vita e la morte di Socrate sono di un uomo, dice Gian Giacomo Rousseau; la vita e la morte di Gesù Cristo sono di un Dio ». Per me è l’evidenza che parla. Leggi il Vangelo ingenuamente, fedelmente, non con quella fedeltà che consiste nel credere prima questo o quello, ma con la fedeltà anticipata che si deve alla verità quando la si cerca; leggilo con spirito religioso, cioè ponendoti internamente le questioni eterne e pronto ad ascoltare la risposta; leggi così, e di sé non senti la presenza di Dio.

D. Allora è una visione, non più storia.

R. Dico presenza di Dio, e dico anche realtà umana la più autentica. Ciò non è mitologia; non è teologia abbigliata di fatti; il reale spunta fuori; è il reale positivo che è « caduto dal cielo » (ALESSANDRO DUMAS figlio); la spiritualità più trascendente e il fatto più concreto sono qui inseparabilmente legati e si provano l’un l’altro; il loro incontro è più miracoloso dei miracoli che si vedono. Tutti i nostri quadri di realtà sono spezzati; la nostra mente è sorpassata; il nostro cuore è anelante, eppure questo ha l’accento del vero; è il suono del reale umano e il suono d’una voce divina.

D. Insomma, a’ tuoi occhi, Vangelo prova se stesso.

R. Esattamente, e oso dire che ci vuole una specie di cecità spirituale per non vedere.

D. Questa cecità è assai diffusa.

E. Ahimè! ci sono tante cose accecanti che noi non vediamo!

D. Almeno si sospettano, e questo sospetto si fa riconoscere.

R. È questo veramente il caso. Anche quando non si crede alla divinità di Cristo, la si sente, la si prova sotto la forma di una venerazione unica, alla quale nessuna personalità della storia potrebbe pretendere anche lontanamente. Dimmi, vi è un uomo del quale non si stimerebbe ridicolo il dire: Egli è Dio? Ma non si trova ridicolo dicendolo di Cristo. Coloro che negano la sua dottrina, ed anche, cosa strana, coloro che negano Dio, lo riconoscono di un ordine divino, gli attribuiscono, come Augusto Sabatier, « una specie di natura divina ».

D. Che significa questo?

R. Chiedilo al suo autore. Per conto mio, dico che una virtù esce da Cristo, come diceva egli stesso, ed essa guarisce le cecità del bestemmiatore.

D. Che cosa pensi della risurrezione di Gesù?

R. È il più grande de’ suoi miracoli, e il meglio attestato di tutti; perché gli altri hanno per sé la testimonianza degli uomini: questo invece vi aggiunge la testimonianza de’ suoi effetti.

D. Quali effetti?

R. Quelli che lo stabilimento della fede suppone. Ricorda quello che disse Ernesto Lavisse: «Io, storico, non so ciò che avvenne il mattino di Pasqua; ma quello che ben so è che quel giorno nacque un’umanità che non muore più». Una umanità perpetua, sorta da quella tomba, è qualche cosa! È un’attestazione del prodigio segreto. Infatti, se Gesù soccombette al suo compito, donde è partito quell’immenso movimento di cui viviamo ancora? Come si spiega che Gesù sia per noi diventato ogni cosa ed occupi tutto lo spazio, con la sua presenza o con la sua assenza; che la sua causa si confonda oramai con quella della Divinità sopra la terra, e che tutta un’umanità viva con questo morto, se la tomba non ce lo ha restituito?

D. Chi parla di vivere intimamente con lui!

R. Si vive intimamente con Gesù Cristo; Egli è per noi più che uno vivo, più che un uomo presente e che ci parla.

D. Come ciò?

R. È il miracolo della Chiesa, della grazia e dell’Eucaristia. Per la Chiesa, Cristo ci avvolge; per la grazia, abita nei nostri cuori; per l’Eucaristia, rende sensibile esternamente come internamente la sua divina presenza. Or tutto questo non è niente senza la risurrezione.

D. È possibile nutrirsi di ciò che, in sé, non è niente, quando dei secoli di tradizione lo consacrano.

R. Ma io parlo del punto di partenza; domando che cosa ha inaugurato il primo impulso e quale ne fu la molla. Che cosa è che ha messo in moto gli Apostoli e li fece riuscire? « Bisognava che qualche cosa fosse successo », dice Claudel, « Mentre Gesù era con essi, dice Pascal, Egli li poteva sostenere; ma dopo, se non è apparso loro, chi li ha fatti agire? ». Si erano veduti così deboli! fuori di ogni avvenimento sovrumano, come hanno fatto per trascinare tutta la terra nei loro movimenti?

D. I discepoli di Maometto sono diventati un grande popolo.

R. Sono diventati un grande popolo per la forza della scimitarra; il Cristianesimo si stabilì per l’idea e per il fatto. L’idea era la dottrina di Cristo, che convertì e trasformò in umanità nuova tutto il mondo civile d’allora; il fatto, garante della dottrina e che ne era inseparabile, era, in primo luogo, la risurrezione.

D. Pure sì dice comunemente, tra coloro che non credono, che la risurrezione fu supposta dopo, per il fatto d’un entusiasmo religioso.

R. Essa all’opposto è alla base di tutto. Senza di essa non si spiega niente. Non è un effetto della fede, ma la causa. La Chiesa poggia sulla pietra della tomba vuota.

D. Per te il Cristianesimo è dunque dimostrato?

R. È dimostrato quanto si possono dimostrare le cose morali.

D. È una restrizione?

R. Con ciò io intendo di eliminare delle esigenze assurde. Ogni ordine di conoscenza ha le sue prove, che corrispondono alla sua natura; i teoremi si provano matematicamente, le leggi scientifiche scientificamente, i fatti morali moralmente, e i fatti religiosi religiosamente.

D. Che cosa significa quest’ultima parola?

R. Essa sottintende un triplice concorso: quello di una saggia indagine, quello di una volontà retta, quello della grazia, senza le quali Dio non si può raggiungere.

D. Che cosa fare, con questo spirito?

R. Te lo dirò in generale, e te lo dirò per te stesso, se lo permetti, pronunziando le mie ultime parole.

— Attendo.

LO SCUDO DELLA FEDE (171)

LA SUMMA PER TUTTI (14)

LA SUMMA PER TUTTI (14)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

SEZIONE SECONDA

Idea particolareggiata del ritorno dell’uomo verso Dio.

Capo XXXVII.

L’amicizia. – Vizi opposti: disdegno, adulazione.

1220. Vi è ancora un obbligo morale richiesto nella società degli uomini per il bene perfetto della società stessa, quantunque non richiesto col medesimo rigore di quello della riconoscenza, della vendetta e della verità?

Sì; è il dovere dell’amicizia (CXIV, 2).

1221. Che cosa intendete per amicizia?

Intendo una virtù per la quale l’uomo nei suoi rapporti con gli altri, si ingegna in tutto ciò che riguarda il suo esterno, si tratti delle sue parole come dei suoi atti, a comportarsi con essi come si conviene, per dare alla loro vita comune il più perfetto ornamento (CXIV, 1).

1222. È questa una virtù di gran pregio nei rapporti degli uomini tra loro?

Sì; è la virtù sociale per eccellenza, e si potrebbe chiamare come il fiore ed il profumo più squisito tanto della virtù della giustizia che di quella della carità.

1223. In che modo si può peccare contro questa virtù?

Si può peccare in due modi contro questa virtù: per difetto, preoccupandosi poco o non preoccupandosi affatto di ciò che può far piacere o dispiacere agli altri; per eccesso, abbandonandosi al vizio della adulazione o non sapendo mostrare esternamente quando occorre, la disapprovazione che possono meritare gli atti o le parole di coloro coi quali si vive (CXV, CXVI).

Capo XXXVIII.

La liberalità. – Vizi opposti: avarizia e prodigalità.

1224. Quale è finalmente la virtù che si riferisce alla giustizia particolare, destinata ad adempiere l’ultimo aspetto dell’obbligo morale annesso alle relazioni degli uomini tra loro?

È la virtù della liberalità (CXVII, 5).

1225. Che cosa intendete per tale virtù?

Intendo una disposizione dell’anima per la quale l’uomo non è attaccato alle cose esterne che concorrono alla utilità della vita degli nomini tra loro, se non in una misura così perfettamente ordinata, da essere sempre pronto a rinunziare a tali cose e specialmente al denaro che le rappresenta, per il meglio della vita sociale tra gli uomini (CXVII, 1-4),

1226. Questa virtù è molto grande?

Presa nel suo oggetto immediato che è il bene delle ricchezze è la infima tra le virtù: ma nelle sue conseguenze essa si nobilita con la dignità di tutte le altre virtù, perché può concorrere al bene di ciascuna di esse (CXVII, 6).

1227. Quali sono i vizi opposti a questa virtù?

Sono l’avarizia e la prodigalità (CXVIII, CXIX).

1228. Che cosa intendete per avarizia?

Intendo un peccato speciale costituito dall’amore smoderato delle ricchezze (CXVIII, art. 1, 2)

1229. È molto grave questo peccato?

Considerandolo in ordine al bene umano che esso guasta è l’infimo dei peccati, perché non snatura che l’amore dell’uomo per i beni esterni che sono le ricchezze; ma considerando la sproporzione dell’anima e delle ricchezze alle quali questo peccato fa che l’uomo si attacchi indebitamente, diviene il più vergognoso e più spregevole dei vizi; perché fa che l’anima si assoggetti a ciò che è più al di sotto di sé (CXVIII, 4, 5).

1230. Questo vizio è particolarmente pericoloso?

Sì; questo vizio è particolarmente pericoloso, perché l’amore delle ricchezze non termina in se stesso; e per accumularle si può arrivare a commettere ogni delitto contro Dio, contro il prossimo e contro se stesso (CXVIII, 5).

1231. L’avarizia è un peccato capitale?

Sì; l’avarizia è un peccato capitale, perché racchiude in sé o nel proprio oggetto una delle condizioni annesse alla felicità che ciascuno desidera, cioè l’abbondanza dei beni ai quali ognuno obbedisce (CXVIII, 7).

1232. Quali sono gli effetti dell’avarizia?

Sono la durezza del cuore che non sente più misericordia, la inquietudine, la violenza, l’inganno, lo spergiuro, la frode, il tradimento. Perché l’amore disordinato delle ricchezze può eccedere nel ritenerle, nell’acquistarle, nel desiderio di possederle, nel prenderle con violenza ed usando astuzia, nel discorso ordinario ed accompagnato dal giuramento; ed in via di fatto, riguardo alle cose e riguardo alle persone (CXVIII, 8).

1233. La prodigalità, che è l’altro vizio opposto alla liberalità, si oppone anche all’avarizia?

Sì: perché mentre l’avarizia eccede nell’amore e nella preoccupazione delle ricchezze, e non è abbastanza disposta ad utilizzarle donandole, la prodigalità al contrario non si preoccupa abbastanza di ciò che riguarda la custodia delle ricchezze stesse, ed ha troppa inclinazione a prodigarle (CXIX, 1, 2).

1234. Di questi due vizi qual è il più grave?

È l’avarizia; perché essa si oppone maggiormente al bene della virtù della liberalità, di cui la caratteristica è piuttosto il dare che il ritenere (CXIX, 3).

1235. Potreste, sotto forma di ricapitolazione, dirmi come sono ordinate e graduate le virtù annesse alla giustizia particolare, in ordine a coloro che ne sono l’oggetto?

Sì; ecco tutto in poche parole: In primo luogo viene la religione che riguarda Dio nel servizio e nel culto che gli si deve, per la ragione che Egli è il Creatore ed il Sovrano Signore e Padrone di tutte le cose. Quindi la pietà verso i genitori e verso la patria, per il grande benefizio della vita che dobbiamo loro; poi la osservanza, rispetto ai superiori in autorità, in dignità od in eccellenza, in qualunque ordine ciò possa essere. Poi la gratitudine o riconoscenza, riguardo ai nostri benefattori particolari; la vendetta, quando si tratta di malfattori o di coloro che hanno potuto nuocere in modo tale da reclamare la repressione del male. Finalmente la verità, la amicizia e la liberalità che dobbiamo usare con ogni essere umano, in ragione di noi stessi.

Capo XXXIX.

L’equità naturale o epicheia.

1236. Non avete detto che esiste anche una virtù annessa alla giustizia generale o legale?

Sì; ed è la virtù che possiamo chiamare col nome generale di equità naturale, e che si

chiama anche epicheia (CXX).

1237. Qual è il compito, ossia l’ufficio proprio di questa virtù?

Essa ha per proprio compito ed ufficio di rivolgere la volontà a cercare la giustizia in tutte le cose ed in tutti gli ordini al di fuori ed al di sopra di ogni testo di leggi e costumi esistenti tra gli uomini, quando la ragione naturale, in virtù dei suoi primi principi, dimostra che in un dato caso tal testi di leggi o tali costumi non possono né debbono applicarsi (CXX, 1).

1238. Questa virtù è molto preziosa?

Nell’ordine della giustizia e di tutte le virtù che regolano l’uomo nei suoi rapporti con gli altri, è la più importante e la più preziosa di tutte le virtù; perché in qualche modo le domina tutte e tutte le mantiene nell’ordine del bene sociale, in ciò che vi è di più profondo e di più essenziale (CXX, 2).

Capo XL

Del dono della pietà corrispondente alla giustizia e alle sue parti.

1239. Fra i doni dello Spirito Santo quale corrisponde alla virtù della giustizia?

Il dono della pietà (CXXI).

1240. In che cosa consiste precisamente il dono della pietà?

Consiste in una disposizione abituale della volontà, per la quale l’uomo è atto a ricevere l’azione diretta e personale dello Spirito Santo che lo innalza a trattare con Dio, considerato nei più alti misteri della sua vita divina, come con un Padre teneramente e filialmente onorato, servito ed obbedito; ed a trattare con tutti gli altri uomini e con tutte le altre creature ragionevoli, nei suoi rapporti con essi, in quanto lo richiede il bene divino e soprannaturale che li unisce tutti a Dio, come al Padre della grande famiglia divina (CXXI, 1).

1241. Si deve dire che il dono della pietà è quello che mette il suggello più perfetto ai rapporti esterni che gli uomini possono e debbono avere sia tra loro stessi che con Dio?

Sì: il dono della pietà è quello che mette il suggello più perfetto ai rapporti esterni che gli uomini possono o debbono avere sia tra loro stessi che con Dio. Esso è il coronamento della virtù della giustizia e di tutte le virtù annesse: e se ciascuno con questo dono mettesse in opera, corrispondendovi perfettamente, i moti e l’azione dello Spirito Santo, la vita degli uomini su questa terra sarebbe la vita di una grande famiglia divina, e come il pregustamento della vita degli eletti nel cielo.

Caro XLI.

Dei precetti del Decalogo relativi alla giustizia: i primi tre e gli ultimi quattro.

1242. La virtù della giustizia e le virtù annesse, col dono della pietà che le suggella, hanno dei precetti che vi si riferiscono?

Sì: sono tutti i precetti del Decalogo (CXXII, 1).

1243. Non si riferiscono che a queste virtù i precetti del Decalogo?

Sì; i precetti del Decalogo non si riferiscono che a queste virtù; e quelli che si riferiscono alle altre virtù son venuti dopo, come determinazioni o spiegazioni dei primi (CXXII, 1).

1244. Perché è avvenuto così?

Perché i precetti del Decalogo, essendo i primi precetti della legge morale dovevano riferirsi a ciò che immediatamente e per tutti ha manifestamente ragione di cosa dovuta od obbligatoria; e questo comprende i rapporti con gli altri, in quanto sono regolati dalla virtù della giustizia con le virtù annesse (CXXTI, 1).

1245. Come si dividono i precetti del Decalogo?

Si dividono in due parti chiamate le due tavole della legge.

1246. Che cosa comprendono i precetti della prima tavola?

Comprendono i primi tre precetti relativi alla virtù della religione, che regola i rapporti dell’uomo con Dio,

1247. Come sono ordinati questi tre precetti della prima tavola?

Sono ordinati in modo che i primi due escludono i due principali ostacoli che si oppongono al culto di Dio, vale a dire la superstizione, ossia culto dei falsi dei, e la irreligione, ossia mancanza di rispetto al vero Dio; il terzo poi stabilisce la parte positiva del culto del vero Dio (CXXII, 2, 8).

1248. Che cosa comprende questo terzo precetto del Decalogo?

Comprende due cose: astensione dalle opere servili, e la sollecitudine di attendere alle cose di Dio (CXXII, 4 ad 2).

1249. Che cosa si intende per astensione dalle opere servili?

Per astensione dalle opere servili si intende l’obbligo di sospendere un giorno per settimana, che attualmente è la domenica, e nei giorni di festa di precetto che sono per tutta la Chiesa il Natale, la Circoncisione, la Epifania, l’Ascensione, il Corpus Domini, la Immacolata Concezione, l’Assunzione, la festa di San Giuseppe, la festa dei Ss. Pietro e Paolo e la festa di Tutti i Santi, i lavori manuali che non sono necessari al mantenimento ed al buon ordine della vita materiale, o non richiesti da una urgente necessità (CXXII, 8 ad 3. – Codice, can. 1247).

1250. E la sollecitudine di attendere alle cose di Dio che cosa comprende?

Comprende in modo totalmente esplicito e sotto pena di colpa grave, l’assistenza al santo Sacrificio della Messa, nelle domeniche e nei giorni di festa sopra notati (CXXII, 3ad 4).

1251. Se in tali giorni non si può assistere alla Messa, siamo obbligati a qualche altro esercizio di pietà?

Non siamo obbligati in maniera determinata ad alcun esercizio di pietà; ma certissimamente sarebbe un mancare all’obbligo positivo di santificare tali giorni, lasciandoli passare senza dedicarsi ad alcun atto di religione,

1252. Che cosa comprendono i precetti della seconda tavola?

Comprendono i precetti relativi alla virtù della pietà verso i genitori, ed alla virtù della stretta giustizia verso il prossimo chiunque esso sia (CXXII, 5, 6).

Capo XLII

La fortezza: virtù e atto: il martirio. – Vizi opposti: la paura, l’insensibilità, la temerità.

1253. Quale è la terza virtù appartenente alle virtù cardinali, che segue la giustizia?

È la virtù della fortezza (CXXII-CXL).

1254. Che cosa intendete per virtù della fortezza?

Intendo quella perfezione di ordine morale della parte affettiva sensibile, avente per oggetto di resistere contro i più grandi timori e di moderare i moti più arditi di audacia, sfidando anche i pericoli di morte nel corso di una guerra giusta, affinchè l’uomo al loro sopraggiungere, non tradisca mai il proprio dovere (CXXIII, 1-6).

1255. Questa virtù ha un atto più speciale in cui manifesta tutta la sua eccellenza e tutta la perfezione?

Sì; l’atto del martirio (CXXIV).

1256. Che cosa intendete per atto del martirio?

Intendo quell’atto della virtù della fortezza per il quale, nella guerra particolare che si ha da sostenere contro i persecutori del nome cristiano e di tutto ciò che vi si riferisce, non si teme di accettare la morte per rendere testimonianza alla verità (CXXIV, art. 1-5).

1257. Quali sono i vizi opposti alla virtù della fortezza?

Sono: da un lato la paura che non resiste abbastanza davanti ai pericoli della morte, e la insensibilità di fronte al pericolo che trascura di evitare quando si deve evitare: dall’altro la temerità per la quale si va incontro al pericolo, contrariamente ad una giusta prudenza (CXXV-CXXVII).

1258. Dunque si può peccare per eccesso di valore?

Non si pecca mai per eccesso di valore: ma si può, sotto la pressione di una troppo forte arditezza non moderata dalla ragione, lasciarsi andare a degli atti che, non essendo di vero coraggio, del valore hanno la sola apparenza (CXXVII, 1 ad 2).

Capo XLIII.

Virtù annesse: la magnanimità. – Vizi opposti: la presunzione, l’ambizione, la vanagloria, la pusillanimità.

1259. Vi sono delle virtù che si collegano con la fortezza imitandone l’atto, ossia il modo di agire, ma in materia meno difficile?

Sì; da una parte vi sono la magnanimità e la magnificenza; dall’altra la pazienza, e la perseveranza (CXXVIII).

1260. In che cosa si distinguono queste due specie di virtù?

Le prime due si collegano con la fortezza in ragione di quello tra i suoi atti che affronta ciò che vi è di più difficile e di più arduo; mentre le altre due le si collegano in ragione dell’atto che resiste contro i più gravi timori (CXXVIII).

1261. Qual è l’oggetto proprio della – magnanimità?

È quello di rafforzare il moto della speranza per il compimento di grandi azioni, in quanto ne risultano grandi onori o grande gloria (CXXIX, 1, 2).

1262. Dunque nella magnanimità tutto è grande?

Sì: tutto è grande in questa virtù, ed essa è propria dei grandi cuori.

1263. Può esservi qualche vizio che le si oppone?

Sì; vi sono numerosi vizi che le si oppongono, sia per eccesso che per difetto.

1264. Quali sono i vizi che le si oppongono per eccesso?

Sono la presunzione, l’ambizione e la vanagloria (CXXX – CXXXII).

1265. Come si distinguono tra loro questi diversi vizi?

Si distinguono in questo,  che la presunzione induce a fare a fare delle azioni troppo grandi per le proprie forze e per il proprio valore; l’ambizione mira ad onori più grandi di quanto lo comportano il proprio stato ed i propri meriti;  la vanagloria cerca una gloria che non ha valore, o non è ordinata al suo vero fine, che è la gloria di Dio ed il bene degli uomini (Ibid.)

1266. La vanagloria è un vizio capitale?

Sì; la vanagloria è un vizio capitale, perché implica la manifestazione della propria eccellenza, che gli uomini cercano in tutto e che può condurli a molti errori (CXX.XII, 4).

1267. Quali sono gli effetti della vanagloria?

sono la iattanza, l’ipocrisia, la pertinacia, la contenzione e la disobbedienza (CXXXII,5)

1268. Qual è il vizio che si oppone alla magnanimità per difetto?

È la pusillanimità (CKXXIII).

1269. Perché la pusillanimità è un peccato?

Perché è contraria alla legge naturale che sprona ogni essere ad agire, in quanto la sua virtù ed i suoi mezzi lo rendono capace (CXXXIII, 1)

1270. È cosa dunque realmente biasimevole mettere in opera le virtù ed i mezzi di azione ricevuti da Dio, per diffidenza di se stesso o per non conveniente disposizione  verso gli onori e la gloria?

Si; è una cosa realmente biasimevole e bisogna ben guardarsi dal confonderla con la vera umiltà di cui presto parleremo (Ibid.)

Capo XLIV.

La magnificenza. – Vizi opposti: la grettezza e le spese eccessive.

1271. In cosa consiste la virtù della magnificenza?

Consiste in una disposizione della parte affettiva, che rafforza e regola il moto della speranza verso ciò che è arduo, nel dispendio richiesto per il compimento di grandi opere (CXXXIV, 1, 2).

1272. Questa virtù suppone grandi ricchezze e grandi occasioni di spese in vista del bene pubblico?

Sì; questa virtù suppone grandi ricchezze, che si ha occasione di spendere per tutto ciò che riguarda specialmente il culto divino ed il bene pubblico della città o dello Stato (CXXXIV, 3).

1273. Essa è dunque propriamente la virtù dei ricchi e dei grandi?

Sì; essa è propriamente la virtù dei ricchi e dei grandi.

1274. Quali sono i vizi opposti a questa virtù?

Vi è il vizio della grettezza in ciò che si fa, che porta l’uomo a restare al di sotto delle spese necessarie all’intrapresa dell’opera; ed il vizio della spesa eccessiva che porta a spendere senza ragione oltre la misura voluta dalla grandezza dell’opera stessa (CXXXV, 1, 2)

Capo XLV.

La pazienza. – La longanimità. – La costanza.

1275. Qual è la caratteristica della virtù della pazienza?

La caratteristica della virtù della pazienza è di sopportare in ordine al bene della vita futura, oggetto della carità, tutte le afflizioni che possono in ogni istante della nostra vita presente, esserci cagionate dalle contrarietà inerenti a questa vita stessa, e più specialmente dalle azioni degli altri uomini nelle loro relazioni con noi (CXXXVI), 1-3).

1276. La pazienza è la stessa cosa che la longanimità e la costanza?

No; perché se tutte e tre aiutano a  resistere contro le afflizioni di questa vita, la pazienza resiste soprattutto contro quelle cagionate a noi dalle contrarietà provenienti dai nostri rapporti quotidiani con gli altri nomini; mentre la longanimità resiste contro le afflizioni

causate dal ritardo nel conseguimento del bene che aspettiamo, e la costanza contro i disgusti che ci cagionano le diverse noie che possono sopraggiungere nel corso della pratica del bene (CXXXVI, 5).

Capo XLVI.

La perseveranza. – Vizi opposti: la mollezza e la pertinacia.

1277. Quali rapporti ha la perseveranza con le virtù di cui abbiamo parlato?

La perseveranza non riguarda le afflizioni, ma piuttosto il timore della fatica che

ci cagiona la sola durata prolungata della pratica del bene (CXXXVII, 1-3).

1278. La virtù della perseveranza ha dei vizi che le si oppongono?

Sì; sono la mancanza di resistenza, ossia la mollezza, per la quale si cede alla minima pena ed alla minima fatica; e la pertinacia per la quale ci si ostina a non cedere, quando invece sarebbe ragionevole farlo (CXXXVIII, 1, 2),

Capo XLVII.

Del dono della fortezza corrispondente alla virtù della fortezza.

1279. Vi è un dono dello Spirito Santo che corrisponde alla virtù della fortezza?

Si; è il dono che porta lo stesso nome, e si chiama appuntodono della fortezza (CXXXIX)

1280. Potreste spiegarmi in che cosa differisce il dono della fortezza dalla virtù dello stesso nome?

Sì; eccolo spiegato in brevi parole:  Come la virtù corrispondente, questo dono riguarda il timore ed in qualche modo l’audacia. Ma mentre il timore e l’audacia moderati dalla virtù della fortezza non riguardano che i pericoli che è in potere dell’uomo superare o subire, il timore e la confidenza dominati ed eccitati dal dono della fortezza riguardano i  pericoli ed i mali ed i mali che l’uomo non può assolutamente sormontare: quale è la stessa separazione che opera la morte da tutti i beni della vita presente, senza dare da sé il solo bene superiore che li compensa e li supplisce all’infinito, apportando ogni bene ed escludendo ogni male, cioè il conseguimento effettivo della vita eterna. Questa sostituzione effettiva della vita eterna a tutte le miserie della vita presente, malgrado tutte le difficoltà e tutti i pericoli che possono ostacolare il bene dell’uomo, compresa la morte che tutti li compendia, è opera esclusiva dell’azione propria dello Spirito Santo. Perciò soltanto a Lui appartiene di avviare effettivamente l’anima dell’uomo verso tale sostituzione, in modo che l’uomo abbia in Lui la fiducia ferma e positiva che gli fa sfidare il più grave di tutti i timori ed in qualche modo correre incontro alla morte stessa, non per soccombere ma per trionfarne. Ed è appunto per il dono della fortezza che l’uomo è così mosso dallo Spirito Santo; tantoché si potrebbe assegnare come oggetto proprio di questo dono, la vittoria sulla morte (CXXXIX,1).

Capo XLVIII

Dei precetti relativi alla fortezza.

1281. Vi sono dei precetti aventi relazione con la virtù della fortezza nelle legge divina?

Sì; e tali precetti sono dati come conviene. Perché specialmente nella legge nuova ove tutto è ordinato a fissare lo spirito dell’uomo a Dio, l’uomo è invitato sotto forma di precetto negativo a non temere i mali temporali, e sotto forma di precetto positivo a combattere senza posa il più mortale nemico che è il demonio (CXL, 1).

1282. Ed i precetti relativi alle altre virtù collegate con la fortezza, sono dati egualmente nella legge divina?

Sì; perché non si danno precetti affermativi, cioè primitivi, se non in riguardo della pazienza e della perseveranza, come appartenenti alle cose ordinarie della vita; in riguardo invece della magnificenza e della magnanimità, come rivolte a cose piuttosto all’ordine della perfezione, non si danno affatto precetti, ma semplici consigli (CXL, 2).

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XIX)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XIX)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER

RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA, OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

LIBRO SESTO.

§ II

Della guerra che il diavolo ha condotto per mezzo di Maometto; e che farà di nuovo con l’anticristo.

CAPITOLO XIII. VERSETTI 1-10

Et vidi de mari bestiam ascendentem habentem capita septem, et cornua decem, et super cornua ejus decem diademata, et super capita ejus nomina blasphemiæ. Et bestia, quam vidi, similis erat pardo, et pedes ejus sicut pedes ursi, et os ejus sicut os leonis. Et dedit illi draco virtutem suam, et potestatem magnam. Et vidi unum de capitibus suis quasi occisum in mortem: et plaga mortis ejus curata est. Et admirata est universa terra post bestiam. Et adoraverunt draconem, qui dedit potestatem bestiæ: et adoraverunt bestiam, dicentes: Quis similis bestiæ? et quis poterit pugnare cum ea? Et datum est ei os loquens magna et blasphemias: et data est ei potestas facere menses quadraginta duos. Et aperuit os suum in blasphemias ad Deum, blasphemare nomen ejus, et tabernaculum ejus, et eos qui in caelo habitant. Et est datum illi bellum facere cum sanctis, et vincere eos. Et data est illi potestas in omnem tribum, et populum, et linguam, et gentem, et adoraverunt eam omnes, qui inhabitant terram: quorum non sunt scripta nomina in libro vitae Agni, qui occisus est ab origine mundi. Si quis habet aurem, audiat. Qui in captivitatem duxerit, in captivitatem vadet: qui in gladio occiderit, oportet eum gladio occidi. Hic est patientia, et fides sanctorum.

[E vidi salire dal mare una bestia, che aveva sette teste e dieci corna, e sopra le sue corna dieci diademi, e sopra le sue teste nomi di bestemmia. E la bestia che io vidi era simile al pardo, e i suoi piedi come piedi d’orso, e la sua bocca come bocca di leone. E il dragone le diede la sua forza e un grande potere. E vidi una delle sue teste come ferita a morte: ma la sua piaga mortale fu guarita. E tutta la terra con ammirazione seguì la bestia. É adorarono il dragone che diede potestà alla bestia: e adorarono la bestia, dicendo: Chi è simile alla bestia? E chi potrà combattere con essa? E le fu data una bocca che proferiva cose grandi e bestemmie: e le fu dato potere di agire per quarantadue mesi. E aprì la sua bocca in bestemmie contro Dio, a bestemmiare il suo nome, e il suo tabernacolo, e quelli che abitano nel cielo. E le fu dato di far guerra ai santi, e di vincerli. E le fu data potestà sopra ogni tribù, e popolo, e lingua, e nazione, e lei adorarono tutti quelli che abitano la terra: i nomi dei quali non sono scritti nel libro di vita dell’Agnello, il quale fu ucciso dal cominciamento del mondo. Chi ha orecchio, oda. Chi mena in schiavitù, andrà in schiavitù: chi uccide di spada, bisogna che sia ucciso di scada. Qui sta la pazienza e la fede dei Santi.]

I. Vers. 1. – E vidi una bestia che usciva dal mare, con sette teste e dieci corna, e dieci diademi sulle sue corna, e nomi di blasfemia sulle sue teste.

Vers. 2: – E la bestia che vidi era come un leopardo, e i suoi piedi erano come i piedi di un orso, e la sua bocca come la bocca di un leone. E il drago gli diede forza e grande potere. Questa bestia che sorge dal mare è l’impero di Maometto o l’impero dei Turchi di cui parla Daniele, nel capitolo VII, 7. Si dice che questa bestia sorga dal mare, perché il suo regno ha avuto origine tra i mari; infatti, Maometto era all’inizio il capo degli arabi. Questa bestia aveva sette teste, il che significa l’universalità dei re che governeranno questo impero fino alla consumazione dei secoli. Le sue dieci corna rappresentano l’universalità dei regni e delle province soggette a questo impero, e quelli che gli saranno ancora soggetti nel tempo dell’anticristo, come vedremo più avanti. I dieci re sono quelli tra i quali questo impero sarà un giorno diviso, ed essi lo distruggeranno per un certo tempo e lo consegneranno alla bestia; perciò è detto: E dieci diademi sulle sue corna, e nomi di bestemmia sulle sue teste…… Questi dieci diademi sono le corone reali. I nomi di blasfemia sono i titoli degli imperatori turchi che denotano un sorprendente orgoglio e contengono bestemmie contro la maestà, la gloria e l’onore di Dio, che solo è grande, onnipotente, di infinita saggezza, Creatore del cielo e della terra, e fondatore di tutti i regni. I nomi di blasfemia sono ancora le sette musulmane ed il Corano, cioè la legge di Maometto, in cui sono contenute falsità e bestemmie mostruose. Si dice che questi nomi di blasfemia siano su queste teste, perché tutti coloro che regneranno in questo impero saranno tutti animati dallo stesso spirito in favore di questa setta; la difenderanno con la violenza per impedire che perisca. Infine, i nomi di blasfemia sono la dottrina dell’anticristo, che sarà l’ultimo corno di questa bestia infernale, come vedremo nel capitolo XIV. E la bestia che vidi era come un leopardo, e i suoi piedi erano come quelli di un orso e la sua bocca come quella di un leone. Questa bestia è paragonata a un leopardo per la sua velocità, la sua potenza, la sua forza, la sua ferocia e la sua superbia; poiché durante il suo regno sarà molto rapace e molto crudele verso tutta la Cristianità; e lo sarà specialmente attraverso il suo ultimo corno, che sarà l’anticristo. E i suoi piedi erano come i piedi di un orso, a causa dell’estensione della forza e del suo impero, che sarà immenso, soprattutto sotto l’ultimo corno. Il carattere peculiare di questa monarchia era quello di invadere e occupare tutto; e quando i turchi assediavano una città, non risparmiavano nulla per prenderla, e revocavano l’assedio solo dopo averla presa con l’assalto, per continuare poi le loro devastazioni. Si dice che questo crudele e terribile impero ha piedi molto robusti e grandi, come quelli di un orso, perché doveva occupare regni, province, città, isole e ogni tipo di territorio, e perché l’anticristo calpesterà il Santo dei Santi e tutti gli oggetti sacri, come un orso furioso. E la sua bocca era come la bocca di un leone, perché questo impero farà a pezzi tutti i regni della terra, specialmente sotto l’ultimo corno (Dan. VII e segg.).- « Ho visto apparire una quarta bestia, che era terribile e stupefacente. Era straordinariamente forte; aveva grandi denti di ferro; divorava, faceva a pezzi e calpestava ciò che rimaneva con i piedi. Era molto diverso dalle altre bestie che avevo visto prima di essa; e aveva dieci corna. Ho guardato le sue corna e ho visto un altro piccolo corno che spuntava tra gli altri. Tre delle sue prime corna sono stati strappate dalla sua faccia. Questo corno aveva occhi come quelli di un uomo e una bocca che diceva grandi cose ….. Allora mi venne un gran desiderio di sapere cosa fosse la quarta bestia, che era molto diversa da tutte le altre e spaventosa oltre ogni dire: i suoi denti e le sue unghie erano di ferro; divorava e faceva a pezzi, e calpestava ciò che era sfuggito alla sua violenza. (Volevo anche indagare) sulle dieci corna che aveva sulla testa, e su un altro che gli venne di nuovo, in presenza del quale tre di queste corna erano cadute; e su questo corno che aveva occhi e una bocca che pronunciava grandi cose; e questo corno era più grande degli altri. E quando guardai attentamente, ecco che questo corno faceva guerra ai santi e aveva su di loro successo ……. La quarta bestia è il quarto regno, che sarà più grande di tutti i regni e divorerà tutta la terra, la calpesterà e la farà a pezzi. Ma le dieci corna di questi regni saranno dieci re; e un altro sorgerà dopo di loro, che sarà più potente del primo, e umilierà tre re. E parlerà con orgoglio contro l’Altissimo, e combatterà i suoi santi; e penserà di poter cambiare i tempi e le leggi, e saranno dati in mano sua per un tempo, e due tempi, e mezzo tempo. E interverrà il giudizio, affinché gli sia tolto il potere, e sarà battuto, fatto a pezzi e perirà per sempre. » Così questa bestia turca o monarchia romperà e divorerà tutto. L’universo ne sarà stupito, e diventerà lo scandalo e la rovina delle anime. E il dragone gli diede la sua forza e il suo grande potere. satana può comunicare la sua forza e il suo potere in due modi: anzitutto, con la sua assistenza, con i suoi cattivi consigli e producendo effetti soprannaturali: tale fu la potenza che diede a Maometto e al suo impero. Questo primo modo è estrinseco. Il secondo modo è intrinseco; e avrà luogo quando satana si rivestirà, per così dire, del corpo e dell’anima dell’anticristo, e diventerà tutt’uno con lui. Ora, Dio non ha ancora permesso a satana di fare questo, ma gli sarà concesso nel figlio della perdizione. Perciò lucifero, che è la creatura più orgogliosa che esista, cercando sempre nella sua gelosia di imitare la Divinità in tutte le cose, entrerà nell’anticristo, lo formerà, lo possiederà e si rivestirà, per così dire, del suo corpo e della sua anima, fin dal momento del suo concepimento, nel grembo materno. Egli sussisterà in lui in modo intrinseco e lo abiterà corporalmente, così che l’anticristo, che, secondo Daniele, (VII, 7), sarà una bestia terribile e meravigliosa, opererà incredibili prodigi grazie alla forza e al grande potere di lucifero da cui sarà posseduto. E allo stesso modo con cui il Verbo di Dio si unì veramente e ipostaticamente alla natura umana, e attraverso questa unione la Divinità comunicò agli uomini la forza ed il potere di fare miracoli per dimostrare che Egli è veramente il figlio di Dio; così satana cercherà di dimostrare con grandi prodigi che la divinità abita spiritualmente nell’anticristo; e riuscirà a convincere di questo quasi tutti gli uomini, ad eccezione di quelli i cui nomi sono iscritti nel libro della vita. Perciò è detto: Il drago gli darà la sua forza e il suo grande potere. Nessuno deve immaginare che io stia parlando in modo incoerente, confondendo la bestia con l’anticristo; perché i Profeti sono soliti, nei loro enigmi, presentare e comprendere sotto un’unica figura diverse cose che accadranno in tempi diversi, quando hanno qualche relazione tra loro. Ora, poiché Maometto e i suoi successori, e soprattutto l’anticristo che sarà l’ultimo complemento di tutte le predicazioni, hanno un obiettivo comune, che è quello di negare e distruggere il santo Nome di Gesù, è conseguente dire che tutti insieme non sono che un solo corpo morale ed una sola bestia. Ed è soprattutto all’anticristo che conviene propriamente questo nome della bestia, perché sarà il più malvagio e il più potente di tutti i monarchi turchi, e il suo impero sarà l’ultimo, il più grande ed il più potente; infatti, il suo regno tirannico riassumerà tutti gli altri. Egli infurierà e ruggirà come un leone contro il Santo Nome di Gesù; e calpesterà il Santo dei Santi come un orso. Infine, chi nega che Gesù Cristo, il Figlio di Dio, sia venuto sulla terra e si sia fatto carne come noi, è un anticristo, e tutti quelli che lo fanno costituiscono un solo corpo, di cui l’anticristo, il figlio della perdizione, è la testa e la coda. Da qui queste parole: (I. Jo., II, 18): « Come avete udito che l’anticristo deve venire, così ora ci sono molti anticristi », cioè che egli è venuto nelle sue membra e nei suoi prodromi, in attesa che venga di persona a consumare la prevaricazione.

II. Vers. 3E vidi una delle sue teste come ferita a morte; ma quella ferita mortale era guarita, e tutta la terra seguiva la bestia con ammirazione. Queste parole contengono un significato occulto e difficile. 1° Si dice che una delle sue teste fu come ferita a morte, cioè che la bestia riceverà una ferita mortale, poiché accadrà, infatti, che l’impero turco o l’impero di Maometto subirà una grande sconfitta e una rovina quasi completa al punto che sarà come annichilito, poiché ne rimarrà solo una parte, come un piccolo regno. Ma l’Anticristo rialzerà questo impero; poiché egli occuperà il suo trono e riparerà tutte le sue perdite, lo ingrandirà pure immensamente, molto più di quanto non sia mai stato prima. L’anticristo nascerà e avrà la sua origine nei resti di questo impero in rovina.  La stessa cosa si può vedere nelle profezie citate sopra, quando, Daniele, parlando con grande ammirazione di quel piccolo corno che sorgeva in mezzo alle dieci corna, aggiunge che aveva occhi come quelli di un uomo e una bocca che proferiva grandi cose, e che questo corno era più grande degli altri. 2 ° San Giovanni continua: Ma quella ferita mortale fu guarita. Questo è ciò che sarà realmente compiuto dall’anticristo, che restaurerà il regno delle nazioni che prima erano cadute quasi completamente in rovina. E questo regno dell’Anticristo sarà più grande di tutti gli altri regni della terra da quando il mondo ebbe origine. È ciò che dice Daniele, (VII, 23): « Il quarto regno sarà il più grande di tutti e divorerà tutta la terra e la calpesterà. » 3º Perciò San Giovanni aggiunge: E tutta la terra seguiva la bestia con ammirazione. Il significato di queste ultime parole è dunque che tutto l’universo, vedendo questo potere della bestia innalzato sopra tutte le potenze terrene, sarà nell’ammirazione più grande; gli uomini saranno come rapiti in estasi a causa dei suoi prodigi; e seguiranno la bestia, cioè la dottrina dell’Anticristo. Essi faranno ancora di più:

III. Vers. 4 Ed essi adorarono il drago, che aveva dato potere alla bestia, e adorarono la bestia, dicendo: Chi è come la bestia, e chi potrà combattere contro di lei? Queste parole sono collegate in modo meraviglioso con le precedenti; perché tutte le nazioni e i regni adoreranno lucifero incorporato all’anticristo, perché lo considereranno come la Divinità, e crederanno che la Divinità sia in lui, a causa del suo potere ed i grandi prodigi che opererà con l’aiuto di lucifero, e a causa della conoscenza, delle intuizioni e dei grandi prodigi che usciranno dalla sua bocca, e che gli saranno suggeriti dal principe dei demoni. Lucifero è davvero il principe dei demoni, perché è elevato al di sopra di tutti gli altri spiriti infernali per le qualità più perfette che gli angeli malvagi possano avere. Ed è con l’aiuto di questo potere sorprendente che il figlio della perdizione farà i più grandi prodigi. Il vero Dio, Creatore del cielo e della terra, permetterà questi prodigi per punire gli uomini che, in questi ultimi giorni, raggiungeranno il massimo di ogni prevaricazione. Perciò, quando gli uomini vedranno queste grandi meraviglie dell’anticristo, tutte le nazioni lo adoreranno come Dio e Messia. Perciò San Giovanni dice: Ed essi adoravano la bestia, come noi come noi stessi adoriamo il Figlio dell’Uomo a causa della sua divinità. – Chi è come la bestia e chi può combattere contro di essa? Queste parole significano un’apostasia universale con la quale gli uomini si separeranno dal Dio del cielo e della terra, e specialmente dal suo Figlio fatto carne Gesù Cristo; così che tutte le Nazioni, i Giudei e anche molti Cristiani, vedendo la potenza, la saggezza e le grandi meraviglie di questo mostro, saranno ingannati a causa della loro cattiveria e dei loro enormi peccati. Perché Dio li abbandonerà al loro senso reprobo. E tutti questi uomini sedotti diranno nella loro cecità: Chi è come la bestia e chi può combattere contro di lei? Queste parole contengono un’orribile bestemmia contro il Dio del cielo e contro il suo Cristo, cioè contro l’essenza e l’onnipotenza di Dio, il Creatore del cielo e della terra, la cui seconda Persona si è fatta uomo e ha abitato tra noi. Ora negli ultimi giorni, gli empi oseranno attribuire questi vantaggi divini al figlio della perdizione, a causa del potere sorprendente e dei grandi prodigi che Dio gli permetterà di mostrare; e adoreranno l’Anticristo come Dio e Messia, dicendo: Chi è come la bestia, e chi potrà combattere contro di lui? Queste parole sono dunque la più grande bestemmia di cui gli uomini possano essere colpevoli contro Dio del cielo e della terra, e contro il suo Cristo, e contro i Santi, i suoi servi, i suoi Profeti, i suoi Martiri, e contro tutto ciò che è più sacro, poiché suppongono che tutto ciò che esiste e viene da Dio sia inferiore a quello che viene da lucifero; cioè, inferiore alla bestia, che è la più grande mostruosità che sia mai esistita e che mai esisterà. Troviamo esempi di questa bestemmia nel faraone e soprattutto in Golia. (I. Reg, XVII).

IV. Vers. 5E gli fu data una bocca che glorificava e bestemmiava; e ricevette il potere di fare la guerra per quarantadue mesi. Questo passo e i seguenti esprimono il potere che Dio permetterà alla bestia di esercitare, e per il quale tutte le nazioni lo ascolteranno e lo adoreranno come Dio. 1° Si dice: E gli fu data una bocca che si glorificava e bestemmiava. Qui il Profeta designa la causa strumentale come principale, e questa causa è la grande saggezza e la sorprendente conoscenza che il dragone comunicherà all’anticristo, così che usciranno dalla sua bocca grandi cose, ammirevoli, plausibili in apparenza, misteriose ed elevate al di sopra di ogni intelligenza umana. E con questo ingannerà tutte le nazioni e farà loro credere di essere Dio e il Messia. E gli fu data una bocca che si glorificava e bestemmiava contro i misteri della Santa Trinità e dell’Incarnazione, contro la dottrina di Gesù Cristo e contro tutto il Nuovo Testamento. – Gli fu dato il potere di fare la guerra per quarantadue mesi. Questi quarantadue mesi sono il tempo del regno della bestia. Se applichiamo questo tempo all’impero turco, esso durerà tanti anni quanti sono i giorni in quarantadue mesi, dalla sua origine all’Anticristo; e se lo applichiamo al solo regno di questo figlio della perdizione, dobbiamo contare i giorni secondo il loro significato naturale; così che la durata di quest’ultimo regno sarà di tre anni e mezzo. Così l’impero turco durerà tanti anni quanto quello dell’anticristo durerà giorni, compreso il tempo in cui la bestia sarà come ferita a morte. Perché, benché la bestia sarà ferita a morte, cioè l’impero turco subirà una grande rovina, tuttavia non perirà del tutto, ma ne rimarrà un seme finché il figlio della perdizione verrà ad entrare nel regno a lui riservato.

Vers. 6. – 2 ° E aprì la sua bocca per bestemmiare contro Dio, per bestemmiare il suo Nome e il suo tabernacolo, e quelli che abitano nei cieli. Si dice che la bestia aprì la sua bocca, cioè che l’anticristo, che era stato silenzioso prima parlerà non solo da se stesso, ma anche per mezzo dei suoi falsi profeti e dei suoi falsi apostoli, e spargerà odio e bestemmia contro Dio. San Giovanni designa specialmente tre verità contro le quali saranno rivolte queste bestemmie: il suo Nome, il suo tabernacolo e coloro che abitano nei cieli. Così l’Anticristo bestemmierà 1° il Nome di Dio, che appartiene solo alla Divinità e non è adatto a nessun altro, né in cielo né in terra né all’inferno; e non permetterà più che gli si renda culto, come fanno i Cristiani; e proibirà persino di pronunciare questo santo Nome. Perché così il drago eserciterà il suo odio e il suo tradimento contro l’Altissimo, con il quale un tempo pretendeva di assimilarsi. 2°. Per tabernacolo si intende la natura umana di cui la Divinità si è rivestita, e alla quale si è unita ipostaticamente, continuando ad essere così unita in cielo e nella santissima Eucaristia. Ora è contro questo tabernacolo che l’anticristo, con i suoi, vomiterà bestemmie e ucciderà tutti coloro che lo adorano, o confessano che Dio si è fatto carne, e che Gesù di Nazareth, che fu crocifisso, è il Messia. 3° E quelli che abitano nei cieli; cioè gli Apostoli e i Martiri che hanno sofferto per il Nome di Gesù annunciandolo al mondo; allo stesso modo tutti i cristiani, e specialmente i maestri e i predicatori che vivranno allora nella Chiesa militante, che nella Scrittura viene spesso chiamata cielo. In una parola, la bestia bestemmierà contro tutti coloro che resistono alla sua perfidia e al suo potere. Questi saranno consegnati alle nazioni dall’anticristo e dai suoi seguaci, come Gesù Cristo ha predetto in Matteo XXIV, 9: « Allora vi consegneranno alla tribolazione e vi uccideranno; e sarete odiati da tutte le nazioni a causa del mio Nome. ». Vers. 7: E ricevette il potere di fare guerra ai santi e di vincerli. Questo è inteso dapprima per Enoch ed Elia (vedi cap. XI); poi è inteso per tutti coloro che resisteranno all’anticristo, ai suoi falsi profeti e ai suoi falsi apostoli. Infine, queste parole si applicano a tutti coloro che predicheranno e confesseranno il Nome di Nostro Signore Gesù Cristo crocifisso. È a tutti questi tempi che possiamo applicare di nuovo queste parole di San Paolo: « Noi predichiamo Gesù Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i Gentili. Ma questa vittoria della bestia, che sorgerà dall’abisso contro i santi, cioè contro gli uomini giusti, pii e timorati di Dio, sarà solo temporanea e limitata a questa vita mortale. Questa consisterà in: a). I più raffinati prodigi ed imposture, e nel plauso della dottrina e della grande saggezza dell’anticristo, che i Giudei e tutte le nazioni crederanno all’unanimità. Gli uomini preferiranno questa dottrina a quella che Enoch ed Elia con tutti i santi predicheranno loro di comune accordo. b). Questa vittoria consisterà nella potenza e nel nerbo della guerra, nell’immensa estensione dell’impero dell’anticristo; e anche nell’empietà e nella perfidia delle nazioni e dei Giudei, che forniranno tutte le opportunità e tutti gli aiuti necessari per far sì che i fedeli siano massacrati come pecore. Perché, allora, nessuno potrà confessare e predicare impunemente il Nome di Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. 3°. E gli fu dato potere su ogni tribù, popolo, lingua e nazione. Queste parole indicano il potere di questo regno. Questo potere sarà tale che non si è mai visto dall’inizio del mondo. Perché tutte le tribù, tutte le nazioni, tutte le lingue e tutti i popoli saranno soggetti all’anticristo. Comprendiamo da questo quale sarà la desolazione di questi giorni. Le tribù sono i resti dei Giudei, che si metteranno tutti d’accordo e si riuniranno da tutte le parti del mondo dove sono stati sparsi per diciotto secoli, e voleranno, per così dire, verso il figlio della perdizione, dal quale riceveranno potere e lo riconosceranno come il Messia. Si infurieranno con inspiegabile furore contro coloro che confessano e predicano il Nome di Nostro Signore Gesù Cristo come il vero Messia. Perché il loro furore, la loro perfidia e il loro potere saranno legati fino al tempo dell’anticristo. Ecco perché Gesù Cristo dice espressamente in San Giovanni (V, 43): « Io sono venuto nel nome del Padre mio, e voi non mi ricevete; se un altro viene nel suo proprio nome, lo riceverete ». Per popoli sono designati i Cristiani che faranno defezione in grandissima parte ad eccezione dei soli eletti, i quali saranno poco numerosi in proporzione alla massa di questi popoli; infatti, quasi tutti gli uomini si separeranno da Dio, il loro Creatore, e da Gesù, il loro infinitamente amabile Redentore, per abbandonarsi all’idolatria della bestia. Questo è ciò che il Salvatore stesso predice (Luca, XVIII, 8): « Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, pensate che troverà la fede sulla terra? ». Con ogni lingua il Profeta ci fa capire che in quei tristi giorni non ci sarà nazione, né lingua sotto il sole, che non acconsentirà ad adorare la bestia e ad aderire al figlio della perdizione, abbandonando così Dio, loro Creatore infinitamente perfetto e loro amorevole Redentore. O terribile ingratitudine, che nessuna lacrima potrebbe deplorare abbastanza! Con tutte le nazioni ci è dato di capire che, come dall’inizio del mondo e dall’origine della Chiesa di Cristo, le nazioni orientali e settentrionali non hanno mai mantenuto a lungo la fede, e facevano continuamente guerra tra loro, come dimostra la storia; così, soprattutto verso la fine dei tempi, tutte queste nazioni si uniranno all’anticristo e saranno animate dal suo spirito e dal suo furore per sterminare il Cristianesimo, tanto facilmente saranno sedotte da dai falsi miracoli e dalle prodigiose menzogne della bestia!

Vers. 8– 4° Tutti gli abitanti della terra lo adorarono, tutti quelli i cui nomi non sono scritti nel libro dell’Agnello immolato dalla creazione del mondo. Questo versetto conferma che tutti i reprobi adoreranno la bestia e si separeranno da Dio il loro Creatore e da Cristo. Quelli i cui nomi sono scritti nel libro della vita sono gli eletti; e il libro della vita è la prescienza di Dio, il cercatore di cuori: prescienza con cui Dio ha organizzato il suo regno da tutta l’eternità, e ha voluto dare a ciascuno secondo le sue opere. Ecco perché l’apostolo San Paolo dice ai Romani, VIII, 30: « Quelli che conosceva nella sua prescienza, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del suo Figlio, perché Egli stesso sia il primogenito tra molti fratelli. E quelli che ha predestinato, li ha chiamati; e quelli che ha chiamato, li ha giustificati; e quelli che ha giustificato, li ha glorificati. » Questo libro della vita, secondo la nostra comprensione, è come il registro di un insegnante che annota tutti i progressi dei suoi alunni nella scienza e nella virtù, e che ne fa una lettura pubblica alla fine dell’anno scolastico. Poi ognuno di coloro che ne sono degni, salgono più in alto, o ricevono premi e lodi. Ora allo stesso modo Dio procederà alla fine del mondo al giudizio universale. Perché allora si dimostrerà che Egli non fa ingiustizia a nessuno, ma ricompensa ciascuno secondo le sue azioni: i buoni avranno come ricompensa il paradiso, e i malvagi avranno come castigo l’inferno, perché le loro opere li seguiranno, secondo le parole della stessa Apocalisse, (XIV, 13).Si può anche fare un paragone con un re che ha sconfitto i suoi nemici e ha ottenuto una vittoria decisiva su di loro; poi distribuisce ricompense ai cittadini e ai soldati che si sono comportati bene nel pericolo, e castiga o umilia quelli che sono stati vili o traditori della patria. L’Agnello immolato dalla creazione del mondo. Queste parole contengono la causa della morte e dell’immolazione di Gesù sulla croce; e questa causa sono i peccati della razza umana, peccati commessi fin dalla creazione del mondo, e per i quali Gesù Cristo è morto sulla croce, per riconciliare tutti gli uomini a Dio suo Padre. Questo è quanto profetizzato da Isaia, LIII, 4: « Egli ha infatti portato i nostri dolori, ha preso su di sé i nostri peccati. Sì, lo abbiamo considerato come un lebbroso, come uno colpito da Dio e umiliato. ». Se dunque il Padre ha voluto che il proprio Figlio, Dio come lui e con lui, fosse consegnato nelle mani degli empi e morisse di una morte crudele e ignominiosa per i nostri peccati, di che cosa ci si deve lamentare? Dovremmo allora stupirci tanto se gli empi e i tiranni prevalgono contro la sua Chiesa e contro noi stessi, poiché le loro persecuzioni non hanno altro risultato per noi, che il correggerci, giustificarci e farci arrivare più rapidamente alla felicità sovrana della vita eterna. Ecco perché Dio permette agli empi di prevalere nella vita presente, mentre i giusti e tutti coloro che mostrano zelo per la causa di Dio sono oppressi e soccombono sotto i colpi dei malvagi. Questo è ciò che Dio permetterà soprattutto al tempo dell’anticristo nei confronti di chiunque combatta per il Nome di Gesù Cristo, sia con le armi, per esempio, facendo parte dell’esercito dei Cristiani, o con la parola, o con qualche altro mezzo; perché allora i giusti soccomberanno al potere della bestia, e saranno immolati. È per far capire alla Chiesa e ai fedeli la verità di questo permesso divino, e per convincere tutta la società cristiana di questo, che il Profeta aggiunge:

Versetti 9 e 10. – Chi ha orecchi ascolti. Chi deve andare in cattività, andrà in cattività; chi ucciderà con la spada, morirà con la spada. Condurre in cattività e uccidere con la spada è la caratteristica dei soldati e dei guerrieri. Il significato di queste parole è dunque: Ogni re, principe o popolo cristiano che vuole resistere alla bestia con la forza delle armi soccomberà, sarà ucciso o condotto in cattività. La fine del mondo essendo prossima in questi tempi, Dio permetterà che tutti quei santi e coraggiosi soldati che combattono per la giustizia e la verità siano sconfitti e sacrificati come vittime, per completare il numero dei martiri. Così, in questi giorni di dolore, non ci sarà nessun potere e nessuna vittoria in cui sperare, tranne la più bella di tutte le vittorie, il trionfo del martirio. Perché nessun esercito sarà in grado di resistere contro l’esercito della bestia, e i Giudei saranno particolarmente potenti e numerosi, e si abbatteranno con particolare furia su tutti coloro che oseranno confessare il nome di Gesù Cristo crocifisso davanti a tutte le nazioni. Così, dunque, l’unica vittoria possibile per i Cristiani in quei giorni terribili sarà quella di essere sconfitti, perseguitati, tormentati e messi a morte, rimanendo fedeli, costanti e fermi, e sperando, contro ogni speranza, nella fede del Signore nostro Gesù Cristo. Perciò San Giovanni aggiunge: Questa è la pazienza e la fede dei santi. Gesù Cristo alludeva a quest’ultima e sorprendente desolazione dei Cristiani con un’allegoria, quando ordinò ai suoi discepoli, nella sua passione, di comprare delle spade; e quando anche, rivolgendosi a San Pietro, gli disse, (Matteo, XXVI, 52): « Rimetti la tua spada nel fodero, perché tutti quelli che usano la spada  periranno di spada. »

§ III.

Dell’abominevole e idolatra antipapa, che lacererà la Chiesa d’Occidente, e farà sì che la prima bestia sia adorata.

CAPITOLO XIII. – VERSETTI 11-18 .

Et vidi aliam bestiam ascendentem de terra, et habebat cornua duo similia Agni, et loquebatur sicut draco. Et potestatem prioris bestiae omnem faciebat in conspectu ejus : et fecit terram, et habitantes in ea, adorare bestiam primam, cujus curata est plaga mortis. Et fecit signa magna, ut etiam ignem faceret de caelo descendere in terram in conspectu hominum. Et seduxit habitantes in terra propter signa, quae data sunt illi facere in conspectu bestiæ, dicens habitantibus in terra, ut faciant imaginem bestiæ, quæ habet plagam gladii, et vixit. Et datum est illi ut daret spiritum imagini bestiæ, et ut loquatur imago bestiæ: et faciat ut quicumque non adoraverint imaginem bestiæ, occidantur. Et faciet omnes pusillos, et magnos, et divites, et pauperes, et liberos, et servos habere caracterem in dextera manu sua, aut in frontibus suis: et nequis possit emere, aut vendere, nisi qui habet caracterem, aut nomen bestiæ, aut numerum nominis ejus. Hic sapientia est. Qui habet intellectum, computet numerum bestiae. Numerus enim hominis est: et numerus ejus sexcenti sexaginta sex.

[E vidi un’altra bestia che saliva dalla terra, e aveva due corna simili a quelle di un agnello, ma parlava come il dragone. Ed esercitava tutto il potere della prima bestia nel cospetto di essa: e fece sì che la terra e i suoi abitatori adorassero la prima bestia, la cui piaga mortale era stata guarita. E fece grandi prodigi sino a far anche scendere fuoco dal cielo sulla terra a vista degli uomini. E sedusse gli abitatori della terra mediante i prodigi che le fu dato di operare davanti alla bestia, dicendo agli abitatori della terra che facciano un’immagine della bestia, che fu piagata di spada e si riebbe. E le fu dato di dare spirito all’immagine della bestia, talché l’immagine della bestia ancora parli: e faccia sì che chiunque non adorerà l’immagine della bestia, sia messo a morte. E farà che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi abbiano un carattere sulla loro mano destra, sulle loro fronti. E che nessuno possa comprare o vendere, eccetto chi ha il carattere, il nome della bestia, o il numero del suo nome. Qui è la sapienza. Chi ha intelligenza, calcoli il nome della bestia. Poiché è numero d’uomo: e il suo numero è seicento sessanta sei.]

I. Vers. 11.E vidi un’altra bestia salire dalla terra, che aveva due corna come l’Agnello e parlava come il drago. Questa bestia che sorgerà dalla terra è un falso profeta, che dichiarerà che il figlio della perdizione è il Cristo, ed egli sarà il suo braccio, per mezzo del quale l’anticristo opererà cose sul popolo sia con segni che con la potenza delle sue armi. Perciò Daniele, (XI, 42), dice: « Ed egli stenderà la sua mano sulle terre. » Si dice che quest’altra bestia sorgerà dalla terra, perché l’Anticristo con la sua volontà eserciterà la sua tirannia in Oriente e tra i mari; quando il falso profeta sorgerà, prevarrà e imperverserà sulla terra ferma, che è vicina ai mari e sulla quale si trova ora l’Impero Romano, che racchiude nel suo seno gli stati della Chiesa. – Si dice che questa bestia avrà due corna simili a quelle dell’Agnello, perché sarà un Cristiano apostata e si eleverà in segreto ed in modo fraudolento. Egli riunirà i Giudei, che in quei giorni saranno molto numerosi ovunque, e saranno unanimi nel sostenerlo. Invaderà gli stati della Chiesa con una grande armata, occuperà la Sede pontificia, ucciderà l’ultimo Papa, il legittimo successore di San Pietro, e spargerà il sangue dei Cristiani, specialmente dei prelati, come acqua, nelle vicinanze di Gerusalemme. Allora la Chiesa sarà dispersa nelle solitudini e nei luoghi deserti, nelle foreste e sui monti e nelle fenditure delle rocce, perché il Pastore sarà colpito e le pecore saranno disperse. Perché sarà proprio come al tempo della Passione di Nostro Signore. E sembra che sia a questa circostanza dell’ultima desolazione che Gesù Cristo alludeva quando disse nella Sua Passione, (Matteo XXVI, 31): « Sta scritto: Io colpirò il pastore e le pecore del gregge saranno disperse. » Allora la Chiesa latina sarà lacerata e, ad eccezione degli eletti, ci sarà una defezione totale dalla fede. Questo falso profeta proclamerà il figlio della perdizione come il Cristo. È anche notato da San Giovanni che quest’altra bestia aveva due corna come quelle dell’Agnello, a causa della potenza che avrà, nel dire ed operare cose meravigliose e sorprendenti, come è scritto con verità, a proposito di Gesù di Nazareth, (Luca, XXIV, 19): « Che era un profeta potente in opere e parole davanti a Dio e davanti a tutto il popolo. » Ora, questi due poteri di Gesù Cristo di parlare e di operare erano come due corni, come abbiamo detto nel capitolo V; ed è con questi due corni che combatté e sconfisse i Giudei e le nazioni. Il falso profeta avrà dunque un potere più o meno uguale in apparenza, ma falso in realtà; poiché egli avrà questo potere non da Dio, ma dal dragone dell’abisso, e avrà il potere del dragone, e lo userà per ingannare e fuorviare gli abitanti della terra. Perciò si aggiunge: E che parlava come il dragone, cioè il dragone gli impartirà una tale saggezza ed astuzia nell’arte di parlare ed ingannare gli uomini, che è come se egli stesso conversasse nel mondo. Infine, questi due corni sono la legge e i profeti; e come questi contengono le più belle e numerose testimonianze della verità di Gesù Cristo di Nazareth crocifisso, quelle con cui il Signore stesso convinse i discepoli di Emaus che Egli è il Cristo Figlio di Dio, secondo San Luca, (XXIV, 27): « Cominciando da Mosè e continuando attraverso tutti i profeti, interpretò loro ciò che era stato detto di lui in tutte le Scritture »; così questo idolatra, il più scellerato di tutti, si servirà di queste due testimonianze, la legge e i profeti, e le metterà, per così dire, sulla sua testa come due corna, con le corna dei Profeti. Egli dimostrerà con prove false ma capziose, che il Cristo è venuto solo in questi giorni e non prima. Il Cristo, dirà, è il Redentore della nazione giudaica, il Dio delle nazioni; il Cristo è il Re di Gerusalemme. E confermerà queste affermazioni con tali prodigi, che la grande maggioranza dei Cristiani sarà sedotta da questo scandalo; e quasi tutti, ad eccezione degli eletti, che saranno pochi rispetto alla massa, faranno defezione e negheranno il nome di Gesù Cristo di Nazareth crocifisso. Ma prima di allora, i principali pastori di anime saranno stati allontanati dai loro greggi dalla persecuzione e dal martirio, secondo Daniele, (IX, 32 e segg.).

Vers. 12Essa esercitava tutto il potere della prima bestia in sua presenza; cioè, questa bestia avrà tutto il potere delle tenebre come il figlio della perdizione. Per mezzo di questo potere egli opererà prodigi e ingannerà tutte le nazioni; e quindi gli uomini crederanno che l’anticristo sia il Cristo recentemente venuto nel mondo. Infatti, questo falso profeta avrà lo stesso spirito del figlio della perdizione, e sarà soggetto a lui. Egli sosterrà il suo onore e la sua gloria contro ogni aspettativa con il più grande zelo. Da qui queste parole: Essa esercitava tutto il potere della prima bestia in sua presenza. Perché queste parole significano l’onore e la glorificazione che un uomo dà ad un altro uomo operando prodigi, per per esaltare la sua autorità di fronte al mondo; da cui segue: E fece sì che la terra e coloro che vi abitano adorassero la prima bestia la cui ferita mortale era stata guarita. Così questo apostata farà adorare dalla terra e da coloro che la abitano, prima bestia 1°. Sottomettendo al suo dominio, con la forza delle armi, molte terre. 2°. Con la persuasione, spronando gli uomini a rendere un vero culto al re di Gerusalemme come se fosse il vero Dio ed il Messia atteso. Ma come riuscirà a far cadere tanti popoli e nazioni, e gli stessi Cristiani, in tale follia e in simile crimine? Eccolo qui:

Vers. 13. – Farà grandi meraviglie, fino al punto di far cadere il fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini.

Vers. 14. – Ed egli ingannò quelli che abitano sulla terra con i prodigi che gli fu dato di fare in presenza della bestia, ordinando a quelli che abitano sulla terra di erigere un’immagine alla bestia, che fu ferita con la spada e vive.

Vers. 15. – E gli fu dato di animare l’immagine della bestia e di farla parlare, e di uccidere tutti quelli che non avrebbero adorato l’immagine della bestia. Tutte queste cose si adempiranno alla lettera. Sono veramente spaventosi tutti i prodigi che Dio permetterà in quel tempo, come punizione per i peccati degli uomini e come la prova dei suoi eletti! Del resto, questo apostata farà questi prodigi in gran parte con il potere occulto del diavolo. Perché questi sarà allora più potente di quanto non sia mai stato dall’inizio del mondo. Ecco perché riuscirà a sedurre anche molti Cristiani. Per quanto riguarda questa immagine della bestia, questo è ciò che accadrà: Il Sacrificio continuo sarà soppresso su tutta la terra, tutte le Ostie consacrate saranno accuratamente cercate per essere calpestate, gettate nel fuoco, o per far loro subire altri oltraggi ancora più scandalosi. E i principali autori di questi scandali saranno soprattutto i Giudei che prevarranno ovunque. Essi distruggeranno gli altari, consegneranno alle fiamme i paramenti sacerdotali e gli ornamenti delle chiese. Anche le reliquie dei Santi saranno calpestate, i vasi preziosi saranno raccolti e destinati a diventare l’immagine della bestia, cioè dell’anticristo, re di Gerusalemme. Il demonio dimorerà in questi altari eretti in suo onore e per la sua adorazione. E queste immagini parleranno e daranno segni come se fossero vive! Tale sarà l’abominio della desolazione, di cui Gesù Cristo parla in San Matteo, (XXIV, 15): « Quando dunque vedrete l’abominio della desolazione, predetto dal profeta Daniele, etc. » In quei giorni, i Cristiani saranno ricercati e trascinati davanti agli altari della bestia per farla loro adorare, e per far loro riconoscere, con questo atto, che l’Anticristo è il Cristo, che è Dio che viene a visitare il suo popolo per raccoglierlo nella sua dispersione in mezzo alle nazioni, e che è venuto a liberare i Giudei dal giogo e dalla servitù dei Cristiani. Tutti coloro che rifiuteranno di adorarlo, saranno tormentati e messi a morte con i supplizi più raffinati e più orribili. Perché la bestia avrà il sopravvento ovunque. La potenza delle sue armi sarà tale che non ci sarà altra speranza di salvezza per i Cristiani, né altra vittoria da aspettarsi, se non i tormenti e la morte del martirio. Una debole immagine di questa persecuzione si trova in quella del re Antioco, (I, Macch.) che era egli stesso un vero prototipo dell’anticristo; ed anche nella tirannia di Diocleziano; ma l’Anticristo le supererà di gran lunga. Perché allora la Chiesa sarà dispersa come un libro strappato in mille pezzi e gettato nel fuoco. Leggete il I libro dei Maccabei e avrete un quadro vivido di questi ultimi giorni. Ricordate anche i tempi di Diocleziano e Massimiano, quando iniziarono a realizzare il loro piano di sterminio di tutto il Cristianesimo. Ma siate certi che in tutto questo troverete solo un’ombra o una figura di ciò che accadrà sotto il regno dell’anticristo. Da qui questo passo di San Matteo, (XXIV, 21): « La tribolazione allora sarà grande, come non lo è stato dall’inizio del mondo fino ad oggi, né lo sarà mai ». Questa persecuzione differirà soprattutto dalle precedenti in quanto sarà la più crudele e la più estesa, e ci sarà un’incredibile seduzione degli uomini con prodigi capaci di sorprendere gli stessi eletti, se fosse possibile. Inoltre, essa supererà tutte le precedenti per la defezione di quasi tutto l’universo; e questo a causa dei tormenti più raffinati, più lunghi e più dolorosi che possano essere immaginati. Gli uomini ne saranno terrorizzati, e per evitarli sacrificheranno le loro anime in adorazione della bestia. Perciò saranno pochi gli uomini che si ostineranno a confessare il Nome di Nostro Signore Gesù Cristo crocifisso. Da qui queste parole degli stessi empi, che San Giovanni profetizzò: Chi è come la bestia e chi potrà combattere contro di essa

Vers. 16. E per essa piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi, porteranno il carattere della bestia nella loro mano destra e sulla loro fronte.

Vers. 17. – E nessuno potrà comprare o vendere se non colui che ha il carattere o il nome della bestia, o il numero del suo nome.

Vers. 18. – Qui sta la saggezza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia, perché è il numero di un uomo, e il suo numero è seicentosessanta e sei. Queste parole contengono 1° il supplizio della fame, con cui i Cristiani saranno condannati a morire. Infatti esse non potranno né comprare, né trovare il cibo necessario alla vita, a meno che non acconsentano ad adorare l’idolo o l’immagine della bestia. E siccome la fame è un tormento tanto più crudele quanto più lentamente uccide la sua vittima, questo mezzo sarà uno dei più efficaci tra tutti quelli che l’Anticristo ed i suoi seguaci useranno per costringere gli uomini ad adorare l’idolo dell’abominio. 2° Queste parole indicano anche la cessazione di tutti gli scambi ed i commerci per coloro che rifiuteranno di compiere questo atto di idolatria; e questo mezzo può essere annoverato tra i più potenti sul cuore e sulla volontà dell’uomo, come dimostra chiaramente l’esperienza di ogni giorno, soprattutto nella classe media. Perché non c’è nulla che gli uomini non tentino o non sacrifichino per far sì che i loro traffici e i loro commerci abbiano successo. Così si vede dunque, quanti uomini porterà alla defezione e all’idolatria questo mezzo. Per quanto riguarda il carattere della bestia, questo è quello che ne sarà: I re e i principi, in occasione e in ricordo della loro nascita, della loro ascesa al trono o di qualsiasi altro fatto degno di nota, fanno coniare delle medaglie d’oro, d’argento o di bronzo e vi fanno incidere i loro nomi, gli anni del loro regno e le insegne della loro regalità: ora l’anticristo farà qualcosa di simile, ma in un modo ancora più crudele; poiché tutti coloro che aderiranno alla sua dottrina dovranno portare il suo carattere: gli uomini della classe più elevata, sulla mano destra, e quelli della gente comune sulla fronte. Questo carattere sarà impresso sulla pelle per mezzo di un tatuaggio, come si vede sulle braccia di certi mercenari. E chiunque si presenta volontariamente o forzatamente per offrire incenso all’idolo della bestia, dovrà immediatamente subire questa operazione e ricevere sulla mano o sulla fronte, secondo la sua condizione, l’impronta della figura dell’idolo. Da quel momento in poi gli basterà mostrarlo per godere della completa libertà di vendere, comprare, viaggiare, fare i suoi affari, ecc. Mentre coloro che non portano questo segno non oseranno esibirsi in pubblico, né occuparsi delle cose più necessarie della vita. Perché chiunque non porti questo segno, se viene scoperto, sarà preso, maltrattato e trascinato davanti all’idolo, e se si rifiuteranno subiranno un orribile martirio. Questa sarà certamente una trappola ben piazzata; e affinché non fallisca il suo effetto, poiché tutto sarà sottomesso al potere della bestia, saranno eretti altari ovunque, nei porti, nelle città, nei luoghi pubblici o di commercio, lungo le strade, etc. Questi altari saranno sorvegliati da forze armate, in modo che tutti coloro che si presenteranno in pubblico per vendere, comprare o fare qualsiasi altro affare, e che  non hanno il carattere della bestia, saranno immediatamente condotti a forza davanti all’altare più vicino; e se non acconsentiranno a bruciare incenso e a ricevere il carattere della bestia, saranno mutilati e divorati da quella bestia feroce. Ora, l’eroismo dei veri Cristiani, in questi tempi di massima prova e desolazione immaginabile, sarà di morire per la fede e per l’amore di Gesù! Quanto sarà terribile questo martirio, ma quanto sarà glorioso! Con quale interesse i Santi del cielo contempleranno questa mirabile ed eroica lotta dei loro fratelli, in cui la pazienza della vittima lotterà con la ferocia della bestia! E quando il sangue della testimonianza avrà innalzato dalla terra al cielo una fragranza profumata, sarà come ingaggiata una nuova lotta tra i testimoni sulla terra e i testimoni in cielo. Perché mentre i Santi coroneranno in cielo il trionfo della vittima sulla crudeltà della bestia, gli empi, da parte loro, proclameranno sulla terra, con vociferazioni infernali, il trionfo della bestia sulla vita della vittima. O amore di Gesù, come siete potente! Per il vostro bene, il Cristiano passa dalla vita alla morte, e attraverso di Voi passa dalla morte alla vita! O che dolce momento per lo Sposo che contempla dal cielo la sua amata sposa nella sua costanza, la sua perseveranza, il suo amore e la sua vittoria sulla terra; è allora che le rivolgerà queste tenere parole dal libro dei Cantici, IV, 11: « Le tue labbra, o mia sposa, sono un favo da cui si distilla il miele; miele e latte sono sotto la tua lingua, e l’odore delle tue vesti è come l’odore dell’incenso….. Le tue piante sono un giardino di delizie….. La fontana dei vostri giardini è una fontana di acqua viva che sgorga dal Libano. Aquilone, ritirati; vieni, vento del mezzodì; soffia da ogni parte nel mio giardino, fa’ che esali tutte le sue fragranze. » – San Giovanni indica sei classi di uomini che la bestia costringerà a portare il suo carattere, che sono: I piccoli e i grandi, i ricchi e i poveri, i liberi e gli schiavi. Niente in questo libro è scritto senza ragione, e ogni parola contiene la saggezza. Con i piccoli si intendono i bambini che nasceranno in questo tempo, o che nasceranno e saranno battezzati poco prima; poiché il figlio della perdizione e i suoi falsi profeti aboliranno tutti i Battesimi fatti nel nome della Santa Trinità. Avranno cura di costringere tutti i bambini ed i giovani di entrambi i sessi a ricevere in fronte il carattere della bestia, e a rifiutare il Battesimo istituito da Nostro Signore Gesù Cristo di Nazareth. (Stiamo attenti a mettere tutti questi titoli, perché i Cristiani che leggeranno questo libro in quel momento, sentiranno l’importanza di non confondere il vero Cristo con il falso messia). Quanto ai bambini appena nati, sarà loro impedito di essere battezzati, sarà loro impresso il carattere della bestia sulla fronte, e tutti i genitori che saranno scoperti per aver battezzato i loro figli, saranno orribilmente massacrati. Da qui questa profezia di Gesù Cristo in San Matteo, (XXIV, 29): « Guai alle donne che sono incinte o che allattano in quei giorni. » – Per i grandi sono designati gli adulti, e per i ricchi si intendono i principi, i grandi e l’alta classe. I poveri indicano la classe comune di persone in generale. Gli uomini liberi sono i cittadini delle repubbliche di quel tempo. Infine, per schiavi si intendono i mercenari, i servi, le ancelle, in generale, i servi a pagamento e i lavoratori a giornata; perché tutti questi schiavi accetteranno il carattere e adoreranno l’immagine della bestia. – E nessuno potrà comprare o vendere, se non colui che ha il carattere o il nome della bestia, o il numero del suo nome. Tutte queste differenze di denominazioni si riferiscono allo stesso oggetto e allo stesso nome, ed ecco come: Questo carattere della bestia sarà, come è stato detto, un certo segno che i settari dell’anticristo porteranno sulla mano o in fronte. Ora questo segno si chiama carattere, perché sarà impresso sulla pelle e conterrà certe lettere di una certa lingua. Inoltre, questo segno è chiamato un nome, perché queste lettere esprimeranno e formeranno un nome, e questo nome sarà quello della bestia. Infine, questo segno designerà un numero, perché le lettere di questo segno, prese separatamente, significano o rappresentano numeri, e i numeri di ogni lettera sommati fanno 666 che è il numero del suo nome e il numero degli anni in cui nascerà. Qui sta la saggezza.  Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia; perché è il numero di un uomo, e il suo numero è seicentosessantasei. Qui San Giovanni provoca la mente umana a risolvere questo enigma. Bisogna sapere prima di tutto che questo libro dell’Apocalisse fu scritto da San Giovanni in lingua greca. Ora questa lingua non ha una parola che esprima questo numero 666; ma il nome greco αντεμος (= antemos), che è composto da due parole, significa 1° contrario, 2° che questa parola contiene, per le lettere di cui è formata, il numero666. Perché è come per i greci come per i latini: certe lettere significano un certo numero, e così l’interprete latino dell’Apocalisse non ha espresso questo nome secondo il suo significato; ma ne ha interpretato il numero, e per mezzo del nome αντεμος (= antemos), dice: E il suo numero è seicentosessantasei. Questo nome greco αντεμος (= antemos) è un aggettivo, ed è dato al figlio della perdizione per antonomasia, cioè designando la qualità o il modo di essere dell’anti Cristo, che sarà effettivamente contrario a Cristo e a tutto ciò che è proprio di Dio. Ecco perché il nostro Salvatore gli ha dato il nome di anti Cristo, un nome composto da ἀντἱ (= anti), che in latino significa contra, (contro), e κρἰσος (= krisos), che significa Messia, cioè promesso, Salvatore del mondo. Così, questo nome αντεμος (= antemos) non sarà il suo nome proprio. Ma il nome che usurperà sarà quello di Cristo; ed è a questo nome che ogni ginocchio si inchinerà davanti a lui sulla terra. Da qui questi ripetuti avvertimenti che il Salvatore ci rivolge, (Matth. XXIV, 23): « Se dunque qualcuno vi dice: ecco che il Cristo è qui o là, non credetegli; perché sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti, e mostreranno grandi prodigi e segni, in modo da ingannare, se fosse possibile, gli stessi eletti. Ve lo dico in anticipo. Se vi dicono: Ecco, è nel deserto, non uscite. Eccolo nel luogo più remoto della casa, non credeteci. » Queste parole sono dette in un senso enigmatico (Questo deserto e questo luogo più remoto della casa possono essere intesi come Gerusalemme e la Giudea, che è un deserto che l’assenza del sole della fede ha reso secco; e Gerusalemme è davvero il luogo più remoto, e il centro della casa d’Israele. Infatti, quando San Giovanni Battista predicò la penitenza in Giudea, si dice che la sua voce era la voce di uno che grida nel deserto). – Questo carattere della bestia consisterà dunque in certe lettere ebraiche che saranno stampate sulla mano destra o sulla fronte degli uomini, e significheranno in greco κρἰσος (= krisos) e in latino Christus, il Cristo. Ora, poiché egli non sarà il Cristo, ma l’anticristo, come lo chiama il nostro Salvatore. Ecco perché l’interprete latino si è contentato di esprimere questo nome con il numero che queste lettere greche, addizionate insieme, costituiscono, e cioè: seicentosessantasei. Infatti, la lettera greca α = 1, ν = 50, τ = 300, ε = 5, μ = 40, ο = 70, ς = 200; e tutti questi numeri sommati fanno 666. Ora questo numero 666 è il numero di mesi che corrisponde a cinquantacinque anni e mezzo, ed è il numero degli anni della bestia, cioè il tempo della sua nascita e la durata della sua vita. Perché nel mezzo dell’anno di Gesù Cristo 1855 nel diciannovesimo secolo, l’anticristo nascerà, e vivrà cinquantacinque anni e mezzo. Ed è negli ultimi tre anni della sua vita e negli ultimi sei mesi, cioè per tre anni e mezzo, che infierirà con il più grande furore contro la cristianità, ed in accordo con il suo falso profeta, l’antipapa, sterminerà la Chiesa, disperderà il gregge di Gesù Cristo, vincerà e ucciderà tutti i fedeli con il potere datogli per quarantadue mesi su ogni tribù, popolo, lingua e nazione, per far guerra ai santi di Dio e vincerli nel tempo in cui egli siederà nella pienezza del suo regno. Così, dunque, nell’anno 1911, i giorni della bestia, cioè del maomettanismo, si compiranno; e il figlio della perdizione sarà ucciso a metà del cinquantaseiesimo anno della sua vita dal soffio, cioè dalla parola che uscirà dalla bocca di Gesù di Nazareth crocifisso. Allora il resto dei Giudei si convertiranno e diranno: « Benedetto colui che viene nel nome del Signore ». Allora il firmamento si dissolverà e si frantumerà con grande violenza; e il Cristo verrà a giudicare i vivi e i morti (Matth. XXIV, 36): « Ma nessuno conosce quel giorno e quell’ora, nemmeno gli angeli del cielo; solo il Padre mio li conosce », dice Gesù Cristo. (N. B.: Abbiamo tre rivelazioni importanti nella Chiesa – ovviamente tra quelle approvate dalle autorità ecclesiastiche canonicamente valide – che ci annunciano una dilazione concessa a satana dal buon Dio perché potesse realizzare i suoi piani distruttivi nei confronti della Chiesa e del Cattolicesimo: 1° il 24 aprile del 1820 quella della venerabile Anna Caterina Emmerick; 2° il 13 ottobre 1884 lo stesso annuncio fu fatto in visione a S.S. Papa Leone XIII; 3° la Vergine Maria lo riconfermò, il 13 ottobre 1917 nel corso dell’ultima apparizione a Fatima. Questo spiegherebbe i tempi riportati in anticipo di un secolo circa che il beato Holzhauser annunzia in questo capitolo – ndr. -).

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XX)

LA SUMMA PER TUTTI (13)

LA SUMMA PER TUTTI (13)

R. P. TOMMASO PÈGUES O. P.

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

SEZIONE SECONDA

Idea particolareggiata del ritorno dell’uomo verso Dio.

Capo XXVII.

Virtù annesse alla giustizia: la religione, la pietà, l’osservanza, la gratitudine, la punizione, la verità, l’amicizia, la liberalità e l’equità naturale.

1116. La virtù della giustizia ha essa pure alla sua dipendenza altre virtù che le si riferiscono, e sono per essa come altrettante parti annesse?

Sì; la virtù della giustizia ha queste specie di parti (LXXX, 1).

1117. Ma come ed in che cosa queste altre virtù si distinguono dalla giustizia propriamente detta?

Si distinguono in questo, che la giustizia propriamente detta ha per oggetto di rendere ad altri con perfetta uguaglianza ciò che è rigorosamente dovuto; mentre le altre virtù, benché si riferiscano agli altri come la giustizia, in ciò che hanno di comune con essa, hanno tuttavia il loro atto che tende a concedere una cosa non dovuta ad altri se non in senso largo, e non già a così stretto rigore che si possa richiedere in nome del diritto stabilito dalla legge davanti ai tribunali; oppure a non concedere se non in maniera necessariamente imperfetta ed al di sotto della uguaglianza assoluta, ciò che sarebbe rigorosamente dovuto (LXXX, 1).

1118. Quante sono le virtù che si riferiscono alla giustizia e quali sono?

Sono nove: la religione, la pietà, la osservanza, la gratitudine, la punizione, la verità, l’amicizia, la liberalità e la equità naturale (LXXX, 1).

1119. Potreste render ragione dell’ordine di queste virtù?

Sì; eccola in poche parole: Le prime otto si riferiscono alla giustizia particolare; la nona alla giustizia generale o legale. E delle prime otto ve ne sono tre — la religione, la pietà e la osservanza — che restano al di sotto della giustizia in senso stretto, non per mancanza di rigore in fatto di dovere, ma per impossibilità di raggiungere la ragione di uguaglianza nel compimento di questo dovere: la religione rispetto a Dio: la pietà rispetto ai parenti ed alla patria; la osservanza rispetto agli uomini virtuosi od agli elevati in dignità. Le altre cinque difettano da parte del dovere; perché esse non si basano affatto su qualche cosa di legalmente dovuto e che possa essere richiesto in giudizio davanti ai tribunali umani come determinato dalla legge, ma soltanto su ciò che è dovuto moralmente, e di cui la determinazione o il compimento è lasciato all’impulso virtuoso di ciascuno: cosa tuttavia richiesta per la onestà della vita umana è la buona armonia dei rapporti degli uomini tra loro, sia in maniera necessaria come l’oggetto della verità, della gratitudine e della vendetta; sia a titolo di perfezione e di miglioramento, come l’oggetto dell’amicizia e della liberalità (LXXX, 1).

Capo XXVIII.

La religione: sua natura.

1120, Che cosa è la virtù della religione?

La virtù della religione, così chiamata perché costituisce il legame per eccellenza che unisce l’uomo a Dio come a Colui che è per l’uomo la sorgente di ogni bene, è una perfezione della volontà che porta a riconoscere come si conviene la dipendenza dell’uomo da Dio, primo principio ed ultimo fine di tutto, sommamente perfetto in Se stesso e dal quale dipende ogni altra perfezione (LXXXI, 1-5).

1121. Quali saranno gli atti appartenenti a tale virtù?

Tutti quelli che di per sé tendono ad affermare la dipendenza dell’uomo da Dio rientrano nell’oggetto proprio della virtù della religione. Ma essa può anche ordinare a questo stesso fine gli atti di tutte le altre virtù; ed in questo caso essa fa di tutta la vita dell’uomo un atto di culto verso Dio (LXXXL, art. 7, 8).

1122. Come si chiamerà allora?

Si chiamerà santità, perché l’uomo Santo è precisamente colui, tutta la vita del quale è trasformata in un atto di religione (LXXXI. 8)

1123. La virtù della religione è particolarmente eccellente?

La virtù della religione è la più eccellente di tutte le virtù, fuorché delle virtù teologali (LXXXI, 6).

1124. Donde proviene questa eccellenza alla virtù della religione?

Le viene da questo, che tra tutte le virtù morali il cui proprio oggetto è di perfezionare l’uomo in tutti gli ordini della sua cosciente attività, in ordine al raggiungimento di Dio, quale la fede, la speranza e la carità ce lo fanno riguardare, nessun’altra virtù ha oggetto più prossimo a questo fine. Mentre, infatti, le altre virtù regolano l’uomo sia in se stesso che con le altre creature, la religione lo regola con Dio; essa fa sì che egli sia in relazione a Dio quello che deve essere, riconoscendo come deve la sua sovrana maestà, servendolo ed onorandolo con i suoi atti, come richiede di essere servito ed onorato Colui, la eccellenza del quale supera all’infinito ogni cosa ed in ogni ordine (LXXXI, 6).

Capo XXIX.

La religione: suoi atti interni: la divozione. – La preghiera: natura, necessità e formula. – Il PATER NOSTER, ossia l’Orazione Domenicale; efficacia.

1125. Qual è il primo atto della religione?

Il primo atto della religione è l’atto interno che si chiama devozione (LXXXII, 1, 2).

1126. Che cosa intendete per divozione?

Per divozione intendo un certo moto della volontà, per il quale questa si dona e dona tutto quello che nell’uomo da essa dipende, al servizio di Dio, riferendosi a Lui sempre ed in tutto con santa prontezza (LXXXII, 1, 2).

1127. Dopo la divozione qual è nell’uomo il primo atto applicato al servizio di Dio?

È l’atto della preghiera.

1128. Che cosa è l’atto della preghiera?

L’atto della preghiera, inteso nel senso più alto ed in quanto si rivolge a Dio, è un atto della ragione pratica per il quale, sotto forma di supplica, vogliamo indurre Dio a fare ciò che noi desideriamo (LXXXIII, E):

1129. Ma è cosa ragionevole e possibile questa?

Certamente; e niente sulla terra è più ragionevole o più in armonia con la nostra natura (LXXXIII, 2).

1130. Come dimostrate che è così?

Con queste considerazioni: Essendo noi esseri ragionevoli e coscienti, abbiamo altamente bisogno di acquistare coscienza di ciò che è Dio e di ciò che siamo noi. Ora, noi non siamo che miseria, ed Egli è la sorgente di ogni bene. Più noi dunque avremo coscienza della nostra miseria fino ai minimi particolari dei suoi bisogni, e che soltanto da Dio come dalla prima sorgente ci vengono i beni atti a rimediarvi, più saremo ciò che dobbiamo essere, vale. a dire ciò che la nostra. Natura richiede. E l’atto della preghiera è precisamente questo: tanto più è perfetto quanto più ci fa acquistare coscienza della nostra miseria e della bontà di Dio nel rimediarvi. Ancora, proprio per questo Dio nella sua misericordia ha voluto che pregassimo, determinando che certe cose non ci verrebbero concesse, se non per mezzo della domanda che gliene faremmo (LXXXII, 2).

1131. Dunque noi facciamo la volontà di Dio nella sua più alta perfezione, quando vogliamo indurlo con la preghiera a fare ciò che desideriamo?

Sì: noi facciamo nella sua più alta perfezione la volontà stessa di Dio, quando ci sforziamo di indurlo con la nostra preghiera a compiere quello che desideriamo, ogni volta che quello che desideriamo è per il nostro vero bene.

1132. Dio ci esaudisce sempre allora?

Sì: Dio ci esaudisce sempre, quando Gli domandiamo sotto l’impulso dello Spirito Santo ciò che è per il nostro vero bene (LXXXITI, 15).

1133. Vi è una formula di preghiera che ci assicura che noi domandiamo sempre il nostro vero bene?

Sì, è la formula della preghiera per eccellenza che si chiama il « Pater Noster », ossia Orazione Domenicale (LXXXIII, 9).

1134. Che cosa intendete con queste parole: «Orazione Domenicale? ».

Intendo la preghiera che ci ha insegnata Nostro Signore Gesù Cristo nel Vangelo.

1135. Potete dirmi questa preghiera?

Si: eccola: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano; e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori; e non ci indurre in tentazione; ma liberaci dal male. Così sia.

1136. Questa preghiera contiene da sé sola tutte le preghiere, ossia tutte le domande che possiamo e dobbiamo rivolgere a Dio?

Sì; questa preghiera contiene da sé  sola tutte le preghiere, ossia tutte le domande che possiamo e dobbiamo rivolgere a Dio; e tutto quello che domanderemo a Dio si riferirà sempre, se domandiamo ciò che bisogna, ad una di queste domande del « Pater Noster » (LXXXII, 9).

1137. Ha ancora un altro pregio questa preghiera totalmente proprio?

Sì; e questo pregio consiste in ciò, che essa mette sulle nostre labbra, nello stesso ordine che debbono essere nel nostro cuore, tutti i desideri che dobbiamo avere (LXXXIII, 9).

1138. Potreste mostrarmi l’ordine delle domande dell’Orazione Domenicale?

Eccolo in breve: Di tutti i nostri desideri il primo deve essere che Dio sia glorificato, poiché la gloria di Dio è il fine di tutte le cose; ma subito e per cooperare noi stessi il più perfettamente possibile a questa gloria, dobbiamo desiderare di essere ammessi a parteciparne un giorno eternamente nel cielo, E tale è il senso delle prime due domande

del «Pater Noster» quando diciamo: « Sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno ». Questa glorificazione di Dio in Se stesso e nostra in Lui, sarà un giorno il termine finale della nostra vita. Su questa terra e durante la nostra vita presente noi dobbiamo lavorare per meritare di esservi ammessi. Perciò noi non abbiamo che una sola cosa da fare: compiere in tutto, il più perfettamente possibile, la volontà di Dio; ed è ciò che domandiamo dicendo: « Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra ». Ma per compiere questa volontà in modo perfetto abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio che sostenga la nostra debolezza, sia in ordine alle necessità temporali sia in ordine a quelle spirituali. Noi domandiamo questo aiuto quando diciamo: « Dacci oggi il nostro pane quotidiano ». E ciò basterebbe se non avessimo da liberarci dal male che può essere un ostacolo, sia all’acquisto del Regno di Dio, sia al compimento della Sua volontà, sia alla sufficienza delle cose di cui abbiamo bisogno nella vita presente. Contro questo triplice male noi diciamo a Dio: Rimetti a noi i nostri debiti,  come noi li rimettiamo ai nostri debitori; e non ci indurre in tentazione; ma liberaci dal male (LXXXII, 9).

1139. Perché al principio di questa preghiera, noi diciamo: « Padre nostro che sei nei cieli » ?

Per eccitarci ad una confidenza senza limiti, poiché quegli a cui ci rivolgiamo è un Padre che regna nei cieli, ed ha tutto in Suo potere (LXXXII, 9 ad 5).

1140. Si deve recitare spesso questa preghiera del «Pater noster» ?

Si deve vivere continuamente del suo spirito e recitare poi di tempo in tempo, ed anche più spesso, secondo che le condizioni della nostra vita ce lo permettono (LXXXIII,

1141. Il meno che convenientemente si possa fare, in qualsiasi condizione ci si trovi è di non passare un giorno solo senza a dire questa preghiera?

Si, in qualsiasi condizione ci si trovi, il meno che convenientemente si possa fare è di non lasciar passare un giorno solo senza dire questa preghiera.

1142. Dobbiamo rivolgere a Dio solo le nostre preghiere?

Sì; dobbiamo rivolgere le nostre preghiere a Dio solo, come a Colui dal quale attendiamo ogni nostro bene; ma possiano rivolgerci a certe creature, per pregarle ad intercedere in nostro favore dinanzi a Dio (LXXXIII. 4).

1143. Quali sono le creature alle quali possiamo rivolgerci, per pregarle ad intercedere in nostro favore dinanzi a Dio?

Sono gli Angeli ed i Santi del cielo, ed i giusti che vivono ancora sulla terra (LXXXIII, 11)

1144. È cosa buona raccomandarsi anche alle anime sante e sollecitare le loro preghiere?

Sì; è cosa eccellente raccomandarsi alla pia intercessione delle anime sante e sollecitare le loro preghiere presso Dio.

1145. Fra tutte le creature ve n’è qualcuna che deve essere da noi invocata nelle nostre preghiere, a titolo del tutto speciale?

Sì; è la gloriosa Vergine Maria, Madre del Figluolo di Dio incarnato, Nostro Signore Gesù Cristo.

1146. Con qual nome è stata chiamata la Ss.ma Vergine Maria, in ragione di questa speciale missione che ha di intercedere per noi?

È stata chiamata la Onnipotente per intercessione.

1147. E che cosa si è voluto significare con queste parole?

Si è voluto significare che tutti coloro che per i quali Ella intercede presso Dio sono da Lui esauditi nelle loro preghiere.

1148, Vi è una formula di preghiera più particolarmente eccellente per domandare intercessione della Ss.ma Vergine Maria presso Dio?

Sì: è la preghiera dell’ « Ave Marta ».

1149. Potreste dirmi questa preghiera?

Si: eccola: Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è teco: tu sei benedetta tra le donne, e benedetto è il frutto del ventre tuo Gesù. Santa Maia, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Così sia.

1150. Quando è bene recitare questa preghiera?

È bene recitarla il più spesso possibile, e specialmente dopo il «Pater noster » quando si recita in privato.

1151. Vi è un modo particolarmente bello di unire insieme queste due preghiere per assicurarne la efficacia?

Sì; è il santo Rosario.

1152. Che cosa intendete per il Rosario?

Intendo un modo di preghiera che consiste nel ricordare i quindici principali misteri della nostra Redenzione, e nel recitare, dinanzi al ricordo di ciascuno di essi, una volta il « Pater noster » seguito dall’« Ave Maria» ripetuta dieci volte, dopo di che si aggiunge: Gloria al Padre e al Figliuolo ed allo Spirito Santo, come era nel principio, e ora, e sempre, e mei secoli dei secoli. Così sia.

Capo XXX.

Atti esterni: l’adorazione, il sacrificio, i doni, le offerte per il culto, il voto, il giuramento, la invocazione del S, Nome di Dio.

1153. Dopo gli atti interni della divozione e della preghiera, quali sono gli altri atti della virtù della religione?

Sono tutti gli atti esterni ordinati di per sé ad onorare Dio (LXXXIV-XCI).

1154. Quali sono questi atti?

Vi sono anzitutto i gesti o movimenti del corpo, come le inclinazioni della testa, le genuflessioni, le prostrazioni e tutti gli altri atti che si comprendono sotto il nome generale di adorazione (LXXXIV).

1155. In che cosa consiste il pregio di tali atti?

Consiste in questo, che essi fanno contribuire il corpo stesso ad onorare Dio e possono, quando siano compiuti come si deve, costituire un grandissimo aiuto per meglio compiere gli atti interni (LXXXIV; 2).

1156. Soltanto il nostro corpo noi dobbiamo far servire ad onorare Dio nella virtù della religione?

Vi sono anche le cose esterne che possiamo offrire in omaggio a Dio sotto forma di sacrificio o di pio contributo (LXXXV – LXXXVII).

1157. Nella legge nuova vi è una sola forma di sacrificio nel senso stretto della parola, ed in quanto implica la immolazione della vittima?

Sì; è il santo sacrificio della Messa nel quale si immola, sotto le specie sacramentali del pane e del vino, Colui che dopo il sacrificio cruento della croce, è l’unica Vittima offerta ed accetta a Dio (LXXXV, 4).

1158. E un atto di religione accetto a Dio il contribuire secondo le proprie risorse ad assicurare ed accrescere il culto esterno, facendo offerte per il culto stesso e per il sostentamento dei suoi ministri?

Sì: tutto questo è un atto di religione e Dio lo riguarda con con gradimento speciale. (LXXXVI-LXXXVII). sad

1159 Si fa atto di religione soltanto donando a Dio per il suo culto od a vantaggio dei suoi ministri?

Si può fare anche atto di religione promettendo a Dio qualche cosa di natura accetta a Lui (LXXXVII).

1160. Come si chiama questa promessa?

Si chiama voto (LXXXVII, 1, 2).

1161. Quando si fa un voto si è obbligati a mantenerlo?

Sì; quando fa un voto si è obbligati a mantenerlo, salvo la impossibilità o la dispensa. (LXXXVIII, 3, 10).

1162. Vi è un’ultima specie di atti di religione?

Si; sono gli atti nei quali per onorare Dio si usa qualche cosa spettante a Dio stesso – (LXXXTX).

1163. Che cosa è che può riguardare Dio, e che noi possiamo utilizzare per onorarlo e rendergli omaggio?

Sono le cose sante ed il suo S. Nome.

1164. Che cosa intendete per cose sante?

Intendo tutto quello che ha ricevute da Dio, per mezzo della sua Chiesa, una consacrazione a o una benedizione particolare, come le persone consacrate a Dio, i sacramenti ed i sacramentali, quali sono l’acqua benedetta, gli oggetti di pietà ed anche i luoghi di culto (LXXXIX, Prologo).

1165. Come si può usare il S. Nome di Dio sotto forma di omaggio reso a Lui?

Si può usare il S. Nome di Dio sotto forma di omaggio reso a Dio stesso, chiamandolo in testimone di ciò che si afferma od invocandolo a modo di lode (LXXXIX-XCI).

1166. Con qual nome si indica l’atto di chiamare Dio in testimone di ciò che si afferma o si promette?

Si indica col nome di giuramento (LXXXIX, 1).

1167. Il giuramento è cosa buona e da raccomandarsi di per se stessa?

Il giuramento non è cosa buona se non in forza di una grande necessità, e non se ne deve usare che con la più estrema riserva (LXXXIX, 2).

1168. E l’adiurazione che cosa è?

L’adiurazione o scongiuro è un atto che consiste nell’appellare al s. Nome di Dio od a qualche cosa santa, per indurre qualcuno ad agire o non agire nel senso che vogliamo (XC, 1).

1169. È un atto permesso ?

Sì; quando è fatto con rispetto ed in quanto lo richiede la condizione degli esseri che scongiuriamo (Ibid.).

1170. È bene invocare spesso il S. Nome di Dio?

Sì; purché si faccia col più grande rispetto e sotto forma di lode (XCI, 1).

Capo XXXI.

Vizi opposti alla religione: la superstizione, la divinazione. – La irreligione: la tentazione di Dio, lo spergiuro, il sacrilegio.

1171. Quali sono i vizi opposti alla virtù della religione?

Vi sono due specie di vizi opposti alla virtù della religione: gli uni per eccesso, e vanno sotto il nome di superstizione; gli altri per difetto e si chiamano irreligione (XCII, Prologo).

1172. Che cosa intendete per superstizione?

Intendo quel complesso di vizi che consiste nel rendere a Dio un culto che non può essergli gradito, oppure nel rendere ad altri il culto che appartiene a Lui solo (XCII, XCIII, XCIV).

1173. Vi è un modo più specialmente frequente di questa ultima specie di vizi?

Sì; è il desiderio smoderato di conoscere il futuro o le cose occulte, per il quale ci si abbandona alle molteplici pratiche della divinazione e delle vane osservanze (XCV, XCVI).

1174. E la irreligione che cosa comprende?

La irreligione comprende due cose: il non trattare col conveniente rispetto le cose riguardanti il servizio ed il culto di Dio, e l’astenersi interamente da ogni atto di religione.

1175. Questo ultimo vizio è particolarmente grave?

Questo ultimo vizio è di una gravità estrema; perché implica il disprezzo e la dimenticanza sdegnosa di Colui al quale siamo più obbligati, e che ogni uomo ha il più stretto dovere di onorare e servire.

1176. Sotto quale forma speciale si presenta oggigiorno questo vizio?

Si presenta sotto la forma del laicismo.

1177. Che cosa intendete per laicismo?

Intendo quel sistema di vita consistente nel mettere Dio completamente da parte: sia in maniera positiva, cacciandolo dappertutto e perseguitando Lui o tuttociò che a Lui appartiene dovunque si trovi; sia in maniera negativa, non tenendo alcun conto di Lui nell’ordinamento della vita umana individuale, familiare e sociale.

1178. Donde proviene questo gran vizio del laicismo nella sua doppia forma positiva e negativa?

La forma positiva proviene dall’odio e dal fanatismo settario; la forma negativa da una specie di stupidità intellettuale e morale, nell’ordine metafisico e soprannaturale.

1179. Ci si deve opporre con tutte le forze al laicismo?

Non esiste dovere più grande che quello di opporsi con tutte le proprie forze al laicismo, e di combatterlo con ogni mezzo che sia in nostro potere.

1180. Quali sono gli altri vizi della irreligione?

Sono la tentazione di Dio e lo spergiuro, che vanno contro Dio stesso ed il Suo S. Nome; il sacrilegio e la simonia, che vanno contro le cose sante (XCVII-XCIX).

1181. Che cosa intendete per tentazione di Dio?

Intendo quel peccato contro la religione che consiste nel mancare di rispetto a Dio, facendo appello al suo intervento come per assicurarci della sua potenza, o in tali circostanze che non gli permettano di intervenire senza andare contro ciò che Egli deve a Se stesso (XCVII, 1).

1182. È un tentare Dio, quasi contando sopra un soccorso speciale da parte sua, quando non si fa da parte nostra ciò che è possibile fare?

Sì: è un tentare Dio il fare così, e si deve evitare con grande cura (XCVII, 1,2).

1183. Che cosa intendete per spergiuro?

Intendo quel peccato contro la virtù della religione, che consiste nell’appellarsi alla testimonianza di Dio per una cosa falsa, nel mancare di mantenerla dopo averla promessa (XCVII, 1).

1184. È un peccato che si collega con lo spergiuro l’appellare a Dio con la evocazione del suo S. Nome, per qualunque motivo ed in modo inconsiderato?

Sì; senza essere propriamente uno spergiuro, è una mancanza di rispetto verso il S. Nome di Dio, che si collega con lo spergiuro, e non sarà mai troppa la cura per evitarla.

1185. Che cosa intendete per sacrilegio?

Intendo la violazione delle persone, delle cose o dei luoghi rivestiti di una consacrazione o santificazione speciale, che li vota al culto ed al servizio di Dio (XCIX, 1).

1186. Il sacrilegio è un peccato grave?

Sì; il sacrilegio è un peccato grave, perché attentare alle cose di Dio è in qualche modo attentare a Dio stesso; e Dio riserva a questo peccato, anche su questa terra, i più grandi gastighi (XCIX, 2-4).

1187. Che cosa intendete per simonia?

Intendo quel peccato speciale di irreligione che consiste, imitando in ciò la empietà di Simon Mago, nel fare ingiuria alle cose sante trattandole come vili cose materiali, di cui gli uomini dispongono da padroni, vendendole e comprandole a prezzo di denaro (C, 1).

1188. La simonia è un grave peccato?

Sì; la simonia è un peccato grave che la Chiesa punisce con pene severissime (C, 6).

Capo XXXII.

La pietà verso i genitori e verso la patria.

1189. Dopo la virtù della religione, quale è la più grande delle virtù annesse alla giustizia?

È la virtù della pietà (CI).

1190. Che cosa intendete per virtù della pietà?

Intendo quella virtù che ha per oggetto di rendere ai genitori ed alla patria l’onore ed il culto loro dovuti per il grande benefizio dell’essere che ci hanno dato, con tutti i beni che lo seguono, lo conservano e lo completano (CI, 1-2).

1191. I doveri della pietà verso i genitori e verso la patria sono particolarmente santi?

Sì; dopo i doveri verso Dio non ve ne sono altri di più santi o più sacri (CI, 1).

1192. Quali sono i doveri della virtù della pietà verso i genitori?

Sono: il rispetto e la deferenza, sempre; la obbedienza quando si vive sotto la loro autorità; e l’assistenza in caso di bisogno (CI,2),

1193. Ed i doveri della pietà verso la patria quali sono?

Sono: il rispetto e la riverenza verso coloro che la personificano e la rappresentano; l’obbedienza alle leggi; ed il dono di sé fino al sacrifizio della propria vita, in caso di guerra giusta contro i suoi nemici.

Caro XXXIII.

L’osservanza verso i superiori.

1194. Vi è ancora una virtù oltre quella della religione e della pietà, che può richiedere la nostra obbedienza?

Sì; è la virtù della osservanza (CII).

1195. Che cosa intendete per la virtù della osservanza?

Intendo una virtù avente per oggetto di regolare i rapporti degli inferiori verso i superiori, fuori della superiorità e del dominio proprio di Dio, dei genitori e delle autorità che personificano e rappresentano la patria (CII, CIII).

1196. È la virtù della osservanza che regola i rapporti degli alunni verso i maestri, degli apprendisti verso i padroni e di tutti gli altri inferiori verso i loro superiori?

È la virtù della osservanza che regola i rapporti degli alunni verso: i maestri, degli apprendisti verso i padroni e di tutti gli altri inferiori verso i loro superiori (CIII, 3).

1197. La virtù della osservanza implica sempre la virtù di obbedienza?

No: la virtù di obbedienza non è richiesta dalla osservanza se non si tratta di superiori aventi autorità sui loro inferiori.

1198. Vi sono altri ordini di superiorità oltre a quelli che implicano autorità sugli inferiori?

Sì; per esempio la superiorità di talento, di genio, di ricchezze, di età, di virtù ed altre simili (CIII, 2).

1199. In tutti questi ordini ha luogo la pratica della virtù della osservanza?

Sì; la virtù della osservanza fa sì che l’uomo renda ad ogni dignità superiore, qualunque essa sia, gli onori dovuti; con questo però che essa rende tali onori prima ai superiori in autorità, a cui rende al tempo stesso il rispetto ed il servizio loro dovuto (Ibid.).

1200. È cosa importante questa per il bene della società?

Sì; è cosa importantissima per il bene della società; perché ogni società implica molteplicità ed in qualche maniera subordinazione; ed ogni subalterno deve praticare la virtù della osservanza, sotto pena di turbare la bellezza ed armonia che formano il pregio della vita degli uomini tra loro.

1201. Ogni uomo può avere da praticare la virtù della osservanza?

Sì; perché non vi è alcuno, sia pur superiore in un dato ordine, che non sia in ordine diverso inferiore ad altri (CIII, 2 ad 3).

Capo XXXIV.

La gratitudine o riconoscenza.

1202. Quale è la prima delle altre virtù annesse alla giustizia, avente per oggetto non uno stretto dovere impossibile a soddisfarsi pienamente, ma un certo dovere morale, ordinato tuttavia in modo necessario al bene della società?

È la virtù della gratitudine, ossia della riconoscenza (CVI).

1203. Qual è il compito di questa virtù?

Il compito di questa virtù è di farci riconoscere come conviene e contraccambiare tutti i benefizi di ordine particolare che possiamo aver ricevuto da qualcuno (CVI, 1).

1204. È una grande virtù questa?

Sì; perché il vizio contrario, la ingratitudine è cosa estremamente odiosa e riprovata da tutti gli uomini (CVII).

1205. Ci si deve impegnare nella virtù della gratitudine o riconoscenza, a rendere più di quello che si è ricevuto?

Sì: ci si deve impegnare a rendere più di quanto si è ricevuto, per imitare l’atto del proprio benefattore (CVI, 6).

Capo XXXV.

La vendetta o castigo.

1206. Vi è qualcosa da fare, dal punto Vista della virtù, contro i malfattori e tutti quelli che nuocciono, nella sfera della nostra vigilanza?

 Sì; una virtù speciale che è la premura della vendetta, deve guidarci a far sì che un dato male non rimanga affatto impunito, quando il bene di cui noi abbiamo la difesa richiede che il male stesso venga effettivamente punito (CVIII).

Capo XXXVI.

La verità. – Vizi opposti: la menzogna, la simulazione e l’ipocrisia.

1207. Qual è l’altra virtù del medesimo ordine richiesta non precisamente per riguardo agli altri, ma per riguardo a quegli stessi che agisce, per il bene della società tra gli uomini?

È la virtù della verità (CIX)

1208. Che cosa intendete per virtù della verità?

Intendo quella virtù che ci porta a mostrarci in tutte le cose per quelli che veramente siamo nelle parole e negli atti (CIX, 1-4).

1209. Quali sono i vizi opposti a questa virtù?

Sono la menzogna a e la simulazione, ossia l’ipocrisia (CX- CXII)

1210. Che cosa intendetete per menzogna?

Intendo il parlare od agire scientemente in modo tale da esprimere o significare ciò che non è (CX, 1).

1211. È cosa cattiva questa?

È cosa essenzialmente cattiva, che non può mai divenir buona per qualsivoglia fine

o pretesto (CX, 3).

1212. Ma si è sempre tenuti a dire o significare con le parole e con gli atti tutto ciò  che è?

No: non si è affatto tenuti a dir sempre o a significare tutto ciò che è; ma non si deve mai dire o significare quello che non è (CX, 3)

1213. Quante specie di menzogna vi sono?

Vi sono tre specie di menzogna: la menzogna giocosa; la menzogna officiosa; e la menzogna dannosa (CX, 2).

1214. In che cosa si distinguono queste tre specie di menzogna?

Queste tre specie di menzogna si distinguono in questo, che la menzogna giocosa, ha per iscopo di ricreare il prossimo; la menzogna officiosa quello di essergli utile, e la menzogna dannosa quello di nuocergli (CX, 2)

1215. Questa ultima menzogna è la più cattiva di tutte?

Sì: di tutte le specie della menzogna, la più cattiva è la menzogna dannosa: mentre infatti le altre due possono essere soltanto peccati veniali, questa è sempre di peccato mortale, non potendo essere veniale se non in ragione della leggerezza del danno che intende (CX, 4).

1216. Che cosa intendete per simulazione ed ipocrisia?

La simulazione consiste nel mostrarsi all’esterno della propria vita quello che non si è;

internamente; e la ipocrisia è una simulazione che tende a far passare per giusto e santo chi internamente non è tale (CXI, 1, 2)

1217. È obbligato uno, per non cadere in questi difetti, a manifestare esternamente ciò che in lui può esservi di cattivo o di meno buono?

Niente affatto; ed è anzi un dovere non lasciarlo apparire di fuori, sia per non nuocere a se stesso nella opinione degli altri, sia per non male edificarli o scandalizzarli. Ciò che la virtù della verità richiede è che non si tenda a dimostrare all’esterno della propria vita qualche cosa, sia in bene che in male, che non corrispondente alla realtà (CXI, 3,4).

1218. Si è tenuti per la virtù della verità ad astenersi da ogni segno di parole o di atti che si presterebbe ad una falsa interpretazione, oppure a prevenire questa falsa interpretazione?

No; non vi saremmo tenuti se non nel caso che la falsa interpretazione fosse di natura tale da cagionare un male che dovremmo evitare (CXI, 1).

1219. Si può peccare di menzogna, di simulazione o di ipocrisia in più maniere da costituire peccati significativamente distinti?

Sì; si può peccare andando oltre quello che è, ed abbiamo il peccato di iattanza; restando al di sotto di ciò che è, dando a pensare di non avere quello che si ha quando si tratta di bene, ed abbiamo il peccato di indebito occultamento (CXII, CXIII).