I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (XI)
LA VITA SPIRITUALE RIDOTTA A TRE PRINCIPII FONDAMENTALI
dal Padre MAURIZIO MESCHLER S., J.
TRADUZIONE ITALIANA PEL SACERDOTE GUGLIELMO DEL TURCO SALESIANO DEL VEN; DON GIOVANNI BOSCO VICENZA Società Anonima Tipografica – 1922
Nihil obstat quominus imprimatur.
Vicetiæ, 24 Martii 1922. Franciscus Snichelotto
IMPRIMATUR
Vicetiæ, 25 Martii 1922.
M, Viviani, Vic. Gen
TERZO PRINCIPIO FONDAMENTALE: L’amore a Nostro Signor Gesù Cristo
CAPITOLO V.
Il migliore Maestro e Direttore delle anime.
1. Giunto all’età perfetta, comincia il Salvatore la sua vita pubblica. Come Profeta e come Maestro era già stato preannunziato nella Scrittura, e l’insegnamento sosteneva la parte essenziale dell’ufficio suo di Redentore. Senza la fede è impossibile vivere rettamente e salvarsi. Abbiamo bisogno, quindi, d’un maestro, ed il migliore e più sapiente lo troviamo in Gesù Cristo nostro Salvatore. –
2. E certamente Egli aveva tutte le doti per insegnare. La prima è l’autorità. Istruire ed educare è in certo qual modo creare, potere che appartiene esclusivamente a Dio ed a chi Egli l’abbia comunicato. L’autorità del Salvatore non derivava dagli uomini, ma dalla sua stessa persona divina, e siccome era Sommo Sacerdote, così del pari era Maestro per natura. Tutto questo si dica della seconda dote, della scienza. Cristo è Dio, la Verità, l’Unigenito e la Sapienza del Padre, partecipe di tutti i secreti del cielo e del cuore umano. Quante volte, nel corso della sua predicazione, si valse di quest’interno conoscimento delle anime! La terza dote dell’insegnamento suo è l’efficacia, che anzitutto derivava dalla santità della sua vita, la quale già di per sé era un vivo insegnamento; seguiva, quindi, il potere di far miracoli, coi quali confermava irrefragabilmente la propria dottrina, ed infine la grazia che a tutto questo aggiungeva per muovere i cuori, e rendere facile e soave l’adempimento de’ suoi precetti. Per questo Egli insegnava come avente autorità, ed i suoi insegnamenti erano d’un’efficacia incomparabile.
3. E che cosa insegnava il Salvatore? Anzitutto, ciò che voleva Dio che insegnasse, e ciò che era necessario ed utile per noi. C’insegnò a considerare Dio come Padre, e come nostro ultimo e beato fine; c’insegnò la preghiera, l’umiltà, l’abnegazione e la resistenza alla passione dominante, ed il modo di portare la nostra croce con rassegnazione ed altresì con gaudio; ci insegnò ad amare Dio sopra tutte le cose e con tutto il nostro cuore, ed il prossimo come noi medesimi. Questo è il compendio della sua dottrina: quanto potevamo aver bisogno in questo mondo per essere felici. E spargeva questi insegnamenti dovunque e di continuo a piene mani, e sebbene avesse potuto dirci di più all’infinito, volle farne riserva pel Cielo, perché avessimo il merito della fede. Lassù Egli ci comunicherà tutto, e senza pericolo di farci cadere in superbia. Gesù Cristo c’insegna la scienza, ma più ancora la sapienza, e la più alta sapienza consiste nel credere.
4. Il modo che adoperava il Salvatore nell’insegnare era, in primo luogo, con una tale chiarezza e semplicità, che persino i più rozzi ed i fanciulli potevano intenderlo; e nello stesso tempo con una profondità e con sì elevati sensi, che nemmeno l’intelligenza più acuta poteva, senza una sua spiegazione, penetrare sempre tutto il valore delle sue parole. In secondo luogo, istruiva con prudente moderazione e misura, senza dire tutto a tutti, e sempre a tempo debito (Luc. V, 35), per non sopraccaricare l’intelletto e la volontà degli uomini, o impor loro più di quanto avessero potuto portare. – Viene richiesto dal giovane ricco come poteva conseguire la sua salvezza, e Gesù Cristo passo passo lo va conducendo dai più semplici doveri all’osservanza dei Comandamenti sino ad indicargli i consigli (Matt. XIX, 16 sgg.). Agli Apostoli dice che non potevano ancora comprendere tutta la verità, ma che più tardi saprebbero tutto (Giov. XVI, 12). E quanta saggezza e prudenza dimostrò Egli nel rivelare la sua morte di croce ed il mistero della sua divinità! Finalmente, il Salvatore insegna con grande pazienza, spargendo instancabilmente la semente feconda della sua dottrina nei cuori, sebbene veda che di sovente va a cadere sull’aperto cammino o tra le spine, ed è calpestata o mangiata dagli uccelli, o non germina, o viene soffocata o dà il frutto con somma lentezza. Ma Egli non si stanca mai: ancora nella prima solennità di Pasqua il granellino della fede era caduto nel cuore di Nicodemo, ed aspettò di germogliare tre anni dopo, in seguito alla morte del Signore in croce, Quanto tempo spese nel formare gli Apostoli e renderli degni dell’ufficio a cui li aveva chiamati! Ed il risultato coronò magnificamente le sue fatiche, non soltanto per le anime di ciascuno di essi, ma per le anime insieme di tutta l’umanità; e se la Giudea, terreno pietroso, non ricevette la semente divina della sua parola, lo Spirito Santo a mezzo degli Apostoli la portò ai gentili e di essi formò un mondo cristiano; con scienza, civiltà, leggi ed arti cristiane. E prosegue l’opera sua il Salvatore, mediante la predicazione, convertendo le anime, insegnando agli ignoranti, infondendo il conforto e la letizia nei cuori (Sal. XVIII, 8).
5. Abbiamo bisogno di verità, di luce e di grazia; abbiamo bisogno d’un maestro che ci guidi: dove trovarlo se non in Gesù Cristo? Egli è nostro Dio, e come ci trasse fuori dal nulla, così continua a formarci e ad educarci; Egli è il Signore della nostra coscienza e conosce le nostre debolezze e la suscettibilità nostra di essere educati; Egli sa renderci perfettamente felici, ha la pazienza di sopportare l’incostanza nostra e la nostra miseria; tiene a sua disposizione grazie potenti, per compiere l’opera sua felicemente. Cerchiamolo come Nicodemo, come Pietro, come Andrea, come Natanaele, i quali trovarono in Lui il Maestro sapientissimo inviato da Dio, il Signore della loro coscienza, della loro vita, della loro felicità. Maestro, dove abiti? Gli domandarono; e immediatamente Lo seguirono e divennero suoi discepoli (Giov. 1, 37 segg.). Cerchiamolo, leggendo e meditando il suo santo Vangelo. Oh! il gran bene che si ricaverà dal sedersi ai piedi della Verità eterna e dall’ascoltarne le parole! E quando, come si apprende dal Vangelo, Dio medesimo viene agli uomini per portar loro la sua legge soave e vivificatrice e per rivelare agli stessi, con parole sublimi e semplici nello stesso tempo, i secreti del cielo, chi potrebbe dubitare che in esse non s’inchiudano verità d’una importanza immensa, spettacoli celesti meritevoli di tutta considerazione e tali da riempirci d’ammirazione e d’amore verso quell’intelligenza altissima e quel Cuore sapientissimo da cui questi insegnamenti scaturiscono? Lì abbiamo il Maestro più sapiente e guida delle anime; lì abbiamo Gesù Cristo che realmente ci conduce alla salvezza, alla sapienza ed alla giustizia dinanzi a Dio (I. Cor. IV, 30). Signore, a chi andremo noi? Tu hai parole lì vita eterna (Giov. VI, 69). Con questa risposta piena di fede e d’amore, allontanò Pietro i pericoli d’un’ora decisiva; la vittoria fu il risultato d’un’altr’ora felice, in cui seduto ai piedi del suo Maestro ascoltò attentamente le istruzioni sue. Rabbonì, buon Maestro, fu la parola con cui Maddalena, la discepola del Signore, lo salutò al vederlo la prima volta dopo risuscitato (Ib. XX, 16): unica parola, ma che comprende tutto quello che la Maddalena sa, sente ed è. Non si danno corrispondenze più belle, più nobili, più delicate né più commoventi di quelle che corrono tra il discepolo e 1’educatore, perché esse sono un complesso di rispetto, di gratitudine, di confidenza e d’amore.
CAPITOLO VI.
Il Figliuolo dell’Uomo.
Il sovrannome di Figliuolo dell’Uomo col quale i profeti preannunziarono il Salvatore (Dan. VII. 13 segg.) e che Egli diede a sé medesimo ripetute volte (Matt. XXVI, 64), non lo prendiamo qui nel significato di Messia, Figliuolo di Dio o capo dell’umanità, ma in quello di persona che sostiene la natura umana nel senso più perfetto ed elevato della parola. Il Salvatore è l’espressione e l’immagine del più amabile degli nomini. E questa amabilità rilevasi in tre cose principali.
1. La prima è che il Salvatore visse costantemente la vita ordinaria degli uomini. Non così San Giov. Battista, suo precursore e profeta la cui vita fu straordinariamente austera, rozzo il vestito e la sua dimora il deserto, senza che méttesse mai piede nelle città. La sua voce potente udivasi sulle rive del Giordano, attraendo là le moltitudini. Gesù Cristo, al contrario, abitò e visse tra gli uomini, trattando continuamente con essi come membro di una stessa famiglia e di una medesima società. Si sottomise parimenti a tutte le cure e le attenzioni, grandi e piccole, che porta con sé la vita ordinaria. Il suo primo riguardo fu per la religione; Egli, Verità eterna; Principio e Fine di tutti i doveri religiosi, si adattò alle prescrizioni d’una religione determinata, e, come pio israelita, compì ogni giustizia frequentando il tempio e la sinagoga. Più ancora: volle assoggettarsi anche alle pratiche di pietà secondarie e non rigorosamente comandate, e per questo si portò cogli altri ad udire la predicazione di Giovanni ed a ricevere il suo battesimo. Al dovere d’osservare la religione segue quello d’obbedire alle autorità, vincolo d’unione d’ogni umano consorzio; e nemmeno al Salvatore mancarono dei superiori, in famiglia prima, e nella vita pubblica, sia nazionali, sia stranieri; tutti i quali esigevano da Lui il tributo dell’obbedienza; ed Egli vi si sottomise come il più docile dei sudditi, e volle che nel Vangelo si facesse espressa menzione di questa sua soggezione alle autorità (Luc. II, 54), e nel processo che seguì il giorno della sua Passione, l’unica accusa da cui si difese fu quella di ribellione alle autorità costituite (Giov. XVIII, 37). Il lavoro è la terza condizione della vita sociale, ed il Salvatore lavorò sempre. Passò la maggior parte del suo vivere in un’umile e faticosa arte, guadagnandosi il pane colle sue proprie mani, e, nobilissimo tra i figli degli uomini. Facendosi il più fedele compagno degli operai. Né prende parte soltanto alle serie occupazioni ed al lavoro, ma anche alle liete effusioni d’uso comune. Già al principio della sua vita pubblica Lo vediamo presenziare ad una festa di nozze; e l’imbarazzo degli sposi lo commuove sì che opera il duo primo miracolo, convertendo l’acqua in vino, il giorno precisamente in cui fondavasi una nuova famiglia. A quanto pare, era costume in Terra Santa d’invitare al convito i dottori della Legge che andavano predicandola per le diverse regioni, ed il Salvatore non volle contrariare quest’usanza, ed accettava gl’inviti, quantunque sapesse che molte volte facevansi con intenzioni tutt’altro che rette ed aprissero la via a penosi compromessi ed a spiacevoli discussioni (Luc. VII, 36; XIV, 1), e conoscesse altresì che accettandoli veniva tracciato di mangiatore e bevitore (Matt. XI, 19). Perfino nella sua vita gloriosa, dopo la risurrezione, volle far uso delle costumanze della buona società, prendendo congedo da’ suoi discepoli con un banchetto (Att. 1, 4). – Per mantenersi nel grado ordinario degli uomini, il Signore nascose le straordinarie qualità della sua Persona. Così nascondeva la grazia e la beltà della sua giovinezza all’ombra d’una bottega di falegname in un piccolo villaggio, talmente che nessuno mai avrebbe potuto immaginare, nemmeno lontanamente, i tesori di sapienza, di potere e di santità ch’Ei possedeva. E dal momento che volle vivere in sì umile villaggio, avrebbe potuto almeno valersi dell’altissima sua intelligenza per molte cose, principalmente per la salvezza delle anime; ma non volle fare nemmen questo, ed anche della sua santità non manifestò se non quanto corrispondeva a un fanciullo o ad un giovane buono e pio. E tenne occulti talmente i suoi doni straordinari, che Natanaele, il quale abitava a poche leghe da Nazaret. non aveva nemmeno sentito parlare di Lui (Giov. 1, 46). Per questo, con molta ragione, s’impose il nome di vita nascosta agli anni che passò a Nazaret. Ma anche durante la sua vita pubblica, quando per tutte le parti correva la fama de’ suoi prodigi, non manifestò la sua sapienza, il suo potere e la sua santità se non nella misura che richiedeva il suo ministero, ed è infinitamente di più ciò che occultò agli occhi degli uomini. E se è certo che questa premura del Salvatore di voler apparire sempre eguale a noi ebbe per oggetto di darci esempio d’umiltà. molto più però procedette dal desiderio di cattivarsi l’amor nostro per la delicatezza ch’ebbe di non voler apparire da più di noi, poiché l’uguaglianza è la condizione necessaria ed il fondamento dell’amore.
2. Ciò che in secondo luogo fa vieppiù risaltare il bellissimo carattere del Figliuolo dell’Uomo, è l’attenzione e sollecitudine amorosa che sempr’ebbe per coloro che Lo circondavano e seguivano. Nella seconda moltiplicazione dei pani, non Gli sfuggì che molti erano venuti da lontano e pativano fame e stanchezza, e mosso a compassione diede ordine agli Apostoli che presentassero loro da mangiare (Marc. XIII, 2 segg.). – Fu sì vivo il sentimento che ebbe pel dolore di quella povera e desolata vedova di Naim che seguiva la funebre comitiva del seppellimento dell’unico suo figlio, che le venne in aiuto senza che nessuno ne Lo avesse pregato. In mezzo alle feste religiose ed al giubilo della seconda Pasqua, non si dimenticò dei poveri infermi della probatica piscina, ma passò a consolarli ed a guarire il più abbandonato di essi. – Che di più insignificante d’un pezzettino di pane? Eppure Egli medesimo ha comandato che Glielo domandiamo nel Pater noster; e nella moltiplicazione dei nani ordinò agli Apostoli che raccogliessero i frammenti rimasti. Quando scacciò la prima volta dal tempio i venditori, rovesciò le tavole dei banchieri, ma ebbe compassione dei colombi, e comandò di portarli fuori nelle loro gabbie (Giov. II, 16). Con questi riguardi e come amorevolmente si comportò col padre del povero muto, indemoniato (Marc. IX. 20) e coi fanciulli che gli Apostoli, per un riguardo alla di Lui Persona, volevano allontanarli! Nel giorno viù glorioso della sua vita, in mezzo alle acclamazioni di giubilo, il pensiero della futura rovina di Gerusalemme Lo commuove a tal punto da farlo versar lagrime. Sulla croce, tra le angustie e i dolori dell’agonia, ascolta i gemiti di pentimento del buon ladrone, pensa alla propria Madre e ne prende cura con tenerezza. L’inconsiderazione e la dimenticanza provengono sempre da poca previsione e da poco amore, e possono cagionare incalcolabili disgusti. Chi sa mantenere in tutto i dovuti riguardi, dimostra di essere prudente e di aver un buon cuore, e si merita perciò la nostra gratitudine e confidenza. Orbene, così fu il Salvatore.
3. Una delle qualità proprie d’un animo nobile è la gratitudine; e questa rifulge in un modo tutto proprio nella vita di Gesù Cristo. Come regalmente e divinamente ricompensava qualunque servizio e dimostrazione d’amore! Per un’ora nella quale Pietro mise a sua disposizione la propria barca affinché da essa predicasse, lo ripaga con una pesca miracolosa e col farlo pescatore d’uomini; in premio d’averlo confessato risolutamente per Figlio di Dio, lo costituisce Sommo Pontefice della Chiesa. Nicodemo riceve la grazia della fede pel piccolo incomodo che si prese d’andarlo a visitare nottetempo; Zaccheo, per essergli andato incontro alcuni passi, ha la fortuna d’averlo ospite in casa sua, e di ricevere insieme con Lui grazie straordinarie per la propria salvezza. Giusta una pia tradizione, la Veronica offrì il suo velo al Salvatore, perché si rasciugasse il sudore lungo il cammino del Calvario, ed ai soldati il vino mescolato con mirra che dovea servire a Gesù pel momento terribile della sua crocifissione, e come prova tenerissima di gratitudine essa riceve da Lui indietro il velo, su cui meravigliosamente era rimasto impresso il suo volto, e per far piacere all’anima compassionevole che Gli aveva preparato il vino mescolato con mirra e manifestarle la propria riconoscenza, ne gustò altresì anticipatamente alcune gocce, A S. Giovanni, in premio dell’amore che dimostrò seguendolo sino al Calvario. lascia come un legato preziosissimo sua Madre. Incoraggia e conforta le pie donne con parole della più tenera compassione. A Maria Maddalena in premio di ciò che avea fatto a di Lui servigio, promette, in ricompensa, la perenne memoria che dovea restare di essa, nella Chiesa (Matt. XXVI, 14). E finalmente, Lazzaro, il risuscitato, non è una splendida prova dei premi magnifici e straordinarî che possono sperare gli amici di Gesù?
4. Da ciò che si è detto vediamo quanto si manifesti amabile ed umano nostro Signore e Dio, come la sua maestà ci si presenti sotto la forma così attraente dell’umanità sua nobile e semplice, e come Egli cammini tra gli uomini quasi uno di essi, perché la sua vita non apparisce realmente se non come la vita ordinaria di tutti. Si direbbe che abbia voluto darci come un compenso della sua divinità e maestà incomprensibile. Poteva, chi sa, averci intimoriti con la magnificenza del suo potere, ed in sua vece vuole attrarci a Sé mostrandoci l’umanità sua amabilissima; il che è più che degnazione, è amore e tenerezza dell’eterna Verità, di cui sta scritto che prima istruì Giacobbe, suo servo, ed Israele suo prediletto: poi fu visto Egli stesso sulla terra e camminò tra gli uomini (Bar. III, 37-38).
CAPITOLO VII.
L’Operatore di maraviglie.
Il Salvatore era uomo nel più perfetto e vero senso della parola; ma era anche infinitamente più di quello che competesse alla natura che per noi avea preso, era l’Essere per eccellenza, poiché era Dio. La prova convincente ci viene data dai suoi miracoli, i quali nello stesso tempo parlano potentemente al nostro cuore, in tre distinte maniere, considerandoli in relazione alla fede, all’amore ed alla fiducia.
1. Innumerevoli sono i miracoli che operò il Salvatore nell’ordine invisibile degli spiriti e della verità, mediante le profezie, e nel mondo visibile, con prodigi d’ogni genere. Il fine a cui mirava nell’operarli, come ripetutamente lo manifestò (Giov. V, 36; X, 25; XI, 42), era di confermare con essi la sua dottrina acciocchè vi credessimo. La fede è il primo e più indispensabile requisito per conseguire la salvezza, ed il miracolo è il mezzo più semplice, più rapido e, per molti, l’unico che conduca alla fede. Imperocchè dove interviene un miracolo vero per confermare la dottrina, là è Dio che ne dà testimonianza, e ciò che dice Dio è verità infallibile. Ed è per questo che il Salvatore sì appella così di frequente e con tanta solennità ai suoi miracoli, come prova della propria dottrina e della propria missione, poiché tutto l’edificio della nostra fede si basa sulla realtà di questi miracoli. Da ciò possiamo dedurre di quale importanza siano per noi, e quanta riconoscenza dobbiamo a Gesù per essi. Ma è anche bello e sorprendente il nesso che passa tra i miracoli e la dottrina di Gesù. Molti de’ suoi insegnamenti Egli li conferma con un miracolo corrispondente. Io sono la luce del mondo, dice, e rende la vista ad un cieco; afferma che Egli è la risurrezione e la vita, e risuscita un morto; si dice pane di vita, e segue il prodigio della moltiplicazione dei pani; per provare che ha il potere d’infrangere le catene del peccato, sana il paralitico. Molti altri suoi miracoli sono immagini e predizioni di ciò che dovea succedere nella Chiesa. Così il ridonare la vista ai ciechi, l’udito e la favella ai sordo-muti, figuravano gli effetti del Battesimo; la guarigione dei lebbrosi ed il richiamo in vita dei morti erano figura del Sacramento della Penitenza; la moltiplicazione dei pani indicava l’Eucaristia; la navicella di Pietro rappresentava la Chiesa ed il Primato di San Pietro medesimo, di maniera che i miracoli erano altrettante manifestazioni della sua dottrina, delle0 sue opere e della sua persona. E questa bella ed intima correlazione e dipendenza tra i suoi insegnamenti ed i suoi miracoli, quanto rende evidente e fortifica la nostra fede, altrettanto serve ad accrescere poderosamente l’amor nostro verso Colui che con tanta sapienza, con tanta efficacia e sollecitudine così disponeva tutto pel bene nostro.
2: I miracoli di Gesù Cristo, inoltre, eccitano l’amor nostro; poiché ci rivelano non già il temibile suo potere, ma l’immensa carità sua. Venne il Redentore su questa terra per salvarci, e come Salvatore, dovea liberarci dal potere del demonio, il quale unitamente al peccato avea introdotto ogni sorta di miserie, anche corporali, infermità e con esse la morte. E questo tristissimo campo fu scelto dal Salvatore per manifestare il suo potere, e dinanzi a Lui fuggono tutte le calamità, i dolori, l’impero del demonio, la morte. I suoi miracoli insieme al carattere sovrumano e divino presentano la impronta della bontà e dell’amabilità più squisita, perocché tutti sono prove del più puro suo amore agli uomini, e per conseguenza stimoli poderosi affinché ci consacriamo all’amor suo. E questo carattere amabilissimo de’ suoi miracoli influisce dal canto Suo sulla fede; imperocché siccome la materia della fede è formata da verità che superano il potere dell’intelligenza nostra, interviene necessariamente la volontà per farcele accettare; ed i benefizi fatti da Cristo agli uomini per mezzo de’ suoi miracoli inclinano efficacemente la volontà ben disposta. Di buon grado prestiamo fede a coloro che ci dimostrano amore. E questo è il modo con cui la bontà del Signore, che risplende nei suoi miracoli, opera parimente sul terreno della fede e attrae a Sé tutto l’uomo mediante la fede e l’amore.
3. Finalmente 1 miracoli di Gesù Cristo eccitano in noi una somma fiducia. 1 miracoli sono per se stessi prova d’un potere infinito, e quelli di Gesù Cristo manifestano questo potere in una maniera chiarissima ed irrefragabile, dimostrando il dominio che ha sopra tutte le creature, razionali. ed irrazionali, sopra viventi e morti, sugli Angeli ed i demoni, quale supremo ed assoluto Signore di quanto esiste. Non c’è dolore, non disgrazia cui non possa porgere sollievo; le porte stesse dell’eternità sì aprono al suo comando. In qualunque necessità e tribolazione in cui abbia a trovarsi l’uomo può fare ricorso al Salvatore e dirgli: «Signore, sé volete potete venire in mio aiuto e salvarmi». – Una prova luminosissima è il fatto della risurrezione del giovane di Naim. Lo portavano già al sepolcro, e sua madre desolata seguiva il feretro. I numerosi amici non trovavano altri termini che ripeterle: «Non piangere. Arriva il Salvatore pronunzia queste medesime parole, ma insieme richiama in vita il figlio e 10 restituisce alla madre (Luc. VII, 13). E quando si trovò di fronte al sepolcro di Lazzaro, e le sorelle e gli amici del defunto ed una innumerevole turba che Gli si erano prostrati dinanzi piangevano, attendendo unicamente da Lui il rimedio nella loro afflizione, Sì commosse e versò lagrime Egli parimenti; ma non si arrestò alla pura compassione ed alle lagrime, Gesù per l’amico Lazzaro, operò infinitamente di più: lo richiama in vita, lo restituisce alle sorelle ed agli amici e muta in gaudio una sì grande tribolazione. Ecco il conforto che dà il Salvatore; ed Egli è l’unico che possa darlo. Espande il suo potere ed amore con prodigalità a favore di tutti, Egli che nessun vantaggio personale ritrae dai suoi miracoli. Orbene, anche adesso ha il medesimo potere e pari amore, e l’amor suo è onnisciente ed il suo potere infinito; chi sarà mai colui che credendo in Gesù Cristo ed amandolo non riponga in Lui tutta la sua fiducia? La morte è l’estremo male di questo mondo, ma Egli la vinse anche. e ci assisterà in essa colla sua vittrice grazia. Per questo conchiude sapientemente l’Imitazione di Cristo: « In vita ed in morte riponi la tua fiducia in Colui che mai t’abbandonerà, avvenisse pure che tutti t’abbandonassero ».