I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (XIII)
LA VITA SPIRITUALE RIDOTTA A TRE PRINCIPII FONDAMENTALI
dal Padre MAURIZIO MESCHLER S., J.
TRADUZIONE ITALIANA PEL SACERDOTE GUGLIELMO DEL TURCO SALESIANO DEL VEN; DON GIOVANNI BOSCO
VICENZA – Società Anonima Tipografica; 1922.
Nihil obstat quominus imprimatur.
Vicetiæ, 24 Martii 1922.
Franciscus Snichelotto
IMPRIMATUR
Vicetiæ, 25 Martii 1922.
M, Viviani, Vic. Gen
TERZO PRINCIPIO FONDAMENTALE: L’amore a Nostro Signor Gesù Cristo
CAPITOLO XI
Vita gloriosa
L’aurora che sorse il giorno seguente al sabato di Pasqua non trovò più il Salvatore sepolto tra i morti alle radici del monte Calvario. Era risorto per incominciare la vita gloriosa, terzo ed ultimo stadio della sua vita d’Uomo-Dio, ricolmo al sommo di graziosa condiscendenza ed amabilità.
1. La risurrezione è il riunirsi di nuovo del corpo coll’anima, però non per la vita temporale di prima, ma per un’altra totalmente nuova e gloriosa. Il corpo, rivestendosi di proprietà somiglianti a quelle dello spirito senza lasciare di essere corpo, mutasi in altro essere affatto distinto e meraviglioso, capolavoro della sapienza e dell’onnipotenza di Dio tra le creature visibili, e questo per l’anima glorificata non è un semplice ornamento ed una decorazione, ma una sorgente di conoscimenti, di gaudio e di potere mai prima immaginata. Così risorse Cristo a questa nuova vita, ricolmo e pieno di gloria e chiarezza, manifestandosi anche nel corpo come vero Figlio di Dio, risplendendo sul suo volto la maestà divina, adornato delle doti di chiarezza. di beltà e d’immortalità. Chi potrà formarsi un’idea della bellezza e maestà di Cristo risorto? Tutte le ombre della sua vita mortale sparirono: la sua faccia brilla più risplendente che il sole; tutta la sua persona respira nobiltà, grandezza e perfetta pace; e siccome dall’intero creato ad ogni istante elevasi un mare di gaudio che va a rifrangersi nel suo Cuore, così Egli a sua volta diffonde un paradiso di felicità e di delizie nei cuori di quanti a Lui s’avvicinano. Tanto constatiamo nel Vangelo; la sua presenza rallegra tutti gli animi, la parola sua porta la calma in tutti i cuori, e dovunque Ei trovasi vi è un perpetuo festeggiamento. Un’occhiata di Cristo e il godere per brevi istanti della vita dell’umanità sua santissima bastano a renderci felici. La bellezza col seducente suo aspetto ha il potere di piegare il cuore umano. Ma, ahi! quante volte ripaga con disinganni, infedeltà e morte! Tutto il creato è soggetto a continui mutamenti ed a perpetua instabilità. Se vogliamo godere d’una bellezza vera, immortale, capace di renderci felici, leviamo la vista più in alto, contempliamo Cristo risorto. La risurrezione è con tutta proprietà la festa del suo corpo. L’anima fu glorificata nell’istante medesimo della morte; nella risurrezione lo fu soltanto il corpo, ed in una maniera completa e perfettissima. L’ascensione non Gli aggiunse nessuna interna gloria, ma solo l’esterna che risultava dal sito ove ascese: e così fu nella risurrezione dove cominciò l’immortale bellezza del Salvatore, la medesima che di presente forma la meraviglia del cielo e della terra. Per questo la Pasqua è realmente la festa della bellezza, quella che svela ai nostri desideri il campo d’una bellezza più nobile e imperitura, prototipo d’ogni bellezza, la cui speranza è già una ricompensa per chi rinunzia a tutte le bellezze terrene. L’ora del nostro sposalizio, dice uno scrittore cattolico, non è ancora arrivata; ma arriverà, e la felicità nostra sarà ricolma e sovrabbondante.
2. Dopo la risurrezione il Salvatore non salì immediatamente al cielo, ma rimase ancora quaranta giorni sopra la terra tra i suoi per tutto regolare e disporre, prendendosi cura di essi con una sollecitudine ed amabilità divina. Spesso ebbe a consolare separatamente i suoi discepoli e le pie donne, premiando i loro servigi o dando loro incarichi particolari; altre volte si occupò in ciò che riguardava la fondazione della Chiesa. Fu in questo frattempo che istituì i due Sacramenti del Battesimo e della Penitenza; rivelò e confermò le verità della fede circa i misteri della Santissima Trinità e della risurrezione, e diede compimento all’edifizio della Chiesa coll’istituzione del Primato. – E tutto questo il Signore operava con inesauribile bontà e dolcezza. Può affermarsi che i patimenti, la Passione e la morte, lungi dall’aver diminuito l’amore suo per noi, l’aveano accresciuto; tanto si mostrò Egli clemente nel consolare e perdonare le passate colpe. La Penitenza, il Battesimo, il Primato, l’Immortalità, che doni di Pasqua, regali divini per l’umanità. Quanto la risurrezione civile ci rivela la bellezza e la immortalità del Salvatore, altrettanto la sua permanenza di quaranta giorni sulla terra ci manifesta la sua bontà.
3. Sale infine il Signore trionfante al cielo. L’ascensione è il compimento della sua vita terrena, il principio e l’inaugurazione della sua gloria, poiché per essa entra in possesso del regno de cieli. Mèta più eccelsa e sublime non poteva avere la vita dell’Uomo- Dio. Il Salvatore conduce i suoi discepoli sul monte degli olivi e di lassù, alla loro presenza ascende maestosamente al cielo, lasciandoci intravedere qualche cosa di quel regno glorioso del quale prende possesso per noi. Il cielo è il felice termine di tutto ciò che esiste e l’ultimo messaggio che il Signore c’invia. Come grande e magnifico è questo suo regno! Regno nobilissimo, regno di soavissima e imperturbabile pace e di vera quiete; regno di gloriosa ed ininterrotta attività, per l’onore e la gloria del nostro Dio immenso ed infinito; regno finalmente d’inconcepibili e d’interminabili delizie. Quale onore e quale conforto di poter aspirare ad un tal regno coi suoi beni imperituri! Con quale ansia ed amore dobbiamo elevare verso il medesimo i nostri pensieri ed il nostro cuore, e indirizzare le nostre occupazioni e quanto siamo ed abbiamo onde conseguirlo! Il cielo è l’opera più eccellente del potere, della ricchezza, della bontà e dell’amore di Gesù Cristo; l’ascensione è la base fermissima della nostra fede, della nostra speranza e della carità nostra; Cristo è la stella del mattino che non conosce sera né tramonto; si elevò nella risurrezione e brilla nel cielo dal giorno dell’Ascensione, affinché allontaniamo i nostri pensieri, i nostri desideri ed il cuor nostro dalle cose mutevoli e fragili della terra e l’indirizziamo a Lui, in cui trovasi l’eterna e vera felicità nostra. – Di modo che il cielo, gaudio eterno ed infinito, è il compimento della vita temporale ed il compendio della vita gloriosa di nostro Signore Gesù Cristo. E così doveva essere; come Dio Egli è per essenza santo, esemplare e fonte d’ogni felicità e non può esserne privo senza cessare di essere chi Egli è. Come uomo è la copia più perfetta della divinità, causa, fondamento e signore della beatitudine del cielo, al di sopra d’ogni creatura. Ciò che patì sulla terra non fu che transitorio; l’assunse di sua volontà e lo sopportò per amore di Dio e nostro, ma non era questa, né poteva esserlo, la parte che di diritto Gli spettasse. Lo stesso avviene fra noi, creature, servi e fratelli suoi: i patimenti e dolori non sono il fine a cui sia indirizzata la vita nostra, bensì la felicità e la beatitudine. Non lo dimentichiamo: la felicità è la colonna miliare del Cristianesimo e l’ordine del giorno del nostro Duce, e nessun’altra disposizione conviene né a Lui né a noi. Ed è meraviglioso il potere e l’efficacia che ha comunicato a questa parola (felicità): essa ci rende coraggiosi ed invincibili, ci aiuta a superare tutte le difficoltà ed a risolvere tutti i dubbi e c’infiamma d’amore verso Colui che ripone l’onore suo e la sua gloria unicamente nella felicità nostra e nel nostro gaudio. « La vostra vita è la nostra via »; dice bene l’Imitazione di Cristo (L. 3, cap. 18), « e per la santa pazienza camminiamo verso di Voi, che siete la nostra corona ».
CAPITOLO XII.
II Santissimo Sacramento
Il Salvatore salì al cielo, e nondimeno, sappiamo per la fede che rimase altresì corporalmente sulla terra. Questa meraviglia si operò mediante il Santissimo Sacramento, la cui essenza consiste in ciò, che il Salvatore è realmente e veramente presente col suo corpo ed anima, coll’umanità sua e divinità, nascosto sotto il velo delle specie sacramentali, finché durano queste. Il Santissimo Sacramento è la catena d’oro che unisce in istretto vincolo la terra al cielo.
1. Questo ci porta, naturalmente, a considerare uno dei fini della sua istituzione, la permanenza, cioè, di Gesù Cristo qui sulla terra. L’amor suo fu più forte che la morte. Prima che i suoi nemici riuscissero a levarlo dal mondo, togliendogli la vita, Egli aveva già istituito quest’altra maniera di presenza sacramentale; la quale, pel modo che si verifica è veramente ammirabile. Per essa può trovarsi contemporaneamente in cielo ed in migliaia di tabernacoli; per essa apparisce ai sensi come morto e come pane senza nulla perdere perciò della sua vita, della sua perfezione, della sua bellezza; per essa apparisce così piccolo, che può stare nella mano d’un fanciullo; mentre i cieli non lo possono contenere: cose tutte meravigliose che solo l’amore ed il potere uniti realizzarono. Come perle di rugiada sopra un ramo di fiori, così i miracoli brillano nel Santissimo Sacramento, che è tutto un prodigio. Inoltre, colla sua presenza reale nell’Eucaristia Gesù Cristo ci si manifesta amabilissimo, pieno di bontà e capace di cattivarsi tutta la nostra confidenza. Di qual piccolo sito si contenta! Quanto poco ci domanda! Unicamente che Lo riceviamo e ci alimentiamo di Lui; in tutto il resto si rimette all’amor nostro ed alla nostra generosità. L’onore suo esterno è quello che siamo disposti a tributargli. Quando viveva fra gli uomini facevasi cercare da essi; ora è Lui che viene ad essi, fissa la sua dimora fra essi e li rende felici, non solo colla sua presenza ma anche co’ benefizi che la stessa trae seco, e colle tenerissime divozioni a cui dà origine. Come triste e solitario resterebbe il mondo, senza questo Sacramento!
2 Il Salvatore non solo rimane continuamente fra noi per farci compagnia nell’Eucaristia, ma si sacrifica per noi, che è il secondo fine della sua istituzione. – La continua presenza del Signore nel Tabernacolo suppone necessariamente la celebrazione della S. Messa, e questa è per sua essenza il Sacrificio della Croce e quello della Cena. La Messa è Sacrificio completamente identico a quello della Cena, ed in sostanza è il medesimo altresì della Croce; poiché non è un semplice ricordo o una rappresentazione di esso, ma la sua ripetizione, continuazione e consumazione, col medesimo Sommo Sacerdote, la medesima vittima ed il valore medesimo. Sono gli uomini che si cambiarono, e non sono oggi gli stessi che assistettero al Sacrificio della Croce e della Cena. E qui rifulge la degnazione di nostro Signore Gesù Cristo, il quale vuole rinnovare perpetuamente il suo Sacrificio, mettere, per così dire, in mano di ciascuno degli uomini i meriti suoi e rendere per ognuno a Dio il dovute tributo d’adorazione, di riverenza, di ringraziamento e di soddisfazione. Più ancora: adesso non offre Egli solo il Sacrificio come la prima volta, ma tra gli uomini sceglie dei sacerdoti, per offrirlo con essi e per mezzo di essi. Così fa realmente nostro il suo Sacrificio, comunicandogli valore infinito, col quale possiamo presentare a Dio un’offerta degna dell’infinita sua maestà. E non si stanca mai il Salvatore di rinnovare questo Sacrificio di lode, che a guisa del sole gira tutto il mondo, e da innumerevoli altari elevasi a Dio il suo odore soavissimo, da convertire tutta la terra in un vivo ed immenso tempio dell’Altissimo. Come ci ha arricchiti, altresì dinanzi a Dio, l’amore e la benignità di Nostro Signore Gesù Cristo! Con nessun altro mezzo consegue Dio così appieno e splendidamente il fine della creazione come colla santa Messa.
3. Però l’Eucaristia non è unicamente Sacrificio, ma anche Sacramento, e questo è il terzo fine dell’istituzione sua. Come Sacrificio appartiene in primo luogo a Dio, come Sacramento, a noi; per esso Dio ci comunica la grazia onde poter meritare la vita soprannaturale e salvarci. Questa vita soprannaturale la riceviamo nel Battesimo, e si conserva e vigoreggia con la divina Eucaristia. Negli altri Sacramenti Cristo ci comunica la grazia mediante segni sensibili; in questo si serve del proprio suo Corpo come istrumento di essa. Il Sacramento dell’Altare, quindi, è il Corpo di Gesù Cristo sotto le specie di pane ed in forma d’alimento. Che stupendo pegno d’amore! Il Santissimo Sacramento è nientemeno che il Corpo di Gesù Cristo, il quale ce lo dà ora e lo fa istrumento de’ suoi favori come in altro tempo valevasi delle mani sue divine per sanare infermi e risuscitare morti. Ma con maggiore degnazione, perché adesso ci dà il suo corpo, santuario della divinità e meraviglia del cielo e della terra, ed insieme col corpo, l’anima sua, la sua divinità, i suoi meriti, la sua grazia: tutto quello ch’Egli è e possiede fa nostra proprietà. Dove si troverà nel mondo uno così ricco ed onorato come chi porta in petto il suo Dio e Salvatore? Che di più avremmo potuto noi chiedergli, e che di più poteva Egli dare a noi? E se questo Sacramento è Gesù Cristo in persona, ne segue che è il più eccellente di tutti, e non solo in quanto alla sua dignità, ma altresì in quanto all’efficacia. La Comunione è l’intima unione corporale ed insieme morale con Cristo, e perciò supera tutti gli altri Sacramenti in efficacia per conservare ed accrescere in noi la vita soprannaturale. Come Cristo è la vita, così questo è il Sacramento della vita (Giov. VI, 56-57). Inoltre. sono suo effetto, in modo particolare, le virtù e i doni più eccellenti, quali la carità, la pace, il gaudio, la fortezza, la castità, la generosità. Mediante la Comunione noi partecipiamo della medesima vita divina di Gesù Cristo (Giov. VI, 58), ed insieme il nostro corpo riceve il pegno della sua gloriosa risurrezione. E tutti questi meravigliosi effetti sono magnificamente rappresentati nelle specie sacramentali del pane e del vino. Il pane ed il vino sono simbolo della vita; il nutrimento significa l’intima unione e fortezza; il banchetto è l’espressione della gioia e della cordiale amicizia. Infine, sotto qual altra forma avrebbe potuto il Salvatore mostrarci con maggior vivezza quanto sia tenero e disinteressato l’amore ch’Ei ci porta? Sapendo che non v’ha nulla che così intimamente si unisca a noi come l’alimento corporale, il quale entra e si trasforma nell’essere nostro e diventa una cosa sola con noi: e non potendo soffrire che vi fosse qualche cosa che a noi si unisse più strettamente che Lui, si converte in alimento dell’anima nostra e del nostro corpo. Ma possiamo dir meglio, che siamo noi che ci trasformiamo in Lui, anziché Lui in noi. Egli, l’Onnipotente, ci attrae a Sé per trasformarci spiritualmente in Sé e farci, per quanto è possibile, partecipi della sua divinità. Vedete questo frammento di pane, in apparenza senza vita? È egli possibile che tutta l’immensità di Dio voglia nascondersi, umiliarsi ed abbassarsi in questo modo? Ma Egli è così che consegue ciò che l’amor suo pretende: attrarre il cuor nostro per renderlo felice, per onorarci, per arricchirci. Che tenero e commovente pensiero questo, che non vi sia Ostia consacrata la quale non vada a finire nel petto umano!
4. Come si presenta grande, magnifico e divino, nei diversi effetti del Santissimo Sacramento dell’Altare, l’amore che Gesù Cristo ci porta! Come mantiene realmente la sua parola, di non lasciarci orfani, ma di rimanere sempre con noi, di essere Egli la vite e noi i tralci e che noi dovevamo formare con Lui un tutto organico! Mediante l’Eucaristia estende in certo modo l’Incarnazione sua a tutti i singoli gli uomini. Nell’Incarnazione prese solamente una natura umana; nella Comunione si dona a ciascuno in particolare e si unisce con Lui con istrettissimo vincolo. Per la creazione Gesù Cristo è nostro Padre; per la conservazione è nostro Nutritore e Maestro; e per la giustificazione è nostro Salvatore; ma pel Santissimo Sacramento è per noi qualche cosa di così indicibilmente intimo, che è difficile esprimere, se pur non vogliamo dire, che è tutto questo insieme. Ciò che in questa circostanza Lo mosse e determinò a così operare, fu non solo la sua compassione, la sua misericordia e bontà per noi, ma l’amor suo, amore disinteressato è senza limiti, amore che oggi altresì non s’arretra dinanzi a qualunque sacrificio. – Gli sarebbe bastato meno per mostrarcelo; bastava che fosse rimasto presente in un solo luogo del mondo, che ci avesse rallegrati con una sua visita sola una volta in vita nostra, e questa unicamente a favore di coloro che se ne fossero regni degni; sarebbe stato bastante che si trovasse presente puramente al momento di riceverlo; ma Egli rigetta tutte queste riserve, a costo di esporsi a mille irriverenze e sacrilegi. Non dimentichiamo il numero senza numero d’ingratitudini e mancanze di rispetto per cui deve passare onde venire sacramentalmente ai nostri cuori, e come Va chiamando alla nostra porta colle parole dello sposo del Cantico dei Cantici: Apri, sorella mia, amica mia, mia colomba, mia immacolata; perocché il mio capo è pieno di rugiada, ed i miei capelli dell’umido della notte (Cant. V, 2). Dove potremmo noi ripagare il Signore con maggiore facilità, per l’amore che ci porta, se non nel Santissimo Sacramento, nel quale divampa un tale incendio di carità che giustamente chiamasi Sacramento di amore? Per la presenza reale è sempre e dovunque con noi, per noi si sacrifica nella santa Messa, a noi si unisce intimamente nella santa Comunione. Qual motivo e quale eccellente mezzo per crescere nell’amor suo!
CAPITOLO XIII.
L’ ultimo mandato.
Le ultime parole d’un affettuoso amico che s’allontana da noi, d’un padre o d’una madre moribondi, s’imprimono nell’anima nostra e sono come un preziosissimo e sacro legato ed un pegno di benedizioni celesti. Per questo volle parimente il Salvatore prima della sua Passione lasciare ai suoi Apostoli e per essi a noi, il suo testamento in quel sublime discorso d’addio nel quale manifestò i più profondi segreti del suo cuore, e diede loro l’ultimo suo mandato, il quale sarà anche l’ultima parola di quest’operetta.
1. Quale fu questo mandato? Che quanti si amano davvero, desiderano ed esigono vicendevolmente, allorché devono separarsi colla persona, di rimanere sempre uniti nello spirito. Questo è altresì ciò che più volte e con grande affetto raccomanda il Salvatore ai suoi Apostoli al momento di lasciarli, ed insieme a noi: Rimanete in me (Giov. XV, 4, 6, 9).
2. Ma; come dobbiamo intendere quest’unione? Evidentemente il legame che deve tenerci uniti a Lui non può essere che spirituale; però, com’Egli stesso dichiara, è qualche cosa di reale, vero, vivo, non transitorio ma duraturo, qualche cosa che esca dal fondo del nostro cuore. Perciò si vale nel dichiararlo della bella e significativa parabola della vite e dei tralci (Giov. XV, 1 sgg.). I tralci sono uniti organicamente colla vite e formano con essa un tutto vitale. Così deve essere, in certo modo, l’unione nostra con Cristo, e tale è in effetto quella che si verifica per la grazia santificante. La grazia santificante è una qualità reale spirituale e permanente dell’anima nostra, partecipazione creata della natura divina ed immagine della filiazione divina. Essa ci fa spiritualmente figli di Dio, assomigliandoci così al Salvatore, il quale lo è per natura. Conservando noi la grazia santificante, si adempie perfettamente ciò che il Salvatore dice di questa unione, cioè, che Egli sta e rimane in noi, che siamo una cosa sola con Lui e con suo Padre, com’essi (Persone) sono tra loro una cosa sola (Giov. XVII, 24 sgg.). Il Padre ed il Figlio sono una cosa sola per avere la stessa natura divina, ma noi per la grazia santificante abbiamo una copia e somiglianza della natura divina, ed il suo possesso è l’elemento primo, essenziale e permanente dell’unione con Cristo, così com’è il fondamento di tutti i doni e le virtù che costituiscono la vita spirituale.
3. Questa grazia santificante, che ha sua radice nell’essenza dell’anima nostra, è accompagnata da forze ed aiuti soprannaturali, mediante i quali possiamo esercitare atti virtuosi. Sono tre le virtù che enumera il Salvatore e che manifestano l’unione nostra con Lui. – La prima è la fede, primo passo per avvicinarci a Dio, unendoci, cioè, a Lui mediante l’intelligenza, riconoscendolo e stimandolo, quale Egli ci si manifesta, come Dio e come nostro supremo ed ultimo fine. E per muoverci a quest’unione per mezzo della fede, il Salvatore adduce bellissimi motivi, quali sono il testimonio formale della sua divinità, il rimetterci ai suoi miracoli e, finalmente, l’imprescindibile necessità in cui ci troviamo di dipendere da Lui mediante la fede se non vogliamo essere tagliati fuori ma produrre frutti di vita eterna. Credete in Dio, credete anche in me… Chi vede me, vede anche il Padre mio. Non credete che Io sono nel Padre e il Padre è in me? Se non altro credetelo per le stesse opere (ai miracoli). In verità, in verità vi dico: Chi crede in me, farà anche egli le opere che fo Io, e ne farà delle maggiori di queste (Giov. XIV, 4, 9, 11, 12). Io sono la vite, voi i tralci: se uno si tiene in me, e io mi tengo in lui, questi porta gran frutto, perché senza di me non potete far nulla. Quelli che non si terranno in me, gettati via a guisa di tralci seccheranno (Ib. XV; 5. 6.). Quanto è necessario, quindi, che apprezziamo la fede, e quale non dev’essere la vostra premura di esercitarla, poiché è l’unico mezzo di tenersi stretti a Cristo, che è il centro da cui partono i raggi vivificanti della carità. Questa carità ed amore è il secondo e più adeguato mezzo d’unirci a Cristo, in quanto che è una inclinazione costante della volontà verso l’oggetto amato. Tenetevi nella mia carità (Giov. XV, 9). Molto consolante è l’avviso che ci dà qui il Salvatore, che l’amore consiste, non in una certa mozione sensibile e soave, ma nell’osservanza perfetta dei comandamenti di Dio (26. 44; 15, 24, 23, 24; 15, 40, 44) alla quale va unita la carità chiamata abituale. inseparabile compagna della grazia santificante, e che perdura in noi, unendo per tal modo la nostra volontà a Dio, purché non commettiamo un peccato mortale. Questa è la carità e l’amore che inculca il Salvatore; e adduce come motivi ad esso in primo luogo l’amore che il Padre ci porterà, se noi amiamo Lui. suo Figliuolo (Giov. XIV; 24, 23; XVI, 27) che c’inviò; in secondo luogo, l’amore ch’Egli stesso ci portò scegliendoci ad amici e comunicandoci la sua dottrina ed i misteri del cielo (Ib. XV. 45.), e dando la vita per noi Ib. XV, 13.); in terzo luogo, la promessa di singolarissime comunicazioni fatte alle anime amanti dalle tre divine Persone della Santissima Trinità (Ib. XIV, 23.), indicando con queste parole il profondo e soave mistero della grazia che, in diversi gradi, hanno da ricevere nel mondo le anime nella loro mistica unione con Dio, preludio ed aurora dell’amore e beatitudine del cielo. – Ma la fede e l’amore hanno necessità d’un mezzo efficace per comunicare con Dio e questo è la preghiera, terzo esercizio dell’unione nostra con Lui. La preghiera che il Salvatore raccomanda nel sermone della Cena è in strettissimo rapporto colla sua persona, poiché deve farsi in suo nome (XIV; 13, 14; XV; 16, 23, 26.). Prega in nome di Cristo chi sta intimamente unito a Lui mediante la grazia, chi unisce le proprie intenzioni a quelle del Salvatore per la gloria di Dio e la dilatazione del suo regno e, finalmente, chi offre le preghiere proprie per i meriti di Gesù Cristo. Questo è pregare in nome di Cristo. E quest’idea della preghiera, nelle intenzioni di Cristo, doveva essere per gli Apostoli una specie di compensazione per la di Lui assenza visibile. Ciò che per gli Apostoli era il trattamento con Gesù Cristo, questo vuole Egli che sia per noi la preghiera. Per mezzo di essa vuole istruirci, fortificarci e porgere rimedio a tutte le nostre necessità. Per questo disse agli Apostoli che fino allora non avevano chiesto nulla in suo Nome, perché stava con essi (Giov. XVI, 24), ma che in avvenire Egli concederebbe ad essi ed a noi tutti quanto Gli domanderemo in suo Nome. E l’efficacia della preghiera fatta in Nome di Gesù Cristo non ha limiti, poiché è la sua onnipotente preghiera (Giov. XIV, 14; XV, 16.): tanto è vero, che la preghiera fatta in suo Nome non ha nemmeno bisogno ch’Ei la raccomandi a suo Padre (Ib. XVI, 26). Questa preghiera è l’unione più intima con Lui, ed il più potente mezzo per l’esaltazione e dilatazione del suo regno. Può darsi motivo più forte, più bello e più nobile per animarci a pregare? – Questo è, dunque, l’ultimo mandato del Signore: che ci uniamo a Lui mediante la grazia, la fede, l’amore e la preghiera. È l’ultima e consolante manifestazione che ci fa, di amarci e di volere che l’amiamo; è l’ultimo suo sacro mandato, assicurato sulla sua parola; è l’estremo e più ardente suo desiderio. Come non lo riceveremo con quell’affetto e venerazione che si merita? Basta esso solo per unirci perfettamente a Cristo: la fede unisce l’intelligenza nostra alla sua: l’amore, la nostra volontà; la preghiera, la memoria nostra ed i nostri affetti. Così tutto l’uomo è unito a Gesù Cristo e diventa una cosa sola con Lui, di maniera che non sia l’uomo, che viva in sè ma Cristo in lui (Gal. II, 20). – Incominciammo quest’opera colla preghiera; e per l’amore che cerca Gesù Cristo nella preghiera ritorniamo al punto donde siamo partiti… La preghiera, l’abnegazione e l’amore di Dio, strettamente uniti tra loro, sono il triplice vincolo della vita spirituale e della perfezione cristiana per quanti desiderano conseguirla, sia che vivano liberi nel secolo, o ritirati nella pace della vita religiosa. Ma nessuno di questi mezzi deve mancare: dove non c’è preghiera, non vi può essere nemmeno la forza necessaria per vincere sé stessi e per conoscere ed amare Dio; e mancando l’abnegazione, verrà meno anche l’amore alla preghiera, è l’egoismo impedirà che metta radici e cresca l’amore di Dio: finalmente, chi non ama Dio, non può avere nemmeno lo spirito di preghiera e di sacrificio. Uniti i tre mezzi, aiutandosi reciprocamente, fanno conseguire la corona della giustizia. Di questi tre mezzi così intimamente intrecciati, il più eccellente è l’amore o carità (I Cor. XIII, 13), vincolo della perfezione e primo ed ultimo mandato del Signore, il quale ciò che propriamente da noi esige è amore, lasciando a noi la cura sul resto. Per l’amore Egli è il padrone assoluto del nostro cuore. Per l’amore non vi sono difficoltà, che anzi le converte in mezzi ed occasioni propizie onde manifestarsi. « Ama e fa quello che vuoi», dice S. Agostino (In epist. Joannis ad Parthos tr. 7, n. 8) e S. Giovanni: E noi abbiamo conosciuto e creduto alla carità che Dio ha per noi (I Giov. IV, 16). Tutto deve cedere dinanzi a questo amore di Gesù Crocifisso; Egli ha vinto il mondo. Come è infinitamente amabile Dio nostro Signore e Salvatore, e quanto degno d’essere corrisposto! Ci amò sino a dare la vita per noi e ci ama ancora in una maniera ineffabile; non è questo per noi, poveri e miserabili, bisognosi d’amore e di felicità, più che bastante? È così grande e desiderabile questo bene dell’amore, che non potremo mai fare abbastanza per conseguirlo: preghiamo sempre, perché non ci avvenga di essere sorpresi dalla morte senza averlo perfettamente conseguito. La cognizione e l’amore di Cristo è la più alta ricompensa che possiamo desiderare nel tempo e nell’eternità; infelice per sempre colui che in vita sua non godette mai un raggio di questa conoscenza ed amore. Conoscere ed amare Gesù Cristo è tutta la nostra sapienza, la santità nostra e la nostra felicità temporale ed eterna. E fosse pure tutta la nostra vita una croce continua ed in martirio, non ci scoraggiamo; ché degno di grandi patimenti è il premio cui aspiriamo. Certamente che colle consolazioni sensibili tutto ci viene reso più facile, però non più meritorio. L’amore di Dio, che in Cielo non incontra nessuna difficoltà, nel mondo, mentre viviamo solo di fede, lottando con frequenza contro gli ostacoli od i piaceri che c’impediscono di elevare il cuore a Lui mediante l’amore, è spesso una vera arte ed un modo eccellentissimo di onorarlo. – Confidiamo tuttavia; ché pur quaggiù deve venire il giorno in cui brillerà per noi, soave e dolcissima, la cognizione di Gesù Cristo, aurora dell’eterna beatitudine.
A. M. D. G.
NEC NON
B. M. V. I. ac S. I. EJUSDEM SPONSO