A. D. SERTILLANGES, O. P.
CATECHISMO DEGLI INCREDULI (VI)
[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]
IV. — Il Cristianesimo cattolico.
c) Schizzo di un’apologia esterna.
D. Mi dicevi che la coerenza interna della dottrina cattolica e il suo adattamento alla vita non erano che una delle ragioni in suo favore. Che cosa avevano di sottinteso queste parole?
R. Io non ti faccio un trattato di apologetica; mi sono già, allontanato molto dal lavoro catechistico che mi sono proposto. Non ti posso tuttavia rifiutare alcune indicazioni sommarie. Per cominciare, citerò quel giudizio del Lacordaire che io noto in ogni coscienza: «Ogni uomo di buona fede si può convincere, con pochissima fatica, che il concatenamento dei fatti cristiani è al di sopra delle forze umane se si suppongono falsi, e ancora al di sopra delle forze umane se sono veri». In questa sola frase, il grande apologista dà la prova essenziale sulla quale s’innestano tutte le altre,
D. Che cosa intende il tuo autore per «il concatenamento dei fatti cristiani? ».
R. Si tratta di quell’immensa serie di avvenimenti, che, in passato, si estende da Abramo a Pio XI, e si mostra in grado di realizzare la sua pretensione di durare sino alla fine dei tempi.
D. Questa serie di fatti è continua e omogenea?
R. È continua, ma non omogenea; essa importa tre fasi: una fase di preparazione, che è il giudaismo; una fase di effettuazione, che è l’insieme dei fatti evangelici, e una fase di utilizzazione che è la nostra, cioè l’éra cristiana. Il giudaismo è un Vangelo nascosto; il Vangelo è un giudaismo spiegato; i tempi cristiani sono un Vangelo in azione, o per lo meno un saggio di applicazione laboriosa.
D. Tutta questa evoluzione ha dunque un centro?
R. Il centro o il perno di questa evoluzione è Cristo.
D. E che cosa deduci da questa constatazione?
R. Non sei tu colpito, prima di tutto, da un fenomeno storico di questa ampiezza: una forza all’opera dalle origini della storia fino a oggi; che sviluppa gli annali di Dio e la filosofia di Dio senza interruzione, senza lacuna e senza contradizione; che attraversa tutti i fatti umani senza intralciarli come senza confondervisi; che si crea una tradizione propria nel corso delle nostre tradizioni, una società a sé, una società perfetta e indipendente nel cuore delle nostre società; che suscita una vita la quale abbraccia l’altra e ne sposa tutte le forme, con la mira di elevarla al di sopra di se stessa e di portarla più avanti? È questa una cosa così ordinaria che non valga la pena di fermarci per domandare a noi stessi: Quale è questa forza? Il giudaismo, in quanto storia, sembra più prodigioso di tutti i prodigi particolari che vi si rilevano, e la fondazione del cristianesimo, la sua conservazione, il suo modo di evoluzione un prodigio più grande di tutti i miracoli di Gesù Cristo. Un tal movimento ha il carattere d’una vera creazione, d’una creazione dinamica. È un mondo che attraversa un mondo.
D. Gli storici non ne menzionano le cause?
R. Tutto ha delle cause; ma si dimentica di dire quello che ha causato codeste cause, organizzato il loro concorso e assicurata la loro efficacia, ad onta di tante cause contrarie. Vi sono anche cause che assicurano la grandezza degli imperi umani, delle imprese umane: mostrami un caso che a questo si possa paragonare, fosse pure lontanissimamente.
D. È una questione di grado.
R. Quando le cose arrivano a un certo grado, ti presentano un problema, come se alla bisca tu sbancassi tutti i giorni il tuo compagno di giuoco. Nel caso di cui parlo, tutte le leggi dell’equilibrio storico sono spiegate; il « ricominciamento eterno », senza perdere i suoi diritti sopra una materia che rimane materia umana, è al servizio di una continuità che lo domina. – Ascolta uno storico (Ernesto Lavisse): « Io storico, non so quello che avvenne il mattino di Pasqua; ma quello che ben so, è che, quel giorno, nacque un’umanità che non muore. Christus resurgens non moritur . Ascolta Ernesto Renan, poco sospetto: «L’avvenimento capitale della storia del mondo è quella rivoluzione per la quale le più nobili parti dell’umanità passarono dalle antiche religioni a una Religione fondata sull’unità, la Trinità, l’incarnazione del Figliuolo di Dio ». E se vuoi il commento, ecco Rémusat: «I casi fortuiti delle faccende umane non portano affatto tali risultati » E Bossuet: «È un’opera così grande, che se Dio non l’avesse fatta, Lui stesso la invidierebbe al suo autore ».
D. Ciò mi colpisce, ma non mi convince.
R. Godo di vederti difficile. Ma vi è altro. Questo immenso spiegamento offre, nel suo decorso, un carattere profetico; la sua continuazione è annunziata fino dal principio e ciascuna delle sue tappe è annunziata nella tappa precedente, diciamo meglio, per mezzo della tappa precedente, che non ha senso se non in essa.
D. I primi Cristiani annunziarono la fine prossima dei tempi, e credevano veramente di appoggiarsi in ciò sopra le parole di Gesù stesso; ebbene era un errore.
R. Era di fatto un errore; ma non era un errore religioso, e a proposito delle parole di Gesù, che avevano formalmente scartato questo problema, era una pura interpretazione. L’errore veniva precisamente da una persuasione religiosa dominante, unita a una mancanza di prospettiva riguardo al temporale. Gesù aveva predicato l’essenziale; i suoi discepoli, imbevuti dell’essenziale, lo schematizzavano così: ieri Adamo; ora Cristo; domani la reintegrazione del mondo in Dio. Che importa che questo domani fosse stato compreso in un modo più o meno stretto? Il fatto sta che lo schema è esatto. Il giudaismo è un lungo messianismo; il Vangelo è un annunzio formale dei tempi cristiani; alla sua volta il Cristianesimo profetizza gli ultimi tempi, e l’avvenire darà la risposta.
D. Chi può giudicarne prima?
R. Già ne abbiamo molti segni; ad ogni modo, oggi è certo che il fatto della Chiesa giustifica Cristo e il fatto di Cristo giustifica il giudaismo. Renan fu molto colpito da questi fatti, che altri « critici » preferiscono passare sotto silenzio.
D. Le profezie di cui parli sono veramente chiare?
R. Puoi leggere dovunque, nella più antica Bibbia, le visioni che riguardano l’avvenire, i testi sorprendenti dei profeti che annunziano per minuto la vita, la morte e l’opera di Gesù Cristo, come pure i suoi effetti, e trovi nel Vangelo l’annunzio della Chiesa, delle sue traversie e dell’opera sua sino alla fine dei tempi.
D. Si è preteso che i testi antichi relativi a Cristo s’incontrino con Lui per questa buona ragione che da essi si sono presi gli elementi della sua storia.
R. Ecco delle baie che non reggono all’esame. È certo che gli evangelisti hanno cercato i raffronti e forse hanno un po’ raffinato nella materia; certi loro raffronti sono forzati, altri discutibili. Ma ciò stesso prova la loro sincerità. Quando s’inventa, non si ha bisogno di raffinare così e di esaurire tutte le proprie risorse; si può lasciar correre; la fantasia è ubbidiente.
D. Secondo ciò sembrerebbe che il giudaismo e il Cristianesimo non siano che una sola e identica religione; tuttavia si oppongono l’una all’altra.
R. Si oppongono e si confondono con ragione, sotto diversi rapporti. Il giudaismo letterale e carnale si oppone al Cristianesimo, Religione spirituale; ma il giudaismo vero gli è identico, tenuto conto della differenza dei tempi. Il vero giudeo non era colui che si faceva circoncidere e compiva a Gerusalemme dei saorifizi materiali, ma colui che amava Dio con tutto il suo cuore e, coscientemente o no, per mezzo dei simboli della legge mosaica, si univa a Colui che è la salvezza degli uomini. Il vero Cristiano non è colui che va alla messa nei giorni festivi e scioglie i suoi voti; ma sì colui che ama Dio con tutto il suo cuore e, per mezzo dei simboli questa volta vivificanti della legge evangelica, si unisce a Colui che è il Salvatore degli nomini. Agli uni e agli altri, e per essi a tutti, Cristo può rivolgere le solenni parole del Deuteronomio: Prendo oggi come testimonio il cielo e la terra: ho posto davanti a voi la morte e la vita, affinché scegliate la vita, e amiate Dio, e gli ubbidiate; perché Dio è la vostra vita (Deut., XXX, 19).
D. Quale compito attribuisci tu a’ Giudei riguardo al Cristianesimo?
R. Essi ne son i testimoni. Attestano la continuità di cui io parlo. Accoliti involontari, essi presentano il Libro, e la luce dei fatti antichi, e l’incenso dei salmi. Vi recano un bello zelo; sono incomparabili conservatori dei nostri testi e delle nostre tradizioni; sono degli antichi che si vedono e fanno vedere degli antenati contemporanei, se posso dire così, dei morti che vivono. Sono dispersi da per tutto e sono una sola cosa; hanno altre patrie senza potere né voler rinnegare quella che ai divini disegni importa di conservare sussistente. Una tale testimonianza permanente, senza pari, senza sospetto, poiché depone contro di sé; questa testimonianza delle cose predette delle quali il testimonio rifiuta di vedere il compimento, ma conserva con amore i testi in cui i suoi profeti annunziano ciò stesso, cioè che egli sarà il nemico del compimento, benché amico della promessa, è un fenomeno provvidenziale sorprendente all’ultimo segno; esso, dicevo, commosse Renan, e strappa a Pascal la sua grande esclamazione: « È cosa ammirabile! ».
D. Ma perché i Giudei non credettero, perché non credono, dopo avere atteso quello che rifiutano?
R. Non è esatto che tutti non abbiano creduto. Le prime Chiese cristiane sono dei gruppi giudaici. In quel momento la divisione si fa tra i veri Giudei, che comprendono lo spirito della loro religione e lo riconoscono in Cristo, e i Giudei carnali, che disconoscono Cristo perché Egli non è carnale. Il seguito si spiega mediante la tradizione, e mediante la permanenza, in molti, di questo spirito carnale.
D. Dunque, secondo te, vi è qualche cosa di miracoloso nelle profezie successive di cui parli?
R. Una profezia è necessariamente un miracolo; nessuno sa naturalmente l’avvenire. Del resto a questo miracolo psicologico delle profezie si aggiunge il miracolo propriamente detto, il miracolo esterno, dei quali io non ritengo che il numero meglio attestato, il più impressionante, quello che forma attorno a Cristo una costellazione di fatti dolcemente luminosa come le nostre stelle.
D. L’idea dei miracoli mi urta.
R. Perché?
D. Per la sua stranezza, per la parte arbitraria che vi si insinua, per il disordine evidente che introdurrebbe nella trama delle cose, in opposizione con le leggi che studia la scienza e a scapito di tutte le nostre certezze.
R. Il miracolo non può apparire strano se non a una mente ancora lontana da Dio. Colui che vive abitualmente in presenza di Dio non si meraviglia di vedere che Dio fa qualche miracolo dal momento che Egli ha fatto tutto e tutto conserva. Nell’Enciclopedia, di solito antireligiosa, si trova questa lucida osservazione: « Supponi il nulla, e ti renderai conto che i fatti naturali e i fatti soprannaturali non tengono all’essere più gli uni che gli altri, non son più facili o più difficili a compiere gli uni che gli altri. Il rendere la vita a un morto è a Dio altrettanto facile quanto il conservarla a un Vivo ».
D. Ecco la facilità di ciò che è arbitrario.
R. È forse arbitrario che le leggi d’un ordine inferiore cedano alle leggi d’un ordine superiore? Ciò non si produce forse in tutta la natura, e la libertà umana non si oppone forse al determinismo nel nome dello spirito? Perché l’ordine soprannaturale non s’imporrebbe alle leggi naturali nel nome di fini superiori? Il funzionamento della natura è forse fatto per se stesso, e non deve se stesso allo spirito? Io direi volentieri con Hello che, turbando un ordine di fatti che ci opprime o che si oppone ai nostri fini spirituali, Dio non fa altro che «turbare il disordine »; difatti l’ordine è nella subordinazione della natura alla vita e della vita alle leggi morali che la regolano.
D. La mia impressione d’un ordine alla rovescia non è dissipata.
R. Aggiungo questo. Secondo nessun punto di vista vi è qui un «ordine alla rovescia », o disordine. Vi è solo un ordine nuovo, in ragione di un’inversione che orienta altrimenti i fenomeni e così fa capo ad altri risultati. Nessun agente naturale è per questo violentato né strappato alle sue proprie tendenze. Il miracolo scaturisce da Dio, ma è nella natura; «la sua trascendenza opera secondo modi immanenti » (MARCELLO SCHWOB).
D. Il determinismo nondimeno viene spezzato.
R. Niente affatto, se tu intendi di quel determinismo che è una legge della mente e una condizione di ogni scienza; perché il determinismo così inteso vuole soltanto che in date condizioni si produca un dato effetto. Aggiungi una condizione — qui l’intervento divino — lo stesso determinismo vuole che il risultato sia diverso. In quanto al determinismo naturale lasciato a se stesso, non ha niente d’intangibile; è un’abitudine dei fatti materiali; dunque, è inferiore allo spirito, del quale, per Enrico Bergson, esso rappresenta una meccanizzazione, una caduta; esso cede già davanti allo spirito umano: donde la libertà; cede anche davanti a Dio: donde il miracolo,
D. Ma che cosa diventa la certezza della scienza?
R. Sei tu certo di ciò che io farò domani? e perché saresti tu certo di ciò che farà o non farà Dio? Le certezze della scienza non hanno questo oggetto; esse hanno di mira ciò che io chiamavo or ora le abitudini dei fatti, i loro collegamenti spontanei, rivelatori d’una natura delle cose. Ma la natura delle cose si estende fino a Dio stesso; essa si dispone in gradi in tal modo che ciò che è natura per sé è soprannatura per rapporto a quello che esso domina e regge. Dio è soprannatura in modo assoluto; la sua volontà è la legge suprema, come la volontà dell’architetto è la legge della sua opera, come la volontà dell’acqua, se posso dire così, è la legge d’una turbina insieme immobile e che gira romoreggiando. Qui non c’è difficoltà se non per coloro a cui preme che la natura sia sola, senza che Dio la penetri. Ma questi partigiani non hanno più nulla a vedere coi diritti della scienza o con quelli del cosmo. Il miracolo non violenta affatto la natura; esso concorre con lei, e con ciò consacra le sue leggi.
R. E a che serve il miracolo?
R. A fare del bene e a fare della luce. I miracoli di Cristo sono tutti benefici, tutti rischiaranti.
D. Non dànno alla sua vita un’aria di leggenda atta a diminuire la sua azione, invece d’ingrandirla?
R. I miracoli di Cristo non hanno l’aria di leggenda; nessuno elemento di curiosità, di ostentazione o di puerilità ci si trova; essi si connettono strettamente al compito redentore. Gesù guarisce i corpi con quella stessa bontà che guarisce le anime; per il corpo Egli vuole arrivare all’anima, rendere autorevole la missione col suggello di Dio, rendere inescusabili i suoi negatori, e i suoi fedeli sicuri della loro prudenza, supplire per la durata della sua vita alle profezie non ancora compiute (come la sua sopravvivenza e quella dell’opera sua), combattere l’evidenza opprimente della sua umanità con uno splendore della sua divinità, allontanare lo scandalo dalle sue affermazioni trascendenti circa la sua Persona, prendendo il diritto di domandare, davanti a un paralitico: « Che cosa è più facile, dire: I tuoi peccati ti sono rimessi, o dire: Alzati e cammina? (Matteo, IX, 6).
D. I miracoli di Gesù Cristo non si spiegherebbero con la magia di una personalità meravigliosa?
R. La personalità di Gesù fu potente; ma ogni influenza ha dei limiti che ad ogni istante il Vangelo supera, e nessuno ha influsso sopra la morte. Del resto nella vita di Gesù vi sono dei miracoli ai quali la sua personalità è estranea.
D. Fai, dunque, allusione ai racconti dell’Infanzia. Ma queste storie di pastori e di magi non sono forse assai infantili?
R. Non vorrai giudicare infantile quella divina semplicità che tante grandezze compensano. È la sublimità propria del Vangelo l’aver messo insieme queste cose: le narrazioni di Betlemme, e il Discorso del Monte, il Gloria în excelsis e l’anatema contro i Farisei, l’officina di Nazaret e il Tabor; il presepio e la croce.
D. Ma queste narrazioni di miracoli non sarebbero state inserite dopo dai discepoli ingenui e zelanti?
R. Ciò si potrebbe supporre di qualche miracolo isolato; ma in generale essi fanno corpo con la Persona, con la dottrina e con la trama storica della vita; è impossibile ritirarli senza distruggere tutto.
D. Ma ancora, che cosa valgono questi testi e qual è la loro autorità?
R. Sotto l’aspetto della loro trasmissione, è riconosciuto che nessuno scritto dell’antichità offre tali garanzie critiche; e ciò, in grazia del gran numero di manoscritti prossimi agli originali, delle versioni primitive diverse, delle citazioni sparse e quasi immediate, delle edizioni scrupolose, ecc. In quanto agli stessi autografi, possono portare la data in media di una quarantina d’anni dopo la morte di Gesù; ma nota che lì non si tratta che della scrittura; prima vi è la testimonianza orale; vi sono quelli che hanno veduto e udito, e che attestano a costo della loro vita l’oggetto del loro messaggio. « Io mi fido di testimoni che si fanno sgozzare » (PASCAL).
D. Molti si sono fatti sgozzare per le loro credenze.
R. Non si tratta di credenze, ma di fatti, di tutta una vita di fatti.
D. Non vi sono nel Vangelo molte oscurità e contradizioni?
R. Esse sono minime, e provano la sincerità, l’indipendenza scambievole degli scrittori, fino a qual punto essi hanno «la passione del vero », come dice Origene. Con ciò, se lasciano del dubbio là dove i racconti non concordano, cioè in quanto all’accessorio, esse rinforzano la certezza là dove tutto concorda, cioè in quanto al principale. Sarebbe stato così facile, fuori del profondo rispetto del vero e delle fonti, il mettere d’accordo gli scritti!
D. Sai che si è arrivato a mettere in dubbio perfino la vita reale di Gesù Cristo.
R. È un eccesso estremamente oltraggioso di critici dilettanti. Ma se ve ne sono dei sinceri, coloro che qui dubitano hanno davvero perduto il senso del reale. Negli Evangelisti, la vita splende altrettanto e più che il misticismo; in essi tutto è profondamente umano, preso sul vivo dell’azione quotidiana, in connessione evidente con un ambiente e tempi storici determinatissimi, con uomini di carne ed ossa e con istituzioni positive che ogni sorta di minute particolarità fanno riconoscere. E tratti di realtà locale confermati dalla storia, dalla topografia, dalla psicologia e dall’esperienza si contano nel Vangelo a migliaia. Qui non si tratta di immaginazioni disparate. Le lacune dei racconti, le loro contraddizioni superficiali, l’opposizione apparente di certi tratti con lo scopo dei narratori, il carattere delle sconnessioni che nessun ritocco letterario corregge, la corsa allo spogliamento registrata nei fatti, ma non preparata, una moltitudine di affermazioni sconcertanti per il senso umano, ambigue, insospettabili, ingenuamente proposte tuttavia, come venienti da relatori che ti dicono: Ecco, noi non ne possiamo niente: mi sembra che sia già abbastanza per invalidare la supposizione d’una vita di Gesù tutta fabbricata di pezzi, e specialmente di pezzi, come si suppone, fuori di ogni realtà. Una tale supposizione è propriamente insensata. Ma c’è molto di più ancora. Ed è che la personalità di Gesù si rifiuta a ogni composizione letteraria o mistica, a ogni creazione spontanea e concertata all’infuori di un fatto storico, e di un fatto trascendente. Infatti, queste due cose sono legate insieme. Al Gesù del Vangelo è tanto impossibile l’essere solamente un uomo quanto il dileguarsi in fantasma.
D. Non sono sicuro di capire.
R. Mi spiegherò con gioia; perché il mio rispetto e il mio amore di questa sacra personalità mi rende dolcissimo il presentarla, se posso dire così, a chi mi può intendere. Domando solo che non dimentichiamo di raccoglierci.
D. Dici che la persona di Gesù non potrebbe essere una creazione della mente, che è necessariamente reale, e aggiungi: divinamente reale?
R. È così. Tu conosci questa brusca interrogazione di Pascal: «Chi ha insegnato agli Evangelisti le qualità di un’anima perfettamente eroica, per dipingerle così perfettamente in Gesù Cristo? ». Prendendo un esempio aggiunge: « Perché lo fanno debole nella sua agonia? Non sanno essi dipingere una morte costante? Sì; perché lo stesso S. Luca dipinge quella di S. Stefano più forte che quella di Gesù Cristo ». È un particolare; ma ve ne sono mille simili. Il carattere di Gesù nel Vangelo è elevato quanto lo può essere ideale d’uomo; la sua qualità morale permette di vedervi, se posso dire così, una forma umana degli attributi di Dio; ma, con ciò, questo carattere non ha niente di astratto; offre delle disparità che in una composizione o in un sogno collettivo sarebbero incomprensibili; in lui l’inatteso è un segno certo di autenticità, perché ce lo mostra radicato in realtà vive, che Egli stesso non esaurisce.
D. Bisognerebbe vedere questo.
R. Qui non posso far altro che fornire l’indicazione; ma tu verifica, e sarai colpito dall’evidenza. Nello stesso modo che la dottrina di Gesù non è una teoria, ma l’espressione della sua propria vita e della sua propria Persona, così la sua vita e la sua Persona, quali si presentano nei racconti evangelici, non sono costruzioni astratte, ma l’espressione di un ambiente in cui si manifesta un’anima, in cui si manifesta Iddio. Gesù è « una specie di giustizia animata », dice S. Tommaso d’Aquino; ma animato, alla base, significa corporale, misto alla natura, versato nella storia, come un prodotto di questo suolo così come del cielo. Ciò non si fabbrica punto in un gabinetto di lavoro, né scaldandosi in riunioni mistiche. Nessun vapore d’immaginazione ha questa densità cristallina, questi contorni spiccati, queste faccette in cui scherza una doppia chiarezza: quella di un’anima individuale infinitamente larga, ma tanto più consistente, e quella d’un ambiente di vita troppo complesso e obbiettivo da poterlo sognare. Qui, il concreto splende da per tutto ed è il miracolo! Trova tu altrove la perfezione dell’ideale nella realtà storica! « La grandezza emanata dalla persona di Cristo, scrive Goethe, è d’un genere divino tale, che mai il divino apparve così sopra la terra ».
D. Questo gran pagano non vuol forse dire che Gesù è divinamente uomo?
R. Lo credo; ma non mi basta. Perché ciò suppone contro i nostri sognatori una piena realtà storica, e offre una salda base per una prova di divinità.
D. Quest’ultimo punto mi tocca.
R. Ecco. Che Gesù sia « divinamente uomo », cioè più semplicemente, uomo perfetto, ciò suppone che in Lui nulla sia difettoso, né sotto l’aspetto dell’intellettualità, né in quanto alla condotta. Bisogna che i suoi nemici siano confusi, quando l’accusano sia di follia, sia di ambizione esasperata e satanica, proprio come quando lo dicono un beone o un seduttore. Ora confronta questa esigenza coi fatti, nella supposizione che Gesù sia semplicemente uomo. Ecco un riformatore che ti dice: « Ogni potere mi è stato dato in cielo e sopra la terra »; «il cielo e la terra passeranno, ma non passeranno le mie parole »; «Io sono la luce del mondo »; un Giudeo che, in un paese di teocrazia, si arroga il diritto di abrogare in qualche modo la legge del suo popolo e di fondare un avvenire sopra di se solo; un uomo che parla con autorità di ciò che ignorano gli uomini; che esige la credenza e il culto; che, mortale, pretende di risuscitare se stesso e di risuscitare gli altri; che crede di poter fissare, nel giorno del giudizio e già sopra la croce, la sorte eterna di chi lo confessa e ubbidisce a’ suoi precetti; in una parola, che in ciò e in mille altre cose si diporta come una personalità trascendente, e tu dici: È un uomo ideale? Ma io dico: Se non è che un uomo, egli è l’ideale della superbia o della divagazione, dell’esaltazione morbosa o dell’oltracotanza. Nei due casi bisogna voltargli le spalle, sia con ironia o con ira. Se questo non si fa, io stimo che non si possono scusare le sue parole e i suoi atti se non con l’adorazione.
D. Eppure Gesù non si disse Dio.
E. Questa parola cruda: «Io sono Dio », non rispondeva alle circostanze e non avrebbe procacciate le transizioni necessarie. Gesù dice quello che bisogna, giorno per giorno, per una progressiva educazione de’ suoi figli. Quando i suoi discepoli o i suoi miracolati vogliono precipitare le dichiarazioni, Egli li riprende; loro impone silenzio; alle volte pare che Egli stesso escluda perfino quello che rivendica, perché non è ancora venuto il momento e vi sono dodici ore nel giorno ». Riserva i misteri; ma pone nondimeno le premesse. Quello che non dice in termini propri, lo afferma equivalentemente, Dice se stesso figliuolo di Dio in un senso speciale ed unico; «Il Padre e io non formiamo che una sola cosa»; « Chi vede me, vede mio Padre ». Ha le creature spirituali al suo servizio. Giudica i vivi e i morti. Domanda che gli si sacrifichi tutto. Rimette i peccati e delega Egli stesso questo potere. Annunzia che manderà a’ suoi lo Spirito di Dio. Riceve senza rinviarli a Dio degli omaggi dovuti a Dio solo. Venne dal Padre sopra la terra. Si dice Signore di Davide, sedente alla destra del Signore Iddio. Lui solo conosce il Padre come il Padre conosce se Stesso, e tutti gli altri non conoscono il Padre se non per mezzo di lui. Tutto gli è stato rimesso nelle mani. Relativamente alla vigna umana, di cui Dio è il vignaiolo, è lui il Figlio, l’Erede per opposizione agli inviati apostoli o profeti. Davanti all’autorità suprema del suo paese e della sua religione, Egli pone quell’affermazione solenne, che porta seco la sua morte, cioè che Egli è il Cristo, Figliuolo di Dio vivo, e che verrà sopra le nubi del cielo alla destra della potenza di Dio.
D. Ma ha Egli veramente detto tutto questo, preteso tutto questo?
R. Ancora una volta, si potrebbe discutere sopra una data parola, come si potrebbe cavillare su un dato miracolo, e, secondo l’uso, distinguere tra i « sinottici » e « Giovanni », Ma se si prendono le cose nell’insieme, lealmente, tali quali si presentano, è impossibile negare che Gesù non si sia presentato come un personaggio sovrumano. E ciò non ci basta? Vorremmo noi, come certi gnostici, domandarci se Egli non fosse un eone? – La questione è questa: È Egli realmente sovrumano, o è il pazzo? È Egli sovrumano, o è il « seduttore » che denunziarono i pontefici chiedendo la sua morte? Perché bisogna ben confessarlo, se Gesù non è sovrumano, quindi avente autorità in tutto quello che disse, in tutto quello che fece, allora sono i farisei che hanno ragione; ed Egli meritò la sua sorte; gli fecero espiare con giustizia le sue sacrileghe impertinenze.
D. Eppure, Renan…
R. Sostenne una scommessa, e non vi riuscì. Volle collocare «al sommo dell’umanità » un essere che Egli stesso descrive — in frasi graziose — come un allucinato e un mentitore. Lo incensa e lo beffeggia. Lo dichiara « divino » dolendosi amaramente della sua divinità e del suo onore nello stesso tempo. «Un essere miracoloso in un universo senza miracolo », dice Bernanos; un prodigio di umiltà e di orgoglio; un predicatore di Dio che « attira tutto a sé »; un dottore della rinunzia, tutta la dottrina del quale si fonda sullo spogliamento dell’io; e che spinge Lui stesso la sua ambizione fino a brigare — e ottenere — un culto universale. Ciò non regge.
D. Non sarebbe possibile un’altra interpretazione di questa vita e di questa personalità?
R. Vi è quella di Giulio Soury: Gesù figlio di alcoolico o di degenerato; quella di Binet-Sanglé: Gesù pazzo.
D. Parliamo seriamente.
R. Seriamente, tutte le interpretazioni naturali del fatto di Gesù Cristo sono state distrutte una dopo l’altra, distrutte l’una dall’altra; collettivamente si annullano, e il fatto di Gesù rimane.
D. Che impressione diretta ne avresti tu, facendo astrazione da’ tuoi dogmi?
R. Una tale astrazione è assai difficile; non si può garantire che la propria sincerità. Col benefizio di questa riserva, ecco quel che io penso.
D. Ti ascolto ardentemente.
R. Gesù si presenta come trascendente al primo sguardo. Si può credere al migliore Napoleone; «io m’intendo di uomini, e e ti dico che Gesù Cristo non era un uomo ». Questo equilibrio, quest’armonia di una condotta tanto eminente quanto semplice e di una parola tanto naturale quanto sublime; questo dono di essere in casa sua nei due mondi, di parlare delle cose terrene e delle cose celesti come ugualmente familiari, dei grandi oggetti e dei piccoli come dello stesso valore, come un uomo opulento parla di milioni, un generale di piazze forti, un capo di Stato di province; questa facoltà di non mai stupirsi, di essere all’altezza di tutto, di sciogliere ogni difficoltà e di dirimere ogni questione con un solo sprazzo di luce: ecco di che trasportarci in una sfera a parte; questo non è umanità corrente, e la parola eccezionale non mi basta. Gesù parla positivamente delle cose dell’altro mondo come un viaggiatore parla al forestiero delle istituzioni del suo paese; Egli dice quello che sa, quello che ha veduto, e che è per lui cosa di famiglia, quello che è Lui stesso, ed opera in conformità.
D. È qualcosa di sublime al modo di Socrate.
R. Che differenza! «La vita e la morte di Socrate sono di un uomo, dice Gian Giacomo Rousseau; la vita e la morte di Gesù Cristo sono di un Dio ». Per me è l’evidenza che parla. Leggi il Vangelo ingenuamente, fedelmente, non con quella fedeltà che consiste nel credere prima questo o quello, ma con la fedeltà anticipata che si deve alla verità quando la si cerca; leggilo con spirito religioso, cioè ponendoti internamente le questioni eterne e pronto ad ascoltare la risposta; leggi così, e di sé non senti la presenza di Dio.
D. Allora è una visione, non più storia.
R. Dico presenza di Dio, e dico anche realtà umana la più autentica. Ciò non è mitologia; non è teologia abbigliata di fatti; il reale spunta fuori; è il reale positivo che è « caduto dal cielo » (ALESSANDRO DUMAS figlio); la spiritualità più trascendente e il fatto più concreto sono qui inseparabilmente legati e si provano l’un l’altro; il loro incontro è più miracoloso dei miracoli che si vedono. Tutti i nostri quadri di realtà sono spezzati; la nostra mente è sorpassata; il nostro cuore è anelante, eppure questo ha l’accento del vero; è il suono del reale umano e il suono d’una voce divina.
D. Insomma, a’ tuoi occhi, Vangelo prova se stesso.
R. Esattamente, e oso dire che ci vuole una specie di cecità spirituale per non vedere.
D. Questa cecità è assai diffusa.
E. Ahimè! ci sono tante cose accecanti che noi non vediamo!
D. Almeno si sospettano, e questo sospetto si fa riconoscere.
R. È questo veramente il caso. Anche quando non si crede alla divinità di Cristo, la si sente, la si prova sotto la forma di una venerazione unica, alla quale nessuna personalità della storia potrebbe pretendere anche lontanamente. Dimmi, vi è un uomo del quale non si stimerebbe ridicolo il dire: Egli è Dio? Ma non si trova ridicolo dicendolo di Cristo. Coloro che negano la sua dottrina, ed anche, cosa strana, coloro che negano Dio, lo riconoscono di un ordine divino, gli attribuiscono, come Augusto Sabatier, « una specie di natura divina ».
D. Che significa questo?
R. Chiedilo al suo autore. Per conto mio, dico che una virtù esce da Cristo, come diceva egli stesso, ed essa guarisce le cecità del bestemmiatore.
D. Che cosa pensi della risurrezione di Gesù?
R. È il più grande de’ suoi miracoli, e il meglio attestato di tutti; perché gli altri hanno per sé la testimonianza degli uomini: questo invece vi aggiunge la testimonianza de’ suoi effetti.
D. Quali effetti?
R. Quelli che lo stabilimento della fede suppone. Ricorda quello che disse Ernesto Lavisse: «Io, storico, non so ciò che avvenne il mattino di Pasqua; ma quello che ben so è che quel giorno nacque un’umanità che non muore più». Una umanità perpetua, sorta da quella tomba, è qualche cosa! È un’attestazione del prodigio segreto. Infatti, se Gesù soccombette al suo compito, donde è partito quell’immenso movimento di cui viviamo ancora? Come si spiega che Gesù sia per noi diventato ogni cosa ed occupi tutto lo spazio, con la sua presenza o con la sua assenza; che la sua causa si confonda oramai con quella della Divinità sopra la terra, e che tutta un’umanità viva con questo morto, se la tomba non ce lo ha restituito?
D. Chi parla di vivere intimamente con lui!
R. Si vive intimamente con Gesù Cristo; Egli è per noi più che uno vivo, più che un uomo presente e che ci parla.
D. Come ciò?
R. È il miracolo della Chiesa, della grazia e dell’Eucaristia. Per la Chiesa, Cristo ci avvolge; per la grazia, abita nei nostri cuori; per l’Eucaristia, rende sensibile esternamente come internamente la sua divina presenza. Or tutto questo non è niente senza la risurrezione.
D. È possibile nutrirsi di ciò che, in sé, non è niente, quando dei secoli di tradizione lo consacrano.
R. Ma io parlo del punto di partenza; domando che cosa ha inaugurato il primo impulso e quale ne fu la molla. Che cosa è che ha messo in moto gli Apostoli e li fece riuscire? « Bisognava che qualche cosa fosse successo », dice Claudel, « Mentre Gesù era con essi, dice Pascal, Egli li poteva sostenere; ma dopo, se non è apparso loro, chi li ha fatti agire? ». Si erano veduti così deboli! fuori di ogni avvenimento sovrumano, come hanno fatto per trascinare tutta la terra nei loro movimenti?
D. I discepoli di Maometto sono diventati un grande popolo.
R. Sono diventati un grande popolo per la forza della scimitarra; il Cristianesimo si stabilì per l’idea e per il fatto. L’idea era la dottrina di Cristo, che convertì e trasformò in umanità nuova tutto il mondo civile d’allora; il fatto, garante della dottrina e che ne era inseparabile, era, in primo luogo, la risurrezione.
D. Pure sì dice comunemente, tra coloro che non credono, che la risurrezione fu supposta dopo, per il fatto d’un entusiasmo religioso.
R. Essa all’opposto è alla base di tutto. Senza di essa non si spiega niente. Non è un effetto della fede, ma la causa. La Chiesa poggia sulla pietra della tomba vuota.
D. Per te il Cristianesimo è dunque dimostrato?
R. È dimostrato quanto si possono dimostrare le cose morali.
D. È una restrizione?
R. Con ciò io intendo di eliminare delle esigenze assurde. Ogni ordine di conoscenza ha le sue prove, che corrispondono alla sua natura; i teoremi si provano matematicamente, le leggi scientifiche scientificamente, i fatti morali moralmente, e i fatti religiosi religiosamente.
D. Che cosa significa quest’ultima parola?
R. Essa sottintende un triplice concorso: quello di una saggia indagine, quello di una volontà retta, quello della grazia, senza le quali Dio non si può raggiungere.
D. Che cosa fare, con questo spirito?
R. Te lo dirò in generale, e te lo dirò per te stesso, se lo permetti, pronunziando le mie ultime parole.
— Attendo.