DOMENICA XIV DOPO PENTECOSTE (2021)

XIV DOMENICA DOPO PENTECOSTE (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Le Lezioni dell’Officio di questa Domenica sono spesso prese dal Libro dell’Ecclesiastico (Agosto) o da quello di Giobbe (Settembre). Commentando il primo, S. Gregorio dice: «Vi sono uomini così appassionati per i beni caduchi, da ignorare i beni eterni, o esserne insensibili. Senza rimpiangere i beni celesti perduti, i disgraziati si credono felici di possedere i beni terreni: per la luce della verità, non innalzano mai i loro sguardi e mai provano uno slancio, un desiderio verso l’eterna patria. Abbandonandosi ai godimenti nei quali si sono gettati si attaccano e si affezionano, come se fosse la loro patria, a un triste luogo d’esilio; e in mezzo alle tenebre sono felici come se una luce sfolgorante li illuminasse. Gli eletti, invece, per cui i beni passeggeri non hanno valore, vanno in cerca di quei beni per i quali la loro anima è stata creata. Trattenuti in questo mondo dai legami della carne, si trasportano con lo spirito al di là di questo mondo e prendono la salutare decisione di disprezzare quello che passa col tempo e di desiderare le cose eterne ». — Quanto a Giobbe viene rappresentato nelle Sacre Scritture come l’uomo staccato dai beni di questa terra: «Giobbe soffriva con pazienza e diceva: Se abbiamo ricevuti i beni da Dio, perché non ne riceveremo anche i mali? Dio mi ha donato i beni, Dio me li ha tolti, che il nome del Signore sia benedetto ». — La Messa di questo giorno si ispira a questo concetto. Lo Spirito Santo che la Chiesa ha ricevuto nel giorno di Pentecoste, ha formato in noi un uomo nuovo, che si oppone alle manifestazioni del vecchio uomo, cioè alla cupidigia della carne e alla ricerca delle ricchezze, mediante le quali può soddisfare la prima. Lo Spirito di Dio è uno spirito di libertà che rendendoci figli di Dio, nostro Padre, e fratelli di Gesù, nostro Signore, ci affranca dalla servitù del peccato e dalla tirannia dell’avarizia. « Quelli che vivono in Cristo, scrive S. Paolo, hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e bramosie. Camminate, dunque, secondo lo Spirito e voi non compirete mai i desideri della carne, poiché la carne ha brame contro lo Spirito e lo Spirito contro la carne: essi sono opposti l’uno all’altra » (Ep.).  Nessuno può servire a due padroni, dice pure Gesù, perchè o odierà l’uno e amerà l’altro, ovvero aderirà all’uno e disprezzerà l’altro. Voi non potete servire a Dio e alle ricchezze ». « Chiunque è schiavo delle ricchezze, spiega S. Agostino – e si sa che sono spesso fonte di orgoglio, avarizia, ingiustizia e lussuria –  è sottomesso ad un padrone duro e cattivo. (« Forse che questi festini giornalieri, questi banchetti, questi piaceri, questi teatri, queste ricchezze, si domanda S. Giovanni Crisostomo, non attestano l’insaziabile esigenza delle tue cattive passioni? » – 2° Nott., V Domenica di Agosto che coincide qualche volta con questa Domenica). Dio non condanna la ricchezza ma l’attaccamento ai beni di questa terra e il loro cattivo impiego. Tutto dedito alle sue bramosie, subisce però la tirannia del demonio: certamente non l’ama perché chi può amare il demonio? ma lo sopporta. D’altra parte non odia Dio, poiché nessuna coscienza può odiare Dio, ma lo disprezza, cioè non lo teme, come se fosse sicuro della sua bontà. Lo Spirito Santo mette in guardia contro questa negligenza e questa sicurezza dannosa, quando dice, mediante il Profeta: Figlio mio, la misericordia di Dio è grande » (Eccl., V, 5 ),— (Queste parole sono prese dal 1° Notturno della V Domenica di Agosto, che coincide qualche volta con questa Domenica: « Non dire: la misericordia di Dio è grande, egli avrà pietà della moltitudine dei miei peccati. Poiché la misericordia e la collera che vengono da Lui si avvicinano rapidamente, e la sua collera guarda attentamente i peccatori. Non tardare a convertirti al Signore e non differirlo di giorno in giorno: poiché la sua collera verrà improvvisamente e ti perderà interamente. Non essere inquieto per l’acquisto delle ricchezze, poiché non ti sopravviveranno nel giorno della vendetta ») – … ma sappi che « la pazienza di Dio t’invita alla penitenza » (Rom., II, 4). Perché chi è più misericordioso di Colui che perdona tutti i peccati a quelli che si convertono e dona la fertilità dell’ulivo al pollone selvatico? E chi è più severo di colui che non ha risparmiati i rami naturali, ma li ha tagliati per la loro infedeltà? Chi dunque vuole amare Dio e non offenderlo, pensi che non può servire due padroni; abbia egli un’intenzione retta senza alcuna doppiezza. Ed e così che tu devi pensare alla bontà del Signore e cercarlo nella semplicità del cuore. Per questo, continua egli, io vi dico di non avere sollecitudini superflue di ciò che mangerete e del come vi vestirete; per paura che forse, senza cercare il superfluo, il cuore non si preoccupi, e che cercando il necessario, la vostra intenzione non si volga alla ricerca dei vostri interessi piuttosto che al bene degli altri » (3° Nott.). Cerchiamo dunque, prima di tutto il regno di Dio, la sua giustizia, la sua gloria (Vang., Com.); mettiamo nel Signore ogni nostra speranza (Grad.), poiché è il nostro protettore (Intr.); è Lui che manda il suo Angelo per liberare quelli che lo servono (Off.) e che preserva la nostra debole natura umana, poiché senza questo aiuto divino essa non potrebbe che soccombere (Oraz.). L’Eucarestia ci rende Dio amico (Secr.) e, fortificandoci, ci dà la salvezza (Postcom.). Cerchiamo, dunque, prima di tutto di pregare nel luogo del Signore (Vers. dell’Intr.) e di cantarvi le lodi di Dio, nostro Salvatore (All.); poi occupiamoci dei nostri interessi temporali, ma senza preoccupazione.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXXXIII: 10-11.
Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice in fáciem Christi tui: quia mélior est dies una in átriis tuis super mília.

[Sei il nostro scudo, o Dio, guarda e rimira il tuo Consacrato: poiché un giorno passato nel tuo luogo santo vale più di mille altri].

Ps LXXXIII: 2-3

V. Quam dilécta tabernácula tua, Dómine virtútum concupíscit, et déficit ánima mea in átria Dómini.

[O Dio degli eserciti, quanto più amabili sono le tue dimore! L’ànima mia anela e spàsima verso gli atrii del Signore].

Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice in fáciem Christi tui: quia mélior est dies una in átriis tuis super mília.

[Sei il nostro scudo, o Dio, guarda e rimira il tuo Consacrato: poiché un giorno passato nel tuo luogo santo vale più di mille altri].

Oratio

Orémus.
Custódi, Dómine, quǽsumus, Ecclésiam tuam propitiatióne perpétua: et quia sine te lábitur humána mortálitas; tuis semper auxíliis et abstrahátur a nóxiis et ad salutária dirigátur.

[O Signore, Te ne preghiamo, custodisci propizio costantemente la tua Chiesa, e poiché senza di Te viene meno l’umana debolezza, dal tuo continuo aiuto sia liberata da quanto le nuoce, e guidata verso quanto le giova a salvezza.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Gálatas.

Gal V: 16-24

“Fratres: Spíritu ambuláte, et desidéria carnis non perficiétis. Caro enim concupíscit advérsus spíritum, spíritus autem advérsus carnem: hæc enim sibi ínvicem adversántur, ut non quæcúmque vultis, illa faciátis. Quod si spíritu ducímini, non estis sub lege. Manifésta sunt autem ópera carnis, quæ sunt fornicátio, immundítia, impudicítia, luxúria, idolórum sérvitus, venefícia, inimicítiæ, contentiónes, æmulatiónes, iræ, rixæ, dissensiónes, sectæ, invídiæ, homicídia, ebrietátes, comessatiónes, et his simília: quæ prædíco vobis, sicut prædíxi: quóniam, qui talia agunt, regnum Dei non consequántur. Fructus autem Spíritus est: cáritas, gáudium, pax, patiéntia, benígnitas, bónitas, longanímitas, mansuetúdo, fides, modéstia, continéntia, cástitas. Advérsus hujúsmodi non est lex. Qui autem sunt Christi, carnem suam crucifixérunt cum vítiis et concupiscéntiis.”

[“Fratelli: Camminate secondo lo spirito e non soddisferete ai desideri della carne. Perché la carne ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito contrari alla carne: essi, infatti, contrastano tra loro, così che non potete fare ciò che vorreste. Che se voi vi lasciate guidare dallo spirito non siete sotto la legge. Sono poi manifeste le opere della carne: esse sono: la fornicazione, l’impurità, la dissolutezza, la lussuria, l’idolatria, i malefici, le inimicizie, le gelosie, le ire, le risse, le discordie, le sette, le invidie, gli omicidi ecc. le ubriachezze, le gozzoviglie e altre cose simili; di cui vi prevengo, come v’ho già detto, che coloro che le fanno, non conseguiranno il seguiranno il regno di Dio. Frutto invece dello Spirito è: la carità, il gaudio, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la mansuetudine, la fedeltà, la modestia, la continenza, la castità. Contro tali cose non c’è logge. Or quei che son di Cristo han crocifisso la loro carne con le sue passioni e le sue brame”].

C’è una lotta, una guerra formidabile, una battaglia che si combatte fieramente e dappertutto e sempre: si combatte in ciascuno di noi. Per un misterioso congegno, noi, siamo due in uno e uno in due. Siamo, lo sanno tutti, anima e corpo, ma corpo e anima pur insieme uniti come sono a formare un sol uomo, rappresentano ciascuno tendenze diverse, addirittura contrastanti. La materia ci trascina nel torbido mondo dei piaceri più bassi: mollezza, ozio, dissipazione, egoismo e poi crudeltà se occorre. La materia ci trascina verso il mondo animale, anzi un mondo animale degenere e corrotto. È un fatto che noi possiamo sperimentare, che sperimentiamo anzi, senza volerlo, in noi stessi. Lo sperimentiamo con un altro fatto, del pari innegabile. Ed è che dentro di noi, contro di noi, contro questi travolgimenti passionali, queste degenerazioni brutali, qualche cosa, qualcheduno protesta; come se si trovasse, perché si trova, a disagio, nel trionfare di queste basse voglie. Questo qualcuno è lo spirito che, dice San Paolo « concupiscit adversus carnem ». Veramente, questa concupiscenza dello spirito, è una frase ardita. La realtà si è che lo spirito ha delle sue voglie, delle sue tendenze, che non sono quelle della carne. E noi sentiamo in noi, nelle ore migliori della vita, una sete di purezza, di sobrietà, di laboriosità, di sacrificio, di dominio della bestia: sogni angelici ci traversano l’anima e ce la attirano verso il cielo. Istinti angelici da quanto sono brutali quegli altri. Istinti che si rafforzano dentro di noi, colla educazione, coll’altrui buon esempio, colla saturità cristiana dell’ambiente in cui siamo chiamati a vivere. Ma istinti ai quali contrasta e maledice il corpo, proprio come contro quelli del corpo eleva l’anima l’istintivo suo veto. In questa lotta è la tragedia della nostra vita morale. È il segreto della nostra debolezza. È per questo che facciamo spesso quello che non vorremmo, che quasi non vogliamo e non facciamo quello che vorremmo. Quanti uomini vorrebbero essere fedeli alle loro mogli, vorrebbero dare esempi luminosi di buon costume ai loro figli… vorrebbero; e intanto, pur riconoscendo che fanno male, che amareggiano il cuore di una povera donna, che dànno cattivo esempio ai figlioli, profanano il santuario domestico e cercano fuori di esso illecite gioie. Quanti giovani si vergognano, si pentono della vita materiale, animalesca che conducono, e intanto non hanno forza di troncarla: «vident meliora, probantque, deteriora sequuntur ». Ma se in questo congegno di lotta interna è il segreto della nostra debolezza, v’è anche quello della nostra gloria. Abbiamo una bella battaglia da vincere. Essere un po’ sulla terra, ancora sulla terra « sicut angeli Dei in cœlo.» Andare verso l’alto, verso il cielo malgrado questa palla di piombo, che, ahimè, portiamo al piede. Gli Angeli nascono Angeli, lo sono: noi dobbiamo diventarlo. – Il Cristianesimo è stato e rimane il grande alleato dello spirito nella lotta contro la carne, Gesù è venuto apposta tra noi per dare man forte allo spirito. E da Lui in poi, e grazie a Lui, la vittoria nonché possibile, è diventata frequente tra i suoi discepoli. L’umanità vede oggi a frotte i cavalieri autentici dello spirito, gli uomini che collo spirito hanno mortificato, compresso i fasti della carne, e si rivelano in questa trionfale spiritualità di vita, si rivelano guidati dallo Spirito di Dio. Aggreghiamoci alla falange dei vincitori, non accodiamoci, codardi, alle orde dei vinti.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

 Graduale

Ps CXVII:8-9
Bonum est confidére in Dómino, quam confidére in hómine.

[È meglio confidare nel Signore che confidare nell’uomo].

V. Bonum est speráre in Dómino, quam speráre in princípibus. Allelúja, allelúja
 

[È meglio sperare nel Signore che sperare nei príncipi. Allelúia, allelúia].

Alleluja

XCIV: 1.
Veníte, exsultémus Dómino, jubilémus Deo, salutári nostro. Allelúja.

[Venite, esultiamo nel Signore, rallegriamoci in Dio nostra salvezza. Allelúia.]

 Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Matthæum.
Matt VI: 24-33

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Nemo potest duóbus dóminis servíre: aut enim unum ódio habébit, et álterum díliget: aut unum sustinébit, et álterum contémnet. Non potéstis Deo servíre et mammónæ. Ideo dico vobis, ne sollíciti sitis ánimæ vestræ, quid manducétis, neque 9córpori vestro, quid induámini. Nonne ánima plus est quam esca: et corpus plus quam vestiméntum? Respícite volatília coeli, quóniam non serunt neque metunt neque cóngregant in hórrea: et Pater vester coeléstis pascit illa. Nonne vos magis pluris estis illis? Quis autem vestrum cógitans potest adjícere ad statúram suam cúbitum unum? Et de vestiménto quid sollíciti estis? Consideráte lília agri, quómodo crescunt: non labórant neque nent. Dico autem vobis, quóniam nec Sálomon in omni glória sua coopértus est sicut unum ex istis. Si autem fænum agri, quod hódie est et cras in clíbanum míttitur, Deus sic vestit: quanto magis vos módicæ fídei? Nolíte ergo sollíciti esse, dicéntes: Quid manducábimus aut quid bibémus aut quo operiémur? Hæc enim ómnia gentes inquírunt. Scit enim Pater vester, quia his ómnibus indigétis. Quaerite ergo primum regnum Dei et justítiam ejus: et hæc ómnia adjiciéntur vobis”.

[“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Nessuno può servire due padroni: imperocché od odierà l’uno, e amerà l’altro; o sarà affezionato al primo, e disprezzerà il secondo. Non potete servire a Dio e alle ricchezze. Per questo vi dico: non vi prendete affanno né di quello onde alimentare la vostra vita, né di quello onde vestire il vostro corpo. La vita non vale ella più dell’alimento, e il corpo più del vestito! Gettate lo sguardo sopra gli uccelli dell’aria, i quali non seminano, né mietono, né empiono granai; e il vostro Padre celeste li pasce. Non siete voi assai da più di essi? Ma chi è di voi che con tutto il suo pensare possa aggiuntare alla sua statura un cubito? E perché vi prendete cura pel vestito? Pensate come crescono i gigli del campo; essi non lavorano e non filano. Or io vi dico, che nemmeno Salomone con tutta la sua splendidezza fu mai vestito come uno di questi. Se adunque in tal modo riveste Dio un’erba del campo, che oggi è e domani vien gittata nel forno; quanto più voi gente di poca fede? Non vogliate adunque angustiarvi, dicendo: Cosa mangeremo, o cosa berremo, o di che ci vestiremo? Imperocché tali sono le cure dei Gentili. Ora il vostro Padre sa che di tutte queste cose avete bisogno. Cercate adunque in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia; e avrete di soprappiù tutte queste cose”].

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sul servizio di Dio.

Quærite primum regnum Dei et justitiam ejus.

(MATTH. VI, 83).

S. Matteo narra che Gesù Cristo essendosi trovato un giorno con alcuni i quali s’occupavano troppo di cose temporali, disse loro: “Non v’inquietate tanto per queste cose; cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, tutto il resto vi sarà dato con abbondanza;„ e voleva dire con ciò che se avevano la bella sorte di metter tutte le loro cure nel piacere a Dio e salvare l’anima propria, il Padre suo procurerebbe ad essi quanto sarebbe stato necessario pei bisogni del corpo. — Ma, direte, come possiamo cercare il regno dei cieli e la sua giustizia? — Come, Fratelli miei? Niente di più facile e consolante: dandovi al servizio di Dio, che è il solo mezzo per conseguire quel fine nobile e beato pel quale siamo stati creati. Sì, F. M., lo sappiamo tutti, ed anche i più grandi peccatori ne sono convinti, noi siamo al mondo solo per servire Iddio, e fare quanto ci comanda. — Ma, domanderete, perché sono così pochi quelli che lavorano a questo fine? — F. M., eccolo: gli uni riguardano il servizio di Dio come cosa troppo difficile: credono di non avere abbastanza forza per intraprenderlo, o immaginano che dopo averlo intrapreso, non potranno perseverare. Ecco precisamente, F. M., ciò che scoraggia e trattiene gran parte di Cristiani. – Invece di ascoltare queste consolanti parole del Salvatore, che non può ingannarci, e ci ripete che il suo servizio è dolce e gradevole, che attendendovi vi troveremo la pace delle anime nostre e la gioia dei nostri cuori (Matt. XI, 29, 30). Ma a farvelo meglio comprendere, vi mostrerò quale dei due conduce una vita più dura, più triste e più penosa: se chi adempie i suoi doveri di religione con fedeltà, o chi li abbandona per seguire il piacere e le passioni, per vivere a suo capriccio.

I . — Sì, F. M., da qualsiasi lato consideriamo il servizio di Dio, che consiste nella preghiera, nella penitenza, nel frequentare i Sacramenti, nell’amore di Dio e del prossimo ed in una intera rinuncia a noi stessi; sì, F. M., non troviamo in tutto ciò che gioie, consolazioni, felicità pel presente e per l’avvenire, come vedrete. Chi conosce la sua religione e la pratica, sa che le croci e le persecuzioni, il disprezzo, i patimenti, ed infine la povertà e la morte si cambiano in dolcezze, in consolazioni, e nella ricompensa eterna. Ditemi, non ve ne siete mai fatta un’idea sensibile? No, senza dubbio. Eppure, F. M., la cosa sta come vi dico; e per dimostrarvelo in modo che non possiate dubitarne, ascoltate Gesù Cristo medesimo: “Beati i poveri, poiché di loro è il regno de’ cieli: guai ai ricchi, perché è assai difficile che i ricchi si salvino „ (Luc. VI, 25) Vedete adunque, secondo Gesù Cristo, che la povertà non deve renderci infelici, poiché il Salvatore ci dice: “Beati i poveri„. In secondo luogo non sono le sofferenze, né i dolori, che ci rendono infelici; poiché Gesù Cristo ci dice : “Beati quelli che piangono e che sono perseguitati, perché un giorno saranno consolati (Matt. V, 3); ma guai al mondo e ad ai gaudenti, perché la loro gioia si cambierà in lagrime e tristezza eterna. „ (Luc. VI, 25). – In terzo luogo, non è l’essere disprezzati che può farci infelici; poiché Gesù Cristo ci dice: “Hanno disprezzato me, e disprezzeranno anche voi; hanno perseguitato me, e perseguiteranno anche voi; ma lungi dal rattristarvi, rallegratevi, perché una grande ricompensa vi attende in cielo „ Ditemi, F. M., che cosa potrà ora rispondere quel poverello che mi dice d’essere disgraziato, e mi domanda come potrà salvarsi in mezzo a tante persecuzioni, calunnie e ingiustizie che gli si fanno? No, no, F. M., diciamolo pure: niente può rendere l’uomo infelice quaggiù, quanto la mancanza di religione; e nonostante tutti i dolori che può provare quaggiù, se vuol consacrarsi al servizio di Dio, non mancherà di essere felice. – Ho detto, F. M., che chi si dona a Dio è più felice che le persone del mondo quando tutto riesce a seconda dei loro desiderii; anzi vediamo che molti santi non desideravano che la felicità di soffrire: ne abbiamo un bell’esempio in S. Andrea. Si racconta nella sua vita (Vedi Ribadeneira, al 30 Novembre. Da questo autore il Beato ha preso il racconto del martirio del santo Apostolo e molti altri tratti della vita dei Santi che ricorda) che Egeo, governatore della città, vedendo che S. Andrea colle sue prediche rendeva deserti i templi dei falsi dèi, lo fece arrestare. Condotto davanti al tribunale, gli disse con aria minacciosa: “Sei tu, che fai professione di distruggere i templi dei nostri dèi, annunciando una religione affatto nuova?„ S. Andrea gli rispose: “Non è nuova, essa ha cominciato col mondo. „ — ” O rinunci al tuo crocifisso, o ti farò morire in croce come Lui. „ — « Noi Cristiani, gli rispose S. Andrea, non temiamo i patimenti, essi formano la nostra maggior letizia sulla terra; più saremo stati conformi a Gesù Cristo crocifisso, più saremo gloriosi in cielo; ti stancherai prima tu di farmi soffrire, che non io di soffrire. „ Il proconsole lo condannò a morire in croce, ma per rendere il suo supplizio più lungo, ordinò di non inchiodarlo, ma di legarlo solo con corde. S. Andrea provò tanta gioia d’essere condannato a morire in croce, come Gesù Cristo, il suo divino Maestro, che vedendo due mila uomini che venivano ad assistere alla sua morte, quasi tutti piangenti, temendo di venir privato della sua felicità, alzò la voce a scongiurarli, per grazia, di non ritardare il suo martirio. Vista da lungi la croce alla quale doveva venir appeso, in un trasporto d’allegrezza esclamò: “Io ti saluto, Croce veneranda, che fosti consacrata ed abbellita dal contatto del Corpo adorabile di Gesù Cristo, mio divin Salvatore! O Croce santa! o Croce tanto desiderata! o Croce amata con tanto ardore! O Croce che ho cercato e sospirato con tanto zelo e senza stancarmi mai! tu soddisfi tutti i voti del mio cuore! O Croce diletta, ricevimi dalle mani degli uomini per rimettermi in quelle di Dio, affinché io passi dalle tue braccia in quelle di Colui che mi ha redento. „ L’autore che ne scrisse la vita, ci dice che essendo ai piedi della croce per esservi legato, non cambiò di colore, i capelli non gli si drizzarono sul capo, come accade ai rei, non gli tremò la voce, il sangue non gli si agghiacciò nelle vene, non fu nemmeno preso dal minimo tremito; ma si vedeva invece che il fuoco della carità, che ardeva nel suo cuore, gli faceva uscire fiamme di ardore dalla bocca. Quando fu vicino alla croce, si spogliò da solo, e donò le sue vesti ai carnefici; montò senz’aiuto d’alcuno sul palco dov’era rizzata. Tutto il popolo, erano circa duemila persone, vedendo S. Andrea appeso alla croce, esclamò che era ingiustizia far soffrire un uomo così santo, e corse al pretorio per mettere a brani il proconsole, se non lo faceva slegare. S. Andrea vedendolo da lontano, esclamò: ” O Egeo, che vieni a far qui? se vieni per imparare a conoscere Gesù Cristo, sia pure; ma se vieni per farmi distaccare, non avanzarti: sappi che non arrivi in tempo, ed io ho la consolazione di morire pel mio divin Maestro! Ah! veggo già il mio Dio, l’adoro con tutti i beati. „ Malgrado questo, il governatore volle farlo distaccare, temendo che il popolo desse a lui medesimo la morte; ma fu impossibile distaccarnelo: a misura che s’avvicinavano per slegarlo, mancavano loro le forze, restando immobili. Allora S. Andrea esclamò alzando gli occhi al cielo: ” Mio Dio, ti domando la grazia di non permettere che il tuo servo, crocifisso per la confessione del tuo Nome, abbia l’umiliazione d’esser liberato per ordine di Egeo. Mio Dio! tu sei il mio Maestro, tu sai che non ho cercato e desiderato altro che te. „ Terminate queste parole, si vide una luce in forma di globo che avvolse tutto il suo corpo, e sparse un profumo che ricreò tutti gli astanti, e nel medesimo momento l’anima sua volò all’eternità. Vedete, F. M.? chi conosce la religione e si è fermamente dato al servizio di Dio, non considera le sofferenze come disgrazie, ma le desidera e riguarda come beni inestimabili. – Sì, F. M., anche quaggiù, chi ha la fortuna di darsi a Dio, è più felice che non il mondo con tutti i suoi piaceri. Ascoltate S. Paolo: « Sì, ci dice, io sono più felice nelle mie catene, nelle prigioni, nel disprezzo e nei patimenti, che non i miei persecutori nella loro libertà, nell’abbondanza dei beni, nelle gozzoviglie. Il mio cuore è ripieno di gioia, e non può trattenerla, essa trabocca d’ogni parte. „ (II Cor. VII, 4), Sì, senza dubbio, F . M., S. Giovanni Battista è più felice nel suo deserto, privo d’ogni soccorso umano, che Erode sul suo trono, sepolto fra le ricchezze e nei godimenti delle sue infami passioni. S. Giovanni è nel deserto, conversa famigliarmente con Dio, come un amico coll’amico, mentre Erode è divorato da un segreto timore di perdere il suo regno, ciò che lo induce a far trucidare tanti poveri bambini (Matt. II, 16). Vedete ancora Davide: non è egli più felice quando fugge la collera di Saul, quantunque costretto a passare le notti nelle foreste (I Reg. XXIII); tradito ed abbandonato dai suoi migliori amici, ma unito al suo Dio e abbandonato in Lui con intera confidenza, non è egli più felice di Saul in mezzo a’ suoi beni e nell’abbondanza delle ricchezze e dei piaceri? Davide benedice il Signore perché prolunga i suoi giorni e gli dà tempo di soffrire per suo amore, mentre Saul maledice la vita e diventa suo proprio carnefice (ibid. XXXI). Perché ciò, F. M.? Ah! perché l’uno si dà al servizio di Dio, e l’altro lo trascura. Che cosa dobbiamo concludere da tutto ciò, F. M.? Questo solo, che né i beni, né gli onori, né le vanità possono rendere l’uomo felice sulla terra; ma solo l’attendere al servizio di Dio, quando abbiamo la fortuna di conoscerlo e di compierlo fedelmente. Quella donna, non curata dal marito, non è dunque infelice perché egli la disprezza, ma perché non conosce la religione, o non pratica ciò che essa le impone. Insegnatele la religione, e vedrete che, da quando la praticherà, cesserà di lamentarsi e di credersi sfortunata. Oh! come l’uomo sarebbe felice, anche sulla terra, se conoscesse la religione, ed avesse la ventura di osservare quanto essa ci comanda, e considerasse quali beni essa ci promette nell’altra vita! Oh! qual potere ha presso Dio chi lo ama e lo serve con fedeltà. Davvero, F. M.! Una persona disprezzata dal mondo, e che sembra non meriti che d’essere schiacciata sotto i piedi, vedetela divenir padrona della volontà e della potenza di Dio. Vedete Mosè, che obbliga il Signore a perdonare a trecento mila uomini colpevoli (Es. XXXII, 31); vedete Giosuè che comanda al sole di arrestarsi, ed il sole s’arresta immobile (Gios. X, 12): ciò che non era mai accaduto e che forse mai più avverrà. Vedete gli apostoli: sol perché amavano Dio, i demoni fuggivano davanti a loro, gli zoppi camminavano, i ciechi riacquistavano la vista, i morti risuscitavano. Vedete S. Benedetto che comanda alle rupi d’arrestarsi nella loro caduta, ed esse restano sospese nell’aria; vedetelo moltiplicare i pani, far sgorgare l’acqua dalle rocce, e rendere le pietre ed il legno leggieri come una paglia (Ribad. al 21 marzo). Vedete S. Francesco da Paola che comanda ai pesci di venir ad ascoltare la parola di Dio, ed essi accorrono alla sua voce con tutta prestezza e applaudono alle sue parole (Questo miracolo è narrato nella vita di S. Antonio da Padova, ma per quanto sappiamo, non in quella di san Francesco da Paola). – Vedete S. Giovanni che comanda agli uccelli di tacere ed essi obbediscono (Questo miracolo è raccontato nella vita di S. Francesco d’Assisi). Vedetene altri che attraversano i mari senza mezzo alcuno (Per esempio S. Raimondo di Peñafort e S. Francesco da Paola, citato più sopra. — Per questi fatti vedi nel Bibadeneira le vite di questi santi). Ebbene! confrontateli ora con tutti gli empi ed i grandi del mondo pieni di brio, di scienza presuntuosa: di che sono capaci? di niente: e perché? Perché non sono fedeli al servizio di Dio. Oh! chi conosce la religione e osserva tutto ciò che essa comanda, quanto è potente e felice insieme! Ahimè! F. M., chi vive a seconda delle proprie passioni ed abbandona il servizio di Dio, quanto è sventurato! egli è capace di fare ben poca cosa! Mettete un esercito di centomila uomini vicino ad un morto, e che tutti impieghino la loro potenza per risuscitarlo: no, no, F. M., non risusciterà mai; ma che una persona sprezzata dal mondo ed amica di Dio comandi a questo morto di ritornare alla vita, e subito lo vedrete rialzarsi e camminare. Ne abbiamo altre prove ancora (Mettete tutti questi imperatori, come Nerone, Massimiano, Diocleziano… Vedete Elia: era solo a far discendere il fuoco dal cielo sul sacrificio, ed i sacerdoti di Baal erano cinquecento. – Nota del Beato).

1. Se per servire il buon Dio bisognasse esser ricchi od istruiti, molti non lo potrebbero fare. Ma no, F. M., la gran scienza e la gran ricchezza non sono affatto necessarie per servire Dio; al contrario, assai spesso sono a ciò di grande ostacolo. Sì, F . M..  siamo ricchi o poveri, dotti o ignoranti, in qualsiasi stato ci troviamo, possiamo piacere a Dio e salvarci: e S. Bonaventura appunto ci dice che lo possiamo: “in qualsiasi stato o condizione ci troviamo. „ – Ascoltatemi un momento, e vedrete che il servizio di Dio non può che consolarci e renderci felici in mezzo a tutte le miserie della vita. Per esso non dovete lasciar né i beni, né i parenti, né gli amici, tranne che vi siano causa di peccato; non occorre che passiate i vostri giorni in un deserto a piangervi le vostre colpe; fosse anche necessario, dovremmo esser felici di aver un rimedio ai nostri mali; ma no: un padre ed una madre di famiglia possono servire Dio vivendo coi loro figli, educandoli cristianamente; un domestico può facilmente servire Dio ed il suo padrone, nulla lo impedisce; anzi il suo lavoro, e l’obbedienza che deve ai suoi padroni divengono occasione di merito. No, F. M., il modo di vivere servendo Dio non muta niente in ciò che facciamo; al contrario servendo Dio facciamo meglio le nostre azioni; siamo più assidui ed attenti nell’adempire i doveri del nostro stato; siamo più dolci, più benevoli, più caritatevoli; più sobri nei pasti, più riservati nelle parole; meno sensibili alle perdite che subiamo ed alle ingiurie che riceviamo; cioè, F. M., quando ci diamo al servizio di Dio, compiamo assai meglio le azioni nostre, operiamo in maniera più nobile, più elevata, più degna d’un Cristiano. Invece di affaticarci per ambizione, per interesse, noi lavoriamo solo per piacere a Dio, che ce lo comanda, e per soddisfare la sua giustizia. Invece di far un servigio od un’elemosina al prossimo per orgoglio, per essere considerati, noi la facciamo solo per piacere a Dio, e redimere i nostri peccati. Sì, F. M., ancora una volta, un Cristiano che conosce la religione e la pratica, santifica tutte le sue azioni, senza nulla mutare di quanto fa; e senza nulla aggiungervi, tutto diviene per lui causa di merito pel cielo. Ebbene, F. M.! ditemi, se aveste ben pensato che fosse così dolce e consolante servire il buon Dio, avreste potuto vivere come avete fatto sinora? Ah! F. M., qual rimorso al punto di morte, quando vedremo che se ci fossimo dati al servizio di Dio, avremmo guadagnato il cielo, compiendo solo quanto abbiamo fatto! Mio Dio! quale sventura per chi si troverà nel numero di questi ciechi!

Ora, vi domanderò, è l’esteriorità della religione che vi sembra ripugnante e troppo difficile? Forse la preghiera, le funzioni sacre, i giorni di astinenza, il digiuno, la frequenza ai Sacramenti, la carità verso il prossimo? Ebbene! vedrete che in ciò non v’è nulla di penoso come avete creduto.

1° Anzitutto è forse penosa la preghiera? o non è invece essa il momento più felice della nostra vita? Non è per la preghiera che conversiamo con Dio, come un amico coll’amico? Non è in questo momento che incominciamo a fare ciò che faremo cogli Angeli in cielo? Non è per noi una fortuna troppo grande che, miserabili come siamo, Dio, così eccelso, ci soffra alla sua santa presenza, e ci metta a parte, con tanta bontà, d’ogni sorta di consolazioni? Del resto, non è Lui che ci ha dato quanto abbiamo? Non è giusto che l’adoriamo e l’amiamo con tutto il nostro cuore? Non è dunque il momento più felice della nostra vita quello dell’orazione, giacché vi troviamo tante dolcezze? È forse cosa penosa offrirgli tutte le mattine, le nostre preghiere e le nostro azioni, affinché le benedica, e ce ne ricompensi nell’eternità? È forse troppo il consacrargli un giorno ogni settimana? Non dobbiamo al contrario veder arrivare questo giorno con grande piacere; poiché in esso impariamo i doveri che dobbiamo adempiere verso Dio e verso il prossimo, e ci si fa concepire così gran desiderio dei beni dell’altra vita, che ci induce a disprezzare ciò che è veramente spregevole? Non è nelle istruzioni, che impariamo a conoscere la gravità delle pene che il peccato merita? Non ci sentiamo noi spinti a non più commetterlo, per evitare i tormenti che gli sono riservati? Mio Dio! quanto poco l’uomo conosce la sua felicità!

2° Inoltre: forse vi ripugna la confessione? Ma, amico mio, si può avere più bella sorte che vedere in meno di tre minuti cambiata una eternità sventurata in una eternità di piaceri, di gioie, di felicità? Non è la confessione che ci rende l’amicizia del nostro Dio? Non è la confessione che ci libera da quei rimorsi della coscienza, che ci straziano senza posa? Non è essa che ridona la pace all’anima nostra, e le dà novella speranza di raggiungere il cielo? Non è in questo momento che Gesù Cristo sembra spiegare le ricchezze della sua misericordia sino all’infinito? Ah! F. M., senza questo Sacramento, quanti dannati di più e quanti santi di meno!… Oh! i Santi del cielo quanto sono riconoscenti a Gesù Cristo d’aver istituito questo Sacramento!

3° In terzo luogo, F. M., forse i digiuni prescritti dalla Chiesa vi fanno trovare pesante il servizio di Dio? Ma la Chiesa non ve ne comanda più di quanti ne possiate fare. Del resto, F. M., se li consideriamo cogli occhi della fede, non è per noi gran ventura potere con piccole privazioni evitare le pene del purgatorio, che sono tanto rigorose? Eppure, F.M., quanti si condannano a digiuni ben più rigidi per conservare la sanità ed appagare il loro amore pei divertimenti o accontentare la loro golosità! Non si vedono giovani donne abbandonare i figli in mano ad estranei, ed anche la casa? Non se ne vedono altre passare le intere notti all’osteria in mezzo ad ubbriachi, ad avvinazzati, dove non ascoltano altro che sconcezze ed oscenità? Non si vedono vedove le quali sciupano i pochi giorni che loro rimangono e che dovrebbero invece consacrare a piangere le pazzie di loro gioventù… non se ne trovano talune che si abbandonano ad ogni sorta di vizi, come persone che hanno d’improvviso perduto il senno? costoro sono di scandalo ad una intera parrocchia. Ah! F. M., se per Iddio si facesse quanto si fa per il mondo, quanti Cristiani andrebbero in cielo!… Ahimè! F. M., se doveste stare tre o quattro ore in chiesa a pregare, come le passate al ballo od all’osteria, quanto vi sembrerebbero lunghe!… Se doveste fare parecchie miglia per ascoltare una predica, come si fanno per divertirsi o per conseguire qualche guadagno, ah! F. M, quanti pretesti, quante scuse si cercherebbero per non andarvi! Ma, per il mondo, niente è pesante; e di più non si teme di perdere Dio, l’anima, il cielo. Ah! F. M., Gesù Cristo aveva dunque ben ragione quando diceva che i figli del secolo si danno maggior premura di servire il loro padrone, il mondo, che non i figli della luce per servire il loro padrone, il Signore (Luc. XVI, 8). Ahimè! F. M., diciamolo a nostra vergogna, non fanno paura le spese e neppure i debiti quando si tratta dei propri piaceri: ma per un povero che cerca qualche cosa non si ha nulla; ecco come va la cosa: si ha tutto per il mondo e nulla per Iddio, perché si ama il mondo, e Dio non è da noi affatto amato. – Ma qual è la causa, F. M., per cui abbandoniamo il servizio di Dio? Eccola. Noi vorremmo poter servire Dio ed il mondo insieme: cioè poter unire l’ambizione e l’orgoglio coll’umiltà, l’avarizia collo spirito di distacco che il Vangelo ci comanda; bisognerebbe poter confondere insieme la corruzione colla santità della vita o, a dir meglio, il cielo coll’inferno. Se la religione comandasse, od almeno permettesse l’odio e la vendetta, la fornicazione e l’adulterio, saremmo tutti buoni Cristiani; tutti sarebbero figli fedeli della loro religione. Ma per servire Iddio è impossibile potersi comportare così; bisogna assolutamente essere tutti di Dio, o non appartenergli punto. – Sebbene abbia detto, F. M., che tutto è consolante nella nostra santa religione, e questo, è verissimo, debbo anche aggiungere che dobbiamo fare del bene a chi ci fa del male, amare chi ci odia, conservare la riputazione dei nostri nemici, difenderli quando vediamo che altri ne parla male; ed invece di desiderar loro il male, dobbiam pregare Dio che li benedica. Lontani dal mormorare quando Dio ci manda qualche afflizione, qualche dolore, dobbiamo ringraziarlo, come il santo re Davide, che baciava la mano che lo castigava (II Reg. XVI, 12). La nostra religione vuole che passiamo santamente il giorno di festa, lavorando a procurarci l’amicizia di Dio, se per disgrazia non la possediamo; vuole che consideriamo il peccato come il nostro più crudele nemico. Ebbene! F. M., questo ci sembra la cosa più dura e faticosa. Ma, ditemi, non è un procurare con ciò la nostra felicità sulla terra e per l’eternità? Ah! F. M., se conoscessimo la nostra santa Religione, ed il gusto che si prova praticandola, quanto ci sembrerebbe cosa da poco! quanti santi hanno fatto più di quello che Dio da loro richiedeva per dare ad essi il cielo! Essi ci hanno detto che una volta. gustate le dolcezze e le consolazioni che si provano nel servizio di Dio, è impossibile lasciarle per servire il mondo coi suoi piaceri. Il santo re Davide ci dice che un giorno solo passato nel servizio di Dio, vale assai più di mille che i mondani passano nei piaceri e nelle cose profane (Ps. LXXXIII, 10)

II. — Ditemi, chi di noi vorrebbe servire il mondo, se avessimo la felicità, la grande felicità di comprendere tutte le miserie che vi si incontrano, cercando i suoi piaceri, ed i tormenti che si preparano per l’eternità? Mio Dio! Quale cecità è la nostra di perdere tanti beni, anche in questo mondo, e molto più nell’eternità! E ciò per piaceri che sono soltanto apparenti, per gioie miste a tanti dolori e a tante tristezze! Infatti, chi vorrebbe servir Dio, se fosse necessario soffrire tanto e sopportare tante molestie, mortificazioni, strazi del cuore, quanti se ne sopportano pel mondo? Vedete uno che si è prefisso di accumulare ricchezze: né venti, né pioggia lo trattengono; soffre ora la fame, ora la sete, ora le intemperie; giunge talora fino ad arrischiare la vita e perdere la riputazione. Quanti vanno di notte a rubare, esponendosi al pericolo di essere uccisi e di perdere la stima, essi e la loro famiglia. E senza andar tant’oltre, F. M., vi costerebbe di più in tempo delle funzioni essere in chiesa ad ascoltar con rispetto la parola di Dio, o starvene fuori a chiacchierare di interessi temporali o di cose da nulla? Non sareste più lieti di assistere ai Vespri, quando si cantano, che restare in casa ad annoiarvi, mentre si cantano le lodi di Dio? – Ma, direte, bisogna farsi delle violenze quando si vuol servire a Dio. — Ebbene, vi dirò che molto meno si soffre servendo Dio colla sua croce che seguendo il mondo con i suoi piaceri, le sue passioni; e ve lo mostro. Forse penserete che è difficile perdonare una ingiuria ricevuta; ma, ditemi, chi soffre più dei due, chi perdona prontamente e di buon cuore per amor di Dio, o chi nutre sentimenti di odio per due o tre anni contro il suo prossimo? Non è questo per lui un verme che lo rode e divora continuamente, che spesso gli impedisce di mangiare e di dormire; mentre l’altro, perdonando, ha subito trovato la pace dell’anima? Non è cosa più eccellente domar le proprie passioni, che volerle accontentare? Si riesce forse a soddisfarle del tutto? No, F. M.: usciti da un delitto, vi spingono ad un altro, senza mai darvi tregua; siete uno schiavo, che esse trascinano dovunque vogliono. Ma, a meglio convincervene, accostiamoci ad uno di quegli uomini, che fanno consistere tutta la loro felicità nei piaceri del senso, e si gettano a corpo perduto nelle lordure delle più infami e vergognose passioni. Sì, F. M., se prima ch’egli s’abbandonasse al libertinaggio, alcuno gli avesse descritta la vita che oggi deve condurre, avrebbe egli potuto risolvervisi senza inorridire? Se gli aveste detto: Amico mio, hai due partiti da prendere: o reprimere le tue passioni, ovvero abbandonarvisi. L’uno e l’altro hanno piaceri e pene: scegli quale vuoi. Se vuoi abbracciare il partito di praticare la virtù, baderai bene di non frequentare i libertini, e sceglierai i tuoi amici tra chi pensa ed agisce come te. Saranno tua lettura i libri santi, che ti animeranno alla pratica della virtù, e ti faranno amare Dio; concepirai ogni giorno nuovo amore per Lui; occuperai santamente il tuo tempo, e tutti i tuoi piaceri saranno piaceri innocenti, che daranno sollievo al corpo, mentre renderanno gagliardo lo spirito; adempirai i doveri religiosi senza affettazione e con fedeltà; sceglierai per condurti nella via della salvezza un saggio ed illuminato confessore, che cercherà soltanto il bene dell’anima tua, e seguirai con esattezza quanto ti comanderà. Ecco, amico mio, tutte le difficoltà che proverai nel servizio di Dio. La tua ricompensa sarà d’aver sempre l’anima in pace, ed il cuore sempre contento; sarai amato e stimato da tutti i buoni; ti preparerai una vecchiaia felice, immune in gran parte dalle infinite malattie, a cui d’ordinario vanno soggetti quelli che conducono una giovinezza sregolata; i tuoi ultimi momenti saranno dolci e tranquilli; da qualsiasi lato considererai allora la tua vita, nulla potrà affliggerti; anzi, tutto contribuirà a consolarti. Le croci, le lagrime, le penitenze saranno ambasciatori inviati dal cielo per assicurarti che la tua felicità sarà eterna, e che non hai più nulla a temere. Se in quei momenti volgerai lo sguardo all’avvenire, vedrai il cielo aperto per riceverti; infine, partirai da questo mondo come una santa e casta colomba che va a nascondersi e seppellirsi nel seno del suo diletto; non abbandonerai nulla, e acquisterai tutto. Non avrai desiderato che Dio solo, e sarai con Lui per tutta l’eternità. Ma, invece, se vuoi lasciar Dio e il suo servizio per seguire il mondo ed i suoi piaceri, la tua vita passerà nel desiderare sempre e nel cercare sempre, senza mai essere né contento, né felice; potrai usare tutti i mezzi che sono a tua disposizione, ma non vi riuscirai. Comincerai a cancellare dal tuo spirito i principi di Religione che hai imparato fin dall’infanzia e seguito sino a quest’ora; non aprirai più quei libri di pietà che nutrivano l’anima tua, e la proteggevano contro la corruzione del mondo; non sarai più padrone delle tue passioni, esse ti trascineranno dovunque vorranno; ti farai una religione a tuo modo; leggerai libri cattivi, ispiranti disprezzo contro la fede e sollecitanti al libertinaggio, e percorrerai la via da essi tracciata; non ricorderai più i giorni passati nella pratica della virtù e della penitenza, quando era per te gioia grande accostarti ai Sacramenti, dove Iddio ti colmava di tante grazie, o, se li rammenterai, sarà solo per rammaricarti di non aver dato tutto quel tempo ai piaceri del mondo; arriverai fino a non credere più nulla, ed a negare ogni cosa; insomma, diventerai un povero empio; in questa convinzione cederai la briglia a tutte le passioni, esclamando che colla vita tutto finisce, che bisogna correre in cerca di tutti i piaceri che si possono godere. Accecato dalle passioni, precipiterai di peccato in peccato, senza neppure accorgertene; ti abbandonerai a tutti gli eccessi di una gioventù bollente e corrotta, e non temerai di sacrificare la quiete, la sanità, l’onore ed anche la vita: non dico l’anima, giacché non crederai di averla. Sarai sulla bocca di tutti, tutti ti guarderanno come un mostro, sarai fuggito e temuto: non importa; ti riderai di tutto, continuerai sempre nel tenore di vita usato, seguendo ormai soltanto la via delle passioni che ti trascineranno ove loro meglio piacerà. Talora ti si troverà presso una giovane intento ad adoperare tutti gli artifici e gli inganni che il demonio saprà ispirarti per ingannarla, sedurla e perderla; tal altra sarai veduto, di notte, alla porta d’una vedova, a farle tutte le promesse possibili per indurla ad acconsentire ai tuoi infami desideri. Forse, senza alcun rispetto ai sacri diritti del matrimonio, calpesterai tutte le leggi della religione, della giustizia e della stessa natura, e diventerai un adultero infame. Giungerai anche a fare delle membra di Gesù Cristo le membra d’un’infame prostituta. E andrai più innanzi, poiché le pene dello spirito e del cuore non saranno le sole che dovrai divorare vivendo nel libertinaggio: ma le infermità del corpo, il sangue indebolito, la vecchiaia snervata saranno la tua porzione. Durante la vita hai abbandonato Dio; la morte, al suo avvicinarsi, farà forse risuscitare quella fede che avevi spenta colla tua vita malvagia… Se riconoscerai di aver abbandonato Dio; Egli ti farà toccar con mano che ti ha abbandonato, respinto per sempre e maledetto per tutta l’eternità; allora i rimorsi della coscienza che cercavi di far tacere, si faranno sentire e ti divoreranno, nonostante ogni tuo sforzo per soffocarli; tutto ti turberà e ti getterà nella disperazione. Se vorrai riandare col pensiero alla tua vita, conterai i giorni seguendo il numero de’ tuoi delitti, che saranno come tanti tiranni i quali ti strazieranno senza posa; la vita non ti presenterà altro che grazie disprezzate, un tempo ben prezioso che hai sciupato; avevi bisogno di tutto, e non hai approfittato di nulla. Che se considererai l’avvenire, i tormenti dai quali l’anima tua sarà straziata, ti faranno credere che le fiamme divoranti i reprobi infelici già ti circondino, mentre il mondo, che tanto avevi amato, al quale temevi tanto di dispiacere, a cui avevi sacrificato Dio e l’anima, ti avrà abbandonato, respinto per sempre. Hai voluto seguire i suoi piaceri: allora, mentre avrai bisogno di maggior aiuto, sarai abbandonato da tutti; tuo solo rifugio sarà la disperazione; e, ciò che è peggio, tu morrai, e, piombando nell’inferno, dirai che il mondo ti ha sedotto, ma che, troppo tardi, riconoscesti la tua sventura. Ebbene, F. M.! che ne pensate voi? Eppure, sono queste le pene e le gioie, e di quelli che vivono virtuosamente, e di quelli che vivono per il mondo. Ah! F. M., quale sventura è quella di chi non vuole che il mondo, e trascura la salvezza dell’anima sua!… Come passa invece felice la vita colui che ha la grande ventura di cercare soltanto Dio e la salvezza dell’anima sua! Quante amarezze di meno! quante consolazioni di più nel servizio di Dio! quanti rimorsi di coscienza risparmiati al punto di morte! Quanti tormenti evitati per l’eternità!… Ah! F. M., quanto la nostra vita sarebbe felice, malgrado tutto ciò che possiamo soffrire da parte del mondo e del demonio, se avessimo la bella sorte di darci al servizio di Dio, disprezzando il mondo e chi lo segue! Ah! F. M., qual cambiamento grande opera il servizio di Dio in chi è così avventurato da cercare sulla terra Dio solo! Se dovete vivere con un orgoglioso, che non vuol tollerare nulla, pregate Dio che lo faccia attendere con costanza al suo servizio: vedrete subito tutto cambiarsi in lui; amerà il disprezzo, ed egli medesimo si terrà a vile. Un marito od una moglie sono sfortunati nel loro matrimonio? procurate che abbraccino il servizio di Dio, e vedrete allora che non si considereranno più come infelici, ma la pace e l’unione regnerà fra loro. Un domestico è trattato duramente dai padroni? Consigliatelo di darsi al servizio di Dio, e d’allora non lo udrete più lamentarsi, anzi benedirà la bontà di Dio che gli dà occasione di far il suo purgatorio in questo mondo. Dirò ancor più, F. M.: una persona che conosce la religione e la pratica, non pensa più a se stessa, ma solo a rendere felice il suo prossimo. Per meglio farvelo comprendere, eccovi un bell’esempio. – Leggiamo nella storia che nella città di Tolosa viveva un santo sacerdote, lo zelo e la carità del quale lo facevano considerare in tutta la città come il padre dei poveri. Quantunque povero egli stesso, pure non mancava mai di mezzi per soccorrere gli altri. Un giorno una donna devota venne ad annunciargli che le era stato messo in prigione il marito, e che le restavano a carico quattro figliuoli; se alcuno non aveva pietà di lei e dei bambini, avrebbe dovuto morire di fame. Il santo sacerdote fu commosso fino alle lagrime; era appena tornato dalla sua questua giornaliera a favore dei suoi poveri, ma uscì di nuovo per domandare soccorso ad un ricco negoziante, suo amico. Mentre il sacerdote entrava, il mercante aveva appena ricevuto una lettera annunciantegli una perdita considerevole. Il sacerdote, nulla sapendo, gli fa il racconto delle miserie di quella sventurata famiglia. E il mercante burberamente: “Siete ancor qui; è troppo. „ — “Ah! signore! Se sapeste! gli risponde il sacerdote. „ — “No, non voglio saper nulla, andatevene subito. „ — ” Ma, signore, gli dice il sacerdote, che sarà di quella povera famiglia! ah! ve ne scongiuro, abbiate pietà delle sue sventure! „ L’altro, preoccupatissimo della propria disgrazia, gli si rivolge contro e gli dà uno schiaffo sonoro. Il sacerdote, senza mostrare la minima emozione, presenta l’altra guancia, dicendogli: “Signore, percuotete quanto vi pare, purché mi diate di che soccorrere quella povera famiglia.„ Il mercante, meravigliato di ciò, gli dice: “Ebbene, venite con me; „ e prendendolo per mano, lo conduce nel suo studio, gli apre la cassa forte, e: “Prendete quanto vi abbisogna. „ — “No, signore, gli dice umilmente il sacerdote, datemi quanto volete. „ Il mercante caccia ambo le mani dentro al suo scrigno e gli dà abbondantemente, dicendogli: “Venite ogni qual volta vorrete. „ Ah! F. M., la religione è pur cosa preziosa per chi la conosce. Infatti, quanto vi è di bene nel mondo, fu essa che lo ha prodotto. Gli ospedali, i seminari, le case di educazione, tutto fu istituito da chi si era dato al servizio di Dio. Ah! se i padri e le madri conoscessero quanto sarebbero felici essi stessi, e quanto contribuirebbero a glorificare Dio educando santamente i loro figli! Ah! se fossero ben convinti che essi tengono il luogo di Dio sulla terra, come lavorerebbero a rendere vantaggiosi per sé e pe’ loro cari i meriti della Passione e della Morte di Gesù Cristo!…,, – Concludo, F. M., col dire che seguendo il mondo e volendo accontentare le nostre inclinazioni perverse, non saremo mai felici, né potremo trovare quel che cerchiamo; mentre dandoci al servizio di Dio, tutte le nostre miserie verranno addolcite, o meglio, si muteranno in gioia e consolazione, al pensiero che fatichiamo pel cielo. Quale differenza tra chi muore dopo aver vissuto male, e chi muore dopo aver condotto vita buona; questi ha il cielo per eredità; le sue lotte sono finite; la sua felicità, che già intravvede, incomincia per non più finire! Sì, F. M., diamoci a Dio davvero e proveremo questi grandi benefizi che Dio mai rifiuterà a chi l’avrà amato! Eccovi la felicità che vi auguro.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIII:8-9

Immíttet Angelus Dómini in circúitu timéntium eum, et erípiet eos: gustáte et vidéte, quóniam suávis est Dóminus.

[L’Angelo del Signore scenderà su quelli che Lo temono e li libererà: gustate e vedete quanto soave è il Signore].

Secreta

Concéde nobis, Dómine, quǽsumus, ut hæc hóstia salutáris et nostrórum fiat purgátio delictórum, et tuæ propitiátio potestátis.

[Concédici, o Signore, Te ne preghiamo, che quest’ostia salutare ci purifichi dai nostri peccati e ci renda propizia la tua maestà].

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Matt VI:33
Primum quærite regnum Dei, et ómnia adjiciéntur vobis, dicit Dóminus.

[Cercate prima il regno di Dio, e ogni cosa vi sarà data in più, dice il Signore.]

 Postcommunio

Orémus.
Puríficent semper et múniant tua sacraménta nos, Deus: et ad perpétuæ ducant salvatiónis efféctum.

[Ci purífichino sempre e ci difendano i tuoi sacramenti, o Dio, e ci conducano al porto dell’eterna salvezza]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “IL MONDO”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “Il MONDO”

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Il Mondo.

Nomo potest duobus dominis servire.

(MATTH. VI, 24).

Gesù Cristo ci dice, Fratelli miei, che non possiamo servire a due padroni, cioè a Dio ed al mondo. Non potete piacere a Dio ed al mondo, Egli ci dice; per quanto facciate, non riuscirete ad andar d’accordo con ambedue ad un tempo. E la ragione, F. M., si è che essi sono totalmente opposti nei loro pensieri, nei loro desideri e nelle loro azioni: l’uno promette una cosa del tutto contraria a quella che promette l’altro; l’uno proibisce quanto permette e comanda l’altro; l’uno vi fa lavorare per la vita presente, l’altro per la vita avvenire, cioè pel cielo; l’uno vi offre i piaceri, gli onori, le ricchezze, l’altro non vi presenta che lagrime, penitenza e rinuncia a voi stessi; l’uno vi invita a percorrere una via tutta fiori, almeno in apparenza, l’altro vi apre una via di spine. Ognuno dei due, F. M., domanda il nostro cuore; tocca a noi di scegliere quale dei due padroni vogliamo seguire. Uno, il mondo, promette di farci gustare quanto possiamo desiderare durante la vita, sebbene sempre più di quanto essa dia; ma, nel medesimo tempo ci nasconde i mali che ci sono riservati nell’eternità; l’altro, Gesù Cristo, non ci promette tutte queste cose; ma per consolarci dice che ci aiuterà, anzi che addolcirà grandemente le nostre pene: “Venite a me, Io vi consolerò: seguendo me, troverete la pace dell’anima e la gioia del cuore. ,, (Matt. XI, 29). Ecco, F. M., i due padroni che ci domandano il cuore; a quale volete appartenere? Tutto ciò che il mondo vi offre non è che pel tempo presente. Beni, piaceri, onori, finiranno colla vita, e terminata la vita cominceremo una eternità di tormenti. Ma se vogliamo seguire Gesù Cristo che ci invita carico del peso della croce, vedremo subito che le pene del suo servizio non sono grandi come crediamo; Egli ci andrà innanzi, ci aiuterà, ci consolerà, e, conforme alla sua promessa, dopo pochi istanti di pene, ci darà una felicità che durerà eterna come Lui – Ma, per meglio farvelo comprendere, F. M., voglio mostrarvi che è impossibile piacere a Dio ed al mondo; o tutto per Dio, o tutto pel mondo: non v’è divisione”.

I . — È certo, F. M., che se Gesù Cristo sapeva che molti avrebbero abbandonato il mondo per darsi a Lui, abbracciando la follia della croce, ed a suo esempio avrebbero passata la vita nelle lagrime, nei sospiri, nella penitenza per rendersi degni della ricompensa ch’Egli ci ha meritata, sapeva altresì che molti l’avrebbero abbandonato per darsi al mondo, che promette ciò che non potrà mai dare, loro nascondendo l’eterna infelicità; perciò volle darci soltanto un cuore, affinché non potessimo darlo che ad un solo padrone. Ci dice chiaramente che è impossibile essere di Dio e del mondo: perché, se vorremo piacere all’uno, diverremo nemici dell’altro. Dio, F . M., per mostrarci quanto è difficile salvarsi in mezzo al mondo, lo ha maledetto, dicendo: a Guai al mondo! „ (Matt. XVIII, 7). Ma ragioniamo di questa cosa addentrandoci un poco più nell’argomento. Sapete, F. M., che lo spirito di Gesù Cristo è spirito di umiltà e disprezzo di se stesso, spirito di carità e bontà per tutti. Ebbene! come potete conservar questo spirito, se vi accomunate ad un orgoglioso il quale non vi parlerà che di piaceri e di onori, si loderà e vanterà delle sue pretese belle doti, del bene che ha fatto, ed anche di quello che non ha fatto? Se lo frequentate per un po’di tempo, necessariamente senza accorgervene, diverrete orgoglioso al pari di lui. Se udrete qualcuno parlar sempre male del prossimo, senza saperlo diverrete anche voi una lingua cattiva, e porterete lo scompiglio dovunque vi troverete. Sapete che Gesù Cristo, scelto da voi quale padrone, vuole che gli conserviamo il cuore ed il corpo nostro puri quanto è possibile; ma se frequenterete quel libertino, che è occupato solo in pensare e dire le cose più laide ed infami, come potrete conservare quella purità che Dio domanda da voi? A forza di frequentarlo, diverrete laido ed infame al pari di lui. Sapete che il vostro Padrone vuole che amiate e rispettiate la Religione, e quanto ha rapporto con essa; ma se frequentate un empio, che si fa beffe di tutto, disprezza quanto v’ha di più sacro e mette tutto in ridicolo, come potrete amar la religione e praticare ciò che essa vi comanda, ascoltando tutte queste empietà? Come potrete aver confidenza coi sacerdoti, dopo che gli empi vi avranno narrato qualche calunnia a loro carico, e vi avranno persuasi che è vera e che tutti i sacerdoti sono così? Ah! F. M., guai a chi segue il mondo! È perduto! Ditemi, come avrete rispetto per le leggi della Chiesa, se andate con questi empi che deridono e disprezzano il digiuno e l’astinenza, dicendovi che sono tutte invenzioni degli uomini? — Lo spirito di Dio, come sapete, ci stimola a disprezzare le cose create per attaccarci solo ai beni dell’eternità; ma come potrete formarvene almeno un’idea se frequentate quell’incredulo, che crede, quantunque non seriamente, o pretende che tutto finisca colla vita? Amico mio, se volete salvarvi, dovete necessariamente fuggire il mondo, altrimenti penserete ed agirete come il mondo, e vi troverete nel numero di coloro che sono maledetti da Dio. – Vedete, F. M., quando qualche gran peccatore non vuol convertirsi, la Chiosa lo scomunica, cioè lo respinge dal suo seno, non lo considera più come figliuol suo: egli non partecipa più alle grazie che Dio ci largisce per i meriti della sua Passione e morte; non vuole nemmeno che si mangi o si beva con Lui, o che lo si saluti; ci proibisce d’aver alcuna comunicazione con Lui, so non vogliamo partecipare alla sua disgrazia. Se uno di costoro viene a morire, è sepolto in luogo profano, e non ha diritto alle preghiere, perché muore da riprovato. Ebbene! F. M., se vogliamo seguire il mondo, ci toccherà la stessa disgrazia. Del resto, F. M., se ne dubitate, vedete quanto hanno fatto tutti i santi: hanno considerato il mondo, i suoi piaceri ed anche i suoi beni come una peste per la salvezza delle anime loro, e tutti quelli che poterono l’abbandonarono. Per quale causa i deserti si popolarono di tanti uomini che prima abitavano le città e le campagne, se non perché ebbero paura del mondo, e l’abbandonarono appunto pel timore che il contagio del mondo li perdesse, facendo nascere in loro gli stessi sentimenti, facendoli operare col medesimo spirito? Sì, F. M., fuggiamo il mondo, se no siamo certi di perderci con esso. F. M., non saremo mai d’accordo col mondo, se vogliamo salvarci. Dobbiamo giurargli guerra eterna; questo fecero tutti i santi. O rinunciare al cielo, o rinunciare al mondo!… Ascoltate, F. M.: volete sapere quanto siamo nemici del mondo, e quanto il mondo ci odia? Uditemi un momento, e vedrete che cosa dobbiamo fare se vogliamo sperare di possedere un giorno il cielo. Ne abbiamo un bell’esempio in S. Gennaro, vescovo di Benevento (Ribadeneira, 19 settembre). Fu denunciato al governatore di Napoli Timoteo perché faceva ogni sforzo possibile per fortificare i Cristiani nella fede, ed indurre i pagani a convertirsi: diceva loro che erano nel numero di quelli che Gesù Cristo aveva maledetti con queste parole: “Guai al mondo! „ Il governatore, incollerito per tale notizia, ordinò sull’istante che si andasse ad arrestare il santo, e lo si conducesse legato mani e pieni davanti al suo tribunale. Fece porre un idolo in faccia a lui, intimandogli d’adorare subito gli dèi, altrimenti si preparasse a morirò fra i tormenti più atroci che si possano immaginare. Il santo, senza commuoversi gli rispose che non ora nato e non aveva ricevuto il battesimo per seguire il mondo, ma per seguire Gesù Cristo carico della croce e morto per noi sul Calvario; che tutti i tormenti che gli erano minacciati non lo spaventavano; erano la sua porzione, ad essa un giorno formerebbe la sua felicità. “Voi, disse al governatore, appartenete a quel mondo che Gesù Cristo ha maledetto. „ Questa risposta infuriò tanto il governatore che ordinò fosse subito gettato in una ardente fornace. Ma Dio, che non abbandona coloro che sono seguaci suoi e non del mondo, fece sì che S. Gennaro, invece di restar abbruciato dalle fiamme, sembrasse entrato in un bagno refrigerante. Il santo ne uscì senza che né i suoi abiti né i suoi capelli avessero alcunché sofferto; cosa questa che meravigliò la folla dei pagani presenti. Il governatore medesimo ne fu sorpreso; ma attribuendola all’opera del demonio, divenne più furibondo, e fece mettere il santo alla tortura, porche soffrisse tale supplizio, che solo l’inferno aveva potuto ispirargli. Ordinò che gli fossero tagliati uno dopo l’altro tutti i nervi del corpo; indi, vedendo che non poteva camminare se non per miracolo, lo fece condurre in prigione, sperando di farlo soffrire ancor più. Alcuni fedeli della sua diocesi, saputo quanto si faceva soffrire al loro Vescovo, partirono subito per venire a visitarlo e recargli, se fosse possibile, qualche sollievo. Il governatore informatone, mandò i soldati per arrestarli e condurli tutti davanti al suo tribunale. Giunti alla sua presenza, li interrogò sulla loro religione e sul motivo del loro viaggio. Gli risposero coraggiosamente che erano Cristiani e venivano a visitare il loro Vescovo, nella speranza d’aver la bella sorte di essergli compagni nel martirio. Non comprendendo nulla di questo strano linguaggio, si rivolse a S. Gennaro, domandandogli se costoro dicevano la verità. Il santo rispose che davvero erano Cristiani al pari di lui, ed avevano rinunciato al mondo per seguire Gesù Cristo. Ottenuta questa dichiarazione, il governatore ordinò che si mettessero loro delle catene alle mani ed ai piedi, e fossero fatti camminare dinanzi al suo carro sino a Pozzuoli, per esservi colà divorati dalle fiere. La gioia che quei santi mostravano andando al martirio, meravigliava i pagani. Appena arrivati, furon posti nell’arena. Allora S. Gennaro, che era il capo, perché loro Vescovo, disse indirizzandosi a’ suoi compagni : “Figli miei, coraggio! Ecco il giorno del nostro trionfo. Combattiamo generosamente per Gesù Cristo nostro Maestro, giacché l’abbiamo riconosciuto per nostro Dio; andiamo con coraggio alla morte, come vi andò Egli stesso per amor nostro. Diamo, figli miei, diamo arditamente il nostro sangue per Gesù Cristo, come Egli lo diede per noi. Sì, figli miei, poiché abbiamo rinunciato al mondo, maledetto da Dio, disprezziamolo, in un con quelli che lo seguono; né le promesse né le minacele giungano a farci piegare dalla parte del mondo maledetto: mettiamo tutta la confidenza nel nostro Dio, e sorretti dalla sua protezione, non temiamo né i tormenti né la morte. Vedete, figli miei, il vostro pastore, al quale furon tagliati tutti i nervi. Io do volentieri il resto del mio corpo alle fiere che stanno per divorarmi. Guardiamo al cielo, figli miei, là il nostro Dio ci attende per ricompensarci; ancora un momento di sofferenze, ed avremo una eterna felicità. „ Appena il santo ebbe finito di parlare, furono lanciate contro di loro le fiere, in presenza d’una moltitudine sterminata di popolo, accorso a vedere quello spettacolo. I leoni, le tigri ed i leopardi, tenuti digiuni da più giorni, volarono con furia eguale a quella d’un torrente di acque che dall’alto d’una rupe cade in un precipizio; ma invece di divorare i martiri, come ognuno s’attendeva, si videro ad un tratto quelle belve perdere interamente la lor ferocia naturale, gettarsi ai loro piedi, lambirli in segno di rispetto, dimenando le code, senza che alcuna osasse pur toccarli.- Questo miracolo colpì talmente la moltitudine, che come un sol uomo fu udita esclamare: “Sì, sì, solo il Dio dei Cristiani è il vero Dio, e tutti i nostri dèi ci ingannano e ci conducono a rovina; i sacerdoti dei nostri idoli non fecero mai nulla di somigliante. „ Il governatore, udendo questo grido, temette per sé, ed ordinò che i martiri fossero condotti sulla pubblica piazza per far tagliare loro il capo; ma, mentre vi erano condotti, S. Gennaro passando davanti al governatore, disse: “Signore, togli, ti prego, la vista a questo tiranno, perché non abbia il barbaro piacere di veder morire i tuoi figli. „ All’istante, il governatore divenne cieco. Questo castigo così prodigioso gli fece riconoscere il potere del servo di Dio. Tosto, comandò di sospendere l’esecuzione della sentenza pronunciata contro i santi martiri, e fattosi condurre dinanzi al santo, gli disse in tono supplichevole : “Tu che adori il Dio onnipotente, pregalo , te ne scongiuro, per me, affinché mi renda la vista di cui mi ha privato in punizione dei miei peccati. „ E poiché i santi non hanno né rancore, né odio, S. Gennaro per mostrare con doppio miracolo la potenza del vero Dio, fece una seconda preghiera a favor del governatore, preghiera che fu efficace al pari della prima. Timoteo ricuperò la vista all’istante. Questo prodigio non fu inutile per la gloria di Dio e la salute delle anime: quasi cinque mila pagani, che ne furono testimoni, si convertirono nel medesimo giorno; ma il governatore, a favore del quale era stato fatto il miracolo, fu così ostinato che non si convertì. Temendo, col risparmiare i martiri, di cadere in disgrazia dell’imperatore, ordinò in segreto ai suoi ufficiali di far morire il santo Vescovo. Mentre lo si conduceva in piazza per esservi giustiziato, un buon vecchio gettatosi ai suoi piedi gli domandò qualche oggetto che gli avesse servito, per conservarlo, come ricordo, rispettosamente. Il santo, commosso dalla sua fede, gli disse: “Amico mio, non ho che il fazzoletto che mi servirà per bendarmi gli occhi; ma state certo, dopo la mia morte l’avrete. „ Quelli che l’intesero così parlare, sorrisero, e dopo fatto morire il santo, calpestarono coi piedi il fazzoletto, dicendo: “Lo doni ora al vecchio a cui lo promise. „ Ma furono ben sorpresi nel ritorno: videro il vecchio che lo teneva tra mani. Al momento in cui gli fu reciso il capo, S. Gennaro esclamò; “Mio Dio, rimetto nelle tue mani l’anima mia. „ Ebbene! F. M., eccovi il mondo e Gesù Cristo, quelli cioè che hanno disprezzato il mondo per seguire solo Gesù Cristo e la sua croce; quelli che hanno davvero abbandonato il mondo, i suoi beni e piaceri, per non cercare che il cielo e la salvezza dell’anima loro! – Vedete un po’ da qual lato vi mettereste se il buon Dio vi mettesse a prova simile a quella dei martiri S. Gennaro e i suoi compagni. Ahimè! mio Dio, quanto pochi vi sarebbero… poiché vi sono ben pochi che non siano dei mondo, cioè che non amino il mondo, i suoi beni e i suoi piaceri. È possibile, che quantunque il mondo faccia i suoi seguaci infelici, prometta molto, ma non dia mai ciò che promette, è possibile che l’amiamo ancora ? Tutti ci lamentiamo della su perfidia, e malgrado ciò, cerchiamo ancora di piacergli, e se non possiamo accontentarlo del tutto, vogliamo almeno dargli i nostri anni più belli, la giovinezza e spesso la sanità, la riputazione ed anche la vita. Ah! mondo maledetto! sino a quando ci ingannerai chiamandoci alla tua sequela per opprimerci di tanti mali, farci sempre sventurati e mai felici? O mio Dio! apriteci, di grazia, gli occhi dell’anima, e conosceremo la nostra cecità di amare chi non cerca altro che la nostra rovina eterna! Ma per farvi ancor meglio comprendere quale dei due partiti dovrete seguire, consideriamo il mondo composto di tre società: alcuni sono tutti del mondo, altri sono tutti di Dio, altri, infine, stanno tra i due: vorrebbero essere del mondo senza cessare d’essere di Dio; il che è impossibile, come vedrete. Anzitutto, F. M., dico, che una parte, e forse la maggiore, è tutta del mondo; appartengono a questo numero quelli che sono contenti d’aver spento nell’anima loro ogni senso di religione, ogni pensiero dell’altra vita, che hanno fatto quanto poterono per cancellare il pensiero terribile del giudizio che un giorno dovranno subire. Usano tutta la loro scienza e spesso le loro ricchezze per attirare quanti più possono sul loro sentiero: non credono più a nulla, si gloriano perfino d’essere più empi ed increduli che non siano in realtà, per meglio convincere gli altri, e far loro accettare, non dico le verità, ma le falsità che vorrebbero spargere nei loro cuori. Come Voltaire, che un giorno in un pranzo dato ad amici, cioè ad empi, si compiaceva perché tutti i suoi commensali non credevano alla religione. Eppure egli vi credeva, come ben lo mostrò all’ora di sua morte. In quegli estremi istanti chiese con premura un sacerdote per riconciliarsi con Dio; ma era troppo tardi per lui: Dio, contro del quale si era scagliato con tanto furore, rinnovò per lui il castigo inflitto ad Antioco: lo abbandonò al furore dei demoni. Voltaire non ebbe in questo momento terribile, come sua porzione, che la disperazione e l’inferno. “L’empio, così lo Spirito Santo (Ps. XIII, 1; LII, 1), disse dentro di sé che non v’è Dio, „ ma è solo la corruzione del suo cuore che può portarlo ad un simile eccesso; egli non pensa così nel fondo dell’anima sua. Questa parola: “Vi è Dio, „ non si cancellerà mai; il più gran peccatore la pronuncerà spesso, anche senza pensarvi. Ma lasciamo da parte questi empi; fortunatamente, sebbene voi non siate buoni Cristiani quanto dovreste esserlo, non siete ancora, grazie a Dio, di questo numero. Ma, mi direte, chi sono coloro che ora sono di Dio, ora del mondo? — F . M., eccoli. Li assomiglio, se posso usare questa frase, a quei cani che vanno dietro al primo che li chiama. Seguiteli, F. M., dal mattino alla sera, dal principio sino alla fine dell’anno; costoro non considerano la domenica che come giorno di riposo e di piacere; stanno a letto più a lungo che negli altri giorni della settimana, ed invece di dare il loro cuore a Dio, non vi pensano neppure. Penseranno, gli uni ai piaceri, gli altri alle persone che vedranno; questi alle compere da fare, quelli al denaro che dovranno spendere o ricevere. A mala pena si fanno un segno di croce, a qualche modo; e col pretesto che andranno in chiesa, non faranno alcuna preghiera, dicendo tra sé: “Ne ho del tempo prima della Messa. „ Hanno sempre qualche cosa da terminare prima di muoversi per andare ad ascoltar la S. Messa: credevano d’aver tempo d’avanzo per fare la loro preghiera, ed invece non arrivano nemmeno al principio della Messa. Se trovano un amico per via, non hanno difficoltà di condurlo a casa loro e rinunciano per questa volta alla Messa. Costoro però vogliono sembrar ancora Cristiani agli occhi del mondo, e vanno ancora a Messa qualche volta; ma vi stanno con una noia ed un tedio mortali. Ecco il pensiero che li occupa: “Mio Dio, quando sarà finita? „ Li vedete, specialmente durante le istruzioni, voltar la testa da una parte e dall’altra, domandare al vicino quante ore sono; sbadigliano e si stirano, o sfogliano il libro, per cercar non so che cosa; mentre qualche loro vicino della medesima risma, dorme d’un sonno saporito. Il primo pensiero che loro si presenta, non è d’aver profanato un luogo così santo, ma: “Mio Dio, non finisce più!… ah! non ci torno un’altra volta!… „ Ve ne sono persino di quelli ai quali la parola di Dio, che ha convertito tanti peccatori, fa venire il mal di cuore; debbono uscire, dicono, per respirare una boccata d’aria, e non morire; li vedete tristi, sofferenti durante le sacre funzioni; ma quando l’ufficiatura è appena finita, e spesso il sacerdote non è ancora partito dall’altare, si accalcano alla porta, e fanno a chi uscirà pel primo; e vedete allora ritornare quella gioia che avevano perduta, Sono così stanchi che, spesso, non hanno il coraggio di ritornare ai vespri. Se domandate loro perché non vanno al vespro: “Ah! vi soggiungono, bisognerebbe, dunque, stare tutto il giorno in chiesa: abbiamo altro da fare! „ Costoro non danno importanza né al catechismo, né al rosario, né alla preghiera della sera: tutte quelle pie pratiche sono considerate da essi come cose da nulla. Se loro chiedete che cosa ha detto il parroco all’Evangelo o alla Dottrina? “Ah! vi risponderanno, ha gridato abbastanza!… ci ha abbastanza annoiati!… non mi ricordo… se non fosse così lungo, si ricorderebbe almeno qualche cosa; ecco ciò che fa perdere al mondo la voglia di venire alle funzioni; perché son troppo lunghe. „ Avete ragione di dire, al mondo, perché costoro sono nel numero di quelli che appartengono al mondo senza pur saperlo. Ma, via, procuriamo di farlo adesso meglio comprendere, se almeno lo vogliono: essi sono sordi e ciechi, ed è appunto perché son sordi che è ben difficile far loro intendere le parole di vita, come è difficile far loro intravvedere il loro stato miserando, essendo essi ciechi. Vedete, in casa loro non si usa più dire il Benedicite prima dei pasti, né il ringraziamento dopo, e neppur l’Angelus. Se per antica abitudine lo fanno, chi ne è testimone prova una stretta al cuore: le donne lo fanno lavorando o sgridando  figli od i domestici; gli uomini facendo girare il cappello od il berretto tra le mani, come por esaminare se avessero dei buchi; pensano tanto a Dio, come se credessero davvero che Egli non esiste, e come se facessero tutto per ischerzo. Non si fanno scrupolo di vendere o comperare in giorno di domenica, quantunque sappiano benissimo, o almeno debbano sapere che un contratto un po’ grosso fatto in domenica, senza necessità, è un peccato mortale. Costoro riguardano tutte queste cose come un nonnulla. Andranno nei giorni festivi in una parrocchia vicina per accordare domestici al loro servizio; e se loro si dice che fanno male: “Ah! vi rispondono, bisogna pur andarvi quando si possono trovare. Senza alcuna difficoltà pagano le loro imposte in domenica: perché durante la settimana, dovrebbero andare un po’ più lontano, e impiegare qualche ora di più. Ah! mi direte, noi non badiamo a tutte queste cose. — Non vi badate, amico mio? Non mi fa meraviglia, perché siete del mondo; o meglio, vorreste essere di Dio ed accontentare nello stesso tempo il mondo. Sapete, F. M., chi sono costoro? Sono gente che ancora non ha perduto interamente la fede, ed a cui resta ancora qualche attaccamento al servizio di Dio, che non vorrebbero abbandonare del tutto; perché essi stessi biasimano chi non frequenta più le funzioni: ma non hanno abbastanza coraggio per romperla col mondo, e per voltarsi dalla parte di Dio. Costoro non vorrebbero dannarsi, ma non vorrebbero scomodarsi; sperano di potersi salvare senza farsi tanta violenza; hanno l’idea fissa che Iddio, che è così buono, non li ha creati per perderli, li perdonerà ben ugualmente; che col tempo si daranno a Dio, si correggeranno, lasceranno le cattive abitudini. Se, in alcuni momenti di riflessione, si mettono la loro misera vita appena un po’ davanti agli occhi, ne gemono, e talora anche ne piangeranno. Ahimè! F. M., qual vita triste conducono coloro che vorrebbero essere del mondo senza cessare d’essere di Dio! Proseguiamo un po’, e comprenderete ancor meglio, vedrete come la loro vita è altresì ridicola. Ora, li udrete pregare Dio e fare un atto di contrizione, e più tardi li sentirete bestemmiare fors’anche il santo Nome di Dio, se le cose non vanno a modo loro. Stamattina li avete veduti alla S. Messa cantare le lodi di Dio, e nello stesso giorno li udirete tenere i più laidi discorsi. Le medesime mani che hanno preso l’acqua benedetta, domandando a Dio di purificarli dei loro peccati, un istante dopo, le medesime mani sono adoperate per fare toccamenti disonesti sopra di sé o forse sopra altri. I medesimi occhi che al mattino ebbero la gran ventura di contemplar Gesù Cristo stesso nell’Ostia consacrata, durante il giorno si porteranno volontariamente e con diletto sugli oggetti più disonesti. Ieri, avete visto costui fare la carità al suo prossimo, o rendergli un servigio: oggi cercherà d’ingannarlo, se vi trova interesse. È appena un minuto che quella madre augurava ogni sorta di benedizioni a’ suoi figli: ed ora che l’hanno contrariata, li ricolma di imprecazioni; non vorrebbe mai averli visti nascere, vorrebbe esserne tanto lungi quanto ne è vicina; e finisce per mandarli al diavolo affine di sbarazzarsene. Ora manda le sue figlie alla santa Messa ed a confessarsi: ora le manda ai balli, od almeno farà sembiante di non saperlo, o lo proibirà loro sorridendo, come se dicesse: “Andate pure. „ Una volta dirà alla figlia d’esser riservata, di non frequentare le cattive compagnie, ed un’altra la lascia per ore intere in compagnia di giovinotti senza dirle nulla. Andate, povera donna, siete del mondo. Credete di essere di Dio per qualche atto esteriore di religione che praticate: vi ingannate; siete del numero di coloro ai quali Gesù Cristo dice : “Guai al mondo !„ (Matt. XVIII, 7). Vedete costoro che credono d’essere di Dio e sono del mondo: non si fanno scrupolo di portar via ai vicini ora un po’ di legna, ora qualche frutto, e mille altre cose; finché sono lodati per ciò che fanno rispetto alla religione, lo fanno volentieri, rivelano molta sollecitudine, sono maestri nel dare consigli agli altri; ma, se sono disprezzati o calunniati, allora li vedete scoraggiarsi, affliggersi per essere trattati in questo modo; ieri volevano bene a quelli che facevano loro del male; oggi non possono più soffrirli, e spesso neppure vederli o parlare con essi. Povero mondo! quanto sei sventurato; prosegui la tua strada: va, non puoi sperare che l’inferno! Gli uni vorrebbero frequentare i Sacramenti, almeno una volta all’anno; ma per questo occorrerebbe un confessore molto accomodante, vorrebbero soltanto e tutto fatto. Se il confessore non li vede abbastanza ben disposti e rifiuta loro l’assoluzione, eccoli scatenarsicontro di lui, dicendo quanto potrà giustificarli del non aver finito la loro confessione; conoscono benissimo perché sono stati rimandati, ma siccome sanno che il confessore non può loro condiscendere, si sfogano dicendo ciò che loro talenta. Va, o mondo, va per la tua via, vedrai un giorno quello che non volesti vedere. Bisognerebbe adunque che potessimo dividere in due il nostro cuore! — Ma no, amico mio, o tutto di Dio, o tutto del mondo. Volete frequentare i Sacramenti? Ebbene lasciate i giuochi, le danze, le osterie. Del resto, vi par cosa corretta venire ora a presentarvi al tribunale di penitenza, ad assidervi alla sacra Mensa per cibarvi del pane degli Angeli; e dopo tre o quattro settimane, forse meno, farvi vedere passare la notte in mezzo agli ubbriachi ripieni di vino, peggio ancora, commettere gli atti i più infami di impurità? Va, o mondo, va!… cadrai ben presto nell’inferno; e là imparerai ciò che dovevi fare: imparerai quanto dovevi fare per andare in cielo, che hai perduto per colpa tua. No, F. M., non inganniamoci: bisogna necessariamente, o sacrificare pel mondo Gesù Cristo, ovvero fare a Gesù Cristo il sacrificio di quanto abbiamo di più caro sulla terra. Ma che può dare il mondo da potersi paragonare a quanto ci promette Gesù Cristo in cielo? D’altra parte, P. M., fra tutti quelli che si sono dati al mondo, che non hanno cercato che d’accontentare le loro inclinazioni perverse e corrotte, non ve n’ha uno che non abbia provato delusioni, e che, all’ora della morte, non si sia pentito di averlo amato. Sì, F. M., è allora che sentiremo la vanità e fragilità delle cose di quaggiù, e la sentiremmo fin d’ora, se volessimo dare uno sguardo alla vita passata: vedremmo che la vita è pur poca cosa. Ditemi, F. M., voi che pel peso degli anni incominciate già a curvar la testa sulle spalle; nella vostra giovinezza, correvate dietro ai piaceri del mondo, e vi sembrava non potervene saziare abbastanza; avete passato molti anni a cercar solo i vostri diletti: le danze, i giuochi, le osterie e le vanità erano tutta l a vostra occupazione; avete sempre differito il vostro ritorno a Dio. Giunti ad età più avanzata, avete pensato di accumulare ricchezze. Eccovi ora arrivati alla vecchiaia, senza nulla aver fatto per la vostra salvezza. Ora che siete disingannato delle follie della gioventù; ora che avete affaticato per risparmiarvi qualche ricchezza, ora sperate di far meglio. Io non lo credo, amico mio. Gli acciacchi della vecchiaia che vi accasceranno; i figli, che forse vi disprezzeranno: tutto sarà un nuovo ostacolo per la vostra salvezza. Avete creduto di essere di Dio, ed invece riconoscerete di essere del mondo: cioè del numero di coloro che sono ora di Dio, ed ora del mondo, e che finiscono per ricevere la ricompensa del mondo. Guai al mondo! Andate, mondani, seguite il vostro padrone, come faceste sin ora. Vedete benissimo che siete stati ingannati seguendo il mondo: ebbene, F. M., diverrete per questo più saggi? No, F. M., no. Se alcuno ci inganna una volta, diciamo: Non ci fidiamo più di costui; ed abbiamo ragione. Il mondo ci inganna continuamente, oppure l’amiamo. “Guardatevi, dice S. Giovanni, dall’amare il mondo, o dall’attaccarvi a qualsiasi cosa nel mondo „  (I Joan, II, 15) — “Invano, ci dice il Profeta, porteremo la luce a costoro: furono ingannati e lo sono ancora: non apriranno gli occhi se non quando non avranno più speranza di ritornare a Dio. „Ah! F. M., se riflettessimo bene che cosa è il mondo, passeremmo la nostra vita nel ricevere il suo addio e nel dargli il nostro. All’età di quindici anni abbiamo detto addio ai giuochi dell’infanzia, abbiamo considerato come altrettante scempiaggini il correr dietro le farfalle, come fanno i bambini, che costruiscono per loro case di carta o di fango. A trent’anni avete cominciato a dire addio ai piaceri rumorosi d’una giovinezza ardente; ciò che tanto vi piaceva allora, comincia già ad annoiarvi. Dirò meglio, F. M.: ogni giorno diciamo addio al mondo; facciamo come un viaggiatore che gode della bellezza dei paesi dove passa: appena veduti, deve subito lasciarli: altrettanto è dei beni e dei piaceri, ai quali siamo così attaccati. Infine, arriviamo alla soglia dell’eternità, che tutto inghiotte nei suoi abissi. Ah! F. M., allora il mondo scomparirà por sempre dai nostri occhi, e riconosceremo quale grande pazzia sia stata la nostra di averlo ornato. E quello che ci si diceva del peccato? Era dunque tutto vero, diremo in quel punto. Ahimè! non ho vissuto che pel mondo, non ho cercato che il mondo in tutto lo mio azioni; ed i beni ed i piaceri del mondo non sono più nulla per me! tutto mi sfugge dalle mani: il mondo che ho tanto amato, i beni od i piaceri che tanto occuparono il mio’ cuore ed il mio spirito!… Bisogna intanto che ritorni al mio Dio!… Ah! P. M., quanto è consolante questo pensiero per chi non cercò che Dio solo durante la sua vita! ma come è disperante per chi ha perduto di vista il suo Dio e la salute dell’anima! No, no, F. M., non inganniamoci: fuggiamo il mondo, altrimenti ci mettiamo in gran pericolo di perderci. Tutti i santi hanno fuggito, disprezzato, abbandonato il mondo durante tutta la loro vita. Quelli obbligati a restarvi, vissero come se ne fossero fuori. Quanti grandi del mondo l’hanno abbandonato per vivere nella solitudine! vedete un sant’Arsenio. Colpito da questo pensiero: E difficile salvarsi nel mondo; abbandona la corte dell’imperatore, e va a passare la vita nelle foreste, per piangervi i suoi peccati e fare penitenza Sì, F. M., se non fuggiamo il mondo, almeno quanto ci è possibile, tranne un gran miracolo, ci perderemo col mondo. Eccone un bell’esempio, e ben adatto a farcelo comprendere. – Leggiamo nella sacra Scrittura (III Reg. XXII) che Giosafat, re di Giuda, fece alleanza con Acab, re d’Israele. Lo Spirito Santo ci dice che il primo, Giosafat, era un santo re; ma invece il secondo, Acab, era un empio. Tuttavia, Giosafat acconsentì di unirsi ad Acab per combattere contro i Siri. Prima di partire volle vedere un profeta del Signore, per domandargli quale sarebbe stato l’esito della battaglia. Acab gli disse: “Noi l’abbiamo un profeta del Signore, ma non ci predice che sventure. „ — “Ebbene! gli disse Giosafat, fatelo venire, e lo consulteremo.„ Venuto il profeta davanti al re, Giosafat gli domandò se dovevasi o no combattere contro il nemico. Il re Acab si affrettò di dirgli che tutti i suoi profeti l’avevano assicurato della vittoria. “Sì, rispose il profeta del Signore, andate, o Principi; attaccherete i nemici, li batterete, e tornerete vittoriosi e caricati delle loro spoglie. „ Il re Giosafat capì che non era questo il pensiero del profeta; e gli chiese di dirgli con verità ciò che gli ispirava il Signore. Allora il profeta assumendo il tono di profeta del Signore: “Viva Iddio, nella presenza del quale io sto! Ecco ciò che il Signore, il Dio d’Israele mi ha comandato di dirvi: Voi darete battaglia , ma resterete vinti. Il re Acab vi perirà, e il suo esercito sarà messo in rotta, ed ognuno tornerà a casa senza condottiero. „ Il re Acab disse a Giosafat : “Ti aveva ben detto che questo profeta non annuncia che sventure. „ E lo fece imprigionare, per punirlo al suo ritorno. Ma poco s’inquietò il profeta per questo, perché sapeva bene che il re non sarebbe tornato, ma sarebbe perito. Ingaggiata la battaglia, vedendo che il forte dell’esercito si volgeva contro di lui, Acab mutò vesti. Allora Giosafat fu scambiato per Acab, al quale soltanto si portava rancore. Vedendosi quasi accerchiato dai nemici: “Ah! Signore, Dio d’Israele, esclamò, abbi pietà di me! „ E il Signore venne in suo soccorso, e lo liberò dai nemici. Ma gli mandò il suo profeta per rimproverarlo d’aver fatto alleanza con quell’empio re. “Avresti ben meritato di perire con lui, ma perché il Signore ha visto in te delle buone opere, ti ha conservato la vita, ed avrai la bella sorte di ritornare nella tua città. “Acab invece perì nel combattimento, come appunto gli aveva predetto il profeta prima della partenza. Ecco, F. M., che cosa vuol dire frequentare il mondo: il che ci mostra che, necessariamente, dobbiam fuggire il mondo se non vogliamo perire con esso. Stando colle persone di mondo apprendiamo lo spirito del mondo e perdiamo quello di Dio: e questo ci trascina in un abisso di peccati senza che quasi ce ne accorgiamo: ne abbiamo un bell’esempio nella storia.S. Agostino ci racconta (Conf. VI, C. VII e VIII) che aveva per amico un giovane, che conduceva vita ottima, e proseguiva pel retto sentiero del bene col suo franco ardire giovanile. Un dì, essendo alcuni suoi compagni di studio usciti con lui, indispettiti perché non faceva com’essi, tentarono di trascinarlo all’anfiteatro. Era giorno in cui vi si compieva la lotta dei gladiatori. Il giovane che aveva un estremo orrore per simili curiosità, resisté con tutte le forze; ma i suoi compagni usarono tante lusinghe e oviolenze, che lo trascinarono, per così dire, suo malgrado. Cedendo egli disse: “Potete ben trascinare il mio corpo, e tenermi in mezzo a voi nell’anfiteatro; ma non potete comandare al mio spirito, ed ai miei occhi, che assolutamente non prenderanno mai parte a così orribile spettacolo. Vi starò come se non vi fossi, e per tal modo vi accontenterò senza prendervi 9parte. „ Ma Alipio ebbe un bel dire; lo condussero: e mentre l’anfiteatro intero andava in delirio pel barbaro divertimento, il giovane impediva al suo cuore di prendervi parte, ed a’ suoi occhi di guardare, tenendoli chiusi. Ah! fosse a Dio piaciuto, che si fosse turato anche le orecchie. Poiché scosso dà un fortissimo grido, la curiosità lo vinse: aprì gli occhi per vedere che cosa fosse accaduto; e bastò quello sguardo perché ci si perdesse. Più guardava, più il suo cuore ne sentiva piacere: giunse tant’oltre in seguito, che invece di farsi pregare per andarvi, egli stesso vi trascinava gli altri. “Ahimè! Dio mio, esclama S. Agostino, chi potrà cavarlo da tale abisso? Null’altro, se non un miracolo della grazia di Dio. „ – Concludo, F. M., dicendo che se non fuggiamo il mondo co’ suoi piaceri, se non ci nascondiamo, quant’è possibile, ci perderemo ed andremo dannati. La strada più comoda è d’essere ora del mondo, ora di Dio; cioè fare alcune pratiche di pietà, e seguire gli usi del mondo: i giuochi, le danze, le osterie, il lavoro in domenica; nutrire odi, vendette, risentimenti, fare attenzione ad ogni piccolo torto ricevuto. Se saremo tutti di Dio, bisogna aspettarci d’essere disprezzati e rigettati dal sondo. Felice colui che sarà di questo numero e camminerà con coraggio dietro al suo Maestro, portando la croce: poiché solo per questa via avremo la grande felicità di arrivare al cielo! Ecco quanto vi auguro!

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “SUL SERVIZIO DI DIO”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “SUL SERVIZIO DI DIO”

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sul servizio di Dio.

Quærite primum regnum Dei et justitiam ejus.

(MATTH. VI, 83).

S. Matteo narra che Gesù Cristo essendosi trovato un giorno con alcuni i quali s’occupavano troppo di cose temporali, disse loro: “Non v’inquietate tanto per queste cose; cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, tutto il resto vi sarà dato con abbondanza;„ e voleva dire con ciò che se avevano la bella sorte di metter tutte le loro cure nel piacere a Dio e salvare l’anima propria, il Padre suo procurerebbe ad essi quanto sarebbe stato necessario pei bisogni del corpo. — Ma, direte, come possiamo cercare il regno dei cieli e la sua giustizia? — Come, Fratelli miei? Niente di più facile e consolante: dandovi al servizio di Dio, che è il solo mezzo per conseguire quel fine nobile e beato pel quale siamo stati creati. Sì, F. M., lo sappiamo tutti, ed anche i più grandi peccatori ne sono convinti, noi siamo al mondo solo per servire Iddio, e fare quanto ci comanda. — Ma, domanderete, perché sono così pochi quelli che lavorano a questo fine? — P. M., eccolo: gli uni riguardano il servizio di Dio come cosa troppo difficile: credono di non avere abbastanza forza per intraprenderlo, o immaginano che dopo averlo intrapreso, non potranno perseverare. Ecco precisamente, F. M., ciò che scoraggia e trattiene gran parte di Cristiani. – Invece di ascoltare queste consolanti parole del Salvatore, che non può ingannarci, e ci ripete che il suo servizio è dolce e gradevole, che attendendovi vi troveremo la pace delle anime nostre e la gioia dei nostri cuori (Matt. XI, 29, 30). Ma a farvelo meglio comprendere, vi mostrerò quale dei due conduce una vita più dura, più triste e più penosa: se chi adempie i suoi doveri di religione con fedeltà, o chi li abbandona per seguire il piacere e le passioni, per vivere a suo capriccio.

I . — Sì, F. M., da qualsiasi lato consideriamo il servizio di Dio, che consiste nella preghiera, nella penitenza, nel frequentare i Sacramenti, nell’amore di Dio e del prossimo ed in una intera rinuncia a noi stessi; sì, F. M., non troviamo in tutto ciò che gioie, consolazioni, felicità pel presente e per l’avvenire, come vedrete. Chi conosce la sua religione e la pratica, sa che le croci e le persecuzioni, il disprezzo, i patimenti, ed infine la povertà e la morte si cambiano in dolcezze, in consolazioni, e nella ricompensa eterna. Ditemi, non ve ne siete mai fatta un’idea sensibile? No, senza dubbio. Eppure, F. M., la cosa sta come vi dico; e per dimostrarvelo in modo che non possiate dubitarne, ascoltate Gesù Cristo medesimo: “Beati i poveri, poiché di loro è il regno de’ cieli: guai ai ricchi, perché è assai difficile che i ricchi si salvino „ (Luc. VI, 25) Vedete adunque, secondo Gesù Cristo, che la povertà non deve renderci infelici, poiché il Salvatore ci dice: “Beati i poveri„. In secondo luogo non sono le sofferenze, né i dolori, che ci rendono infelici; poiché Gesù Cristo ci dice : “Beati quelli che piangono e che sono perseguitati, perché un giorno saranno consolati (Matt. V, 3); ma guai al mondo e ad ai gaudenti, perché la loro gioia si cambierà in lagrime e tristezza eterna. „ (Luc. VI, 25). – In terzo luogo, non è l’essere disprezzati che può farci infelici; poiché Gesù Cristo ci dice: “Hanno disprezzato me, e disprezzeranno anche voi; hanno perseguitato me, e perseguiteranno anche voi; ma lungi dal rattristarvi, rallegratevi, perché una grande ricompensa vi attende in cielo „ Ditemi, F. M., che cosa potrà ora rispondere quel poverello che mi dice d’essere disgraziato, e mi domanda come potrà salvarsi in mezzo a tante persecuzioni, calunnie e ingiustizie che gli si fanno? No, no, F. M., diciamolo pure: niente può rendere l’uomo infelice quaggiù, quanto la mancanza di religione; e nonostante tutti i dolori che può provare quaggiù, se vuol consacrarsi al servizio di Dio, non mancherà di essere felice. – Ho detto, F. M., che chi si dona a Dio è più felice che le persone del mondo quando tutto riesce a seconda dei loro desiderii; anzi vediamo che molti santi non desideravano che la felicità di soffrire: ne abbiamo un bell’esempio in S. Andrea. Si racconta nella sua vita (Vedi Ribadenora, al 30 Novembre. Da questo autore il Beato ha preso il racconto del martirio del santo Apostolo e molti altri tratti della vita dei Santi che ricorda) che Egeo, governatore della città, vedendo che S. Andrea colle sue prediche rendeva deserti i templi dei falsi dèi, lo fece arrestare. Condotto davanti al tribunale, gli disse con aria minacciosa: “Sei tu, che fai professione di distruggere i templi dei nostri dèi, annunciando una religione affatto nuova?„ S. Andrea gli rispose: “Non è nuova, essa ha cominciato col mondo. „ — ” O rinunci al tuo crocifisso, o ti farò morire in croce come Lui. „ — « Noi cristiani, gli rispose S. Andrea, non temiamo i patimenti, ossi formano la nostra maggior letizia sulla terra; più saremo stati conformi a Gesù Cristo crocifisso, più saremo gloriosi in cielo; ti stancherai prima tu di farmi soffrire, che non io di soffrire. „ Il proconsole lo condannò a morire in croce, ma per rendere il suo supplizio più lungo, ordinò di non inchiodarlo, ma di legarlo solo con corde. S. Andrea provò tanta gioia d’essere condannato a morire in croce, come Gesù Cristo, il suo divino Maestro, che vedendo due mila uomini che venivano ad assistere alla sua morte, quasi tutti piangenti, temendo di venir privato della sua felicità, alzò la voce a scongiurarli, per grazia, di non ritardare il suo martirio. Vista da lungi la croce alla quale doveva venir appeso, in un trasporto d’allegrezza esclamò: “Io ti saluto, Croce veneranda, che fosti consacrata ed abbellita dal contatto del Corpo adorabile di Gesù Cristo, mio divin Salvatore! O Croce santa! o Croce tanto desiderata! o Croce amata con tanto ardore! O Croce che ho cercato e sospirato con tanto zelo e senza stancarmi mai! tu soddisfi tutti i voti del mio cuore! O Croce diletta, ricevimi dalle mani degli uomini per rimettermi in quelle di Dio, affinché io passi dalle tue braccia in quelle di Colui che mi ha redento. „ L’autore che ne scrisse la vita, ci dice che essendo ai piedi della croce per esservi legato, non cambiò di colore, i capelli non gli si drizzarono sul capo, come accade ai rei, non gli tremò la voce, il sangue non gli si agghiacciò nelle vene, non fu nemmeno preso dal minimo tremito; ma si vedeva invece che il fuoco della carità, che ardeva nel suo cuore, gli faceva uscire fiamme di ardore dalla bocca. Quando fu vicino alla croce, si spogliò da solo, e donò le sue vesti ai carnefici; montò senz’aiuto d’alcuno sul palco dov’era rizzata. Tutto il popolo, erano circa duemila persone, vedendo S. Andrea appeso alla croce, esclamò che era ingiustizia far soffrire un uomo così santo, e corse al pretorio per mettere a brani il proconsole, se non lo faceva slegare. S. Andrea vedendolo da lontano, esclamò: ” O Egeo, che vieni a far qui? se vieni per imparare a conoscere Gesù Cristo, sia pure; ma se vieni per farmi distaccare, non avanzarti: sappi che non arrivi in tempo, ed io ho la consolazione di morire pel mio divin Maestro! Ah! veggo già il mio Dio, l’adoro con tutti i beati. „ Malgrado questo, il governatore volle farlo distaccare, temendo che il popolo desse a lui medesimo la morte; ma fu impossibile distaccarnelo: a misura che s’avvicinavano per slegarlo, mancavano loro le forze, restando immobili. Allora S. Andrea esclamò alzando gli occhi al cielo: ” Mio Dio, ti domando la grazia di non permettere che il tuo servo, crocifisso per la confessione del tuo nome, abbia l’umiliazione d’esser liberato per ordine di Egeo. Mio Dio! tu sei il mio Maestro, tu sai che non ho cercato e desiderato altro che te. „ Terminate queste parole, si vide una luce in forma di globo che avvolse tutto il suo corpo, e sparse un profumo che ricreò tutti gli astanti, e nel medesimo momento l’anima sua volò all’eternità. Vedete, F. M.? chi conosce la religione e si è fermamente dato al servizio di Dio, non considera le sofferenze come disgrazie, ma le desidera e riguarda come beni inestimabili. – Sì, F. M., anche quaggiù, chi ha la fortuna di darsi a Dio, è più felice che non il mondo con tutti i suoi piaceri. Ascoltate S. Paolo: « Sì, ci dice io sono più felice nelle mie catene, nelle prigioni, nel disprezzo e nei patimenti, che non i miei persecutori nella loro libertà, nell’abbondanza dei beni, nelle gozzoviglie. Il mio cuore è ripieno di gioia, e non può trattenerla, essa trabocca d’ogni parte. „ (II Cor. VII, 4), Sì, senza dubbio, F . M., S. Giovanni Battista è più felice nel suo deserto, privo d’ogni soccorso umano, che Erode sul suo trono, sepolto fra le ricchezze e nei godimenti delle sue infami passioni. S. Giovanni è nel deserto, conversa famigliarmente con Dio, come un amico coll’amico, mentre Erode è divorato da un segreto timore di perdere il suo regno, ciò che lo induce a far trucidare tanti poveri bambini (Matt. II, 16). Vedete ancora Davide : non è egli più felice quando fugge la collera di Saul, quantunque costretto a passare le notti nelle foreste ( I Reg. XXIII); tradito ed abbandonato dai suoi migliori amici, ma unito al suo Dio e abbandonato in Lui con intera confidenza, non è egli più felice di Saul in mezzo a’ suoi beni e nell’abbondanza delle ricchezze e dei piaceri? Davide benedice il Signore perché prolunga i suoi giorni e gli dà tempo di soffrire per suo amore, mentre Saul maledice la vita e diventa suo proprio carnefice (ibed. XXXI). Perché ciò, F. M.? Ah! perché l’uno si dà al servizio di Dio, e l’altro lo trascura. Che cosa dobbiamo concludere da tutto ciò, F. M.? Questo solo, che né i beni, né gli onori, né le vanità possono rendere l’uomo felice sulla terra; ma solo l’attendere al servizio di Dio, quando abbiamo la fortuna di conoscerlo e di compierlo fedelmente. Quella donna, non curata dal marito, non è dunque infelice perché egli la disprezza, ma perché non conosce la religione, o non pratica ciò che essa le impone. Insegnatele la religione, e vedrete che, da quando la praticherà, cesserà di lamentarsi e di credersi sfortunata. Oh! come l’uomo sarebbe felice, anche sulla terra, se conoscesse la religione, ed avesse la ventura di osservare quanto essa ci comanda, e considerasse quali beni essa ci promette nell’altra vita! Oh! qual potere ha presso Dio chi lo ama e lo serve con fedeltà. Davvero, F. M.! Una persona disprezzata dal mondo, e che sembra non meriti che d’essere schiacciata sotto i piedi, vedetela divenir padrona della volontà e della potenza di Dio. Vedete Mosè, che obbliga il Signore aperdonare atrecento mila uomini colpevoli (Es. XXXII, 31); vedete Giosuè che comanda al sole di arrestarsi, ed il sole s’arresta immobile (Gios. X, 12): ciò che non era mai accaduto e che forse mai più avverrà. Vedete gli apostoli: sol perché amavano Dio, i demoni fuggivano davanti a loro, gli zoppi camminavano, i ciechi riacquistavano la vista, i morti risuscitavano. Vedete S. Benedetto che comanda alle rupi d’arrestarsi nella loro caduta, ed esse restano sospese nell’aria; vedetelo moltiplicare i pani, far sgorgare l’acqua dalle rocce, e rendere le pietre ed il legno leggieri come una paglia (Ribad. al 21 marzo). Vedete S. Francesco da Paola che comanda ai pesci di venir ad ascoltare la parola di Dio, ed essi accorrono alla sua voce con tutta prestezza e applaudono alle sue parole (Questo miracolo è narrato nella vita di S. Antonio da Padova, ma per quanto sappiamo, non in quella di san Francesco da Paola). – Vedete S. Giovanni che comanda agli uccelli di tacere ed essi obbediscono (Questo miracolo è raccontato nella vita di S. Francesco d’Assisi). Vedetene altri che attraversano i mari senza mezzo alcuno (Per esempio S. Raimondo di Peñafort e S. Francesco da Paola, citato più sopra. — Per questi fatti vedi nel Bibadeneira le vite di questi santi). Ebbene! confrontateli ora con tutti gli empi ed i grandi del mondo pieni di brio, di scienza presuntuosa: di che sono capaci? di niente: e perché? Perché non sono fedeli al servizio di Dio. Oh! chi conosce la religione e osserva tutto ciò che essa comanda, quanto è potente e felice insieme! Ahimè! F. M., chi vive a seconda delle proprie passioni ed abbandona il servizio di Dio, quanto è sventurato! egli è capace di fare ben poca cosa! Mettete un esercito di centomila uomini vicino ad un morto, e che tutti impieghino la loro potenza per risuscitarlo: no, no, F. M., non risusciterà mai; ma che una persona sprezzata dal mondo ed amica di Dio comandi a questo morto di ritornare alla vita, e subito lo vedrete rialzarsi e camminare. Ne abbiamo altre prove ancora (Mettete tutti questi imperatori, come Nerone, Massimiano, Diocleziano… Vedete Elia: era solo a far discendere il fuoco dal cielo sul sacrificio, ed i sacerdoti di Baal erano cinquecento. – Nota del Beato).

1. Se per servire il buon Dio bisognasse esser ricchi od istruiti, molti non lo potrebbero fare. Ma no, F. M., la gran scienza e la gran ricchezza non sono affatto necessarie per servire Dio; al contrario, assai spesso sono a ciò di grande ostacolo. Sì, F . M..  siamo ricchi o poveri, dotti o ignoranti, in qualsiasi stato ci troviamo, possiamo piacere a Dio e salvarci: e S. Bonaventura appunto ci dice che lo possiamo: “in qualsiasi stato o condizione ci troviamo. „ – Ascoltatemi un momento, e vedrete che il servizio di Dio non può che consolarci e renderci felici in mezzo a tutte le miserie della vita. Per esso non dovete lasciar né i beni, né i parenti, né gli amici, tranne che vi siano causa di peccato; non occorre che passiate i vostri giorni in un deserto a piangervi le vostre colpe; fosse anche necessario, dovremmo esser felici di aver un rimedio ai nostri mali; ma no: un padre ed una madre di famiglia possono servire Dio vivendo coi loro figli, educandoli cristianamente; undomestico può facilmente servire Dio ed il suo padrone, nulla lo impedisce; anzi il suo lavoro, e l’obbedienza che deve ai suoi padroni divengono occasione di merito. No, F. M., il modo di vivere servendo Dio non muta niente in ciò che facciamo; al contrario servendo Dio facciamo meglio le nostre azioni; siamo più assidui ed attenti nell’adempire i doveri del nostro stato; siamo più dolci, più benevoli, più caritatevoli; più sobri nei pasti, più riservati nelle parole; meno sensibili alle perdite che subiamo ed alle ingiurie che riceviamo; cioè, F. M., quando ci diamo al servizio di Dio, compiamo assai meglio le azioni nostre, operiamo in maniera più nobile, più elevata, più degna d’un Cristiano. Invece di affaticarci per ambizione, per interesse, noi lavoriamo solo per piacere a Dio, che ce lo comanda, e per soddisfare la sua giustizia. Invece di far un servigio od un’elemosina al prossimo per orgoglio, per essere considerati, noi la facciamo solo per piacere a Dio, e redimere i nostri peccati. Sì, F. M., ancora una volta, un Cristiano che conosce la religione e la pratica, santifica tutte le sue azioni, senza nulla mutare di quanto fa; e senza nulla aggiungervi, tutto diviene per lui causa di merito pel cielo. Ebbene, F. M.! ditemi, se aveste ben pensato che fosse così dolce e consolante servire il buon Dio, avreste potuto vivere come avete fatto sinora? Ah! F. M., qual rimorso al punto di morte, quando vedremo che se ci fossimo dati al servizio di Dio, avremmo guadagnato il cielo, compiendo solo quanto abbiamo fatto! Mio Dio! quale sventura per chi si troverà nel numero di questi ciechi! Ora, vi domanderò, è l’esteriorità della religione ohe vi sembra ripugnante e troppo difficile? Forse la preghiera, le funzioni sacre, i giorni di astinenza, il digiuno, la frequenza ai Sacramenti, la carità verso il prossimo? Ebbene! vedrete che in ciò non v’è nulla di penoso come avete creduto.

1° Anzitutto è forse penosa la preghiera? o non è invece essa il momento più felice della nostra vita? Non è per la preghiera che conversiamo con Dio, come un amico coll’amico? Non è in questo momento che incominciamo a fare ciò che faremo cogli Angeli in cielo? Non è per noi una fortuna troppo grande che, miserabili come siamo, Dio, così eccelso, ci soffra alla sua santa presenza, e ci metta a parte, con tanta bontà, d’ogni sorta di consolazioni? Del resto, non è Lui che ci ha dato quanto abbiamo? Non è giusto che l’adoriamo e l’amiamo con tutto il nostro cuore? Non è dunque il momento più felice della nostra vita quello dell’orazione, giacché vi troviamo tante dolcezze? E forse cosa penosa offrirgli tutte le mattine, le nostre preghiere e le nostro azioni, affinché le benedica, e ce ne ricompensi nell’eternità? È forse troppo il consacrargli un giorno ogni settimana? Non dobbiamo al contrario veder arrivare questo giorno con grande piacere; poiché in esso impariamo i doveri che dobbiamo adempiere verso Dio e verso il prossimo, e ci si fa concepire così gran desiderio dei beni dell’altra vita, che ci induce a disprezzare ciò che è veramente spregevole? Non è nelle istruzioni, che impariamo a conoscere la gravità delle pene che il peccato merita? Non ci sentiamo noi spinti a non più commetterlo, per evitare i tormenti che gli sono riservati? Mio Dio! quanto poco l’uomo conosce la sua felicità!

2° Inoltre: forse vi ripugna la confessione? Ma, amico mio, si può avere più bella sorte che vedere in meno di tre minuti cambiata una eternità sventurata in una eternità di piaceri, di gioie, di felicità? Non è la confessione che ci rende l’amicizia del nostro Dio? Non è la confessione che ci libera da quei rimorsi della coscienza, che ci straziano senza posa? Non è essa che ridona la pace all’anima nostra, e le dà novella speranza di raggiungere il cielo? Non è in questo momento che Gesù Cristo sembra spiegare le ricchezze della sua misericordia sino all’infinito? Ah! F. M., senza questo Sacramento , quanti dannati di più e quanti santi di meno!… Oh! i santi del cielo quanto sono riconoscenti a Gesù Cristo d’aver istituito questo Sacramento!

3° In terzo luogo, F. M., forse i digiuni i prescritti dalla Chiesa vi fanno trovare pesante il servizio di Dio? Ma la Chiesa non ve ne comanda più di quanti ne possiate fare. Del resto, F. M., se li consideriamo cogli occhi della fede, non è per noi gran ventura potere con piccole privazioni evitare le pene del purgatorio, che sono tanto rigorose? Eppure, F.M., quanti si condannano a digiuni ben più rigidi per conservare la sanità ed appagare il loro amore pei divertimenti o accontentare la loro golosità! Non si vedono giovani donne abbandonare i figli in mano ad estranei, ed anche la casa? Non se ne vedono altre passare le intere notti all’osteria in mezzo ad ubbriachi, ad avvinazzati, dove non ascoltano altro che sconcezze ed oscenità? Non si vedono vedove le quali sciupano i pochi giorni che loro rimangono e che dovrebbero invece consacrare a piangere le pazzie di loro gioventù… non se ne trovano talune che si abbandonano da ogni sorta di vizi, come persone che hanno d’improvviso perduto il senno? costoro sono di scandalo ad una intera parrocchia. Ah! F. M., se per Iddio si facesse quanto si fa per il mondo, quanti Cristiani andrebbero in cielo!… Ahimè! F. M., se doveste stare tre o quattro ore in chiesa a pregare, come le passate al ballo od all’osteria, quanto vi sembrerebbero lunghe!… Se doveste fare parecchie miglia per ascoltare una predica, come si fanno per divertirsi o per conseguire qualche guadagno, ah! F. M, quanti pretesti, quante scuse si cercherebbero per non andarvi! Ma, per il mondo, niente è pesante; e di più non si teme di perdere Dio, l’anima, il cielo. Ah! F. M., Gesù Cristo aveva dunque ben ragione quando diceva che i figli del secolo si danno maggior premura di servire il loro padrone, il mondo, che non i figli della luce per servire il loro padrone, il Signore (Luc. XVI, 8). Ahimè! F. M., diciamolo a nostra vergogna, non fanno paura le spese e neppure i debiti quando si tratta dei propri piaceri: ma per un povero che cerca qualche cosa non si ha nulla; ecco come va la cosa: si ha tutto per il mondo e nulla per Iddio, perché si ama il mondo, e Dio non è da noi affatto amato. – Ma qual è la causa, F. M., per cui abbandoniamo il servizio di Dio? Eccola. Noi vorremmo poter servire Dio ed il mondo insieme: cioè poter unire l’ambizione e l’orgoglio coll’umiltà, l’avarizia collo spirito di distacco che il Vangelo ci comanda; bisognerebbe poter confondere insieme la corruzione colla santità della vita o, a dir meglio, il cielo coll’inferno. Se la religione comandasse, od almeno permettesse l’odio e la vendetta, la fornicazione e l’adulterio, saremmo tutti buoni Cristiani; tutti sarebbero figli fedeli della loro religione. Ma per servire Iddio è impossibile potersi comportare così; bisogna assolutamente essere tutti di Dio, o non appartenergli punto. – Sebbene abbia detto, F. M., che tutto è consolante nella nostra santa religione, e questo, è verissimo, debbo anche aggiungere che dobbiamo fare del bene a chi ci fa del male, amare chi ci odia, conservare la riputazione dei nostri nemici, difenderli quando vediamo che altri ne parla male; ed invece di desiderar loro il male, dobbiam pregare Dio che li benedica. Lontani dal mormorare quando Dio ci manda qualche afflizione, qualche dolore, dobbiamo ringraziarlo, come il santo re Davide, che baciava la mano che lo castigava (II Reg. XVI, 12) La nostra religione vuole che passiamo santamente il giorno di festa, lavorando a procurarci l’amicizia di Dio, se per disgrazia non la possediamo; vuole che consideriamo il peccato come il nostro più crudele nemico. Ebbene! F. M., questo ci sembra la cosa più dura e faticosa. Ma, ditemi, non è un procurare con ciò la nostra felicità sulla terra e per l’eternità? Ah! F. M., se conoscessimo la nostra santa Religione, ed il gusto che si prova praticandola, quanto ci sembrerebbe cosa da poco! quanti santi hanno fatto più di quello che Dio da loro richiedeva per dare ad essi il cielo! Essi ci hanno detto che una volta gustate le dolcezze e le consolazioni che si provano nel servizio di Dio, è impossibile lasciarle per servire il mondo coi suoi piaceri. Il santo re Davide ci dice che un giorno solo passato nel servizio di Dio, vale assai più di mille che i mondani passano nei piaceri e nelle cose profane (Ps. LXXXIII, 10)

II. — Ditemi, chi di noi vorrebbe servire il mondo, se avessimo la felicità, la grande felicità di comprendere tutte le miserie che vi si incontrano, cercando i suoi piaceri, ed i tormenti che si preparano per l’eternità? Mio Dio! Quale cecità è la nostra di perdere tanti beni, anche in questo mondo, e molto più nell’eternità! E ciò per piaceri che sono soltanto apparenti, per gioie miste a tanti dolori e a tante tristezze! Infatti, chi vorrebbe servir Dio, se fosse necessario soffrire tanto e sopportare tante molestie, mortificazioni, strazi del cuore, quanti se ne sopportano pel mondo? Vedete uno che si è prefisso di accumulare ricchezze: né venti, né pioggia lo trattengono; soffre ora la fame, ora la sete, ora le intemperie; giunge talora fino ad arrischiare la vita e perdere la riputazione. Quanti vanno di notte a rubare, esponendosi al pericolo di essere uccisi e di perdere la stima, essi e la loro famiglia. E senza andar tant’oltre, F. M., vi costerebbe di più in tempo delle funzioni essere in chiesa ad ascoltar con rispetto la parola di Dio, o starvene fuori a chiacchierare di interessi temporali o di cose da nulla? Non sareste più lieti di assistere ai Vespri, quando si cantano, che restare in casaad annoiarvi, mentre si cantano le lodi di Dio? – Ma, direte, bisogna farsi delle violenze quando si vuol servire a Dio. — Ebbene, vi dirò che molto meno si soffre servendo Dio colla sua croce che seguendo il mondo con i suoi piaceri, le sue passioni; e ve lo mostro. Forse penserete che è difficile perdonare una ingiuria ricevuta; ma, ditemi, chi soffre più dei due, chi perdona prontamente e di buon cuore per amor di Dio, o chi nutre sentimenti di odio per due o tre anni contro il suo prossimo? Non è questo per lui un verme che lo rode e divora continuamente, che spesso gli impedisce di mangiare e di dormire; mentre l’altro, perdonando, ha subito trovato la pace dell’anima? Non è cosa più eccellente domar le proprie passioni, che volerle accontentare? Si riesce forse a soddisfarle del tutto? No, F. M.: usciti da un delitto, vi spingono ad un altro, senza mai darvi tregua; siete uno schiavo, che esse trascinano dovunque vogliono. Ma, a meglio convincervene, accostiamoci ad uno di quegli uomini, che fanno consistere tutta la loro felicità nei piaceri del senso, e si gettano a corpo perduto nelle lordare delle più infami e vergognose passioni. Sì, F. M., se prima ch’egli s’abbandonasse al libertinaggio, alcuno gli avesse descritta la vita che oggi deve condurre, avrebbe egli potuto risolvervisi senza inorridire? Se gli aveste detto: Amico mio, hai due partiti da prendere: o reprimere le tue passioni, ovvero abbandonarviti. L’uno e l’altro hanno piaceri e pene: scegli quale vuoi. Se vuoi abbracciare il partito di praticare la virtù, baderai bene di non frequentare i libertini, e sceglierai i tuoi amici tra chi pensa ed agisce come te. Saranno tua lettura i libri santi, che ti animeranno alla pratica della virtù, e ti faranno amare Dio; concepirai ogni giorno nuovo amore per Lui; occuperai santamente il tuo tempo, e tutti i tuoi piaceri saranno piaceri innocenti, che daranno sollievo al corpo, mentre renderanno gagliardo lo spirito; adempirai i doveri religiosi senza affettazione e con fedeltà; sceglierai per condurti nella via della salvezza un saggio ed illuminato confessore, che cercherà soltanto il bene dell’anima tua, e seguirai con esattezza quanto ti comanderà. Ecco, amico mio, tutte le difficoltà che proverai nel servizio di Dio. La tua ricompensa sarà d’aver sempre l’anima in pace, ed il cuore sempre contento; sarai amato e stimato da tutti i buoni; ti preparerai una vecchiaia felice, immune in gran parte dalle infinite malattie, a cui d’ordinario vanno soggetti quelli che conducono una giovinezza sregolata; i tuoi ultimi momenti saranno dolci e tranquilli; da qualsiasi lato considererai allora la tua vita, nulla potrà affliggerti; anzi, tutto contribuirà a consolarti. Le croci, le lagrime, le penitenze saranno ambasciatori inviati dal cielo per assicurarti che la tua felicità sarà eterna, e che non hai più nulla a temere. Se in quei momenti volgerai lo sguardo all’avvenire, vedrai il cielo aperto per riceverti; infine, partirai da questo mondo come una santa e casta colomba che va a nascondersi e seppellirsi nei seno del suo diletto; non abbandonerai nulla, e acquisterai tutto. Non avrai desiderato che Dio solo, e sarai con Lui per tutta l’eternità. Ma, invece, se vuoi lasciar Dio e il suo servizio per seguire il mondo ed i suoi piaceri, la tua vita passerà nel desiderare sempre e nel cercare sempre senza mai essere né contento, né felice; potrai usare tutti i mezzi che sono a tua disposizione, ma non vi riuscirai. Comincerai a cancellare dal tuo spirito i principi di Religione che hai imparato fin dall’infanzia e seguito sino a quest’ora; non aprirai più quei libri di pietà che nutrivano l’anima tua, e la proteggevano contro la corruzione del mondo; non sarai più padrone delle tue passioni, esse ti trascineranno dovunque vorranno; ti farai una religione a tuo modo; leggerai libri cattivi, ispiranti disprezzo contro la fede e sollecitanti al libertinaggio, e percorrerai la via da essi tracciata; non ricorderai più i giorni passati nella pratica della virtù e della penitenza, quando era per te gioia grande accostarti ai Sacramenti, dove Iddio ti colmava di tante grazie, o, se li rammenterai, sarà solo per rammaricarti di non aver dato tutto quel tempo ai piaceri del mondo; arriverai fino a non credere più nulla, ed a negare ogni cosa; insomma, diventerai un povero empio; in questa convinzione cederai la briglia a tutte le passioni, esclamando che colla vita tutto finisce, che bisogna correre in cerca di tutti i piaceri che si possono godere. Accecato dalle passioni, precipiterai di peccato in peccato, senza neppure accorgertene; ti abbandonerai a tutti gli eccessi di una gioventù bollente e corrotta, e non temerai di sacrificare la quiete, la sanità, l’onore ed anche la vita: non dico l’anima, giacché non crederai di averla. Sarai sulla bocca di tutti, tutti ti guarderanno come un mostro, sarai fuggito e temuto: non importa; ti riderai di tutto, continuerai sempre nel tenore di vita usato, seguendo ormai soltanto la via delle passioni che ti trascineranno ove loro meglio piacerà. Talora ti si troverà presso una giovane intento ad adoperare tutti gli artifici e gli inganni che il demonio saprà ispirarti per ingannarla, sedurla e perderla; tal altra sarai veduto, di notte, alla porta d’una vedova, a farle tutte le promesse possibili per indurla ad acconsentire ai tuoi infami desideri. Forse, senza alcun rispetto ai sacri diritti del matrimonio, calpesterai tutte le leggi della religione, della giustizia e della stessa natura, e diventerai un adultero infame. Giungerai anche a fare delle membra di Gesù Cristo le membra d’un’infame prostituta. E andrai più innanzi, poiché le pene dello spirito e del cuore non saranno le sole che dovrai divorare vivendo nel libertinaggio: ma le infermità del corpo, il sangue indebolito, la vecchiaia snervata saranno la tua porzione. Durante la vita hai abbandonato Dio; la morte, al suo avvicinarsi, farà forse risuscitare quella fede che avevi spenta colla tua vita malvagia… Se riconoscerai di aver abbandonato Dio; Egli ti farà toccar con mano che ti ha abbandonato, respinto per sempre e maledetto per tutta l’eternità; allora i rimorsi della coscienza che cercavi di far tacere, si faranno sentire e ti divoreranno, nonostante ogni tuo sforzo per soffocarli; tutto ti turberà e ti getterà nella disperazione. Se vorrai riandare col pensiero la tua vita, conterai i giorni seguendo il numero de’ tuoi delitti, che saranno come tanti tiranni i quali ti strazieranno senza posa; la vita non ti presenterà altro che grazie disprezzate, un tempo ben prezioso che hai sciupato; avevi bisogno di tutto, e non hai approfittato di nulla. Che se considererai l’avvenire, i tormenti dai quali l’anima tua sarà straziata, ti faranno credere che le fiamme divoranti i reprobi infelici già ti circondino, mentre il mondo, che tanto avevi amato, al quale temevi tanto di dispiacere, a cui avevi sacrificato Dio e l’anima, ti avrà abbandonato, respinto per sempre. Hai voluto seguire i suoi piaceri: allora, mentre avrai bisogno di maggior aiuto, sarai abbandonato da tutti; tuo solo rifugio sarà la disperazione; e, ciò che è peggio, tu morrai, e, piombando nell’inferno, dirai che il mondo ti ha sedotto, ma che, troppo tardi, riconoscesti la tua sventura. Ebbene, F. M.! che ne pensate voi? Eppure, sono queste le pene e le gioie, e di quelli che vivono virtuosamente, e di quelli che vivono per il mondo. Ah! F. M., quale sventura è quella di chi non vuole che il mondo, e trascura la salvezza del l’anima sua!… Come passa invece felice la vita colui che ha la grande ventura di cercare soltanto Dio e la salvezza dell’anima sua! Quante amarezze di meno! quante consolazioni di più nel servizio di Dio! quanti rimorsi di coscienza risparmiati al punto di morte! Quanti tormenti evitati per l’eternità!… Ah! F. M., quanto la nostra vita sarebbe felice, malgrado tutto ciò che possiamo soffrire da parte del mondo e del demonio, se avessimo la bella sorte di darci al servizio di Dio, disprezzando il mondo e chi lo segue! Ah! F. M., qual cambiamento grande opera il servizio di Dio in chi è così avventurato da cercare sulla terra Dio solo! Se dovete vivere con un orgoglioso, che non vuol tollerare nulla, pregate Dio che lo faccia attendere con costanza al suo servizio: vedrete subito tutto cambiarsi in lui; amerà il disprezzo, ed egli medesimo si terrà a vile. Un marito od una moglie sono sfortunati nel loro matrimonio? procurate che abbraccino il servizio di Dio, e vedrete allora che non si considereranno più come infelici, ma la pace e l’unione regnerà fra loro. Un domestico è trattato duramente dai padroni? Consigliatelo di darsi al servizio di Dio, e d’allora non lo udrete più lamentarsi, anzi benedirà la bontà di Dio che gli dà occasione di far il suo purgatorio in questo mondo. Dirò ancor più, F. M.: una persona che conosce la religione e la pratica, non pensa più a se stessa, ma solo a rendere felice il suo prossimo. Per meglio farvelo comprendere, eccovi un bell’esempio. – Leggiamo nella storia che nella città di Tolosa viveva un santo sacerdote, lo zelo e la carità del quale lo facevano considerare in tutta la città come il padre dei poveri. Quantunque povero egli stesso, pure non mancava mai di mezzi per soccorrere gli altri. Un giorno una donna devota venne ad annunciargli che le era stato messo in prigione il marito, e che le restavano a carico quattro figliuoli; se alcuno non aveva pietà di lei e dei bambini, avrebbe dovuto morire di fame. Il santo sacerdote fu commosso fino alle lagrime; ora appena tornato dalla sua questua giornaliera a favore dei suoi poveri, ma uscì di nuovo per domandare soccorso ad un ricco negoziante, suo amico. Mentre il sacerdote entrava, il mercante aveva appena ricevuto una lettera annunciantegli una perdita considerevole. Il sacerdote, nulla sapendo, gli fa il racconto delle miserie di quella sventurata famiglia. E il mercante burberamente: “Siete ancor qui; è troppo. „ — “Ah! signore! Se sapeste! gli risponde il sacerdote. „ — “No, non voglio saper nulla, andatevene subito. „ — ” Ma, signore, gli dice il sacerdote, che sarà di quella povera famiglia! ah! ve ne scongiuro, abbiate pietà delle sue sventure! „ L’altro, preoccupatissimo della propria disgrazia, gli si rivolge contro e gli dà uno schiaffo sonoro. Il sacerdote, senza mostrare la minima emozione, presenta l’altra guancia, dicendogli: “Signore, percuotete quanto vi pare, purché mi diate di che soccorrere quella povera famiglia.„ Il mercante, meravigliato di ciò, gli dice: “Ebbene, venite con me; „ e prendendolo per mano, lo conduce nel suo studio, gli apre la cassa forte, e: “Prendete quanto vi abbisogna. „ — “No, signore, gli dice umilmente il sacerdote, datemi quanto volete. „ Il mercante caccia ambo le mani dentro al suo scrigno e gli dà abbondantemente, dicendogli: “Venite ogni qual volta vorrete. „ Ah! F. M., la religione è pur cosa preziosa per chi la conosce. Infatti, quanto vi è di bene nel mondo, fu essa che lo ha prodotto. Gli ospedali, i seminari, le case di educazione, tutto fu istituito da chi si era dato al servizio di Dio. Ah! se i padri e le madri conoscessero quanto sarebbero felici essi stessi, e quanto contribuirebbero a glorificare Dio educando santamente i loro figli! Ah! se fossero ben convinti che essi tengono il luogo di Dio sulla terra, come lavorerebbero a rendere vantaggiosi per sé e pe’ loro cari i meriti della Passione e della Morte di Gesù Cristo!…,, – Concludo, F. M., col dire che seguendo il mondo e volendo accontentare le nostre inclinazioni perverse, non saremo mai felici, né potremo trovare quel che cerchiamo; mentre dandoci al servizio di Dio, tutte le nostre miserie verranno addolcite, o meglio, si muteranno in gioia e consolazione, al pensiero che fatichiamo pel cielo. Quale differenza tra chi muore dopo aver vissuto male, e chi muore dopo aver condotto vita buona; questi ha il cielo per eredità; le sue lotte sono finite; la sua felicità, che già intravvede, incomincia per non più finire! Sì, F. M., diamoci a Dio davvero e proveremo questi grandi benefizi che Dio mai rifiuterà a chi l’avrà amato! Eccovi la felicità che vi auguro.

LO SCUDO DELLA FEDE (171)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (VII)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO SECONDO

1 MISTERI

1. — La nozione del mistero.

D. Che cosa è questa idea di mistero, che sembra ostruire le vie della religione e farle rischiare l’assurdo?

R. Il mistero è così poco l’assurdo che è quasi esattamente il contrario. L’assurdo ê l’evidenza del falso; il mistero nasconde il vero sotto la grandezza stessa del vero. Di modo che, nel primo caso, l’obbligo di cedere s’impone all’assurdo, nel secondo all’intelligenza. « La fede dice bensì quello che i sensi non dicono, spiega Pascal; ma non il contrario di quello che essi vedono. Essa è sopra, non contro. »

D. Donde trai codesto obbligo di abdicare che attribuisci all’intelligenza?

R. Limito per ora la portata di questa parola; ma nella misura che la mantengo, dico: Noi abdichiamo in favore dell’autorità divina. « lo credo arditamente dove non vedo niente, dice Bossuet, perché credo Colui che vede tutto ». Tu certo non mi domandi di ricominciare a fondare — per quanto brevemente e incompletamente io l’abbia fatto — questa stessa autorità.

D. Io mi attengo alla questione presente, ma temo che la religione abusi qui di una certa propensione dell’anima umana.

R. L’abuso sarebbe di proporre dei misteri senza garanzia offrendo la garanzia col mistero, la religione utilizza solamente 1a tendenza naturale dell’anima verso l’infinito.

D. Mi stupisco che in un sistema di lumi, tu trovi un posto naturale per l’oscurità.

R. Il mistero non è affatto oscuro in se stesso; se la nostra vista si potesse estendere fino ad esso, non lo chiameremmo più mistero, ma evidenza. Le stelle invisibili non sono forse, nel loro posto, dei globi abbaglianti? Non il mistero ê oscuro, ma noi; è la nostra condizione attuale che ci intercetta la comunicazione diretta con esso.

D. Le dottrine religiose che scartano il mistero son tuttavia più facili a credere.

B. In simile materia ciò che è facile a credere non merita di essere creduto.

D. I1 mistero sarebbe dunque a’ tuoi occhi una necessità?

R. « L’ultimo passo della ragione ê di riconoscere che c’è un’infinita di cose che la sorpassano; essa è fiacca se non arriva a conoscere questo? » (PASCAL).

D. Ma quello che ci sorpassa oggi ci può essere noto domani.

R. « I principii delle cose son nascosti in un segreto impenetrabile » (PASCAL).

D. Pascal dice: I principii; ma le cose?

R. Le cose dipendono dai loro principii e non sono conosciute di una conoscenza decisiva se non per mezzo di essi, di modo che tutte le scienze poggiano, come la religione, sopra l’incomprensibile. “Percorri la cerchia delle scienze, dice Giuseppe de Maistre, e vedrai che cominciano tutte da un mistero”. Del resto il mistero vi persiste e vi si ritrova a ogni nuovo passo, perché ogni passo della scienza dipende da’ suoi principii.

D. Il mistero maturale e il mistero religioso sono dello stesso ordine e dello stesso grado?

R. Non sono dello stesso ordine; ma praticamente non vi sono gradi nella piena notte. Teoricamente, guardando le cose in sé, il mistero religioso è più profondo, per la ragione che esso si avanza di più in Dio. Così Pascal aggiungeva alla prima frase ora citata: « Che se le cose naturali ci sorpassano, che si deve dire delle soprannaturali? »

D. Eppure ho letto questo, che mi ha recato meraviglia: « I misteri della Chiesa, paragonati ai misteri della natura, non sono che giochi da bambini. »

R. Chi parla così è Le Dantec, un ateo convinto, e il raffronto m’interessa; ma anche questo ê un errore per rovesciamento, per invertimento di valori. La Trinità è più nascosta che le leggi di costituzione della materia; l’ordine supremo è più oscuro che la gravitazione dei corpi. In questo senso, è vero il dire con Giulio Soury: « La scuola primaria dello spirito è la scienza. » Per conseguenza il mistero ci avvolge da ogni parte, ed è assai strano il vedere che una ragione cosi radicalmente impotente riguardo alle più semplici cose elimini con alterezza i dati religiosi che essa non capisce. Noi respiriamo nell’ineomprensibile; siamo noi stessi qualcosa d’incomprensibile, e l’incomprensibile è anche il nostro pane. Io ti propongo questa doppia definizione sommaria: Dio è un mistero che si nasconde, l’universo un mistero che non si nasconde.

D. Ammetteresti dunque la dottrina dell’Inconoscibile?

R. Niente affatto. Ciò che si chiama l’Inconoscibile, con una maiuscola, ê una specie di mistero infinito, in tutti modi inaccessibile, un  “oceano per il quale noi non abbiamo né barca né vela (Litteé) e in seno al quale tutto il reale non è che un’isola sperduta”. Il mistero cristiano è finito, circoscritto è incluso in un sistema di spiegazioni di tal natura da soddisfare la nostra intelligenza. Non è un grande abisso nero, ma un seminato di macchie oscure circondate da luce, e dietro alle quali si annunzia una luce più viva che in nessun’altra parte.

D. Definiresti dunque il mistero

R. Un viottolo d’ombra che si apre sopra chiarezza.

D. Quali conseguenze di contegno ne trarresti?

R. Dove che l’Inconoseibile ê una zona interdetta per definizione, il mistero è un invito a tentare le ricerche, come si cammina verso un fuoco lontano. I genii cristiani mai non si manifestarono meglio che su questa via; vi si sono arricchiti in tutto il percorso, e se non hanno rischiarato niente di ciò che deve restare oscuro, l’hanno però ricamato di chiarezze preziose, l’hanno mostrato in rapporto con tante cose, che alla fine queste tenebre si mostrano le sole plausibili spiegazioni.

D. Ecco un bel paradosso.

R. Non è affatto un paradosso. Un punto d’ombra è rischiarante quanto un punto luminoso, quanto si tratta di stabilire delle convergenze e di costruire uno schema completo della nostra vita e del nostro universo. In se stesso, il mistero è misterioso: è la sua natura; messo in concordanza con tutto il resto, é una fonte di chiarezza: è il suo compito.  “Salve, grande notte della fede, scrive Paolo Claudel. Ecco la notte, meglio del giorno, che ci documenta sulla via.

D. Il mistero dunque non é una vessasione delle religione, una “prova” inflitta allo spirito?

R. É così poco una vessazione che or ora l’ho chiamata una provocazione a pensare, per la speranza di sempre nuove conquiste. Una prova la è in un certo senso, perché si amerebbe di vedere tutto; ma è assai più una liberazione, perché senza di esso, non ê più solamente l’oscurità che ei spia, ma la stravaganza.

D. Spieghi enigmi con altri enigmi?

R. Esattamente come per Dio, il caso del quale fa qui ritorno. Non bisogna forse che le chiavi abbiano la complessità delle serrature? Altrimenti non aprirebbero.

D. Ma allora in che consiste la spiegazione?

R. In ciò che il mistero, per quanto inesplicato sia in se stesso, apre la via ai nostri sguardi, e un giorno si aprirà esso stesso. Senza, di esso, i fatti della nostra esperienza sono incomprensibili; esso ce li fa comprendere attirando a sé le loro oscurità, che allora sono al loro posto e prendono un carattere provvisorio. Esso rischiara localizzando la notte.

D. Per conseguenza il mistero oltrepassa la ragione, e una ragione oltrepassata non potrebbe essere una ragione soddisfatta.

R. Una ragione oltrepassata è meravigliosamente soddisfatta, quando in ciò che la oltrepassa le si fa vedere il mezzo di rassicurarsi e di comprendere, là dove essa stessa non si soddisfaceva. Il sistema cristiano risolve i suoi propri misteri, in grazia di una convergenza, e risolve il mistero del reale, riunendo tutte le linee della mostra esperienza e del nostro pensiero.

D. È certamente per questo che esso provoca la tua ammirazione.

R. Certo. 1 nostri misteri hanno un bell’essere oscuri, ma sono costrutti dentro, sono rilegati di fuori, sono architettonici e danno un’impressione d’armonia, sono come una cattedrale nell’ombra.

D. A questo titolo essi devono prestarsi a saggi di spiegazione relativa?

R. Si spiega sempre appunto quello che non si comprende (BARBEY DAUREVILLY)-

D. Ma in questo caso le spiegazioni devono essere sovente erronee.

R. Sovente. Lo spirito umano si vendica delle sue ignoranze e dei suoi errori (Id.).

D. Non sarebbe anche fatale?

R. No. La notte dei misteri ha questa strana proprietà di far produrre alla mente retta che li scruta il suo massimo di luce; essi sono la pietra di paragone del genio come quella della fede.

D. Dove si trova a loro proposito la più alta teologia?

R. In S. Paolo. Ma bisogna intenderlo. $. Paolo ê il teologo del Vangelo; $. Tommaso d’Aquino è il teologo di S. Paolo

LO SCUDO DELLA FEDE (172)