X DOMENICA DOPO PENTECOSTE (2021).
(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)
Semidoppio. – Paramenti verdi.
La liturgia di questa Domenica ci insegna il vero concetto dell’umiltà cristiana che consiste nell’attribuire alla grazia dello Spirito Santo la nostra santità; poiché le nostre azioni non possono essere soprannaturali, cioè sante, se non procedono dallo Spirito Santo, che Gesù mandò agli Apostoli nel giorno della Pentecoste e che dona a tutti quelli che glielo chiedono. Dunque la nostra santificazione è impossibile se vogliamo raggiungerla da soli, perché, abbandonati a noi stessi noi non siamo che impotenti e peccatori. Dobbiamo a Dio se evitiamo il peccato, se ne otteniamo il perdono, se riusciamo a fare il bene, poiché nessuno può pronunciare neppure il santo nome di Gesù con un atto di fede soprannaturale, che affermi la sua regalità e divinità, se non mediante lo Spinto Santo. L’orgoglio è, dunque, il nemico di Dio, perché si appropria dei beni che solo lo Spirito Santo distribuisce a ciascuno nella misura che crede conveniente e impedisce alla potenza divina di manifestarsi nelle nostre anime in modo da farci credere che noi bastiamo a noi stessi. Come Dio potrebbe perdonarci (Oraz.), se noi non vogliamo riconoscerci colpevoli? Come potrebbe aver compassione di noi ed esercitare su noi la sua misericordia (Oraz.), se nel nostro cuore non vi è nessuna miseria riconosciuta cui il suo Cuore divino possa compatire? L’umile, invece, riconosce il proprio nulla perché sa che solo a questa condizione discenderà su lui la virtù di Cristo. Mentre la Chiesa sviluppa in questa Domenica tali pensieri, le letture, che fa durante questa settimana nel Breviario, danno due esempi di orgoglio e di grande umiltà. Dopo la figura del profeta Elia che si oppone così fortemente a quella di Achab e di Iezabele, dei quali nell’ufficio è ricordato il terribile castigo, vi è quella del giovane Gioas che contrasta fortemente con quella di Atalia. Figlia di Achab e di lezabele, empia come sua madre, Atalia sposa il re di Giuda loram, che morì poco dopo. Allora la regina si trovò padrona del regno di Giuda e per esserlo per sempre fece massacrare tutta la famiglia di David. Ma losabeth, sposa del gran sacerdote Joiada tolse dalla culla l’ultimo nato della famiglia reale e lo nascose nel Tempio. Questi si chiamava Gioas. Per sei anni Atalia regnò ed innalzò templi in onore del dio Baal perfino nell’atrio del Tempio. Nel settimo anno il gran sacerdote attorniato da uomini risoluti e armati, mostrò Gioàs che allora aveva sette anni e disse: « Voi circonderete il fanciullo regale e se qualcuno cercherà di passare fra le vostre file, lo ucciderete! ». E quando il popolo si riversò nell’atrio, all’ora della preghiera, Joiada fece venire avanti Gioas, l’unse e lo coronò al cospetto di tutta l’assemblea che applaudi e gridò: «Viva il Re!». Quando Atalia intese queste grida, uscì dal palazzo ed entrò nell’atrio e quando vide il giovane re assiso sul palco, circondato dai capi e acclamato dal popolo col suono delle trombe, stracciò le sue vesti e gridò: «Congiura! Tradimento!». Il gran sacerdote ordinò di farla uscire dal sacro recinto e quando essa giunse nel suo palazzo venne uccisa. La folla allora saccheggiò il tempio di Baal e non lasciò pietra su pietra. E il re Gioas si assise sul trono di David, suo avo; regnò quarant’anni a Gerusalemme e si dedicò a riparare e abbellire il Tempio (All., Com.). La Scrittura fa di lui questo bell’elogio: «Gioas fece quello che è giusto agli occhi di Dio» È questa l’Antifona del Magnificat dei Vespri alla quale fa eco quella dei II Vespri che è tratta dal Vangelo di questo giorno: « Questi (il pubblicano) ritornò a casa sua giustificato e non quello (il fariseo), poiché chi si esalta sarà umiliato e chi s’umilia sarà esaltato ». – « Quelli che si innalzano sono visti da Dio da lontano, dice S. Agostino. Egli vede da lontano i superbi, ma non perdona loro. « L’umile invece, come il pubblicano, si riconosce colpevole! ». Egli si batteva il petto, si castigava da sé, e Dio perdonava a quest’uomo perché confessava la sua miseria. Perché meravigliarsi che Dio non veda più in lui un peccatore dal momento che si riconosce da sé peccatore? Il pubblicano si teneva lontano ma Dio l’osservava da vicino » (Mattutino). Così l’umile fanciullo Gioas fu gradito a Dio perché la sua condotta avanti a Lui era quale doveva essere. Egli fece ciò che era giusto agli occhi del Signore. Atalia, invece, orgogliosa ed empia, non fece ciò che era giusto avanti al Signore, e sdegnò e insultò quelli che facevano il loro dovere, poiché l’orgoglio verso Dio si manifesta ogni giorno nel disprezzo verso il prossimo. Dice Pascal che vi sono due categorie di uomini: quelli che si stimano colpevoli di tutte le mancanze: i Santi; e quelli che si credono colpevoli di nulla: i peccatori. I primi sono umili e Dio li innalzerà glorificandoli, i secondi sono orgogliosi e Dio li abbasserà castigandoli. « Il diluvio, dice S. Giovanni Crisostomo, ha sommerso la terra, il fuoco ha bruciato Sodoma, il mare ha inghiottito l’esercito degli Egiziani, poiché non è altri che Dio, il quale abbia inflitto ai colpevoli questi castighi. Ma, dirai tu, Dio è indulgente. Tutto ciò allora non è che parola vana? E il ricco che disprezzava Lazzaro non fu punito? … e le vergini stolte non furono discacciate dallo Sposo? E quegli che si trova nel banchetto con le vesti sordide non verrà legato mani e piedi e non morrà? E colui che richiederà al compagno i cento denari non sarà dato al carnefice? Ma Dio si fermerà solo alle minacce? Sarebbe molto facile provare il contrario e dopo quello che Dio ha detto e fatto nel passato possiamo giudicare quello che farà nell’avvenire. Abbiamo piuttosto sempre in mente il pensiero del terribile tribunale, del fiume di fuoco, delle catene eterne nell’inferno, delle tenebre profonde, dello stridore dei denti e del verme che avvelena e rode » (2° Nott.). Questo sarà il mezzo migliore per rimanere nell’umiltà, che ci fa dire con la Chiesa: « Ogni volta che io ho invocato il Signore, questi ha esaudita la mia voce. Mettendomi al sicuro da quelli che mi perseguitavano, li ha umiliati, Egli che è prima di tutti i tempi » (lntr.). « Custodiscimi, o Signore, come la pupilla dei tuoi occhi, perché i tuoi occhi vedono la giustizia » (Grad.). « Signore, io ho innalzata l’anima mia verso te, i miei nemici non mi derideranno perché quelli che hanno confidenza in te non saranno confusi » (Off.).
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Ps LIV: 17; 18; 20; 23
Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam, ab his, qui appropínquant mihi: et humiliávit eos, qui est ante sæcula et manet in ætérnum: jacta cogitátum tuum in Dómino, et ipse te enútriet.
[Quando invocai il Signore, esaudí la mia preghiera, salvandomi da quelli che stavano contro di me: e li umiliò, Egli che è prima di tutti i secoli e sarà in eterno: abbandona al Signore ogni tua cura ed Egli ti nutrirà.]
Ps LIV: 2
Exáudi, Deus, oratiónem meam, et ne despéxeris deprecatiónem meam: inténde mihi et exáudi me.
[O Signore, esaudisci la mia preghiera e non disprezzare la mia supplica: ascoltami ed esaudiscimi.]
Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam, ab his, qui appropínquant mihi: et humiliávit eos, qui est ante sæcula et manet in ætérnum: jacta cogitátum tuum in Dómino, et ipse te enútriet.
[Quando invocai il Signore, esaudí la mia preghiera, salvandomi da quelli che stavano contro di me: e li umiliò, Egli che è prima di tutti i secoli e sarà in eterno: abbandona al Signore ogni tua cura ed Egli ti nutrirà.]
Oratio
Orémus.
Deus, qui omnipoténtiam tuam parcéndo máxime et miserándo maniféstas: multíplica super nos misericórdiam tuam; ut, ad tua promíssa curréntes, cœléstium bonórum fácias esse consórtes.
[O Dio, che manifesti la tua onnipotenza soprattutto perdonando e compatendo, moltiplica su di noi la tua misericordia, affinché quanti anelano alle tue promesse, Tu li renda partecipi dei beni celesti.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XII: 2-11
Fratres: Scitis, quóniam, cum gentes essétis, ad simulácra muta prout ducebámini eúntes. Ideo notum vobisfacio, quod nemo in Spíritu Dei loquens, dicit anáthema Jesu. Et nemo potest dícere, Dóminus Jesus, nisi in Spíritu Sancto. Divisiónes vero gratiárum sunt, idem autem Spíritus. Et divisiónes ministratiónum sunt, idem autem Dóminus. Et divisiónes operatiónum sunt, idem vero Deus, qui operátur ómnia in ómnibus. Unicuíque autem datur manifestátio Spíritus ad utilitátem. Alii quidem per Spíritum datur sermo sapiéntiæ álii autem sermo sciéntiæ secúndum eúndem Spíritum: álteri fides in eódem Spíritu: álii grátia sanitátum in uno Spíritu: álii operátio virtútum, álii prophétia, álii discrétio spirítuum, álii génera linguárum, álii interpretátio sermónum. Hæc autem ómnia operátur unus atque idem Spíritus, dívidens síngulis, prout vult.
[“Fratelli: Voi sapete che quando eravate gentili correvate ai simulacri muti, secondo che vi si conduceva. Perciò vi dichiaro che nessuno, il quale parli nello Spirito di Dio dice: «Anatema a Gesù»; e nessuno può dire: «Gesù Signore», se non nello Spirito Santo. C’è, sì, diversità di doni; ma lo Spirito è il medesimo. Ci sono ministeri diversi, ma il medesimo Signore; ci sono operazioni differenti, ma è il medesimo Dio che opera tutto in tutti. A ciascuno poi è data la manifestazione dello Spirito, perché sia d’utilità. Mediante lo Spirito a uno è data la parola di sapienza, a un altro è data la parola di scienza, secondo il medesimo Spirito. A un altro è data nel medesimo Spirito la fede; nel medesimo Spirito a un altro è dato il dono delle guarigioni: a un altro il potere di far miracoli; a un altro la profezia; a un altro il discernimento degli spiriti; a un altro la varietà delle lingue, a un altro il dono d’interpretarle. Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, il quale distribuisce a ciascuno come gli piace”].
UNITA’ NELLA VARIETA’ E VICEVERSA.
Gli uomini piccoli si rivelano colle loro unilateralità. C’è chi al mondo non vede, non vuole, non ama che la unità, una unità esagerata che diviene, né essi se ne dolgono, uniformità; c’è chi non vede, non vuole, non ama che la varietà, la diversità, una diversità che diviene, così esagerata, del che ad essi non cale, confusione babelica, caos. Per i primi tutti dovrebbero pensare allo stesso identico modo in tutto e per tutto, fare tutti la stessa cosa, farla tutti allo stesso modo. Per gli altri il rovescio, tutti pensare e agire diversamente. Estremismi opposti, figli della stessa micromania. Il Vangelo, il Cristianesimo ci si rivela grande e divino anche per quella formula « unitas in varietate » che è la sua divisa. N. S. Gesù ha detto una parola nella quale è lo spunto di quello che oggi dice San Paolo nel brano domenicale della Epistola prima ai Corinzi: « nella casa di mio Padre vi sono molte dimore. » La Casa è una, una la Chiesa, Casa di Dio, edificio classico e prediletto di Gesù Cristo; una per unità di culto. Se non fosse così, non sarebbe divina. Una nelle cose essenziali, sostanziali. Ma in questa bellissima e forte e compatta e vigorosa unità non si esaurisce la vita della Chiesa; se no saremmo, nell’uniformità plumbea. La casa è una e le stanze, anzi i piani sono molti e diversi. San Paolo riprende il pensiero evangelico e dice testualmente così: « Or vi sono (nella Chiesa) distinzioni (ossia varietà) di doni, ma non c’è che un medesimo Spirito; e c’è distinzione nei ministeri, ma non c’è che un medesimo Signore; e c’è distinzione nei modi di operare, ma non c’è che un medesimo Dio, il quale opera ogni cosa in tutti». Varietà, continua l’Apostolo, utile al corpo sociale, come, dico io, la varietà dei cibi è utile al corpo umano. Di questa varietà non bisogna né scandalizzarsi, né abusare. Alcuni estremisti se ne sono scandalizzati. Per esempio: i Greci, che poi si separarono dalla Chiesa, si scandalizzarono quando fu aggiunta una paroletta « Filioque » al Credo di Nicea, senza domandarsi se essa stonava o sintetizzava, armonizzava col Credo nel suo insieme, nel suo spirito. Altri ne abusano e vorrebbero portare la diversità dappertutto, dappertutto le novità, dimenticando l’aureo principio: «in necessariis unitas ». Varietà che nel campo pratico, l’operare e il modo dell’operare sono ben altrimenti ricche e accentuate che non siano nel campo teorico. Quante diversità, salva la unità essenziale, nei riti! Quante nell’azione dei Santi! Ecco qua dei Santi e delle spirituali famiglie dei Santi che son tutto calcolo e prudenza; altri e altre che sono tutta spontaneità e ingenuità. Santi che edificano monasteri grandiosi come spirituali reggie, quasi ad affermare la maestà dello spirito, e santi che fabbricano modestissimi conventini; Santi che sono tutto zelo e severità, altri il cui zelo realissimo è fatto di mansuetudine. Paolo che va a destra, Barnaba che va a sinistra e camminano per le vie di un unico apostolato. Ma lo Spirito è uno; lo Spirito di Dio, Spirito di verità d’amore. Rallegriamoci di questa varietà che è ricchezza e rispettiamola; rallegriamoci di questa unità e cerchiamola, lieti per conto nostro ciascuno del posto che gli è toccato nella casa del Padre, nella vigna del Signore, non smaniosi di cambiarlo, avidi solo di occuparlo degnamente.
P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.
(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)
Graduale
Ps XVI: 8; LXVIII: 2
Custódi me, Dómine, ut pupíllam óculi: sub umbra alárum tuárum prótege me.
[Custodiscimi, o Signore, come la pupilla dell’occhio: proteggimi sotto l’ombra delle tue ali.]
V. De vultu tuo judícium meum pródeat: óculi tui vídeant æquitátem.
[Venga da Te proclamato il mio diritto: poiché i tuoi occhi vedono l’equità.]
Alleluja
Allelúja, allelúja
Ps LXIV: 2
Te decet hymnus, Deus, in Sion: et tibi redde tu votum in Jerúsalem. Allelúja.
[A Te, o Dio, si addice l’inno in Sion: a Te si sciolga il voto in Gerusalemme. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
Luc XVIII: 9-14.
“In illo témpore: Dixit Jesus ad quosdam, qui in se confidébant tamquam justi et aspernabántur céteros, parábolam istam: Duo hómines ascendérunt in templum, ut orárent: unus pharisæus, et alter publicánus. Pharisæus stans, hæc apud se orábat: Deus, grátias ago tibi, quia non sum sicut céteri hóminum: raptóres, injústi, adúlteri: velut étiam hic publicánus. Jejúno bis in sábbato: décimas do ómnium, quæ possídeo. Et publicánus a longe stans nolébat nec óculos ad cœlum leváre: sed percutiébat pectus suum, dicens: Deus, propítius esto mihi peccatóri. Dico vobis: descéndit hic justificátus in domum suam ab illo: quia omnis qui se exáltat, humiliábitur: et qui se humíliat, exaltábitur.”
[“In quel tempo disse Gesù questa parabola per taluni, i quali confidavano in se stessi come giusti, e deprezzavano gli altri: Due uomini salirono al tempio: uno Fariseo, e l’altro Pubblicano. Il Fariseo si stava, e dentro di sé orava così: Ti ringrazio, o Dio, che io non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri; ed anche come questo Pubblicano. Digiuno due volte la settimana; pago la decima di tutto quello che io posseggo Ma il Pubblicano, stando da lungi, non voleva nemmeno alzar gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: Dio, abbi pietà di me peccatore. Vi dico, che questo se ne tornò giustificato a casa sua a differenza dell’altro: imperocché chiunque si esalta, sarà umiliato; e chi si umilia, sarà esaltato”].
Omelia
(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)
L’orgoglio.
Non sum sicut cæteri hominum.
(Luc. XVIII, 11).
È questo, F. M., il linguaggio ordinario della falsa virtù, e quello dell’uomo orgoglioso che, soddisfatto di se stesso, è sempre pronto a criticare e censurare la condotta degli altri. È questo altresì il linguaggio dei ricchi che considerano i poveri come se fossero di natura differente dalla loro, e li trattano secondo questo modo di pensare. Anzi, aggiungo, F. M., questo è il linguaggio di quasi tutti gli uomini. Ve ne sono pochissimi, anche nelle più misere condizioni, che non siano vittime di questo maledetto peccato, che non abbiano buona stima di sé, mettendosi completamente al disopra dei propri simili, e che non spingano questo detestabile orgoglio fino a credere ch’essi valgono più di tanti altri. Ed io ne concludo che l’orgoglio è la sorgente di tutti i vizi, e la causa di tutti i mali presenti e futuri, e che noi portiamo sì innanzi il nostro accecamento che, spesso, ci gloriamo di ciò che dovrebbe coprirci di confusione. Gli uni si gloriano perché credono d’avere più spirito; gli altri per un palmo di terra o per un po’ di danaro; mentre dovrebbero tremare per il terribile conto che Dio ne domanderà loro un giorno. Ah! F. M., quanti avrebbero bisogno di fare quella preghiera che rivolgeva a Dio S. Agostino: “Dio mio, fatemi conoscere quello che sono; e non ho bisogno di altro per coprirmi di confusione e di disprezzo di me stesso, „ (Noverim me. ut oderim me). – Vi mostrerò dunque:
1° quanto l’orgoglio accechi l’uomo e lo renda odioso agli occhi di Dio e degli uomini;
2° in quanti modi ce ne rendiamo colpevoli;
e 3° ciò che dobbiamo fare per correggercene.
I. — Sì, F . M., per darvi un’idea di questo maledetto peccato, bisognerebbe che Dio mi permettesse di strappare Lucifero dal fondo degli abissi, e di trascinarlo qui al mio posto, e che egli stesso vi dipingesse gli orrori di questo delitto, mostrandovi i beni che questo peccato gli ha rapito, cioè il cielo, ed i mali che gli ha attirato, cioè le pene dell’inferno. Ahimè! F. M., per un peccato d’un momento una punizione che durerà tutta un’eternità! Ed il peggio si è che più ne siamo presi, meno ce ne crediamo colpevoli. Infatti, un orgoglioso non vorrà mai persuadersi di esserlo, né riconoscere d’aver torto: quello che fa e dice è ben fatto e ben detto. Volete formarvi un’idea dell’enormità di questo peccato, F. M.? Vedete quanto ha fatto Iddio per espiarlo. Perché ha Egli voluto nascere da poveri genitori, vivere nell’oblio, passare nel mondo non come uno di mediocre condizione, ma come persona da nulla? Perché vedeva che questo peccato aveva talmente oltraggiato il Padre suo, che Egli non avrebbe mai potuto espiarlo se non abbandonandosi allo stato il più umiliante e spregevole qual è quello della povertà; giacché basta il non possedere nulla per essere disprezzato dagli uni e rigettato dagli altri. – Vedete, F. M., quanto sono grandi i mali arrecati da questo peccato. Senza questo peccato non vi sarebbe l’inferno. Senza questo peccato Adamo sarebbe ancora nel paradiso terrestre, e noi tutti felici, senza malattie, e senza tutte le altre miserie che ogni giorno ci opprimono: non la morte, non il giudizio che ha fatto tremare i più grandi santi; non eternità infelice da temere; il cielo ci sarebbe assicurato. Felici in questo mondo e più ancora nell’altro: la nostra vita sarebbe passata nel benedire le grandezze, le bontà del nostro Dio, e saremmo poi andati in corpo ed anima a continuare in cielo questa felice occupazione. Ah! che dico, F. M., senza questo malaugurato peccato Gesù Cristo non sarebbe morto! Oh, quanti tormenti risparmiati a questo divin Salvatore!… Ma, mi direte, perché questo peccato ha causato più male che gli altri? — Perché? Eccovelo. Se Lucifero e gli altri angeli ribelli non fossero stati orgogliosi, non vi sarebbero stati i demoni, e, per conseguenza, nessuno avrebbe tentato i nostri progenitori, e questi avrebbero avuto la fortuna di perseverare. So bene che tutti i peccati oltraggiano Dio, che tutti i peccati mortali meritano un’eterna punizione: un avaro che cerca solo di accumulare, e sacrifica la salute, l’onore e la stessa vita per mettere assieme un po’ di danaro per l’avvenire, ingiuria certamente la Provvidenza di Dio, il quale ci ha promesso che se lo serviremo ed ameremo, avrà cura di noi. Un ubriacone che si abbandona agli eccessi del bere perdendo la ragione, mettendosi al di sotto dei bruti, fa un grande oltraggio a Dio che gli ha dato dei beni solo perché ne facesse buon uso, consacrando le proprie forze e la propria vita a servirlo. Un vendicativo che si vendica delle ingiurie fattegli, arreca una sanguinosa ingiuria a Gesù Cristo che, da tanti mesi o da tanti anni lo tollera sulla terra, e per di più, gli dà tutto ciò che gli è necessario, mentre non meriterebbe che di essere gettato nelle fiamme. Un impudico avvoltolandosi nel fango della passione, si mette al di sotto dei bruti, perde la propria anima e dà la morte al suo Dio, fa del tempio dello Spirito Santo il ricettacolo del demonio, “fa che le membra di Gesù Cristo diventino le membra di un’infame meretrice„ Tollens ergo membra Christi, faciam membra meretricis? Absit (I Cor. VI, 15), da fratello del Figlio di Dio diviene non solo fratello dei demoni, ma schiavo di satana. Questi sono delitti di cui nessuna parola potrà esprimere l’orrore, né la grandezza delle pene che meritano. Ebbene! F. M., io vi dico che questi peccati sono lontani dall’orgoglio, per l’oltraggio ch’essi arrecano a Dio, quanto il cielo lo è dalla terra: seguitemi, e vedrete che nulla è più facile ad intendersi. Quando commettiamo gli altri peccati, ora violiamo i comandamenti della legge di Dio, ora disprezziamo i suoi benefizi; oppure, se volete, rendiamo inutili tutte le fatiche, i dolori e la morte di Gesù Cristo. Ma costui, cioè l’orgoglioso, fa come un suddito che, non contento d’aver disprezzato e messo sotto i piedi le leggi e gli ordini del suo sovrano, spinge il suo furore fino a tentare di piantargli un pugnale nel petto, lo strappa dal trono, lo calpesta sotto i piedi, e prende il suo posto. Può darsi un’atrocità più grande, F. M.? Ebbene! ecco ciò che fa chi s’inorgoglisce quando riesce in ciò che tenta, o in ciò che brama. Mio Dio! quanto grande è il numero di costoro! Ascoltate, F. M., ciò che ci dice lo Spirito Santo parlando dell’orgoglioso: “Egli sarà in abbominazione davanti a Dio e davanti agli uomini. Poiché il Signore detesta l’orgoglioso ed il superbo. „ Gesù Cristo stesso ci dice “che ringraziava il Padre d’aver nascosto i suoi segreti agli orgogliosi „ (Matth. XI, 25). Infatti se scorriamo la sacra Scrittura vediamo che i mali con cui Dio opprime l’orgoglioso sono sì grandi e sì spaventosi da sembrare ch’Egli esaurisca il suo furore e la sua potenza per punirli, e vediamo pure che Dio sembra pigliar diletto nell’umiliare i superbi a mano a mano ch’essi vogliono innalzarsi. Spesso vediamo che l’orgoglioso cade in qualche vizio detestevole che lo disonora davanti al mondo. (Rodriguez racconta (tom. III), che il demonio sotto la forma d’una donna sedusse Palladio, religioso stimatissimo per le sue austerità, ma di spirito assai orgoglioso. – Nota del Beato). – Il grande Nabucodònosor ce ne offre un bell’esempio. Quel principe era così orgoglioso, aveva così buona stima di sé, che voleva essere considerato come un Dio. Nel momento in cui era gonfio della grandezza di sua potenza, ode d’improvviso una voce dal cielo dire che il Signore non poteva più tollerare il suo orgoglio, e che, per fargli conoscere che v’era un Dio padrone dei regni, il suo regno gli sarebbe tolto e dato ad un altro; egli verrebbe cacciato dalla società degli uomini, dimorerebbe tra le belve selvagge, mangerebbe erba e strame come una bestia da soma. Ed in quell’ora stessa Dio gli sconvolse talmente il cervello, ch’egli credette d’essere una bestia e si rifugiò nelle foreste, fino a quando riconobbe di essere un nulla (Dan. IV, 27- 34).Vedete i castighi che il Signore fece subire a Core, Dathan ed Abiron e a duecento fra i più ragguardevoli Israeliti. Pieni d’orgoglio, essi dicono a Mosè ed Aronne: “E perché non avremo anche noi l’onore di offrire l’incenso al Signore al pari di voi? „ Il Signore disse a Mosè e ad Aronne di segregarli con tutto ciò che loro apparteneva; perché voleva punirli… Ed appena essi furono segregati la terra s’aprì sotto i loro piedi, e li inghiottì vivi nell’inferno (Nm XVI). Vedete Erode che fece morire S. Giacomo ed imprigionare S. Pietro. Egli era così orgoglioso che un giorno vestito del suo paludamento regale ed assiso sul trono, parlando al popolo con grande enfasi, giunse a dire: “No, no, non è un uomo che vi parla, ma un Dio. „ E sull’istante un Angelo lo colpì con una malattia sì spaventosa, che i vermi lo corrosero vivo, morì disperato. Egli voleva essere onorato come un Dio, e fu consumato dal più vile degli insetti (Act. XII, 21-23). Vedete ancora Aman, quel celebre orgoglioso, il quale aveva comandato che tutti i sudditi si inginocchiassero davanti a lui. Infuriato perché Mardocheo lo disprezzava fece innalzare un patibolo per impiccarvelo; ma Iddio, che ha in orrore gli orgogliosi, permise che egli stesso vi venisse appeso (Esther VII, 10). Leggiamo nella storia che un solitario pieno d’orgoglio, volle mostrare la grandezza della sua fede. Essendo andato da S. Palemone, questi vedendolo far mostra del suo orgoglio, caritatevolmente gli osservò che era ben difficile avere la fede che egli diceva; che non avendo in noi nulla di buono, non possiamo far altro che umiliarci, gemere davanti a Dio o domandargli la grazia di non abbandonarci. Ma quel povero cieco, lungi dall’approfittare del caritatevole avviso, corse a gettarsi su di un braciere di fuoco, e Dio per mettere il colmo al suo orgoglio, permise che non sentisse neppure l’ardore del fuoco. Ma poco tempo dopo il religioso cadde in un vergognoso peccato contro la santa virtù della purità. Il demonio gli si presentò sotto forma di donna la quale seduta accanto a lui, tanto lo sollecitò ch’egli volle abbracciarla. Il demonio allora si gettò su di lui, lo percosse con ripetuti colpi e lo lasciò semivivo steso sul pavimento. Il disgraziato riconosciuto il suo fallo, cioè il suo orgoglio, ritornò da S. Palemone e gli confessò piangendo il proprio peccato. Cosa strana, F. M., mentre egli stava parlando, il demonio s’impadronì di lui, alla presenza di S. Palemone, lo trascinò con furore e lo precipitò in una fornace ardente, dove perdette la vita (Vita dei padri del deserto, t. I, p. 256). Sì, F. M., vediamo dappertutto che Dio si compiace di confondere gli orgogliosi. Non solo un orgoglioso è in abbominazione davanti a Dio, ma è altresì insopportabile agli uomini. — Perché? mi direte. — Perché egli non può intendersi con nessuno: ora vuol levarsi al di sopra dei suoi uguali, ora uguagliare quelli che gli sono superiori, di modo che non può andar d’accordo con nessuno. Così gli orgogliosi sono sempre in lite con alcuno, e perciò tutti li odiano, li fuggono, li disprezzano. No, F. M., non v’è peccato che operi un più grande cambiamento in chi lo commette; poiché l’Angelo, la creatura più bella, diventò per esso orribile demonio; ed esso, rese l’uomo, che era figlio di Dio, schiavo del demonio.
II. — Questo peccato, mi direte, è veramente orribile; bisogna che chi lo commette non conosca né il bene che perde, né i mali che si attira, né infine gli oltraggi che arreca a Dio ed alla propria anima. Ma in che modo si può sapere d’esserne diventati colpevoli? — In che modo, amico? Eccolo. Possiamo dire che questo peccato si trova in ogni parte, accompagna l’uomo in tutto ciò che fa e dice; è una specie di condimento che sta dappertutto. Ascoltatemi un momento e lo vedrete. Gesù Cristo ce ne dà un esempio nel Vangelo, dicendo che un fariseo essendo andato nel tempio per far orazione stava in piedi davanti a tutti, dicendo ad alta voce: “Vi ringrazio, o Signore, perché non sono come gli altri uomini, coperto di peccati; io passo la mia vita nel fare il bene e nel piacere a Voi. „ Ecco il vero tipo dell’orgoglioso: invece di ringraziare Dio perché è stato così buono da servirsi di lui per compiere il bene e d’essergliene riconoscente, considera tutto come cosa propria e non di Dio. Entriamo in qualche particolare, e vedrete che quasi nessuno ne va esente. Vecchi e giovani, poveri e ricchi; ognuno si loda e si vanta di ciò che non è e di ciò che non ha fatto. Ciascuno s’applaude ed ama d’esser applaudito; ciascuno s’affretta a mendicare le lodi degli uomini, e ciascuno lavora per attirarsele. Tale è la vita della maggior parte dei nostri simili. La porta per cui l’orgoglio entra con maggiore abbondanza è la porta delle ricchezze. Quando una persona comincia ad accrescere i suoi beni, voi la vedete cambiar modo di vivere; essa fa, come dice Gesù Cristo dei farisei: “Costoro bramano d’esser chiamati maestri, d’esser salutati, vogliono i primi posti: e amano comparire vestiti più riccamente. (Matth. XXIII, 5-6). „ Essa abbandona quell’aria di semplicità; salutata china appena il capo, senza levare il cappello; cammina a testa alta, e parlando cerca le parole più belle, di cui spesso non conosce il significato; ed ama ripeterle. Quell’uomo vi romperà la testa narrandovi le eredità avute, per farvi sapere che la sua sostanza s’è aumentata. Ogni sua cura è riposta nel cercare di farsi stimare e lodare. Sarà riuscito in qualche lavoro? s’affretta di pubblicarlo per far mostra del suo preteso talento. Se ha detto qualche cosa di cui è stato applaudito, non cessa di rompere le orecchie a quelli che gli sono dattorno fino ad annoiarli ed a farli ridere. Ha fatto qualche viaggio? Lo sentite dire cento volte più di ciò che ha fatto, detto e veduto: il che mette compassione a quelli che lo ascoltano. Stima di esser tenuto per persona di spirito, mentre nel loro interno tutti lo disprezzano. Nessuno può fare a meno di dire tra sé: Ecco un grande orgoglioso; poveretto è persuaso che si creda tutto ciò ch’egli dice!… Vedete una persona del mestiere che esamina il lavoro d’un altro, vi troverà mille difetti e dirà: “Che volete? non sa far di più! „ Ma siccome l’orgoglioso non abbassa mai gli altri senza innalzare se stesso, s’affretterà subito a parlare di qualche lavoro suo, che il tale ha trovato così ben fatto che ne ha parlato a molti. Un orgoglioso, vedendo più persone che parlano assieme, pensa si dica male o bene di lui. Una giovane avrà belle fattezze? o almeno crede d’averle? La vedete studiare il passo, con un’affettazione, con un orgoglio che sembra voler salire fino alle nubi. Ha camicie e vesti? lascerà l’armadio aperto per farle vedere. S’inorgoglisce delle sue galline e della sua casa. Si vanta di sapere confessarsi bene, di pregar bene il buon Dio, d’essere assai modesta in chiesa. Una madre s’inorgoglisce de’ suoi figli; un contadino perché le sue terre sono in migliore stato che quelle degli altri, che egli disprezza, e si vanta del suo sapere. Un giovane ha un orologio in tasca, e forse anche spesso non ha che la catena con cinque soldi in tasca? lo sentite dire: “Non so se è tardi, „ affinché gli si dica di guardare l’orologio, perché si sappia che egli ne ha uno. Se si giuoca d’azzardo, non avrà che due soldi da metter fuori, prenderà in mano tutto ciò che ha, e spesso anche, tutto ciò che non è suo; oppure dirà di più di quanto ha. Quanti domandano a prestito, per andar a partite di piacere, abiti e denaro. Una persona entra in una compagnia dove crede essere sconosciuta? la vedrete subito parlare della sua famiglia, dei suoi beni, dei suoi talenti e di tutto ciò che può distinguerla, e far conoscere ciò ch’essa è, o piuttosto quello che non è. No, F. M., non v’è nulla di così ridicolo e sciocco quanto il parlare sempre di ciò che si ha e di ciò che si fa. Ascoltate un padre di famiglia, quando le sue figlie sono in età di accasarsi. In tutte le compagnie in cui si trova, lo si sente dire: “Ho dato tante migliaia di lire in prestito, le mie ricchezze mi rendono tanto „ e poi domandategli cinque soldi per i poveri, egli non ha nulla. Un sarto od una sarta saranno riusciti bene a fare un vestito; se vedono passare quella persona che lo porta, e alcuno dice: come sta bene, non so chi l’ha fatto. „ — “L’ho fatto io „ subito diranno. E perché l’hanno detto? per far vedere la loro abilità. Ma se non sono riusciti bene, si guardano purtroppo dal parlarne, per timore d’essere umiliati. Le donne nella loro casa… e vi dirò che questo peccato è ancora più da temere in quelle persone che sembrano far professione di pietà. Eccone un bell’esempio. – Questo maledetto peccato dell’orgoglio s’infiltra anche nelle professioni più umili. Un agricoltore o un taglia legna, se sono vicini alla strada, metteranno nel loro lavoro tutte le cure “affinché – dicono – quando alcuno passerà non trovi ch’io non so lavorare. „ Questo peccato s’infiltra anche nel delitto e nella virtù; si vedono alcuni che si vantano d’aver fatto il male. Ascoltate la conversazione di parecchi ubriaconi. “Ah! dicono, mi sono trovato un giorno col tale; ha voluto scommettere con me, a chi bevesse di più, senza ubbriacarsi; ed io assai presto l’ho vinto!„ È altresì orgoglio il desiderio di diventare più ricco e l’invidiare quelli che lo sono, perché si vedono i ricchi rispettati ed onorati. Si troveranno altri che, nel loro linguaggio, saranno estremamente umili, ed anche si disprezzeranno, facendo pubblicamente la confessione di loro debolezze. Ma dite loro qualche cosa che li punga un po’. Alla prima parola li vedete scaldarsi, rispondervi a dovere, fino al punto di diffamarvi e ledere la vostra riputazione, per un preteso affronto ricevuto. Avranno una grande umiltà, in apparenza, finché sono lodati ed onorati. Qualche volta se sentiamo parlare bene di un altro davanti a noi, proviamo fastidio, ci pare di restarne umiliati; mostriamo aria triste, oppure diciamo: Ma che? egli è come gli altri, ha fatto questo, ha detto quello, non ha tanta abilità come voi dite, voi non lo conoscete!… „ Io dico che l’orgoglio s’infiltra anche nelle nostre opere buone. Vi sono molti che fanno l’elemosina e rendono servizi al prossimo solo per essere stimati persone dabbene, persone caritatevoli. Se faranno l’elemosina davanti a qualcheduno, daranno di più che non se fossero soli. Vorranno far sapere che hanno fatto un po’ di bene, o reso qualche servizio al vicino e cominceranno a dire: “ Il tale è ben disgraziato, non ha di che vivere; è venuto un giorno da me, mi ha raccontato la sua miseria, ed io gli ho dato la tal cosa.„ Un orgoglioso non vuol mai essere rimproverato, egli ha sempre ragione: ciò che egli dice è ben detto, ciò che egli fa è ben fatto. E lo vedete esaminare continuamente la condotta degli altri; dappertutto trova difetti; non v’è in loro nulla di ben detto e di ben fatto. Una persona farà un’azione colle migliori intenzioni del mondo, eccolo che, colla sua lingua velenosa, la interpreta male. E quanti non ve ne sono che per orgoglio, inventano tutto? Se raccontano ciò che hanno fatto, diranno assai più di quanto hanno fatto. Altri mentiscono per timore d’essere umiliati. Dirò di più; i vecchi si gloriano di ciò che non hanno fatto; a sentirli, sembrano i più grandi conquistatori del mondo, si direbbe che essi hanno percorso l’intero universo; ed i giovani si lodano di ciò che non faranno mai: tutti mentiscono, tutti corrono dietro al fumo dell’onore. Così va oggi il mondo, F. M., mettete la mano sulla vostra coscienza, scrutate il vostro cuore, e riconoscerete che quanto dico è vero. Ma la cosa più triste è che questo peccato getta le anime in tenebre così dense, che nessuno mai se ne crede colpevole. Conosciamo, è vero, quando gli altri falsamente si lodano, e si attribuiscono onori non meritati; ma quanto a noi crediamo di meritarli sempre. Io dico, F. M., che chiunque cerca la stima degli uomini è cieco. — Perché? mi direte. — Eccone la ragione, amico. Non dirò che egli perde tutto il merito di ciò che fa e che tutte le sue carità, tutte le sue preghiere e penitenze non saranno per lui che motivo di condanna. Egli crederà d’aver fatto qualche bene; e troverà tutto guastato dall’orgoglio. Ma io dico inoltre che egli è cieco. Se vuol meritare la stima di Dio e degli uomini, deve fuggirli invece di cercarli, deve persuadersi che è nulla, che merita nulla; allora è sicuro d’aver tutto. Vediamo ad ogni momento che più una persona vuol innalzarsi e più Dio permette ch’essa venga umiliata; e più essa vuol nascondersi, e più Dio ne fa conoscere la riputazione. Basta farvi attenzione per toccar con mano questa verità. Un orgoglioso si affanna a mendicare le lodi degli uomini; ed è conosciuto appena nella sua parrocchia! Ma chi si nasconde, quanto può, e si disprezza, andate lontano venticinque o cinquanta miglia, e vedrete pubblicate le sue buone qualità. Dirò di più: il suo onore vola ai quattro angoli del mondo: più egli si nasconde e più è conosciuto; e più l’altro vuol mostrarsi e più si affonda nelle tenebre, e perciò quasi nessuno lo conosce ed egli meno ancora conosce se stesso. Se il fariseo, come avete veduto, è il vero ritratto dell’orgoglioso, il pubblicano è l’immagine sensibile d’un cuore sinceramente penetrato del proprio nulla, dei suoi pochi meriti e della grande confidenza che bisogna avere in Dio. Gesù Cristo ce lo presenta come il perfetto modello al quale possiamo conformarci. Il pubblicano, ci dice S. Luca, dimentica tutto il bene che forse ha fatto durante la sua vita, per non occuparsi che della sua miseria spirituale e della sua indegnità; non osa comparire davanti ad un Dio sì santo. Lungi dall’imitare il fariseo, che si mette in un luogo dove può esser veduto da tutti e riceverne le lodi, il povero pubblicano, appena entrato nel tempio si nasconde in un canto, si considera come solo davanti al suo giudice, colla faccia verso terra, col cuore spezzato dal dolore, cogli occhi pieni di lagrime, non osa guardare l’altare, tanto è coperto di confusione alla vista dei suoi peccati e della santità di Dio, davanti al quale si trova indegno di comparire. E nella più grande amarezza del cuore grida: “Mio Dio, di grazia, abbiate pietà di me, perché sono un gran peccatore!„ Quest’umiltà commosse talmente il cuore di Dio, che, non solo gli perdonò tutti i suoi peccati, ma lo lodò pubblicamente, dicendo a tutti che quel pubblicano, sebbene peccatore, per la sua umiltà, gli era stato più gradito che il fariseo con tutta la sua mostra di buone opere: “poiché vi dico, sono parole di Gesù Cristo, che quel pubblicano ritornò a casa senza peccati, mentre il fariseo uscì dal tempio più colpevole di quando v’era entrato. Concludo quindi che chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato. „ Abbiamo visto, F. M., che cos’è l’orgoglio, quanto sia orribile questo vizio, quanto esso oltraggia il buon Dio, e finalmente come il Signore si compiace di punirlo. Vediamo che cos’è l’umiltà, la virtù contraria.
III. — Se “l’orgoglio è la sorgente di ogni vizio„ possiamo dire che l’umiltà è la sorgente ed il fondamento di ogni virtù (Prov. XV, 33); essa è la porta per la quale Iddio fa giungere a noi le sue grazie; essa perfeziona tutte le nostre azioni, e comunica loro tanto valore che le rende accette a Dio; finalmente essa ci fa padroni del cuore di Dio, il quale diventa, per così dire, nostro servo; poiché mai Iddio ha potuto resistere ad un cuore umile (1 Piet. V, 5). — Ma, mi direte, in che cosa consiste questa umiltà, che ci merita tante grazie? — Eccolo, amico. Ascoltatemi: voi avete già dovuto conoscere se siete presi dall’orgoglio; vedrete ora se avete la fortuna di possedere sì bella e rara virtù; se l’avete in tutta la sua integrità, il cielo è vostro. L’umiltà, ci dice S. Bernardo, consiste nel conoscere noi stessi, nel disprezzo di noi medesimi. L’umiltà è una fiaccola che ci mostra nettamente le nostre imperfezioni; essa, dunque, non consiste nelle parole, né nelle opere; ma nella conoscenza di noi stessi, conoscenza che ci fa scoprire un’infinità di difetti che il nostro orgoglio ci aveva nascosti fino ad ora. Io dico che questa virtù ci è assolutamente necessaria per andare in cielo; ascoltate ciò che ci dice Gesù Cristo nel Vangelo: “Se non sarete simili ad un fanciullo, non entrerete nel regno de’ cieli. In verità vi dico, che se non vi convertite, se non abbandonate quei sentimenti d’orgoglio e di ambizione, così naturali nell’uomo, non entrerete in cielo. „ (Math. XVIII, 3). “Sì, ci dice il Savio, l’umiltà ottiene tutto.„ (Ps. CI, 18). Volete ricevere il perdono dei vostri peccati? Presentatevi a Dio nella persona dei suoi ministri, coperti di confusione, come indegni di ottenere la grazia che domandate, siete sicuri del perdono. Siete tentati? umiliatevi della vostra miseria, e riconoscete che da soli non potete che perdervi: siete allora sicuri d’esser liberati. O bella virtù quanto rendi cara un’anima a Dio! Gesù Cristo stesso non poteva darci una più bella idea della grandezza del suo merito, che dicendoci d’aver voluto prendere “la forma di servo, „ (Phil. II, 7), che è la più vile condizione. Che cosa rese la santa Vergine così cara a Dio se non la sua umiltà e il disprezzo che aveva di se stessa? – Leggiamo nella storia (Vita dei Padri del deserto, t. I, pag. 52) che S. Antonio ebbe una visione, nella quale Dio gli fece vedere il mondo tutto coperto da una rete, tenuta ai quattro capi dai demoni. “Ah! esclamò il santo, chi non potrà cadere in quella rete? „ — “Antonio, gli disse il Signore, l’umiltà sola basta: cioè, se riconoscete di nulla meritare, di non esser capaci di nulla, sarete vittoriosi.„ Un amico di S. Agostino, gli domandava qual era la virtù che bisognava praticare per essere più cari a Dio, ed egli rispose: “L’umiltà sola basta. Ho ben faticato per conoscere la via più sicura per andare a Dio, ma non ne ho trovato altra. „ Ascoltate ciò che ci dice la storia: S. Macario, ritornando con una bracciata di legna, trovò il demonio armato di una falce tutta infiammata, che gli disse: “Macario, quanto mi fai soffrire per non poterti maltrattare; perché mi fai tanto patire? tutto ciò che tu fai io lo faccio meglio di te: se tu digiuni io non mangio mai; se tu vegli io non dormo; non v’è che una sola cosa che tu hai più di me e per la quale mi hai vinto. „ Sapete, F. M,, la cosa che era in S. Macario e che il demonio non aveva? Ah! amici miei, era l’umiltà. O bella virtù, quant’è felice e capace di grandi cose chi ti possiede! Infatti, F. M., quando pure aveste tutte le altre virtù e non questa, non avete nulla. Date le vostre ricchezze ai poveri, piangete i vostri peccati per tutta la vostra vita, fate penitenza finché il vostro corpo potrà resistere, vivete nel ritiro durante tutta l’esistenza vostra; se non avete l’umiltà non lascerete di dannarvi (Se non avete l’umiltà, non lascerete di dannarvi, „ cioè se non avete l’umiltà che il buon Dio domanda da voi vi esporrete al pericolo di dannarvi). Perciò vediamo che tutti i Santi hanno lavorato tutta la loro vita per acquistarla o per conservarla. Più Iddio li colmava di favori e più essi si umiliavano. Vedete S. Paolo, innalzato fino al terzo cielo, egli considera se stesso come un grande peccatore, un persecutore della Chiesa di Gesù Cristo, « un miserabile, un aborto, indegno del posto che occupa » (I Tim. I, 13; – 1 Cor. xv, 8, 9). Vedete S. Agostino, S. Martino: non osavano entrare in chiesa senza tremare, tanto li spaventava la loro miseria spirituale. E tali devono essere le nostre disposizioni se vogliamo essere cari a Dio. Vediamo, F . M., che più un albero è carico di frutti, e più i suoi rami si abbassano; così, più noi facciamo buone opere, più dobbiamo umiliarci riconoscendoci indegni che il buon Dio si serva d’un sì vile strumento per fare il bene. F. M., non possiamo conoscere un buon Cristiano se non dall’umiltà. Ma, mi direte, come si può conoscere se un Cristiano è umile? — Niente di più facile, e lo vedrete. Dapprima io dico che una persona veramente umile non parla mai di se stessa, né in bene né in male, ella si accontenta di umiliarsi davanti a Dio che la conosce. Non guarda che alla propria condotta, geme nel vedersi tanto colpevole: lavora a rendersi più degna di Dio. Non la sentite mai giudicare la condotta degli altri, ha buona opinione di tutti. Disprezza qualcheduno? disprezza solo sé medesima. Interpreta bene tutto quello che fanno i suoi fratelli; è persuasissima che ella sola è capace di far male. Quindi se parla del suo prossimo, ne parla solo in bene; se non ha nulla in bene da dire, tace; se vien disprezzata, pensa che riceve solo quanto si merita, e che dopo aver disprezzato Dio, essa merita ben di più: se si vede lodata arrossisce, e fugge, addolorandosi perché nel giorno del giudizio disingannerà quelli che la credono persona dabbene, mentre invece è tutta coperta di peccati. Ella ha tanto in orrore le lodi quanto gli orgogliosi amano le umiliazioni. Quelli che le fanno conoscere i suoi difetti saranno sempre suoi amici. Se ha del bene da dare, cercherà sempre di farlo a colui che l’ha calunniata o disprezzata. Gli orgogliosi cercano la compagnia di quelli che li adulano, e li stimano, ella invece li fuggirà per andare con quelli che sembrano avere cattiva opinione di lei. Il suo piacere sta nell’esser sola con Dio, mostrandogli la propria miseria e domandando pietà. Si trovi pur sola od in compagnia, non vedete nessun cambiamento nelle sue preghiere, né nel suo modo d’agire. Non facendo tutte le sue azioni che per poter piacere a Dio, non guarda affatto a quello che pensano o dicono gli altri. Lavora per piacere a Dio, e, quanto al mondo, può dire che lo mette sotto i piedi. Così pensano e fanno quelli che tengono come lor porzione, l’umiltà… – Gesù Cristo non sembra far distinzione tra il Sacramento del Battesimo, quello della Penitenza e l’umiltà. Ci dice che senza Battesimo non entreremo mai nel regno dei cieli, senza quello della Penitenza, dopo il peccato, non avremo il perdono, e dice poi, che senza l’umiltà, non entreremo in cielo (Matt. XVIII). Sì, F. M., se abbiamo l’umiltà, quand’anche fossimo coperti di peccati, siamo sicuri d’esser perdonati; e senza l’umiltà, se avessimo anche fatto tutte le buone opere possibili, non ci salveremo mai. Ecco un esempio che ve lo mostrerà nel miglior modo possibile. Si legge nel libro dei Re (III Re, XXI), che il re Acabbo era il più abominevole che avesse regnato fino allora; non credo che se ne possa dir di più di quello che dice lo Spirito Santo: ascoltate. “Era un re dato ad ogni sorta d’impudicizie, che metteva impunemente le mani su tutti i beni dei suoi sudditi; fece ribellare a Dio gli Israeliti, sembrava uomo venduto ed impegnato a fare ogni sorta di male: insomma coi suoi delitti superò quelli che l’avevano preceduto. Perciò Iddio, non potendo più tollerare i suoi delitti, ed avendo deciso di punirlo, chiama il suo profeta Elia, gli comanda di andare dal re e dirgli le sue decisioni: “Digli che i cani mangeranno le sue carni e berranno il suo sangue; farò cadere su di lui tutti i fulmini delle mie vendette; non gli risparmierò nulla, anche per mezzo di quei cani, farò sentire l’eccesso del mio furore.„ Osservate qui quattro cose, F. M.: 1° Si vide mai uomo più malvagio di lui? 2° Si vide mai una più chiara determinazione di far morire un uomo che merita tanto di esser punito? – 3 ° Si diede mai un ordine più preciso? – 4° In questo luogo, disse il Signore, tutto ciò avverrà.„ Si è mai visto nella storia un uomo condannato ad un supplizio più infame di quello di Acabbo, cioè di far mangiare la sua carne, e bere il suo sangue dai cani? Ah! F. M., chi potrà strapparlo dalle mani di un nemico così potente che ha già cominciata la sua vendetta? – Acabbo, sentito il profeta, si stracciò le vesti. Ascoltate ciò che gli dice il Signore: “Va, non sei più in tempo, hai aspettato troppo, ora mi rido di te. „ Ed Acabbo si copre di cilicio: “Tu forse credi, continua il Signore, di muovermi a pietà e di far così revocare il mio comando; ora digiuni; bisognava digiunare pel sangue di tante persone che hai fatto morire.„ Allora gettatosi per terra, si coprì di cenere, e quando doveva uscir fuori, camminava colla testa nuda e cogli occhi a terra. “Profeta, disse il Signore, hai veduto come Acabbo si è umiliato, e prostrato colla faccia a terra? Ebbene! va a dirgli che, giacché si è umiliato, io non lo punirò, e non farò cadere su di lui la folgore e la vendetta che avevo preparata. Digli che la sua umiltà mi ha commosso, mi ha fatto revocare gli ordini, ed ha disarmata la mia collera. „ (III Reg., XXI). Ebbene, F. M., non avevo io ragione di dirvi che l’umiltà è la più bella e la più preziosa di tutte le virtù, che essa è onnipotente presso Dio, e che Dio nulla sa rifiutarle? Possedendola, avremo tutte le altre; senza di essa tutte le altre valgono nulla. Concludo, F. M., dicendo che conosceremo se un Cristiano è veramente tale dal disprezzo ch’egli ha di se stesso e di tutto ciò che fa, e se interpreta in bene tutto ciò che fa o dice il suo prossimo. E con questo, F. M., possiamo star sicuri che il nostro cuore gusterà la felicità sulla terra e che il cielo sarà per noi…
Offertorium
Orémus
Ps XXIV: 1-3
Ad te, Dómine, levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.
[A Te, o Signore, ho innalzata l’anima mia: o Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire: che non mi irridano i miei nemici: poiché quanti a Te si affidano non saranno confusi.]
Secreta
Tibi, Dómine, sacrifícia dicáta reddántur: quæ sic ad honórem nóminis tui deferénda tribuísti, ut eadem remédia fíeri nostra præstáres.
[A Te, o Signore, siano consacrate queste oblazioni, che in questo modo volesti offerte ad onore del tuo nome, da giovare pure a nostro rimedio.]
Communio
Ps L: 21.
Acceptábis sacrificium justítiæ, oblatiónes et holocáusta, super altáre tuum, Dómine.
[Gradirai, o Signore, il sacrificio di giustizia, le oblazioni e gli olocausti sopra il tuo altare.]
Postcommunio
Orémus.
Quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut, quos divínis reparáre non désinis sacraméntis, tuis non destítuas benígnus auxíliis.
[Ti preghiamo, o Signore Dio nostro: affinché benigno non privi dei tuoi aiuti coloro che non tralasci di rinnovare con divini sacramenti.]
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)