Le sette Effusioni Del Prezioso Sangue di G. C. Nel di della Festa. (*)
[D. Massimiliano M. Mesini, Missionario del preziosissimo Sague – Rimini, Tipog. Maolvolti, 1884]
INTRODUZIONE
Sì quis sitit, veniat ad me, et bibat.
Joan. VII.
(*) Incominciato il devoto Esercizio del Mese il primo Venerdì di Giugno, si termina la prima Domenica di Luglio, Festa del Preziosissimo Sangue. Esposto con solenne pompa il Sacramento, si fa il discorso d’introduzione. Un sacerdote annunzia al popolo ciascuna Effusione, e dopo terminato ogni breve discorso recita cinque Pater, e un Gloria col Te ergo quæsumus etc. Strofette in musica, commoventi, ed acconce si cantano negl’intermedi.
Quanto mai Gesù Cristo ama gli uomini! l’Evangelista Giovanni ci descrive questo innamorato Redentore, quando l’ultimo giorno delle feste sen venne in Gerusalemme, dove trattenevasi tra il popolo deliziandosi di far dimora con esso, benché già i suoi nemici pensassero di ucciderlo. Ben egli vedeva l’interno loro, ben conosceva i segreti e scellerati divisamenti, che alimentavano nella lor mente; non gli era occulto l’odio accanito, che covavano in cuore, e ben lo chiarì, tutto mitezza così interrogandoli: Perché cercate voi di uccidermi? Quid me quæritis interficere? Nondimeno stando Gesù ancora in mezzo al popolo, seguita Giovanni a farcelo vedere in aria dolce e compassionevole, che apre la benedetta sua bocca e grida: Se alcuno havvi, che sia arso di sete, venga da me e beva … si quis sitit, veniat ad me, et bibat. Ma di qual umore Egli qui parla? Secondo l’interpretazione di molti dotti e pii scrittori, egli allude a quel fiume di Sangue, ch’Egli stava per versare a compimento. della redenzione degli uomini. E di qual sete poi Egli favella? A qual sete vuol Egli recare rimedio? Versando Cristo il suo Sangue per mondarci da ogni peccato vuol Egli refrigerare quella sete ardente, che in noi accendono le smodate passioni, che sono, come febbri cocentissime, al dir d’Ambrogio: Vanis criminum febribus caro nostra languebat, et diversarum cupiditatum immodicis estuabat illecebris. Ah! sì pur troppo è nostra febbre l’avarizia, nostra febbre la libidine, nostra febbre la lussuria. Febris nostra avaritia est; febris nostra libido est, febris nostra luxuria est. Ah! pur troppo è nostra febbre l’ambizione; nostra febbre l’iracondia. A refrigerio adunque di quest’ardente sete, prodotta dalle cocenti febbri delle smodate passioni, ecco che Gesù Cristo con quelle parole tutti invita a partecipare del Sangue da lui sparso; ed a godere dei dolci frutti del gran Prezzo di nostra Redenzione: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat. Per questo venne già il Divin Sangue fin da remoti tempi figurato in quell’acqua, che sgorgò in larga vena dalla rupe presso l’Oreb per dissetare gli Ebrei, che camminavano per l’arenoso deserto, giacché niente havvi, che meglio refrigeri, quanto le freschissime acque di una fonte: Illis aqua de petra fluxit, tibi Sanguis Christi… Illud in umbra, hoc in veritate. Così S. Ambrogio. Ma il Sangue, che versò Cristo non farà poi altro che refrigerare la sete delle disordinate passioni? Ah! no; sarebbe questo troppo poco per un Sangue di un infinito valore qual è il Sangue d’un Uomo-Dio. Esso donerà ancora ristoro di grazia e di novella forza per l’acquisto delle più belle virtù, e della più elevata perfezione. E ve n’era certamente bisogno; ché troppo fiacche sono le forze dell’uomo dopo la caduta di Adamo, e non valevoli a far cosa, che loro compri l’eterna gloria: troppo è da faticare nel battere la via, che conduce alla perfezione, ed al cielo. Però quel Gesù medesimo, ch’altra volta avea detto: Venite omnes, qui laboratis, et onerati estis, et ego reficiam vos; oratutto pieno di pietà, di misericordia, e d’amore invita aricever questo conforto con quelle parole: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat; chè bevendo non si sente sol refrigerioall’arsura, ma ristoro, e rinfrancamento dal languoreche provavasi. Con questo preambolo adunque entriamo,o carissimi ascoltatori, nel pio Esercizio dello Sette Effusionidel Sangue Prezioso, e dalle diverse circostanze, chele accompagnarono, troveremo nelle prime quattro conche smorzare la sete ardente, che la febbre di smodatalibertà, di onori, di piaceri, di ricchezze cagiona: troveremonelle ultime tre il ristoro di forza, e di vigore, chebisogna per seguir Cristo portando la croce, ed arrivarealla perfezione. Ma lungi di qua, o profani. Lungi diqua, voglio dir voi, che abbeverandovi continuamente alleacque putride e fangose di Babilonia, di queste solo vicompiacete, a queste volete ostinatamente restar attacati, Lungi di qua voi, o increduli, che fate di Cristo una favola, od al più solo un uomo, togliendogli dal capo l’aureola della divinità; voi, che non avete di questo Sangue la fede, che vi bisogna, e senza di cui è impossibile piacere a Dio. Che potrebb’esso fare per voi, se voi lo disprezzate? Potrebb’esso a voi essere viva fonte di benedizioni, se voi lo maledite? Ah! che con voi non ha Gesù, che ripetere: Quæ utilitas in Sanguine meo? Ma che dissi io mai? Ah! vengano, vengano tutti avvivando un pò la lor fede, e con animo ben disposto; ed allora tutt’intenderanno bene, e sentiranno scendersi al core quell’invito di Cristo: Sì quis sitit, veniat ad me, et bibat; e dissetandosi col suo Sangue ne ricaveranno certo abbondante profitto per l’anima.
Effusione 1° di Sanque
Nella Circoncisione
Rimedio alla smodata sete di libertà.
Creato l’uomo ad immagine di Dio usciva egli dalle sue mani per tornare a lui, il quale com’era suo principio, così doveva essere suo ultimo beato fine. Intanto, mentre vive sopra la terra, a conseguire quel fine supremo. Iddio col lume stesso del suo volto, con cui l’ha segnato, ed accende la sua ragione, gli scopre quel fa il bene, fac bonum; quell’ordinem serva, osserva quell’ordine, ch’è il principio d’ogni moralità. A questo ha aggiunto la sua legge positiva, incisa sulla pietra, e tra lampi e tuoni là sulla cima del Sinai, che si scuoteva e fumava, pubblicata al tremebondo popolo d’Israello. Legge, che Cristo stesso venendo sulla terra ebbe di sua bocca confermata. A questa legge divina adunque. e naturale, e positiva deve sottostar l’uomo; a questa deve informar tutta sua vita. S’ei fu da Dio arricchito del nobile dono della libertà, chi vi ha che non vegga, che di questa non deve abusarsi a mal fare, ma deve ognora volgerla al bene, all’osservanza di questa legge, per istare sottomesso, com’è ben giusto, al Legislatore? Nondimeno cominciò Adamo a rompere il freno di questa legge; e la sua progenie avendo in sé trasfusi con quel primo peccato tutti i tristissimi effetti di quello, si sentì bruciar le vene da una febbre d’indipendenza, provò una sete cocentissima di libertà smodata. E per verità, come già Faraone a Mosè, che intimavagli a nome di Dio di lasciar în libertà il popolo Ebreo, ogni peccatore se non con le parole, certo coi fatti dice pieno d’orgoglio: Chi è questo Dio, che vuol signoreggiar su di me, e dettarmi legge, e farmi precetti? Che precetti, che legge, che Dio! Io non lo conosco: Nescio Dominum. (Es. V) Sono libero, e voglio viver libero. E così poi scosso il giogo, pronuncia inoltre quel non voglio servire, di cui a buon diritto si lamenta il Signore: Confregisti jugum, dirupisti vincula, dixisti: Non serviam. (Ger. II) Con orgoglio poi ben più matto frenetici di febbre di libertà oh! quanti ai giorni nostri professandosi per gente del progresso, cioè senza fede, non ammettono Dio, e per conseguenza non ne accettan la legge. Libero pensatore, se mai qui m’ascolti, tu, che non vuoi freno di sorta in fede ed in morale, e ammetti solo quel che ti detta il tuo capriccio, sai tu a chi Giobbe te proprio, più, che altri, assomiglia? Ad uno stolido puledro di giumento selvatico, che non avendo freno, né riconoscendo padrone con erto il collo va vagando per la foresta: Vir vanus in superbiam erigitur, et tamquam, pullum onagri se liberum natum putat. (Job. XI) Ma buon per noi, che quest’ardore di libertà sfrenata è venuto Gesù a refrigerare, e guarir col suo Sangue. Venite qua tutti ed avvivando un pò la vostra fede con cuor ben disposto considerate il Salvator vostro in pargolette membra umane. Guardate; egli è il Figliuol di Dio e però Dio egli stesso, il Re dei re. Nondimeno vestendosi di carne mortale si esinanisce, e piglia la forma di servo: Exinanivit semetipsum, formam servi accipiens. (Filip. II) E questaforma di servo vuol far meglio apparire vagendo bambino Egli, ch’era la stessa Sapienza; ridotto alla debolezza di tenero corpicciuolo Egli ch’era la stessa Onnipotenza. Di più vuole assoggettarsi alla legge della circoncisione, a cui non era certamente tenuto. Dovean circoncidersi i figli prevaricatori di Adamo prevaricatore. Ma a che la circoncisione in Gesù, in cui non era verun neo di colpa, ch’era anzi la stessa Santità? Assoggettandosi poi a questa legale cerimonia veniva ad obbligarsi, come Uomo, all’osservanza perfetta di tutta la legge, giusta quel di S. Paolo: Testificor… omni homini circumcidenti se quoniam debitor est universæ legis faciendæ. (Galat. V) Etutto questo perché mai Egli compie se non per nostra istruzione, ed esempio? Per nostra istruzione, ed esempio sottomette il suo tenero corpicciuolo a quel vaglio doloroso.N’è anzi bramosissimo. Quanto gli tarda, che venga alfine il momento! Quante volte in quei primi otto giorni di sua vita mortale va ripetendo quelle parole, che furono a lui riferite dall’Apostolo Paolo: Corpus… aptasti mihi… tunc dixi: Ecce venio. (Hebr. X) Tu mi hai dato, o Padre celeste, un corpo perch’Io patisca: eccomi pronto, eccomi pronto a versare anche il Sangue: Tunc dixi: Ecce venio. Su via, cali dunque l’affilato coltello,e Gesù grondi Sangue. O prime stille preziose, preludio. di quel molto Sangue, che in avvenire sarebbe poi sparso, io umilmente vi adoro! In vedervi sparse con tanta umiliazione chi non si sentirà dar giù ogni ardore di libertàsfrenata? Chi non imparerà la soggezione, e l’osservanzadella legge da tanto esempio? Sì, o Gesù, vogliamo viverea voi soggetti, ed il vostro Sangue ci donerà ancorala grazia a ciò necessaria. Così noi avremo la vera libertà dei figliuoli di Dio, franchi dalla schiavitù dell’inferno, liberi di quella libertà, che voi ci donaste: Qua libertate Christus nos liberavit. (Gal. IV).
Efusione II°. di Sangue
Nell’Orto del Getsemani
Rimedio alla smodata sete di grandezze.
All’Orto del Getsemani, uditori, andiamo all’Orto del Getsemani, dove Gesù recasi dopo terminata l’ultima cena. Già è arrivata quella notte funesta, in cui Egli deve darsi in balìa de’ suoi nemici; già è arrivato il tempo di quel battesimo di Sangue, di cui favellava sì spesso con grande commozione del suo cuore, ed a cui anelava ardentemente: Baptismo habeo baptizari, et quomodo coarctor usque dum perficiatur? Siccome la colpa incominciò nell’Eden tra le piante amene di quell’amenissimo luogo, così Gesù volendo riparar tutto con la redenzione, anche nelle più tenui circostanze, incomincia la sua passione nell’Orto del Getsemani avanzandosi tra il più folto delle piante degli ulivi. Là nell’Eden avea l’uomo peccato per superbia volendo farsi simile a Dio col prestar fede alle false promesse del Serpente: eritis sicut Dii. Qui nel Getsemani Gesù si umilia, si abbassa, quanto mai può abbassarsi un Uom-Dio, facendo la figura di peccatore. Maladetta superbia! Te vedeva il Redentore attecchire nei cuori di tutta la schiatta del primo Parente prevaricatore. Quanta vanagloria di ciò che non era infine che dono di Dio! Quanta jattanza ed arroganza nelle parole! Quant’orgoglio nel tratto! Che ambizione d’onori e dignità, tanto più grande, quant’era più piccolo il merito! Maledetta superbia, te vedeva nei filosofi sprezzar la stessa rivelazione, e te. udiva pronunciare quelle ardite parole: La ragione basta a sé stessa. Vedea quinci germogliare, qual malefica pianta, quella scienza, che tanto va più tronfia, e si accatta plauso, quanto più fa pompa di ateismo, ed esclude Iddio, e Cristo. Sì, tutto questo vedea il Redentore; ed ecco che si accinge a portare il rimedio, opponendo a tanta alterigia la più profonda umiltà. Caricatosi di tutti i peccati degli uomini per offrirsi egli vittima per tutti al Padre, non disdegna di apparire l’ultimo dei mortali, novissimum virorum; non dubita di divenir Egli la stessa maledizione: Factus pro nobis maledictum. Ma, oh Dio! quanto di pene gli costa questo abbassamento! Coperto della più gran confusione, tutto acceso di rossore nel volto, trema a verga a verga in tutto il corpo, e si prostra con la faccia per terra, ché più non osa di levarla al cielo. Si sente occupar l’anima da una tristezza mortale: Tristis est anima mea usque ad mortem; chè innalzato ha la Giustizia di Dio come un muro di divisione tra la parte superiore, ed inferiore dell’anima, per cui non più il gaudio ha questa della visione beatifica, che quella gode. Parla col Padre, ma non più con quella confidenza, ch’avea altre volte. Altre volte, quando volea operare anche i più stupendi prodigi, dicea: Padre lo voglio: Pater volo. Ora: Padre, se è possibile, passi da me questo calice. E poi ben tosto con uno sforzo generoso l’accetta, sottomettendosi alla volontà di Lui. Ma che stretta ei prova in suo cuore! Agonizza, cade bocconi al suolo; e per la piena dei tempestosi affetti, che intorno si serrano al suo cuore, e gli fan groppo; tanto questo si ristringe, che non potendo aprire per i suoi seni il varco al Sangue, da sè lo respinge; ed il Sangue rigurgitando, impedita la libera circolazione, per non usate vie trasuda da tutto il corpo: Factus est sudor ejus sicut guttæ Sanquinis decurrentis in terram. (Luc. XXII) Uditori, mirate di quel Sangue imporporate l’erbose zolle, inzuppato tutto il terreno.Ah! se voi pure una febbrile sete accende di grandezze, di onori, d’un vano sapere, di fasto immoderato, a cui la vostra superbia aspira, qua venite a sedarla nel Sangue da Gesù sparso fra tante umiliazioni. Sentite le voci di Gesù, che v’invita: Si quis sitit, veniat ad me; et bibat. Venite; ché quel Sangue è pieno di divina virtù.Ed accogliendo nel vostro cuore sensi di verace umiltà,su accorrete a confortare Gesù, ed a sollevarlo di terra,dove in tant’agonia fu prostrato, perché umiliatosi pernoi, perché fattosi per noi la stessa maledizione: factus pro nobis maledictum. (Gal. III).
Effusione III° di Sangue
nella Flagellazione
Rimedio alla sete smodata di piaceri.
Povera natura umana! Dopo che fosti caduta dallo stato d’integrità e d’innocenza primitiva, come ti sei fatta inferma, e ferita rispetto a ciò, che eri prima, per la ribellione della parte inferiore alla superiore, per lo scompiglio di tutte le passioni. Un’altra febbre in fatti, la febbre della concupiscenza della carne tutti gli uomini assale ricercandone ogni vena; e penetrando talora fin nell’ossa non dà lor tregua, e pace giammai; e sfiorate, lor dice, sfiorate pure i più vaghi prati della lussuria, assaporate ogni dolcezza della voluttà. E tanti, e tanti a tali voci prepotenti non sono tardi. a gustar ogni diletto, e tutto vuotare sino all’ultima feccia il calice degl’immondi piaceri. Così avviene pur troppo, o ascoltanti, per la infermità della nostra natura. Che sarà poi, se tolgasi ogni freno di mortificare la carne, se le si diano a pascolo e fomento mille incentivi di soverchie morbidezze, di cibi deliziosi, di spiritose bevande, d’un vestir ricercato ed immodesto, di vezzi i più passionati? Ai nostri giorni poi, che si fa di tutto per condurre i cristiani a vivere alla pagana, si vien fuori col dire, che macerazioni, astinenze, digiuni non si confanno più a questi tempi di luce e di progresso, i quali domandano la riabilitazione della carne. Riabilitazione della carne? E che intendete voi con questa parola, se non accarezzare la carne, e contentarla in ogni sua turpe voglia? Riabilitazione della carne? E non sapete voi, che Gesù Cristo col suo patire volle la santificazion vostra, come dice Paolo ai Tessalonicesi, e che voi vi asteniate da ogni opera immonda, affinché ognun di voi possieda il suo corpo, come vaso di santificazione e di onore? E non sapete voi, che Gesù Cristo venne a riformar questa carne, che vuolsi ora riabilitare, e di sordida e sensuale ch’era, a renderla santa, ed immacolata, ed irreprensibile al suo cospetto, come dice il medesimo Apostolo ai Colossesi? Che se Gesù venuto a riformar la vostra carne, non vuole poi preservarvi dalle tentazioni del senso, ciò fa perché abbiate ancor voi la vostra parte in questo solenne trionfo sopra la carne medesima, tenendola in freno, e mortificandola. E voi questo ricuserete? Forseché Cristo non ha fatto abbastanza, e non ha anche troppo sofferto per parte sua? Per riformare la vostra carne, e per darvi forza a tenerla in freno Egli si è assoggettato nientemeno, che alla crudele flagellazione, a cui condannollo Pilato; e voi ben potete ciò rilevar dalle circostanze. Si tratta qui di rimedio ai rei diletti sensuali del corpo. E Gesù il corpo suo, non formato da seno macchiato di colpa, come ogni altro corpo umano, ma dal seno di Madre vergine per opera solo dello Spirito Santo; il suo corpo dotato d’una purezza infinita, come corredo dell’unione ipostatica, senza riserva alcuna tutto intero consegna ai colpi dei flagelli. Si tratta qui di rimediare ad abusi di nudità scandolose; e Gesù soffre d’essere spogliato delle sue vesti, né fa calare gli Angeli dal cielo a coprire con le loro ali una nudità così sacrosanta. Anche qui ei versa Sangue una terza volta, Sangue vergine, immacolato, come la sua carne, acciocché i sensuali ammorzino l’ardore della concupiscenza, che li asseta fino al peccato, e non pongano le loro delizie in immondezze: Si quis sitit veniat ad me, et bibat. Ed oh! in quanta copia ei lo versa!Già legato alla colonna, una furia di colpi spessi e pesanti si rovescia sulle delicate membra, qual fitta gragnuola cade rovinosa a battere le mature e biondeggianti spighe di un campo. Si ripetono a centinaja i colpi,e la carne avvizza, si pesta, rompesi la pelle, e le belle membra di Gesù s’impiagano. Anzi dalla pianta dei piedi sino alla cima del capo non vi è alcuna parte più sana, a planta pedis usque ad verticem capitis non est in eo sanitas, (Isa. I) e nondimeno si batte ancora. Già alle piaghe si aggiungon le piaghe, ché non più a centinaja, ma a migliaja si ripetono i colpi, super dolorem vulnerum meorum addiderunt, (Ps. LXVIII) ed ancora si batte. Si spargono minuzzoli di carne per l’aria; di Sangue sono inzuppati i flagelli; di Sangue è tinta la colonna; diSangue è tutto bagnato il terreno; di Sangue sono aspersii carnefici stessi. Oh! basta, basta, o mio Gesù. Sì,voi avete fatto anche troppo per rimedio della nostra concupiscenza.A noi stanno meglio quei flagelli per punire questa carne, che si ribellò allo spirito, e per tenerlanell’avvenire in freno. Su, è tempo di mutar vita, e di. far buoni propositi. Dite adunque, ascoltanti così: O Gesù,noi vogliamo far parte di quella eletta schiera, che vive in continenza, e castità. Prima che voi veniste a compiere la redenzione, pochi furono i Giuseppi, poche le Susanne; ma dopo è ben grande la schiera non solo di casti, ma di vergini ancora, che vengon dietro a Voi attratti dal soave olezzo, che manda il vostro Sangue purissimo. Anche noi, se non tutti vergini, certo almen casti nel nostro stato di vita vogliamo essere, casti nel matrimonio elevato a sacramento, ché anche in questo non è lecito abbandonarsi a certe turpitudini. Lo promettiamo, o Gesù: Gesù, lo vogliamo. Confortateci con quella grazia, che ci meritò il vostro Sangue sparso sotto i flagelli.
Effusione IV.° di Sangue
Nella Coronazione di Spine.
Rimedio alla sete smodata di Ricchezze.
Sazi non sono i carnefici d’incrudelire contro di Gesù, che, qual mansueto agnello sotto le forbici del tosatore, non manda un lagno; ma neppur sazio è Gesù di patire, e di versar Sangue. Era Egli stato calunniato di aspirare ad uno scettro, e ad una corona, e di volersi fare re. E quella insolente soldatesca preparagli perciò un nuovo tormento tra i più amari scherni, ed i motti più frizzanti. Messolo a sedere sopra di un sasso, gli mettono indosso un cencio vilissimo di porpora, in mano una fragile canna per iscettro. Manca la corona. Di che la formeranno essi? Prendono un manipolo di spine lunghe ed acute, e ne fanno un diadema, che pongono sulla testa di Gesù: Milites plectentes coronam de spinis, imposuèrunt capiti ejus. (Joann. XIX) E càlcanlo con bastoni, perché quelle spine ben addentro s’infiggano nel capo, ed alcune anche nel cervello. Oh Dio! Che spasimo atroce in questa parte più delicata dell’uman corpo, dove tutti i nervi per la spina dorsale si rannodano! Se una spina sola confitta nella parte più callosa d’ un piede d’una belva la fa fuggire ruggendo dal dolore per la foresta, che tormento crudelissimo non avrà poi provato Gesù con tante spine nel capo? Qual terra mai incolta, all’aratro restìa, e solamente ingombra di triboli e spine porse un sì lugubre dono al Redentore? Quale spietata mano ebbe quelle spine seminate? Ahi! che così ispida corona rosseggiando del Sangue di Cristo muta le acute punte quasi in rose: Christi rubescens Sanguine aculeos mutat rosis. Ahi! che cangia di colore il bel volto di luî, e impallidendo vede già avvicinarsi la morte. Ed intanto il Sangue fila giù per la fronte, e tutte ne tinge le guance in maniera che ben avveransi le parole del Profeta: Non est species ei, neque decor, et vidimus eum, et non erat aspectus. (Isa. LIII) Ma perché questo novello tormento? Perché ancora questo Sangue? Anche qui un’altra volta grida Cristo: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat, perché vuol porgere un refrigerio ad un altr’ardentissima sete, ch’è nel mondo, alla sete delle ricchezze.Questa sete, più si fanno acquisti, più si tesoreggia, e più cresce, come avviene all’idropico, che più beve l’acqua, a cui tanto anela, e più resta arso ed assetato: Plus bibuntur, plus sitiuntur aqua. E per acquistare, e per arricchire quante ingiustizie si commettono,quante frodi s’intessono! Che sordide usure! Che rapacità coperte, cercando di abbellirle con uno specioso titolodi compenso, di annessione, o di altro! Troppo era dunque necessario, che col suo Sangue, da cui esce una Virtù divina, anche a questo recasse rimedio il Salvatore. Vedete qui, come in fatti tutto spira distacco dai beni del mondo, come tutto spira amore alla povertà. Trattato è Cristo da re di scherno solamente, mentr’Egli è vero Re del cielo, e della terra. Quindi non tesori, non splendido trono, non ricca veste, non preziosa corona, non aureo scettro: ma un sasso è il soglio; ma un cencio dicolor rosso è la porpora, che mal lo ricopre; ma lo scettro: è una fragile canna; ma la corona è d’irte e pungentissime spine. Sì, di quelle spine ha cinto il capo, a cui Egli stesso assomigliò le ricchezze nella parabola della semente evangelica, ed il reo abuso qui ne sta pagando, e la immoderata sete spegnendo col Sangue, che da tante trafitture si spreme. O voi adunque, che abbondate di ricchezze, non vogliate con la virtù, che da questo Sangue si diffonde, attaccare il cuore ad esse: Divitia sì affluant, nolite cor apponere: (Ps LXI) Non vogliate esser tutti in arricchire, niente curandovi poi dell’anima vostra, ch’è il vostro meglio. O voi, che poveri di beni di fortuna invidiate i ricchi, e ne agognate gli averi, pigliandovela spesso con la Provvidenza Divina, che non abbia egualmente spartito i beni della terra, e questa egual partizione sognate, che il socialismo sogna e falsamente promette, guardate qua Cristo, che in mezzo a tanta povertà: d’ogni cosa versa Sangue con una povera corona di spine sul capo, e sanate le illusioni della vostra mente, cui la passione delle ricchezze fomenta. O voi finalmente, se qui siete, che non dubitate sacrileghi di stender la mano: rapace su ciò, che appartiene alla Chiesa, comprandone a’ mostri giorni i poderi e gli arredi preziosi, ah! rammentatevi, che voi riducete Gesù Cristo altra volta ad un cencio di porpora, ad uno scettro di canna, ad una corona di spine. Voi, quanto è da voi, altra volta gli spremete Sangue. Ah! badate, che con quel Sangue, col quale dovevate recar rimedio alla vostra passione delle ricchezze, non si scriva l’eterna vostra condanna. Tremate, che quella corona d’ignominia, che si muterà un giorno in corona di gloria, cagione ai Santi di gaudio perpetuo, per voi non si tramuti in corona di terribil giustizia. Ahi! di questa corona vedranno un giorno gli empi cinto Gesù Cristo, vedranno, e periranno: Videbunt eum impiù in corona justitia, et peribunt. (Bernar. Serm. 50).
Effusione V° di Sangue nel viaggio
al Calvario
Conforto nella via della Perfezione.
Poco era a Gesù sanare con lo spargimento del suo Sangue tante infermità della misera natura umana: poco eragli refrigerare la sete ardentissima di peccato, che mettono le febbri delle passioni: volea di più recare col suo Sangue un ristoro, rinfrancando lo forze dell’anima, perchè coll’adornarsi d’ogni virtù giungesse ad alta perfezione. Ma considerate sapienza, e misericordia del Salvatore. Non si addicono agl’infermi le sublimi altezze: In excelsis infirmi esse non possunt. (Ambros. Lib. 5 in Luc.) E però quando trattasi di sanare refrigerando la sete febbrile delle passioni, ei versa Sangue in basso loco prima di salire il Calvario: Quemque in inferioribus sanat. Ma allorchè vuol donare un conforto ad acquistare la virtù e la perfezione si mette Egli stesso a salire, e segna del suo Sangue la via, acciocché ciascuno, che fu risanato, a poco a poco progredendo di virtù in virtù possa giungere alla vetta del monte della perfezione: Ut paullatim virtutibus procedentibus, ascendere possit ad montem. Eccolo infatti con la croce sulle spalle già per l’erta del Calvario. Trema sotto il peso del grave legno, e debole per mancanza di nutrimento, e tanto Sangue versato, più volte trabocca al suolo, e di nuovo Sangue, che da tante piaghe, e tante trafitture va ancora spargendo, bagna e tinge la strada. Pur non sì dà mai per vinto. È alla cima del doloroso monte, ch’Egli anela; è là, ch’Egli fa tendere i suoi passi, e perciò prosegue la via, benché abbia a patire indicibili pene. Ed intanto ci grida a ciascuno: Veni, sequere me. Vieni, mi segui. Lo so, o Gesù, che seguendo Voi arriverò anch’io sul monte, vale a dire conformandomi al mio esemplare mi adornerò d’ogni più bella virtù, e raggiungerò la perfezione, che Voi volete nei vostri seguaci. Lo so, che diverrò puro, come i gigli, umile e mansueto di cuore, distaccato da ogni affetto terreno, tutto inteso alle cose del cielo. Ma oh! Dio, quanti travagli mi si affacciano! Mi si affaccia l’erta salita, che mi toccherà fare: mi si presenta la croce, che, come Voi la portaste, Voi pur volete, che porti chiunque vi vien dietro: mi si offre quel dover agonizzare fino per l’anima, se decorata la voglio di perfetta virtù. Ma a che t’attristi anima mia, perchè ti conturbi? Quare tristis es anima mea, et quare conturbas me? Quel Gesù, che grida portando la croce: Veni, sequere me, non è lo stesso che invita: Chi hasete di mansuetudine, d’umiltà, di pazienza, di purezza,venga a me, e beva? Si quis sitit, veniat ad me, et bibat. Sì sì, ecco il mio ristoro, ecco il mio conforto nelSangue di virtù divina, cui Egli sparge nel camminodel Calvario. Anderò dunque, calcherò quelle vestige rosseggianti.Anderò dunque tenendo l’invito di Cristo,salirò il monte della perfezione, benché sia monte dimirra, o di amarezza, perché poi si trasmuti un giorno in monte di delizie sempiterne: Vadam, vadam ad montem myrrhæ. E voi, o ascoltanti, che fate? Anche da voi tutti vuole Cristo 1° esercizio delle più belle virtù, e v’invita alla perfezione in quello stato a cui ciascuno è chiamato dal cielo, e con quei mezzi che al proprio stato convengono: Estate perfecti, Egli avea altra volta detto, estote perfecti, vi ripete ora, invitandovi a montare con lui il Calvario; ed è pronto il conforto nel suo Sangue anche per voi. Oh! questo sì, ch’è il vero progresso: avanzarsi di virtù in virtù, e andar ognora perfezionando lo spirito. Altro progresso or non si vuole, che nelle scoperte, nelle macchine, nelle arti. Progresso, ch’io certo non condannerei, se non fosse tutto e solo materiale, senza curare punto lo spirito, e non andasse congiunto ad un progresso spaventoso di malizia e d’irreligione. Oh! si capisca bene una volta, quell’invito, che fa ognora Gesù, e vi si risponda. Allora sì, che si coltiveranno le virtù: allora sì, che splenderà la luce del vero progresso, e fiorirà quella vera civiltà nei popoli, che, vogliasi, o no, consiste appunto nel complesso di quelle.
Effusione VI°. di Sangue
Nella Crocifissione
Conforto ad amare Gesù, ed il Prossimo.
Regina di tutte le virtù è la carità, che dall’ Apostolo venne chiamata la pienezza della legge: Plenitudo… legis est dilectio. (Rom. XIII) E S. Agostino domanda qui giustamente: Dov’è la carità, qual cosa mai può mancare? Dove non è, qual mai cosa può recar giovamento? Ubicaritas est, quid est , quod possit deesse? Ubi autem non est, quid est, quod possit prodesse? E però, se Gesù Cristo, o ascoltanti, volle spargendo il Sangue nellasalita del Calvario darvi un conforto all’esercizio dellevirtù; immaginate voi, se giuntone sulla cima, vorràquesto conforto negarvi, perché l’amiate, ora che laredenzione ha il suo compimento. Ah! questo cuor vostro,ch’è portato naturalmente ad amar Dio, perché fatto perlui, n’avea pur bisogno, acciocché gli facesse batterin alto a meta così sublime le ali, senza mai volgerle in basso. Ed ecco Gesù, che inchiodato sul durolegno della croce versa Sangue dalle ferite delle mani,e dei piedi in tanta copia, che quattro rivi quasi parche scorrano. Ben ora Egli può mostrar in sé avveratequelle parole del Salmista: Sicut aqua effusussum. Ben copiosa è la sua redenzione, se non unasola goccia, che pur era a ciò sufficiente, ma tantoSangue Egli sparge. Ma perché sì copiosa? Data estcopia, risponde S. Bonaventura, ut virtus dilectionis inbeneficii redundatione claresceret. (Bonav. In Euchar. Serm. 27) Perchè in unbeneficio così ridondante la sua immensa carità versodi noi chiaramente si palesi. S. Bernardo ci dà a vederela passione e la carità a contesa tra loro, quella pernostro amore, oh! come a riamar ci conforta il nostroGesù, il, nostro Salvatore, il nostro Dio. Chi non amadunque Cristo, io griderò a tutti con S. Paolo, sia danoi separato: Si quis non amat Dominum nostrum Iesum Christum sit anathema: (1 Cor. XVI) E qual è quel cuorecosì ristretto, che non si senta dilatare in veder Gesù, che sparge Sangue, tenendo stese le braccia verso tutti, anche verso un popolo, che non gli crede, e lo contradice? Qual è quel cuore anche di ghiaccio, che non si sciolga, e si accenda ad amare udendo Gesù, che già esangue in sul morire grida: Tutto è compiuto? Espressione che ben vale l’altra: E che dovea Io fare di più, che fatto non l’abbia? Già prenunciato Egli l’avea: Si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum. (Joan. XII). Ed ecco, ch’Egli donando a tutti nel suo Sangue un vero conforto ad amarlo, tutti al suo seno dolcemente attrae. Ma l’amor divino non va disgiunto dall’amor del prossimo, e però in questa effusione di Sangue ci dona ancora il conforto alla fraterna carità. Fratellanza, fratellanza universale è il grido favorito dei giorni nostri; ma fratellanza sul labbro, e non nel cuore; fratellanza nelle parole, e non nei fatti. Fu solo Gesù, che spargendo in croce il suo Sangue, e riscattandoci dalla schiavitù dell’inferno ci fece tutti liberi figliuoli di Dio, e quindi tutti fratelli, di cui Egli è il Primogenito: Primogenitus in multis fratribus. (Rom. VIII). Ed ecco perché la sua tenerissima Madre lasciò in Giovanni a noi tutti per madre. Ecco come tutti ci legava in uno con nodo dolcissimo di carità, facendo di tutti un cuor solo. Anche qui, ma con molto maggior efficacia ripete: Hoc est præceptum meum, ut diligatis invicem, sicut dilegi vos. (Joan. XV) E siccome egli amò non a sole parole, ma con l’opera dando il Sangue e la vita, per tutti pregando perdono a chi crocifisso l’avea, donando un paradiso per poche lagrime al ladro pentito, ci conforta col suo Sangue a mostrare questa vera fratellanza con far bene d’ogni sorta al prossimo, anche ai nostri nemici, e ad osservare quel precetto non solo in quanto alla sostanza, ma sino alla perfezione. Oh! sì, o Gesù, noi vogliamo amarti; ché troppo ad amarti ci eccita il Sangue per noi da te sparso: ed in virtù del tuo Sangue medesimo vogliamo amarci tra noi di vero amore, e dare il bello e dolce spettacolo di quella vera cristiana fratellanza, che si predica tant’alto da molti, e molti, e poi si sogna, e si cerca dove non è, e dove non può essere. O Gesù, è il tuo Sangue, che ci grida amore, ed amore accende. Il tuo Sangue è quello, che grida fratellanza, e fratellanza apporta.
Effusione VII° di Sangue
Nella lanciata Conforto all’Unione con Gesù Cristo.
Vuotate le vene di Sangue, Gesù già stremato di forze, dopo tre ore di penosissima agonìa, ha mandato al fine l’ultimo respiro, ed è morto. Or che gli resta più a fare per noi? Ah! dilettissimi ascoltanti, soffermatevi un poco ancora col vostro pensiero appiè dell’albero della croce, e voi vedrete, che non è già morta per noi la sua carità, e dormendo Egli il sonno ferale della morte, il suo cuore però vigila per noi: Ego dormio, et cor meum vigilat. (Cant. V) Già sen viene Longino brandendo una lunga lancia; e mentre ai due ladri, che gli pendono ai fianchi, son rotte le gambe con bastoni, perch’erano ancor vivi, a Gesù è aperto da quella lancia il costato, e lo stesso cuore è trafitto, e da quella larga apertura n’esce Sangue misto ad acqua: Unus militum lancea latus ejus aperuit, et continuo exivit Sanguis et aqua. (Jaon. XIX). Non le strette dell’agonie mortali nell’orto del Getsemani, non i flagelli, non le spine, non i chiodi, che gli fecero spargere Sangue in tant’abbondanza aveano potuto trargli questo piccolo avanzo dai più interni penetrali del suo petto. Ma Gesù di se stesso immemore, di noi solo ricordevole, si fa stringere come sotto un torchio per versarne le ultime stille, e niente di esso si riserva, come canta la Chiesa: Sub torculari stringitur, suique Jesus immemor sibi nil reservat Sanguinis. (Hymn. In Festa Prez, Sang.) E questo Sangue sgorgato dal suo cuore esce qual contrassegno a noi della sua più grande carità, iuvitandoci e confortandoci non solo ad amarlo, ma ad unirci intimamente a lui, giacché effetto di vero amore è l’unione. Per questo stando ancora confitto al legno, se non con la voce, parla però con le braccia distese verso di tutti: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat. E mostrando aperto il costato, e ferito il suo cuore, invita tutti ad entrarvi, ed a stringersi fortemente con esso. Chi non vorrà a sì dolce invito, confortato dalla grazia, ch’esce da quel Prezioso Sangue, là correre, qual colombella vola alla sua torre, ed al suo nido, e là starsene unito a cuor sì amabile? Chi di là non griderà con Paolo: Quis me separabit a charitate Christi? Non le vanità del mondo, non i piaceri del senso, non l’amor delle ricchezze, non qualunque tribolazione, e tormento potranno più svellermi da questa dimora di pace, di contentezza, di gaudio, di amore. E se alcuno avesse sete di unirsi più perfettamente a Gesù, nascondendosi affatto entro al suo cuore per non sapere, per non sentir più nulla di questa misera terra, oh! entri, entri pure nei più secreti recessi di quel Cuore ferito, ché quel Sangue, che n’uscì, a tanta perfezione è pur ajuto e conforto. Che dolcezze sono là dentro, tutte di Paradiso! Se un po’ avrà a penare nel distaccarsi affatto da ciò che sa di terra, e nel perdere affatto di vista ciò ch’offre il mondo, inebbriato. da quelle delizie dovrà poi esclamare: Bonum, bonum.. est nos hic esse. Ma col Sangue uscìa dal fianco aperto di Gesù formata Sposa di lui la Chiesa, come dal fianco di Adamo addormentato uscìa formata Eva la sua consorte.Quindi è la Chiesa in qualche modo parte delcuor di Gesù. E che vuol dir questo, se non che voi non potete avere intima unione con Gesù, se non istate strettamente uniti alla vera Chiesa; se non ne credete quanto essa propone da credere, se non rispettate la sua autorità, se non osservate i suoi precetti? Ma la Chiesa, vera Sposa di Gesù Cristo è là, dov’è il Successor di S. Pietro, ch’Egli stesso a lei prepose e Capo, cioè il Papa: Ubi Petrus, ibi Ecclesia. E che vuol dir questo, se non che voi non potete essere stretti alla Chiesa, ed uniti al cuor di Gesù, se non istate ancor uniti col Papa, onorandolo come il capo di questa Chiesa, come Pastore, universale, come Maestro infallibile di verità in religione? Questa riverenza, ed unione al Papa in questi giorni, in cui tanto viene bistrattato, quasi fosse un’inutile anticaglia, da riporre tra le ciarpe, è divenuta la pietra di paragone per conoscere chi veramente è seguace di Gesù Cristo, e vero Cattolico. Procuriam dunque d’essere uniti alla Chiesa senza umani rispetti, uniti al Papa coraggiosamente, ed allora star potremo: davvero entro al costato di Gesù accanto al cuor suo in intima unione con esso: anzi chiudendoci entro la ferita del suo cuore grideremo esultando: Bonum, bonum est nos hic esse.
CONCLUSIONE
Eccoci finalmente a chiudere il nostro pio, e devoto Esercizio delle sette Effusioni del Sangue Prezioso. Certamente, se voi a queste avete assistito con le dovute disposizioni, com’io fin dal principio vi ammoniva, e vi esortava, ne avrete provato fin d’ora i benefici effetti. Avrete sentito appressandovi a bere a questa fontana salutare di Sangue Divino, refrigerio all’ardore delle vostre passioni, conforto a salire il monte della perfezione, ornandovi delle più belle virtù; conforto ad amare Gesù ed il prossimo vostro, e ad unirvi intimamente al Divino Sposo dell’anime vostre. Oh qual desideri di far il bene, già sono spuntati nel vostro cuore! Ma deh! non cessi con questo Mese, e con questa sacra e tenera funzione la divozion vostra. Ah? le febbri delle passioni, sapete, torneranno tante volte ad accendere in voi quella maligna sete; e per salire in alto alla virtù avete bisogno ognora d’ajuto, avete bisogno d’essere confortati. E però vi ripete Gesù non solo adesso, ma dopo ancora: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat. Quindi per godere di quel prezioso umore,convien andar a Lui, intendete? andar a Lui: Veniat, e bibat. Vale a dire è necessario, che facciate anche voila parte vostra, se volete che il suo Sangue sia applicatoparticolarmente all’anima. Continuate adunque ad onorareil Sangue di Gesù Cristo con ogni sorta di ossequi,con spesse giaculatorie, con la quotidiana Coroncina, chesul primo mattino si recita in questa Chiesa, con l’intervenirepuntualmente alle sacre funzioni, che si praticano a rendergli quel culto divino, che ben si merita,Ascrivetevi, se non siete ascritti, alla Pia Unione perlucrare anche le sante indulgenze. Contemplate spessocon Bernardo la vaga rosa della sanguinosa Passionedel Redentore, come rosseggi ad indicare l’ardentissimacarità: Rosam passionis sanguinæ, quomodo rubet in indicium ardentissima charitatis. (Bernard. Lib. de Pass. c. 4l.) Entrate, entratespesso nel giardino della divozione, o Cristiani, a coglierviquesta rosa, e portatela sul petto, portatela sul cuore,e vi sentirete refrigerar sempre le passioni, ed ardere dicarità. È il Sangue di Gesù Cristo specialmente nella santaEucaristia qual vino, che inebria i perfetti; come latte,che i deboli pargoletti nutrisce. Su, accostatevi spesso aquella mensa. Su, io vi dirò con Bernardo, affrettatevimeco, o voi tutti, che amate il Signore, a comprarvi conbuone disposizioni quel Preziosissimo Sangue: Properate mecum, qui diligitis Dominum, emite Sanguinem illum Pretiosissimum; e ne godrete, di continuo i frutti salutari.Di quel Sangue imporporati vi vedrà il Demonio, ed atterritofuggirà lontano. Di quel Sangue adorne le anime vostreavranno nella morte incontro gli Angeli, che verrannoper riceverle, e presentarle al cospetto dell’Altissimo.Di quel Sangue adorne entreranno nel cielo a godere lavisione di quell’Agnello immacolato, che vide il rapito di Patmos, ed a cantare insieme a tutti gli eletti quel cantico d’ineffabil letizia, ed a ripetere in eterno: Sia sempre benedetto, e ringraziato Gesù, che col suo Sangue ci ha salvato.