QUARE ERGO RUBRUM EST INDUMENTUM TUUM, ET VESTIMENTA TUA SICUT CALCANTIUM IN TORCULARI? … ET ASPERSUS EST SANGUIS EORUM SUPER VESTIMENTA MEA, ET OMNIA VESTIMENTA MEA INQUINAVI . – Gestito dall'Associazione Cristo Re Rex Regum"Questo blog è un'iniziativa privata di un’associazione di Cattolici laici: per il momento purtroppo non è stato possibile reperire un esperto teologo cattolico che conosca bene l'italiano, in grado di fare da censore per questo blog. Secondo il credo e la comprensione del redattore, tutti gli articoli e gli scritti sono conformi all'insegnamento della Chiesa Cattolica, ma se tu (membro della Chiesa Cattolica) dovessi trovare un errore, ti prego di segnalarlo tramite il contatto (cristore.rexregum@libero.it – exsurgat.deus@libero.it), onde verificare l’errore presunto. Dopo aver verificato l’errore supposto e riconosciuto come tale, esso verrà eliminato o corretto. Nota: i membri della setta apostata del Novus Ordo o gli scismatici ed eretici sedevacantisti o fallibilisti, o i "cani sciolti" autoreferenti falsi profeti,non hanno alcun diritto nè titolo per giudicare i contenuti di questo blog. "
CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA:SETTEMBRE 2021
Settembre è il mese che la Chiesa Cattolica dedica alla Santa Croce e alla Vergine Addolorata
… i veri fedeli formano un solo corpo con Gesù Cristo; e questa unione è cominciata sul Calvario. Come Gesù Cristo è Figlio di Maria, cosi i fedeli a Lui uniti sono divenuti sul Calvario in Lui e con Lui anche di Maria Figliuoli. I Giudei e gli eretici non intendono questo mistero, e quanto sono perciò infelici. Vantaggio di noi Cattolici, che, essendo nella vera Chiesa, soli abbiamo Maria per nostra vera madre.
… al medesimo modo, sebbene Maria per la sua cooperazione alla redenzione, alla nascita spirituale di tutti, come vedremo, sia divenuta di tutti la Madre, come Gesù Cristo è il Redentore di tutti: pure in fatto ella non è realmente Madre se non di coloro di cui Iddio è il vero Padre, e Gesù Cristo il vero maestro e fratello; cioè a dire dei veri Cattolici, di quelli che con Gesù Cristo compongono il corpo di cui Egli è il capo, cioè la Chiesa. – Questa verità appunto, tanto preziosa quanto consolante per noi che abbiamo la sorte di appartenere a questa Chiesa, Gesù Cristo ha voluto rammentarci coll’avere detto a Maria, additando Giovanni: Ecco IL VOSTRO FIGLIO, Ecce filius tuus, perché, come abbiamo di sopra osservato, è stato come se avesse dichiarato che in fatto solo coloro, sarebbero i veri figli di Maria ai quali converrebbero i caratteri distintivi di S. Giovanni, che sono quelli dì essere il discepolo fedele di Gesù e l’oggetto del suo tenero amore: Discipulus quem,diligebat Jesus.
… ecco il vostro figlio; e non già: Eccovi in Giovanni un altro figlio, fu lo stesso che dire: Questi è Gesù, di cui voi siete laMadre: imperciocché chiunque è perfetto non vive altrimenti esso più in sé stesso, ma è Gesù Cristo che vive in lui … Queste parole sono profonde: ma esse sono di una ammirabile esattezza teologica: giacché sono appoggiate ad una verità che è il fondamento della vera fede, e che S. Paolo non ha cessato di spiegare, d’inculcare, di ripetere nelle sublimi sue lettere, cioè a dire che tutti i veri fedeli, tutte le membra della vera Chiesa, non formano con Gesù Cristo che una medesima cosa, un medesimo tutto, un medesimo corpo, un solo e medesimo figliuolo. … Perciò come Gesù Cristo è Figlio di Dio, oggetto della sua tenerezza, ed erede della sua gloria: noi ancora, subito che siamo aGesù Cristo incorporati e formiamo una cosa istessa con Lui, diventiamo per questo, solo, in Gesù Cristo e con Gesù Cristo, figli di Dio, oggetti delle tenerezze di Dio, eredi della gloria di Dio. Sicché come separati da Gesù Cristo non abbiamo nulla, non meritiamo nulla, non siamo nulla: così, uniti a Lui, in Lui e con Lui abbiamo tutto, meritiamo tutto e siamo tutto quello che è esso stesso: In quo omnia. – Or siccome Gesù Cristo è ancora vero Figlio di Maria; così, nell’incorporarci a Luiper mezzo dei sacramenti, nel divenire una stessa cosa con Lui, come appunto l’innesto, secondo S. Paolo, diviene unacosa medesima coll’albero in cui è messo: diveniamo altresì figli di Maria a quel medesimo modo e per quella ragione medesima onde dopo questa unione diveniamo figli di Dio, perché Gesù Cristo di Dio è Figliuolo: Ma questa nostra figliolanza da Dio e da Maria siccome è l’effetto della nostra unione con Gesù Cristo, e non l’otteniamo che in Lui e con Lui: così non formiamo con Lui ed in Lui che un figlio solo di Dio, un figlio solo di Maria, perché in Lui e con Lui formiamo un solo tutto, un solo composto mistico, un solo corpo.
(GIOACCHINO VENTURA: LA MADRE DI DIO, ovvero SPIEGAZIONE DEL MISTERO DELLA SS. VERGINE A PIE’ DELLA CROCE; GENOVA, Presso D. G. ROSSI 1852)
-381-
Fidelibus, qui mense septembri preces vel alia pietatis obsequia B. M. V. Perdolenti devote præstiterint, conceditur [A chi durante il mese di settembre, devotamente pregherà o compirà un esercizio di ossequio e pietà alla B. M. V. si concede]:
Indulgentia quinque annorum semel, quolibet mensis die;
Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo eidem pio exercitio quotidie per integrum mensem vacaverint
(Breve Ap., 3 apr. 1857; S. C . Indulg., 26 nov. 1876 et 27 ian. 1888; S. Pæn. Ap., 12 nov. 1936).
-382-
Fidelibus, qualibet ex septem feriis sextis utrumque festum B. M. V. Perdolentis immediate antecedentibus, si ad honorem eiusdem Virginis Perdolentis septies Pater, Ave et Gloria recitaverint, conceditur [Ai fedeli che per sette venerdì antecedenti la festa della BMV Addolorata, in onore della Vergine Addolorata reciteranno sette Pater, Maria, Gloria, si concede:]:
~Indulgentia plenaria suetis conditionibus, sequentia quotidie per integrum mensem devote reperita
(S. C. Indulg., 18 iun. 1876; S. Pæn. Ap., 1 aug. 1934).
Festa della Natività della Beata Vergine Maria: 8 settembre
Novena a Maria Bambina
Santa Maria Bambina della casa reale di David, Regina degli Angeli, Madre di grazia e di amore, vi saluto con tutto il mio cuore. Ottenete per me la grazia di amare il Signore fedelmente durante tutti i giorni della mia vita. Ottenete per me una grandissima devozione a Voi, che siete la prima creatura dell’amore di Dio.
Ave Maria,…
O celeste Maria Bambina, che come una colomba pura, nasce immacolata e bella, vero prodigio della saggezza di Dio, la mia anima gioisce in Voi. Oh! Aiutatemi a preservare nell’Angelica virtù di purezza a costo di qualsiasi sacrificio.
Ave Maria,…
Beata, incantevole e Santa Bambina, giardino spirituale di delizia, dove il giorno dell’incarnazione è stato piantato l’albero della vita, aiutatemi ad evitare il frutto velenoso della vanità ed i piaceri del mondo. Aiutatemi a far attecchire nella mia anima i pensieri, i sentimenti e le virtù del vostro Figlio divino.
Ave Maria,…
Vi saluto, Maria Bambina ammirevole, rosa mistica, giardino chiuso, aperto solo allo Sposo celeste. O Giglio di paradiso, fatemi amare la vita umile e nascosta; lasciate che lo Sposo celeste trovi la porta del mio cuore sempre aperta alle chiamate amorevoli delle sue grazie ed ispirazioni.
Ave Maria,…
Santa Maria bambina, mistica Aurora, porta del cielo, Voi siete la mia fiducia e speranza. O potente avvocata, dalla vostra culla stendete la mano per sostenermi nel cammino della vita. Fate che io serva Dio con ardore e costanza fino alla morte e così possa giungere all’eternità con Voi.
Ave Maria,…
Preghiera:
Beata Maria bambina, destinata ad essere la Madre di Dio e la nostra tenera Madre, provvedetemi di grazie celesti, ascoltate misericordiosamente le mie suppliche. Nei bisogni che mi opprimono e soprattutto nelle mie presenti tribolazioni, ho riposto tutta la mia fiducia in Voi.
O Santa bambina, i privilegi che a Voi sola sono stati concessi dall’Altissimo, i meriti che avete acquistato, mostrano che la fonte dei favori spirituali ed i benefici continui che dispensate sono inesauribili, poiché il vostro potere presso il cuore di Dio è illimitato. – Degnatevi attraverso l’immensa profusione di grazie con cui l’Altissimo Vi ha arricchito fin dal primo momento della vostra Immacolata Concezione, di esaudire, o celeste Bambina, le nostre richieste e staremo eternamente a lodare la bontà del vostro Cuore Immacolato.
[IMPRIMATUR: In Curia Archiep. Mediolani – 31 agosto 1931
Canon. CAVEZZALI, Pro Vic. Gen.]
Ecco le feste della Chiesa Cattolica del mese di: Settembre 2021
1 Settembre S. Ægidii Abbatis – Feria
2 Settembre S. Stephani Hungariæ Regis Confessoris Semiduplex
3 Settembre S. Pii X Papæ Confessoris Duplex
PRIMO VENERDI’
4 Settembre
PRIMO SABATO
5 Settembre Dominica XV Post Pentecosten II. Septembris Semiduplex Dom. minor
S. Laurentii Justiniani Episcopi et Confessoris Semiduplex
8 Settembre In Nativitate Beatæ Mariæ Virginis – Duplex II. classis *L1*
9 Settembre S. Gorgonii Martyris Feria
10 Settembre S. Nicolai de Tolentino Confessoris Duplex
11 Settembre Ss. Proti et Hyacinthi Martyrum Feria
12 SettembreDominica XVI Post Pentecosten III. Sept. Semiduplex Dom. minor *I*
S. Nominis Beatæ Mariæ Virginis Duplex
14 Settembre In Exaltatione Sanctæ Crucis Duplex II. classis *L1*
15 Settembre Septem Dolorum Beatæ Mariæ Virginis – Duplex II. classis *L1*
Feria Quarta Quattuor Temporum Septembris Ferial
16 Settembre Ss. Cornelii Papæ et Cypriani Episcopi, Martyrum Semiduplex
17 Settembre Impressionis Stigmatum S. Francisci Feria
Feria Sexta Quattuor Temporum Septembris Ferial
18 Settembre S. Josephi de Cupertino Confessoris Ferial
Sabbato Quattuor Temporum Septembris Ferial
19 SettembreDominica XVII Post Pentecosten IV. Sept. Semiduplex Dom. minor *I*
S. Januarii Episcopi et Sociorum Martyrum Duplex
20 Settembre S. Eustachii et Sociorum Martyrum – Feria
21 Settembre S. Matthæi Apostoli et Evangelistæ Duplex II. classis
22 Settembre S. Thomæ de Villanova Episcopi et Confessoris Duplex
23 Settembre S. Lini Papæ et Martyris Semiduplex
24 Settembre Beatæ Mariæ Virginis de Mercede Feria
26 Settembre Dominica XVIII Post Pentecosten V. Sept. Semiduplex Dom. minor*I*
Ss. Cypriani et Justinæ Martyrum Simplex
27 Settembre S. Cosmæ et Damiani Martyrum Semiduplex
28 Settembre S. Wenceslai Ducis et Martyris Semiduplex
29 Settembre In Dedicatione S. Michaëlis Archangelis Duplex I. classis *L1*
30 Settembre S. Hieronymi Presbyteris Confessoris et Ecclesiæ Doctoris Duplex *L1*
L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXII)
INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.
DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,
OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,
PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856
LIBRO SETTIMO.
§ III.
Le sette ultime piaghe.
CAPITOLO XVI. – VERSETTI 1-21
Et audivi vocem magnam de templo, dicentem septem angelis: Ite, et effundite septem phialas iræ Dei in terram. Et abiit primus, et effudit phialam suam in terram, et factum est vulnus sævum et pessimum in homines, qui habebant caracterem bestiae, et in eos qui adoraverunt imaginem ejus. Et secundus angelus effudit phialam suam in mare, et factus est sanguis tamquam mortui: et omnis anima vivens mortua est in mari. Et tertius effudit phialam suam super flumina, et super fontes aquarum, et factus est sanguis. Et audivi angelum aquarum dicentem: Justus es, Domine, qui es, et qui eras sanctus, qui haec judicasti:quia sanguinem sanctorum et prophetarum effuderunt, et sanguinem eis dedisti bibere: digni enim sunt. Et audivi alterum ab altari dicentem: Etiam Domine Deus omnipotens, vera et justa judicia tua. Et quartus angelus effudit phialam suam in solem, et datum est illi aestu affligere homines, et igni: et æstuaverunt homines æstu magno, et blasphemaverunt nomen Dei habentis potestatem super has plagas, neque egerunt pœnitentiam ut darent illi gloriam. Et quintus angelus effudit phialam suam super sedem bestiæ: et factum est regnum ejus tenebrosum, et commanducaverunt linguas suas præ dolore: et blasphemaverunt Deum cæli præ doloribus, et vulneribus suis, et non egerunt poenitentiam ex operibus suis. Et sextus angelus effudit phialam suam in flumen illud magnum Euphraten: et siccavit aquam ejus, ut præpararetur via regibus ab ortu solis. Et vidi de ore draconis, et de ore bestiæ, et de ore pseudoprophetœ spiritus tres immundos in modum ranarum. Sunt enim spiritus dœmoniorum facientes signa, et procedunt ad reges totius terrae congregare illos in prælium ad diem magnum omnipotentis Dei. Ecce venio sicut fur. Beatus qui vigilat, et custodit vestimenta sua, ne nudus ambulet, et videant turpitudinem ejus. Et congregabit illos in locum qui vocatur hebraice Armagedon. Et septimus angelus effudit phialam suam in aerem, et exivit vox magna de templo a throno, dicens: Factum est. Et facta sunt fulgura, et voces, et tonitrua, et terræmotus factus est magnus, qualis numquam fuit ex quo homines fuerunt super terram: talis terraemotus, sic magnus. Et facta est civitas magna in tres partes: et civitates gentium ceciderunt. Et Babylon magna venit in memoriam ante Deum, dare illi calicem vini indignationis irae ejus. Et omnis insula fugit, et montes non sunt inventi. Et grando magna sicut talentum descendit de cælo in homines: et blasphemaverunt Deum homines propter plagam grandinis: quoniam magna facta est vehementer.
[E udii una gran voce dai tempio, che diceva ai sette Angeli: Andate, e versate le sette coppe dell’ira di Dio sulla terra. E andò il primo, e versò la sua coppa sulla terra, e ne venne un’ulcera maligna e pessima agli uomini che avevano il carattere della bestia, e a quelli che adorarono la sua immagine. E il secondo Angelo versò la sua coppa nel mare, e divenne come sangue di cadavere: e tutti gli animali viventi nel mare perirono. E il terzo Angelo versò la sua coppa nei fiumi e nelle fontane d’acque, e diventarono sangue. E udii l’Angelo delle acque che diceva: Sei giusto, Signore, che sei e che eri, (che sei) santo, tu che hai giudicato così: perché hanno sparso il sangue dei santi e dei profeti, e hai dato loro a bere sangue: perocché ne sono degni. E ne udii un altro dall’altare che diceva: Sì certo, Signore Dio onnipotente, i tuoi giudizi (sono) giusti e veri. E il quarto Angelo versò la sua coppa nel sole, e gli fu dato di affliggere gli uo- mini col calore e col fuoco: e gli uomini bruciarono pel gran calore, e bestemmiarono il nome di Dio, che ha potestà sopra di queste piaghe, e non fecero penitenza per dare gloria a lui. E il quinto Angelo versò la sua coppa sul trono della bestia: e il suo regno di- ventò tenebroso, e pel dolore si mordeva o le loro proprie lingue: E bestemmiarono il Dio del cielo a motivo dei dolori e delle loro ulceri, e non si convertirono dalle loro opere. E il sesto Angelo versò la sua coppa nel gran fiume Eufrate, e si asciugarono le sue acque, affinché si preparasse la strada ai re d’Oriente. E vidi (uscire) dalla bocca del dragone e dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta tre spiriti immondi simili alle rane. Poiché sono spiriti di demoni, che fanno prodigi, e se ne vanno ai re di tutta la terra per congregarli a battaglia nel gran giorno di Dio onnipotente. Ecco che io vengo come un ladro. Beato chi veglia e tiene cura delle sue vesti, per non andare ignudo, onde vedano la sua bruttezza. E lì radunerà nel luogo chiamato in ebraico Armagedon. E il settimo Angelo versò la sua coppa nell’aria, e dal tempio uscì una gran voce dal trono, che diceva: È fatto. E ne seguirono folgori, e voci, e tuoni, e successe un gran terremoto, quale, dacché uomini furono sulla terra, non fu mai terremoto così grande. E la grande città sì squarciò in tre parti: e le città delle genti caddero a terra: e venne in memoria dinanzi a Dio la grande Babilonia, per darle il calice del vino dell’indignazione della sua ira. E tutte le isole fuggirono, e sparirono i monti. E cadde dal cielo sugli uomini una grandine grossa come un talento: e gli uomini bestemmiarono Dio per la piaga della grandine: poiché fu sommamente grande.]
I. Stiamo per assistere alle scene più terribili che il mondo abbia mai visto. Questo capitolo contiene la descrizione delle sette piaghe della fine dei tempi, e soprattutto la rovina dei malvagi. Ma dobbiamo avvertire il lettore che questa descrizione delle sette piaghe è talvolta interrotta da citazioni ed applicazioni che il testo stesso richiede.
Vers. 1. – E udii una voce forte dal tempio, che diceva ai sette Angeli: Andate e versate sulla terra le sette coppe dell’ira di Dio.
I° Questa voce è quella di Dio stesso, che comanderà agli Angeli che sono intorno al suo trono, sempre pronti a compiere la sua volontà, a presiedere all’apostolato di cui abbiamo parlato. Egli designerà sette di loro che dovranno portare sulla terra le sette piaghe della sua ira, sia comunicando la sua potenza agli ultimi apostoli della Chiesa militante, sia liberando lucifero e permettendogli di infierire. Queste piaghe sono rappresentate nell’Antico Testamento dalle piaghe d’Egitto. Exod., VII, etc. 2° Questa voce rappresenta anche la voce che il Sommo Pontefice farà sentire con forza in quel tempo, con le sentenze di anatema che pronuncerà contro l’ultima eresia, Apoc. XIV, 9: « Chi adora la bestia, ecc. berrà il vino dell’ira di Dio, etc. … ». 3º Questa voce forte è quella della Chiesa, rappresentata dal tempio; poiché la Chiesa manderà i suoi missionari e i suoi predicatori, etc. per tutta la cristianità, per predicare contro questa eresia. E dirà loro: Andate e versate sulla terra le sette coppe dell’ira di Dio. Queste parole sono una figura degli effetti miracolosi che seguiranno le fulminee sentenze di scomunica che la Chiesa pronuncerà contro i malvagi. Essi esprimono anche il potere che gli ultimi apostoli eserciteranno sugli uomini. Infatti, Enoch ed Elia, che verranno verso la fine dei tempi, presiederanno a questo apostolato, ed è detto di loro, (Apoc. XI, 6): « Essi hanno il potere di chiudere il cielo, di impedire che la pioggia cada mentre profetizzano; e hanno il potere di trasformare l’acqua in sangue e di colpire la terra con ogni sorta di piaghe, tutte le volte che vogliono. » Ora segue la prima piaga.
II. Vers. 2. E il primo uscì e versò la sua coppa sulla terra; e gli uomini che avevano il carattere della bestia e quelli che adoravano la sua immagine furono colpiti da una piaga crudele e terribile. 1° Con questi numeri, il primo, il secondo, ecc., San Giovanni designa in generale tutte le piaghe che affliggeranno gli uomini in quel tempo, e queste piaghe saranno numerose e diverse, come si può vedere da queste parole: « Hanno il potere ….. di colpire la terra con ogni sorta di piaghe, tutte le volte che vorranno. » 2° San Giovanni designa sette piaghe che caratterizza più specificamente. Ma questo numero sette rappresenta comunque tutti i tipi possibili di piaghe possibili che questi apostoli infliggeranno tutte le volte che vorranno, così come i sette Angeli rappresentano anche tutti gli apostoli della fine dei tempi, che saranno certamente numerosi. 3º Questo numero sette si applica piuttosto alle sette piaghe principali che San Giovanni caratterizza, come agli Angeli che le diffonderanno. 4° Con questi Angeli, San Giovanni ci rappresenta gli Angeli buoni e anche quelli cattivi; è così che lucifero è uno di quegli angeli che Dio manda o permette, secondo i suoi disegni segreti. 5° Questo numero sette non è tanto ordinale quanto cardinale; cioè, San Giovanni ha voluto piuttosto designare in sette specie l’ordine principale in cui queste coppe saranno versate. Infatti, queste piaghe verranno anche tutte insieme (Apoc. XVIII, 8). « Ecco perché in un solo giorno arriveranno queste piaghe, la morte, il duolo, e la carestia, ed essa (Babilonia) sarà bruciata dal fuoco. » E gli uomini che avevano il carattere della bestia e quelli che adoravano la sua immagine, erano colpiti da una piaga crudele e terribile. Noi crediamo che questa piaga consisterà in una crudele malattia dell’intestino. Troviamo, inoltre, nelle piaghe inflitte da Mosè e Aronne una figura di ciò che può essere quello di cui si tratta qui, e di cui San Giovanni non indica il carattere. Esodo, IX, 10: « Presero delle ceneri e si misero davanti al faraone, e Mosè le gettò verso il cielo, e allora si formarono ulcere e gonfiori ardenti su uomini e bestie. » Vedi anche 1 Reg V, 6, 9. Poi viene la seconda piaga.
III. Vers. 3; … e tutto ciò che aveva vita nel mare morì. Questa seconda piaga sarà dunque la corruzione dell’acqua del mare, che diventerà come il sangue di un morto; e il sangue di un morto, non avendo più la sua circolazione e diventando più denso e più nero, non tarda a corrompersi e a divenire infetto. Il fetore e l’infezione che risulteranno da una tale piaga possono essere giudicati da questo, quando tutta l’acqua dei mari sarà diventata come il sangue di un morto. E tutto ciò che aveva vita nel mare morirà, cioè tutti i pesci e i cetacei periranno, e il fetore dei loro corpi morti si aggiungerà alle esalazioni putride dell’acqua del mare, che è diventata come il sangue di un morto. Noi stessi fummo testimoni di una simile piaga al tempo del colera che afflisse così crudelmente l’Europa nell’anno 1854; e vedemmo le acque del golfo di Napoli simili all’olio e luminose come il fosforo, a perdita d’occhio. I pesci perirono in grande quantità e il popolo si astenne dal mangiarli per tutta la durata dell’epidemia. Questo fenomeno, che a volte si vede nei grandi calori, si manifestò in un grado senza pari; e gli studiosi cercavano di spiegarlo con la presenza di microrganismi.
IV . Vers. 4. – E il terzo Angelo versò la sua coppa sui fiumi e sulle fontane, e ci fu sangue ovunque. Tutte queste parole e le precedenti devono essere prese alla lettera. Così, in quel tempo, non ci sarà quasi più acqua da bere, perché non solo l’acqua salata ma anche l’acqua dolce sarà trasformata in sangue, come il testo esprime con queste parole: Sui fiumi e sulle fontane, e c’era sangue ovunque. Questa mancanza d’acqua avverrà nello stesso momento in cui gli uomini saranno bruciati da un calore divorante; perché in un solo giorno verranno le sue piaghe, la morte, il lutto e la carestia, e Babilonia, cioè le nazioni della terra che hanno adorato la bestia e hanno portato il carattere del suo nome, sarà bruciata col fuoco, perché il Dio che la giudicherà è il Dio forte. Dopo questa terza piaga, San Giovanni interrompe il corso della sua descrizione con le seguenti osservazioni:
V. Vers. 5. – E udii l’Angelo delle acque dire: Voi siete giusto, o Signore, che siete e che siete stato; Voi siete santo, quando giudicate così. 1° Sant’Agostino, (Lib . 83, 9, 79), e prima di lui Origene, (Hom. 14, in Num.) insegnano che ogni cosa visibile in questo mondo è governata da un Angelo, ed è per questo che si è parlato dell’Angelo delle acque nel nostro testo. 2°. È stato detto più di una volta che le acque nella Scrittura spesso significano le tribolazioni. Con questo Angelo delle acque, San Giovanni rappresenta allegoricamente il sentimento unanime dei fedeli della Chiesa, che accetteranno con rassegnazione queste grandi tribolazioni alle quali prenderanno parte anche essi. Infatti, i giusti, secondo l’esperienza di tutti i secoli, patiscono insieme ai colpevoli. L’unica differenza è che i santi comprendono la giustizia e la santità di Dio in mezzo alle loro prove, mentre gli empi non lo comprendono; e questo è ciò che si vedrà specialmente alla fine dei tempi, secondo Daniele, XII, 10: « Molti saranno scelti e purificati, e provati come dal fuoco; e quelli che sono empi agiranno empiamente, e tutti gli empi non capiranno; ma i saggi comprenderanno. » Così, gli ultimi eletti capiranno la santità e la giustizia di Dio nei suoi terribili giudizi: la santità in quanto vedranno che Dio non permetterà queste piaghe temporali se non per purificarli e renderli degni della felicità eterna. Riconosceranno anche la sua giustizia, come vediamo dal versetto seguente:
Vers. 6: Poiché hanno versato il sangue dei santi e dei profeti, Voi avete dato anche a loro da bere del sangue, e questo è ciò che meritano. Con queste parole San Giovanni indica il motivo per cui questa piaga di sangue sarà inviata: Perché hanno versato il sangue dei santi e dei profeti. – 1° Questo passaggio si applica ai Santi e ai Profeti della Chiesa universale di tutti i tempi in generale; e si applica in particolare ai santi e ai profeti che saranno martirizzati nell’ultima persecuzione. – 2°. Bisogna osservare qui che le sette piaghe fisiche di cui si parla in questo capitolo corrispondono alle sette principali piaghe morali che avranno afflitto la Chiesa nel corso della sua esistenza. E questo è così visibile, che queste sette piaghe generali degli ultimi tempi sono annunciate nello stesso ordine e con gli stessi caratteri delle principali eresie della Chiesa. Così il primo nemico del Cristianesimo fu la sinagoga, e la prima eresia venne dai Giudei, che sostenevano che la circoncisione era necessaria per la salvezza. Da qui la prima piaga fisica degli ultimi tempi, che sarà crudele e terribile, e farà soffrire orribilmente gli uomini che adoreranno la bestia. Benché San Giovanni non precisi il tipo di questa malattia, si può credere, come abbiamo già detto, che questa piaga sarà simile a quella dell’Egitto, che consisteva in ulcere e gonfiori brucianti. Ora, questa piaga del primo Angelo causerà pene crudeli e terribili agli uomini, per punire i loro crimini, e anche per punire la prima eresia di cui abbiamo appena parlato. Perché non dobbiamo dimenticare che, verso la fine dei tempi, vedremo una ricapitolazione e il colmo di tutti i crimini degli uomini dall’origine del mondo. Da qui anche la ricapitolazione e il colmo di tutti i mali fisici, come punizione per questi crimini, in generale e in particolare. Il secondo nemico della Chiesa fu il paganesimo, che, durante lo spazio di trecento anni, causò lo spargimento di un mare di sangue. Da qui la seconda piaga del sangue sul mare: e divenne come il sangue di un morto. Poi apparvero gli eretici, alcuni dei quali, come Ario e Macedonio, attaccarono le fonti della grazia, negando la divinità del Figlio e dello Spirito Santo, che ne sono il principio, come Pelagio ne rigettò la necessità. Da qui anche la terza piaga sui fiumi e sulle fontane, e si ebbe sangue ovunque. Gli altri, come Nestorio, Eutiche, etc. con le loro false dottrine in merito alla Persona e alla natura di Gesù Cristo, oscurarono questo sole di giustizia, e quindi anche la quarta piaga di cui si parla più in basso, dove vediamo che il quarto Angelo versò la sua coppa sul sole. E gli uomini furono bruciati con un calore divorante. – Dopo tutte queste eresie seguirono gli effetti dell’errore di Ario, di cui San Giovanni indica la punizione con la quinta piaga, come aveva indicato questa eresia, nel capitolo IX, 1, sotto l’enigma del quinto Angelo che suona la tromba. Infatti, fu attraverso l’imperatore Valente che l’eresia di Ario, paragonata al fumo del pozzo delle profondità, si diffuse in tutto il mondo al tempo dei Goti e dei Vandali, a tal punto che il mondo si stupì di vedersi ariano; infatti, sotto l’imperatore Zenone non si annoverava tra i Cattolici neppure il più piccolo monarca. Perciò anche il quinto Angelo (che) versò la sua coppa sul trono della bestia; e il suo regno si oscurò, e gli uomini si divorarono la lingua nell’eccesso del loro dolore. E bestemmiavano il Dio del cielo a causa dei loro dolori e delle loro piaghe, e non fecero penitenza delle loro opere. Infatti, gli ariani, negando la divinità del Figlio e dello Spirito Santo, bestemmiavano il Dio del cielo; e non fecero penitenza per le loro opere, meritando di divorarsi la lingua nell’eccesso del loro dolore, poiché Valente ed i suoi simili, dopo aver coperto i regni della terra con le tenebre, e fatto strappare la lingua a diversi Vescovi d’Africa, morirono ariani. – La sesta piaga morale venne dai protestanti, che infettarono l’Europa soprattutto con i loro errori. Ora, come abbiamo visto, l’Europa è rappresentata dall’Eufrate. L’eresia di Lutero ha una grande analogia con quella dell’anticristo, in quanto entrambi avranno riassunto tutti gli errori che li hanno preceduti, avranno abolito il Sacrificio perpetuo e il celibato; e così, allora l’eresia di Lutero avrà immediatamente preceduto quella dell’Anticristo e prosciugato le acque del grande fiume della grazia in Europa; l’Apostolo ha ragione quando dice che il sesto angelo verserà la sua coppa sul grande fiume Eufrate, che è l’Europa, e che le sue acque saranno prosciugate per preparare la strada ai re d’Oriente, cioè all’Anticristo e ai suoi sostenitori. Ordunque, come abbiamo detto in una nota a questo lavoro, anche se tutti gli errori devono scomparire nella sesta epoca, le conseguenze del protestantesimo saranno ancora abbastanza potenti per preparare la strada all’Anticristo in Europa. Infine, il settimo e più grande male morale di tutti sarà la negazione di Dio, senza il quale l’uomo non può esistere più, e infinitamente meno, di quanto possa vivere senza aria. Questo crimine sarà quello della consumazione, altrimenti chiamato l’abominio della desolazione; e da qui anche il settimo Angelo che verserà la sua coppa nell’aria. E poi verrà la grande tempesta che precede la consumazione dei tempi.
VI. Poiché hanno versato il sangue dei santi, avete dato loro anche il sangue da bere. Con queste parole, san Giovanni indica la causa di questa piaga del sangue, perché essi hanno sparso il sangue dei Santi, cioè di tutti i martiri, da Abele fino all’ultimo, ed in particolare dei predicatori che predicheranno prima dell’ultima tribolazione. E questo è quello che meritano. È un’acclamazione alla giustizia di Dio, che punisce i peccatori anche in questo mondo, in modo simile e proporzionato ai loro crimini. Come questa causa di sangue, San Giovanni indica implicitamente tutte quelle che abbiamo appena menzionato, ed è per questo che ce le fa rimarcare.
Vers. 7. E dall’altare ne ho sentito un altro dire: Sì, Signore Dio onnipotente, i tuoi giudizi sono giusti e veritieri. Questo Angelo dell’altare è il sommo Sacerdote e il Sacerdozio in generale, che riconoscerà e manifesterà pubblicamente agli uomini la causa di queste ferite, dichiarandole giuste e meritate. Questo Angelo rappresenta anche la Chiesa trionfante, che unirà la sua acclamazione a quella della Chiesa militante. Dopo queste acclamazioni e applausi, con cui San Giovanni ha appena fatto l’applicazione generale di queste piaghe, segue la continuazione della loro descrizione.
VII. Vers. 8. – Il quarto Angelo versò la sua fiala sul sole; e gli fu dato di tormentare gli uomini con la ferocia del fuoco.
Vers. 9 – E gli uomini furono bruciati da un calore divorante e bestemmiarono il nome di Dio, che ha in suo potere queste piaghe, e non fecero penitenza per dargli gloria. Questi due versetti annunciano una piaga tanto più terribile perché arriverà nello stesso momento in cui mancherà l’acqua per porvi rimedio. Questa piaga sarà una grande siccità e un caldo orribile, che divorerà gli uomini e seccherà le piante, così che un gran numero degli uni e delle altre periranno. Ma nonostante questo, i malvagi saranno così induriti e accecati che non ne riconosceranno la causa o la giustizia, come vediamo da queste parole: E non faranno penitenza per dare gloria a Dio. Inoltre, bestemmieranno contro Dio Onnipotente, invece di cercare di placare la sua ira, e disarmare il suo braccio vendicatore. E bestemmiarono il Nome di Dio, che aveva queste ferite in suo potere …. Il Nome di Dio ….. specialmente quello di Nostro Signore Gesù Cristo. Quinta piaga:
VIII. Vers. 10. – E il quinto angelo versò la sua fiala sul trono della bestia; e il suo regno si oscurò, e gli uomini si divorarono la lingua nel loro dolore. Questo trono della bestia deve essere inteso in particolare come la città di Gerusalemme dove sarà stabilita la sede dell’anticristo; e questo quinto angelo, che è designato qui letteralmente, sarà lucifero. Perché, come è stato detto più di una volta, la stessa figura può significare varie cose, anche opposte tra loro. Questo angelo verserà la sua piaga sul trono della bestia, cioè sull’anticristo stesso e sui suoi ministri, alcuni dei quali saranno re. Egli accecherà le loro menti e indurirà i loro cuori, così che ne risulterà una grande confusione in tutti i regni sotto il loro potere, perché saranno tutti immersi nelle più profonde tenebre dell’incredulità e dell’errore: la luce della verità non risplenderà su di loro, perché l’anticristo, il loro capo, sarà posseduto dal potere delle tenebre, che è lucifero. E come l’ordine morale presiede all’ordine fisico, il turbamento degli spiriti produrrà anche un turbamento nei cuori e nelle azioni degli uomini. È quindi comprensibile da questo le ingiustizie, le persecuzioni, la forza bruta e tutti gli abomini che saranno commessi in questo regno infernale. E gli uomini si divoreranno la loro lingua nell’eccesso del loro dolore. Queste parole mostrano l’orrore dei mali che affliggeranno questo regno dell’anticristo, poiché gli uomini divoreranno la loro lingua nell’eccesso del loro dolore. È un iperbole che esprime gli effetti delle terribili piaghe con cui Dio punirà i malvagi che adoreranno la bestia e che bestemmieranno contro di Lui e i suoi Santi. Questo è ciò che San Giovanni ci spiega nel versetto seguente:
Vers. 11. – E bestemmiarono il Dio del cielo a causa dei loro dolori e delle loro piaghe, e non si pentirono delle loro azioni. Sesta piaga.
IX . Vers. 12. – E il sesto Angelo versò la sua coppa sul grande fiume Eufrate, e le sue acque furono prosciugate per preparare una via ai re d’Oriente. L’Eufrate è uno dei fiumi più importanti del mondo, che nasce nelle montagne della grande Armenia, si congiunge al Tigri e poi costituisce quel paese che si chiama Mesopotamia, e da lì scorre nel Mar Persico. Ora questo fiume sarà prosciugato miracolosamente dal sesto Angelo inviato da Dio per versare la sesta coppa della sua ira; ed è attraverso questo che sarà aperto un passaggio ai re d’Oriente che andranno ad unirsi all’anticristo con i loro eserciti. Perché Dio li riunirà più tardi nel luogo chiamato in ebraico Armaggedon per colpirli tutti in una volta e consumare la loro rovina. Abbiamo un esempio del prosciugamento dell’Eufrate da parte di Ciro, re di Persia, che deviò le acque di quel fiume per potersi impadronire di Babilonia. (Vedi Daniele, X e XI, in Martini). Con questo fiume Eufrate si intende anche l’Europa; perché, come abbiamo visto in questo lavoro, l’Eufrate era il più grande dei quattro fiumi che scorrevano nel paradiso terrestre, e questi quattro fiumi rappresentano in figura le quattro parti del mondo. Ora, questo prosciugamento delle acque dell’Eufrate è inteso anche in senso figurato per l’Europa, che è la regione più bella e più popolosa della Chiesa; poiché verso la fine dei tempi, la fede scomparirà gradualmente in tutto il mondo, ed è come una punizione per l’apostasia generale e l’ingratitudine di cui l’Europa, abbondantemente e per tanto tempo cosparsa delle acque salvifiche della fede, sarà colpevole, per cui Dio manderà il suo Angelo a prosciugare le sorgenti della sua grazia in quella terra indegna. Da allora in poi, le sue forze morali e fisiche saranno così indebolite che i re d’Oriente, cioè l’anticristo e i suoi alleati, troveranno una via facile per penetrarvi, per sottometterla al loro dominio e per diffondervi i loro errori. Questo si vede più chiaramente dalle seguenti parole:
X. Vers. 13. E vidi tre spiriti immondi uscire dalla bocca del dragone, dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta, come delle rane.
Vers. 14. – Questi sono gli spiriti dei demoni che fanno prodigi e vanno presso i re di tutta la terra per chiamarli a combattere nel grande giorno di Dio Onnipotente. Questi tre spiriti immondi, simili a rane, che San Giovanni vide uscire dalla bocca del drago, dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta, saranno dunque gli spiriti dei demoni che faranno dei prodigi. Qui vediamo la preparazione della grande battaglia che sarà combattuta nel grande giorno di Dio Onnipotente, tra le potenze del cielo con la Chiesa militante sulla terra da una parte, e le potenze infernali in lega con il mondo dall’altro. Non appena sarà stata spianata la strada ai re d’Oriente, cioè al dragone che è lucifero, il capo delle potenze infernali, alla bestia che sarà l’anticristo e il dominatore del mondo, e al suo falso profeta che sarà l’antipapa, usciranno dalla loro bocca tre spiriti immondi, cioè demoni che faranno prodigi. Questi tre spiriti immondi, che saranno veri demoni, sono anche le tre concupiscenze di cui parla San Giovanni, (I. Epistola, II, 16): « Perché tutto ciò che è nel mondo è o concupiscenza della carne o concupiscenza degli occhi, o orgoglio della vita, e tutte queste cose non sono del Padre, ma del mondo. » In questo piano d’attacco ordito da lucifero, possiamo ancora vedere il suo antico orgoglio di voler eguagliare Dio imitando le tre Persone della Santa Trinità; poiché il dragone qui scimmiotta Dio Padre, la bestia vuole rappresentare Dio Figlio, e il falso profeta è una rozza e abominevole rappresentazione di Dio Spirito Santo. Questi tre mostri, il dragone, la bestia e il falso profeta, non sono che un unico essere morale rappresentato da tre persone distinte, ognuna delle quali dovrà recitare la sua parte e prendere parte attiva nel grande combattimento di Dio onnipotente. Le loro armi saranno tutti i vizi rappresentati dai tre spiriti impuri, o dalle tre concupiscenze che riassumono in loro tutto ciò che può lusingare le passioni degli uomini. Con questo mezzo, questi demoni riuniranno i malvagi e ne formeranno un esercito numeroso, che inciteranno alla rivolta contro Dio, per far condividere ad essi la loro sorte e gettarli nell’abisso. Le loro armi, così formidabili per gli uomini, saranno il richiamo dei piaceri, la sete delle ricchezze e la gloria degli onori. E queste tre concupiscenza, o questi tre spiriti impuri, sono veramente rappresentati dalle rane. Perché: 1° La rana è un animale disgustoso che si compiace solo nel fango delle acque corrotte. 2° Gracchia e si sente soprattutto nel buio della notte. 3° Le rane si riuniscono in gran numero in un luogo. 4° La luce le abbaglia, ed è per mezzo di torce che gli uomini le prendono per mangiarle. 5° Sono anfibi e strisciano nella polvere o guazzano nell’acqua torbida. 6° Si moltiplicano in modo sorprendente; una sola è sufficiente per produrne un numero incalcolabile. – 7°. Esse sono prive di forza e diventano così il rifiuto degli animali che le calpestano. 8°. Sono il pasto dei serpenti 9°. Quando vogliono alzarsi, ricadono nella polvere o nel fango, etc. Ora questi saranno i caratteri di quegli spiriti immondi che usciranno dalla bocca del dragone, dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta, per chiamare i re di tutta la terra a combattere nel grande giorno di Dio Onnipotente. – 1°. Questi spiriti, chiamati impuri dallo stesso San Giovanni, saranno disgustosi come la rana, perché non trarranno che piacere dalla melma e dal fango dei vizi. Infatti, è in questa melma o acqua fangosa che deporranno le loro uova e si moltiplicheranno come la sabbia del mare. La loro prole popolerà tutta la terra, che sarà come infettata da questi spiriti immondi. 2º Questi empi si faranno sentire solo nelle tenebre della notte degli errori, e si manifesteranno solo nelle tenebre, perché è la natura degli empi fuggire la luce e cercare le tenebre per perpetrare i loro crimini. 3°. Quando la vera luce risplenderà agli occhi degli adoratori della bestia, essi si ritireranno nelle tenebre per non vederla; ma non appena i ministri dell’anticristo faranno brillare la fioca luce dei loro falsi prodigi, appariranno in massa come rane quando vengono pescate con una torcia fatta di bitume e di zolfo; e si lasceranno prendere per diventare cibo di demoni. 4° Essi si riuniranno per seguire la falsa luce dell’anticristo quando brillerà nei loro occhi. 5°. Saranno disposti a vivere come la rana, a volte nella polvere dei beni terreni e avvolte nel fango dei vizi. 6°. Essi si moltiplicheranno come le rane e aumenteranno all’infinito i loro crimini e le loro vittime con il loro gracchiare e il loro gridare, dicendo: Chi è come la bestia, cioè l’anticristo, il loro messia, e chi potrà resistergli? Saranno impotenti a resistere alla bestia, e si lasceranno calpestare e divorare dai suoi agenti. 7°. Diventeranno il cibo dei rettili infernali. 8°. Quando vorranno sollevarsi contro il cielo, o cercheranno di sfuggire al loro stato degradato aspirando ad una falsa gloria, ricadranno nella polvere o nel fango del peccato, in attesa di essere divorati dai demoni. Ma malgrado le loro grida ed il loro numero, non potranno nuocere né a Dio né ai suoi eletti, perché questi saranno molto più in alto di quanto l’aquila sia sopra la rana quando plana nell’aria. E vidi uscire dalla bocca del dragone, dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta, tre spiriti immondi come rane. Vale a dire che questi vizi, errori e abomini rappresentati dalle rane uscirono dalla bocca di questi tre mostri, lucifero, l’anticristo e il suo falso profeta l’antipapa, che si accorderanno tra loro e pubblicheranno con gli editti dell’anticristo e con la predicazione del falso profeta, ciò che lucifero, che è il dragone, avrà loro ispirato ed ordinato di predicare ed eseguire. Ed è anche in questo modo che lucifero cercherà di imitare Dio, facendo ciò che Dio fa per il bene; ed è a questo scopo perverso che questi tre mostri sosterranno la loro missione con falsi prodigi. Questi sono gli spiriti dei demoni che compiono prodigi. Questi tre mostri, lucifero, l’anticristo e il suo falso profeta rivolgeranno ai re di tutta la terra, cioè a tutti i popoli del mondo il male che questi re rappresentano, e con l’appetito dei vizi, la perfidia della loro dottrina e soprattutto la brillantezza dei loro prodigi, cercheranno di attirare tutti gli uomini dietro di loro, per riunirli e formare un esercito numeroso che faranno combattere contro Dio Onnipotente. Ma i loro sforzi saranno vani, perché la forza di questo esercito sarà come quella di un immenso numero di rane, che possono solo gracchiare e agitarsi invano.
XI. È per metterci in guardia contro questi spiriti immondi che Gesù Cristo ci rivolge le seguenti parole:
Vers. 15. – Ecco, io vengo come un ladro. Beato colui che veglia e custodisce le sue vesti, per non andare nudo e scoprire la sua vergogna. Queste parole contengono un avvertimento salutare ed efficace per i fedeli. Ecco, io vengo come un ladro. È Gesù Cristo stesso che parla qui nello stesso senso del capitolo III, 3: “Perché se non vegliate, verrò a voi come un ladro e non saprete in quale ora verrò.” È di questo arrivo improvviso e imprevisto per i malvagi immersi nella notte delle tenebre e privati delle loro vesti, che sono le virtù cristiane, che parla San Paolo, I. Tess., IV , 15: « Appena sarà dato il segnale dalla voce dell’Arcangelo e dalla tromba di Dio, il Signore stesso scenderà dal cielo; e quelli che sono morti in Cristo Gesù risorgeranno per primi.Allora noi che siamo vivi e siamo rimastisaremo presi insieme a loro nelle nuvole nell’aria per incontrare Gesù Cristo, e così saremo con il Signore per sempre. Perciò confortatevi a vicenda con queste parole. Quanto al tempo e al momento, non avete bisogno, fratelli miei, che vi scriviamo su questo, perché voi stessi sapete che il giorno del Signore verrà come un ladro nella notte. Perché quando diranno: “Pace e sicurezza”, allora un’improvvisa rovina li colpirà, come una donna è sorpresa dai dolori del parto e non potranno sfuggirvi. » – Ecco, io vengo come un ladro. Queste parole contengono anche una consolazione per i giusti e i santi che si troveranno in grande isolamento al tempo dell’Anticristo, e vedranno la massa dei peccatori agitarsi, gridando: “Chi è come la bestia, e chi potrà resistergli? Questi empi diranno anche in mezzo al loro fango e nella piena sazietà dei loro desideri carnali: “Pace e sicurezza“. E quella terribile Babilonia dirà: (Apoc. XVIII, 7): « Io siedo come regina e non sono vedova, e non sono in lutto. » – Beato colui che vigila e custodisce le sue vesti, per non camminare nudo e scoprire la sua vergogna. Gesù Cristo raccomanda qui ai fedeli che vivranno in quel tempo di vegliare su se stessi, perché se i Cristiani devono essere vigili in ogni momento, la vigilanza sarà particolarmente necessaria quando il diavolo sarà scatenato e nella pienezza del suo potere. Questi indumenti sono le virtù cristiane, specialmente la mortificazione, la carità, la purezza e la semplicità di cuore. Questa veste è anche la grazia santificante di cui è rivestita l’anima degli eletti. Che non cammini nudo e scopra la sua vergogna. Questa nudità rappresenta l’assenza di virtù, e questa vergogna significa lo stato del peccatore immerso nell’orrore del vizio. E quando Dio verrà in mezzo alle tenebre degli empi, la loro nudità e vergogna sarà portata alla luce al sole della giustizia e della verità. Beato colui che veglia e conserva i suoi vestiti. Questo passaggio si riferisce ai ladri che andavano in giro nei bagni pubblici per rubare i vestiti dei bagnanti. Ancora queste parole alludono al Vangelo di San Matteo, (XXIV, 18): « Chi è nel campo non torni a prendere la sua veste….. Prega, dunque, che il tuo volo non sia in inverno, né in giorno di sabato. » Cioè, non aspettiamo l’ultimo giorno per convertirci; perché il Signore verrà come un ladro e prenderà le vesti che non abbiamo voluto indossare. Matth. XXIV, 27: « Perché come il fulmine dall’oriente all’occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo …. E alla venuta del Figlio dell’Uomo sarà come ai tempi di Noè. Perché come nei giorni prima del diluvio gli uomini mangiavano e bevevano, si sposavano e avevano figli, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non pensarono al diluvio finché esso non venne e li portò via tutti; così sarà alla venuta del Figlio dell’Uomo……. Vegliate dunque, perché non sapete in quale ora il Signore verrà. »
XII. Vers. 16. – E li radunò nel luogo che in ebraico si chiama Armageddon. Armageddon è un luogo in Palestina, famoso per le sconfitte di diversi principi, (Jud,. IV, 7, 16; V, 19; IV Reg. IX, 27; XXIII, 29). Questo luogo serve dunque come figura e rappresenta la riunione di tutti gli empi che accorreranno a Gerusalemme al tempo dell’anticristo, come abbiamo visto nel corso di questa opera. Dio permetterà questo raduno di re, popoli e nazioni, con le loro armate, verso il centro della potenza infernale, che sarà Gerusalemme, per colpirli tutti insieme nel grande giorno di Dio Onnipotente. È a questo passo che si riferiscono queste altre parole dell’Apocalisse, XX , 7: « Dopo il compimento dei mille anni, satana sarà sciolto e sedurrà le nazioni che sono ai quattro angoli della terra, Gog e Magog, e le radunerà per la battaglia, e il loro numero sarà come la sabbia del mare. E salirono sulla faccia della terra e circondarono l’accampamento dei santi e la diletta città (Gerusalemme). Ma il fuoco di Dio scese dal cielo e li divorò; e il diavolo che li aveva sedotti fu gettato nel lago di fuoco e di zolfo, dove la bestia e il falso profeta saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli. » È a questo stesso passaggio che si riferisce anche ciò che è stato detto sulla morte dell’anticristo nel capitolo della resurrezione di Enoch ed Elia, (Apoc. XI, 13). – Dopo questa descrizione delle prime piaghe, e in particolare della sesta, in cui abbiamo appena visto la preparazione del grande giorno di Dio Onnipotente con la corruzione generale del mondo, e con il raduno universale dei malvagi verso Gerusalemme, San Giovanni procede poi alla descrizione dell’ultima delle sette piaghe.
XIII. Vers. 17. – E il settimo Angelo versò la sua fiala nell’aria, e una voce forte venne dal tempio e dal trono, dicendo: È fatto. Quest’ultima piaga è, come abbiamo detto, la piaga della consumazione, come indicano chiaramente queste parole: È fatto, cioè tutto è consumato; i malvagi hanno raggiunto il culmine delle loro abominazioni, dopo essersi contaminati con tutti i modi possibili e dopo aver osato negare l’esistenza di Dio loro Creatore per adorare i demoni. Dio sta per colpire l’aria che comunica agli uomini la vita e la luce del corpo, siccome essi hanno osato cercare di colpire Dio che è la vita e la luce dell’anima, e senza il quale nulla può esistere. E il settimo Angelo versò la sua coppa nell’aria, e una voce forte uscì dal tempio e dal trono, dicendo: è fatto! – 1° Questa voce forte è quella di Gesù Cristo stesso, poiché Egli è il tempio del Dio vivente e siede alla destra di Dio Padre nello splendore della sua gloria. Ecco perché si dice che la sua voce sia uscita dal tempio e dal trono, e che questa voce è forte, perché in effetti è arrivato il momento in cui Gesù Cristo stesso vendicherà esteriormente la gloria di Dio, così indegnamente oltraggiata sulla terra. È fatto, cioè tutto si è consumato, le profezie si sono compiute e stanno per compiersi ancora. I peccatori hanno raggiunto l’apice dei loro crimini, io raggiungerò l’apice della mia giustizia; i loro crimini sono consumati, sta per esserlo anche la mia vendetta.
Vers. 18. – E ci furono lampi e tuoni, e un grande terremoto, e così grande fu questo terremoto, che mai prima d’ora gli uomini ne hanno avvertito uno simile da quando sono sulla terra.
Vers. 19. – E la grande città fu divisa in tre parti, e le città delle nazioni caddero; e Dio si ricordò della grande Babilonia, per darle da bere il vino dello sdegno della sua ira.
Vers. 20.- E tutte le isole fuggirono e le montagne scomparvero.
Vers. 21. – E una grande grandine, del peso di un talento, scese dal cielo sugli uomini; e gli uomini bestemmiarono Dio a causa della piaga della grandine, perché la piaga era molto grande. Tutte queste parole annunciano la più grande, la più terribile e la più tremenda catastrofe che il mondo abbia mai visto. Si è mostrato nel corso di questo libro come gli empi si riuniranno gradualmente, sia moralmente che fisicamente, e finiranno per riunirsi in numero immenso come la sabbia dei mari, secondo le parole dell’Apocalisse stessa, (XX, 7): « Dopo che i mille anni saranno compiuti, satana sarà sciolto e uscirà dalla sua prigione e sedurrà le nazioni che sono ai quattro angoli della terra, Gog e Mogog, e le radunerà per la battaglia, e il loro numero sarà come la sabbia del mare ». Allora tutti i re della terra avranno seguito la voce dell’anticristo e dei suoi falsi profeti, e saranno venuti in massa a Gerusalemme con tutti i loro eserciti e tutto l’apparato della loro potenza. (Apoc. XVI, 12): « Le acque del grande fiume Eufrate furono prosciugate per preparare una via ai re dell’Oriente. E vidi tre spiriti immondi uscire dalla bocca del dragone, dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta, come delle rane. Questi sono gli spiriti dei demoni che fanno prodigi e vanno dai re di tutta la terra per chiamarli a combattere nel grande giorno di Dio Onnipotente. » Vediamo in seguito tutti questi formidabili eserciti riuniti in un solo luogo, con il permesso dell’Onnipotente. (Apoc. XVI, 16): « E li radunerà nel luogo che in ebraico si chiama Armageddon », famoso per tante sconfitte. Lucifero, l’anticristo, e il suo falso profeta l’antipapa, comandano essi stessi tutti questi eserciti in persona, e li fanno accampare nel luogo nei dintorni di Gerusalemme. (Apocalisse XX, 8): « Ed essi salirono sulla faccia della terra e circondarono l’accampamento dei santi e la città diletta. » Nel mentre che lucifero e l’anticristo si fanno adorare come Dio, tutta questa marea di persone si sottomettono al loro potere, considerando l’anticristo come il messia, e la terra come cambiata in un paradiso di delizie nel quale possono abbandonarsi a tutti gli orrori della voluttà, fanno risuonare le pianure e le colline che occupano, delle loro orribili bestemmie. La gioia di questa Babilonia è al suo culmine, e d essa si rallegra (Apoc. XVIII, 7): « Sono seduta regina, non sono vedova e non sarò nel duolo; » e altrove, (lbidem, XIII, 4): « Chi è come la bestia e chi può combattere contro di essa? » In effetti, l’Anticristo sembra aver ottenuto un pieno trionfo; perché ha sconfitto gli unici due nemici che potevano ancora competere con lui per la vittoria. Enoch ed Elia, quei due profeti che erano potenti in azioni e parole, sono caduti; i loro corpi sono esposti agli insulti e alle derisioni del mondo intero, che celebra la loro sconfitta con festeggiamenti tanto pomposi quanto sacrileghi, giungendo a mandarsi regali l’un l’altro. (Apoc. XI, 7): « E quando avranno finito la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso farà guerra a loro, li vincerà e li ucciderà. E i loro corpi saranno deposti nelle piazze della grande città, spiritualmente chiamata Sodoma ed Egitto, dove anche il loro Signore fu crocifisso. E le tribù e i popoli e le lingue e le nazioni vedranno i loro corpi distesi per tre giorni e mezzo, e non permetteranno che siano messi nel sepolcro. E gli abitanti della terra si rallegreranno della loro morte, la festeggeranno e manderanno doni gli uni agli altri, perché questi due profeti tormentavano coloro che abitano sulla terra. ». – Infine, i pochi eletti e fedeli che sono rimasti fedeli alla Chiesa di Gesù di Nazareth, dopo la più disastrosa delle persecuzioni, sono stati umiliati, dispersi e come annientati; essi si tengono nascosti nelle grotte buie e nei recessi delle rocce… Ma la scena cambia improvvisamente e Dio non è più sordo alla voce e ai gemiti dei suoi santi. Perché proprio in questo momento, in quest’ora solenne, i due profeti si alzano e stanno davanti al mondo riunito, Apoc. XI, 11: « Ma dopo tre giorni e mezzo, lo spirito di vita entrò in loro da Dio. Ed essi si alzarono in piedi;e grande paura venne su coloro che li videro. E udirono una voce forte che diceva loro dal cielo: “Venite qui”. E salirono al cielo sotto gli occhi dei loro nemici. A questa vista tutti i re, i popoli e le nazioni della terra sono presi da. A questa vista tutti i re, i popoli e le nazioni della terra sono presi da grande paura e sono come sconvolti dallo stupore e dalla costernazione. L’Anticristo, vedendosi confuso e mancante, con un ultimo sforzo e con il suo ultimo prodigio, per rafforzare i suoi adoratori nel lorodubbio ed esitazione, si solleva in aria con l’aiuto del potere infernale. Ma, o stupefacente meraviglia, è qui che il Dio forte sferra il suo grande colpo! L’Anticristo stesso cade e viene gettato nell’abisso. » (Apoc. XX, 9): « Ma il fuoco scese dal cielo e li divorò, e il diavolo che li seduceva fu gettato nel lago di fuoco e di zolfo dove la bastia e i falso profeti saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli. E ci furono lampi e tuoni e un grande terremoto, così grande che nessun uomo ha mai provato da quando è stato sulla terra. E la grande città fu divisa in tre parti, e le città delle nazioni caddero. Questo terremoto sarà sentito in tutto l’universo, e le città delle nazioni subiranno la stessa sorte di Gerusalemme e anche peggio, poiché il testo dice: E le città delle nazioni caddero. Queste città saranno dunque completamente distrutte, perché San Giovanni non dice di loro, come aveva detto di Gerusalemme, La decima parte della città è caduta, ma dice senza distinzione e in modo assoluto: E le città delle nazioni sono cadute. La ragione di questa differenza è che Gerusalemme, presa in senso mistico, rappresenta la Chiesa che non sarà mai completamente distrutta. E Dio si ricordò della grande Babilonia, cioè di tutti gli empi dall’inizio del mondo, per darle da bere il vino dell’indignazione della sua rabbia… – E una grande grandine, pesante come un talento discese dal cielo sugli uomini, e gli uomini bestemmiavano Dio a causa della piaga della grandine, perché la grandine era molto grande. I malvagi in gran numero sono uccisi dalla grandine, o divorati dal fuoco, o schiacciati e inghiottiti dal terremoto. E gli altri ebbero paura e diedero gloria a Dio. (Apoc, XI). E tutte le isole fuggirono, e le montagne sparirono. Queste isole che sono fuggite, sono quei fedeli che Dio ha voluto risparmiare in questo terribile disastro. Questi sono paragonati alle isole dei mari, perché come le isole sono costantemente battute dalle tempeste e divorate dalle acque, così i buoni, che sono isolati e in piccolo numero, sono anche costantemente battuti dalle tempeste della persecuzione e come divorati dalle acque della tribolazione. E queste isole, cioè gli unici uomini che non hanno preso parte agli abomini di Babilonia, sapendo dalle profezie ciò che deve accadere, se ne andranno da questo luogo di disastro. È di loro che si parla in San Matteo, (XXIV, 15): « Quando dunque vedrete nel luogo santo l’abominio della desolazione predetto dal profeta Daniele, chi legge ascolti: Quelli che sono in Giudea fuggano sui monti; chi sarà sul tetto non scenda a prendere qualcosa dalla sua casa; chi sarà nei campi non torni a prendere la sua veste. » Oltre a queste profezie, coloro che Dio vuole risparmiare saranno avvertiti da una voce dal cielo, dicendo: Uscite da Babilonia, popolo mio, per non essere partecipi dei suoi peccati e coperti dalle sue piaghe. (Apoc. XVIII, 4). Questo passaggio deve essere inteso in senso morale e letterale allo stesso tempo. C’è un esempio di un avvertimento simile dato prima della rovina di Gerusalemme; infatti, Giuseppe (De bello jud, lib. 7. cap. XII), riferisce che una voce uscì dal tempio dicendo: « Andiamo via da qui… ». E le montagne sono scomparse. Queste montagne sono la figura delle potenze del secolo, e tutto il contesto conferma la verità di questa interpretazione. Questo sarà spiegato più chiaramente nel prossimo capitolo. Così le nazioni saranno annientate in questo terribile dramma, e il loro potere sarà spezzato; perché scompariranno per sempre, per effetto di questo orribile terremoto. Plinio (lib. 2, cap. 4, XXXIII), riferisce l’effetto di un terremoto simile. I tre Evangelisti che citiamo qui parlano tutti di terremoti che avverranno verso la fine dei tempi. (Vedi Matteo, XXI, 7; Marco, XIII, 8, e Luca, XXI, 11): E una grande grandine del peso di un talento scese dal cielo sugli uomini. Filostorgio, (lib. II, cap . VII), racconta che nell’anno 404, una grandine cadde a Costantinopoli che pesava fino a otto libbre. Concludendo questo capitolo, è bene dire perché San Giovanni riferisce questa grande catastrofe della rovina di Gerusalemme in due capitoli diversi: cap. XI, 13, e cap . XVI, 18, 19. La ragione è che come uno storico racconta lo stesso fatto più di una volta per presentarlo sotto le sue varie facce e le sue diverse relazioni e circostanze, come per esempio la Passione di Gesù Cristo che è raccontata da tre Evangelisti in modo vario quanto alla forma e ai dettagli, ma perfettamente conforme quanto alla sostanza; così San Giovanni, nel suo capitolo XI, ci rappresenta la caduta di Gerusalemme e quella dell’anticristo in opposizione alla morte dei due profeti Enoch ed Elia; mentre nel capitolo XVI, la ripete per farla contrastare con il trionfo di Babilonia, o del mondo riunito per la grande battaglia, nel grande giorno di Dio Onnipotente. Infine, troviamo un’altra ragione per cui San Giovanni ripete questa importante descrizione della fine dei tempi; e questa ragione era di rappresentare questa catastrofe, la più grande che sia mai avvenuta, come l’ultima delle piaghe della fine del mondo; cioè, come la piaga della consumazione. Ed è solo dopo quest’ultima piaga che i resti degli uomini potranno entrare nel tempio del Signore, cioè la Chiesa, secondo queste parole: … E nessuno poteva entrare nel tempio finché le piaghe dei sette Angeli non fossero consumate. Inoltre, la prova che questi due passi si riferiscono alla stessa catastrofe si trova facilmente nelle parole stesse del testo: perché nel primo passo è detto che il resto fu preso dal timore e diede gloria a Dio; e nel secondo è detto: “Le montagne spariranno“, cioè, che la grande prostituta che siede su sette montagne sarà distrutta come potenza insieme a tutti i malvagi; e il resto farà penitenza, come vedremo più avanti. È chiaramente annunciato, inoltre, che i resti degli uomini daranno gloria a Dio solo dopo la consumazione delle sette piaghe, cioè quando il dragone sarà stato gettato giù con l’anticristo e i falsi profeti, secondo il significato di queste parole citate sopra, (Apoc. XV, 8): « E il tempio si riempì di fumo a causa della maestà e della potenza di Dio, e nessuno poteva entrare nel tempio fino a che le sette piaghe dei sette Angeli furono consumate.»
LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI
PARTE TERZA
GESÙ CRISTO OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO
Capo XVI.
Della venuta del Figliuolo di Dio nel mondo al tempo della sua Incarnazione. – La sua nascita dalla Beata Vergine Maria.
1514. Come ê venuto ed ha fatto l’ingresso in questo mondo il Figliuolo di Dio nella sua Incarnazione?
Il Figliuolo di Dio nella sua Incarnazione è venuto ed ha fatto l’ingresso nel mondo nascendo dalla gloriosa Vergine Maria Madre Sua, dalla quale era stato concepito. per opera tutta soprannaturale dello Spirito Santo.
1515. La gloriosa Vergine Maria che il Figliuolo di Dio in vista della sua Incarnazione aveva scelto pet Madre, era stata insignita di privilegi speciali in forza di questa maternità?
Sì; ed il più meraviglioso di tutti fu il privilegio della Immacolata Concezione (XXVII).
1516. Che cosa intendete per il privilegio della Immacolata Concezione?
Intendo il fatto che avuto riguardo alla sua dignità di creatura unica scelta per essere la Madre del Figliuolo di Dio Incarnato, la Santissima Vergine Maria, per la grazia unica che le applicava anticipatamente i meriti della Redenzione, ê stata preservata dalla macchia del peccato originale che avrebbe dovuto contrarre per la Sua discendenza da Adamo peccatore, per via di concezione naturale. Onde fin dal primo istante della sua creazione, la sua anima è stata rivestita ed ornata di tutta la pienezza dei doni soprannaturali della grazia (Pio IX: Definizione del dogma dell’Immacolata Concezione).
1517. Che cosa intendete col dire che il Figliuolo di Dio Incarnato è nato da Maria Vergine?
Intendo dire che la Madre del Figliuolo di Dio, ben lungi da perdere la verginità in forza della maternità, ha veduto invece consacrare divinamente questa verginità con la sua maternità; dimodoché, vergine prima della concezione del Figliuolo di Dio, è rimasta vergine in questa concezione, vergine quando lo ha dato alla luce, e vergine sempre dopo la sua nascita (XXVIII, 1, 2, 3).
1518. Avvenne dunque in modo affatto Soprannaturale e miracoloso, che la gloriosa Vergine Maria concepì in Sé per opera dello Spirito Santo il Figliuolo di Dio, che si vestiva della nostra natura umana nel seno verginale di Lei?
Sì: avvenne in modo tutto soprannaturale e miracoloso che la gloriosa, Vergine Maria concepì in Sé per opera dello Spirito Santo il Figliuolo di Dio, che si vestiva della nostra natura umana nel seno verginale di Lei. Con questo, tuttavia, che nella concezione stessa la Santissima Vergine ebbe tutta intera la parte che hanno le altre madri nella concezione naturale dei loro figlinoli (XXXI 5; XXXII).
1519. Il Figliuolo di Dio si trovò cosi in un solo istante ed immediatamente rivestito della nostra natura umana nel seno verginale di Maria, con tutte le prerogative di grazia che abbiamo veduto avere Egli preso in questa natura umana unendosela ipostaticamente?
Sì; dal momento che la Vergine Maria ebbe pronunziato il « fiat » del Suo consenso nel giorno della Annunziazione, furono istantaneamente compiute nel suo Suo verginale, per opera onnipotente dello Spirito Santo, tutte le meraviglie che costituiscono il mistero della Incarnazione (XXXIII- XXXIV).
1820. Si deve dire che da questo primo momento il Figliuolo di Die Incarnato ebbe nella sua natura umana l’uso del libero arbitrio, e che poté subito cominciare a meritare?
Sì; da questo primo momento il Figliuolo di Dio Incarnato ebbe nella sua natura umana tutti gli splendori della scienza beatifica ed infusa di cui si è parlato più indietro; godé pienamente dell’uso del libero arbitrio e cominciò a meritare con merito perfetto (XXXIV, art, 1-3)
1521. Quando diciamo che il Figliuolo di Dio è nato da Maria Vergine, parliamo di una vera nascita riflettente la Persona del Figliuolo di Dio? E come essa si distingue dalla nascita per la quale diciamo che i1 Figliuolo stesso è nato dal Padre?
Quando diciamo che il Figliuolo di Dio è nato da Maria Vergine, parliamo di una vera e propria nascita riflettente la Persona del Figliuolo di Dio. Ma questa nascita si dice in forza della natura umana; mentre quando parliamo del Figliuolo di Die rispetto al Padre suo, parliamo di una nascita in ragione della natura divina che il Figliuolo riceva dal Padre da tutta l’eternità (XXXV, 1, 2).
1522. In forza della sua nascita da Maria Vergine, il Figliuolo di Dio può essere detto figlio di Maria e la Vergine Maria, sua madre?
Certamente; perché tutto quanto una madre dà ad un bambino che è suo figlio, la Vergine Maria lo ha dato al Figliuolo di Dio (XXXV, 3).
1523. Ne segue che Maria Vergine sia Madre di Dio?
Senza alcun dubbio; perché Ella è veramente la Madre del Figliuolo di Dio che è Dio Egli pure, secondo la natura umana assunta da Lui (XXXV, 4).
Caro XVII.
Del nome di Gesù Cristo dato al Verbo Incarnato.
1324. Quando è stato dato il nome di Gesù al Figliuolo di Dio Incarnato, dopo la sua nascita dalla gloriosa Vergine Maria?
Il nome di Gesù al Figliuolo di Dio Incanato fu dato otto giorni dopo la sua nascita, nella cerimonia della Circoncisione, conforme all’ordine portato dal Cielo a Maria e a Giuseppe dall’Angelo del Signore (XXXVII, 2).
1525. Che cosa significa il nome di Gesù, dato per scelta e per ordine del cielo al Figliuolo di Dio incarnato?
Questo nome significa la qualità essenziale che doveva avere il Figliuolo di Dio Incarnato nell’ordine della grazia, cioè quella di salvatore di tutti gli uomini.
1526. Perché al nome di Gesù si aggiunge la parola Cristo, per indicare il Figliuolo di Dio Incarnato?
Perché la parola Cristo significa “unto”, ed indica a perfezione la unzione divina che fa di Lui, a titolo eccezionale, il Santo, il Sacerdote ed il Re che tutto domina nell’ordine della salute (XXITL 1 ad 8).
1527. Si designa dunque tutto questo, quando si dice « Gesù Cristo »?
Sì; quando si dice “Gesù Cristo” si designa il Figliuolo unico di Dio, che essendo da tutta la eternità col Padre e con lo Spirito Santo, il medesimo solo ed unico vero Dio da cui sono state create tutte le cose, e che le conserva e governa da Sovrano Signore, si è rivestito nel tempo della nostra natura umana, in forza della quale è veramente uomo come noi, continuando ad essere col Padre e con lo Spirito Santo il medesimo Dio che esiste da tutta la eternità. E ciò porta seco nella sua natura umana e gli assicura in quanto è uomo come noi, dei privilegi di grazia in qualche modo infiniti, fra i quali primeggia la sua qualità di Salvatore degli uomini; privilegi che lo costituiscono in quanto uomo Mediatore unico di Dio e degli uomini, sommo Sacerdote, Re supremo, Profeta senza uguale, e Capo di tutta la congregazione degli eletti, angeli ed uomini, formanti tutti il suo vero Corpo mistico.
Capo XVIII.
Del battesimo di Gesù Cristo.
1528. Donde viene che Gesù Cristo, essendo quale lo abbiamo precisato, ha voluto essere battezzato col battesimo di Giovanni, al principio della sua vita pubblica?
Precisamente per cominciare la sua missione, che era quella di compiere l’opera della nostra salute, la quale doveva consistere nella remissione dei peccati mediante il battesimo che Egli stava appunto per promulgare ed inaugurare. Ora: il suo battesimo doveva darsi nell’acqua, pel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo: e tutti gli uomini senza eccezione avrebbero dovuto riceverlo, essendo tutti peccatori. Ed appunto volendo mostrare questa necessita per tutti, domandò Egli stesso che non aveva peraltro se non la somiglianza della nostra carne di peccato, di ricevere il battesimo di Giovanni, semplice figura dell’altro battesimo. E ricevette questo battesimo dell’acqua, per santificarla col suo contatto e prepararla così ad essere la materia del sacramento: e tutta la Trinità si manifestò nel suo battesimo: Egli nella sua natura umana; Spirito Santo in forma di colomba; ed il Padre nella voce che si fece udire, per dichiarare ciò che sarebbe anche la forma del sacramento. Ne mostrò anche l’effetto, nel fatto che i cieli si aprirono sopra il suo capo; perché mediante il suo battesimo il Cielo doveva essere riaperto a noi stessi, in virtù del Battesimo di sangue in cui Egli laverebbe nella propria Persona il peccato del mondo (XXXIX, 1-8).
Capo XIX.
Svolgimento della vita di Gesù Cristo in mezzo a noi. – La sua tentazione. – La sua predicazione. – I suoi miracoli. – La trasfigurazione.
1529. Questo ingresso di Gesù-Cristo nella vita pubblica col suo Battesimo, fu seguito dal corso che conveniva alla sua missione?
Sì; perché visse in mezzo agli uomini con una vita tutta di semplicità e di povertà perfetta, e dando compimento alla legge antica nella sua propria Persona, per preparare la via alla legge nuova che doveva essere la sua (XL, 1-4)
1530. Perché Gesù Cristo volle essere tentato dopo il battesimo ed al principio della sua vita pubblica?
Per nostro ammaestramento, per dimostrare anche a noi come dobbiamo resistere al nostro nemico; ed anche per rispondere con la sua vittoria sul demonio, alla sconfitta dei nostri primi genitori nella tentazione del Paradiso terrestre (XLI, 1).
1531. Il suo insegnamento e la sua predicazione furono ciò che dovevano essere nel corso della sua vita pubblica?
Sì; perché Egli personalmente percorse tutto il territorio del popolo di Dio, al quale era stato inviato dal Padre; e durante i tre anni della sua vita pubblica non cessò di far sentire la sua voce per comunicare agli uomini, in quanto erano alla loro portata, i misteri del Regno dei cieli (XLII, 1-4).
1532. I miracoli da Lui operati furono ciò che dovevano essere?
Sì; perché per il modo con cui li operava, e col dimostrare la sua onnipotenza rispetto alle creature spirituali, rispetto ai corpi celesti, rispetto alle miserie umane, rispetto alle stesse
creature inanimate, provò a perfezione chi Egli era, dando agli uomini il mezzo infallibile di conoscerlo (XLIII, XLIV).
1533. Fra questi miracoli, ve ne è uno di importanza tutta speciale per il suo carattere e per le circostanze in cui fu operato?
Si: è quello della Trasfigurazione (XLV)
1534. Che cosa ha avuto di particolarmente notevole il miracolo della Trasfigurazione?
Ha avuto questo, che dopo avere annunziato ai suoi discepoli il mistero della sua Passione e della sua morte ignominiosa sulla Croce, dicendo loro la necessita che tutti i suoi lo seguano nella via del dolore, Gesù Cristo volle nella propria Persona manifestare ai tre privilegiati il termine glorioso dove questa via deve condurre tutti coloro che avranno il coraggio di camminarvi. E siccome tale insegnamento è il punto culminante dell’insegnamento di Gesù Cristo, la sua autorità eccezionale ed unica fra tutti i maestri doveva essere proclamata in questa circostanza particolarmente solenne, da una parte per il fatto che la legge personificata in Mosè ed i profeti personificati in Elia venivano a rendergli omaggio e ad oscurarsi dinanzi a Lui, e dall’altra per la voce del Padre stesso che lo dichiarava Suo Figliuolo diletto, Colui che bisognava ascoltare (XLV, 1-8).
1335. Perché la voce del Padre che proclamava la divina Filiazione di Gesù Cristo, si è fatta udire nel battesimo e nella Trasfigurazione di Gesù?
Perché questa divina Filiazione di Gesù Cristo è il modello cui deve conformarsi la nostra filiazione adottiva, che comincia con la grazia del battesimo per terminare nella gloria della Patria (XLV, 4 ad 2).
1536. Mosè ed Elia, comparendo nella gloria, non si intrattennero con Gesù sul Tabor precisamente sul grande mistero della Passione e della Morte di Gesù Cristo stesso?
Sì; ed è perciò che S. Luca chiama con una parola tanto bene scelta, « la partenza di Gesù » che doveva compiere in Gerusalemme (XLV, 3).
Capo XX.
La partensza di Gesù Cristo da questo mondo. – La sua Passione e la sua Morte. – La sua sepoltura.
1537. Che cosa comprende questa partenza di Gesù da questo mondo, che Egli doveva compiere in Gerusalemme?
Comprende quattro cose: la passione, la morte, la sepoltura e la discesa all’inferno (XLVI – LII).
1538. Perché Gesù Cristo ha voluto soffrire tutto ciò che ha sofferto nel corso della sua Passione fino alla morte sulla croce?
Gesù Cristo ha voluto soffrire tutte questo, prima per obbedire al Padre che aveva così determinato nei Suoi eterni decreti; ed inoltre perché pienamente consapevole di questi divini consigli sapeva che la sua Passione doveva essere il capo d’opera della sapienza e dell’amore di Dio, operando con questo mezzo la salute del mondo, in modo da confondere il suo mortale nemico, il demonio, e da dare agli uomini la suprema testimonianza del suo amore (XLVI, 1).
1539. Ciò che Gesù Cristo ha sofferto nel corso della sua Passione, supera tutto quanto sarà mai possibile trovare come colmo di sofferenza?
Sì; perché da una parte la sensibilità di Gesù Cristo era la più perfetta che si sia mai data, soggetta ad un insieme di cause di sofferenza di cui non si troverà mai l’uguale, senza che dall’alto della sua anima che godeva della perfetta visione beatifica scendesse alcun raggio di consolazione per raddolcire le pene della sua parte sensibile. Del resto, Gesù Cristo, portando in Sè la responsabilità di tutti i peccati del mondo che veniva a cancellare con la sua Passione, ha voluto prendersi una Somma tale di sofferenza che fosse proporzionata a questo fine (XLVI 5, 6).
1540. In qual modo la Passione di Gesù Cristo ha operato la mostra salute?
La Passione di Gesù Cristo considerata in rapporto di azione con la divinità, ed in quanto ne era lo strumento, ha operato la nostra salute per modo di “causa efficiente” compiendo essa stessa questa opera di salute. Considerata come accettata dalla sua volontà umana, ha operato la nostra salute per modo di “merito”. Considerata sotto il suo proprio aspetto di Passione e di sofferenza nella carne di Gesù Cristo, ossia nella sua parte sensibile, essa ha operato la nostra salute, per modo. Di “soddisfazione” , in quanto ci ha liberato dalla pena meritata dai nostri peccati; per modo di “redenzione” o di riscatto, in quanto ci ha liberato dalla schiavitù del peccato e del demonio; per modo di “sacrifizio”, in quanto per mezzo di essa ritorniamo in grazia di Dio e riconciliati eon Lui (XLVIII, 1-4).
1541. Si deve dire che ê proprio di Gesù Cristo essere Redentore del genere umano?
Si; perché il prezzo di questa Redenzione o di questo riscatto non è altro che il Sangue e la vita di Gesù Cristo, che Egli stesso ha offerto a Dio Padre ed a tutta la Trinità augusta, perché fosse rotta la catena che ci legava al peccato ed al demonio. Tuttavia, siccome la umanità del Salvatore doveva ripetere il Sangue e la vita dalla Trinità augusta, ed il moto con cui il Figliuolo di Dio Incarnato si portava, nella Sua umanità, ad offrire il prezzo della nostra redenzione, veniva in questa umanità come da prima origine dalla divinità, causa prima di ogni bene, ne segue che l’opera della Redenzione si attribuisce principalmente alla Trinità intera, come a prima Causa. benché come Causa immediata sia propria del Figliuolo di Dio fatto uomo (XLVIII 5).
1542. La Passione di Gesù Cristo ci ha liberato ad un titolo speciale dalla schiavitù del demonio, strappandoci alla sua potenza?
Sì; perché essa ha distrutto il peccato per il quale l’uomo, cedendo alla suggestione del demonio, aveva meritato di cadere sotto il suo dominio; ci ha riconciliato con Die che noi avevamo offeso e la giustizia del quale aveva abbandonato l’uomo al potere del demonio: finalmente essa ha indebolito il potere tirannico del demonio, permettendogli di abbandonarsi sul Figliuolo di Dio all’abuso di potere che ha commesso, facendolo mandare alla morte mentre era innocente (XLIX, 1-4).
1848. Si deve dire che effetto specialissimo della Passione di Gesù Cristo sia stato quello di aprirei le porte del cielo?
Sì; perché ciò che chiudeva a tutto il genere umano le porte del cielo era il duplice ostacolo dei peccati personali di ciascun individuo, e del peccato di natura comune a tutti gli uomini, in forza della loro origine da Adamo peccatore. Ora questo duplice ostacolo ê stato interamente tolto mediante 1a Passione di Gesù Cristo (XLIX, 5).
1544. Era necessario che nella sua Passione Gesù Cristo arrivasse sino a morire come ha fatto?
Si; niente era maggiormente in armonia con la sapienza dei divini consigli e del suo amore. Perché in tal modo eravamo noi stessi liberati dalla morte spirituale del peccato e dalla morte a noi inflitta come pena del peccato. Infatti morendo per noi, Gesù Cristo ha vinto la morte nella sua Persona e ci ha valso di poterne trionfare noi stessi, sia non temendola più, sapendo che non moriamo per sempre, sia assicurando la nostra vittoria su di essa per mezzo della nostra incorporazione nella morte sua (L, 1).
1545. Ma perché Gesù Cristo ha voluto essere sepolto dopo la sua morte?
Primieramente per ben dimostrare che Egli era realmente morto, perché nessuno è messo nella tomba se non quando la sua morte è stata debitamente constatata. In secondo luogo per assicurarci, mediante la Sua resurrezione dalla tomba, che tutti i morti risusciteranno un giorno ed usciranno dai loro sepolcri. In terzo luogo per insegnarci che morendo al peccato, noi dovevamo uscire di mezzo alla vita di peccato, per non vivere in avvenire che insieme con Lui nascosti in Dio (LI, 1).
Capo XXI.
La discesa all’Inferno.
1546. Perché Gesù Cristo volle scendere all’Inferno?
Per liberare noi dall’obbligo di scendervi: per trionfarvi del demonio, liberando coloro che vi stavano detenuti; per mostrare la sua potenza fino all’Inferno, visitandolo e spandendovi la sua luce (LII, 1).
1547. Ma quale è questo Inferno dove Gesù Cristo è disceso dopo la Sua morte?
Gesù Cristo dopo la sua morte ê disceso a quella parte del Inferno che era la dimora dei giusti che non avevano più alcuna pena da scontare per i loro peccati, ma erano ritenuti soltanto per il debito comune del peccato originale, ivi soltanto si recò per mostrarsi e per dare ai santi Patriarchi la gioia della sua presenza; ma di li fece sentire gli effetti della sua discesa anche all’Inferno dei dannati, confondendoli per la loro incredulità e per 1a loro malizia; e specialmente al Purgatorio consolando le anime che vi erano trattenute, con la speranza di essere ammesse nella gloria subito dopo la espiazione (LII, 2).
1548. Gesù Cristo rimase gualche tempo nell’Inferno dove era disceso?
Vi rimase tutto il tempo che il suo corpo rimase nella tomba (LII, 4).
1549. Gesù Cristo risalendo dall’Inferno, ha ricondotto seco le anime dei giusti?
Sì: perché fin dal suo arrivo in mezzo ad esse comunicò loro immediatamente la visione beatifica del cielo, di cui continuarono a godere con Lui per tutto il tempo che passò con loro. E quando la sua anima uscì dall’inferno per riunirsi al corpo nel momento della Resurrezione, fece uscire dall’Inferno tutte le anime dei giusti che non dovevano più separarsi da Lui (LII, 5).
Ecco la seconda parte di questo stupendo e straordinario documento del Magistero pontificio, in cui il Sommo Pontefice traccia la storia del culto del Sacro Cuore di Gesù, additandolo come rimedio spirituale dei mali del nostro tempo, ed associandolo al culto del Cuore Immacolato della Vergine Maria. Questo culto associato alla devozione ed alla pratica del Santo Rosario sono i rimedi che la Maestà divina ci ha donato e ci prescrive per i nostri tempi, ultimi anni degli ultimi tempi, quelli cioè racchiusi tra le due parusie del Cristo Gesù. Ascoltiamo il Santo Pontefice e pratichiamo quanto ci raccomanda a nostra eterna salvezza dell’anima.
HAURIETIS AQUAS
PIO XII
LETTERA ENCICLICA
SULLA DEVOZIONE AL SACRO CUORE DI GESÙ (II)
III
Ed ora, Venerabili Fratelli, al fine di cogliere più abbondanti frutti da queste nostre tanto consolanti riflessioni, indugiamo alquanto nella contemplazione dell’intima partecipazione avuta dal Cuore del Salvatore nostro Gesù Cristo alla sua vita affettiva umana e divina, durante il periodo della sua vita terrena, e della partecipazione che Esso ha al presente ed avrà per tutta l’eternità. È alle pagine del Vangelo che noi domanderemo principalmente la luce per inoltrarci nel santuario di questo Cuore divino, dove potremo ammirare con l’Apostolo delle genti: « immensa ricchezza della grazia [di Dio], nella benignità verso di noi in Cristo Gesù ». – Palpita d’amore il Cuore adorabile di Gesù Cristo, all’unisono con il suo amore umano e divino, allorché, come ci rivela l’Apostolo, non appena la Vergine Maria ha pronunziato il suo magnanimo « Fiat », il Verbo di Dio: « entrando nel mondo, dice: “Tu non hai voluto sacrificio né offerta, ma mi hai preparato un corpo: olocausto anche per il peccato tu non gradisti: allora dissi: — Ecco io vengo — (giacché di me si parla all’inizio del libro) — per compiere, o Dio, la tua volontà ”… E in questa volontà noi siamo santificati per l’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre ». – Palpitava altresì d’amore il Cuore del Salvatore, sempre in perfetta armonia con gli affetti della sua volontà umana e con il suo amore divino, quando Egli intesseva celestiali colloqui con la sua dolcissima Madre, nella casetta di Nazaret, e col suo padre putativo Giuseppe, cui obbediva prestandosi come fedele collaboratore nel faticoso mestiere del falegname. Parimente palpitava d’amore il Cuore di Cristo, ancora in pieno accordo col suo duplice amore spirituale, nelle continue sue peregrinazioni apostoliche; nel compiere gli innumerevoli prodigi d’onnipotenza, con i quali o risuscitava i morti, o ridonava la salute ad ogni sorta di infermi; nel sopportare fatiche, il sudore, la fame, la sete; nelle lunghe veglie notturne trascorse in preghiera al cospetto del celeste suo Padre; e, infine, nel pronunziare i discorsi, e nel proporre e spiegare le parabole, specialmente quelle che più ci parlano della sua misericordia, come la parabola della dramma perduta, della pecorella smarrita e del figliuol prodigo. E veramente, anche attraverso le parole di Dio, come osserva San Gregorio Magno, si è manifestato il Cuore di Dio: «Intuisci il Cuore di Dio nelle parole di Dio, affinché più ardentemente esperimenti l’attrattiva dei beni eterni ». – Palpitava ancor più d’amore il Cuore di Gesù Cristo, quando dalle di Lui labbra uscivano accenti ispirati ad ardentissimo amore. Così, ad esempio, quando dinanzi allo spettacolo di turbe stanche ed affamate, esclamava: « Ho compassione di questo popolo »; e, nel rimirare la prediletta città di Gerusalemme votata all’estrema rovina a causa della propria ostinazione, le rivolgeva questo accorato rimprovero: « Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati, quante volte io pure volli adunare i tuoi figliuoli come la gallina raduna i suoi pulcini sotto le ali, e tu non hai voluto! ». Palpitava ancora di amore e di santo sdegno il suo Cuore nel veder il sacrilego commercio che si faceva nel tempio, ond’è che rivolse ai profanatori queste severe parole: « Sta scritto: “ La mia casa sarà chiamata casa d’orazione ”, e voi l’avete ridotta una spelonca di ladri ». – Ma particolarmente di amore e di timore palpitò il Cuore di Gesù nella imminenza dell’ora della Passione, allorché, provando naturale ripugnanza dinanzi al dolore e alla morte ormai incombenti, esclamò: « Padre mio: se è possibile passi da me questo calice! »(63); palpitò poi di amore e di intensa afflizione quando, al bacio del traditore, Egli oppose quelle sublimi parole, che suonarono come un ultimo invito rivolto dal misericordiosissimo suo Cuore all’amico, che con animo empio, fedifrago e sommamente ostinato si accingeva a consegnarlo nelle mani dei carnefici: « Amico, a che sei venuto? Con un bacio tradisci il Figliuol dell’uomo? »; palpiti invece di tenero amore e di profonda commiserazione furono quelli che commossero il Cuore del Salvatore, allorché alle pie donne, che ne compiangevano l’immeritata condanna al tremendo supplizio della croce, diresse queste parole: « Figlie di Gerusalemme, non piangete su me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figliuoli… Perché, se si tratta così il legno verde, che ne sarà del secco? ». – Ma è soprattutto sulla croce che il Divin Redentore sente il suo Cuore, divenuto quasi torrente impetuoso, ridondare dei sentimenti più vari; cioè di amore ardentissimo, di angoscia, di compassione, di acceso desiderio, di quiete serena, come ci manifestano apertamente le seguenti sue memorande parole: « Padre, perdona loro, perché non sanno quel che fanno »(66); « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? »; « Ti dico in verità: oggi sarai meco in paradiso »(68); « Ho sete »; « Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio ». – E chi potrebbe degnamente descrivere i palpiti del Cuore divino del Salvatore, indizi certi del suo infinito amore, nei momenti in cui Egli offriva all’umanità i suoi doni più preziosi: Se stesso nel Sacramento dell’Eucaristia, la sua Santissima Madre e il Sacerdozio? Ancor prima di mangiare l’Ultima Cena con i suoi discepoli, al solo pensiero dell’istituzione del Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, la cui effusione avrebbe sancito la Nuova Alleanza, il Cuore di Gesù aveva avuto fremiti di intensa commozione, da Lui rivelati agli Apostoli con queste parole: « Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima di patire »; ma la sua commozione dovette raggiungere il colmo, allorché « prese del pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Questo è il mio corpo, il quale è dato a voi; fate questo in memoria di me ». E così fece col calice, dopo aver cenato. dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel sangue mio, che sarà sparso per voi ». – Si può quindi a buon diritto affermare che la divina Eucaristia, sia come Sacramento che come Sacrificio, di cui Egli stesso è dispensatore e immolatore mediante i suoi Ministri « da dove sorge il sole fin dove tramonta », come pure il Sacerdozio, sono doni palesi del Cuore Sacratissimo di Gesù. – Ma anche Maria, l’alma Madre di Dio e Madre nostra amantissima, è un dono preziosissimo del Cuore Sacratissimo di Gesù. Era giusto, infatti, che Colei, che era stata la Genitrice del Redentore nostro secondo la carne, ed a Lui era stata associata nell’opera di rigenerazione dei figli di Eva alla vita della grazia, fosse da Gesù stesso proclamata Madre spirituale dell’intera umanità. Ben a ragione quindi, scrive di Lei Sant’Agostino: « Indubbiamente Ella è madre delle membra del Salvatore, che siamo noi, poiché con la sua carità ha cooperato affinché avessero la vita nella Chiesa i fedeli, che di quel Capo sono le membra ». – Non contento del dono incruento di sé, sotto le specie del pane e del vino, il Salvatore nostro Gesù Cristo vi volle aggiungere, come suprema testimonianza della sua profonda, infinita dilezione, il Sacrificio cruento della Croce. Così facendo, Egli dava l’esempio di quella sublime carità, che aveva indicato ai suoi discepoli come meta finale dell’amore con queste parole: « Nessuno ha un amore più grande di questo, di uno che dia la vita per i suoi amici »(75). Pertanto, l’amore di Gesù Cristo Figlio di Dio svela nel Sacrificio del Golgota, e nel modo più eloquente, l’amore stesso di Dio: « Da questo abbiamo conosciuto la carità di Dio, perché Egli ha dato la sua vita per noi, e così noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli »(76). E in realtà, il nostro divin Redentore è stato confitto al legno della Croce più dalla veemenza interiore del suo amore che dalla brutale violenza esterna dei suoi carnefici; e il suo volontario olocausto è il dono supremo che il suo Cuore ha fatto ad ogni singolo uomo, secondo la incisiva sentenza dell’Apostolo: « (Il) Figlio di Dio… mi ha amato e ha dato se stesso per me ». – Non vi può essere dunque alcun dubbio che il Cuore sacratissimo di Gesù, compartecipe così intimo della vita del Verbo Incarnato, e perciò assunto quasi a strumento congiunto della Divinità, non meno delle altre membra dell’umana natura nel compimento di tutte le sue opere di grazia e di onnipotenza, sia anche divenuto il simbolo legittimo di quella immensa carità, che spinse il Salvatore nostro a celebrare nel sangue il suo mistico matrimonio con la Chiesa: « Egli ha accettato la Passione, per l’ardente desiderio che aveva di unire a sé la Chiesa come sua Sposa ». La Chiesa, quindi, vera ministra del Sangue della Redenzione, è nata dal Cuore trafitto del Redentore; e dal medesimo è parimente sgorgata in sovrabbondante copia la grazia dei Sacramenti, che trasfonde nei figli della Chiesa la vita eterna, come ben ci ricorda la sacra Liturgia: « Dal Cuore trafitto nasce la Chiesa a Cristo congiunta… Tu, che dal Tuo Cuore fai sgorgare la grazia ». – Di questo simbolismo, non ignoto nemmeno agli antichi Padri e scrittori ecclesiastici, il Dottore Comune, facendosi loro fedele interprete, scrive: « Dal lato di Cristo sgorgano l’acqua, simbolo di spirituale abluzione, e il sangue, simbolo di redenzione. Perciò il sangue ben si addice al sacramento dell’Eucaristia; l’acqua, invece, al sacramento del Battesimo, che però mutua la sua virtù abluente dalla virtù del sangue di Cristo ». A questo simbolismo del lato di Cristo, trafitto ed aperto dalla lancia del soldato, non è certamente estraneo il suo Cuore stesso, che indubbiamente dovette essere raggiunto dal colpo violento, vibrato allo scopo di accertare la morte di Gesù Cristo crocifisso. Pertanto, la ferita del Cuore Sacratissimo di Gesù, ormai spirato, doveva rimanere nei secoli la vivida immagine di quella spontanea carità, che aveva indotto Dio stesso a dare il suo Unigenito per la redenzione degli uomini, e con la quale Cristo amò noi tutti con amore sì veemente, da offrirsi come vittima d’immolazione cruenta sul Calvario: « Cristo amò noi, e diede se stesso per noi, oblazione e sacrifizio a Dio, profumo di soave odore ». – Dopo che il Salvatore nostro ascese al cielo e si assise alla destra del Padre nello splendore della sua umanità glorificata, non ha cessato di amare la Chiesa, sua sposa, anche con quell’ardentissimo amore, che palpita nel suo Cuore. Egli, infatti, ascese al cielo recando nelle ferite delle mani, dei piedi e del costato i trofei luminosi della sua triplice vittoria: sul demonio, sul peccato e sulla morte; e recando altresì nel suo Cuore, come riposti in un preziosissimo scrigno, quegli immensi tesori di meriti, frutti del suo triplice trionfo, che adesso dispensa in larga copia al genere umano redento. È questa la verità consolante, di cui si fa assertore l’Apostolo delle genti, quando scrive: « Ascendendo in alto portò via schiava la schiavitù, dette donativi agli uomini… Il discendente è lo stesso che l’ascendente sopra tutti i cieli, affinché riempisse tutte le cose ». – La donazione dello Spirito Santo, fatta ai discepoli, è il primo segno perspicuo della munifica carità del Salvatore dopo la sua trionfale ascensione sino alla destra del Padre. Infatti, dopo dieci giorni lo Spirito Paraclito dato dal Padre discende su gli apostoli radunati nel Cenacolo, secondo che Gesù aveva promesso nell’Ultima Cena: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga in eterno con voi »(84). Il quale Spirito Paraclito, essendo l’Amore mutuo, personale, col quale il Padre ama il Figlio e il Figlio il Padre, da ambedue è inviato, e sotto il simbolo di lingue di fuoco investe gli animi dei discepoli con l’abbondanza della divina carità e degli altri celesti carismi. Ma questa infusione di superna carità emana altresì dal Cuore del Salvatore nostro, « in cui sono riposti tutti i tesori della sapienza e della scienza ». – La carità divina, pertanto, è dono ad un tempo del Cuore di Gesù e del suo Spirito. A questo comune Spirito del Padre e del Figlio si devono in primo luogo e l’origine della Chiesa e la sua mirabile propagazione in mezzo a tutte le genti pagane, prima dominate dall’idolatria, dall’odio fraterno, dalla corruzione dei costumi e dalla violenza. È la carità divina, dono preziosissimo del Cuore di Cristo e del suo Spirito, che ha ispirato agli Apostoli e ai Martiri la fortezza eroica nel predicare e testimoniare la verità del Vangelo sino all’effusione del sangue; ai Dottori della Chiesa lo zelo ardente per la chiarificazione e la difesa della fede cattolica; ai Confessori la pratica delle più elette virtù e il compimento delle imprese più utili e più ammirabili, proficue alla propria santificazione e alla salute spirituale e corporale del prossimo; alle Vergini, infine, la rinunzia pronta e gioconda a tutte le delizie dei sensi, allo scopo di consacrarsi unicamente all’amore del celeste Sposo. È a questa divina carità, che ridondando dal Cuore del Verbo Incarnato si riversa per opera dello Spirito Santo negli animi di tutti i credenti, che l’Apostolo delle genti scioglie quell’inno di vittoria, che celebra in pari tempo il trionfo di Gesù Cristo Capo e dei membri del suo Mistico Corpo su quanto ostacola l’instaurazione del Regno Divino dell’amore fra gli uomini: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? la tribolazione o l’angoscia o la fame o la nudità, o il pericolo, o la persecuzione, o la spada?… Ma in tutte queste cose siamo più che vincitori per opera di Colui che Ci ha amato. Poiché io son persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né virtù, né cose attuali né future, né potestà, né altezza, né profondità, né alcun altra creatura potrà separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù Signor Nostro ». – Nulla dunque ci vieta di adorare il Cuore sacratissimo di Gesù, in quanto è compartecipe e il simbolo più espressivo di quella inesausta carità, che il Divin Redentore nutre tuttora per il genere umano. Esso, infatti, benché non sia più soggetto ai turbamenti della vita presente, è sempre vivo e palpitante, e in modo indissolubile è unito alla Persona del Verbo di Dio e, in essa e per essa, alla divina sua volontà. – Perciò, essendo il Cuore di Cristo ridondante di amore divino ed umano, e ricolmo dei tesori di tutte le grazie, conquistati dal Redentore nostro con i meriti della sua vita, delle sue sofferenze e della sua morte, è senza dubbio la sorgente di quella perenne carità, che il suo Spirito diffonde in tutte le membra del suo Corpo Mistico. – Nel Cuore pertanto del Salvatore nostro vediamo in qualche modo riflessa l’immagine della divina Persona del Verbo, come pure l’immagine della sua duplice natura, l’umana cioè e la divina; e vi possiamo ammirare non soltanto il simbolo ma anche, per così dire, la sintesi di tutto il mistero della nostra redenzione. Adorando il Cuore sacratissimo di Gesù in esso e per esso noi adoriamo sia l’amore increato del Verbo Divino, sia il suo amore umano con tutti gli altri suoi affetti e virtù, poiché e quello e questo spinsero il nostro Redentore ad immolarsi per noi e per tutta la Chiesa sua Sposa, conforme alla sentenza dell’Apostolo «Cristo amò la Chiesa e diede se stesso per lei al fine di santificarla, purificandola col lavacro dell’acqua mediante la parola di vita, per far comparire davanti a sé, gloriosa, la Chiesa, affinché sia senza macchia, senza ruga o altra cosa siffatta, ma anzi santa e immacolata ». – Come Cristo ha amato la Chiesa, così Egli l’ama tuttora intensamente con quel triplice amore, di cui abbiamo parlato; ed è appunto questo amore che lo stimola a farsi nostro avvocato, per conciliarci dal Padre grazia e misericordia, « essendo sempre vivo, sì da poter intercedere in nostro favore »(89). La preghiera che erompe dal suo inesauribile amore, diretta al Padre, non soffre alcuna interruzione. – Come « nei giorni della sua vita nella carne »(90), così ora ch’è trionfante nei Cieli, Egli supplica il Padre con non minore efficacia; ed a Colui, che « ha talmente amato il mondo da dare il suo Figliuolo unigenito, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna ». Egli mostra il suo Cuore vivo e ferito dall’amore, ben più profondamente che non lo sia stato, ormai esanime, dal colpo di lancia del soldato romano: « Per questo è stato trafitto [il tuo Cuore] affinché, attraverso la ferita visibile, vedessimo la ferita invisibile dell’amore ». – Non vi può essere dunque alcun dubbio che, supplicato da tanto Avvocato e con sì veemente amore, il Padre celeste, « che non risparmiò il proprio Figlio, ma per tutti noi lo diede »(93), profonderà incessantemente su tutti gli uomini le sue grazie divine.
IV
Abbiamo voluto, Venerabili Fratelli, proporre alla considerazione vostra e del popolo cristiano, nelle sue linee generali, l’intima natura e le perenni ricchezze del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, richiamandoci alla dottrina della divina rivelazione, come alla sua primaria sorgente. Siamo pertanto convinti che queste Nostre riflessioni, dettateci dall’insegnamento stesso del Vangelo, abbiano chiaramente mostrato come questo culto s’identifichi, in sostanza, col culto all’amore divino e umano del Verbo Incarnato e, anche, col culto all’amore stesso che anche il Padre e lo Spirito Santo nutrono verso gli uomini peccatori. Poiché, come osserva l’Angelico Dottore, la carità delle Tre Divine Persone sta al principio e alle origini del mistero dell’umana Redenzione, in quanto, influendo essa potentemente sulla volontà umana di Gesù Cristo, e ridondando quindi nel suo Cuore adorabile, gli ispirò un identico amore, che l’indusse a dare generosamente il suo Sangue, affinché ci riscattasse dalla servitù del peccato(94): « Io devo ancora essere battezzato con un battesimo, e come sono angustiato finché esso non si compia! ». – È per altro Nostra persuasione che il culto tributato all’amore di Dio e di Gesù Cristo verso il genere umano attraverso il simbolo augusto del Cuore trafitto del Redentore, non sia mai stato completamente assente dalla pietà dei fedeli, benché abbia avuto la sua chiara manifestazione e la sua mirabile propagazione nella Chiesa in tempi da noi non molto remoti, soprattutto dopo che il Signore stesso si degnò di scegliere alcune anime predilette, cui svelò i segreti divini di questo culto e che Egli elesse a messaggere del medesimo, dopo averle ricolmate in gran copia di grazie speciali. Sempre, infatti, vi sono state anime sommamente a Dio devote, le quali, ispirandosi agli esempi dell’eccelsa Madre di Dio, degli Apostoli e di illustri Padri della Chiesa, hanno tributato all’Umanità santissima di Cristo, e in modo speciale alle Ferite, aperte nel suo corpo dai tormenti della salutifera Passione, il culto di adorazione, di riconoscenza e di amore. – Del resto, come non riconoscere nelle parole stesse: « Signore mio e Dio mio! » pronunziate dall’Apostolo Tommaso e rivelatrici della sua improvvisa trasformazione da incredulo in fedele, un’aperta professione di fede, di adorazione e di amore, che dall’umanità piagata del Salvatore si elevava sino alla maestà della Divina Persona? – Se però il Cuore trafitto del Redentore dovette sempre esercitare un potente stimolo al culto verso il suo amore infinito per il genere umano, poiché per i cristiani di tutti i tempi hanno valore le parole del profeta Zaccaria, riferite al Crocifisso dall’evangelista San Giovanni: «Vedranno Chi hanno trafitto »(97), è doveroso tuttavia riconoscere che soltanto gradualmente esso venne fatto oggetto di un culto speciale, come immagine dell’amore umano e divino del Verbo Incarnato. Volendo ora soltanto accennare alle tappe gloriose percorse da questo culto nella storia della pietà cristiana, occorre anzitutto ricordare i nomi di alcuni di coloro, che ben si possono considerare come gli antesignani di questa devozione; la quale in forma privata, ma in modo graduale sempre più vasto, andò diffondendosi in seno agli istituti religiosi. Così, ad esempio, sono benemeriti del sorgere e dell’espandersi del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù: San Bonaventura, Sant’Alberto Magno, Santa Geltrude, Santa Caterina da Siena, il Beato Enrico Susone, San Pietro Canisio, San Francesco di Sales. A San Giovanni Eudes si deve la composizione del primo ufficio liturgico in onore del Cuore Sacratissimo di Gesù, la cui festa solenne fu per la prima volta celebrata, col beneplacito di molti Vescovi della Francia, il 20 ottobre 1672. – Ma fra tutti i promotori di questa nobilissima devozione merita di essere posta in speciale rilievo Santa Margherita Maria Alacoque, poiché al suo zelo, illuminato e coadiuvato da quello del suo direttore spirituale, il Beato Claudio de la Colombière, si deve indubbiamente se questo culto, già così diffuso, ha raggiunto lo sviluppo che desta oggi l’ammirazione dei fedeli cristiani, e ha rivestito le caratteristiche di omaggio di amore e di riparazione, che lo distinguono da tutte le altre forme della pietà cristiana. – Basta questo rapido sguardo ai primordi e al graduale sviluppo del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, per renderci pienamente convinti che il suo mirabile progresso è dovuto anzitutto al fatto che esso fu trovato in tutto conforme all’indole della Religione cristiana, che è la Religione dell’amore. Tale culto, quindi, non può dirsi originato da rivelazioni private, né si deve pensare che esso sia apparso quasi all’improvviso nella vita della Chiesa; ma esso è scaturito spontaneamente dalla viva fede e dalla fervida pietà, che anime elette nutrivano verso la persona del Redentore e verso quelle sue gloriose ferite, che ne testimoniano nel modo più eloquente l’amore immenso dinanzi allo spirito contemplativo dei fedeli. – Pertanto, le rivelazioni, di cui fu favorita Santa Margherita Maria, non aggiunsero alcuna nuova verità alla dottrina cattolica. Ma la loro importanza consiste in ciò che il Signore — mostrando il suo Cuore Sacratissimo — in modo straordinario e singolare si degnò di attrarre le menti degli uomini alla contemplazione e alla venerazione dell’amore misericordiosissimo di Dio per il genere umano. Infatti, mediante una così eccezionale manifestazione Gesù Cristo espressamente e ripetutamente indicò il suo Cuore come un simbolo quanto mai atto a stimolare gli uomini alla conoscenza e alla stima del suo amore; ed insieme lo costituì quasi segno ed arra di misericordia e di grazia per i bisogni spirituali della Chiesa nei tempi moderni. – Del resto, una prova evidente che questo culto trae la sua linfa vitale dalle radici stesse del dogma cattolico è resa dal fatto che l’approvazione della festa liturgica da parte della Sede Apostolica ha preceduto quella degli scritti di Santa Margherita Maria; in realtà, indipendentemente da ogni rivelazione privata, ma soltanto assecondando i voti dei fedeli, la Sacra Congregazione dei Riti, con decreto emanato il 25 gennaio dell’anno 1765 e approvato dal Nostro Predecessore Clemente XIII il 6 febbraio dello stesso anno, concedeva all’Episcopato della Polonia e all’Arciconfraternita Romana del Sacro Cuore la facoltà di celebrare la festa liturgica; col quale atto la Santa Sede volle che prendesse nuovo incremento un culto già vigente e florido, il cui scopo era quello di « ravvivare simbolicamente il ricordo dell’amore divino », che aveva indotto il Salvatore a farsi vittima di espiazione per i peccati degli uomini. – A questo primo riconoscimento ufficiale, dato sotto forma di privilegio e in misura limitata, un altro ne seguì a distanza quasi di un secolo, di importanza molto maggiore. Intendiamo parlare del decreto, già sopra menzionato, emanato dalla Sacra Congregazione dei Riti il 23 agosto dell’anno 1856, con il quale il Nostro Predecessore Pio IX, di imm. mem., accogliendo i voti dei Vescovi della Francia e di quasi tutto il mondo cattolico, estendeva alla Chiesa intera la festa del Cuore Sacratissimo di Gesù, e ne prescriveva la degna celebrazione liturgica. – Data questa veramente meritevole di essere raccomandata al perenne ricordo dei fedeli, poiché, come ben si fa rilevare nella liturgia stessa di tale festività: « Da quel giorno il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, simile a un fiume ridondante, superati tutti gli ostacoli, si sparse per tutto il mondo cattolico ». Da quanto siamo venuti esponendo appare evidente, Venerabili Fratelli, che è nei testi della Sacra Scrittura, della Tradizione e della Sacra Liturgia, che i fedeli devono studiarsi principalmente di scoprire le sorgenti limpide e profonde del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, se desiderano penetrarne l’intima natura e trarre dalla pia meditazione intorno ad essa alimento ed incremento del loro religioso fervore. Grazie a questa assidua e altamente luminosa meditazione l’anima fedele non potrà non giungere a quella soave conoscenza della carità di Cristo, nella quale è riposta la pienezza della vita cristiana, come, edotto dalla propria esperienza, insegna l’Apostolo quando scrive: « In vista di ciò io piego le ginocchia davanti al Padre del Signor nostro Gesù Cristo… affinché dia a voi, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere per mezzo dello Spirito di lui fortemente corroborati nell’uomo interiore, e faccia sì che Cristo dimori nei vostri cuori per mezzo della fede, e voi radicati e fortificati in amore siate resi capaci… di intendere anche quest’amore di Cristo che sorpassa ogni scienza, affinché siate ripieni di tutta la pienezza di Dio ». Di questa universale pienezza di Dio è appunto immagine splendidissima il Cuore stesso di Gesù Cristo: pienezza, cioè, di misericordia, propria della Nuova Alleanza, nella quale « apparvero la benignità e la filantropia del Salvatore nostro Dio »(102), poiché: « Dio non ha mandato il Figliuol suo nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui ». Fu dunque costante persuasione della Chiesa, maestra agli uomini di verità, fin da quando emanò i suoi primi atti ufficiali ricordanti il culto del Cuore Sacratissimo di Gesù, che gli elementi essenziali di esso, cioè gli atti di amore e di riparazione tributati all’amore infinito di Dio verso gli uomini, lungi dall’essere inquinati di materialismo e di superstizione, costituiscono una forma di pietà, in cui si attua perfettamente il culto quanto mai spirituale e veritiero, preannunziato dal Salvatore stesso nel suo colloquio con la donna samaritana: «Viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in ispirito e verità, ché tali sono appunto gli adoratori che il Padre domanda. Iddio è spirito, e quelli che lo adorano lo devono adorare in ispirito e verità ». – Non è pertanto giusto dire che la contemplazione del cuore fisico di Gesù impedisce il contatto più intimo con l’amore di Dio e che essa ritarda il progresso dell’anima sulla via che conduce al possesso delle più eccelse virtù. La Chiesa respinge senz’altro questo falso misticismo, come, per bocca del Nostro Predecessore Innocenzo XI di fel. mem., ha condannato la dottrina di coloro che asserivano: « Non devono (le anime di questa via interna) compiere atti di amore verso la beata Vergine, i Santi o l’umanità di Cristo; poiché, essendo tali oggetti sensibili, anche l’amore che ad essi si porta è sensibile. Nessuna creatura, e nemmeno la beata Vergine e i Santi, devono albergare nel nostro cuore: perché solo Dio lo vuole occupare e possedere ». – Coloro che così pensano, sono naturalmente del parere che il simbolismo del Cuore di Cristo non si estenda oltre la significazione del suo amore sensibile e che quindi non possa costituire un nuovo fondamento del culto di latria, ch’è riservato soltanto a ciò che è essenzialmente divino. Ora, una simile concezione del valore simbolico delle sacre immagini deve apparire ad ognuno del tutto falsa, perché essa ne coarta a torto il trascendente significato. Diversamente da costoro, giudicano e insegnano i teologi cattolici di cui esprime la comune sentenza San Tommaso quando scrive: « Alle immagini vien tributato il culto religioso, non secondo la considerazione loro assoluta, in quanto cioè sono delle realtà a sé: ma in quanto sono immagini che ci conducono fino a Dio incarnato. Ora il movimento dell’animo che ha per oggetto l’immagine, in quanto è immagine, non si arresta ad essa, ma tende fino all’oggetto da essa rappresentato. Perciò, per il fatto che alle immagini di Cristo è tributato il culto religioso, non risulta un culto di latria essenzialmente diverso, né una distinta virtù di religione ». È dunque alla Persona stessa del Verbo Incarnato che termina il culto relativo tributato alle sue immagini, siano queste le reliquie della Passione, o il simulacro che tutte le vince per valore espressivo, cioè il Cuore trafitto di Cristo crocifisso. – Dall’elemento quindi corporeo, che è il Cuore di Gesù Cristo, e dal suo naturale simbolismo è per noi legittimo e doveroso ascendere, sorretti dalle ali della fede, non soltanto alla contemplazione del suo amore sensibile, ma ancora più in alto, fino alla considerazione e all’adorazione del suo eccellentissimo amore infuso; finalmente, con un’ultima dolce e più sublime ascesa, elevarci sino alla meditazione e all’adorazione dell’Amore divino del Verbo Incarnato. Alla luce, infatti, della fede, per la quale crediamo che nella Persona di Cristo esiste il connubio tra la natura umana e la divina, la nostra mente è resa idonea a concepire gli strettissimi vincoli che esistono tra l’amore sensibile del cuore fisico di Gesù e il suo duplice amore spirituale, l’umano e il divino. In realtà, questi amori non devono semplicemente considerarsi come coesistenti nell’adorabile Persona del Divin Redentore, ma anche come tra loro congiunti con vincolo naturale, in quanto all’amore divino sono subordinati l’umano spirituale e il sensibile, e questi due ultimi riflettono in se medesimi la somiglianza analogica del primo. Non si pretende perciò di vedere e di adorare nel Cuore di Gesù l’immagine così detta formale, cioè il segno proprio e perfetto del suo amore divino, non essendo possibile che l’intima essenza di questo sia adeguatamente rappresentata da qualsiasi immagine creata; ma il fedele, venerando il Cuore di Gesù, adora insieme con la Chiesa il simbolo e quasi il vestigio della Carità divina, la quale si è spinta fino ad amare anche col cuore del Verbo Incarnato il genere umano, contaminato da tante colpe. – È necessario quindi tener sempre presente in questo così importante ma altrettanto delicato argomento, che la verità del simbolismo naturale, in virtù della quale il Cuore fisico di Gesù entra in un nuovo rapporto con la Persona del Verbo, riposa tutta sulla verità primaria dell’unione ipostatica; intorno a cui non si può nutrire alcun dubbio, se non si vogliono rinnovare gli errori, più volte dalla Chiesa condannati, perché contrari all’unità di Persona in Cristo, nella distinzione e integrità delle due nature. – Tale fondamentale verità ci fa comprendere come il Cuore di Cristo sia il cuore di una persona divina, cioè del Verbo Incarnato, e che pertanto rappresenta tutto l’amore che Egli ha avuto ed ha ancora per noi. È proprio per questa ragione che il culto da tributarsi al Cuore Sacratissimo di Gesù è degno di essere stimato come la professione pratica di tutto il Cristianesimo. La religione cristiana, infatti, essendo la religione di Gesù, è tutta imperniata su l’Uomo-Dio Mediatore, così che non si può giungere al Cuore di Dio se non passando per il Cuore di Cristo, conforme a quanto Egli ha affermato: « Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me ». – Ciò presupposto, è facile concludere che il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù non è in sostanza che il culto dell’amore che Dio ha per noi in Gesù, ed è insieme la pratica del nostro amore verso Dio e verso gli altri uomini. In altre parole, tale culto si propone l’amore di Dio come oggetto di adorazione, di azione di grazie e di imitazione; ed inoltre considera la perfezione del nostro amore per Iddio e per il prossimo come la meta da raggiungere mediante la pratica sempre più generosa del comandamento nuovo, lasciato dal Divino Maestro agli Apostoli quasi in sacra eredità, allorché disse loro: « Io vi dò il comandamento nuovo: Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi… Ecco il mio comandamento: Amatevi scambievolmente, come io ho amato voi ». Comandamento veramente nuovo e proprio di Cristo, poiché, come osserva l’Aquinate: « La differenza tra il Nuovo e il Vecchio Testamento e tutta sommata in una breve parola; come infatti è detto in Geremia: “ Io stringerò con la casa di Israele una nuova alleanza ”. Che poi anche nell’Antico Testamento si praticasse tale comandamento sotto l’impulso di un timore e di un amore santo, è da attribuirsi all’influsso del Nuovo Testamento: perciò è vero che questo comandamento esisteva nell’antica legge, non però come sua prerogativa, ma piuttosto come preludio e preparazione della nuova »-
V
Prima di por fine a così belle e consolanti riflessioni sull’autentica natura e singolare eccellenza del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, Noi, pienamente consapevoli dell’ufficio Apostolico affidato per la prima volta al Beato Pietro, dopo che questi ebbe reso al Salvatore divino una triplice professione di amore, crediamo opportuno rivolgere a voi nuovamente, Venerabili Fratelli, e per mezzo vostro a quanti stimiamo Nostri dilettissimi figli in Cristo, una parola di esortazione, affinché vi studiate di promuovere questa eccellentissima devozione, dalla quale attendiamo copiosissimi frutti spirituali anche per i nostri tempi. – In realtà, se gli argomenti, sui quali si fonda il culto tributato al Cuore trafitto di Gesù, saranno debitamente ponderati, dovrà ad ognuno apparir manifesto che non si tratta di una qualsiasi pratica di pietà, che sia lecito posporre ad altre o tenere in minor conto, ma di una forma di culto sommamente idoneo al raggiungimento della perfezione cristiana. Poiché, se « la devozione — secondo il suo concetto teologico tradizionale, espresso dall’Angelico Dottore — non sembra essere altro che la pronta volontà di dedicarsi a quanto riguarda il servizio di Dio », quale servizio di Dio più obbligatorio e più necessario si può immaginare ed in pari tempo più nobile, e dolce, del servizio reso al suo amore? E quale servizio si può inoltre pensare più gradito ed accetto a Dio di quello che consiste nell’omaggio alla carità divina, e che vien reso per amore, dal momento che ogni servizio reso liberamente è, in un certo senso, un dono, e « l’amore costituisce il primo dono, fonte di ogni donazione gratuita »? – È degna dunque di essere tenuta in grande onore quella forma di culto, grazie alla quale l’uomo è in grado di onorare ed amare maggiormente Dio e di consacrarsi più facilmente e prontamente al servizio della divina carità; tanto più, poi, se si tiene presente che il Redentore stesso si è degnato di proporla e di raccomandarla al popolo cristiano, e i Sommi Pontefici con atti memorandi l’hanno ricolmata di grandi lodi. Farebbe pertanto cosa temeraria e perniciosa, nonché offensiva per Iddio, chiunque nutrisse minore stima per un così insigne beneficio elargito da Gesù Cristo alla sua Chiesa. – Stando così le cose, non vi può essere alcun dubbio per i fedeli, che, tributando il loro ossequio al Cuore Sacratissimo del Redentore, essi soddisfano in pari tempo al dovere gravissimo che hanno di servire Dio e di consacrare al loro Creatore e Redentore se stessi e tutta la propria attività, sia interna che esterna, e in tal modo mettono in pratica il precetto divino: « Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza »(113). Così facendo, i fedeli sono altresì sicuri di non avere come principale motivo della loro consacrazione al servizio divino alcun vantaggio personale corporale o spirituale, temporale o eterno, ma la bontà stessa di Dio, cui procurano di rendere ossequio con atti di amore, di adorazione e di debite azioni di grazie. Se così non fosse, il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù non risponderebbe più all’indole genuina della religione cristiana, poiché allora l’uomo non avrebbe in tale culto soprattutto di mira l’ossequio da rendere all’amore di Dio; e pertanto dovrebbero essere ritenute come giuste le accuse di eccessivo amore e di troppa sollecitudine di se medesimi, mosse a coloro che mal comprendono o meno rettamente praticano una forma di devozione di per sé nobilissima. – Si deve ritenere da tutti fermamente che il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù non consiste principalmente in devote pratiche esteriori, né esso deve essere ispirato anzitutto dalla speranza di propri vantaggi, poiché anche questi benefici il Salvatore divino li ha assicurati mediante private promesse, affinché gli uomini fossero spinti a compiere con maggior fervore i principali doveri della Religione Cattolica e per ciò stesso provvedessero nel modo migliore al proprio spirituale vantaggio. – Sproniamo dunque tutti i Nostri dilettissimi figli in Cristo a praticare con fervore questa devozione, sia coloro che già sono assuefatti ad attingere le acque salutari che sgorgano dal Cuore del Redentore, sia specialmente coloro che, a guisa di spettatori, stanno tuttora osservando con animo curioso ed esitante questo consolante spettacolo. Riflettano essi attentamente — che si tratta di un culto, come abbiamo sopra fatto osservare, che già da molto tempo si è diffuso nella Chiesa e che affonda profondamente le sue radici nelle pagine stesse del Vangelo; di un culto, che ben si accorda con l’insegnamento della Tradizione e della sacra Liturgia e che gli stessi Romani Pontefici hanno esaltato con molteplici ed altissime lodi. Né si contentarono essi di istituire la festa in onore del Cuore augustissimo del Redentore e di estenderla alla Chiesa universale, ma si fecero inoltre gli autori della solenne consacrazione di tutto il genere umano al Sacratissimo Cuore. Infine, giova riflettere che questo culto ha in suo favore una messe di copiosissimi e allietanti frutti spirituali che ne sono derivati alla Chiesa, cioè: innumerevoli ritorni di anime alla pratica della religione cristiana, rinvigorimento della fede in molti spiriti, più intima unione dei fedeli col nostro amabilissimo Redentore; tutti questi frutti, soprattutto in questi ultimi decenni, sono apparsi in una forma esuberante e commovente. – Nel contemplare un sì meraviglioso spettacolo costituito dalla pietà sempre più estesa e fervorosa di ogni ceto dei fedeli cristiani verso il Cuore Sacratissimo di Gesù, l’animo Nostro si sente indubbiamente ricolmo di ineffabile conforto; e, dopo aver reso le dovute grazie al Redentore nostro per i tesori infiniti della sua bontà, non possiamo tralasciare di esprimere la Nostra paterna compiacenza a tutti coloro, sia del clero che del laicato, che hanno cooperato efficacemente all’incremento di questo culto. – Ma, Venerabili Fratelli, nonostante che la devozione verso il Cuore Sacratissimo di Gesù abbia prodotto copiosi frutti di spirituale rinnovamento nella vita cristiana, a nessuno può sfuggire che la Chiesa militante in questo mondo, e soprattutto l’umano consorzio, non ha raggiunto quella perfezione morale, che risponda ai voti e ai desideri manifestati da Gesù Cristo, Mistico Sposo della Chiesa e Redentore del genere umano. Non pochi, infatti, sono i figli della Chiesa che ne deturpano con numerose macchie e rughe quel volto, che in se medesimi riflettono; non tutti i fedeli cristiani risplendono per santità di costumi, cui tuttavia sono divinamente chiamati; non tutti i peccatori sono ritornati alla casa paterna, per ivi rivestire la veste più bella e ricevere l’anello, simbolo della propria fedeltà allo sposo dell’anima loro; non tutti gli infedeli sono stati inseriti come membra nel Corpo Mistico di Cristo. Né ciò basta. Poiché, se da un lato il Nostro animo è vivamente addolorato dallo spettacolo della tiepidezza dei buoni, sedotti dai falsi amori del secolo che raffreddano e finalmente estinguono la fiamma della divina carità nei loro cuori, dall’altro è ancor più rattristato nel rimirare le macchinazioni degli uomini empi, i quali, più che per il passato, sembrano eccitati dal nemico stesso infernale nel loro implacabile ed aperto odio contro Dio, contro la Chiesa, e specialmente contro Colui, che del Divin Redentore è sulla terra il legittimo Vicario e il rappresentante della sua carità presso gli uomini, secondo la ben nota sentenza del Vescovo e Dottore della Chiesa di Milano: «(Pietro) è infatti interrogato su ciò di cui gli altri potevano dubitare, ma il Signore non dubita; il quale interroga non per imparare, ma per insegnare a colui che, devono Egli salire al Cielo, lasciava a noi come vicario del suo amore ». – In verità, l’odio contro Dio e contro i suoi legittimi rappresentanti è il delitto più nefando di cui si possa macchiare l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio e destinato al godimento della sua perfetta e perenne amicizia in cielo; è, infatti, nell’odio contro Dio che si ha la massima avversione dell’uomo dal Sommo Bene; egli viene spinto ad allontanare da sé e dai suoi simili tutto ciò che viene da Dio, con Dio unisce, e al godimento di Dio conduce: la verità, la virtù, la pace, la giustizia. – Orbene, nel vedere che, purtroppo, il numero di coloro che si professano nemici di Dio va oggi crescendo, e che i princìpi del materialismo teorico e pratico si vanno spargendo sempre di più; dinanzi allo spettacolo dell’esaltazione delle cupidigie più sfrenate, come meravigliarsi che si vada raffreddando nell’animo di molti la carità, la quale ben sappiamo essere la legge suprema della Religione Cristiana, il fondamento solidissimo della vera e perfetta giustizia, la sorgente sovrana della pace e delle caste delizie? Del resto, il Salvatore stesso ha ammonito: «Per il moltiplicarsi delle iniquità si raffredderà la carità di molti ». Dinanzi allo spettacolo di tanti mali, che oggi, più che nel passato, travagliano individui, famiglie, nazioni e il mondo intero, dove mai Venerabili Fratelli, cercheremo il rimedio? Si potrà forse trovare una devozione più eccellente del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, più conforme all’indole propria della Religione Cattolica, più idonea a soddisfare le odierne necessità spirituali della Chiesa e del genere umano? Ma, quale atto di omaggio religioso più nobile, più dolce, più salutare del culto sullodato, dal momento che esso è tutto rivolto alla stessa carità di Dio? Infine, quale stimolo più potente della carità di Cristo — che la pietà verso il Cuore Sacratissimo di Gesù fomenta ed accresce — per spingere i fedeli alla perfetta osservanza della legge evangelica, senza la quale, come ammoniscono saggiamente le parole dello Spirito Santo: «Opera della giustizia sarà la pace », non è possibile instaurare la vera pace tra gli uomini? Pertanto, seguendo l’esempio del Nostro immediato Predecessore, piace anche a noi di rivolgere a tutti i Nostri dilettissimi figli in Cristo le parole ammonitrici, con le quali Leone XIII, di imm. mem., al tramonto del secolo scorso, esortava tutti i fedeli cristiani e quanti sono sinceramente solleciti della propria salvezza e di quella della civile società: « Ecco che oggi si offre agli sguardi un altro consolantissimo e divinissimo segno, vale a dire: il Cuore sacratissimo di Gesù… rilucente di splendissimo candore in mezzo alle fiamme. In esso sono da collocarsi tutte le speranze: da esso è da implorare ed attendere la salvezza dell’umanità ». – È altresì vivissimo Nostro desiderio che quanti si gloriano del nome di Cristiani e intrepidamente combattono per stabilire il Regno di Cristo nel mondo, stimino l’omaggio di devozione al Cuore di Gesù come vessillo di unità, di salvezza e di pace. E, però, nessuno pensi che con tale ossequio venga arrecato alcun pregiudizio alle altre forme di pietà, con le quali il popolo cristiano, sotto l’alta direzione della Chiesa, onora il Redentore divino. Al contrario, una fervida devozione verso il Cuore di Gesù alimenterà e promuoverà specialmente il culto alla sacratissima Croce, come pure l’amore verso l’augustissimo Sacramento dell’altare. E in verità possiamo asserire — ciò che del resto è anche mirabilmente illustrato dalle rivelazioni, di cui Gesù Cristo volle favorire Santa Geltrude e Santa Margherita Maria — che nessuno capirà davvero il Crocifisso, se non penetra nel suo Cuore. Né si potrà facilmente comprendere l’amore che ha spinto il Salvatore a farsi nostro spirituale alimento, se non coltivando una speciale devozione verso il Cuore Eucaristico di Gesù, il quale ci ricorda appunto, come ben si esprimeva il Nostro Predecessore di fel. mem. Leone XIII, « l’atto di suprema dilezione col quale il Nostro Redentore, profondendo tutte le ricchezze del suo Cuore allo scopo di stabilire tra noi la sua dimora sino alla fine dei secoli istituì l’adorabile Sacramento dell’Eucaristia ». E, infatti, « l’Eucaristia non è da stimarsi una particella minima del suo Cuore, tanto grande essendo stato l’amore del suo Cuore, col quale ce l’ha donata ». – Finalmente, mossi dal veemente desiderio di opporre validi presidii contro le empie macchinazioni dei nemici di Dio e della Chiesa, come pure di ricondurre sul sentiero dell’amore di Dio e del prossimo famiglie e nazioni, non esitiamo a proporre la devozione al Cuore Sacratissimo di Gesù come la scuola più efficace della divina carità. Su questa carità divina deve poggiare, come su solido fondamento, quel Regno di Dio che occorre stabilire nelle coscienze dei singoli uomini, nella società domestica e nelle nazioni, secondo il sapientissimo ammonimento del sullodato Nostro Predecessore di pia mem.: « Il regno di Gesù Cristo trae forza e bellezza dalla carità divina: amare santamente e ordinatamente è il suo fondamento e il suo fastigio. Da ciò derivano necessariamente le seguenti norme: adempiere inviolabilmente i propri doveri; non far ingiustizia ad alcuno; stimare i beni umani come inferiori ai divini; anteporre l’amor di Dio a tutte le cose ».
Affinché poi il culto verso il Cuore augustissimo di Gesù porti più copiosi frutti di bene nella famiglia cristiana e in tutta l’umana società, si facciano un dovere i fedeli di associarvi intimamente la devozione al Cuore Immacolato della Genitrice di Dio. È infatti sommamente conveniente che, come Dio ha voluto associare indissolubilmente la Beatissima Vergine Maria a Cristo nel compimento dell’opera dell’umana Redenzione, in guisa che la nostra salvezza può ben dirsi frutto della carità e delle sofferenze di Gesù Cristo, cui erano strettamente congiunti l’amore e i dolori della Madre sua; così il popolo cristiano, che da Cristo e da Maria ha ricevuto la vita divina, dopo aver tributato i dovuti omaggi al Cuore Sacratissimo di Gesù, presti anche al Cuore amantissimo della celeste Madre consimili ossequi di pietà, di amore, di gratitudine e di riparazione. È in armonia con questo sapientissimo e soavissimo disegno della Provvidenza divina che Noi stessi volemmo solennemente dedicare e consacrare la santa Chiesa ed il mondo intero al Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria. – E poiché nel corso di quest’anno, come abbiamo più sopra accennato, si compie felicemente un secolo da quando, per disposizione del Nostro Predecessore di fel. mem. Pio IX, la Festa del Cuore Sacratissimo di Gesù si celebra in tutta la Chiesa, è desiderio Nostro vivissimo, Venerabili Fratelli, che questa centenaria ricorrenza sia ricordata dal popolo cristiano, dovunque e solennemente con pubblici omaggi di adorazione, di ringraziamento e di riparazione da offrirsi al Cuore divino di Gesù. Queste manifestazioni poi di cristiano giubilo e di cristiana pietà dovranno indubbiamente essere celebrate con specialissimo fervore — in comunione, tuttavia, di carità e di preghiera con i fedeli della Chiesa universale — in quella Nazione, nella quale, non senza un arcano disegno di Dio, ebbe i natali la santa Vergine che fu promotrice e aralda infaticabile di questa devozione. Frattanto, confortati da soavissima speranza e già pregustando con l’animo quei frutti spirituali che, come confidiamo, deriveranno copiosi alla Chiesa dal culto al Cuore Sacratissimo di Gesù — purché sia rettamente compreso e fervidamente praticato, conformemente a quanto abbiamo esposto, — innalziamo supplichevoli preci a Dio, affinché si degni di assecondare questi ardentissimi Nostri voti col valido sostegno delle sue grazie; ed esprimiamo altresì il voto che, col favore dell’Altissimo, la pietà dei fedeli verso il Cuore Sacratissimo di Gesù ritragga dalle celebrazioni di quest’anno un sempre maggiore incremento e più ampiamente si espanda su tutti nel mondo intero il soavissimo suo impero e regno: « regno di verità e di vita; regno di santità e di grazia; regno di giustizia, di amore e di pace ». – Quale auspicio poi di questi doni celesti, sia a voi personalmente, Venerabili Fratelli, sia al clero e a tutti i fedeli affidati alle vostre cure pastorali, e particolarmente a coloro che si studiano con ogni mezzo di promuovere ed accrescere il culto verso il Cuore Sacratissimo di Gesù, impartiamo con tutta l’effusione dell’animo l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 15 del mese di maggio 1956, nel diciottesimo anno del Nostro Pontificato.
(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)
Le Lezioni dell’Officio di questa Domenica sono spesso prese dal Libro dell’Ecclesiastico (Agosto) o da quello di Giobbe (Settembre). Commentando il primo, S. Gregorio dice: «Vi sono uomini così appassionati per i beni caduchi, da ignorare i beni eterni, o esserne insensibili. Senza rimpiangere i beni celesti perduti, i disgraziati si credono felici di possedere i beni terreni: per la luce della verità, non innalzano mai i loro sguardi e mai provano uno slancio, un desiderio verso l’eterna patria. Abbandonandosi ai godimenti nei quali si sono gettati si attaccano e si affezionano, come se fosse la loro patria, a un triste luogo d’esilio; e in mezzo alle tenebre sono felici come se una luce sfolgorante li illuminasse. Gli eletti, invece, per cui i beni passeggeri non hanno valore, vanno in cerca di quei beni per i quali la loro anima è stata creata. Trattenuti in questo mondo dai legami della carne, si trasportano con lo spirito al di là di questo mondo e prendono la salutare decisione di disprezzare quello che passa col tempo e di desiderare le cose eterne ». — Quanto a Giobbe viene rappresentato nelle Sacre Scritture come l’uomo staccato dai beni di questa terra: «Giobbe soffriva con pazienza e diceva: Se abbiamo ricevuti i beni da Dio, perché non ne riceveremo anche i mali? Dio mi ha donato i beni, Dio me li ha tolti, che il nome del Signore sia benedetto ». — La Messa di questo giorno si ispira a questo concetto. Lo Spirito Santo che la Chiesa ha ricevuto nel giorno di Pentecoste, ha formato in noi un uomo nuovo, che si oppone alle manifestazioni del vecchio uomo, cioè alla cupidigia della carne e alla ricerca delle ricchezze, mediante le quali può soddisfare la prima. Lo Spirito di Dio è uno spirito di libertà che rendendoci figli di Dio, nostro Padre, e fratelli di Gesù, nostro Signore, ci affranca dalla servitù del peccato e dalla tirannia dell’avarizia. « Quelli che vivono in Cristo, scrive S. Paolo, hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e bramosie. Camminate, dunque, secondo lo Spirito e voi non compirete mai i desideri della carne, poiché la carne ha brame contro lo Spirito e lo Spirito contro la carne: essi sono opposti l’uno all’altra » (Ep.). Nessuno può servire a due padroni, dice pure Gesù, perchè o odierà l’uno e amerà l’altro, ovvero aderirà all’uno e disprezzerà l’altro. Voi non potete servire a Dio e alle ricchezze ». « Chiunque è schiavo delle ricchezze, spiega S. Agostino – e si sa che sono spesso fonte di orgoglio, avarizia, ingiustizia e lussuria – è sottomesso ad un padrone duro e cattivo. (« Forse che questi festini giornalieri, questi banchetti, questi piaceri, questi teatri, queste ricchezze, si domanda S. Giovanni Crisostomo, non attestano l’insaziabile esigenza delle tue cattive passioni? » – 2° Nott., V Domenica di Agosto che coincide qualche volta con questa Domenica). Dio non condanna la ricchezza ma l’attaccamento ai beni di questa terra e il loro cattivo impiego. Tutto dedito alle sue bramosie, subisce però la tirannia del demonio: certamente non l’ama perché chi può amare il demonio? ma lo sopporta. D’altra parte non odia Dio, poiché nessuna coscienza può odiare Dio, ma lo disprezza, cioè non lo teme, come se fosse sicuro della sua bontà. Lo Spirito Santo mette in guardia contro questa negligenza e questa sicurezza dannosa, quando dice, mediante il Profeta: Figlio mio, la misericordia di Dio è grande » (Eccl., V, 5 ),— (Queste parole sono prese dal 1° Notturno della V Domenica di Agosto, che coincide qualche volta con questa Domenica: « Non dire: la misericordia di Dio è grande, egli avrà pietà della moltitudine dei miei peccati. Poiché la misericordia e la collera che vengono da Lui si avvicinano rapidamente, e la sua collera guarda attentamente i peccatori. Non tardare a convertirti al Signore e non differirlo di giorno in giorno: poiché la sua collera verrà improvvisamente e ti perderà interamente. Non essere inquieto per l’acquisto delle ricchezze, poiché non ti sopravviveranno nel giorno della vendetta ») – … ma sappi che « la pazienza di Dio t’invita alla penitenza » (Rom., II, 4). Perché chi è più misericordioso di Colui che perdona tutti i peccati a quelli che si convertono e dona la fertilità dell’ulivo al pollone selvatico? E chi è più severo di colui che non ha risparmiati i rami naturali, ma li ha tagliati per la loro infedeltà? Chi dunque vuole amare Dio e non offenderlo, pensi che non può servire due padroni; abbia egli un’intenzione retta senza alcuna doppiezza. Ed e così che tu devi pensare alla bontà del Signore e cercarlo nella semplicità del cuore. Per questo, continua egli, io vi dico di non avere sollecitudini superflue di ciò che mangerete e del come vi vestirete; per paura che forse, senza cercare il superfluo, il cuore non si preoccupi, e che cercando il necessario, la vostra intenzione non si volga alla ricerca dei vostri interessi piuttosto che al bene degli altri » (3° Nott.). Cerchiamo dunque, prima di tutto il regno di Dio, la sua giustizia, la sua gloria (Vang., Com.); mettiamo nel Signore ogni nostra speranza (Grad.), poiché è il nostro protettore (Intr.); è Lui che manda il suo Angelo per liberare quelli che lo servono (Off.) e che preserva la nostra debole natura umana, poiché senza questo aiuto divino essa non potrebbe che soccombere (Oraz.). L’Eucarestia ci rende Dio amico (Secr.) e, fortificandoci, ci dà la salvezza (Postcom.). Cerchiamo, dunque, prima di tutto di pregare nel luogo del Signore (Vers. dell’Intr.) e di cantarvi le lodi di Dio, nostro Salvatore (All.); poi occupiamoci dei nostri interessi temporali, ma senza preoccupazione.
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Ps LXXXIII: 10-11. Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice in fáciem Christi tui: quia mélior est dies una in átriis tuis super mília.
[Sei il nostro scudo, o Dio, guarda e rimira il tuo Consacrato: poiché un giorno passato nel tuo luogo santo vale più di mille altri].
Ps LXXXIII: 2-3
V. Quam dilécta tabernácula tua, Dómine virtútum concupíscit, et déficit ánima mea in átria Dómini.
[O Dio degli eserciti, quanto più amabili sono le tue dimore! L’ànima mia anela e spàsima verso gli atrii del Signore].
Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice in fáciem Christi tui: quia mélior est dies una in átriis tuis super mília.
[Sei il nostro scudo, o Dio, guarda e rimira il tuo Consacrato: poiché un giorno passato nel tuo luogo santo vale più di mille altri].
Oratio
Orémus. Custódi, Dómine, quǽsumus, Ecclésiam tuam propitiatióne perpétua: et quia sine te lábitur humána mortálitas; tuis semper auxíliis et abstrahátur a nóxiis et ad salutária dirigátur.
[O Signore, Te ne preghiamo, custodisci propizio costantemente la tua Chiesa, e poiché senza di Te viene meno l’umana debolezza, dal tuo continuo aiuto sia liberata da quanto le nuoce, e guidata verso quanto le giova a salvezza.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Gálatas.
Gal V: 16-24
“Fratres: Spíritu ambuláte, et desidéria carnis non perficiétis. Caro enim concupíscit advérsus spíritum, spíritus autem advérsus carnem: hæc enim sibi ínvicem adversántur, ut non quæcúmque vultis, illa faciátis. Quod si spíritu ducímini, non estis sub lege. Manifésta sunt autem ópera carnis, quæ sunt fornicátio, immundítia, impudicítia, luxúria, idolórum sérvitus, venefícia, inimicítiæ, contentiónes, æmulatiónes, iræ, rixæ, dissensiónes, sectæ, invídiæ, homicídia, ebrietátes, comessatiónes, et his simília: quæ prædíco vobis, sicut prædíxi: quóniam, qui talia agunt, regnum Dei non consequántur. Fructus autem Spíritus est: cáritas, gáudium, pax, patiéntia, benígnitas, bónitas, longanímitas, mansuetúdo, fides, modéstia, continéntia, cástitas. Advérsus hujúsmodi non est lex. Qui autem sunt Christi, carnem suam crucifixérunt cum vítiis et concupiscéntiis.”
[“Fratelli: Camminate secondo lo spirito e non soddisferete ai desideri della carne. Perché la carne ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito contrari alla carne: essi, infatti, contrastano tra loro, così che non potete fare ciò che vorreste. Che se voi vi lasciate guidare dallo spirito non siete sotto la legge. Sono poi manifeste le opere della carne: esse sono: la fornicazione, l’impurità, la dissolutezza, la lussuria, l’idolatria, i malefici, le inimicizie, le gelosie, le ire, le risse, le discordie, le sette, le invidie, gli omicidi ecc. le ubriachezze, le gozzoviglie e altre cose simili; di cui vi prevengo, come v’ho già detto, che coloro che le fanno, non conseguiranno il seguiranno il regno di Dio. Frutto invece dello Spirito è: la carità, il gaudio, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la mansuetudine, la fedeltà, la modestia, la continenza, la castità. Contro tali cose non c’è logge. Or quei che son di Cristo han crocifisso la loro carne con le sue passioni e le sue brame”].
C’è una lotta, una guerra formidabile, una battaglia che si combatte fieramente e dappertutto e sempre: si combatte in ciascuno di noi. Per un misterioso congegno, noi, siamo due in uno e uno in due. Siamo, lo sanno tutti, anima e corpo, ma corpo e anima pur insieme uniti come sono a formare un sol uomo, rappresentano ciascuno tendenze diverse, addirittura contrastanti. La materia ci trascina nel torbido mondo dei piaceri più bassi: mollezza, ozio, dissipazione, egoismo e poi crudeltà se occorre. La materia ci trascina verso il mondo animale, anzi un mondo animale degenere e corrotto. È un fatto che noi possiamo sperimentare, che sperimentiamo anzi, senza volerlo, in noi stessi. Lo sperimentiamo con un altro fatto, del pari innegabile. Ed è che dentro di noi, contro di noi, contro questi travolgimenti passionali, queste degenerazioni brutali, qualche cosa, qualcheduno protesta; come se si trovasse, perché si trova, a disagio, nel trionfare di queste basse voglie. Questo qualcuno è lo spirito che, dice San Paolo « concupiscit adversus carnem ». Veramente, questa concupiscenza dello spirito, è una frase ardita. La realtà si è che lo spirito ha delle sue voglie, delle sue tendenze, che non sono quelle della carne. E noi sentiamo in noi, nelle ore migliori della vita, una sete di purezza, di sobrietà, di laboriosità, di sacrificio, di dominio della bestia: sogni angelici ci traversano l’anima e ce la attirano verso il cielo. Istinti angelici da quanto sono brutali quegli altri. Istinti che si rafforzano dentro di noi, colla educazione, coll’altrui buon esempio, colla saturità cristiana dell’ambiente in cui siamo chiamati a vivere. Ma istinti ai quali contrasta e maledice il corpo, proprio come contro quelli del corpo eleva l’anima l’istintivo suo veto. In questa lotta è la tragedia della nostra vita morale. È il segreto della nostra debolezza. È per questo che facciamo spesso quello che non vorremmo, che quasi non vogliamo e non facciamo quello che vorremmo. Quanti uomini vorrebbero essere fedeli alle loro mogli, vorrebbero dare esempi luminosi di buon costume ai loro figli… vorrebbero; e intanto, pur riconoscendo che fanno male, che amareggiano il cuore di una povera donna, che dànno cattivo esempio ai figlioli, profanano il santuario domestico e cercano fuori di esso illecite gioie. Quanti giovani si vergognano, si pentono della vita materiale, animalesca che conducono, e intanto non hanno forza di troncarla: «vident meliora, probantque, deteriora sequuntur ». Ma se in questo congegno di lotta interna è il segreto della nostra debolezza, v’è anche quello della nostra gloria. Abbiamo una bella battaglia da vincere. Essere un po’ sulla terra, ancora sulla terra « sicut angeli Dei in cœlo.» Andare verso l’alto, verso il cielo malgrado questa palla di piombo, che, ahimè, portiamo al piede. Gli Angeli nascono Angeli, lo sono: noi dobbiamo diventarlo. – Il Cristianesimo è stato e rimane il grande alleato dello spirito nella lotta contro la carne, Gesù è venuto apposta tra noi per dare man forte allo spirito. E da Lui in poi, e grazie a Lui, la vittoria nonché possibile, è diventata frequente tra i suoi discepoli. L’umanità vede oggi a frotte i cavalieri autentici dello spirito, gli uomini che collo spirito hanno mortificato, compresso i fasti della carne, e si rivelano in questa trionfale spiritualità di vita, si rivelano guidati dallo Spirito di Dio. Aggreghiamoci alla falange dei vincitori, non accodiamoci, codardi, alle orde dei vinti.
P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.
(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)
Graduale
Ps CXVII:8-9 Bonum est confidére in Dómino, quam confidére in hómine.
[È meglio confidare nel Signore che confidare nell’uomo]. V. Bonum est speráre in Dómino, quam speráre in princípibus. Allelúja, allelúja
[È meglio sperare nel Signore che sperare nei príncipi. Allelúia, allelúia].
[Venite, esultiamo nel Signore, rallegriamoci in Dio nostra salvezza. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Matthæum. Matt VI: 24-33
“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Nemo potest duóbus dóminis servíre: aut enim unum ódio habébit, et álterum díliget: aut unum sustinébit, et álterum contémnet. Non potéstis Deo servíre et mammónæ. Ideo dico vobis, ne sollíciti sitis ánimæ vestræ, quid manducétis, neque 9córpori vestro, quid induámini. Nonne ánima plus est quam esca: et corpus plus quam vestiméntum? Respícite volatília coeli, quóniam non serunt neque metunt neque cóngregant in hórrea: et Pater vester coeléstis pascit illa. Nonne vos magis pluris estis illis? Quis autem vestrum cógitans potest adjícere ad statúram suam cúbitum unum? Et de vestiménto quid sollíciti estis? Consideráte lília agri, quómodo crescunt: non labórant neque nent. Dico autem vobis, quóniam nec Sálomon in omni glória sua coopértus est sicut unum ex istis. Si autem fænum agri, quod hódie est et cras in clíbanum míttitur, Deus sic vestit: quanto magis vos módicæ fídei? Nolíte ergo sollíciti esse, dicéntes: Quid manducábimus aut quid bibémus aut quo operiémur? Hæc enim ómnia gentes inquírunt. Scit enim Pater vester, quia his ómnibus indigétis. Quaerite ergo primum regnum Dei et justítiam ejus: et hæc ómnia adjiciéntur vobis”.
[“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Nessuno può servire due padroni: imperocché od odierà l’uno, e amerà l’altro; o sarà affezionato al primo, e disprezzerà il secondo. Non potete servire a Dio e alle ricchezze. Per questo vi dico: non vi prendete affanno né di quello onde alimentare la vostra vita, né di quello onde vestire il vostro corpo. La vita non vale ella più dell’alimento, e il corpo più del vestito! Gettate lo sguardo sopra gli uccelli dell’aria, i quali non seminano, né mietono, né empiono granai; e il vostro Padre celeste li pasce. Non siete voi assai da più di essi? Ma chi è di voi che con tutto il suo pensare possa aggiuntare alla sua statura un cubito? E perché vi prendete cura pel vestito? Pensate come crescono i gigli del campo; essi non lavorano e non filano. Or io vi dico, che nemmeno Salomone con tutta la sua splendidezza fu mai vestito come uno di questi. Se adunque in tal modo riveste Dio un’erba del campo, che oggi è e domani vien gittata nel forno; quanto più voi gente di poca fede? Non vogliate adunque angustiarvi, dicendo: Cosa mangeremo, o cosa berremo, o di che ci vestiremo? Imperocché tali sono le cure dei Gentili. Ora il vostro Padre sa che di tutte queste cose avete bisogno. Cercate adunque in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia; e avrete di soprappiù tutte queste cose”].
Omelia
(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)
Sul servizio di Dio.
Quærite primum regnum Dei et justitiam ejus.
(MATTH. VI, 83).
S. Matteo narra che Gesù Cristo essendosi trovato un giorno con alcuni i quali s’occupavano troppo di cose temporali, disse loro: “Non v’inquietate tanto per queste cose; cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, tutto il resto vi sarà dato con abbondanza;„ e voleva dire con ciò che se avevano la bella sorte di metter tutte le loro cure nel piacere a Dio e salvare l’anima propria, il Padre suo procurerebbe ad essi quanto sarebbe stato necessario pei bisogni del corpo. — Ma, direte, come possiamo cercare il regno dei cieli e la sua giustizia? — Come, Fratelli miei? Niente di più facile e consolante: dandovi al servizio di Dio, che è il solo mezzo per conseguire quel fine nobile e beato pel quale siamo stati creati. Sì, F. M., lo sappiamo tutti, ed anche i più grandi peccatori ne sono convinti, noi siamo al mondo solo per servire Iddio, e fare quanto ci comanda. — Ma, domanderete, perché sono così pochi quelli che lavorano a questo fine? — F. M., eccolo: gli uni riguardano il servizio di Dio come cosa troppo difficile: credono di non avere abbastanza forza per intraprenderlo, o immaginano che dopo averlo intrapreso, non potranno perseverare. Ecco precisamente, F. M., ciò che scoraggia e trattiene gran parte di Cristiani. – Invece di ascoltare queste consolanti parole del Salvatore, che non può ingannarci, e ci ripete che il suo servizio è dolce e gradevole, che attendendovi vi troveremo la pace delle anime nostre e la gioia dei nostri cuori (Matt. XI, 29, 30). Ma a farvelo meglio comprendere, vi mostrerò quale dei due conduce una vita più dura, più triste e più penosa: se chi adempie i suoi doveri di religione con fedeltà, o chi li abbandona per seguire il piacere e le passioni, per vivere a suo capriccio.
I . — Sì, F. M., da qualsiasi lato consideriamo il servizio di Dio, che consiste nella preghiera, nella penitenza, nel frequentare i Sacramenti, nell’amore di Dio e del prossimo ed in una intera rinuncia a noi stessi; sì, F. M., non troviamo in tutto ciò che gioie, consolazioni, felicità pel presente e per l’avvenire, come vedrete. Chi conosce la sua religione e la pratica, sa che le croci e le persecuzioni, il disprezzo, i patimenti, ed infine la povertà e la morte si cambiano in dolcezze, in consolazioni, e nella ricompensa eterna. Ditemi, non ve ne siete mai fatta un’idea sensibile? No, senza dubbio. Eppure, F. M., la cosa sta come vi dico; e per dimostrarvelo in modo che non possiate dubitarne, ascoltate Gesù Cristo medesimo: “Beati i poveri, poiché di loro è il regno de’ cieli: guai ai ricchi, perché è assai difficile che i ricchi si salvino „ (Luc. VI, 25) Vedete adunque, secondo Gesù Cristo, che la povertà non deve renderci infelici, poiché il Salvatore ci dice: “Beati i poveri„. In secondo luogo non sono le sofferenze, né i dolori, che ci rendono infelici; poiché Gesù Cristo ci dice : “Beati quelli che piangono e che sono perseguitati, perché un giorno saranno consolati (Matt. V, 3); ma guai al mondo e ad ai gaudenti, perché la loro gioia si cambierà in lagrime e tristezza eterna. „ (Luc. VI, 25). – In terzo luogo, non è l’essere disprezzati che può farci infelici; poiché Gesù Cristo ci dice: “Hanno disprezzato me, e disprezzeranno anche voi; hanno perseguitato me, e perseguiteranno anche voi; ma lungi dal rattristarvi, rallegratevi, perché una grande ricompensa vi attende in cielo „ Ditemi, F. M., che cosa potrà ora rispondere quel poverello che mi dice d’essere disgraziato, e mi domanda come potrà salvarsi in mezzo a tante persecuzioni, calunnie e ingiustizie che gli si fanno? No, no, F. M., diciamolo pure: niente può rendere l’uomo infelice quaggiù, quanto la mancanza di religione; e nonostante tutti i dolori che può provare quaggiù, se vuol consacrarsi al servizio di Dio, non mancherà di essere felice. – Ho detto, F. M., che chi si dona a Dio è più felice che le persone del mondo quando tutto riesce a seconda dei loro desiderii; anzi vediamo che molti santi non desideravano che la felicità di soffrire: ne abbiamo un bell’esempio in S. Andrea. Si racconta nella sua vita (Vedi Ribadeneira, al 30 Novembre. Da questo autore il Beato ha preso il racconto del martirio del santo Apostolo e molti altri tratti della vita dei Santi che ricorda) che Egeo, governatore della città, vedendo che S. Andrea colle sue prediche rendeva deserti i templi dei falsi dèi, lo fece arrestare. Condotto davanti al tribunale, gli disse con aria minacciosa: “Sei tu, che fai professione di distruggere i templi dei nostri dèi, annunciando una religione affatto nuova?„ S. Andrea gli rispose: “Non è nuova, essa ha cominciato col mondo. „ — ” O rinunci al tuo crocifisso, o ti farò morire in croce come Lui. „ — « Noi Cristiani, gli rispose S. Andrea, non temiamo i patimenti, essi formano la nostra maggior letizia sulla terra; più saremo stati conformi a Gesù Cristo crocifisso, più saremo gloriosi in cielo; ti stancherai prima tu di farmi soffrire, che non io di soffrire. „ Il proconsole lo condannò a morire in croce, ma per rendere il suo supplizio più lungo, ordinò di non inchiodarlo, ma di legarlo solo con corde. S. Andrea provò tanta gioia d’essere condannato a morire in croce, come Gesù Cristo, il suo divino Maestro, che vedendo due mila uomini che venivano ad assistere alla sua morte, quasi tutti piangenti, temendo di venir privato della sua felicità, alzò la voce a scongiurarli, per grazia, di non ritardare il suo martirio. Vista da lungi la croce alla quale doveva venir appeso, in un trasporto d’allegrezza esclamò: “Io ti saluto, Croce veneranda, che fosti consacrata ed abbellita dal contatto del Corpo adorabile di Gesù Cristo, mio divin Salvatore! O Croce santa! o Croce tanto desiderata! o Croce amata con tanto ardore! O Croce che ho cercato e sospirato con tanto zelo e senza stancarmi mai! tu soddisfi tutti i voti del mio cuore! O Croce diletta, ricevimi dalle mani degli uomini per rimettermi in quelle di Dio, affinché io passi dalle tue braccia in quelle di Colui che mi ha redento. „ L’autore che ne scrisse la vita, ci dice che essendo ai piedi della croce per esservi legato, non cambiò di colore, i capelli non gli si drizzarono sul capo, come accade ai rei, non gli tremò la voce, il sangue non gli si agghiacciò nelle vene, non fu nemmeno preso dal minimo tremito; ma si vedeva invece che il fuoco della carità, che ardeva nel suo cuore, gli faceva uscire fiamme di ardore dalla bocca. Quando fu vicino alla croce, si spogliò da solo, e donò le sue vesti ai carnefici; montò senz’aiuto d’alcuno sul palco dov’era rizzata. Tutto il popolo, erano circa duemila persone, vedendo S. Andrea appeso alla croce, esclamò che era ingiustizia far soffrire un uomo così santo, e corse al pretorio per mettere a brani il proconsole, se non lo faceva slegare. S. Andrea vedendolo da lontano, esclamò: ” O Egeo, che vieni a far qui? se vieni per imparare a conoscere Gesù Cristo, sia pure; ma se vieni per farmi distaccare, non avanzarti: sappi che non arrivi in tempo, ed io ho la consolazione di morire pel mio divin Maestro! Ah! veggo già il mio Dio, l’adoro con tutti i beati. „ Malgrado questo, il governatore volle farlo distaccare, temendo che il popolo desse a lui medesimo la morte; ma fu impossibile distaccarnelo: a misura che s’avvicinavano per slegarlo, mancavano loro le forze, restando immobili. Allora S. Andrea esclamò alzando gli occhi al cielo: ” Mio Dio, ti domando la grazia di non permettere che il tuo servo, crocifisso per la confessione del tuo Nome, abbia l’umiliazione d’esser liberato per ordine di Egeo. Mio Dio! tu sei il mio Maestro, tu sai che non ho cercato e desiderato altro che te. „ Terminate queste parole, si vide una luce in forma di globo che avvolse tutto il suo corpo, e sparse un profumo che ricreò tutti gli astanti, e nel medesimo momento l’anima sua volò all’eternità. Vedete, F. M.? chi conosce la religione e si è fermamente dato al servizio di Dio, non considera le sofferenze come disgrazie, ma le desidera e riguarda come beni inestimabili. – Sì, F. M., anche quaggiù, chi ha la fortuna di darsi a Dio, è più felice che non il mondo con tutti i suoi piaceri. Ascoltate S. Paolo: « Sì, ci dice, io sono più felice nelle mie catene, nelle prigioni, nel disprezzo e nei patimenti, che non i miei persecutori nella loro libertà, nell’abbondanza dei beni, nelle gozzoviglie. Il mio cuore è ripieno di gioia, e non può trattenerla, essa trabocca d’ogni parte. „ (II Cor. VII, 4), Sì, senza dubbio, F . M., S. Giovanni Battista è più felice nel suo deserto, privo d’ogni soccorso umano, che Erode sul suo trono, sepolto fra le ricchezze e nei godimenti delle sue infami passioni. S. Giovanni è nel deserto, conversa famigliarmente con Dio, come un amico coll’amico, mentre Erode è divorato da un segreto timore di perdere il suo regno, ciò che lo induce a far trucidare tanti poveri bambini (Matt. II, 16). Vedete ancora Davide: non è egli più felice quando fugge la collera di Saul, quantunque costretto a passare le notti nelle foreste (I Reg. XXIII); tradito ed abbandonato dai suoi migliori amici, ma unito al suo Dio e abbandonato in Lui con intera confidenza, non è egli più felice di Saul in mezzo a’ suoi beni e nell’abbondanza delle ricchezze e dei piaceri? Davide benedice il Signore perché prolunga i suoi giorni e gli dà tempo di soffrire per suo amore, mentre Saul maledice la vita e diventa suo proprio carnefice (ibid. XXXI). Perché ciò, F. M.? Ah! perché l’uno si dà al servizio di Dio, e l’altro lo trascura. Che cosa dobbiamo concludere da tutto ciò, F. M.? Questo solo, che né i beni, né gli onori, né le vanità possono rendere l’uomo felice sulla terra; ma solo l’attendere al servizio di Dio, quando abbiamo la fortuna di conoscerlo e di compierlo fedelmente. Quella donna, non curata dal marito, non è dunque infelice perché egli la disprezza, ma perché non conosce la religione, o non pratica ciò che essa le impone. Insegnatele la religione, e vedrete che, da quando la praticherà, cesserà di lamentarsi e di credersi sfortunata. Oh! come l’uomo sarebbe felice, anche sulla terra, se conoscesse la religione, ed avesse la ventura di osservare quanto essa ci comanda, e considerasse quali beni essa ci promette nell’altra vita! Oh! qual potere ha presso Dio chi lo ama e lo serve con fedeltà. Davvero, F. M.! Una persona disprezzata dal mondo, e che sembra non meriti che d’essere schiacciata sotto i piedi, vedetela divenir padrona della volontà e della potenza di Dio. Vedete Mosè, che obbliga il Signore a perdonare a trecento mila uomini colpevoli (Es. XXXII, 31); vedete Giosuè che comanda al sole di arrestarsi, ed il sole s’arresta immobile (Gios. X, 12): ciò che non era mai accaduto e che forse mai più avverrà. Vedete gli apostoli: sol perché amavano Dio, i demoni fuggivano davanti a loro, gli zoppi camminavano, i ciechi riacquistavano la vista, i morti risuscitavano. Vedete S. Benedetto che comanda alle rupi d’arrestarsi nella loro caduta, ed esse restano sospese nell’aria; vedetelo moltiplicare i pani, far sgorgare l’acqua dalle rocce, e rendere le pietre ed il legno leggieri come una paglia (Ribad. al 21 marzo). Vedete S. Francesco da Paola che comanda ai pesci di venir ad ascoltare la parola di Dio, ed essi accorrono alla sua voce con tutta prestezza e applaudono alle sue parole (Questo miracolo è narrato nella vita di S. Antonio da Padova, ma per quanto sappiamo, non in quella di san Francesco da Paola). – Vedete S. Giovanni che comanda agli uccelli di tacere ed essi obbediscono (Questo miracolo è raccontato nella vita di S. Francesco d’Assisi). Vedetene altri che attraversano i mari senza mezzo alcuno (Per esempio S. Raimondo di Peñafort e S. Francesco da Paola, citato più sopra. — Per questi fatti vedi nel Bibadeneira le vite di questi santi). Ebbene! confrontateli ora con tutti gli empi ed i grandi del mondo pieni di brio, di scienza presuntuosa: di che sono capaci? di niente: e perché? Perché non sono fedeli al servizio di Dio. Oh! chi conosce la religione e osserva tutto ciò che essa comanda, quanto è potente e felice insieme! Ahimè! F. M., chi vive a seconda delle proprie passioni ed abbandona il servizio di Dio, quanto è sventurato! egli è capace di fare ben poca cosa! Mettete un esercito di centomila uomini vicino ad un morto, e che tutti impieghino la loro potenza per risuscitarlo: no, no, F. M., non risusciterà mai; ma che una persona sprezzata dal mondo ed amica di Dio comandi a questo morto di ritornare alla vita, e subito lo vedrete rialzarsi e camminare. Ne abbiamo altre prove ancora (Mettete tutti questi imperatori, come Nerone, Massimiano, Diocleziano… Vedete Elia: era solo a far discendere il fuoco dal cielo sul sacrificio, ed i sacerdoti di Baal erano cinquecento. – Nota del Beato).
1. Se per servire il buon Dio bisognasse esser ricchi od istruiti, molti non lo potrebbero fare. Ma no, F. M., la gran scienza e la gran ricchezza non sono affatto necessarie per servire Dio; al contrario, assai spesso sono a ciò di grande ostacolo. Sì, F . M.. siamo ricchi o poveri, dotti o ignoranti, in qualsiasi stato ci troviamo, possiamo piacere a Dio e salvarci: e S. Bonaventura appunto ci dice che lo possiamo: “in qualsiasi stato o condizione ci troviamo. „ – Ascoltatemi un momento, e vedrete che il servizio di Dio non può che consolarci e renderci felici in mezzo a tutte le miserie della vita. Per esso non dovete lasciar né i beni, né i parenti, né gli amici, tranne che vi siano causa di peccato; non occorre che passiate i vostri giorni in un deserto a piangervi le vostre colpe; fosse anche necessario, dovremmo esser felici di aver un rimedio ai nostri mali; ma no: un padre ed una madre di famiglia possono servire Dio vivendo coi loro figli, educandoli cristianamente; un domestico può facilmente servire Dio ed il suo padrone, nulla lo impedisce; anzi il suo lavoro, e l’obbedienza che deve ai suoi padroni divengono occasione di merito. No, F. M., il modo di vivere servendo Dio non muta niente in ciò che facciamo; al contrario servendo Dio facciamo meglio le nostre azioni; siamo più assidui ed attenti nell’adempire i doveri del nostro stato; siamo più dolci, più benevoli, più caritatevoli; più sobri nei pasti, più riservati nelle parole; meno sensibili alle perdite che subiamo ed alle ingiurie che riceviamo; cioè, F. M., quando ci diamo al servizio di Dio, compiamo assai meglio le azioni nostre, operiamo in maniera più nobile, più elevata, più degna d’un Cristiano. Invece di affaticarci per ambizione, per interesse, noi lavoriamo solo per piacere a Dio, che ce lo comanda, e per soddisfare la sua giustizia. Invece di far un servigio od un’elemosina al prossimo per orgoglio, per essere considerati, noi la facciamo solo per piacere a Dio, e redimere i nostri peccati. Sì, F. M., ancora una volta, un Cristiano che conosce la religione e la pratica, santifica tutte le sue azioni, senza nulla mutare di quanto fa; e senza nulla aggiungervi, tutto diviene per lui causa di merito pel cielo. Ebbene, F. M.! ditemi, se aveste ben pensato che fosse così dolce e consolante servire il buon Dio, avreste potuto vivere come avete fatto sinora? Ah! F. M., qual rimorso al punto di morte, quando vedremo che se ci fossimo dati al servizio di Dio, avremmo guadagnato il cielo, compiendo solo quanto abbiamo fatto! Mio Dio! quale sventura per chi si troverà nel numero di questi ciechi!
Ora, vi domanderò, è l’esteriorità della religione che vi sembra ripugnante e troppo difficile? Forse la preghiera, le funzioni sacre, i giorni di astinenza, il digiuno, la frequenza ai Sacramenti, la carità verso il prossimo? Ebbene! vedrete che in ciò non v’è nulla di penoso come avete creduto.
1° Anzitutto è forse penosa la preghiera? o non è invece essa il momento più felice della nostra vita? Non è per la preghiera che conversiamo con Dio, come un amico coll’amico? Non è in questo momento che incominciamo a fare ciò che faremo cogli Angeli in cielo? Non è per noi una fortuna troppo grande che, miserabili come siamo, Dio, così eccelso, ci soffra alla sua santa presenza, e ci metta a parte, con tanta bontà, d’ogni sorta di consolazioni? Del resto, non è Lui che ci ha dato quanto abbiamo? Non è giusto che l’adoriamo e l’amiamo con tutto il nostro cuore? Non è dunque il momento più felice della nostra vita quello dell’orazione, giacché vi troviamo tante dolcezze? È forse cosa penosa offrirgli tutte le mattine, le nostre preghiere e le nostro azioni, affinché le benedica, e ce ne ricompensi nell’eternità? È forse troppo il consacrargli un giorno ogni settimana? Non dobbiamo al contrario veder arrivare questo giorno con grande piacere; poiché in esso impariamo i doveri che dobbiamo adempiere verso Dio e verso il prossimo, e ci si fa concepire così gran desiderio dei beni dell’altra vita, che ci induce a disprezzare ciò che è veramente spregevole? Non è nelle istruzioni, che impariamo a conoscere la gravità delle pene che il peccato merita? Non ci sentiamo noi spinti a non più commetterlo, per evitare i tormenti che gli sono riservati? Mio Dio! quanto poco l’uomo conosce la sua felicità!
2° Inoltre: forse vi ripugna la confessione? Ma, amico mio, si può avere più bella sorte che vedere in meno di tre minuti cambiata una eternità sventurata in una eternità di piaceri, di gioie, di felicità? Non è la confessione che ci rende l’amicizia del nostro Dio? Non è la confessione che ci libera da quei rimorsi della coscienza, che ci straziano senza posa? Non è essa che ridona la pace all’anima nostra, e le dà novella speranza di raggiungere il cielo? Non è in questo momento che Gesù Cristo sembra spiegare le ricchezze della sua misericordia sino all’infinito? Ah! F. M., senza questo Sacramento, quanti dannati di più e quanti santi di meno!… Oh! i Santi del cielo quanto sono riconoscenti a Gesù Cristo d’aver istituito questo Sacramento!
3° In terzo luogo, F. M., forse i digiuni prescritti dalla Chiesa vi fanno trovare pesante il servizio di Dio? Ma la Chiesa non ve ne comanda più di quanti ne possiate fare. Del resto, F. M., se li consideriamo cogli occhi della fede, non è per noi gran ventura potere con piccole privazioni evitare le pene del purgatorio, che sono tanto rigorose? Eppure, F.M., quanti si condannano a digiuni ben più rigidi per conservare la sanità ed appagare il loro amore pei divertimenti o accontentare la loro golosità! Non si vedono giovani donne abbandonare i figli in mano ad estranei, ed anche la casa? Non se ne vedono altre passare le intere notti all’osteria in mezzo ad ubbriachi, ad avvinazzati, dove non ascoltano altro che sconcezze ed oscenità? Non si vedono vedove le quali sciupano i pochi giorni che loro rimangono e che dovrebbero invece consacrare a piangere le pazzie di loro gioventù… non se ne trovano talune che si abbandonano ad ogni sorta di vizi, come persone che hanno d’improvviso perduto il senno? costoro sono di scandalo ad una intera parrocchia. Ah! F. M., se per Iddio si facesse quanto si fa per il mondo, quanti Cristiani andrebbero in cielo!… Ahimè! F. M., se doveste stare tre o quattro ore in chiesa a pregare, come le passate al ballo od all’osteria, quanto vi sembrerebbero lunghe!… Se doveste fare parecchie miglia per ascoltare una predica, come si fanno per divertirsi o per conseguire qualche guadagno, ah! F. M, quanti pretesti, quante scuse si cercherebbero per non andarvi! Ma, per il mondo, niente è pesante; e di più non si teme di perdere Dio, l’anima, il cielo. Ah! F. M., Gesù Cristo aveva dunque ben ragione quando diceva che i figli del secolo si danno maggior premura di servire il loro padrone, il mondo, che non i figli della luce per servire il loro padrone, il Signore (Luc. XVI, 8). Ahimè! F. M., diciamolo a nostra vergogna, non fanno paura le spese e neppure i debiti quando si tratta dei propri piaceri: ma per un povero che cerca qualche cosa non si ha nulla; ecco come va la cosa: si ha tutto per il mondo e nulla per Iddio, perché si ama il mondo, e Dio non è da noi affatto amato. – Ma qual è la causa, F. M., per cui abbandoniamo il servizio di Dio? Eccola. Noi vorremmo poter servire Dio ed il mondo insieme: cioè poter unire l’ambizione e l’orgoglio coll’umiltà, l’avarizia collo spirito di distacco che il Vangelo ci comanda; bisognerebbe poter confondere insieme la corruzione colla santità della vita o, a dir meglio, il cielo coll’inferno. Se la religione comandasse, od almeno permettesse l’odio e la vendetta, la fornicazione e l’adulterio, saremmo tutti buoni Cristiani; tutti sarebbero figli fedeli della loro religione. Ma per servire Iddio è impossibile potersi comportare così; bisogna assolutamente essere tutti di Dio, o non appartenergli punto. – Sebbene abbia detto, F. M., che tutto è consolante nella nostra santa religione, e questo, è verissimo, debbo anche aggiungere che dobbiamo fare del bene a chi ci fa del male, amare chi ci odia, conservare la riputazione dei nostri nemici, difenderli quando vediamo che altri ne parla male; ed invece di desiderar loro il male, dobbiam pregare Dio che li benedica. Lontani dal mormorare quando Dio ci manda qualche afflizione, qualche dolore, dobbiamo ringraziarlo, come il santo re Davide, che baciava la mano che lo castigava (II Reg. XVI, 12). La nostra religione vuole che passiamo santamente il giorno di festa, lavorando a procurarci l’amicizia di Dio, se per disgrazia non la possediamo; vuole che consideriamo il peccato come il nostro più crudele nemico. Ebbene! F. M., questo ci sembra la cosa più dura e faticosa. Ma, ditemi, non è un procurare con ciò la nostra felicità sulla terra e per l’eternità? Ah! F. M., se conoscessimo la nostra santa Religione, ed il gusto che si prova praticandola, quanto ci sembrerebbe cosa da poco! quanti santi hanno fatto più di quello che Dio da loro richiedeva per dare ad essi il cielo! Essi ci hanno detto che una volta. gustate le dolcezze e le consolazioni che si provano nel servizio di Dio, è impossibile lasciarle per servire il mondo coi suoi piaceri. Il santo re Davide ci dice che un giorno solo passato nel servizio di Dio, vale assai più di mille che i mondani passano nei piaceri e nelle cose profane (Ps. LXXXIII, 10)
II. — Ditemi, chi di noi vorrebbe servire il mondo, se avessimo la felicità, la grande felicità di comprendere tutte le miserie che vi si incontrano, cercando i suoi piaceri, ed i tormenti che si preparano per l’eternità? Mio Dio! Quale cecità è la nostra di perdere tanti beni, anche in questo mondo, e molto più nell’eternità! E ciò per piaceri che sono soltanto apparenti, per gioie miste a tanti dolori e a tante tristezze! Infatti, chi vorrebbe servir Dio, se fosse necessario soffrire tanto e sopportare tante molestie, mortificazioni, strazi del cuore, quanti se ne sopportano pel mondo? Vedete uno che si è prefisso di accumulare ricchezze: né venti, né pioggia lo trattengono; soffre ora la fame, ora la sete, ora le intemperie; giunge talora fino ad arrischiare la vita e perdere la riputazione. Quanti vanno di notte a rubare, esponendosi al pericolo di essere uccisi e di perdere la stima, essi e la loro famiglia. E senza andar tant’oltre, F. M., vi costerebbe di più in tempo delle funzioni essere in chiesa ad ascoltar con rispetto la parola di Dio, o starvene fuori a chiacchierare di interessi temporali o di cose da nulla? Non sareste più lieti di assistere ai Vespri, quando si cantano, che restare in casa ad annoiarvi, mentre si cantano le lodi di Dio? – Ma, direte, bisogna farsi delle violenze quando si vuol servire a Dio. — Ebbene, vi dirò che molto meno si soffre servendo Dio colla sua croce che seguendo il mondo con i suoi piaceri, le sue passioni; e ve lo mostro. Forse penserete che è difficile perdonare una ingiuria ricevuta; ma, ditemi, chi soffre più dei due, chi perdona prontamente e di buon cuore per amor di Dio, o chi nutre sentimenti di odio per due o tre anni contro il suo prossimo? Non è questo per lui un verme che lo rode e divora continuamente, che spesso gli impedisce di mangiare e di dormire; mentre l’altro, perdonando, ha subito trovato la pace dell’anima? Non è cosa più eccellente domar le proprie passioni, che volerle accontentare? Si riesce forse a soddisfarle del tutto? No, F. M.: usciti da un delitto, vi spingono ad un altro, senza mai darvi tregua; siete uno schiavo, che esse trascinano dovunque vogliono. Ma, a meglio convincervene, accostiamoci ad uno di quegli uomini, che fanno consistere tutta la loro felicità nei piaceri del senso, e si gettano a corpo perduto nelle lordure delle più infami e vergognose passioni. Sì, F. M., se prima ch’egli s’abbandonasse al libertinaggio, alcuno gli avesse descritta la vita che oggi deve condurre, avrebbe egli potuto risolvervisi senza inorridire? Se gli aveste detto: Amico mio, hai due partiti da prendere: o reprimere le tue passioni, ovvero abbandonarvisi. L’uno e l’altro hanno piaceri e pene: scegli quale vuoi. Se vuoi abbracciare il partito di praticare la virtù, baderai bene di non frequentare i libertini, e sceglierai i tuoi amici tra chi pensa ed agisce come te. Saranno tua lettura i libri santi, che ti animeranno alla pratica della virtù, e ti faranno amare Dio; concepirai ogni giorno nuovo amore per Lui; occuperai santamente il tuo tempo, e tutti i tuoi piaceri saranno piaceri innocenti, che daranno sollievo al corpo, mentre renderanno gagliardo lo spirito; adempirai i doveri religiosi senza affettazione e con fedeltà; sceglierai per condurti nella via della salvezza un saggio ed illuminato confessore, che cercherà soltanto il bene dell’anima tua, e seguirai con esattezza quanto ti comanderà. Ecco, amico mio, tutte le difficoltà che proverai nel servizio di Dio. La tua ricompensa sarà d’aver sempre l’anima in pace, ed il cuore sempre contento; sarai amato e stimato da tutti i buoni; ti preparerai una vecchiaia felice, immune in gran parte dalle infinite malattie, a cui d’ordinario vanno soggetti quelli che conducono una giovinezza sregolata; i tuoi ultimi momenti saranno dolci e tranquilli; da qualsiasi lato considererai allora la tua vita, nulla potrà affliggerti; anzi, tutto contribuirà a consolarti. Le croci, le lagrime, le penitenze saranno ambasciatori inviati dal cielo per assicurarti che la tua felicità sarà eterna, e che non hai più nulla a temere. Se in quei momenti volgerai lo sguardo all’avvenire, vedrai il cielo aperto per riceverti; infine, partirai da questo mondo come una santa e casta colomba che va a nascondersi e seppellirsi nel seno del suo diletto; non abbandonerai nulla, e acquisterai tutto. Non avrai desiderato che Dio solo, e sarai con Lui per tutta l’eternità. Ma, invece, se vuoi lasciar Dio e il suo servizio per seguire il mondo ed i suoi piaceri, la tua vita passerà nel desiderare sempre e nel cercare sempre, senza mai essere né contento, né felice; potrai usare tutti i mezzi che sono a tua disposizione, ma non vi riuscirai. Comincerai a cancellare dal tuo spirito i principi di Religione che hai imparato fin dall’infanzia e seguito sino a quest’ora; non aprirai più quei libri di pietà che nutrivano l’anima tua, e la proteggevano contro la corruzione del mondo; non sarai più padrone delle tue passioni, esse ti trascineranno dovunque vorranno; ti farai una religione a tuo modo; leggerai libri cattivi, ispiranti disprezzo contro la fede e sollecitanti al libertinaggio, e percorrerai la via da essi tracciata; non ricorderai più i giorni passati nella pratica della virtù e della penitenza, quando era per te gioia grande accostarti ai Sacramenti, dove Iddio ti colmava di tante grazie, o, se li rammenterai, sarà solo per rammaricarti di non aver dato tutto quel tempo ai piaceri del mondo; arriverai fino a non credere più nulla, ed a negare ogni cosa; insomma, diventerai un povero empio; in questa convinzione cederai la briglia a tutte le passioni, esclamando che colla vita tutto finisce, che bisogna correre in cerca di tutti i piaceri che si possono godere. Accecato dalle passioni, precipiterai di peccato in peccato, senza neppure accorgertene; ti abbandonerai a tutti gli eccessi di una gioventù bollente e corrotta, e non temerai di sacrificare la quiete, la sanità, l’onore ed anche la vita: non dico l’anima, giacché non crederai di averla. Sarai sulla bocca di tutti, tutti ti guarderanno come un mostro, sarai fuggito e temuto: non importa; ti riderai di tutto, continuerai sempre nel tenore di vita usato, seguendo ormai soltanto la via delle passioni che ti trascineranno ove loro meglio piacerà. Talora ti si troverà presso una giovane intento ad adoperare tutti gli artifici e gli inganni che il demonio saprà ispirarti per ingannarla, sedurla e perderla; tal altra sarai veduto, di notte, alla porta d’una vedova, a farle tutte le promesse possibili per indurla ad acconsentire ai tuoi infami desideri. Forse, senza alcun rispetto ai sacri diritti del matrimonio, calpesterai tutte le leggi della religione, della giustizia e della stessa natura, e diventerai un adultero infame. Giungerai anche a fare delle membra di Gesù Cristo le membra d’un’infame prostituta. E andrai più innanzi, poiché le pene dello spirito e del cuore non saranno le sole che dovrai divorare vivendo nel libertinaggio: ma le infermità del corpo, il sangue indebolito, la vecchiaia snervata saranno la tua porzione. Durante la vita hai abbandonato Dio; la morte, al suo avvicinarsi, farà forse risuscitare quella fede che avevi spenta colla tua vita malvagia… Se riconoscerai di aver abbandonato Dio; Egli ti farà toccar con mano che ti ha abbandonato, respinto per sempre e maledetto per tutta l’eternità; allora i rimorsi della coscienza che cercavi di far tacere, si faranno sentire e ti divoreranno, nonostante ogni tuo sforzo per soffocarli; tutto ti turberà e ti getterà nella disperazione. Se vorrai riandare col pensiero alla tua vita, conterai i giorni seguendo il numero de’ tuoi delitti, che saranno come tanti tiranni i quali ti strazieranno senza posa; la vita non ti presenterà altro che grazie disprezzate, un tempo ben prezioso che hai sciupato; avevi bisogno di tutto, e non hai approfittato di nulla. Che se considererai l’avvenire, i tormenti dai quali l’anima tua sarà straziata, ti faranno credere che le fiamme divoranti i reprobi infelici già ti circondino, mentre il mondo, che tanto avevi amato, al quale temevi tanto di dispiacere, a cui avevi sacrificato Dio e l’anima, ti avrà abbandonato, respinto per sempre. Hai voluto seguire i suoi piaceri: allora, mentre avrai bisogno di maggior aiuto, sarai abbandonato da tutti; tuo solo rifugio sarà la disperazione; e, ciò che è peggio, tu morrai, e, piombando nell’inferno, dirai che il mondo ti ha sedotto, ma che, troppo tardi, riconoscesti la tua sventura. Ebbene, F. M.! che ne pensate voi? Eppure, sono queste le pene e le gioie, e di quelli che vivono virtuosamente, e di quelli che vivono per il mondo. Ah! F. M., quale sventura è quella di chi non vuole che il mondo, e trascura la salvezza dell’anima sua!… Come passa invece felice la vita colui che ha la grande ventura di cercare soltanto Dio e la salvezza dell’anima sua! Quante amarezze di meno! quante consolazioni di più nel servizio di Dio! quanti rimorsi di coscienza risparmiati al punto di morte! Quanti tormenti evitati per l’eternità!… Ah! F. M., quanto la nostra vita sarebbe felice, malgrado tutto ciò che possiamo soffrire da parte del mondo e del demonio, se avessimo la bella sorte di darci al servizio di Dio, disprezzando il mondo e chi lo segue! Ah! F. M., qual cambiamento grande opera il servizio di Dio in chi è così avventurato da cercare sulla terra Dio solo! Se dovete vivere con un orgoglioso, che non vuol tollerare nulla, pregate Dio che lo faccia attendere con costanza al suo servizio: vedrete subito tutto cambiarsi in lui; amerà il disprezzo, ed egli medesimo si terrà a vile. Un marito od una moglie sono sfortunati nel loro matrimonio? procurate che abbraccino il servizio di Dio, e vedrete allora che non si considereranno più come infelici, ma la pace e l’unione regnerà fra loro. Un domestico è trattato duramente dai padroni? Consigliatelo di darsi al servizio di Dio, e d’allora non lo udrete più lamentarsi, anzi benedirà la bontà di Dio che gli dà occasione di far il suo purgatorio in questo mondo. Dirò ancor più, F. M.: una persona che conosce la religione e la pratica, non pensa più a se stessa, ma solo a rendere felice il suo prossimo. Per meglio farvelo comprendere, eccovi un bell’esempio. – Leggiamo nella storia che nella città di Tolosa viveva un santo sacerdote, lo zelo e la carità del quale lo facevano considerare in tutta la città come il padre dei poveri. Quantunque povero egli stesso, pure non mancava mai di mezzi per soccorrere gli altri. Un giorno una donna devota venne ad annunciargli che le era stato messo in prigione il marito, e che le restavano a carico quattro figliuoli; se alcuno non aveva pietà di lei e dei bambini, avrebbe dovuto morire di fame. Il santo sacerdote fu commosso fino alle lagrime; era appena tornato dalla sua questua giornaliera a favore dei suoi poveri, ma uscì di nuovo per domandare soccorso ad un ricco negoziante, suo amico. Mentre il sacerdote entrava, il mercante aveva appena ricevuto una lettera annunciantegli una perdita considerevole. Il sacerdote, nulla sapendo, gli fa il racconto delle miserie di quella sventurata famiglia. E il mercante burberamente: “Siete ancor qui; è troppo. „ — “Ah! signore! Se sapeste! gli risponde il sacerdote. „ — “No, non voglio saper nulla, andatevene subito. „ — ” Ma, signore, gli dice il sacerdote, che sarà di quella povera famiglia! ah! ve ne scongiuro, abbiate pietà delle sue sventure! „ L’altro, preoccupatissimo della propria disgrazia, gli si rivolge contro e gli dà uno schiaffo sonoro. Il sacerdote, senza mostrare la minima emozione, presenta l’altra guancia, dicendogli: “Signore, percuotete quanto vi pare, purché mi diate di che soccorrere quella povera famiglia.„ Il mercante, meravigliato di ciò, gli dice: “Ebbene, venite con me; „ e prendendolo per mano, lo conduce nel suo studio, gli apre la cassa forte, e: “Prendete quanto vi abbisogna. „ — “No, signore, gli dice umilmente il sacerdote, datemi quanto volete. „ Il mercante caccia ambo le mani dentro al suo scrigno e gli dà abbondantemente, dicendogli: “Venite ogni qual volta vorrete. „ Ah! F. M., la religione è pur cosa preziosa per chi la conosce. Infatti, quanto vi è di bene nel mondo, fu essa che lo ha prodotto. Gli ospedali, i seminari, le case di educazione, tutto fu istituito da chi si era dato al servizio di Dio. Ah! se i padri e le madri conoscessero quanto sarebbero felici essi stessi, e quanto contribuirebbero a glorificare Dio educando santamente i loro figli! Ah! se fossero ben convinti che essi tengono il luogo di Dio sulla terra, come lavorerebbero a rendere vantaggiosi per sé e pe’ loro cari i meriti della Passione e della Morte di Gesù Cristo!…,, – Concludo, F. M., col dire che seguendo il mondo e volendo accontentare le nostre inclinazioni perverse, non saremo mai felici, né potremo trovare quel che cerchiamo; mentre dandoci al servizio di Dio, tutte le nostre miserie verranno addolcite, o meglio, si muteranno in gioia e consolazione, al pensiero che fatichiamo pel cielo. Quale differenza tra chi muore dopo aver vissuto male, e chi muore dopo aver condotto vita buona; questi ha il cielo per eredità; le sue lotte sono finite; la sua felicità, che già intravvede, incomincia per non più finire! Sì, F. M., diamoci a Dio davvero e proveremo questi grandi benefizi che Dio mai rifiuterà a chi l’avrà amato! Eccovi la felicità che vi auguro.
(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)
Il Mondo.
Nomo potest duobus dominis servire.
(MATTH. VI, 24).
Gesù Cristo ci dice, Fratelli miei, che non possiamo servire a due padroni, cioè a Dio ed al mondo. Non potete piacere a Dio ed al mondo, Egli ci dice; per quanto facciate, non riuscirete ad andar d’accordo con ambedue ad un tempo. E la ragione, F. M., si è che essi sono totalmente opposti nei loro pensieri, nei loro desideri e nelle loro azioni: l’uno promette una cosa del tutto contraria a quella che promette l’altro; l’uno proibisce quanto permette e comanda l’altro; l’uno vi fa lavorare per la vita presente, l’altro per la vita avvenire, cioè pel cielo; l’uno vi offre i piaceri, gli onori, le ricchezze, l’altro non vi presenta che lagrime, penitenza e rinuncia a voi stessi; l’uno vi invita a percorrere una via tutta fiori, almeno in apparenza, l’altro vi apre una via di spine. Ognuno dei due, F. M., domanda il nostro cuore; tocca a noi di scegliere quale dei due padroni vogliamo seguire. Uno, il mondo, promette di farci gustare quanto possiamo desiderare durante la vita, sebbene sempre più di quanto essa dia; ma, nel medesimo tempo ci nasconde i mali che ci sono riservati nell’eternità; l’altro, Gesù Cristo, non ci promette tutte queste cose; ma per consolarci dice che ci aiuterà, anzi che addolcirà grandemente le nostre pene: “Venite a me, Io vi consolerò: seguendo me, troverete la pace dell’anima e la gioia del cuore. ,, (Matt. XI, 29). Ecco, F. M., i due padroni che ci domandano il cuore; a quale volete appartenere? Tutto ciò che il mondo vi offre non è che pel tempo presente. Beni, piaceri, onori, finiranno colla vita, e terminata la vita cominceremo una eternità di tormenti. Ma se vogliamo seguire Gesù Cristo che ci invita carico del peso della croce, vedremo subito che le pene del suo servizio non sono grandi come crediamo; Egli ci andrà innanzi, ci aiuterà, ci consolerà, e, conforme alla sua promessa, dopo pochi istanti di pene, ci darà una felicità che durerà eterna come Lui – Ma, per meglio farvelo comprendere, F. M., voglio mostrarvi che è impossibile piacere a Dio ed al mondo; o tutto per Dio, o tutto pel mondo: non v’è divisione”.
I . — È certo, F. M., che se Gesù Cristo sapeva che molti avrebbero abbandonato il mondo per darsi a Lui, abbracciando la follia della croce, ed a suo esempio avrebbero passata la vita nelle lagrime, nei sospiri, nella penitenza per rendersi degni della ricompensa ch’Egli ci ha meritata, sapeva altresì che molti l’avrebbero abbandonato per darsi al mondo, che promette ciò che non potrà mai dare, loro nascondendo l’eterna infelicità; perciò volle darci soltanto un cuore, affinché non potessimo darlo che ad un solo padrone. Ci dice chiaramente che è impossibile essere di Dio e del mondo: perché, se vorremo piacere all’uno, diverremo nemici dell’altro. Dio, F . M., per mostrarci quanto è difficile salvarsi in mezzo al mondo, lo ha maledetto, dicendo: a Guai al mondo! „ (Matt. XVIII, 7). Ma ragioniamo di questa cosa addentrandoci un poco più nell’argomento. Sapete, F. M., che lo spirito di Gesù Cristo è spirito di umiltà e disprezzo di se stesso, spirito di carità e bontà per tutti. Ebbene! come potete conservar questo spirito, se vi accomunate ad un orgoglioso il quale non vi parlerà che di piaceri e di onori, si loderà e vanterà delle sue pretese belle doti, del bene che ha fatto, ed anche di quello che non ha fatto? Se lo frequentate per un po’di tempo, necessariamente senza accorgervene, diverrete orgoglioso al pari di lui. Se udrete qualcuno parlar sempre male del prossimo, senza saperlo diverrete anche voi una lingua cattiva, e porterete lo scompiglio dovunque vi troverete. Sapete che Gesù Cristo, scelto da voi quale padrone, vuole che gli conserviamo il cuore ed il corpo nostro puri quanto è possibile; ma se frequenterete quel libertino, che è occupato solo in pensare e dire le cose più laide ed infami, come potrete conservare quella purità che Dio domanda da voi? A forza di frequentarlo, diverrete laido ed infame al pari di lui. Sapete che il vostro Padrone vuole che amiate e rispettiate la Religione, e quanto ha rapporto con essa; ma se frequentate un empio, che si fa beffe di tutto, disprezza quanto v’ha di più sacro e mette tutto in ridicolo, come potrete amar la religione e praticare ciò che essa vi comanda, ascoltando tutte queste empietà? Come potrete aver confidenza coi sacerdoti, dopo che gli empi vi avranno narrato qualche calunnia a loro carico, e vi avranno persuasi che è vera e che tutti i sacerdoti sono così? Ah! F. M., guai a chi segue il mondo! È perduto! Ditemi, come avrete rispetto per le leggi della Chiesa, se andate con questi empi che deridono e disprezzano il digiuno e l’astinenza, dicendovi che sono tutte invenzioni degli uomini? — Lo spirito di Dio, come sapete, ci stimola a disprezzare le cose create per attaccarci solo ai beni dell’eternità; ma come potrete formarvene almeno un’idea se frequentate quell’incredulo, che crede, quantunque non seriamente, o pretende che tutto finisca colla vita? Amico mio, se volete salvarvi, dovete necessariamente fuggire il mondo, altrimenti penserete ed agirete come il mondo, e vi troverete nel numero di coloro che sono maledetti da Dio. – Vedete, F. M., quando qualche gran peccatore non vuol convertirsi, la Chiosa lo scomunica, cioè lo respinge dal suo seno, non lo considera più come figliuol suo: egli non partecipa più alle grazie che Dio ci largisce per i meriti della sua Passione e morte; non vuole nemmeno che si mangi o si beva con Lui, o che lo si saluti; ci proibisce d’aver alcuna comunicazione con Lui, so non vogliamo partecipare alla sua disgrazia. Se uno di costoro viene a morire, è sepolto in luogo profano, e non ha diritto alle preghiere, perché muore da riprovato. Ebbene! F. M., se vogliamo seguire il mondo, ci toccherà la stessa disgrazia. Del resto, F. M., se ne dubitate, vedete quanto hanno fatto tutti i santi: hanno considerato il mondo, i suoi piaceri ed anche i suoi beni come una peste per la salvezza delle anime loro, e tutti quelli che poterono l’abbandonarono. Per quale causa i deserti si popolarono di tanti uomini che prima abitavano le città e le campagne, se non perché ebbero paura del mondo, e l’abbandonarono appunto pel timore che il contagio del mondo li perdesse, facendo nascere in loro gli stessi sentimenti, facendoli operare col medesimo spirito? Sì, F. M., fuggiamo il mondo, se no siamo certi di perderci con esso. F. M., non saremo mai d’accordo col mondo, se vogliamo salvarci. Dobbiamo giurargli guerra eterna; questo fecero tutti i santi. O rinunciare al cielo, o rinunciare al mondo!… Ascoltate, F. M.: volete sapere quanto siamo nemici del mondo, e quanto il mondo ci odia? Uditemi un momento, e vedrete che cosa dobbiamo fare se vogliamo sperare di possedere un giorno il cielo. Ne abbiamo un bell’esempio in S. Gennaro, vescovo di Benevento (Ribadeneira, 19 settembre). Fu denunciato al governatore di Napoli Timoteo perché faceva ogni sforzo possibile per fortificare i Cristiani nella fede, ed indurre i pagani a convertirsi: diceva loro che erano nel numero di quelli che Gesù Cristo aveva maledetti con queste parole: “Guai al mondo! „ Il governatore, incollerito per tale notizia, ordinò sull’istante che si andasse ad arrestare il santo, e lo si conducesse legato mani e pieni davanti al suo tribunale. Fece porre un idolo in faccia a lui, intimandogli d’adorare subito gli dèi, altrimenti si preparasse a morirò fra i tormenti più atroci che si possano immaginare. Il santo, senza commuoversi gli rispose che non ora nato e non aveva ricevuto il battesimo per seguire il mondo, ma per seguire Gesù Cristo carico della croce e morto per noi sul Calvario; che tutti i tormenti che gli erano minacciati non lo spaventavano; erano la sua porzione, ad essa un giorno formerebbe la sua felicità. “Voi, disse al governatore, appartenete a quel mondo che Gesù Cristo ha maledetto. „ Questa risposta infuriò tanto il governatore che ordinò fosse subito gettato in una ardente fornace. Ma Dio, che non abbandona coloro che sono seguaci suoi e non del mondo, fece sì che S. Gennaro, invece di restar abbruciato dalle fiamme, sembrasse entrato in un bagno refrigerante. Il santo ne uscì senza che né i suoi abiti né i suoi capelli avessero alcunché sofferto; cosa questa che meravigliò la folla dei pagani presenti. Il governatore medesimo ne fu sorpreso; ma attribuendola all’opera del demonio, divenne più furibondo, e fece mettere il santo alla tortura, porche soffrisse tale supplizio, che solo l’inferno aveva potuto ispirargli. Ordinò che gli fossero tagliati uno dopo l’altro tutti i nervi del corpo; indi, vedendo che non poteva camminare se non per miracolo, lo fece condurre in prigione, sperando di farlo soffrire ancor più. Alcuni fedeli della sua diocesi, saputo quanto si faceva soffrire al loro Vescovo, partirono subito per venire a visitarlo e recargli, se fosse possibile, qualche sollievo. Il governatore informatone, mandò i soldati per arrestarli e condurli tutti davanti al suo tribunale. Giunti alla sua presenza, li interrogò sulla loro religione e sul motivo del loro viaggio. Gli risposero coraggiosamente che erano Cristiani e venivano a visitare il loro Vescovo, nella speranza d’aver la bella sorte di essergli compagni nel martirio. Non comprendendo nulla di questo strano linguaggio, si rivolse a S. Gennaro, domandandogli se costoro dicevano la verità. Il santo rispose che davvero erano Cristiani al pari di lui, ed avevano rinunciato al mondo per seguire Gesù Cristo. Ottenuta questa dichiarazione, il governatore ordinò che si mettessero loro delle catene alle mani ed ai piedi, e fossero fatti camminare dinanzi al suo carro sino a Pozzuoli, per esservi colà divorati dalle fiere. La gioia che quei santi mostravano andando al martirio, meravigliava i pagani. Appena arrivati, furon posti nell’arena. Allora S. Gennaro, che era il capo, perché loro Vescovo, disse indirizzandosi a’ suoi compagni : “Figli miei, coraggio! Ecco il giorno del nostro trionfo. Combattiamo generosamente per Gesù Cristo nostro Maestro, giacché l’abbiamo riconosciuto per nostro Dio; andiamo con coraggio alla morte, come vi andò Egli stesso per amor nostro. Diamo, figli miei, diamo arditamente il nostro sangue per Gesù Cristo, come Egli lo diede per noi. Sì, figli miei, poiché abbiamo rinunciato al mondo, maledetto da Dio, disprezziamolo, in un con quelli che lo seguono; né le promesse né le minacele giungano a farci piegare dalla parte del mondo maledetto: mettiamo tutta la confidenza nel nostro Dio, e sorretti dalla sua protezione, non temiamo né i tormenti né la morte. Vedete, figli miei, il vostro pastore, al quale furon tagliati tutti i nervi. Io do volentieri il resto del mio corpo alle fiere che stanno per divorarmi. Guardiamo al cielo, figli miei, là il nostro Dio ci attende per ricompensarci; ancora un momento di sofferenze, ed avremo una eterna felicità. „ Appena il santo ebbe finito di parlare, furono lanciate contro di loro le fiere, in presenza d’una moltitudine sterminata di popolo, accorso a vedere quello spettacolo. I leoni, le tigri ed i leopardi, tenuti digiuni da più giorni, volarono con furia eguale a quella d’un torrente di acque che dall’alto d’una rupe cade in un precipizio; ma invece di divorare i martiri, come ognuno s’attendeva, si videro ad un tratto quelle belve perdere interamente la lor ferocia naturale, gettarsi ai loro piedi, lambirli in segno di rispetto, dimenando le code, senza che alcuna osasse pur toccarli.- Questo miracolo colpì talmente la moltitudine, che come un sol uomo fu udita esclamare: “Sì, sì, solo il Dio dei Cristiani è il vero Dio, e tutti i nostri dèi ci ingannano e ci conducono a rovina; i sacerdoti dei nostri idoli non fecero mai nulla di somigliante. „ Il governatore, udendo questo grido, temette per sé, ed ordinò che i martiri fossero condotti sulla pubblica piazza per far tagliare loro il capo; ma, mentre vi erano condotti, S. Gennaro passando davanti al governatore, disse: “Signore, togli, ti prego, la vista a questo tiranno, perché non abbia il barbaro piacere di veder morire i tuoi figli. „ All’istante, il governatore divenne cieco. Questo castigo così prodigioso gli fece riconoscere il potere del servo di Dio. Tosto, comandò di sospendere l’esecuzione della sentenza pronunciata contro i santi martiri, e fattosi condurre dinanzi al santo, gli disse in tono supplichevole : “Tu che adori il Dio onnipotente, pregalo , te ne scongiuro, per me, affinché mi renda la vista di cui mi ha privato in punizione dei miei peccati. „ E poiché i santi non hanno né rancore, né odio, S. Gennaro per mostrare con doppio miracolo la potenza del vero Dio, fece una seconda preghiera a favor del governatore, preghiera che fu efficace al pari della prima. Timoteo ricuperò la vista all’istante. Questo prodigio non fu inutile per la gloria di Dio e la salute delle anime: quasi cinque mila pagani, che ne furono testimoni, si convertirono nel medesimo giorno; ma il governatore, a favore del quale era stato fatto il miracolo, fu così ostinato che non si convertì. Temendo, col risparmiare i martiri, di cadere in disgrazia dell’imperatore, ordinò in segreto ai suoi ufficiali di far morire il santo Vescovo. Mentre lo si conduceva in piazza per esservi giustiziato, un buon vecchio gettatosi ai suoi piedi gli domandò qualche oggetto che gli avesse servito, per conservarlo, come ricordo, rispettosamente. Il santo, commosso dalla sua fede, gli disse: “Amico mio, non ho che il fazzoletto che mi servirà per bendarmi gli occhi; ma state certo, dopo la mia morte l’avrete. „ Quelli che l’intesero così parlare, sorrisero, e dopo fatto morire il santo, calpestarono coi piedi il fazzoletto, dicendo: “Lo doni ora al vecchio a cui lo promise. „ Ma furono ben sorpresi nel ritorno: videro il vecchio che lo teneva tra mani. Al momento in cui gli fu reciso il capo, S. Gennaro esclamò; “Mio Dio, rimetto nelle tue mani l’anima mia. „ Ebbene! F. M., eccovi il mondo e Gesù Cristo, quelli cioè che hanno disprezzato il mondo per seguire solo Gesù Cristo e la sua croce; quelli che hanno davvero abbandonato il mondo, i suoi beni e piaceri, per non cercare che il cielo e la salvezza dell’anima loro! – Vedete un po’ da qual lato vi mettereste se il buon Dio vi mettesse a prova simile a quella dei martiri S. Gennaro e i suoi compagni. Ahimè! mio Dio, quanto pochi vi sarebbero… poiché vi sono ben pochi che non siano dei mondo, cioè che non amino il mondo, i suoi beni e i suoi piaceri. È possibile, che quantunque il mondo faccia i suoi seguaci infelici, prometta molto, ma non dia mai ciò che promette, è possibile che l’amiamo ancora ? Tutti ci lamentiamo della su perfidia, e malgrado ciò, cerchiamo ancora di piacergli, e se non possiamo accontentarlo del tutto, vogliamo almeno dargli i nostri anni più belli, la giovinezza e spesso la sanità, la riputazione ed anche la vita. Ah! mondo maledetto! sino a quando ci ingannerai chiamandoci alla tua sequela per opprimerci di tanti mali, farci sempre sventurati e mai felici? O mio Dio! apriteci, di grazia, gli occhi dell’anima, e conosceremo la nostra cecità di amare chi non cerca altro che la nostra rovina eterna! Ma per farvi ancor meglio comprendere quale dei due partiti dovrete seguire, consideriamo il mondo composto di tre società: alcuni sono tutti del mondo, altri sono tutti di Dio, altri, infine, stanno tra i due: vorrebbero essere del mondo senza cessare d’essere di Dio; il che è impossibile, come vedrete. Anzitutto, F. M., dico, che una parte, e forse la maggiore, è tutta del mondo; appartengono a questo numero quelli che sono contenti d’aver spento nell’anima loro ogni senso di religione, ogni pensiero dell’altra vita, che hanno fatto quanto poterono per cancellare il pensiero terribile del giudizio che un giorno dovranno subire. Usano tutta la loro scienza e spesso le loro ricchezze per attirare quanti più possono sul loro sentiero: non credono più a nulla, si gloriano perfino d’essere più empi ed increduli che non siano in realtà, per meglio convincere gli altri, e far loro accettare, non dico le verità, ma le falsità che vorrebbero spargere nei loro cuori. Come Voltaire, che un giorno in un pranzo dato ad amici, cioè ad empi, si compiaceva perché tutti i suoi commensali non credevano alla religione. Eppure egli vi credeva, come ben lo mostrò all’ora di sua morte. In quegli estremi istanti chiese con premura un sacerdote per riconciliarsi con Dio; ma era troppo tardi per lui: Dio, contro del quale si era scagliato con tanto furore, rinnovò per lui il castigo inflitto ad Antioco: lo abbandonò al furore dei demoni. Voltaire non ebbe in questo momento terribile, come sua porzione, che la disperazione e l’inferno. “L’empio, così lo Spirito Santo (Ps. XIII, 1; LII, 1), disse dentro di sé che non v’è Dio, „ ma è solo la corruzione del suo cuore che può portarlo ad un simile eccesso; egli non pensa così nel fondo dell’anima sua. Questa parola: “Vi è Dio, „ non si cancellerà mai; il più gran peccatore la pronuncerà spesso, anche senza pensarvi. Ma lasciamo da parte questi empi; fortunatamente, sebbene voi non siate buoni Cristiani quanto dovreste esserlo, non siete ancora, grazie a Dio, di questo numero. Ma, mi direte, chi sono coloro che ora sono di Dio, ora del mondo? — F . M., eccoli. Li assomiglio, se posso usare questa frase, a quei cani che vanno dietro al primo che li chiama. Seguiteli, F. M., dal mattino alla sera, dal principio sino alla fine dell’anno; costoro non considerano la domenica che come giorno di riposo e di piacere; stanno a letto più a lungo che negli altri giorni della settimana, ed invece di dare il loro cuore a Dio, non vi pensano neppure. Penseranno, gli uni ai piaceri, gli altri alle persone che vedranno; questi alle compere da fare, quelli al denaro che dovranno spendere o ricevere. A mala pena si fanno un segno di croce, a qualche modo; e col pretesto che andranno in chiesa, non faranno alcuna preghiera, dicendo tra sé: “Ne ho del tempo prima della Messa. „ Hanno sempre qualche cosa da terminare prima di muoversi per andare ad ascoltar la S. Messa: credevano d’aver tempo d’avanzo per fare la loro preghiera, ed invece non arrivano nemmeno al principio della Messa. Se trovano un amico per via, non hanno difficoltà di condurlo a casa loro e rinunciano per questa volta alla Messa. Costoro però vogliono sembrar ancora Cristiani agli occhi del mondo, e vanno ancora a Messa qualche volta; ma vi stanno con una noia ed un tedio mortali. Ecco il pensiero che li occupa: “Mio Dio, quando sarà finita? „ Li vedete, specialmente durante le istruzioni, voltar la testa da una parte e dall’altra, domandare al vicino quante ore sono; sbadigliano e si stirano, o sfogliano il libro, per cercar non so che cosa; mentre qualche loro vicino della medesima risma, dorme d’un sonno saporito. Il primo pensiero che loro si presenta, non è d’aver profanato un luogo così santo, ma: “Mio Dio, non finisce più!… ah! non ci torno un’altra volta!… „ Ve ne sono persino di quelli ai quali la parola di Dio, che ha convertito tanti peccatori, fa venire il mal di cuore; debbono uscire, dicono, per respirare una boccata d’aria, e non morire; li vedete tristi, sofferenti durante le sacre funzioni; ma quando l’ufficiatura è appena finita, e spesso il sacerdote non è ancora partito dall’altare, si accalcano alla porta, e fanno a chi uscirà pel primo; e vedete allora ritornare quella gioia che avevano perduta, Sono così stanchi che, spesso, non hanno il coraggio di ritornare ai vespri. Se domandate loro perché non vanno al vespro: “Ah! vi soggiungono, bisognerebbe, dunque, stare tutto il giorno in chiesa: abbiamo altro da fare! „ Costoro non danno importanza né al catechismo, né al rosario, né alla preghiera della sera: tutte quelle pie pratiche sono considerate da essi come cose da nulla. Se loro chiedete che cosa ha detto il parroco all’Evangelo o alla Dottrina? “Ah! vi risponderanno, ha gridato abbastanza!… ci ha abbastanza annoiati!… non mi ricordo… se non fosse così lungo, si ricorderebbe almeno qualche cosa; ecco ciò che fa perdere al mondo la voglia di venire alle funzioni; perché son troppo lunghe. „ Avete ragione di dire, al mondo, perché costoro sono nel numero di quelli che appartengono al mondo senza pur saperlo. Ma, via, procuriamo di farlo adesso meglio comprendere, se almeno lo vogliono: essi sono sordi e ciechi, ed è appunto perché son sordi che è ben difficile far loro intendere le parole di vita, come è difficile far loro intravvedere il loro stato miserando, essendo essi ciechi. Vedete, in casa loro non si usa più dire il Benedicite prima dei pasti, né il ringraziamento dopo, e neppur l’Angelus. Se per antica abitudine lo fanno, chi ne è testimone prova una stretta al cuore: le donne lo fanno lavorando o sgridando figli od i domestici; gli uomini facendo girare il cappello od il berretto tra le mani, come por esaminare se avessero dei buchi; pensano tanto a Dio, come se credessero davvero che Egli non esiste, e come se facessero tutto per ischerzo. Non si fanno scrupolo di vendere o comperare in giorno di domenica, quantunque sappiano benissimo, o almeno debbano sapere che un contratto un po’ grosso fatto in domenica, senza necessità, è un peccato mortale. Costoro riguardano tutte queste cose come un nonnulla. Andranno nei giorni festivi in una parrocchia vicina per accordare domestici al loro servizio; e se loro si dice che fanno male: “Ah! vi rispondono, bisogna pur andarvi quando si possono trovare. Senza alcuna difficoltà pagano le loro imposte in domenica: perché durante la settimana, dovrebbero andare un po’ più lontano, e impiegare qualche ora di più. Ah! mi direte, noi non badiamo a tutte queste cose. — Non vi badate, amico mio? Non mi fa meraviglia, perché siete del mondo; o meglio, vorreste essere di Dio ed accontentare nello stesso tempo il mondo. Sapete, F. M., chi sono costoro? Sono gente che ancora non ha perduto interamente la fede, ed a cui resta ancora qualche attaccamento al servizio di Dio, che non vorrebbero abbandonare del tutto; perché essi stessi biasimano chi non frequenta più le funzioni: ma non hanno abbastanza coraggio per romperla col mondo, e per voltarsi dalla parte di Dio. Costoro non vorrebbero dannarsi, ma non vorrebbero scomodarsi; sperano di potersi salvare senza farsi tanta violenza; hanno l’idea fissa che Iddio, che è così buono, non li ha creati per perderli, li perdonerà ben ugualmente; che col tempo si daranno a Dio, si correggeranno, lasceranno le cattive abitudini. Se, in alcuni momenti di riflessione, si mettono la loro misera vita appena un po’ davanti agli occhi, ne gemono, e talora anche ne piangeranno. Ahimè! F. M., qual vita triste conducono coloro che vorrebbero essere del mondo senza cessare d’essere di Dio! Proseguiamo un po’, e comprenderete ancor meglio, vedrete come la loro vita è altresì ridicola. Ora, li udrete pregare Dio e fare un atto di contrizione, e più tardi li sentirete bestemmiare fors’anche il santo Nome di Dio, se le cose non vanno a modo loro. Stamattina li avete veduti alla S. Messa cantare le lodi di Dio, e nello stesso giorno li udirete tenere i più laidi discorsi. Le medesime mani che hanno preso l’acqua benedetta, domandando a Dio di purificarli dei loro peccati, un istante dopo, le medesime mani sono adoperate per fare toccamenti disonesti sopra di sé o forse sopra altri. I medesimi occhi che al mattino ebbero la gran ventura di contemplar Gesù Cristo stesso nell’Ostia consacrata, durante il giorno si porteranno volontariamente e con diletto sugli oggetti più disonesti. Ieri, avete visto costui fare la carità al suo prossimo, o rendergli un servigio: oggi cercherà d’ingannarlo, se vi trova interesse. È appena un minuto che quella madre augurava ogni sorta di benedizioni a’ suoi figli: ed ora che l’hanno contrariata, li ricolma di imprecazioni; non vorrebbe mai averli visti nascere, vorrebbe esserne tanto lungi quanto ne è vicina; e finisce per mandarli al diavolo affine di sbarazzarsene. Ora manda le sue figlie alla santa Messa ed a confessarsi: ora le manda ai balli, od almeno farà sembiante di non saperlo, o lo proibirà loro sorridendo, come se dicesse: “Andate pure. „ Una volta dirà alla figlia d’esser riservata, di non frequentare le cattive compagnie, ed un’altra la lascia per ore intere in compagnia di giovinotti senza dirle nulla. Andate, povera donna, siete del mondo. Credete di essere di Dio per qualche atto esteriore di religione che praticate: vi ingannate; siete del numero di coloro ai quali Gesù Cristo dice : “Guai al mondo !„ (Matt. XVIII, 7). Vedete costoro che credono d’essere di Dio e sono del mondo: non si fanno scrupolo di portar via ai vicini ora un po’ di legna, ora qualche frutto, e mille altre cose; finché sono lodati per ciò che fanno rispetto alla religione, lo fanno volentieri, rivelano molta sollecitudine, sono maestri nel dare consigli agli altri; ma, se sono disprezzati o calunniati, allora li vedete scoraggiarsi, affliggersi per essere trattati in questo modo; ieri volevano bene a quelli che facevano loro del male; oggi non possono più soffrirli, e spesso neppure vederli o parlare con essi. Povero mondo! quanto sei sventurato; prosegui la tua strada: va, non puoi sperare che l’inferno! Gli uni vorrebbero frequentare i Sacramenti, almeno una volta all’anno; ma per questo occorrerebbe un confessore molto accomodante, vorrebbero soltanto e tutto fatto. Se il confessore non li vede abbastanza ben disposti e rifiuta loro l’assoluzione, eccoli scatenarsicontro di lui, dicendo quanto potrà giustificarli del non aver finito la loro confessione; conoscono benissimo perché sono stati rimandati, ma siccome sanno che il confessore non può loro condiscendere, si sfogano dicendo ciò che loro talenta. Va, o mondo, va per la tua via, vedrai un giorno quello che non volesti vedere. Bisognerebbe adunque che potessimo dividere in due il nostro cuore! — Ma no, amico mio, o tutto di Dio, o tutto del mondo. Volete frequentare i Sacramenti? Ebbene lasciate i giuochi, le danze, le osterie. Del resto, vi par cosa corretta venire ora a presentarvi al tribunale di penitenza, ad assidervi alla sacra Mensa per cibarvi del pane degli Angeli; e dopo tre o quattro settimane, forse meno, farvi vedere passare la notte in mezzo agli ubbriachi ripieni di vino, peggio ancora, commettere gli atti i più infami di impurità? Va, o mondo, va!… cadrai ben presto nell’inferno; e là imparerai ciò che dovevi fare: imparerai quanto dovevi fare per andare in cielo, che hai perduto per colpa tua. No, F. M., non inganniamoci: bisogna necessariamente, o sacrificare pel mondo Gesù Cristo, ovvero fare a Gesù Cristo il sacrificio di quanto abbiamo di più caro sulla terra. Ma che può dare il mondo da potersi paragonare a quanto ci promette Gesù Cristo in cielo? D’altra parte, P. M., fra tutti quelli che si sono dati al mondo, che non hanno cercato che d’accontentare le loro inclinazioni perverse e corrotte, non ve n’ha uno che non abbia provato delusioni, e che, all’ora della morte, non si sia pentito di averlo amato. Sì, F. M., è allora che sentiremo la vanità e fragilità delle cose di quaggiù, e la sentiremmo fin d’ora, se volessimo dare uno sguardo alla vita passata: vedremmo che la vita è pur poca cosa. Ditemi, F. M., voi che pel peso degli anni incominciate già a curvar la testa sulle spalle; nella vostra giovinezza, correvate dietro ai piaceri del mondo, e vi sembrava non potervene saziare abbastanza; avete passato molti anni a cercar solo i vostri diletti: le danze, i giuochi, le osterie e le vanità erano tutta l a vostra occupazione; avete sempre differito il vostro ritorno a Dio. Giunti ad età più avanzata, avete pensato di accumulare ricchezze. Eccovi ora arrivati alla vecchiaia, senza nulla aver fatto per la vostra salvezza. Ora che siete disingannato delle follie della gioventù; ora che avete affaticato per risparmiarvi qualche ricchezza, ora sperate di far meglio. Io non lo credo, amico mio. Gli acciacchi della vecchiaia che vi accasceranno; i figli, che forse vi disprezzeranno: tutto sarà un nuovo ostacolo per la vostra salvezza. Avete creduto di essere di Dio, ed invece riconoscerete di essere del mondo: cioè del numero di coloro che sono ora di Dio, ed ora del mondo, e che finiscono per ricevere la ricompensa del mondo. Guai al mondo! Andate, mondani, seguite il vostro padrone, come faceste sin ora. Vedete benissimo che siete stati ingannati seguendo il mondo: ebbene, F. M., diverrete per questo più saggi? No, F. M., no. Se alcuno ci inganna una volta, diciamo: Non ci fidiamo più di costui; ed abbiamo ragione. Il mondo ci inganna continuamente, oppure l’amiamo. “Guardatevi, dice S. Giovanni, dall’amare il mondo, o dall’attaccarvi a qualsiasi cosa nel mondo „ (I Joan, II, 15) — “Invano, ci dice il Profeta, porteremo la luce a costoro: furono ingannati e lo sono ancora: non apriranno gli occhi se non quando non avranno più speranza di ritornare a Dio. „Ah! F. M., se riflettessimo bene che cosa è il mondo, passeremmo la nostra vita nel ricevere il suo addio e nel dargli il nostro. All’età di quindici anni abbiamo detto addio ai giuochi dell’infanzia, abbiamo considerato come altrettante scempiaggini il correr dietro le farfalle, come fanno i bambini, che costruiscono per loro case di carta o di fango. A trent’anni avete cominciato a dire addio ai piaceri rumorosi d’una giovinezza ardente; ciò che tanto vi piaceva allora, comincia già ad annoiarvi. Dirò meglio, F. M.: ogni giorno diciamo addio al mondo; facciamo come un viaggiatore che gode della bellezza dei paesi dove passa: appena veduti, deve subito lasciarli: altrettanto è dei beni e dei piaceri, ai quali siamo così attaccati. Infine, arriviamo alla soglia dell’eternità, che tutto inghiotte nei suoi abissi. Ah! F. M., allora il mondo scomparirà por sempre dai nostri occhi, e riconosceremo quale grande pazzia sia stata la nostra di averlo ornato. E quello che ci si diceva del peccato? Era dunque tutto vero, diremo in quel punto. Ahimè! non ho vissuto che pel mondo, non ho cercato che il mondo in tutto lo mio azioni; ed i beni ed i piaceri del mondo non sono più nulla per me! tutto mi sfugge dalle mani: il mondo che ho tanto amato, i beni od i piaceri che tanto occuparono il mio’ cuore ed il mio spirito!… Bisogna intanto che ritorni al mio Dio!… Ah! P. M., quanto è consolante questo pensiero per chi non cercò che Dio solo durante la sua vita! ma come è disperante per chi ha perduto di vista il suo Dio e la salute dell’anima! No, no, F. M., non inganniamoci: fuggiamo il mondo, altrimenti ci mettiamo in gran pericolo di perderci. Tutti i santi hanno fuggito, disprezzato, abbandonato il mondo durante tutta la loro vita. Quelli obbligati a restarvi, vissero come se ne fossero fuori. Quanti grandi del mondo l’hanno abbandonato per vivere nella solitudine! vedete un sant’Arsenio. Colpito da questo pensiero: E difficile salvarsi nel mondo; abbandona la corte dell’imperatore, e va a passare la vita nelle foreste, per piangervi i suoi peccati e fare penitenza Sì, F. M., se non fuggiamo il mondo, almeno quanto ci è possibile, tranne un gran miracolo, ci perderemo col mondo. Eccone un bell’esempio, e ben adatto a farcelo comprendere. – Leggiamo nella sacra Scrittura (III Reg. XXII) che Giosafat, re di Giuda, fece alleanza con Acab, re d’Israele. Lo Spirito Santo ci dice che il primo, Giosafat, era un santo re; ma invece il secondo, Acab, era un empio. Tuttavia, Giosafat acconsentì di unirsi ad Acab per combattere contro i Siri. Prima di partire volle vedere un profeta del Signore, per domandargli quale sarebbe stato l’esito della battaglia. Acab gli disse: “Noi l’abbiamo un profeta del Signore, ma non ci predice che sventure. „ — “Ebbene! gli disse Giosafat, fatelo venire, e lo consulteremo.„ Venuto il profeta davanti al re, Giosafat gli domandò se dovevasi o no combattere contro il nemico. Il re Acab si affrettò di dirgli che tutti i suoi profeti l’avevano assicurato della vittoria. “Sì, rispose il profeta del Signore, andate, o Principi; attaccherete i nemici, li batterete, e tornerete vittoriosi e caricati delle loro spoglie. „ Il re Giosafat capì che non era questo il pensiero del profeta; e gli chiese di dirgli con verità ciò che gli ispirava il Signore. Allora il profeta assumendo il tono di profeta del Signore: “Viva Iddio, nella presenza del quale io sto! Ecco ciò che il Signore, il Dio d’Israele mi ha comandato di dirvi: Voi darete battaglia , ma resterete vinti. Il re Acab vi perirà, e il suo esercito sarà messo in rotta, ed ognuno tornerà a casa senza condottiero. „ Il re Acab disse a Giosafat : “Ti aveva ben detto che questo profeta non annuncia che sventure. „ E lo fece imprigionare, per punirlo al suo ritorno. Ma poco s’inquietò il profeta per questo, perché sapeva bene che il re non sarebbe tornato, ma sarebbe perito. Ingaggiata la battaglia, vedendo che il forte dell’esercito si volgeva contro di lui, Acab mutò vesti. Allora Giosafat fu scambiato per Acab, al quale soltanto si portava rancore. Vedendosi quasi accerchiato dai nemici: “Ah! Signore, Dio d’Israele, esclamò, abbi pietà di me! „ E il Signore venne in suo soccorso, e lo liberò dai nemici. Ma gli mandò il suo profeta per rimproverarlo d’aver fatto alleanza con quell’empio re. “Avresti ben meritato di perire con lui, ma perché il Signore ha visto in te delle buone opere, ti ha conservato la vita, ed avrai la bella sorte di ritornare nella tua città. “Acab invece perì nel combattimento, come appunto gli aveva predetto il profeta prima della partenza. Ecco, F. M., che cosa vuol dire frequentare il mondo: il che ci mostra che, necessariamente, dobbiam fuggire il mondo se non vogliamo perire con esso. Stando colle persone di mondo apprendiamo lo spirito del mondo e perdiamo quello di Dio: e questo ci trascina in un abisso di peccati senza che quasi ce ne accorgiamo: ne abbiamo un bell’esempio nella storia.S. Agostino ci racconta (Conf. VI, C. VII e VIII) che aveva per amico un giovane, che conduceva vita ottima, e proseguiva pel retto sentiero del bene col suo franco ardire giovanile. Un dì, essendo alcuni suoi compagni di studio usciti con lui, indispettiti perché non faceva com’essi, tentarono di trascinarlo all’anfiteatro. Era giorno in cui vi si compieva la lotta dei gladiatori. Il giovane che aveva un estremo orrore per simili curiosità, resisté con tutte le forze; ma i suoi compagni usarono tante lusinghe e oviolenze, che lo trascinarono, per così dire, suo malgrado. Cedendo egli disse: “Potete ben trascinare il mio corpo, e tenermi in mezzo a voi nell’anfiteatro; ma non potete comandare al mio spirito, ed ai miei occhi, che assolutamente non prenderanno mai parte a così orribile spettacolo. Vi starò come se non vi fossi, e per tal modo vi accontenterò senza prendervi 9parte. „ Ma Alipio ebbe un bel dire; lo condussero: e mentre l’anfiteatro intero andava in delirio pel barbaro divertimento, il giovane impediva al suo cuore di prendervi parte, ed a’ suoi occhi di guardare, tenendoli chiusi. Ah! fosse a Dio piaciuto, che si fosse turato anche le orecchie. Poiché scosso dà un fortissimo grido, la curiosità lo vinse: aprì gli occhi per vedere che cosa fosse accaduto; e bastò quello sguardo perché ci si perdesse. Più guardava, più il suo cuore ne sentiva piacere: giunse tant’oltre in seguito, che invece di farsi pregare per andarvi, egli stesso vi trascinava gli altri. “Ahimè! Dio mio, esclama S. Agostino, chi potrà cavarlo da tale abisso? Null’altro, se non un miracolo della grazia di Dio. „ – Concludo, F. M., dicendo che se non fuggiamo il mondo co’ suoi piaceri, se non ci nascondiamo, quant’è possibile, ci perderemo ed andremo dannati. La strada più comoda è d’essere ora del mondo, ora di Dio; cioè fare alcune pratiche di pietà, e seguire gli usi del mondo: i giuochi, le danze, le osterie, il lavoro in domenica; nutrire odi, vendette, risentimenti, fare attenzione ad ogni piccolo torto ricevuto. Se saremo tutti di Dio, bisogna aspettarci d’essere disprezzati e rigettati dal sondo. Felice colui che sarà di questo numero e camminerà con coraggio dietro al suo Maestro, portando la croce: poiché solo per questa via avremo la grande felicità di arrivare al cielo! Ecco quanto vi auguro!
(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)
Sul servizio di Dio.
Quærite primum regnumDei et justitiam ejus.
(MATTH. VI, 83).
S. Matteo narra che Gesù Cristo essendosi trovato un giorno con alcuni i quali s’occupavano troppo di cose temporali, disse loro: “Non v’inquietate tanto per queste cose; cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, tutto il resto vi sarà dato con abbondanza;„ e voleva dire con ciò che se avevano la bella sorte di metter tutte le loro cure nel piacere a Dio e salvare l’anima propria, il Padre suo procurerebbe ad essi quanto sarebbe stato necessario pei bisogni del corpo. — Ma, direte, come possiamo cercare il regno dei cieli e la sua giustizia? — Come, Fratelli miei? Niente di più facile e consolante: dandovi al servizio di Dio, che è il solo mezzo per conseguire quel fine nobile e beato pel quale siamo stati creati. Sì, F. M., lo sappiamo tutti, ed anche i più grandi peccatori ne sono convinti, noi siamo al mondo solo per servire Iddio, e fare quanto ci comanda. — Ma, domanderete, perché sono così pochi quelli che lavorano a questo fine? — P. M., eccolo: gli uni riguardano il servizio di Dio come cosa troppo difficile: credono di non avere abbastanza forza per intraprenderlo, o immaginano che dopo averlo intrapreso, non potranno perseverare. Ecco precisamente, F. M., ciò che scoraggia e trattiene gran parte di Cristiani. – Invece di ascoltare queste consolanti parole del Salvatore, che non può ingannarci, e ci ripete che il suo servizio è dolce e gradevole, che attendendovi vi troveremo la pace delle anime nostre e la gioia dei nostri cuori (Matt. XI, 29, 30). Ma a farvelo meglio comprendere, vi mostrerò quale dei due conduce una vita più dura, più triste e più penosa: se chi adempie i suoi doveri di religione con fedeltà, o chi li abbandona per seguire il piacere e le passioni, per vivere a suo capriccio.
I . — Sì, F. M., da qualsiasi lato consideriamo il servizio di Dio, che consiste nella preghiera, nella penitenza, nel frequentare i Sacramenti, nell’amore di Dio e del prossimo ed in una intera rinuncia a noi stessi; sì, F. M., non troviamo in tutto ciò che gioie, consolazioni, felicità pel presente e per l’avvenire, come vedrete. Chi conosce la sua religione e la pratica, sa che le croci e le persecuzioni, il disprezzo, i patimenti, ed infine la povertà e la morte si cambiano in dolcezze, in consolazioni, e nella ricompensa eterna. Ditemi, non ve ne siete mai fatta un’idea sensibile? No, senza dubbio. Eppure, F. M., la cosa sta come vi dico; e per dimostrarvelo in modo che non possiate dubitarne, ascoltate Gesù Cristo medesimo: “Beati i poveri, poiché di loro è il regno de’ cieli: guai ai ricchi, perché è assai difficile che i ricchi si salvino „ (Luc. VI, 25) Vedete adunque, secondo Gesù Cristo, che la povertà non deve renderci infelici, poiché il Salvatore ci dice: “Beati i poveri„. In secondo luogo non sono le sofferenze, né i dolori, che ci rendono infelici; poiché Gesù Cristo ci dice : “Beati quelli che piangono e che sono perseguitati, perché un giorno saranno consolati (Matt. V, 3); ma guai al mondo e ad ai gaudenti, perché la loro gioia si cambierà in lagrime e tristezza eterna. „ (Luc. VI, 25). – In terzo luogo, non è l’essere disprezzati che può farci infelici; poiché Gesù Cristo ci dice: “Hanno disprezzato me, e disprezzeranno anche voi; hanno perseguitato me, e perseguiteranno anche voi; ma lungi dal rattristarvi, rallegratevi, perché una grande ricompensa vi attende in cielo „ Ditemi, F. M., che cosa potrà ora rispondere quel poverello che mi dice d’essere disgraziato, e mi domanda come potrà salvarsi in mezzo a tante persecuzioni, calunnie e ingiustizie che gli si fanno? No, no, F. M., diciamolo pure: niente può rendere l’uomo infelice quaggiù, quanto la mancanza di religione; e nonostante tutti i dolori che può provare quaggiù, se vuol consacrarsi al servizio di Dio, non mancherà di essere felice. – Ho detto, F. M., che chi si dona a Dio è più felice che le persone del mondo quando tutto riesce a seconda dei loro desiderii; anzi vediamo che molti santi non desideravano che la felicità di soffrire: ne abbiamo un bell’esempio in S. Andrea. Si racconta nella sua vita (Vedi Ribadenora, al 30 Novembre. Da questo autore il Beato ha preso il racconto del martirio del santo Apostolo e molti altri tratti della vita dei Santi che ricorda) che Egeo, governatore della città, vedendo che S. Andrea colle sue prediche rendeva deserti i templi dei falsi dèi, lo fece arrestare. Condotto davanti al tribunale, gli disse con aria minacciosa: “Sei tu, che fai professione di distruggere i templi dei nostri dèi, annunciando una religione affatto nuova?„ S. Andrea gli rispose: “Non è nuova, essa ha cominciato col mondo. „ — ” O rinunci al tuo crocifisso, o ti farò morire in croce come Lui. „ — « Noi cristiani, gli rispose S. Andrea, non temiamo i patimenti, ossi formano la nostra maggior letizia sulla terra; più saremo stati conformi a Gesù Cristo crocifisso, più saremo gloriosi in cielo; ti stancherai prima tu di farmi soffrire, che non io di soffrire. „ Il proconsole lo condannò a morire in croce, ma per rendere il suo supplizio più lungo, ordinò di non inchiodarlo, ma di legarlo solo con corde. S. Andrea provò tanta gioia d’essere condannato a morire in croce, come Gesù Cristo, il suo divino Maestro, che vedendo due mila uomini che venivano ad assistere alla sua morte, quasi tutti piangenti, temendo di venir privato della sua felicità, alzò la voce a scongiurarli, per grazia, di non ritardare il suo martirio. Vista da lungi la croce alla quale doveva venir appeso, in un trasporto d’allegrezza esclamò: “Io ti saluto, Croce veneranda, che fosti consacrata ed abbellita dal contatto del Corpo adorabile di Gesù Cristo, mio divin Salvatore! O Croce santa! o Croce tanto desiderata! o Croce amata con tanto ardore! O Croce che ho cercato e sospirato con tanto zelo e senza stancarmi mai! tu soddisfi tutti i voti del mio cuore! O Croce diletta, ricevimi dalle mani degli uomini per rimettermi in quelle di Dio, affinché io passi dalle tue braccia in quelle di Colui che mi ha redento. „ L’autore che ne scrisse la vita, ci dice che essendo ai piedi della croce per esservi legato, non cambiò di colore, i capelli non gli si drizzarono sul capo, come accade ai rei, non gli tremò la voce, il sangue non gli si agghiacciò nelle vene, non fu nemmeno preso dal minimo tremito; ma si vedeva invece che il fuoco della carità, che ardeva nel suo cuore, gli faceva uscire fiamme di ardore dalla bocca. Quando fu vicino alla croce, si spogliò da solo, e donò le sue vesti ai carnefici; montò senz’aiuto d’alcuno sul palco dov’era rizzata. Tutto il popolo, erano circa duemila persone, vedendo S. Andrea appeso alla croce, esclamò che era ingiustizia far soffrire un uomo così santo, e corse al pretorio per mettere a brani il proconsole, se non lo faceva slegare. S. Andrea vedendolo da lontano, esclamò: ” O Egeo, che vieni a far qui? se vieni per imparare a conoscere Gesù Cristo, sia pure; ma se vieni per farmi distaccare, non avanzarti: sappi che non arrivi in tempo, ed io ho la consolazione di morire pel mio divin Maestro! Ah! veggo già il mio Dio, l’adoro con tutti i beati. „ Malgrado questo, il governatore volle farlo distaccare, temendo che il popolo desse a lui medesimo la morte; ma fu impossibile distaccarnelo: a misura che s’avvicinavano per slegarlo, mancavano loro le forze, restando immobili. Allora S. Andrea esclamò alzando gli occhi al cielo: ” Mio Dio, ti domando la grazia di non permettere che il tuo servo, crocifisso per la confessione del tuo nome, abbia l’umiliazione d’esser liberato per ordine di Egeo. Mio Dio! tu sei il mio Maestro, tu sai che non ho cercato e desiderato altro che te. „ Terminate queste parole, si vide una luce in forma di globo che avvolse tutto il suo corpo, e sparse un profumo che ricreò tutti gli astanti, e nel medesimo momento l’anima sua volò all’eternità. Vedete, F. M.? chi conosce la religione e si è fermamente dato al servizio di Dio, non considera le sofferenze come disgrazie, ma le desidera e riguarda come beni inestimabili. – Sì, F. M., anche quaggiù, chi ha la fortuna di darsi a Dio, è più felice che non il mondo con tutti i suoi piaceri. Ascoltate S. Paolo: « Sì, ci dice io sono più felice nelle mie catene, nelle prigioni, nel disprezzo e nei patimenti, che non i miei persecutori nella loro libertà, nell’abbondanza dei beni, nelle gozzoviglie. Il mio cuore è ripieno di gioia, e non può trattenerla, essa trabocca d’ogni parte. „ (II Cor. VII, 4), Sì, senza dubbio, F . M., S. Giovanni Battista è più felice nel suo deserto, privo d’ogni soccorso umano, che Erode sul suo trono, sepolto fra le ricchezze e nei godimenti delle sue infami passioni. S. Giovanni è nel deserto, conversa famigliarmente con Dio, come un amico coll’amico, mentre Erode è divorato da un segreto timore di perdere il suo regno, ciò che lo induce a far trucidare tanti poveri bambini (Matt. II, 16). Vedete ancora Davide : non è egli più felice quando fugge la collera di Saul, quantunque costretto a passare le notti nelle foreste ( I Reg. XXIII); tradito ed abbandonato dai suoi migliori amici, ma unito al suo Dio e abbandonato in Lui con intera confidenza, non è egli più felice di Saul in mezzo a’ suoi beni e nell’abbondanza delle ricchezze e dei piaceri? Davide benedice il Signore perché prolunga i suoi giorni e gli dà tempo di soffrire per suo amore, mentre Saul maledice la vita e diventa suo proprio carnefice (ibed. XXXI). Perché ciò, F. M.? Ah! perché l’uno si dà al servizio di Dio, e l’altro lo trascura. Che cosa dobbiamo concludere da tutto ciò, F. M.? Questo solo, che né i beni, né gli onori, né le vanità possono rendere l’uomo felice sulla terra; ma solo l’attendere al servizio di Dio, quando abbiamo la fortuna di conoscerlo e di compierlo fedelmente. Quella donna, non curata dal marito, non è dunque infelice perché egli la disprezza, ma perché non conosce la religione, o non pratica ciò che essa le impone. Insegnatele la religione, e vedrete che, da quando la praticherà, cesserà di lamentarsi e di credersi sfortunata. Oh! come l’uomo sarebbe felice, anche sulla terra, se conoscesse la religione, ed avesse la ventura di osservare quanto essa ci comanda, e considerasse quali beni essa ci promette nell’altra vita! Oh! qual potere ha presso Dio chi lo ama e lo serve con fedeltà. Davvero, F. M.! Una persona disprezzata dal mondo, e che sembra non meriti che d’essere schiacciata sotto i piedi, vedetela divenir padrona della volontà e della potenza di Dio. Vedete Mosè, che obbliga il Signore aperdonare atrecento mila uomini colpevoli (Es. XXXII, 31); vedete Giosuè che comanda al sole di arrestarsi, ed il sole s’arresta immobile (Gios. X, 12): ciò che non era mai accaduto e che forse mai più avverrà. Vedete gli apostoli: sol perché amavano Dio, i demoni fuggivano davanti a loro, gli zoppi camminavano, i ciechi riacquistavano la vista, i morti risuscitavano. Vedete S. Benedetto che comanda alle rupi d’arrestarsi nella loro caduta, ed esse restano sospese nell’aria; vedetelo moltiplicare i pani, far sgorgare l’acqua dalle rocce, e rendere le pietre ed il legno leggieri come una paglia (Ribad. al 21 marzo). Vedete S. Francesco da Paola che comanda ai pesci di venir ad ascoltare la parola di Dio, ed essi accorrono alla sua voce con tutta prestezza e applaudono alle sue parole (Questo miracolo è narrato nella vita di S. Antonio da Padova, ma per quanto sappiamo, non in quella di san Francesco da Paola). – Vedete S. Giovanni che comanda agli uccelli di tacere ed essi obbediscono (Questo miracolo è raccontato nella vita di S. Francesco d’Assisi). Vedetene altri che attraversano i mari senza mezzo alcuno (Per esempio S. Raimondo di Peñafort e S. Francesco da Paola, citato più sopra. — Per questi fatti vedi nel Bibadeneira le vite di questi santi). Ebbene! confrontateli ora con tutti gli empi ed i grandi del mondo pieni di brio, di scienza presuntuosa: di che sono capaci? di niente: e perché? Perché non sono fedeli al servizio di Dio. Oh! chi conosce la religione e osserva tutto ciò che essa comanda, quanto è potente e felice insieme! Ahimè! F. M., chi vive a seconda delle proprie passioni ed abbandona il servizio di Dio, quanto è sventurato! egli è capace di fare ben poca cosa! Mettete un esercito di centomila uomini vicino ad un morto, e che tutti impieghino la loro potenza per risuscitarlo: no, no, F. M., non risusciterà mai; ma che una persona sprezzata dal mondo ed amica di Dio comandi a questo morto di ritornare alla vita, e subito lo vedrete rialzarsi e camminare. Ne abbiamo altre prove ancora (Mettete tutti questi imperatori, come Nerone, Massimiano, Diocleziano… Vedete Elia: era solo a far discendere il fuoco dal cielo sul sacrificio, ed i sacerdoti di Baal erano cinquecento. – Nota del Beato).
1. Se per servire il buon Dio bisognasse esser ricchi od istruiti, molti non lo potrebbero fare. Ma no, F. M., la gran scienza e la gran ricchezza non sono affatto necessarie per servire Dio; al contrario, assai spesso sono a ciò di grande ostacolo. Sì, F . M.. siamo ricchi o poveri, dotti o ignoranti, in qualsiasi stato ci troviamo, possiamo piacere a Dio e salvarci: e S. Bonaventura appunto ci dice che lo possiamo: “in qualsiasi stato o condizione ci troviamo. „ – Ascoltatemi un momento, e vedrete che il servizio di Dio non può che consolarci e renderci felici in mezzo a tutte le miserie della vita. Per esso non dovete lasciar né i beni, né i parenti, né gli amici, tranne che vi siano causa di peccato; non occorre che passiate i vostri giorni in un deserto a piangervi le vostre colpe; fosse anche necessario, dovremmo esser felici di aver un rimedio ai nostri mali; ma no: un padre ed una madre di famiglia possono servire Dio vivendo coi loro figli, educandoli cristianamente; undomestico può facilmente servire Dio ed il suo padrone, nulla lo impedisce; anzi il suo lavoro, e l’obbedienza che deve ai suoi padroni divengono occasione di merito. No, F. M., il modo di vivere servendo Dio non muta niente in ciò che facciamo; al contrario servendo Dio facciamo meglio le nostre azioni; siamo più assidui ed attenti nell’adempire i doveri del nostro stato; siamo più dolci, più benevoli, più caritatevoli; più sobri nei pasti, più riservati nelle parole; meno sensibili alle perdite che subiamo ed alle ingiurie che riceviamo; cioè, F. M., quando ci diamo al servizio di Dio, compiamo assai meglio le azioni nostre, operiamo in maniera più nobile, più elevata, più degna d’un Cristiano. Invece di affaticarci per ambizione, per interesse, noi lavoriamo solo per piacere a Dio, che ce lo comanda, e per soddisfare la sua giustizia. Invece di far un servigio od un’elemosina al prossimo per orgoglio, per essere considerati, noi la facciamo solo per piacere a Dio, e redimere i nostri peccati. Sì, F. M., ancora una volta, un Cristiano che conosce la religione e la pratica, santifica tutte le sue azioni, senza nulla mutare di quanto fa; e senza nulla aggiungervi, tutto diviene per lui causa di merito pel cielo. Ebbene, F. M.! ditemi, se aveste ben pensato che fosse così dolce e consolante servire il buon Dio, avreste potuto vivere come avete fatto sinora? Ah! F. M., qual rimorso al punto di morte, quando vedremo che se ci fossimo dati al servizio di Dio, avremmo guadagnato il cielo, compiendo solo quanto abbiamo fatto! Mio Dio! quale sventura per chi si troverà nel numero di questi ciechi! Ora, vi domanderò, è l’esteriorità della religione ohe vi sembra ripugnante e troppo difficile? Forse la preghiera, le funzioni sacre, i giorni di astinenza, il digiuno, la frequenza ai Sacramenti, la carità verso il prossimo? Ebbene! vedrete che in ciò non v’è nulla di penoso come avete creduto.
1° Anzitutto è forse penosa la preghiera? o non è invece essa il momento più felice della nostra vita? Non è per la preghiera che conversiamo con Dio, come un amico coll’amico? Non è in questo momento che incominciamo a fare ciò che faremo cogli Angeli in cielo? Non è per noi una fortuna troppo grande che, miserabili come siamo, Dio, così eccelso, ci soffra alla sua santa presenza, e ci metta a parte, con tanta bontà, d’ogni sorta di consolazioni? Del resto, non è Lui che ci ha dato quanto abbiamo? Non è giusto che l’adoriamo e l’amiamo con tutto il nostro cuore? Non è dunque il momento più felice della nostra vita quello dell’orazione, giacché vi troviamo tante dolcezze? E forse cosa penosa offrirgli tutte le mattine, le nostre preghiere e le nostro azioni, affinché le benedica, e ce ne ricompensi nell’eternità? È forse troppo il consacrargli un giorno ogni settimana? Non dobbiamo al contrario veder arrivare questo giorno con grande piacere; poiché in esso impariamo i doveri che dobbiamo adempiere verso Dio e verso il prossimo, e ci si fa concepire così gran desiderio dei beni dell’altra vita, che ci induce a disprezzare ciò che è veramente spregevole? Non è nelle istruzioni, che impariamo a conoscere la gravità delle pene che il peccato merita? Non ci sentiamo noi spinti a non più commetterlo, per evitare i tormenti che gli sono riservati? Mio Dio! quanto poco l’uomo conosce la sua felicità!
2° Inoltre: forse vi ripugna la confessione? Ma, amico mio, si può avere più bella sorte che vedere in meno di tre minuti cambiata una eternità sventurata in una eternità di piaceri, di gioie, di felicità? Non è la confessione che ci rende l’amicizia del nostro Dio? Non è la confessione che ci libera da quei rimorsi della coscienza, che ci straziano senza posa? Non è essa che ridona la pace all’anima nostra, e le dà novella speranza di raggiungere il cielo? Non è in questo momento che Gesù Cristo sembra spiegare le ricchezze della sua misericordia sino all’infinito? Ah! F. M., senza questo Sacramento , quanti dannati di più e quanti santi di meno!… Oh! i santi del cielo quanto sono riconoscenti a Gesù Cristo d’aver istituito questo Sacramento!
3° In terzo luogo, F. M., forse i digiuni i prescritti dalla Chiesa vi fanno trovare pesante il servizio di Dio? Ma la Chiesa non ve ne comanda più di quanti ne possiate fare. Del resto, F. M., se li consideriamo cogli occhi della fede, non è per noi gran ventura potere con piccole privazioni evitare le pene del purgatorio, che sono tanto rigorose? Eppure, F.M., quanti si condannano a digiuni ben più rigidi per conservare la sanità ed appagare il loro amore pei divertimenti o accontentare la loro golosità! Non si vedono giovani donne abbandonare i figli in mano ad estranei, ed anche la casa? Non se ne vedono altre passare le intere notti all’osteria in mezzo ad ubbriachi, ad avvinazzati, dove non ascoltano altro che sconcezze ed oscenità? Non si vedono vedove le quali sciupano i pochi giorni che loro rimangono e che dovrebbero invece consacrare a piangere le pazzie di loro gioventù… non se ne trovano talune che si abbandonano da ogni sorta di vizi, come persone che hanno d’improvviso perduto il senno? costoro sono di scandalo ad una intera parrocchia. Ah! F. M., se per Iddio si facesse quanto si fa per il mondo, quanti Cristiani andrebbero in cielo!… Ahimè! F. M., se doveste stare tre o quattro ore in chiesa a pregare, come le passate al ballo od all’osteria, quanto vi sembrerebbero lunghe!… Se doveste fare parecchie miglia per ascoltare una predica, come si fanno per divertirsi o per conseguire qualche guadagno, ah! F. M, quanti pretesti, quante scuse si cercherebbero per non andarvi! Ma, per il mondo, niente è pesante; e di più non si teme di perdere Dio, l’anima, il cielo. Ah! F. M., Gesù Cristo aveva dunque ben ragione quando diceva che i figli del secolo si danno maggior premura di servire il loro padrone, il mondo, che non i figli della luce per servire il loro padrone, il Signore (Luc. XVI, 8). Ahimè! F. M., diciamolo a nostra vergogna, non fanno paura le spese e neppure i debiti quando si tratta dei propri piaceri: ma per un povero che cerca qualche cosa non si ha nulla; ecco come va la cosa: si ha tutto per il mondo e nulla per Iddio, perché si ama il mondo, e Dio non è da noi affatto amato. – Ma qual è la causa, F. M., per cui abbandoniamo il servizio di Dio? Eccola. Noi vorremmo poter servire Dio ed il mondo insieme: cioè poter unire l’ambizione e l’orgoglio coll’umiltà, l’avarizia collo spirito di distacco che il Vangelo ci comanda; bisognerebbe poter confondere insieme la corruzione colla santità della vita o, a dir meglio, il cielo coll’inferno. Se la religione comandasse, od almeno permettesse l’odio e la vendetta, la fornicazione e l’adulterio, saremmo tutti buoni Cristiani; tutti sarebbero figli fedeli della loro religione. Ma per servire Iddio è impossibile potersi comportare così; bisogna assolutamente essere tutti di Dio, o non appartenergli punto. – Sebbene abbia detto, F. M., che tutto è consolante nella nostra santa religione, e questo, è verissimo, debbo anche aggiungere che dobbiamo fare del bene a chi ci fa del male, amare chi ci odia, conservare la riputazione dei nostri nemici, difenderli quando vediamo che altri ne parla male; ed invece di desiderar loro il male, dobbiam pregare Dio che li benedica. Lontani dal mormorare quando Dio ci manda qualche afflizione, qualche dolore, dobbiamo ringraziarlo, come il santo re Davide, che baciava la mano che lo castigava (II Reg. XVI, 12) La nostra religione vuole che passiamo santamente il giorno di festa, lavorando a procurarci l’amicizia di Dio, se per disgrazia non la possediamo; vuole che consideriamo il peccato come il nostro più crudele nemico. Ebbene! F. M., questo ci sembra la cosa più dura e faticosa. Ma, ditemi, non è un procurare con ciò la nostra felicità sulla terra e per l’eternità? Ah! F. M., se conoscessimo la nostra santa Religione, ed il gusto che si prova praticandola, quanto ci sembrerebbe cosa da poco! quanti santi hanno fatto più di quello che Dio da loro richiedeva per dare ad essi il cielo! Essi ci hanno detto che una volta gustate le dolcezze e le consolazioni che si provano nel servizio di Dio, è impossibile lasciarle per servire il mondo coi suoi piaceri. Il santo re Davide ci dice che un giorno solo passato nel servizio di Dio, vale assai più di mille che i mondani passano nei piaceri e nelle cose profane (Ps. LXXXIII, 10)
II. — Ditemi, chi di noi vorrebbe servire il mondo, se avessimo la felicità, la grande felicità di comprendere tutte le miserie che vi si incontrano, cercando i suoi piaceri, ed i tormenti che si preparano per l’eternità? Mio Dio! Quale cecità è la nostra di perdere tanti beni, anche in questo mondo, e molto più nell’eternità! E ciò per piaceri che sono soltanto apparenti, per gioie miste a tanti dolori e a tante tristezze! Infatti, chi vorrebbe servir Dio, se fosse necessario soffrire tanto e sopportare tante molestie, mortificazioni, strazi del cuore, quanti se ne sopportano pel mondo? Vedete uno che si è prefisso di accumulare ricchezze: né venti, né pioggia lo trattengono; soffre ora la fame, ora la sete, ora le intemperie; giunge talora fino ad arrischiare la vita e perdere la riputazione. Quanti vanno di notte a rubare, esponendosi al pericolo di essere uccisi e di perdere la stima, essi e la loro famiglia. E senza andar tant’oltre, F. M., vi costerebbe di più in tempo delle funzioni essere in chiesa ad ascoltar con rispetto la parola di Dio, o starvene fuori a chiacchierare di interessi temporali o di cose da nulla? Non sareste più lieti di assistere ai Vespri, quando si cantano, che restare in casaad annoiarvi, mentre si cantano le lodi di Dio? – Ma, direte, bisogna farsi delle violenze quando si vuol servire a Dio. — Ebbene, vi dirò che molto meno si soffre servendo Dio colla sua croce che seguendo il mondo con i suoi piaceri, le sue passioni; e ve lo mostro. Forse penserete che è difficile perdonare una ingiuria ricevuta; ma, ditemi, chi soffre più dei due, chi perdona prontamente e di buon cuore per amor di Dio, o chi nutre sentimenti di odio per due o tre anni contro il suo prossimo? Non è questo per lui un verme che lo rode e divora continuamente, che spesso gli impedisce di mangiare e di dormire; mentre l’altro, perdonando, ha subito trovato la pace dell’anima? Non è cosa più eccellente domar le proprie passioni, che volerle accontentare? Si riesce forse a soddisfarle del tutto? No, F. M.: usciti da un delitto, vi spingono ad un altro, senza mai darvi tregua; siete uno schiavo, che esse trascinano dovunque vogliono. Ma, a meglio convincervene, accostiamoci ad uno di quegli uomini, che fanno consistere tutta la loro felicità nei piaceri del senso, e si gettano a corpo perduto nelle lordare delle più infami e vergognose passioni. Sì, F. M., se prima ch’egli s’abbandonasse al libertinaggio, alcuno gli avesse descritta la vita che oggi deve condurre, avrebbe egli potuto risolvervisi senza inorridire? Se gli aveste detto: Amico mio, hai due partiti da prendere: o reprimere le tue passioni, ovvero abbandonarviti. L’uno e l’altro hanno piaceri e pene: scegli quale vuoi. Se vuoi abbracciare il partito di praticare la virtù, baderai bene di non frequentare i libertini, e sceglierai i tuoi amici tra chi pensa ed agisce come te. Saranno tua lettura i libri santi, che ti animeranno alla pratica della virtù, e ti faranno amare Dio; concepirai ogni giorno nuovo amore per Lui; occuperai santamente il tuo tempo, e tutti i tuoi piaceri saranno piaceri innocenti, che daranno sollievo al corpo, mentre renderanno gagliardo lo spirito; adempirai i doveri religiosi senza affettazione e con fedeltà; sceglierai per condurti nella via della salvezza un saggio ed illuminato confessore, che cercherà soltanto il bene dell’anima tua, e seguirai con esattezza quanto ti comanderà. Ecco, amico mio, tutte le difficoltà che proverai nel servizio di Dio. La tua ricompensa sarà d’aver sempre l’anima in pace, ed il cuore sempre contento; sarai amato e stimato da tutti i buoni; ti preparerai una vecchiaia felice, immune in gran parte dalle infinite malattie, a cui d’ordinario vanno soggetti quelli che conducono una giovinezza sregolata; i tuoi ultimi momenti saranno dolci e tranquilli; da qualsiasi lato considererai allora la tua vita, nulla potrà affliggerti; anzi, tutto contribuirà a consolarti. Le croci, le lagrime, le penitenze saranno ambasciatori inviati dal cielo per assicurarti che la tua felicità sarà eterna, e che non hai più nulla a temere. Se in quei momenti volgerai lo sguardo all’avvenire, vedrai il cielo aperto per riceverti; infine, partirai da questo mondo come una santa e casta colomba che va a nascondersi e seppellirsi nei seno del suo diletto; non abbandonerai nulla, e acquisterai tutto. Non avrai desiderato che Dio solo, e sarai con Lui per tutta l’eternità. Ma, invece, se vuoi lasciar Dio e il suo servizio per seguire il mondo ed i suoi piaceri, la tua vita passerà nel desiderare sempre e nel cercare sempre senza mai essere né contento, né felice; potrai usare tutti i mezzi che sono a tua disposizione, ma non vi riuscirai. Comincerai a cancellare dal tuo spirito i principi di Religione che hai imparato fin dall’infanzia e seguito sino a quest’ora; non aprirai più quei libri di pietà che nutrivano l’anima tua, e la proteggevano contro la corruzione del mondo; non sarai più padrone delle tue passioni, esse ti trascineranno dovunque vorranno; ti farai una religione a tuo modo; leggerai libri cattivi, ispiranti disprezzo contro la fede e sollecitanti al libertinaggio, e percorrerai la via da essi tracciata; non ricorderai più i giorni passati nella pratica della virtù e della penitenza, quando era per te gioia grande accostarti ai Sacramenti, dove Iddio ti colmava di tante grazie, o, se li rammenterai, sarà solo per rammaricarti di non aver dato tutto quel tempo ai piaceri del mondo; arriverai fino a non credere più nulla, ed a negare ogni cosa; insomma, diventerai un povero empio; in questa convinzione cederai la briglia a tutte le passioni, esclamando che colla vita tutto finisce, che bisogna correre in cerca di tutti i piaceri che si possono godere. Accecato dalle passioni, precipiterai di peccato in peccato, senza neppure accorgertene; ti abbandonerai a tutti gli eccessi di una gioventù bollente e corrotta, e non temerai di sacrificare la quiete, la sanità, l’onore ed anche la vita: non dico l’anima, giacché non crederai di averla. Sarai sulla bocca di tutti, tutti ti guarderanno come un mostro, sarai fuggito e temuto: non importa; ti riderai di tutto, continuerai sempre nel tenore di vita usato, seguendo ormai soltanto la via delle passioni che ti trascineranno ove loro meglio piacerà. Talora ti si troverà presso una giovane intento ad adoperare tutti gli artifici e gli inganni che il demonio saprà ispirarti per ingannarla, sedurla e perderla; tal altra sarai veduto, di notte, alla porta d’una vedova, a farle tutte le promesse possibili per indurla ad acconsentire ai tuoi infami desideri. Forse, senza alcun rispetto ai sacri diritti del matrimonio, calpesterai tutte le leggi della religione, della giustizia e della stessa natura, e diventerai un adultero infame. Giungerai anche a fare delle membra di Gesù Cristo le membra d’un’infame prostituta. E andrai più innanzi, poiché le pene dello spirito e del cuore non saranno le sole che dovrai divorare vivendo nel libertinaggio: ma le infermità del corpo, il sangue indebolito, la vecchiaia snervata saranno la tua porzione. Durante la vita hai abbandonato Dio; la morte, al suo avvicinarsi, farà forse risuscitare quella fede che avevi spenta colla tua vita malvagia… Se riconoscerai di aver abbandonato Dio; Egli ti farà toccar con mano che ti ha abbandonato, respinto per sempre e maledetto per tutta l’eternità; allora i rimorsi della coscienza che cercavi di far tacere, si faranno sentire e ti divoreranno, nonostante ogni tuo sforzo per soffocarli; tutto ti turberà e ti getterà nella disperazione. Se vorrai riandare col pensiero la tua vita, conterai i giorni seguendo il numero de’ tuoi delitti, che saranno come tanti tiranni i quali ti strazieranno senza posa; la vita non ti presenterà altro che grazie disprezzate, un tempo ben prezioso che hai sciupato; avevi bisogno di tutto, e non hai approfittato di nulla. Che se considererai l’avvenire, i tormenti dai quali l’anima tua sarà straziata, ti faranno credere che le fiamme divoranti i reprobi infelici già ti circondino, mentre il mondo, che tanto avevi amato, al quale temevi tanto di dispiacere, a cui avevi sacrificato Dio e l’anima, ti avrà abbandonato, respinto per sempre. Hai voluto seguire i suoi piaceri: allora, mentre avrai bisogno di maggior aiuto, sarai abbandonato da tutti; tuo solo rifugio sarà la disperazione; e, ciò che è peggio, tu morrai, e, piombando nell’inferno, dirai che il mondo ti ha sedotto, ma che, troppo tardi, riconoscesti la tua sventura. Ebbene, F. M.! che ne pensate voi? Eppure, sono queste le pene e le gioie, e di quelli che vivono virtuosamente, e di quelli che vivono per il mondo. Ah! F. M., quale sventura è quella di chi non vuole che il mondo, e trascura la salvezza del l’anima sua!… Come passa invece felice la vita colui che ha la grande ventura di cercare soltanto Dio e la salvezza dell’anima sua! Quante amarezze di meno! quante consolazioni di più nel servizio di Dio! quanti rimorsi di coscienza risparmiati al punto di morte! Quanti tormenti evitati per l’eternità!… Ah! F. M., quanto la nostra vita sarebbe felice, malgrado tutto ciò che possiamo soffrire da parte del mondo e del demonio, se avessimo la bella sorte di darci al servizio di Dio, disprezzando il mondo e chi lo segue! Ah! F. M., qual cambiamento grande opera il servizio di Dio in chi è così avventurato da cercare sulla terra Dio solo! Se dovete vivere con un orgoglioso, che non vuol tollerare nulla, pregate Dio che lo faccia attendere con costanza al suo servizio: vedrete subito tutto cambiarsi in lui; amerà il disprezzo, ed egli medesimo si terrà a vile. Un marito od una moglie sono sfortunati nel loro matrimonio? procurate che abbraccino il servizio di Dio, e vedrete allora che non si considereranno più come infelici, ma la pace e l’unione regnerà fra loro. Un domestico è trattato duramente dai padroni? Consigliatelo di darsi al servizio di Dio, e d’allora non lo udrete più lamentarsi, anzi benedirà la bontà di Dio che gli dà occasione di far il suo purgatorio in questo mondo. Dirò ancor più, F. M.: una persona che conosce la religione e la pratica, non pensa più a se stessa, ma solo a rendere felice il suo prossimo. Per meglio farvelo comprendere, eccovi un bell’esempio. – Leggiamo nella storia che nella città di Tolosa viveva un santo sacerdote, lo zelo e la carità del quale lo facevano considerare in tutta la città come il padre dei poveri. Quantunque povero egli stesso, pure non mancava mai di mezzi per soccorrere gli altri. Un giorno una donna devota venne ad annunciargli che le era stato messo in prigione il marito, e che le restavano a carico quattro figliuoli; se alcuno non aveva pietà di lei e dei bambini, avrebbe dovuto morire di fame. Il santo sacerdote fu commosso fino alle lagrime; ora appena tornato dalla sua questua giornaliera a favore dei suoi poveri, ma uscì di nuovo per domandare soccorso ad un ricco negoziante, suo amico. Mentre il sacerdote entrava, il mercante aveva appena ricevuto una lettera annunciantegli una perdita considerevole. Il sacerdote, nulla sapendo, gli fa il racconto delle miserie di quella sventurata famiglia. E il mercante burberamente: “Siete ancor qui; è troppo. „ — “Ah! signore! Se sapeste! gli risponde il sacerdote. „ — “No, non voglio saper nulla, andatevene subito. „ — ” Ma, signore, gli dice il sacerdote, che sarà di quella povera famiglia! ah! ve ne scongiuro, abbiate pietà delle sue sventure! „ L’altro, preoccupatissimo della propria disgrazia, gli si rivolge contro e gli dà uno schiaffo sonoro. Il sacerdote, senza mostrare la minima emozione, presenta l’altra guancia, dicendogli: “Signore, percuotete quanto vi pare, purché mi diate di che soccorrere quella povera famiglia.„ Il mercante, meravigliato di ciò, gli dice: “Ebbene, venite con me; „ e prendendolo per mano, lo conduce nel suo studio, gli apre la cassa forte, e: “Prendete quanto vi abbisogna. „ — “No, signore, gli dice umilmente il sacerdote, datemi quanto volete. „ Il mercante caccia ambo le mani dentro al suo scrigno e gli dà abbondantemente, dicendogli: “Venite ogni qual volta vorrete. „ Ah! F. M., la religione è pur cosa preziosa per chi la conosce. Infatti, quanto vi è di bene nel mondo, fu essa che lo ha prodotto. Gli ospedali, i seminari, le case di educazione, tutto fu istituito da chi si era dato al servizio di Dio. Ah! se i padri e le madri conoscessero quanto sarebbero felici essi stessi, e quanto contribuirebbero a glorificare Dio educando santamente i loro figli! Ah! se fossero ben convinti che essi tengono il luogo di Dio sulla terra, come lavorerebbero a rendere vantaggiosi per sé e pe’ loro cari i meriti della Passione e della Morte di Gesù Cristo!…,, – Concludo, F. M., col dire che seguendo il mondo e volendo accontentare le nostre inclinazioni perverse, non saremo mai felici, né potremo trovare quel che cerchiamo; mentre dandoci al servizio di Dio, tutte le nostre miserie verranno addolcite, o meglio, si muteranno in gioia e consolazione, al pensiero che fatichiamo pel cielo. Quale differenza tra chi muore dopo aver vissuto male, e chi muore dopo aver condotto vita buona; questi ha il cielo per eredità; le sue lotte sono finite; la sua felicità, che già intravvede, incomincia per non più finire! Sì, F. M., diamoci a Dio davvero e proveremo questi grandi benefizi che Dio mai rifiuterà a chi l’avrà amato! Eccovi la felicità che vi auguro.
[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]
LIBRO SECONDO
1 MISTERI
1. — La nozione del mistero.
D. Che cosa è questa idea di mistero, che sembra ostruire le vie della religione e farle rischiare l’assurdo?
R. Il mistero è così poco l’assurdo che è quasi esattamente il contrario. L’assurdo ê l’evidenza del falso; il mistero nasconde il vero sotto la grandezza stessa del vero. Di modo che, nel primo caso, l’obbligo di cedere s’impone all’assurdo, nel secondo all’intelligenza. « La fede dice bensì quello che i sensi non dicono, spiega Pascal; ma non il contrario di quello che essi vedono. Essa è sopra, non contro. »
D. Donde trai codesto obbligo di abdicare che attribuisci all’intelligenza?
R. Limito per ora la portata di questa parola; ma nella misura che la mantengo, dico: Noi abdichiamo in favore dell’autorità divina. « lo credo arditamente dove non vedo niente, dice Bossuet, perché credo Colui che vede tutto ». Tu certo non mi domandi di ricominciare a fondare — per quanto brevemente e incompletamente io l’abbia fatto — questa stessa autorità.
D. Io mi attengo alla questione presente, ma temo che la religione abusi qui di una certa propensione dell’anima umana.
R. L’abuso sarebbe di proporre dei misteri senza garanzia offrendo la garanzia col mistero, la religione utilizza solamente 1a tendenza naturale dell’anima verso l’infinito.
D. Mi stupisco che in un sistema di lumi, tu trovi un posto naturale per l’oscurità.
R. Il mistero non è affatto oscuro in se stesso; se la nostra vista si potesse estendere fino ad esso, non lo chiameremmo più mistero, ma evidenza. Le stelle invisibili non sono forse, nel loro posto, dei globi abbaglianti? Non il mistero ê oscuro, ma noi; è la nostra condizione attuale che ci intercetta la comunicazione diretta con esso.
D. Le dottrine religiose che scartano il mistero son tuttavia più facili a credere.
B. In simile materia ciò che è facile a credere non merita di essere creduto.
D. I1 mistero sarebbe dunque a’ tuoi occhi una necessità?
R. « L’ultimo passo della ragione ê di riconoscere che c’è un’infinita di cose che la sorpassano; essa è fiacca se non arriva a conoscere questo? » (PASCAL).
D. Ma quello che ci sorpassa oggi ci può essere noto domani.
R. « I principii delle cose son nascosti in un segreto impenetrabile » (PASCAL).
D. Pascal dice: I principii; ma le cose?
R. Le cose dipendono dai loro principii e non sono conosciute di una conoscenza decisiva se non per mezzo di essi, di modo che tutte le scienze poggiano, come la religione, sopra l’incomprensibile. “Percorri la cerchia delle scienze, dice Giuseppe de Maistre, e vedrai che cominciano tutte da un mistero”. Del resto il mistero vi persiste e vi si ritrova a ogni nuovo passo, perché ogni passo della scienza dipende da’ suoi principii.
D. Il mistero maturale e il mistero religioso sono dello stesso ordine e dello stesso grado?
R. Non sono dello stesso ordine; ma praticamente non vi sono gradi nella piena notte. Teoricamente, guardando le cose in sé, il mistero religioso è più profondo, per la ragione che esso si avanza di più in Dio. Così Pascal aggiungeva alla prima frase ora citata: « Che se le cose naturali ci sorpassano, che si deve dire delle soprannaturali? »
D. Eppure ho letto questo, che mi ha recato meraviglia: « I misteri della Chiesa, paragonati ai misteri della natura, non sono che giochi da bambini. »
R. Chi parla così è Le Dantec, un ateo convinto, e il raffronto m’interessa; ma anche questo ê un errore per rovesciamento, per invertimento di valori. La Trinità è più nascosta che le leggi di costituzione della materia; l’ordine supremo è più oscuro che la gravitazione dei corpi. In questo senso, è vero il dire con Giulio Soury: « La scuola primaria dello spirito è la scienza. » Per conseguenza il mistero ci avvolge da ogni parte, ed è assai strano il vedere che una ragione cosi radicalmente impotente riguardo alle più semplici cose elimini con alterezza i dati religiosi che essa non capisce. Noi respiriamo nell’ineomprensibile; siamo noi stessi qualcosa d’incomprensibile, e l’incomprensibile è anche il nostro pane. Io ti propongo questa doppia definizione sommaria: Dio è un mistero che si nasconde, l’universo un mistero che non si nasconde.
D. Ammetteresti dunque la dottrina dell’Inconoscibile?
R. Niente affatto. Ciò che si chiama l’Inconoscibile, con una maiuscola, ê una specie di mistero infinito, in tutti modi inaccessibile, un “oceano per il quale noi non abbiamo né barca né vela (Litteé) e in seno al quale tutto il reale non è che un’isola sperduta”. Il mistero cristiano è finito, circoscritto è incluso in un sistema di spiegazioni di tal natura da soddisfare la nostra intelligenza. Non è un grande abisso nero, ma un seminato di macchie oscure circondate da luce, e dietro alle quali si annunzia una luce più viva che in nessun’altra parte.
D. Definiresti dunque il mistero…
R. Un viottolo d’ombra che si apre sopra chiarezza.
D. Quali conseguenze di contegno ne trarresti?
R. Dove che l’Inconoseibile ê una zona interdetta per definizione, il mistero è un invito a tentare le ricerche, come si cammina verso un fuoco lontano. I genii cristiani mai non si manifestarono meglio che su questa via; vi si sono arricchiti in tutto il percorso, e se non hanno rischiarato niente di ciò che deve restare oscuro, l’hanno però ricamato di chiarezze preziose, l’hanno mostrato in rapporto con tante cose, che alla fine queste tenebre si mostrano le sole plausibili spiegazioni.
D. Ecco un bel paradosso.
R. Non è affatto un paradosso. Un punto d’ombra è rischiarante quanto un punto luminoso, quanto si tratta di stabilire delle convergenze e di costruire uno schema completo della nostra vita e del nostro universo. In se stesso, il mistero è misterioso: è la sua natura; messo in concordanza con tutto il resto, é una fonte di chiarezza: è il suo compito. “Salve, grande notte della fede, scrive Paolo Claudel. Ecco la notte, meglio del giorno, che ci documenta sulla via.
D. Il mistero dunque non é una vessasione delle religione, una “prova” inflitta allo spirito?
R. É così poco una vessazione che or ora l’ho chiamata una provocazione a pensare, per la speranza di sempre nuove conquiste. Una prova la è in un certo senso, perché si amerebbe di vedere tutto; ma è assai più una liberazione, perché senza di esso, non ê più solamente l’oscurità che ei spia, ma la stravaganza.
D. Spieghi enigmi con altri enigmi?
R. Esattamente come per Dio, il caso del quale fa qui ritorno. Non bisogna forse che le chiavi abbiano la complessità delle serrature? Altrimenti non aprirebbero.
D. Ma allora in che consiste la spiegazione?
R. In ciò che il mistero, per quanto inesplicato sia in se stesso, apre la via ai nostri sguardi, e un giorno si aprirà esso stesso. Senza, di esso, i fatti della nostra esperienza sono incomprensibili; esso ce li fa comprendere attirando a sé le loro oscurità, che allora sono al loro posto e prendono un carattere provvisorio. Esso rischiara localizzando la notte.
D. Per conseguenza il mistero oltrepassa la ragione, e una ragione oltrepassata non potrebbe essere una ragione soddisfatta.
R. Una ragione oltrepassata è meravigliosamente soddisfatta, quando in ciò che la oltrepassa le si fa vedere il mezzo di rassicurarsi e di comprendere, là dove essa stessa non si soddisfaceva. Il sistema cristiano risolve i suoi propri misteri, in grazia di una convergenza, e risolve il mistero del reale, riunendo tutte le linee della mostra esperienza e del nostro pensiero.
D. È certamente per questo che esso provoca la tua ammirazione.
R. Certo. 1 nostri misteri hanno un bell’essere oscuri, ma sono costrutti dentro, sono rilegati di fuori, sono architettonici e danno un’impressione d’armonia, sono come una cattedrale nell’ombra.
D. A questo titolo essi devono prestarsi a saggi di spiegazione relativa?
R. Si spiega sempre appunto quello che non si comprende (BARBEY DAUREVILLY)-
D. Ma in questo caso le spiegazioni devono essere sovente erronee.
R. Sovente. Lo spirito umano si vendica delle sue ignoranze e dei suoi errori (Id.).
D. Non sarebbe anche fatale?
R. No. La notte dei misteri ha questa strana proprietà di far produrre alla mente retta che li scruta il suo massimo di luce; essi sono la pietra di paragone del genio come quella della fede.
D. Dove si trova a loro proposito la più alta teologia?
R. In S. Paolo. Ma bisogna intenderlo. $. Paolo ê il teologo del Vangelo; $. Tommaso d’Aquino è il teologo di S. Paolo
LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI
PARTE TERZA
GESÙ CRISTO
OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO
Capo VI.
La grazia capitale propria del Figliuolo di Dio Incarnato, nella sua natura umana.
1449. Oltre la grazia di cui si è parlato secondo la sua duplice specie di grazia abituale o santificante con tutto quello che l’accompagna e di grazie gratis date, derivanti nella natura umana unita alla Persona del Figliuolo di Dio in mezzo a noi – grazia che conveniva al Figliuolo di Dio Incarnato in quanto Egli era personalmente tale uomo determinato, distinto da tutti gli altri uomini — non resta ancora da parlare, a proposito del Figliuolo di Die Incarnato, di quella che è stata chiamata la grazia capitale, che gli è propria in quanto Egli è il capo del suo Corpo mistico cioè della Chiesa?
Sì; noi dobbiamo ancora parlare della grazia capitale a proposito del Figliuolo di Dio Incarnato; grazia che a Lui conviene come Capo del suo Corpo mistico, cioè della Chiesa (VIII).
1450. Che cosa intendete significare dicendo che il Figliuolo di Dio Incarnato è il Capo del suo Corpo mistico, cioè della Chiesa?
Intendo significare che il Figliuolo di Dio, vivendo nella natura umana unita alla propria Persona, occupa il primo posto nell’ordine della prossimità di Dio; possiede la perfezione assoluta e la pienezza di tutto quanto ha attinenza con l’ordine della grazia; ed ha la virtù di comunicare tutto quanto appartiene a tale ordine, a tutti coloro che a qualunque titolo partecipano dei beni di questo stesso ordine (VIII, 1).
1451. Soltanto riguardo all’anima, o anche riguardo al corpo, il Figliuolo di Dio Incarnato è chiamato il Capo degli uomini facenti parte della sua Chiesa?
Anche riguardo al corpo i1 Figliuolo di Dio Incarnato è chiamato il Capo degli uomini facenti parte della sua Chiesa. E ciò vuol dire che la umanita del Figliuolo di Dio Incarnato, non soltanto nell’anima ma anche nel corpo, ê lo strumento della divinità per dare i beni di ordine soprannaturale, principalmente nell’anima degli uomini, ma anche nel corpo, è lo strumento della divinità per diffondere i beni di ordine soprannaturale, principalmente nell’anima degli uomini, ma anche nel loro corpo: quaggiù affinché il corpo aiuti l’anima nella pratica delle opere della giustizia; e più tardi, nella a gloriosa resurrezione, affinché il corpo dalla sovrabbondanza dell’anima glorificata riceva la sua parte di immortalità e di gloria (VIII, 2).
1452. Il Figliuolo di Dio deve essere chiamato Capo di tutti gli uomini, nel senso ora definito?
Sì; prendendo gli uomini nella universalità del corso della loro storia. Ma coloro che dopo essere vissuti su questa terra sono morti nella impenitenza finale, non Gli appartengono più e sono da Lui separati per sempre. Coloro invece che dopo essere vissuti su questa terra della vita di grazia, sono ora nella gloria, Gli appartengono eccellentemente ed Egli è il loro Capo ad un titolo affatto speciale. Egli è inoltre il Capo di tatti coloro che Gli sono uniti per mezzo della grazia e si trovano nel Purgatorio o su questa terra; di tutti coloro che Gli sono uniti attualmente anche per mezzo della sola fede senza la carità; di tutti color che non Gli sono ancora uniti neppure pel mezzo della fede, ma che dovranno esserlo un giorno secondo i decreti della predestinazione divina; finalmente anche di tutti coloro che vivendo ancora su questa terra, Sono nella possibilità di essergli uniti, quantunque non debbano essergli mai uniti di fatto (VII, 8).
1453. Si può dire che il Figliulo di Dio Incarnato sia anche il Capo degli Angeli?
Sì; il Figliuolo di Dio Incarnato è anche il Capo degli Angeli. Perché appunto in rapporto a tutta la moltitudine di coloro che sono ordinati allo stesso fine della fruizione della gloria, il Figliuolo di Dio occupa il primo posto e possiede in tutta la loro pienezza i beni di questo ordine soprannaturale, e comunica a tutti la sovrabbondanza di cui trabocca (VIII, 4).
1454. La grazia capitale che conviene al Figliuolo di Dio Incarnato in quantoché vivendo nella natura umana unita alla Sua Persona Egli ê Capo della Chiesa nella universalità che abbiamo detto, è la stessa grazia di quella che a Lui conviene e che è in Lui in quanto è personalmente tale uomo determinato, distinto da tutti gli altri uomini e con più forte ragione dagli Angeli?
Sì; è la stessa grazia nella sua sostanza od essenza; ma si chiama con questi due nomi, grazia capitale e grazia personale, in ordine alla duplice missione che essa rappresenta e secondo la quale si considera: in quanto cioè adorna la natura umana propria del Figliuolo di Dio Incarnato, ed in quanto si comunica a tutti quelli che dipendono da Lui (VI, 5).
1455. Il fatto di essere Capo della Chiesa, è assolutamente proprio del Figliuolo di Die Incarnato?
Sì; in ciò che riguarda 1a comunicazione dei beni interiori dell’ordine della grazia, perché la sola umanità del Figliuolo di Dio Incarnato ha la virtù di giustificare l’uomo interiormente, in forza della sua unione con la divinità nella Persona del Verbo. Ma se si tratta del governo esteriore della Chiesa, altri uomini possono essere chiamati e sono di fatto chiamati, in diversi gradi ed a titoli differenti, capi sia di una data porzione della Chiesa, come i Vescovi nelle loro Diocesi, sia della Chiesa in generale per coloro che sono ancora nello stato di viatori sulla terra come il Sovrano Pontefice per la durata del suo Pontificato. Con questo però che tali capi non fanno che tenere il luogo del solo vero Capo da cui tutto dipende, cioè di Gesù Cristo stesso, di cui non sono, a titoli ed a gradi diversi, che i vicari, non agendo mai che nel nome di Lui (VIII, 6)
1456. Dunque nell’azione salutare che ha attinenza col bene soprannaturale di tutti quelli che, a qualunque titolo partecipano di questo bene, tutto si riferisce e tutto in ultima analisi ritorna a Gesù Cristo solo, ossia al Figliuolo di Dio Incarnato?
Precisamente; nell’azione salutare che ha attinenza col bene soprannaturale di tutti quelli che a qualunque titolo partecipano di questo bene, tutto si riferisce ed in ultima analisi tutto ritorna a Gesù Cristo solo, ossia al Figliuolo di Dio Incarnato.
1457. Vi è anche, nel senso opposto e per quanto rignarda l’azione nefasta che allontana gli uomini da Dio e li conduce alla rovina, un capo che nell’ordine del male ê ciò che Gesù Cristo, ossia il Figliuolo di Dio Incarnato, è nell’ordine del bene?
Sì; questo capo dei malvagi non è altri che satana, il capo dei demoni ribelli (VIII, 7).
1458. In quale maniera ed in che senso il capo dei demoni ribelli, satana, è nell’ordine del male capo dei malvagi, come Gesù Cristo è il Capo di tutti coloro che fanno parte della sua Chiesa?
Non lo è nel senso che egli possa comunicare interiormente il male come Gesù Cristo comunica il bene; ma lo è nel senso che nell’ordine del governo esteriore tende ad allontanare gli uomini da Dio, come Gesù Cristo tende ad indirizzarli a Lui. Tutti quelli poi che peccano imitano la sua ribellione ed il suo orgoglio, come i buoni imitano la sottomissione e la obbedienza di Gesù Cristo (VIII, 7)
1459. Sarebbe dunque in forza di questa opposizione radicale e profonda, esistente come una specie di lotta personale fra Gesù Cristo Capo dei buoni e satana capo dei cattivi, che si spiegherebbe in ultima istanza ciò che vi è di continuo e di irriducibile nella lotta tra i buoni ed i cattivi, attraverso gli avvenimenti della storia?
Sicuramente; e non si avrà mai l’ultima parola su questa 1otta, finché non ci si riporterà alla lotta personale ed irriducibile per sempre fra satana e Gesù Cristo.
1460. Questa lotta dovrà un giorno rivestire un particolare carattere di accanimento, da sembrare che satana abbia concentrato tutta la sua malizia e la sua potenza di nuocere nella persona di un individuo umano, come il Figliuolo di Dio ha posto la Sua virtù salutare nella natura umana che ha unito alla propria Persona?
Sì: ed avverrà al tempo dell’anticristo.
1461. L’anticristo sarà dunque a titolo speciale il capo dei malvagi?
Sì; l’antieristo sarà a titolo speciale il capo dei malvagi, perché avrà più malizia di quella avuta da ogni uomo prima di lui. Sarà al sommo grado il ministro di satana, sforzandosi di perdere gli uomini e di rovesciare il Regno di Gesù Cristo con una malvagità e tali mezzi di azione, che saranno degni del capo dei demoni (VIII, 8).
1462. Qual dovere si impone ad ogni uomo in presenza di questa lotta profonda ed irriducibile tra i due capi opposti della umanità?
Quello di non patteggiare mai in chechessia con ciò che appartiene a satana ed ai suoi satelliti, e di arruolarsi, per rimanervi sempre e combattere valorosamente, sotto la bandiera di Gesù Cristo.
Capo VII.
La scienza presa dal Figliuolo di Dio Incarnato nella natura umana che ha unito a Sé. – Scienza beatifica, scienza infusa, scienza sperimentale.
1463. Oltre alla grazia di cui abbiamo parlato, e che è propria della natura umana che il Figliuolo di Dio ha unito alla Sua Persona, vi sono ancora altre prerogative quale appannaggio di questa natura?
Sì; e vi sono anzitutto le prerogative che si riferiscono alla scienza (IX – XII).
1464. Che genere di scienza fu presa dal Figliuolo di Dio Incarnato nella natura umana che univa a sé nella unione ipostatica?
Tre generi di Scienza furono presi dal Figliuolo di Dio Incarnato nella natura che univa ipostaticamente a sé, cioè: la Scienza che forma i beati nel cielo per mezzo della visione della essenza divina; la Scienza infusa o innata che da all’anima in un solo tratto e per una effusione diretta del Verbo, tutte le nozioni e tutte le idee capaci di metterla in grado di tutto conoscere per modo di scienza connaturale; finalmente la scienza Sperimentale acquisita, dovuta all’azione normale ed ordinaria delle nostre facoltà mane, attinta nel mondo esterno per mezzo dei sensi ES; 28 4).
1465. La Scienza che forma i beati nel cielo per mezzo della visione della essenza divina fu presa dal Figliuolo di Dio Incarnato, nella natura umana unita ipostaticamente a sé, in un grado particolare di perfezione?
Si; essa fu presa in un grado di perfezione che supera senza proporzione alcuna, quella di tutti gli altri spiriti beati, Angeli ed uomini, a qualunque grado di perfezione siano essi innalzati in questa scienza; e fin dal primo istante il Figliuolo di Dio Incarnato poté scorgere, colla sua natura umana, nel Verbo divino che era Egli stesso, interamente tutto; dimodoché non vi è niente, sia in qualsivoglia modo nel presente che nel passato come nell’avvenire, si tratti di azioni, di parole, di pensieri, che si riferisca a chiunque ed in qualunque tempo, che il Figliuolo di Dio Incarnato non abbia conosciuto fin dal primo istante della Sua Incarnazione, colla natura umana che aveva unito ipostaticamente a sé, nel Verbo divino che era Egli stesso (X, 2-4).
1466. E la scienza infusa od innata, fu presa essa pure in un grado particolare di perfezione dal Figliuolo di Dio, nella natura mana unita ipostaticamente a Sé?
Si; perché Egli conosceva, colla sua natura umana, tutto quello che nell’ordine di tale scienza può arrivare a conoscere la intelligenza umana, per mezzo del lume naturale che in essa si trova, e tutto quanto la divina rivelazione può far conoscere ad una intelligenza umana o creata; sia che si tratti di ciò che riguarda il dono della Sapienza o della profezia, come di qualsiasi altro dono dello Spirito Santo, in un grado di perfezione e di abbondanza assolutamente trascendente, non soltanto. in relazione a tutti gli altri uomini, ma anche in relazione alla scienza degli spiriti angelici (XI, 1, 3, 4).
1467. E la scienza acquisita che si trova nell’anima umana del Figliuolo di Dio Incarnato, in quali condizioni vi si trovò?
Vi si trovò in mode tale che per essa il Figliuolo di Die conobbe tutto quello a cui può arrivare la intelligenza umana, esercitandosi sui dati dei sensi. A misura che il giudizio umano aveva occasione di esercitarsi operando su nuovi dati dei sensi, fu possibile per Lui un certo progresso nella Scienza; ma intanto non ebbe mai bisogno d’imparare da nessun maestro umano, avendo sempre acquistato già da sé stesso al contatto delle opere di Dio, ciò che un maestro umano sarebbe stato in grado di insegnare, man mano che la sua vita progrediva (XI, 1-8).
1468. Si deve dire ancora che il Figliuolo di Dio nella sua natura umana non ricevé mai niente in nessuna maniera dagli Angeli, in fatto di scienza?
No; mai in nessuna maniera il Figliuolo di Dio Incarnato ricevé niente dagli Angeli in fatto di scienza, nella sua natura umana. Tutto quanto Egli ebbe come scienza gli venne, nella sua natura umana, o immediatamente dal Verbo che Egli era personalmente, o dal lume naturale del giudizio proprio della natura umana, esercitandosi, come ê stato detto, sui dati immediati dei sensi; perché ogni altro modo di ricevere sarebbe stato indegno di Lu i (XIT, 4).
Capo VIIL
La potenza presa dal Figliuolo di Dio nella natura umana unita ipostaticamente a Sé.
1469. Oltre alle prerogative della scienza, il Figliuolo di Dio Incarnato prese anche altre prerogative nella natura umana che univa ipostaticamente a Sé?
Sì; prese ancora ciò che ha relazione con la potenza (XIII).
1470. Quale fu la potenza dell’anima umana del Figliuolo di Dio Incarnato?
Fu tutta la Potenza connaturale all’anima umana, forma sostanziale di un Corpo che volle assumere mortale come vedremo; e di più la potenza propria a questa anima umana nell’ordine della grazia, in quanto essa doveva comunicare la sua pienezza a tutti coloro che sarebbero sotto la sua dipendenza. Vi fu ancora, nella natura umana del Figliuolo di Dio Incarnato, a titolo unico, quella partecipazione strumentale della virtù divina, per la quale il Verbo di Dio doveva ormai compiere tutte le meraviglie di trasformazione in armonia col fine della Incarnazione, vale a dire la restaurazione di tutte le Cose in cielo ed in terra, secondo il piano di rinnovamento stabilito da Dio (XI, 1-4).
Capo IX,
Difetti presi dal Figliuolo di Dio nella natura umana unita a Sé ipostaticamente: da parte del corpo: da parte dell’anima.
1471. Era conveniente che accanto alle prerogative di grazia, di scienza e di potenza il Figliuolo di Dio assumesse anche certi difetti di corpo e di anima, nella natura umana che unì ipostaticamente a Sé?
Sì; ciò era necessario in ordine al fine dell’Incarnazione, che era che con essa jl Figliuolo di Dio potesse soddisfare per i nostri peccati, apparire su questa terra come uno di noi lasciando così alla fede tutto il suo merito, ed infine servire a noi di esempio nella pratica delle più sublimi virtù di pazienza e di immolazione (XIV, XV).
1472. Quali furono i difetti del corpo che il Figliuolo di Dio Incarnato prese nella natura umana che univa ipostaticamente a Sé?
Furono i difetti, ossia le miserie e le infermità, che in tutta la natura umana sono conseguenza ed effetto del primo peccato del primo uomo; quali la fame, la sete, la morte ed altre cose di questo genere. Ma non le infermità ed i difetti che sono conseguenza di peccati personali o ereditari o anche effetto di cattivo concepimento (XIV, 1).
1473. Dunque il corpo del Figliuolo di Dio Incarnato, tranne i difetti che abbiamo detto, fu di una somma perfezione e di una somma bellezza?
Sì; il corpo del Figliuolo di Dio Incarnato, tranne i difetti che abbiamo detto, fu di una somma perfezione e di una somma bel1ezza. Perché ciò conveniva alla dignità del Verbo di Dio unito ipostaticamente a questo corpo, nonché all’azione dello Spirito Santo, per cui questo stesso corpo fu direttamente formato nel seno della Santissima Vergine, come presto diremo.
1474. E da parte dell’anima quali furono i difetti presi dal Figliuolo di Dio Incarnato, nella natura umana che Egli univa ipostaticamente a Sé?
Prima di tutto la possibilità di sentire il dolore cagionato da ciò che tocca penosamente il corpo, specialmente per le lesioni corporali che doveva soffrire nel corso della sua Passione; in secondo luogo i moti interni di ordine affettivo sensibile, ed ancora i moti interni di ordine affettivo intellettuale che suppongono un male presente o che minaccia, quali i moti di tristezza, di timore, di collera; con questo per altro che in tali moti nell’anima umana del Figliuolo di Dio Incarnato, non vi era niente che non fosse perfettamente in piena armonia con la ragione, alla quale essi rimasero in tutto completamente soggetti (XV, 1-9)
1475. Si può dire del Figliuolo di Dio Incarnato che in forza della natura umana unita ipostaticamente a Sé, Egli fu insieme, mentre viveva sulla terra, al termine ed in via verso la beatitudine?
Sì; perché riguardo a ciò che è proprio dell’anima nella beatitudine, Egli godeva pienamente di questa beatitudine per mezzo della visione della essenza divina; e per ciò che riguarda il riverbero della beatitudine dell’anima nella parte sensibile e nel corpo, per una pecie di sospensione miracolosa in ordine alla nostra Redenzione, Egli non doveva goderne che dopo la sua Resurrezione ed Ascensione attendendola nel corso della sua vita mortale come una ricompensa che Egli doveva meritare ed acquistare (XV, 10).
Capo X.
Delle conseguenze della Incarnazione, del Figliuolo di Dio considerato in Sé stesso sotto la ragione di Verbo Incarnato. – Come noi possiamo e dobbiamo esprimerci a suo riguardo.
1476. Che cosa ne consegue per il Figliuolo di Dio Incarnato, considerato in Sé stesso ed in quanto noi possiamo e dobbiamo parlare di Lui in ragione della sua Incarnazione?
Ne consegue che noi possiamo e dobbiamo dire con tutta verità che « Dio è uomo » perché una Persona che è Dio è anche uomo; che « l’uomo è Dio » perché una Persona che è veramente uomo è una Persona che è Dio; che tutto quanto appartiene alla natura umana e le conviene, può esser detto di Dio, perché tutto questo conviene ad una Persona che è Dio; e tutto quanto appartiene alla natura divina pub dirsi dell’uomo che è il Figliuolo di Dio Incarnato, perché questo uomo è una Persona che è Dio. Ma non possiamo dire della divinità ciò che si dice della umanità o viceversa, nella Persona del Figliuolo di Dio Incarnato, perché le due nature rimangono distinte e conservano ciascuna le loro proprietà (XVL 1, 2).
1477. Si può dire che « Dio si ê fatto nomo » ?
Sì; si può dire che « Dio si è fatto uomo ». Perché una Persona che ê Dio ha cominciato ad essere veramente uomo nel tempo, mentre prima non lo era (XVI,6).
1478. Si può dire ugualmente che « l’uomo è stato fatto Dio »?
No, non si può dire che « l’uomo è stato fatto Dio » . Perché ciò supporrebbe che una persona, essendo prima uomo senza essere Dio, è in seguito divenuta Dio (XVI, 7)
1479. Si può dire che il Figliuolo di Dio Incarnato « è una creatura »?
Non si può dire in modo puro e semplice, ma bisogna aggiungere « in ragione della natura umana che Egli ha unito a Sé ipostaticamente »; perché è vero che di fatto questa natura umana è qualche cosa di creato (XVI, 8).
1480. Si può dire mostrando Gesù Cristo, ossia il Figliuolo di Dio Incarnato: « Questo uomo ha cominciato ad essere »?
No,; non si può dire mostrando Gesù Cristo, Figliuolo di Dio Incarnato: « Questo uomo ha cominciato ad essere ». perché ciò si intenderebbe della Persona del Figliuolo di Dio che non ha affatto cominciato ad essere; si potrebbe dirlo aggiungendo: « in quanto Egli è uomo », oppure: in forza della sua natura umana (XVI, 9).
Caro XI.
Della unità e della molteplicità che è nel Figliuolo di Dio, riguardo alla suo essere: riguardo alla sua: riguardo alle sue opere.
1481. Il Figliuolo di Dio Incarnato Gesù Cristo costituisce un solo essere o ne costituisce di più?
Ne costituisce uno solo, Dio ed uomo insieme, in forza della sua unità di Persona che sussiste in ambedue le nature, divina ed umana (XV, 1, 2).
1482. Possiamo parlare di molteplicita di volontà in Gesù Cristo, Figliuolo di Dio Incarnato?
Sì; perché in Lui si trova la volontà divina, in quanto è Dio; e la volontà umana in quanto è uomo (XVIII, 1).
1483. Vi è in Lui anche molteplicità di volontà come uomo?
Sì; prendendo la parola volontà in senso lato, ed in quanto designa la facoltà effettiva intellettuale; ed anche in quanto talvolta designa diversi atti di queste stesse facoltà (XVIII, 2, 3).
1484. Gesù Cristo Figliuolo di Dio Incarnato ebbe ed ha iol libero arbitrio nella sua natura umana?
Sicuramente, ed in maniera sommamente perfetta; quantunque d’altra parte fosse nella impossibilità assoluta di peccare, perché la sua volontà deliberata era sempre ed in tutto conforme alla volontà divina, anche quando la parte affettiva sensibile ed il moto naturale della sua volontà, in quello che era di loro proprio dominio, potevano volgersi altrove contrariamente a ciò che voleva la sua volontà deliberata, in conformità del volere positivo divino (XV, 4).
1485. Possiamo anche dire e dobbiamo parlare di molteplicità di operazioni in Gesù Cristo Figliuolo di Dio Incarnato?
Sì; dobbiamo parlare di molteplicità di operazioni in Gesù Cristo Figliuolo di Dio Incarnato; perché se da parte della Persona o del principio a cui sono attribuite le operazioni si trovava in Gesù Cristo Figliuolo di Dio Incarnato unità perfetta ed assoluta, da parte dei principi propri di operazioni vi erano tante operazioni diverse, quante diversità di principi o di facoltà di agire erano nella sua natura umana. E di più, la grande diversità delle operazioni proprie della natura divina, distintamente dalle operazioni proprie della natura umana (XIX, 1, 8).
1486. Ma allora in che senso si parla di operazioni teandriche in Gesù Cristo Figliuolo di Dio Incarnato; e che cosa significa questa espressione?
Questa espressione significa che essendo Gesù Cristo Dio ed uomo insieme, in Lui esisteva una specie di subordinazione tra tutti i suoi principi di operazioni, specialmente fra i principi di operazioni proprie della natura umana e la natura divina, principio della operazione formalmente divina. Dimodoché la operazione umana in Lui si trovava divinamente perfezionata ed innalzata per la vicinanza e la influenza della natura divina, e la operazione propria della natura divina si umanizzava in qualche modo comunicandosi al di fuori, per l’intermezzo e col concorso della operazione umana (XIX, 1 ad 1).
1487. Gesù Cristo Figliuolo di Dio Incarnato, ha potuto meritare gualche cosa per Se stesso, per mezzo della sua operazione umana?
S1; ha potuto meritare e conveniva che meritasse per Se stesso tutto quello di cui la temporanea assenza non era contraria alla sua eccellenza ed alla sua dignità, come la gloria del corpo e tutto quanto si riferiva alla sua esaltazione esteriore in cielo e sulla terra (XIX, 8).
1488. Ha Egli potuto meritare per gli altri?
Sì; e con merito perfetto e condegno, in forza della mistica unita che formano con Lui tutti i membri della Chiesa di cui Egli è il Capo. Dimodoché tutte le sue azioni valevano non soltanto per Lui personalmente, ma anche per tutti coloro che fra gli uomini fanno parte della sua Chiesa, nel senso della universalità notata più indietro, quando si ê trattato della grazia capitale del Figliuolo di Dio Incarnato, nella natura umana che Egli ha unito ipostaticamente a Sé (XIX, 4).
1489. Che cosa occorre perché il merita delle azioni del Figliuolo di Dio Incarnato si estenda agli altri uomini?
Bisogna che essi siano a Lui uniti per mezzo della grazia del Battesimo, che ê grazia di incorporazione in Gesù Cristo, co avremo a dire in seguito (XIX, 4 ad 8).
Capo XII.
Delle conseguenze dell’incarnazione del Figlio di Dio nelle sue relazioni col Padre.- La sua soggezione al Padre.- La sua preghiera. – Il suo sacerdozio.
1490. Che cosa è seguito dalla Incarnazione del Figliuolo di Die nei suoi rapporti col Padre e nei rapporti del Padre con Lui?
Ne è seguito che il Figliuolo. di Dio Incarnato è stato soggetto al Padre; che Egli lo ha pregato; che lo ha servito mediante il suo sacerdozio, e rimanendo Egli Figlio di Dio per natura e non per adozione, ha potuto e dovuto essere predestinato dal Padre (XX -XXIV).
1491. Che cosa intendete dire, dicendo che Gesù Cristo Figliuolo di Dio Incarnato ê soggetto al Padre?
Intendo dire che in ragione della natura umana il Figliuolo di Dio Incarnato non aveva che una bontà partecipata, mentre il Padre è la bontà per essenza. Perciò tutto quello che riguardava la sua vita umana era regolato, disposto ed ordinato dal Padre; ed infine, nella sua natura umana si è in tutte le cose dimostrato di una obbedienza perfetta ed assoluta di fronte al Padre (XX, 1)
1492. Questi stessi titoli non facevano sì che il Figliuolo di Dio Incarnato fosse ugualmente soggetto a Se stesso in quanto Dio, ossia in ragione della sua natura divina?
Sicuramente; perché la natura divina, in forza della quale il Padre era superiore al Figliuolo nella sua Incarnazione, è comune al Padre ed al Figliuolo (XX, 2).
1493. In qual senso si può dire che Gesù Cristo Figliuolo di Dio Incarnato poteva e può tuttora, pregare?
Nel senso che la sua volontà umana, non avendo affatto da se stessa ed indipendentemente dalla volontà divina di potere effettuare quello che desidera, in forza di questa volontà il Figliuolo di Dio Incarnato si può rivolgere al Padre, affinché Egli con la sua volontà onnipotente che come Dio è anche la sua, compia ciò che la sua volontà umana non potrebbe compiere da se stessa (XXI, 1).
1494. Gesù Cristo Figliuolo di Dio Incarnato poteva pregare per Sé stesso?
Sì; anche nel senso che Egli poteva domandare al Padre i beni del corpo e la sua glorificazione esterna, che non possedeva ancora finché viveva sulla terra; ma, se non altro, almeno per ringraziare il Padre di tutti i doni e privilegi a Lui accordati nella sua natura umana; e sotto questa forma la sua preghiera durerà eternamente (XXI, 3)
1495. Si può dire che la preghiera di Gesù Cristo Figliuolo di Dio Incarnato sia stata sempre esaudita, mentre viveva su questa terra?
Sì; prendendo la preghiera nel suo senso perfetto, che è la ferma domanda di cosa che si vuole di volontà deliberata: perché il Figliuolo di Dio Incarnato che conosceva a perfezione la volontà del Padre. Non ha mai voluto con volontà deliberata se non ciò che sapeva in tutto conforme alla volontà del Padre, che come Dio era anche la sua (XXI, 4).
1496. Quando si parla del sacerdozio di Gesù Cristo Figliuolo di Dio Incarnato, che cosa si vuol dire?
Si vuol dire che a Lui ê appartenuto ed appartiene per eccellenza di apportare agli uomini i doni di Dio, e di presentarsi davanti a Dio in nome di tutti gli uomini, per offrire a Dio le loro preghiere e pacificare Dio verso di loro, riconciliandoli tutti con Lui (XXII, 1)
1497. Si Può dire che Gesù Cristo fu insieme sacerdote e vittima?
Si; perché accettando di essere mandato a morte per noi, Egli effettuò nella propria Persona, in forza della sua natura umana immolata, la triplice ragione del sacrifizio imposto nella legge antica, cioè: la vittima per il peccato, la vittima pacifica e l’olocausto. Infatti, Egli ha soddisfatto per i nostri peccati e li ha cancellati; ci ha fruttato la grazia di Dio che ê la nostra pace e la nostra salute; e ci ha aperto la porta della gloria, ove dobbiamo essere uniti a Dio totalmente e definitivamente nella eternità (XXII, 2).
1498. Gesù Cristo Figliuolo di Dio Incarnato è stato sacerdote anche per se stesso , nella sua natura umana?
No; niente affatto per Se stesso. Perché Egli poteva immediatamente avvicinarsi a Dio senza bisogno di un mediatore; e di più, non avendo in Sé che la somiglianza del peccato e non il peccato. non doveva offrire per sé la vittima espiatrice, ma soltanto per noi (XXII, 4).
1499. Si deve dire che il sacerdozio di Gesù Cristo rimane in eterno?
Sì; nel senso che l’effetto del suo Sacerdozio, vale a dire 1a consumazione, nella gloria, dei santi, purificati mediante la virtù del suo saerifizio, sarà in eterno la sua opera in cielo. (XXII, 5).
1500. Perché si dice che Gesù Cristo è Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedecco?
Per affermare la superiorità del sacerdozio di Gesù Cristo sul sacerdozio levitico della legge antica, che non era Se non la figura di esso (XXII, 6).
CAPO XIII.
La sua filiazione divina. – La sua predestinazione
1501. Quando si parla di adozione di Dio, che cosa si vuol dire?
Si vuol dire che Dio nella Trinità delle Persone si è degnato, per un senso di infinita bontà, di ammettere le sue creature ragionevoli a partecipare alla sua eredità ed alle sue ricchezze, che non sono altro che la gloria della propria beatitudine. Dimodochê non potendo essere suoi figliuoli per natura – perché questo non appartiene che al solo Figliuolo unico – gli Angeli e gli uomini ammessi a questa gloria, divengono suoi figliuoli di adozione (XXIII, 1)
1502. Il Figliuolo di Dio Incarnato, in forza della sua natura umana, può esser chiamato Figliuolo di Dio per adozione?
No: non lo può essere in nessuna maniera perché la filiazione essendo una proprietà personale, dove ha luogo la filiazione naturale no si dà più filiazione di adozione, che non è altro che una somiglianza della prima (XXIII, 4).
1503. Si può parlare di predestinazione rispetto a Gesù Cristo Figliuolo di Dio Incarnato?
Sì; perché la predestinazione non ê altro che la preordinazione stabilita da Dio da tutta la eternità, di ciò che Gesù Cristo doveva compiere nel tempo nell’ordine della grazia. Ora, il fatto di un essere umano che è Dio in persona e di un Dio che è uomo, si è avverato nel tempo per opera di Dio stesso, ed appartiene al più alto grado nell’ordine della grazia di cui costituisce il culmine; quindi ne consegue che rispetto al Figliuolo di Dio Incarnato, con tutta verità si può e si deve parlare di predestinazione (XXIV, 1)
1504. Tale predestinazione, basata sul fatto che in forza della natura umana che verrebbe ad essere unita nel tempo con unione ipostatica al Figliuolo unico di Dio, un giorno esisterebbe un essere umano che sarebbe Figliuolo di Die stesso e Dio sarebbe uomo; è essa il modello ossia l’esemplare e la causa della nostra propria predestinazione?
Sì; perché la predestinazione a nostro riguardo doveva ordinare che noi saremmo per adozione ciò che il Figliuolo di Dio Incarnato è per natura; e doveva pure ordinare che la nostra salute si operasse per mezzo di Gesù ,Cristo che ne sarebbe l’autore (XXIV, 3, 4)
Capo XIV.
Delle conseguenze dell’Incarnazione del Figliuolo di Dio nei suoi rapporti con noi. – Noi dobbiamo adorarlo. – Egli è il mediatore di Dio e degli uomini.
1503. Che cosa è conseguito dalla Incarnazione del Figliuolo di Dio nei suoi rapporti con noi?
Ne ê conseguito che noi dobbiamo adorarlo e che Egli ê il nostro mediatore (XXV, XXVI).
1506. Che cosa vuol dire che noi dobbiamo adorare Gest Cristo Figliuolo di Dio Incarnato?
Ciò vuol dire che noi dobbiamo rendere alla Persona del Figliuolo di Dio, dovunque si trovi e sotto qualunque forma ci apparisca, sia come Dio che come uomo, il culto di latria che è il culto proprio di Dio; quantunque se considerassimo la natura umana di Gesù Cristo come ragione o motivo del culto che gli tributiamo, essa non motiverebbe che il solo culto di dulia (XXV, 1, 2).
1507. Per la stessa ragione noi tributiamo al Sacro Cuore di Gesù, cioè del Verbo Incarnato, il culto di latria?
Sì; perché il Cuore di Gesù fa parte della sua adorabile Persona: di tutto quello che appartiene alla Persona adorabile di Gesù Cristo nella sua natura umana, il Cuore ê per natura più specialmente atto a ricevere il culto di latria, essendo il simbolo per eccellenza dell’opera di amore infinito compiuta per 1a nostra salute dal Verbo fatto carne, nei misteri della Incarnazione e della Redenzione. Onde il culto del Sacro Cuore non è niente di meno che il culto stesso di Gesù Cristo nel suo amore.
1508. Bisogna adorare ossia onorare col culto di latria la immagine di Gesù Cristo?
Sì; perché il moto con cui ci si porta verso la immagine di una cosa, in quanto immagine di questa cosa, ë il medesimo di quello con cui ci si porta verso questa cosa stessa (XXV, 3).
1509. E la croce di Gesù Cristo deve essere adorata ossia onorata col culto di latria?
Sì: perché ci rappresenta Gesù Cristo disteso su di essa e morente per noi. E se si tratta si tratta della Croce alla quale Gesù Cristo fu appeso, noi l’adoriamo ancora per questa ragione che essa ha toccato le membra di Gesù Cristo ed ê stata imbevuta del suo Sangue (XXV, 4).
1510. Dobbiamo tributare il culto di adorazione o di latria anche alla Santissima Vergine, Madre di Gesù Cristo?
No; perché non è soltanto in ragione di Gesù Cristo che noi rendiamo un culto alla Madre Sua, ma anche in ragione di Lei stessa: è Poiché Essa non è che una pura creatura, non la onoriamo col culto di latria che è proprio esclusivamente di Dio. Noi però rendiamo a Lei un culto supereminente, nell’ordine del culto di dulia appartenente alle creature unite a Dio; perché nessuna creatura ê stata unita a Dio come Lei: e per questo appunto la onoriamo col culto di iperdulia OOXV, 5).
1511. In ragione di Gesù Cristo, dobbiamo rendere un culto anche alle reliquie dei santi, specialmente ai loro corpi?
Sì; perché i santi sono stati e rimangono le membra di Gesù Cristo, gli amici di Dio e nostri intercessori Presso di Lui. Perciò tutto quello che ê stato in rapporto con essi merita di essere da noi onorato in ordine a loro stessi; ma soprattutto i loro corpi che sono stati templi dello Spirito Santo, e debbono essere configurati al corpo di Gesù Cristo mediante la gloriosa resurrezione (XXV, 6).
1512. Quando diciamo che il Figliuolo di Dio Incarnato ê il mediatore di Dio e degli uomini, che cosa vogliamo dire?
Vogliamo dire che in forza della natura umana che ha unito a Sé ipostaticamente, il Figliuolo di Dio Incarnato sta in mezzo tra Dio. da cui è lontano per la natura umana, e gli uomini dai quali ê lontano per la eccellenza della sua dignità e dei doni di grazia e di gloria che possiede in questa stessa natura umana. Ed essendo in mezzo tra Dio e gli uomini, a Lui appartiene in proprio di comunicare agli uomini i precetti ed i doni di Dio, e di presentarsi dinanzi a Dio a nome degli uomini, soddisfacendo ed intercedendo per essi (XXVI, 1, 2).
Capo XV.
Come s’è svolto fra noi il mistero del Verbo Incarnato.
1518. Questo fatto sì misterioso e meraviglioso del Figliuolo unico di Dio, che si riveste della nostra natura umana e diviene uomo come noi, come noi, nel senso e con tutte le conseguenze che abbiamo notato, come si è effettuato e svolto sulla terra e nel dominio della storia?
Risponderemo a tale questione considerando quattro cose: prima di tutto la venuta del Figliuolo di Dio Incarnato in questo mondo; poi il processo della sua vita nel mondo; in terzo luogo la partenza dal mondo; ed in ultimo la sua esaltazione dopo questa vita, durante la quale era vissuto tra noi (XXVII, Prologo).
L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXI)
INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.
DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,
OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,
PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856
LIBRO SETTIMO.
SUI CAPITOLI XV E XVI.
Continuazione delle rivelazioni speciali e particolari fatte a San Giovanni sui regni di Maometto e dell’anticristo; e anche sulle ultime piaghe e l’ultimo trionfo della Chiesa, così come su altre particolarità che la riguardano.
§ I.
Rassomiglianza e rapporti di date e di caratteri trovati tra Maometto e l’anticristo, cioè tra il fondatore dell’impero turco e il suo consumatore.
Prima di continuare con questa interpretazione dell’Apocalisse, è opportuno dare qui le somiglianze e le sorprendenti relazioni di date e caratteri che si trovano tra Maometto, fondatore dell’impero turco, e l’anticristo, che doveva essere il suo consumatore ed ultimo sovrano. Vedendo queste ammirevoli connessioni e somiglianze, si avrebbe ragione di credere che Dio, nei decreti della sua infinita saggezza, abbia voluto avvertire la sua Chiesa con dei segni caratteristici con i quali potesse riconoscere e scoprire in anticipo il suo più grande nemico, in modo da poter stare in guardia e prepararsi alla terribile lotta della fine dei tempi. È per stabilire meglio questo parallelo che è importante dare, all’inizio, un riassunto storico e biografico della vita di Maometto; allo stesso tempo, citeremo alcune delle grandi caratteristiche che i Profeti hanno predetto sull’anticristo, per confrontare questi due tiranni tra loro. Diciamo dapprima una parola sui due predecessori di Maometto, Chosroe e suo figlio Siroes, che gli prepararono la strada per raggiungere un così alto grado di potere. Si sa da quanto sopra che l’Impero Ottomano è il nemico giurato del Cristianesimo e dell’Impero Romano. Ora, La guerra di Cosroe II contro l’Impero Romano fu intrapresa per vendicare la morte di Maurizio, il benefattore di questo principe. Questa guerra divenne un’immensa devastazione per il Cristianesimo. Nel 615, Shaharbarz, genero del monarca persiano, marciò alla testa di un considerevole esercito, prese Gerusalemme, mise a morte migliaia di monaci, vergini e sacerdoti, bruciò le chiese e persino la basilica eretta da Costantino, e portò via i vasi sacri e gli ornamenti, molti dei quali erano appartenuti al tempio di Salomone, e che Belisario, vittorioso in Africa, aveva riportato nella città santa. Egli mise in prigione i solitari. – I Giudei della Palestina furono abbastanza ricchi da comprare 90.000 prigionieri Cristiani destinati alla morte. Zaccaria, patriarca di Gerusalemme, condivise l’esilio del suo gregge. Il legno della vera croce faceva parte del bottino di Schaharbarz e fu depositato nella città di Kandsac o Tauritz. I proscritti di Gerusalemme rimasero tredici anni in potere dei Persiani. Durante questo periodo, Modesto governò la Chiesa in assenza di Zaccaria, e le pie libertà di San Giovanni Elemosiniere, Patriarca di Alessandria, aiutarono a riparare i mali che la guerra aveva provocato. L’imperatore Eraclio, dopo diversi anni di combattimenti vittoriosi, concluse una pace gloriosa con Siroe, figlio e successore di Cosroe. Il popolo prigioniero, il Patriarca e il legno sacro della redenzione furono restituiti. Nel 629, Eraclio completò le celebrazioni del suo trionfo con una cerimonia religiosa a Gerusalemme. In mezzo alla moltitudine accorsa per la solennità, l’imperatore si caricò la croce sulle spalle e la portò al Calvario. L’Esaltazione della Croce, il 14 settembre, è un ricordo di questo grande giorno. Gli autori antichi ci dicono che il legno sacro rimase nella sua cassa con i sigilli intatti. I Persiani non l’avevano toccato. Il Patriarca Zaccaria aprì la cassa con la sua chiave per la cerimonia. Eraclio cacciò i Giudei da Gerusalemme e consegnò ai Cattolici il santuario che i Persiani avevano dato ai nestoriani. Modesto aveva innalzato la basilica del Santo Sepolcro, grazie all’aiuto di Eraclio. Fermiamoci qui un momento. Non vediamo, in questi bei trionfi che la Chiesa ottenne sui nestoriani sostenuti dagli empi principi che li stabilirono a Gerusalemme, un tipo di sesta età della Chiesa, l’età della consolazione che deve precedere l’arrivo dell’Anticristo; infatti il trionfo che la Chiesa otterrà nella sesta età sui turchi e gli eretici, precederà il regno dell’Anticristo, proprio come il trionfo di Eraclio sui nestoriani precedette l’instaurazione del Maomettanismo. E questo imperatore Eraclio, per mezzo del quale furono ottenute tutte queste vittorie, non è anche un tipo del grande imperatore che deve liberare la Chiesa dal giogo degli eretici e delle nazioni dell’Impero d’Oriente? Ma continuiamo la nostra storia. Si avvicina il tempo in cui la Gerusalemme cristiana incontrerà i suoi nemici più formidabili e costanti. Colpendo Gerusalemme, alta immagine della fede di Gesù, l’islamismo ha attaccato il suo fondatore, e rovinerà col suo consumatore, le idee più belle, le più salutari e le più feconde che Dio ha messo nel cuore dell’uomo. Nel 609, un uomo della Mecca, un mercante di cammelli, Muhammad, figlio di Abdullah e Amina, della nobile tribù dei Koreischiti, di quarant’anni, annunzia ai suoi parenti e amici che l’Angelo Gabriele, visitandolo in un’apparizione notturna, lo aveva salutato con il nome di apostolo di Dio. Tali erano le modeste pretese del fondatore dell’islamismo; ecco ora quelli del suo consumatore; è San Paolo che parla, II Tess. II, 1: « Vi preghiamo, fratelli miei, per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo e per la nostra riunione con lui, di non essere così facilmente scossi nei vostri sentimenti, e di non allarmarvi per rivelazioni, o discorsi, o lettere, che si suppone vengano da lettere che si presume vengano da noi, come se il giorno del Signore stesse per arrivare. Che nessuno vi inganni in alcun modo, perché quel giorno non verrà finché non sia venuta l’apostasia e non si sia visto l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, che si innalzerà contro Dio al di sopra di tutto ciò che è chiamato Dio o che è adorato, fino a porre il suo trono nel tempio di Dio, mostrandosi come Dio. » Era stata a lungo l’abitudine di Maometto di meditare e pregare in una grotta sul monte Hara vicino alla Mecca durante il mese di Ramadan ogni anno. Sognava la speranza di fondare una nazionalità in mezzo alle tribù d’Arabia, separate l’una dall’altra da odi profondi, e di riportare all’unità religiosa quelle tribù divise tra le dottrine di Zoroastro e quelle del sabeismo, suddivise in numerose sette. Quando Maometto si presentò come profeta, non fu creduto; gli furono chiesti miracoli come li avevano fatti Mosè e Gesù Cristo; i suoi compatrioti erano pronti a proclamare la sua missione soprannaturale, se, alla sua parola, le sabbie del deserto fossero cambiate in giardini fioriti, se il suo potere trasportasse loro e le loro mercanzie in un batter d’occhio nelle fiere della Siria. L’impostore disdegnava i miracoli come mezzi troppo inefficaci per sostenere l’autorità di un messaggero di Dio; si limitò a trarre dalla sua immaginazione un racconto meraviglioso: il suo rapido viaggio notturno dalla Mecca a Gerusalemme, in groppa ad una bestia bianca, più piccola di un mulo, più grande di un asino, e la sua ascesa al settimo cielo. Passando per le alte dimore, salutò i patriarchi, i profeti e gli Angeli; e da lì agli ultimi limiti, avendo Dio toccato la sua spalla, un brivido freddo gli entrò nel cuore. Poi tornò a Gerusalemme sul suo cavallo bianco per ripartire per la Mecca. In meno di un’ora, il profeta aveva attraversato tutti questi spazi infiniti. Cacciato dalla Mecca dalla sua stessa tribù (622), fece un’entrata trionfale a Medina, seduto su un cammello con una specie di parasole di palma spiegato a guisa di tabernacolo, e un turbante spiegazzato che sventolava come una bandiera (Oh, quanto è burlesca e rozza questa imitazione dell’entrata trionfale di Gesù Cristo a Gerusalemme!). Nonostante ciò, l’energia ed il fascino delle sue parole, i prodigi che raccontava in nome del cielo, i quadri della sua immaginazione, le ricchezze che prometteva in questo mondo e il paradiso voluttuoso che annunciava nell’altro, moltiplicarono il numero dei suoi discepoli in pochi anni. Salito al potere, Maometto mantenne la semplicità del mercante di cammelli. Padrone dell’Hedjad, dello Hiemen e di tutta la penisola araba, è stato visto rammendare la sua scarpa, il suo mantello di lana, mungere le sue pecore e accendere il suo fuoco. Burlesco imitatore di Gesù Cristo e dei suoi profeti, faceva dei datteri e dell’acqua pura il suo cibo quotidiano. Il lusso dei suoi pasti non andava oltre il latte e il miele; ma confessava che gli piacevano molto le donne ed i profumi. In questo era un vero tipo dell’Anticristo di cui Daniele dice, XI, 37: « Egli si darà alla concupiscenza delle donne. » Abbiamo visto che l’Anticristo pretenderà di essere adorato come Dio. Vediamo cosa pensava Mohammed di se stesso: « Dio ha creato tutti gli uomini e ha fatto di me il migliore degli uomini; ha diviso gli uomini in nazioni e mi ha messo nella migliore delle nazioni; ha diviso ogni nazione in tribù e mi ha messo nella migliore delle tribù; ha diviso le tribù in famiglie e mi ha fatto nascere nella migliore delle famiglie. Sì, la mia famiglia è migliore delle vostre, e i miei antenati sono migliori dei tuoi. Io sono il capo ed il modello degli uomini, e non me ne vanto. Sono il più eloquente degli arabi, e sarò io il primo a bussare alla porta del Paradiso, perché sono il primo la cui tomba sarà aperta nel grande giorno. Abramo mi ha chiesto a Dio, Gesù mi ha annunciato al mondo e mia madre, quando mi ha dato alla luce, ha visto una grande luce dall’Oriente all’Occidente. » – Tale è l’uomo che con il suo entusiasmo fanatico si propose di cambiare l’universo. Eccitando tutti i sentimenti violenti, mise fuoco alle passioni per realizzare i suoi vasti disegni. La guerra tra le tribù d’Arabia, un gioco, un istinto, un bisogno ardente. Le brillanti energie del deserto avevano bisogno di lottare: Maometto diede loro il mondo da conquistare. Non sarebbe stato compreso se avesse parlato di carità e misericordia; il segno della sua dottrina era la spada, che chiamava la chiave del cielo e dell’inferno. Missionario barbaro, così come feroce sarà il suo ultimo successore, non ha si impadroniva anime, ma di corpi. Carnefice delle coscienze, ci si doveva inchinare alle sue favolose rivelazioni così come ci si dovrà inchinare davanti all’immagine del suo successore per adorarlo, o scegliere tra la morte e la servitù. I suoi discepoli non hanno mai pensato al pericolo; aveva detto loro che una goccia di sangue per la sua causa, che lui chiamava quella di Dio, una notte trascorsa sotto le armi, era meglio di due mesi di digiuno e di preghiera. – Aveva detto loro che nel giorno del giudizio, le ferite che avevano ricevuto avrebbero brillato di uno splendore celeste, esalando profumi, e che le ali degli angeli avrebbero sostituito le membra perse in battaglia. Nonostante tutto questo prestigio di gloria e questa presunta elevazione di Maometto al settimo cielo, la sua morte non fu più felice di quanto lo sarà quella del suo ultimo successore, il quale, dopo aver voluto salire in cielo come Enoch ed Elia, sarà precipitato nell’abisso. Sappiamo infatti che Maometto fu avvelenato a Medina nel 632, dopo aver fatto un pellegrinaggio alla Mecca alla testa di centoquattordicimila proseliti. Abbiamo appena visto alcune delle relazioni morali e caratteristiche che si possono stabilire tra i due uomini che il demonio ha scelto per perdere il genere umano dando luogo alle sciocche pretese del suo orgoglio, che è più antico del mondo, e imitando Dio nell’opera divina di redenzione. L’antico serpente ispirò così Maometto a spacciarsi per un profeta, promettendo di condurre gli uomini alle porte del paradiso: una grossolana impostura con la quale cercò di imitare Gesù Cristo negli atti della sua vita pubblica, ed è questa infernale opera che l’Anticristo continuerà e svilupperà in modo prodigioso, fino al punto di sedurre gli stessi eletti, se fosse possibile. Perché questi non si accontenterà del titolo di profeta, ma pretenderà addirittura di essere adorato e riconosciuto come Dio. Ci resta ora da stabilire le relazioni di date che uniscono questi due tiranni, e che Dio, sovrano Creatore e organizzatore di tutte le cose, sembra non aver stabilito invano nei suoi eterni decreti. Le conseguenze che si possono trarre moralmente da queste relazioni sono un prezioso avvertimento per la Chiesa; perché i fedeli, avvertiti in anticipo, non devono scandalizzarsi dei terribili eventi che il Signore si compiacerà di permettere per la maggior gloria del suo nome e per la prova dei suoi eletti. 1° Prendendo come base per questi calcoli l’anno della nascita dell’Anticristo (1855 1/2) indicato dal venerabile Holzhauser, e basandosi solidamente sui quarantadue mesi, cioè sui milleduecentosettantasette giorni e mezzo (Alcuni interpreti contano milleduecentosessanta giorni in quarantadue mesi, moltiplicando il mese per trenta giorni; quanto a noi, abbiamo fatto di questi quarantadue mesi, tre anni e mezzo, che corrispondono a milleduecentosettantasette giorni e mezzo, poiché un anno ne conta trecentosessantacinque.), di tutta la durata del regno dei musulmani in Palestina; Apoc, XI, 2, e basato sul numero della bestia 666. Apoc. XIII, 18, che rappresenta un numero di mesi che formano cinquantacinque anni e mezzo; all’anno di nascita dell’Anticristo (1855 1/2) va aggiunta la durata della sua vita (cinquantacinque anni e mezzo) e otteniamo la data della sua morte nell’anno 1911.
2 ° Da questa data 1911, bisogna sottrarre i milleduecentosettantasette anni e mezzo della durata dell’Impero Ottomano, e si ottiene l’anno 633 1/2, che può, storicamente parlando, essere considerato come l’inizio di questo potere, anche se Maometto morì nel 632. Allora, poiché i giorni dell’Anticristo saranno abbreviati di dodici giorni e mezzo, assumendo la stessa abbreviazione nella vita di Maometto, e facendo questa ulteriore sottrazione si arriva a al tempo dell’Egira che fu l’inizio del maomettanismo propriamente detto; così otteniamo il 621 e il l’Egira ebbe luogo nel 622. 3º Prendendo l’anno della vittoria dei Cristiani sui turchi da parte di Eraclio, 629 1/2, si aggiungono i milleduecentosettanta anni e mezzo del regno ottomano, e si ottiene, per contrasto, il tempo della sconfitta dei Cristiani da parte dell’Anticristo, sei mesi prima che egli entri nella pienezza del suo regno. Infatti, 1277 e 1/2 aggiunto a 629 e 1/2 è 1907.. Per capire queste relazioni di date, non dobbiamo dimenticare che il regno dell’Anticristo durerà tanti giorni quanti anni durò l’impero ottomano.
4. Sommando la differenza tra il giorno della nascita di Maometto, il 10 aprile, e il giorno della sua morte, il 17 giugno, otteniamo sessantotto giorni, ai quali dobbiamo sottrarre i dodici giorni e mezzo dell’abbreviazione. E contando questi giorni come anni, otteniamo che Maometto avrebbe vissuto lo stesso numero di anni dell’Anticristo, se anche i giorni di Maometto fossero stati accorciati di tanti anni quanti saranno i giorni del regno dell’Anticristo, e cioè otteniamo cinquantacinque anni e mezzo. Ora, se fosse possibile trarre una conclusione da tutte le connessioni di date trovate nelle vite di questi due tiranni, la più ragionevole e utile, secondo noi, sarebbe la seguente: Poiché Maometto ha iniziato la sua vita pubblica all’età di quarant’anni, saremmo giustificati nel credere che l’Anticristo comincerà a far sentire la sua presenza alla stessa età, cioè verso l’anno 1896.
(Ricordiamo le tre profezie sopra citate, in cui Dio prolunga di un altro secolo il tempo assegnato al demonio per combattere la Chiesa ed il Cristianesimo – ndr. -).
§ II.
Dell’apertura del tempio, del tabernacolo, della testimonianza prima dell’ultima desolazione.
CAPITOLO XV- VERSETTO 5-8.
Et post hæc vidi: et ecce apertum est templum tabernaculi testimonii in cælo, et exierunt septem angeli habentes septem plagas de templo, vestiti lino mundo et candido, et præcincti circa pectora zonis aureis. Et unum de quatuor animalibus dedit septem angelis septem phialas aureas, plenas iracundiæ Dei viventis in sæcula saeculorum. Et impletum est templum fumo a majestate Dei, et de virtute ejus: et nemo poterat introire in templum, donec consummarentur septem plagæ septem angelorum.
[Dopo di ciò mirai, ed ecco si aprì il tempio del tabernacolo del testimonio nel cielo: e i sette Angeli che portavano le sette piaghe, uscirono dal tempio, vestiti di lino puro e candido, e cinti intorno al petto con fasce d’oro. E uno dei quattro animali diede ai sette Angeli sette coppe d’oro, piene del- l’ira di Dio vivente nei secoli dei secoli. E il tempio si empì di fumo per la maestà di Dio e per la sua virtù: e nessuno poteva entrare nel tempio, finché non fossero compiute le sette piaghe dei sette Angeli].
I. Vers. 5. – E dopo questo vidi, ed ecco, il tempio del tabernacolo della testimonianza era aperto nel cielo. Qui inizia la testimonianza sigillata con il sangue dei martiri della fine dei tempi. Questi martiri predicheranno su tutta la terra la fede in Gesù di Nazareth crocifisso, contrariamente alla falsa dottrina che apparirà in quel tempo, e il cui scopo sarà quello di far credere al mondo che Cristo non è Gesù di Nazareth crocifisso, venuto sulla terra molti secoli prima; ma che il Cristo sia apparso di recente, e che è nel deserto, cioè in Giudea. Perché la Giudea è la corte fuori dal tempio; è un deserto che le acque salvifiche del Battesimo e il sole vivificante della fede hanno lasciato sterile; è anche il luogo più appartato della casa, cioè Gerusalemme, che era, e sarà soprattutto allora, il luogo più appartato della casa d’Israele. (Matth., XXIV, 23): « Allora se qualcuno vi dice: ‘Ecco, il Cristo è qui o là’, non credeteci. Perché sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti, e mostreranno grandi segni e prodigi, in modo da ingannare, se fosse possibile, anche gli eletti. Lo prevedo in anticipo. Se dunque vi dicono: Ecco, è nel deserto, non uscite. Ecco, è nella parte più remota della casa; non crederci. ». E dopo questo ho visto. Qui San Giovanni annuncia una visione, diversa da quella descritta nel penultimo capitolo. Ed ecco, il tempio del tabernacolo della testimonianza era aperto nel cielo. Questo tempio rappresenta: 1° Le verità della fede preziosamente conservate nella Chiesa di Gesù Cristo designata dal cielo. Ora il tempio del tabernacolo che contiene queste verità sarà aperto: a) in cielo, mediante i doni di Dio e l’invio dei sette Angeli; specialmente Enoch ed Elia; b) e sulla terra, cioè nella Chiesa militante rappresentata anche dal cielo. Queste verità di fede saranno allora pubblicate in tutto l’universo, e coloro che le predicheranno ne daranno testimonianza con il martirio e i miracoli. 2° Questo tempio del tabernacolo della testimonianza rappresenta anche il cuore e la mente della Chiesa, e il sacerdozio, specialmente i predicatori e i dottori. E questo tempio sarà aperto nel cielo propriamente detto, attraverso la comunicazione delle grazie e dei doni che lo Spirito Santo fornirà alla Chiesa militante per la grande opera di quest’ultima testimonianza. – 3º Questo tempio ricorda il tabernacolo della testimonianza in cui erano conservate la legge e le tavole della Legge. Questo tempio, e specialmente il suo santuario, nel quale erano conservate le tavole della Legge, è una perfetta rappresentazione del luogo sacro abitato dai Santi, e dal quale i sette Angeli verranno a vendicare la legge del Signore, ingiustamente violata dagli uomini.
II. Vers. 6. – E i sette Angeli uscirono dal tempio, portando sette piaghe; erano vestiti di puro lino bianco e si cingevano il petto con cinture d’oro. 1º Questi sette Angeli che portavano le piaghe sono tra gli spiriti che, come abbiamo visto nel capitolo I, 4, stanno in piedi davanti al trono di Dio. Essi usciranno dal tempio, cioè dal santuario celeste, e porteranno le sette piaghe di cui si parla in seguito, e presiederanno all’apostolato della fine dei tempi. 2° Questi sette Angeli rappresentano l’universalità dei predicatori e dei dottori che percorreranno la terra verso la fine dei secoli, con Enoch ed Elia alla loro testa, per rafforzare gli uomini nella fede in Gesù crocifisso, per testimoniare la verità del Cristianesimo, per mettere in guardia i fedeli contro l’ultima e più abominevole delle eresie, e infine per castigare il mondo incredulo, o per incutere timore dei giudizi di Dio con le piaghe che sarà dato loro di diffondere sulla terra. Erano vestiti di puro lino bianco. Queste parole si riferiscono chiaramente al sacerdozio il cui abito principale è l’alba. Si dice che questa veste sia fatta di puro lino bianco, a causa della purezza e della semplicità che deve sempre essere l’ornamento principale del sacerdote. Questa alba è chiamata abito, perché veste effettivamente il sacerdote nelle sue funzioni sacre, e copre il suo corpo dalla testa ai piedi. E cinti il petto con cinture d’oro. Queste cinture d’oro designano anche, e in modo ancora più speciale, il sacerdozio, e specialmente gli ultimi apostoli della fede, che saranno rivestiti della giustizia, della forza e della carità di Dio per dare più efficacia alla loro parola sacra. 1° Gli ultimi apostoli saranno effettivamente rivestiti di giustizia, perché saranno santi e praticheranno e predicheranno la giustizia e la verità; e la giustizia è rappresentata nella Scrittura da una cintura. Isaia XI: « La rettitudine sarà la cintura dei suoi lombi ». 2 ° Forza, la cintura di cui questi Santi saranno rivestiti per esercitare la potenza di Dio sulla terra, e per riportare gli uomini alla verità, o per mantenerveli. (Isaia, XXII, 21): « Lo rivestirò con la tua veste, lo onorerò con la tua cintura, il tuo potere passerà nelle sue mani. « 3° La carità, designata dalle parole, cintura d’oro; perché l’oro figura la carità provata, ed anche la purezza di cui questi santi saranno adornati. « 4° La cintura rappresenta nella Scrittura la castità sacerdotale di cui saranno rivestiti questi apostoli destinati al martirio, Apoc. XIV, 4: « Questi non si sono contaminati con donne, perché sono vergini. » 5° Infine, la cintura rappresenta la penitenza che questi santi praticheranno e predicheranno. Questa cintura è anche chiamata cilicio. Questi santi porteranno i loro cinti d’oro sul petto, perché testimonieranno la verità, la giustizia e la santità di Dio sulla faccia della terra, e perché le virtù cristiane di cui saranno i difensori serviranno loro come armatura. Si sa in effetti che le antiche corazze erano un tempo formate da fasce o cinture di cuoio forte e flessibile allo stesso tempo.
III. Vers. 7. – E uno dei quattro animali diede ai sette angeli sette coppe d’oro piene dell’ira di Dio che vive nei secoli dei secoli… Uno dei quattro animali, cioè uno dei quattro evangelisti a nome di tutti, diede ai sette Angeli sette coppe d’oro piene dell’ira di Dio. Con queste parole, San Giovanni indica il motivo e l’occasione per cui i sette Angeli che rappresentano il sacerdozio e l’apostolato riceveranno delle coppe d’oro piene dell’ira di Dio. Questo motivo e questa occasione sono le verità di fede contenute nel Vangelo, che la nuova eresia attaccherà e che questi apostoli dovranno difendere. San Giovanni cita solo uno dei quattro evangelisti che distribuiscono queste sette coppe dell’ira di Dio; è per rappresentare meglio l’unità e la perpetuità della fede che questi ultimi predicatori predicheranno. Infatti, essi attingeranno la loro dottrina dalla stessa fonte dei primi Apostoli, cioè da Gesù Cristo; ed è da questa unica fonte che essi otterranno anche i mezzi per accreditare e corroborare la loro parola divina. Questi mezzi saranno le piaghe miracolose che sarà dato loro di riversare sugli uomini per mantenerli, con il timore dei castighi, sulla via della verità che era loro nota, come i primi Apostoli vi attiravano coloro che non la conoscevano, con miracoli d’amore e con la speranza delle ricompense. E uno dei quattro animali diede ai sette angeli sette coppe d’oro piene dell’ira di Dio. Con queste fiale d’oro, San Giovanni designa il contenitore per il contenuto, cioè le piaghe in questione in questo capitolo. Queste coppe d’oro indicano la causa dell’ira di Dio e questa causa sarà l’orribile eresia di questo tempo, chiamata l’abominio della desolazione. Perché la coppa d’oro rappresenta la Passione di Gesù Cristo ed il Santo Sacrificio della Messa, la cui memoria l’Anticristo cercherà di cancellare, anzi la cancellerà del tutto secondo Daniele, XII, 11: « Dal momento in cui il sacrificio perpetuo sarà abolito e l’abominio sarà messo nella desolazione, ecc. » – Queste coppe d’oro richiamano anche l’idea della carità, perché è a scopo di carità e per preservare le anime dalla morte eterna che gli ultimi apostoli affliggeranno gli uomini nelle cose transitorie e periture di questo mondo. Questo, almeno, è il pensiero che emerge dalle ultime parole del testo: Che vive nei secoli dei secoli. Questo passaggio indica l’eternità di Dio e le punizioni eterne di coloro che rifiutano di sottomettersi alla penitenza temporale predicata o inflitta loro nelle ultime piaghe. Infine, queste coppe d’oro alludono alla coppa che veniva usata nei tempi antichi nelle grandi feste, e dalla quale dovevano bere tutti coloro ai quali veniva presentata; e la Scrittura usa spesso questa coppa per rappresentare l’ira e la vendetta divina. Vedi Isaia, II, 17 , 22 e Geremia, XXV, 15 , ecc.
IV. Vers. 8 – E il tempio si riempì di fumo, a causa della maestà e della potenza di Dio; e nessuno poteva entrare nel tempio fino a quando le sette piaghe dei sette Angeli fossero consumate. Il tempio qui rappresenta la Chiesa militante, e questo tempio sarà riempito di fumo, a causa della maestà e della potenza che Dio manifesterà con le piaghe di cui parla. Queste ferite saliranno come un grande fumo dal grande fuoco della carità di questi apostoli animati e illuminati dallo Spirito Santo. Queste ferite sorgeranno anche dal grande fuoco dell’ira di Dio per purificare i buoni e per castigare i malvagi nel tempo e nell’eternità. Questo confronto del fumo è davvero ammirevole! 1° Il fumo che esce dal fuoco si diffonde e si espande nell’aria. 2°. È visibile e tocca i sensi; attira l’attenzione degli uomini, soprattutto se è grande, e oscura e acceca coloro che ne sono avviluppati. 3°. Mette a disagio gli uomini e può anche farli morire asfissiandoli. 4. È transitorio e si dissipa con il tempo, specialmente se si alza un forte vento. 5°. Eccita le lacrime. 6° Infine preserva le carni dalla corruzione. Ora, tali saranno perfettamente gli effetti di queste ultime piaghe, che saranno come un grande fumo che il grande vento della tribolazione dell’anticristo spargerà sulla terra per permesso di Dio. È sufficiente considerare ogni punto in particolare per convincersi dell’esattezza di questo confronto. Questo fumo si diffonderà ed espanderà in modo tale che uscirà anche dall’immenso tempio della cristianità e raggiungerà il cortile del tempio, cioè il regno stesso dell’Anticristo: Apoc. XVI, 10: « E il quinto angelo versò la sua coppa sul trono della bestia, etc. » 2° Esso sarà visibile e disturberà talmente gli uomini su tutta la terra al punto da farli morire in gran numero. Apoc. XI, 10: « Questi due profeti tormenteranno coloro che abitano la terra, etc. » 3º Queste piaghe, in quanto sono temporali, saranno passeggere, e dureranno solo fino alla fine del regno dell’anticristo, la cui rovina sarà consumata dall’ultima di queste piaghe. 4° Esse strapperanno lacrime di dolore o di rabbia ai malvagi e lacrime di penitenza ai buoni. 5° Preserveranno molti dalla corruzione; perché attireranno l’attenzione dei buoni, che ne comprenderanno e sapranno apprezzarne la causa, e oscureranno la comprensione dei malvagi, che non capiranno i disegni di Dio infinitamente giusto e misericordioso, Dan. XII, 10: « Molti saranno eletti e purificati, e provati come dal fuoco; e gli empi agiranno con empietà, e tutti gli empi non capiranno; ma i saggi intenderanno. » E il tempio si riempì di fumo, a causa della maestà e della potenza di Dio; cioè, quelle piaghe con cui Dio manifesterà la sua potenza e maestà si estenderanno a tutta la cristianità rappresentata dal tempio. Troviamo una figura di questo fumo nella Scrittura, III. Reg. VIII, 10: « E quando i sacerdoti uscirono dal santuario, una nuvola riempì la casa del Signore. ». – E nessuno poteva entrare nel tempio finché le sette piaghe dei sette angeli non fossero consumate. San Giovanni vuole insegnarci con queste parole che i seguaci della bestia non potranno entrare nel tempio della fede cristiana per vedere i giudizi segreti di Dio, la cui maestà e potenza sarà manifestata ai buoni con queste sette piaghe, che quando queste piaghe saranno cessate e sarà giunto il momento in cui le nazioni si convertiranno e i Giudei diranno: Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Perché allora tutti gli uomini si convertiranno. Apoc. XVI, 11: « Hanno bestemmiato il Dio del cielo a causa del loro dolore e delle loro piaghe, e non fecero penitenza per le loro opere. » E cap. XI, 13: « Il resto fu preso da timore e rese gloria a Dio. »