L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (III)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (III)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE. Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO

BARTHÉLEMY HOLZHAUSER RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23

1856

LIBRO PRIMO

SUI TRE PRIMI CAPITOLI

Descrizione dei sette Angeli della Chiesa Cattolica da Gesù-Cristo fino alla consumazione dei secoli, figurate dalle sette Chiese dell’Asia, dalle sette Stelle e dai sette Candelabri.

§ III.

Descrizione della Chiesa militante rivelata a San Giovanni per la sua somiglianza a Gesù-Cristo.

CAPITOLO I. – Versetto 13-20

… et in medio septem candelabrorum aureorum, similem Filio hominis vestitum podere, et præcinctum ad mamillas zona aurea: caput autem ejus, et capilli erant candidi tamquam lana alba, et tamquam nix, et oculi ejus tamquam flamma ignis: et pedes ejus similes auricalco, sicut in camino ardenti, et vox illius tamquam vox aquarum multarum: et habebat in dextera sua stellas septem: et de ore ejus gladius utraque parte acutus exibat: et facies ejus sicut sol lucet in virtute sua. Et cum vidissem eum, cecidi ad pedes ejus tamquam mortuus. Et posuit dexteram suam super me, dicens: Noli timere: ego sum primus, et novissimus, et vivus, et fui mortuus, et ecce sum vivens in osæcula sæculorum: et habeo claves mortis, et inferni. Scribe ergo quæ vidisti, et quæ sunt, et quae oportet fieri post hæc. Sacramentum septem stellarum, quas vidisti in dextera mea, et septem candelabra aurea: septem stellæ, angeli sunt septem ecclesiarum: et candelabra septem, septem ecclesiæ sunt.

[… e in mezzo ai sette candelieri d’oro uno simile al Figliuolo dell’uomo, vestito di abito talare, e cinto il petto con fascia d’oro: e il suo capo e i suoi capelli erano candidi come lana bianca, e come neve, e i suoi occhi come una fiamma di fuoco, e i suoi piedi simili all’oricalco, qual è in un’ardente fornace, e la sua voce come la voce di molte acque: e aveva nella sua destra sette stelle: e dalla sua bocca usciva una spada a due tagli: e la sua faccia come il sole (quando) risplende nella sua forza. E veduto che io l’ebbi, caddi ai suoi piedi come morto. Ed egli pose la sua destra sopra di me, dicendo: Non temere: io sono il primo e l’ultimo, e il vivente, e fui morto, ed ecco che sono vivente pei secoli dei secoli, ed ho le chiavi della morte e dell’inferno. Scrivi adunque le cose che hai vedute, e quelle che sono, e quelle che debbono accadere dopo di queste: il mistero delle sette stelle, che hai vedute nella mia destra, e i sette candelieri d’oro: le sette stelle sono gli Angeli delle sette Chiese: e i sette candelieri sono le sette Chiese].

XVIII. Ed io mi voltai … e vidi sette candelabri d’oro; vale a dire, sette chiese piene di olio delle buone opere, ardenti di fuoco e carità, illuminate dalla saggezza del Verbo divino. E brillanti, agli occhi del mondo, come lampade e candelabri. In effetti, Gesù-Cristo istituì la sua Chiesa, affinché venisse in soccorso degli indigenti con l’olio delle opere di misericordia; ché gli infermi fossero unti e fortificati; coloro che sono freddi fossero riscaldati dal fuoco della carità; che i ciechi fossero rischiarati dalla saggezza celeste; e le opere delle tenebre prendessero la fuga davanti alle opere di luce e di santa condotta. Candelieri d’oro; vale a dire: fusi nella scienza della discrezione e nella prudenza celeste, perché, così come l’oro è più stimato degli altri metalli dai re, dai principi e dagli altri uomini; e così come ha grande efficacia, in medicina, per guarire gli infermi; così pure la discrezione e la prudenza sono non solamente stimatissimi dagli uomini, ma ancor più necessari alla medicina spirituale, con la correzione fraterna. Candelieri d’oro, per mezzo dei quali sono rappresentati lo splendore, la ricchezza, la maestà, l’onore e la gloria esteriore di Gesù-Cristo, suo Sposo e renderlo splendente agli occhi del mondo, secondo la diversità dei tempi. Candelieri d’oro, cioè puliti e ben lavorati; perché come l’oro è provato col fuoco, ed il candelabro prende la sua forma sotto lo strumento dell’artigiano, così la Chiesa si consuma e si estende in longanimità, purgata dalle tribolazioni e dai colpi della tentazione.

XIX. Vers. 13. – Ed in mezzo ai sette candelieri d’oro (io vidi) uno che somigliava al Figlio dell’uomo, vestito con una veste talare, stretta al di sotto delle mammelle, da una cintura d’oro. Questo testo descrive alla lettera la persona del Cristo, che l’Angelo rappresentava, essendo costituito da Dio Padre, per essere il Sommo Sacerdote ed il Giudice dei viventi e dei morti. Questa persona del Cristo figura anche la persona, il governo e la natura della Chiesa, sua Sposa. Ed in mezzo ai sette candelieri d’oro, uno che somigliava al Figlio dell’uomo; vale a dire un Angelo che non era Cristo in persona, ma un Angelo da Lui inviato, che rappresentava la persona del Cristo: simile al Figlio dell’uomo; vale a dire, offrendo un’immagine, una similitudine o una idea di Gesù-Cristo, secondo la quale formò la sua Chiesa simile a Lui. Simile al Figlio dell’uomo; designando con ciò lo Spirito di Cristo, che mantiene e vivifica spiritualmente il corpo della sua Chiesa, come l’anima vivifica il suo corpo. Ecco perché San Giovanni scrive queste parole: in mezzo ai sette candelieri d’oro.  In effetti, il Cristo, la cui persona è rappresentata dall’Angelo, è in mezzo alla sua Chiesa come un capo invisibile, governandola, sostenendola, vivificandola, istruendola, consolandola, difendendola ed amandola; come un maestro è in mezzo ai suoi discepoli, un padre in mezzo ai suoi figli, un re in mezzo ai suoi sudditi, ed un capitano un mezzo ai suoi soldati, secondo quanto è scritto, (Matth., XXVIII, 20): « Io sono con voi tutti i giorni, fino alla consumazione dei secoli. » I suoi Angeli sono così in mezzo alla Chiesa, come dei ministri preordinati da Dio per essere a nostra tutela, nostra salvezza e nostro soccorso. Infine, quest’Angelo che è in mezzo ai sette candelieri d’oro, è anche il prototipo di tutti gli altri Angeli.

XX. Vestito di una veste talare, e con sotto il petto di una cintura d’oro. Queste parole designano questo essere simile al Figlio dell’uomo; e questa descrizione ci rivela la natura ed il governo della Chiesa Cattolica, Sposa di Cristo. 1° San Giovanni dice che lo vede vestito di una veste talare; ora, la lunga veste o abito sacerdotale che discende fino ai piedi, è l’alba. Questo abito designa l’umanità di Gesù-Cristo sotto la quale si mostrò agli uomini, essendosi reso simile a noi, coperto da un abito come un uomo e come un pontefice che potesse compatire le nostre infermità. Fu costituito da Dio Padre, Sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedech, essendosi offerto al Padre una volta, sulla croce, come ostia vivente; ed offrendosi ogni giorno per noi nel Sacrificio della Messa. Ora, tale è anche la Chiesa Cattolica: essa offre, in effetti, una viva immagine del Cristo, e ci dà un’idea o un prototipo del suo divino sposo, essa è ornata da una lunga veste, cioè dalla dignità e dall’abito sacerdotale talare, per rappresentare il sacerdozio che continuerà fino alla consumazione del secolo. Il candore di questa lunga veste indica la purezza di coscienza, la semplicità dell’anima, l’umiltà di spirito e la castità del corpo, che devono sempre accompagnare il sacerdozio, E cinto sotto il petto una cintura d’oro, della cintura di giustizia e della verità di Gesù. Isaia, XI, 5: « La giustizia sarà la cintura dei suoi reni, e la fede l’armatura di cui sarà cinto » (le due parole latine lumbi e renes significano i reni, e la scrittura se ne serve ordinariamente per designare il centro della forza, come anche la concupiscenza.). Cintura d’oro, vale a dire che il sacerdote avrà molto da soffrire dal mondo a causa della giustizia e della verità, e sarà provato come l’oro nella fornace. Ora, è così che si può dire della Chiesa di Cristo, cinta sotto il petto, con i reni cinti, si comprende la mortificazione della carne, così come era prescritta nell’Antico Testamento; e per il torace cinto sotto il petto, si intende la mortificazione dell’anima, così come è ordinata nella nuova Legge. Infatti, sotto la Legge nuova, Gesù-Cristo orna e cinge nuovamente la Chiesa, sua sposa, come una cintura di oro prezioso. (Matth., V, 27): « Avete appreso che è stato detto agli anziani: voi non commetterete adulterio; ma io vi dico chi chiunque avrà guardato una donna con desiderio ha già commesso adulterio nel suo cuore. »

Vers. 14. – La sua testa ed i suoi capelli erano bianchi come la lana bianca e come la neve. È conveniente che la testa del sacerdote, come quella del giudice, abbia il candore della maturità e della saggezza. È per questo che vien detto che colui che era simile al Figlio dell’uomo aveva la testa ed i capelli bianchi come la lana bianca e come la neve. La testa rappresenta il Verbo di Dio, la sapienza eterna. Ed è detto che la sua testa era bianca come per rappresentare l’età, perché Egli è eterno, ed è la sapienza eterna del Padre. Ecco perché il Profeta Daniele dice del Cristo, (cap. VII, 9): « Ero attento a ciò che vedevo, fin quando furono posti i troni e l’Antico dei giorni si assise ». I capelli significano i Santi ed i giusti formano una folla sì grande di tutte le nazioni che nessuno può contare, etc.. In più, i capelli crescono sulla testa, sono aderenti. E ne sono l’ornamento; ora, è così che i Santi ed i giusti di Dio sono stati prodotti dalla divina Sapienza, avendo per capo Gesù-Cristo, sul quale essi si fondano; per di più gli sono connessi con la fede, la speranza e la carità, e ne sono come l’ornamento esterno o al di fuori. Perché Dio è glorificato dai suoi Santi che hanno vinto per Lui il mondo, la carne ed il demonio, per giungere al regno eterno. Infine si è qui parlato di due tipi di candore: 1° Bianco come la lana bianca; 2° bianco come la neve. 1° per i capelli bianchi come la lana bianca, si comprende tutti coloro che diverranno bianchi per le molte prove, e furono lavate come la lana nelle acque delle tribolazioni, che non potettero spegnere la loro carità. Sotto questa specie sono comprese anche coloro che si infangarono su questa terra con la melma del peccato mortale, e si lavarono in seguito come Maria Maddalena ed altri Santi nelle acque del Giordano e della penitenza, nel modo in cui si lavano le pecore prima di essere tosate. – 2° Per i capelli bianchi come la neve, si comprende le vergini e tutti quelli che, avendo conservato la loro primitiva innocenza, la porteranno in cielo al loro Sposo Gesù-Cristo. Questo come nell’Apocalisse (XIV, 5): Non si è trovata menzogna nella loro bocca, perché sono puri, davanti al trono di Dio, come la neve. In tutte queste cose, il suo capo invisibile è Gesù-Cristo, che ha formato il suo corpo, e che gli comunica interiormente la pienezza della grazia e della verità. Il suo capo visibile è, per successione continua, il sovrano Pontefice, anch’egli sacerdote e rappresentante del sacerdozio in tutti i sacerdoti che gli sono subordinati. In questi sono compresi tutti i prelati che, assistite dalla grazia dello Spirito Santo, governano e reggono la Chiesa sulla terra per Gesù-Cristo. Il capo visibile della Chiesa ha pure il candore dell’età, poiché è esistito con una successione continua dopo Gesù-Cristo fino a questo giorno, avendo schiacciato la testa a tutti i capi delle eresie. Egli ha il candore della maturità, perché la sua dottrina fu sempre sana, ragionevole e santa, e che la Chiesa cattolica ha sempre osservato un ordine magnifico nelle sue cerimonie ed in tutte le altre cosa sacre. 3° Ed i suoi occhi sembravano come fiamma di fuoco; ciò che significa la vivacità di intelletto nella conoscenza della verità. Infatti, come l’uomo possiede naturalmente due occhi, il destro ed il sinistro; così Gesù-Cristo, che è perfetto come Dio e come uomo, ha due occhi puri e perspicaci, che sono tutta la scienza della divinità e dell’umanità. Questi occhi di Gesù-Cristo sono di una vista e di una intelligenza infinita, perché Egli scruta intimamente e vede tutte le cose tanto sovrannaturali che naturali, sia buone che cattive, nel passato, presente ed avvenire. Con l’occhio destro vede i buoni con le loro buone opere, e con l’occhio sinistro vede i malvagi e le loro iniquità. (Ps. XXXIII, 18): « Gli occhi del Signore veglia sui giusti, e le sue orecchie sono aperte alle loro preghiere. Ma lo sguardo del Signore è su coloro che fanno il male, per cancellare dalla terra il loro ricordo. » Ecco perché San Giovanni aggiunge: Come una fiamma di fuoco; perché come il fuoco è un elemento semplice e terribile che prova l’oro e lo purifica, che rischiara le tenebre e rivela le loro opere, che divora e penetra tutto; gli occhi di Dio sono terribili, quando scrutano i reni ed i cuori; essi vedono e rischiarano tutto, le tenebre e le opere delle tenebre in qualunque modo nascoste. Gli occhi di Dio penetrano fin nei segreti dell’inferno, la nostra santa madre Chiesa cattolica ha pur’essa due occhi perfettamente simili. Il primo dei suoi occhi è divino; è l’assistenza dello Spirito Santo. Gesù-Cristo domandò quest’occhio al Padre, e lo donò alla sua sposa. (Jo., XIV, 16): « Io pregherò mio Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore, affinché dimori eternamente con voi. Lo spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce; ma voi, voi lo conoscerete perché Esso resterà in voi e sarà in voi. » L’altro occhio della Chiesa è la santa Scrittura, i santi Canoni, gli scritti dei Padri Santi, i Santi Concili, la teologia, la fonte di tutte le altre scienze sia naturali che soprannaturali, alle quali si fa riferimento nelle definizioni e nelle sentenze. E questi due occhi di verità e di chiarezza della Chiesa sono magnifici. (Cantic., IV, 1): « Come sei bella, mia diletta! Come sei bella! I tuoi occhi sono gli occhi della colomba. » Ora, tali sono gli occhi della sposa di Gesù-Cristo, con i quali si discerne il bene ed il male, la verità e l’errore, le tenebre della luce, che fanno il giudizio, la giustizia e la verità, e sono questi occhi che, come fiamma ardente, hanno ucciso tutti gli eretici, hanno vinto il demonio, il padre della menzogna, il dragone, la bestia, e che penetrano fino ai segreti dell’inferno.

Vers. 15.  – I suoi piedi erano simili al bronzo fine, quando è nella fornace ardente. Queste parole significano il fervore dello zelo nel procurare l’onore di Dio e la salvezza delle anime. Zelo infinito in Gesù-Cristo che discende dai cieli per noi e per la nostra salvezza, sopportando per questo scopo la fame e la sete per trentatré anni, etc. calpestò sotto i piedi il torchio della sua passione e delle tribolazioni. (Isai., LXIII, 3): « Io ero solo a pigiare il vino senza che alcun uomo tra tutti i popoli fosse venuto con me. » Conseguentemente con i piedi si intende la forza del Cristo nelle fatiche e nelle tribolazioni, e la sua pazienza invincibile per mezzo delle quali calpestava, come di passaggio, e vinceva tutte le difficoltà e le avversità che si presentarono a lui sul cammino della vita e soprattutto della sua passione. Ecco perché i suoi piedi sono chiamati simili al bronzo fine quando è in una fornace ardente. Perché come il bronzo fine che è un metallo molto duro, resiste ad ogni ardore del fuoco, e che più vi si espone, e più il suo colore diventa bello; così brillano nell’ardore delle tribolazioni e della sua passione la forza, la pazienza ed il fervore di Gesù Cristo. Ed è ancora così che i piedi della Chiesa sono il fervore della carità, che anima i Santi per procurare la salvezza delle anime. Perché la pazienza e l’umiltà dei Santi sostengono la Chiesa sulle tracce di Gesù Cristo; ed è con queste due virtù che sono come i loro piedi, che i Santi calpestano l’avversità e la felicità di questo mondo. Questi piedi di bronzo sono molto forti e durissimi nell’avversità e nella prosperità; essi bruciano del fuoco della carità, e sono esposti a questo fuoco nelle tribolazioni del mondo, della carne e del demonio. E vi resistono. Ecco perché la Scrittura dice con ragione: (Rom. X, 15) : « Oh come son belli i piedi di coloro che evangelizzano  la pace, di coloro che evangelizzano i veri beni! ». E la sua voce (era) come la voce di grandi acque. Queste parole significano l’efficacia della Parola nella predicazione e nella correzione. Perché la voce di Cristo è la predicazione, e anche il suo Vangelo dice nella sua Epistola agli Ebrei, (IV, 12): « La parola di Dio è vivente ed efficace, e più penetrante di una spada a doppio taglio e penetra anche nei più intimi recessi dell’anima e dello spirito, anche nelle giunture e nelle midolla; essa svela i pensieri e i movimenti del cuore. »  I profeti hanno parlato molto di questa voce, chiamandola verga, e anche lo spirito, o soffio della sua bocca. Questa voce è anche la grazia di Dio, di Gesù Cristo, che illumina ed eccita l’anima e che parla al cuore. Come la voce di grandi acque, come l’acqua che penetra, purifica, irrora ed è spiritualmente fertile. Si parla dell’efficacia di questa voce, che è come la voce di molte acque, nel libro dei Salmi, (Ps. XXVIII, 3): « La voce del Signore tuonò sulle acque; il Dio della maestà ha tuonato, il Signore si è fatto intendere su una grande abbondanza di acque. La voce del Signore è accompagnata da forza; la voce del Signore è piena di magnificenza. La voce del Signore infrange i cedri, perché il Signore spezzerà i cedri del Libano, e li farà a pezzi come se fossero giovani tori del Libano, o i piccoli degli unicorni. La voce del Signore fa scaturire fiamme e fuochi. La voce del Signore scuote il deserto, perché il Signore si muoverà e agiterà il deserto di Kadesh. La voce del Signore prepara [al parto] il cervo, e scoprirà i luoghi oscuri e densi, e tutti nel suo tempio manifesteranno la sua gloria. » La Chiesa ha anche una tale voce, ed è la voce dei predicatori che gridano nel deserto di questo mondo; questa voce è anche la parola di Dio espressa nell’antico e nel Nuovo Testamento. Queste voci sono le definizioni e i decreti dei Concili della Chiesa, i santi canoni e la voce del Sommo Pontefice e degli altri prelati che parlano ai fedeli. Isaia, (XLIX, 2) dice di questa voce: « Egli ha reso la mia bocca come una spada penetrante. Mi ha protetto sotto l’ombra della sua mano; mi ha tenuto in serbo come una freccia scelta; mi ha tenuto nascosto nella sua faretra. »

Vers. 16. – 7° Aveva sette stelle nella sua mano destra. Queste sette stelle significano l’universalità dei Vescovi, che vengono chiamati stelle, perché devono illuminare la Chiesa con la loro vita e la loro dottrina. (Dan. XII, 3): « Coloro che avranno istruito molti nella via della giustizia, brilleranno come stelle nell’eternità . » Viene detto di essi, che sono nella destra del Cristo, perché senza di Lui, essi non possono fare nulla di retto. (Giov. XV, 5): « Senza di me non potete far nulla. » Anche è detto che sono nella sua destra, perché posti sotto la sua potenza mediante la quale Egli a volta esalta, altre volte umilia, a volte eleva, talvolta abbassa sulla terra colui che deve essere calpestato dai piedi degli uomini. È così che Gesù-Cristo contiene nella sua grazia e nella sua potenza, designate quì con la sua destra. La Chiesa ha pure una simile destra, che è l’autorità del sovrano Pontefice, o la giurisdizione universale e gerarchica sotto la quale si trovano tutti gli altri Vescovi. 8° Dalla sua bocca uscì una spada a doppio taglio. Con la spada intendiamo la giustizia, essendo Gesù Cristo il giudice dei vivi e dei morti. Questa spada è a due tagli, perché questo giudice sarà giusto, non conoscendo né il re, né il povero; egli giudicherà il giusto e l’ingiusto,  e darà a ciascuno secondo le sue azioni. È necessario che questa spada esca dalla sua bocca, poiché la sentenza di un giudice è pronunciato dalla bocca. Infatti,  (San Matteo, XXV, 34), parlando di Gesù Cristo, dice: « Allora il Re dirà a quelli alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio”, possedete il regno preparato per voi fin dall’inizio del mondo. Perché io avevo fame e mi avete dato da mangiare; avevo sete e mi avete dato da bere. Ero forestiero e tu mi avete ospitato. Ero nudo e tu avete vestito; Ero malato e mi avete visitato; ero in prigione, e siete venuti da me, ecc. » (Ibidem, V, 41): « Allora egli dirà a coloro che sono alla sua sinistra: “Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo e i suoi angeli, ecc. ecc. »  – Anche la Chiesa possiede una tale spada, poiché Gesù Cristo l’ha stabilita come giudice delle controversie che possono sorgere in certi momenti riguardo alla giustizia e alla fede. (Matth. XVI, 18) : « Tu sei Pietro, e su questa pietra costruirò la mia chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. E Io ti darò le chiavi del regno dei cieli; e qualunque cosa tu legherai sulla terra, sarà legato anche in cielo; e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto in cielo. » La Chiesa giudica dunque le cose della giustizia secondo i santi canoni, e decide ciò che è di fede, dichiarando il legittimo significato delle Sacre Scritture e di emettere sentenze di scomunica e di anatema contro gli ostinati. È quindi con ragione che chiamiamo il potere della Chiesa cattolica di pronunciare anatema e la scomunica, un potere che essa ha sempre usato e che sempre possiederà. 9. E Il volto era luminoso come il sole nella sua forza. Il volto di Gesù Cristo trionfante in cielo è la sua gloriosissima umanità, da cui si irradia la luce che è in lui, così come lo splendore della gloria eterna, volto che anche gli Angeli desiderano contemplare, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Giov. I, 9).  Ecco perché aggiunge: come il sole nella sua forza. Infatti, come il sole illumina il mondo, lo riscalda, lo feconda, e penetra con la sua forza le montagne, i mari e tutte le cose, così Gesù-Cristo, che è lo splendore della luce eterna. Irrora tutto ciò che è arido, con la rugiada della gloria divina; secca tutto ciò che è umido, con il calore dei desideri celesti; riscalda tutto ciò che è freddo con il fuoco del suo amore; Infine, riempie tutto con la sua bontà. Si dice del suo volto nel libro dei Salmi, (CIII, 29): « Se tu volgi la tua faccia da loro di loro, saranno turbati; toglierai loro toglierai loro lo spirito e cadranno in uno stato di debolezza e si trasformano nella loro polvere. » Il volto della Chiesa, la sposa di Gesù Cristo, è magnifica per lo splendore dello Spirito Santo, che fu versato su di essa nel giorno di Pentecoste; perciò brilla come il sole nella sua forza, cioè in un ordine molto bello, nella conformità di tutte le cose, nella magnificenza dei suoi riti e cerimonie, ecc. Brilla come il sole nella sua forza e nella magnificenza dei suoi riti e delle sue cerimonie, ecc. Brilla come il sole nella sua forza, cioè nelle sue leggi sacre in conformità con Dio, la natura e l’uomo. Come il sole nella sua forza, cioè nell’integrità, purezza e verità della sua fede. Ed è per questo che lei illumina ogni uomo che viene in questo mondo; così che se i pagani, gli eretici e gli altri infedeli guardasse il volto della Chiesa cattolica, essi potrebbero essere facilmente illuminati e convertiti alla vera fede.

XXI. Dopo avere sufficientemente descritto, dalla testa ai piedi, Colui che era simile ai Figlio dell’uomo, San Giovanni aggiunge:

Vers. 17. – Quando io lo vidi, caddi come morto ai suoi piedi. Con queste parole, si vede il terrore e la paura quasi mortale da cui fu colto San Giovanni. – Aggiunge, quindi, che cadde ai suoi piedi, affinché con questo lo Spirito di Cristo ci mostrasse che i piedi della sua Chiesa, che sono, come abbiamo detto sopra la forza e la pazienza, sarebbe stati sorprendenti e terribili, poiché la Chiesa doveva calpestare, fino alla fine del mondo il torchio delle tribolazioni, e camminare nel sangue dei martiri. Queste due parole, sorprendenti e terribili, sono davvero l’espressione dei sentimenti che si provano alla vista dei meravigliosi eventi che segnano le varie epoche della Chiesa. Infatti, che cosa terribile sono i mali che Dio permette contro la sua Chiesa onde provarla! Ma anche qual cosa strabiliante e mirabile è l’intervento della sua bontà, della sua pazienza e del suo amore in favore dei suoi eletti, in queste prove terribili! Dopo la paura ed il terrore, viene ordinariamente la consolazione.

XXII E pose la mano destra su di me. La sua destra designa la grazie e la potenza del Cristo, che Egli pose su San Giovanni, rappresentante qui la persona della Chiesa; cioè Egli pose la sua destra sulla sua Chiesa ed i suoi membri, dicendo: Non temete; come per dire: Non abbiate timore, poiché voi dovete subire orribili persecuzioni e traversare il torrente del sangue dei martiri, torrente che è piaciuto al Padre da tutta l’eternità che io bevessi per la gloria dei suoi eletti; perciò ho posto la mia mano destra su di voi, cioè la mia grazia. – La mia destra, cioè il mio potere, che non permetterà mai che vi si imponga al di là di ciò che possiate fare e sopportare. La mia destra, perché io sarò con voi in tutte le vostre tribolazioni, fino alla consumazione dei secoli.

XXIII. Vers. 18. – Io sono il primo e l’ultimo; Io sono Colui che vive; io ero morto ma sono vivente nei secoli dei secoli. Con queste parole eccita la Chiesa e noialtri che ne siamo i membri, con il suo esempio, il più ammirevole possibile, a sopportare tutti i mali; e ci conforta dicendo: Io sono il primo. Cioè Io sono Dio ed il principio di tutte le creature; e tuttavia, Io sono l’ultimo dei viventi. (Isa., LIII, 2): «Noi l’abbiamo visto, e non aveva nulla che attirasse lo sguardo, e lo abbiamo misconosciuto. Ci è sembrato un oggetto di disprezzo, l’ultimo degli uomini, un uomo di dolore, che da ciò che cos’è soffrire. Il suo viso era come nascosto. Sembrava disprezzabile e non lo abbiamo riconosciuto. Egli ha preso i nostri languori su di Lui, e si è caricato dei nostri dolori. Lo abbiamo considerato come un lebbroso, come un uomo colpito da Dio ed umiliato. Eppure è stato trafitto da ferite per le nostre iniquità, è stato annientato per i nostri crimini. Il castigo che dovrebbe darci la pace si è abbattuto su di lui, e siamo stati guariti dalle sue piaghe. » – Io sono colui che vive: Io ero morto; intendendo con queste parole: “Ecco, io sono morto davvero sulla croce, e sono stato deposto in una tomba; disperavano della mia vita e della mia resurrezione; eppure io sono veramente risorto e Io vivo, Io che ero morto. Ed ecco, Io sono vivo nei secoli dei secoli. Con queste parole, Nostro Signore Gesù Cristo ci mostra l’immortalità, e vuole convincerci e persuadere le nostre anime a sopportare morte pure con amore, dicendoci: Eccomi qui, Io, che ho sofferto un po’, sono vivo nei secoli dei secoli; cioè sono eternamente immortale e immutabile, secondo questa parola di Romani (VI:10): « Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. » È in considerazione dell’immortalità che i santi Martiri e le vergini delicate vinsero e sopportarono con pazienza tutti i tormenti e tutte le tentazioni del secolo.

XXIV. E ho le chiavi della morte e dell’inferno. Le chiavi significano la potenza. Ho le chiavi della morte: testimonia il profeta Osea, (XIII, 14): « Morte, io sarò la tua morte. » E altrove il Signore dice anche: « La morte consegnerà i suoi morti al mio comando, al suono della tromba. Essa li renderà vivi, ecc. …. Alzatevi, morti, ecc. …. Venite al giudizio. » Farò in modo che la morte dei fedeli sia preziosi agli occhi del Signore, qualunque ne sia il genere. Ho le chiavi… dell’inferno. Vale a dire, il potere sul demone che, come il leone ruggente, gira intorno a noi, cercando di divorarci; e a cui dobbiamo resistere, forti della fede. Dell’inferno, cioè del principe di questo mondo, sia dei suoi ministri e membri che cercano con tutti i mezzi possibili di ridurvi in loro potere e portarvi via da me con innumerevoli tormenti. Ma questo principe è già stato respinto, ed è per questo che voi non dovete temere i suoi ministri. Questo è ciò che Gesù Cristo ci dice ancora in San Luca, (XII, 4): « Non temete quelli che uccidono il corpo ….. temete colui che, dopo aver tolto la vita, ha il potere di gettare nell’inferno. » Della morte e dell’inferno, perché quando quelli che sono i ministri del diavolo avranno perseguitato abbastanza, la morte li farà a pezzi per mio ordine e l’inferno li inghiottirà vivi. Non perseguiteranno contro la mia volontà, perché non permetterò che siate tentati oltre le vostre forze e renderò meritorie le vostre tentazioni. Chi ha la chiave della casa vi fa entrare chi vuole e ne esclude anche chi vuole.

Vers. 19. Scrivi dunque le cose hai viste, cioè, i mali passati che ti ho rivelato, quelli presenti o imminenti; e quelli che, per permesso di Dio, sono già cominciati o stanno per arrivare per provare la Chiesa; e quelli che devono arrivare in seguito, per provare la Chiesa. I mali che devono seguire o che arriveranno alla fine dei tempi, affinché con gli esempi di pazienza e di forza invincibile dei primi perseguitati, e di quelli che li seguiranno, e gli ultimi fedeli siano sufficientemente incoraggiati.

Vers. 20. Ecco il mistero delle sette stelle che hai visto nella mia mano destra, e dei sette candelabri d’oro. Vale a dire, ecco il mistero che Egli ci espone e ci insegna come con la proprietà delle cose e delle parole, e con le allegorie dobbiamo comprendere ed interpretare le altre cose. Con i sette Angeli si comprende dunque l’universalità dei vescovi che esisteranno nelle sette età della Chiesa. – I sette candelabri ci fanno comprendere le sette età venture della Chiesa nel corso delle quali sarà consumato iul secolo, tutto sarà ridotto in rovine; e la testa di colui che ha dominato il mondo sarà schiacciata. Le sette stelle sono i sette Angeli delle sette Chiese, e i sette candelabri sono le sette Chiese. San Giovanni descrive tutte queste cose in seguito.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (IV)

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (V)

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (V)

LA VITA SPIRITUALE RIDOTTA A TRE PRINCIPII FONDAMENTALI

dal Padre MAURIZIO MESCHLER S. J.

TRADUZIONE ITALIANA PEL SACERDOTE GUGLIELMO DEL TURCO SALESIANO DEL VEN; DON GIOVANNI BOSCO

VICENZA – Società Anonima Tipografica, 1922

Nihil obstat quominus imprimatur.

Vicetiæ, 24 Martii 1922.

Franciscus Snichelotto

IMPRIMATUR

Vicetiæ, 25 Martii 1922.

    M, Viviani, Vic. Gen

PRIMO PRINCIPIO FONDAMENTALE: LA PREGHIERA (4)

CAPITOLO IX.

L’ Orazione mentale.

L’orazione mentale, chiamata altresì interna, è un’altra maniera di pregare. –

I. Dicesi interna, perché in essa non si fa uso d’una determinata formula di preghiera, né si pronunciano le parole; mentale, poiché anzitutto è una seria riflessione sulle verità della fede, affine di regolare la nostra vita in conformità delle medesime. Senza questa applicazione alla vita pratica, la meditazione riuscirebbe semplicemente uno studio di teologia. Chiamasi finalmente orazione o preghiera, perché la considerazione non è altro, parlando con proprietà, se non un apparecchio a pregare e trattenersi con Dio con maggior fervore ed intimità. La preghiera è sempre una conversazione con Dio; per cui, se si togliesse Dio dalla preghiera, riuscirebbe questa al più una considerazione o conversazione con sé stessi, un soliloquio.

2. Bisogna guardarsi anzitutto di pensare che la meditazione sia cosa troppo sublime e difficile e quindi ineseguibile. Nessuno potrà negare che tutti meditiamo molte volte senza saperlo. Pensando per es. se dobbiamo prenderci l’incarico d’un affare e come si debba condurlo a buon termine, che altro è se non una ben seria meditazione? Orbene, facciamo conto che questo affare si riferisca alla vita spirituale, e che pensando al medesimo preghiamo, ed avremo una vera meditazione.

3. Varî sono i metodi che sogliono darsi per meditare. Alcuni maestri di vita spirituale si contentano di proporre una serie di pensieri, atti virtuosi, riflessioni per es. di adorazione e rispetto dinanzi alla divina Maestà, atti di fede, di speranza, di carità, ecc., mediante i quali uno può intrattenersi con Dio. Sant’Ignazio insegna il metodo che consiste nell’applicar le tre potenze dell’anima, memoria, intelletto e volontà od una verità della fede, o ad alcun mistero della vita di Gesù Cristo. La memoria propone brevemente la verità, o il fatto storico, con una leggiera occhiata alla composizione di luogo fatta dall’immaginazione; l’intendimento speculativo procura di penetrare il mistero per comprenderne bene la verità, l’eccellenza, la bellezza e soavità, e l’intendimento pratico lo applica alla vita. Il sentimento dal canto suo eccita i suo corrispondenti atti d’amore o di odio a quanto si è già compreso, e la volontà abbraccia gl’insegnamenti ricevuti anzitutto mediante fermi propositi e chiede tosto la grazia di metterli in pratica. A tutto questo si suol premettere una breve preghiera preparatoria per chiedere a Dio la grazia di ben meditare. L’essenziale, quindi, di questo metodo consiste nell’applicazione delle potenze dell’anima ad una verità della fede o a un fatto storico, che secondo il suo contenuto può dividersi in diversi punti, in ciascuno dei quali possono considerarsi le persone, le parole e le azioni. Questo metodo di meditazione è semplice, facile, come dato dalla natura, molto efficace poiché in esso si occupa tutto l’uomo con tutte le sue forze per raggiungere, coll’aiuto di Dio, la verità divina e metterla fermamente e definitivamente in pratica. Per i principianti servono le regole; ma a poco a poco si va uno abituando a meditare, ed allora gli si rendono anche più facili e durevoli le applicazioni. Sant’Ignazio c’insegna ancora altri tre metodi d’orazione mentale.

Il primo consiste nel percorrere i misteri della vita di nostro Signore applicando ai medesimi ed alle virtù che vi si distinguono i sensi interni ed esterni, la vista, l’udito, il tatto, ecc. E° un metodo semplice e pratico che purifica e santifica la nostra fantasia, muove la volontà ed introduce l’intelletto nel santuario dei sentimenti e virtù del Redentore. Anche i grandi santi praticarono questo metodo d’orazione.

Il secondo metodo consiste nel percorrere i Comandamenti, i doveri del proprio stato, i sensi interni ed esterni, e vedere come ci troviamo, pentendocene di cuore e proponendo l’emendazione, se per disgrazia fossimo caduti in qualche peccato. Questo propriamente è un diligente esame di coscienza che può convertirsi in meditazione, col solo considerare in ogni parte quali sono le cose che ordinano e proibiscono i Comandamenti; e rispetto ai sensi, perché ci furono dati e qual uso ne fecero Gesù Cristo ed i santi. Vale moltissimo questo metodo per la delicatezza di coscienza, ed è un eccellente apparecchio alla Confessione.

– Il terzo metodo versa sopra una preghiera conosciuta, considerandone ciascuna parola e intrattenendovisi colla mente finché ci si presentino idee ed affetti. Questo modo di pregare offre ottimi vantaggi nelle lunghe funzioni di chiesa e quando si è stanchi o si patiscono distrazioni, e ci porta a conoscere l’intima essenza della preghiera, la sua bellezza ed elevato valore. Tanto più che è un buon aiuto insperato per far bene la preghiera vocale.

4. A chi ha tempo e facilità di meditare non si potrà mai raccomandare abbastanza, che procuri di dedicarsi quanto gli è possibile a quest’esercizio dell’orazione mentale. Quante volte Iddio nella Sacra Scrittura ci ammonisce di considerare la sua legge e d’apprezzare i di Lui benefizi! Il divin Salvatore, giorno e notte, era sempre intento alla meditazione, e lodò la vita contemplativa di Maria sorella di Marta, assicurandola che avea scelto la miglior parte. Per sé stessa la meditazione fa che la preghiera si prolunghi, gli affetti che da essa nascono eccitano il nostro fervore e desiderio, e così la preghiera consegue una forza intima di cui è priva senza la meditazione: con che crescono ed acquistano valore gli effetti della preghiera, quali sono il merito, la soddisfazione e l’efficacia. Convengono i grandi maestri di spirito che per raggiungere la perfezione, la preghiera mentale è moralmente necessaria. Deve, perciò, fra gli esercizî di pietà, occupare il primo posto nelle Case religiose, specialmente in quelle dei Religiosi di vita mista ed apostolica, i quali sono obbligati a vivere in contatto e comunicazione continua col mondo. La meditazione, prescritta in ogni Ordine dalle sue Costituzioni, fatta con diligenza, può compensare una meno rigorosa clausura ed austerità esterna. Come si potrà divenire apostolo, uomo di fede, se non si hanno presenti di continuo le verità della fede, meditandole e ruminandole ponderatamente, regolando la vita conforme ad esse e tenendole come principî fondamentali; se mediante l’orazione fervorosa non si scolpiscono nel cuore, perché diventino il capitale da cui tragga alimento la nostra vita? Senza questo deposito, si vivrà sempre meschinamente senza mai uscire dalla miseria, né arrivare ad una vita più fervorosa ed edificante. In ben diverso modo si forma e rinvigorisce lo spirito coll’orazione mentale che non colla vocale. Egli è certo che in questa si esercita la memoria, l’intelletto e la volontà, ma nella meditazione quest’esercizio è incomparabilmente più efficace, più intenso e di maggior durata, L’efficacia della meditazione continuata per lunghi anni è quella che d’un uomo di poca virtù deve fare un vero servo di Dio. Per questo un grande maestro di spirito dice che leggere pregare vocalmente e udire sermoni, aiutano molto per cominciare, ma che la meditazione, dev’essere il nostro libro, la preghiera nostra ed il nostro sermone; altrimenti saremo sempre scolari senza mai raggiungere la vera scienza. Ed ecco il perché, conchiude, sono così pochi i contemplativi tra i Religiosi, Sacerdoti e Teologi. (Gersone, Lib. di mist. teolog. prat., consid. II). – Il nostro più fermo proposito, quindi, dev’essere di meditare, se è possibile, tutti i giorni. In ogni caso quando non si possa, qualunque lettura spirituale, accompagnata da riflessioni e domande potrà servire di meditazione. Del resto dovremmo sempre preferire l’orazione mentale alla vocale, ed anche in questa se più non ci è determinata la durata, possiamo meditarne le parole e con brevissime pause fare degli atti d’elevazione a Dio dall’intimo del cuore. Una magnifica scuola d’orazione mentale sono gli Esercizi di Sant’Ignazio, la cui principal base è la meditazione: ivi si apprende a meditare, o vi si ritorna se mai ne fosse stato perduto l’uso.

CAPITOLO X.

Le divozioni della Chiesa.

Importa moltissimo per la vita della preghiera, praticare le divozioni della Chiesa.

1. Sono tutte un esercizio del culto divino ed appartengono essenzialmente agli atti dell’orazione e del servizio di Dio. L’oggetto di queste divozioni è sempre qualche cosa che deriva dalla fede, o che è in rapporto con essa; da ciò si deduce che non sono una novità. Di nuovo c’è soltanto questo, che secondo la diversità dei tempi, un fiore dell’albero secolare della fede, come colpito repentinamente da un raggio di luce, attrae a sé l’attenzione dei fedeli e risveglia nelle loro anime speciali sentimenti d’ammirazione e d’affetto, i quali, approvati dalla Chiesa, si cambiano in pratiche di pietà, che entrano a formar parte del pubblico culto. La cosa è antica; di nuovo non c’è che la luce. Questa luce procede dallo Spirito Santo, la cui azione consiste nel guidare la Chiesa ad ogni verità, nell’aprirle, secondo il bisogno dei tempi, nuove fonti di consolazione e soccorso e indirizzare l’attività sua vitale a quei fini che la divina Provvidenza le traccia lungo il corso dei secoli.

2. La preghiera è la prima e più naturale manifestazione delle divozioni, in quanto che queste appartengono propriamente alla religione, il cui esercizio principale è l’orazione. Le divozioni invitano i fedeli a pregare, e di pari passo che quest’invito va guadagnando terreno, va introducendosi altresì nella vita pratica la divozione, che a sua volta diventa un mezzo per esercitarsi nella preghiera. Merita considerazione il ricco corredo di preghiere, di feste e di cerimonie che le divozioni hanno regalato alla Chiesa. Quale decadimento e qual danno non si noterebbe nella vita della preghiera, se lasciando solo la Messa e la Comunione, si volessero togliere tutte le altre pratiche! Levate via i numerosi e svariati atti d’ossequio con cui si onorano la Santissima Vergine ed i Santi; sopprimete il bel numero di feste, preghiere ed usi della Chiesa, e vedrete come deserto e povero uscirebbe il nostro anno ecclesiastico, di quanta varietà, di quanti ornamenti e di magnificenze resterebbero spoglie le nostre chiese! Sono le divozioni che arricchiscono i giardini della Chiesa con i fiori sempre freschi della preghiera e della pietà.

3. E colla preghiera vengono tutte le grazie che le fan corteggio. Di essa sì servono come di mezzo queste devozioni, affinché si producano in maggior abbondanza le grazie che si trovano chiuse nelle verità della fede ed affluiscano nella Chiesa come ricche correnti. I frutti di benedizione che trae seco una divozione Popolare, possono molto bene rinnovare un’epoca, e infonderle una vita vigorosa e feconda. Per mezzo dei Santi, degli Ordini, delle Congregazioni Religione e delle grandi divozioni, si dice che Iddio rinnovi di continuo la faccia della terra.

4. Queste divozioni possiedono una tale attrattiva per indurre alla Preghiera, ed eccitano in tal modo la vita d’orazione in un Popolo, da far rammentare, senza volerlo, il detto d’Osea: « Io li trarrò, dice Iddio, coi vincoli propri degli uomini »; In funiculi Adam traham eos (Os. XI, 4). Come dire che mediante le divozioni discende Dio a noi per elevarci a Sé. In queste Ei s’adatta al carattere, spirito e tendenza di tutti gli uomini e di tutti i tempi; perciò esse sono tante quanti sono i tempi e gli uomini; e lo Spirito Santo ne suscita sempre di nuove. Colle medesime Egli sostiene la sua Chiesa, e la guida nell’opera cara al suo cuore, qual è di scandagliare i tesori di verità e di Sapienza che le lasciò in dote lo Sposo suo divino, e di applicare le scoperte alla capacità e necessità dei propri figli facendo risaltare per tal modo le grazie di sua bellezza, varietà e forza di adattamento. Così, accanto alle forme antiche di culto ne sorgono altre ché rompono la severità e rigidezza delle prime, e si adattano all’indole e gusto di ciascuno. Le devozioni della Chiesa sono come il grande e splendido banchetto d’Assuero (Est. I, 3 sgg.), in cui ognuno trova ciò che gli conviene e lo soddisfa; per esse ci si offre la grazia della preghiera nella forma che più conviene al nostro carattere, e con esse sembra che Dio e la Chiesa trattino di accaparrarci, per così dire, accomodandosi al nostro gusto, alla nostra predilezione spirituale, onde affezionarci alla preghiera che è il gran mezzo per conoscere la grazia. Chi oserà resistere a Dio, se Egli si abbassa così a noi? Potrebbe dirsi che le divozioni sono l’esca di cui si vale per trarci alla preghiera. Oh potesse conseguirlo a nostro favore! Nessun vantaggio a Lui risulta: vuole invece guadagnar noi alla preghiera, e per essa ad ogni bene, alla perfezione ed al Cielo.

CAPITOLO XI.

Lo spirito di preghiera.

I. Per spirito d’una cosa s’intende l’essenza, il midollo, la parte più nobile, più elevata di essa, come sarebbe l’anima ed il complesso di condizioni senza le quali non potrebbe esistere. Lo spirito di preghiera, quindi, è ciò che le dà efficacia, ciò che ad essa ci attrae e ci trattiene, ciò che infonde vigore all’orazione nostra e ciò che aiuta a farci conseguire il fine suo glorioso.

2. Lo spirito d’orazione consiste in tre cose. La prima è la stima della preghiera, la viva convinzione della sua eccellenza e dignità. Dobbiamo esser convinti che non possiamo far cosa che per sé sia migliore e più elevata, poiché pregare è mettersi in comunicazione e conversare con Dio, il massimo bene che della preghiera sì possa dire. Certamente che per volontà di Dio abbiamo altre cose importanti da fare, per es. adempiere gli obblighi del nostro stato, il che in un certo senso è anche una specie di preghiera e di servizio di Dio; ma c’è una differenza, ed è che tutto il resto che per volontà di Dio dobbiamo fare, non si riferisce a Lui direttamente, ma a qualche cosa fuori di Dio, a qualche cosa che appartiene a Lui, e che in certo modo bisogno restituirgliela; la preghiera invece mira direttamente a Dio, ed è un servigio personale della sua divina Maestà ed un atto del culto divino, e sappiamo che la virtù che ha per oggetto il culto di Dio dopo le teologali, è la più grande ed eccellente; cosa che non presenta nulla di strano se si osserva che anche nel mondo, tra gl’impiegati di corte, i più rispettati sono coloro che servono da vicino la persona del principe. Bisogna avere anzitutto una retta idea di Dio, per stimare come si deve la preghiera; perché se non si conosce Dio essa è sì poco stimata, ed anche molte volte, per disgrazia, posposta a tutto il resto. Pregare, si sente dire da alcuni, è far nulla;  la preghiera è buona per i fanciulli e per le donne, per i vecchi e gl’infelici. Noi non arriviamo a tanto; ma la leggerezza e mancanza di serietà soprannaturale e di fede viva, ci mettono in pericolo di non apprezzare come dobbiamo l’orazione e di subordinarla ad altre occupazioni nelle quali hanno la loro parte la leggerezza, la vanità o qualche altro fine mondano. Dovremmo stimare ed apprezzare la preghiera come Dio medesimo, e sotto quest’aspetto preferirla, giusta la misura de’ nostri doveri, ad ogn’altra occupazione, sacrificandole tutte ad essa, poiché è servigio e servigio personale ed eccellentissimo di Dio. A questo riguardo un profondo teologo diceva che avrebbe preferito di perdere tutto il suo sapere, anziché omettere di sua volontà un’Ave Maria sola di cui era in obbligo. – In secondo luogo, appartiene altresì allo spirito d’orazione l’intimo convincimento dell’assoluta necessità che di essa abbiamo per la vita spirituale, onde progredire nello spirito e di più salvarci. Stimiamo poco la preghiera perché conosciamo poco Dio, e non preghiamo perché non siamo convinti della nostra miseria e povertà e dell’assoluto bisogno che abbiamo di pregare: fa d’uopo aver presente che la preghiera è per noi un mezzo indispensabile e che non può surrogarsi per la perfezione e salvezza, e questo non solo perché così ha ordinato Iddio, ma per quello che essa è in sé. Se nostro Signore Gesù Cristo e gli Apostoli, la Chiesa ed i Santi Padri insistono così di frequente e con parole gravi a raccomandare la preghiera, è perché essa è basata sulla legge naturale di Dio e nella natura e disposizione dell’ordine della grazia. Il bisogno della grazia ed il precetto di Dio ci dichiarano l’imprescindibile necessità dell’orazione. Dobbiamo, dunque, pregare, se vogliamo progredire nel bene e non perderci; così che non vale il dire: « Pregare o non pregare, succederà lo stesso ciò che ha da succedere », perché è innegabile che molte cose avvengano perché si prega e molte non avvengono perché precisamente non si prega. « Ma io non so pregare ».  Impara adunque; poiché quello che è necessario, è altresì possibile. Quante cose abbiamo imparato in vita nostra più difficili della preghiera! « Il male è che io non ho fede e per questo non posso pregare ». Però la grazia della preghiera non ti manca; domanda la fede, e l’avrai; ché pregando s’impara a Credere. Il giorno in cui lasceremo la preghiera e ne faremo poco caso, saremo nuovamente esposti ad ogni pericolo, al peccato ed all’ultima rovina. La vita è un sentiero pieno di pericoli e d’insidie. Gli uomini sono per disgrazia ordinariamente tali qual è l’ambiente in cui vivono. Una grazia grande, quindi, ed un particolar favore di Dio, è di trovarci sempre in un ambiente sano, fuori d’ogni seduzione o senza provar il male che ci sta d’attorno; gli uomini privi di quest’aiuto speciale passano di pericolo in pericolo fino a perdersi. Ora, come potremo conseguire ed assicurarci questa protezione e difesa? Colla preghiera: con essa noi ci stringiamo alla mano di Dio, e se il fanciullo sostenuto dalla mano di sua madre non corre pericolo, quanto meno chi si stringe alla mano divina! Chi non vuole tenervisi, pensi lui cosa gli accadrà. La preghiera, dunque, è un mezzo indispensabile; ma è anche onnipotente: senza di essa, nulla; con essa, conseguiremo tutto. – Ed eccoci alla terza cosa; che infonde vigore e vita, all’orazione: l’illimitata fiducia in essa. Con essa noi possiamo ed otteniamo tutto, perché Dio ha impegnato la sua parola: Domandate ed otterrete! Questa fiducia consiste nell’intimo convincimento non esservi cosa che non si possa conseguire con una buona e costante preghiera. Egli è chiaro che nemmeno si debbano omettere le altre condizioni richieste dalla ragione e dalla coscienza. Chi si contentasse di pregare e si esponesse poi alle pericolose occasioni, pretendendo con ciò di non cadere, si burlerebbe della preghiera esigendo un vero miracolo. All’infuori di questo, non v’è dubbio che per la preghiera tutto è possibile, anche ciò che è più difficile e d’altissimo valore, com’è la trasformazione del cuore ed il conseguimento della perfezione. – Nel catechismo c’è una parola d’oro sopra la preghiera. Vi sì dice che la preghiera ci fa pensare come Angeli e Santi. Chi frequenta i saggi diventa saggio; il trattare frequentemente con Dio ci rende simili a Lui nei pensieri, nei principî, nei sentimenti, nelle parole ed intenzioni. Quanto più l’uomo prega, tanto più, insensibilmente e senza accorgersi ma in modo profondo e radicale, va rassomigliandosi a Dio. Fossero pur mondani i nostri affetti, a poco a poco il nostro cuore ed i pensieri nostri si muteranno; ciò che prima ci ripugnava e riusciva duro ed aspro, ci si renderà facile e soave; il mondo che trascinavaci dietro di sé, perderà tutte le sue attrattive; Dio solo e l’eternità diverranno per noi grandi e degni delle nostre aspirazioni. È questa la maggiore e più fondamentale vittoria che, contro questo fango della nostra natura, consegue la preghiera costante colla grazia che l’accompagna, i cui insegnamenti sono così teneri ed efficaci, come quelli che ricevevamo sul grembo materno. E siccome in codesta scuola senza alcuna fatica e sforzo imparavamo molte cose e molto buone, poiché apprendemmo a pensare ed a parlare, diventammo uomini e Cristiani, perché ivi era un essere caro, la madre, che abbassandosi a noi, si faceva piccina come noi, tutto esponeva come noi, e ci rassomigliava a sé, di maniera che copiammo i suoi modi di pensare e di parlare; similmente nella preghiera è Dio nostro Creatore e Padre che c’istruisce ed educa, e ci trasforma per la seconda volta a sua immagine e somiglianza in qualche cosa di sublime e divino. – La preghiera c’infonde altresì la stessa fiducia nell’esercizio del nostro ministero od in qualsiasi opera di carità a favore del prossimo, la cui perfezione e salvezza è ufficio della grazia e non della natura. È Dio il Signore della grazia; per conseguenza, quanto più intimamente stiamo uniti a Lui, tanto maggior numero di grazie si comunicheranno agli altri per mezzo nostro. Tutto ciò che è esterno e naturale non è che una spada, la quale, per quanto buona, vale ben poco se un forte braccio non l’impugna. Ciò che a Dio ci unisce è molto più poderoso ed efficace di quanto ci unisce agli uomini, perché Iddio può operare cose grandi con spregevoli strumenti; orbene, ciò che ci unisce a Dio è il soprannaturale, la preghiera. Dio esige la preghiera per l’aiuto del nostro prossimo. Dobbiamo convertire il mondo non tanto col lavoro, quanto con la preghiera: la stessa legge che ha valore per noi vale anche pel prossimo; così disponeva Dio per riservarsi l’onore e la gloria, e che non avessimo noi ad insuperbirci attribuendoci ciò che è suo. La preghiera inoltre è un mezzo assai più efficace della predicazione e di qualsiasi altro. Sempre e dovunque si può pregare, e l’efficacia dell’orazione è la più estesa ed universale. Possono poco la parola e la penna; non così la preghiera che si eleva sino a Dio e discende ricolma di frutti di benedizione, spargendo grazie su popoli e nazioni, regioni e secoli. Anche qui la storia della propagazione della fede e della riforma della Chiesa non è altro che la storia della preghiera. Quegli è migliore missionario, migliore cittadino e migliore patriota, che sa meglio pregare. Figli del secolo XX, noi abbiamo occasione di constatarlo. Vediamo dovunque i segni del lavoro più grande, più intenso e direi eccessivo, ma, disgraziatamente, solo materiale; si apprezza e stima unicamente l’attività esterna e naturale, ciò che brilla e fa rumore nel mondo, L’epoca nostra si distingue per una brama insaziabile di beni materiali. E che cosa resta in fine? Tutto passa e noi insieme; soltanto la pietà ha la promessa della vita di adesso e della futura (1. Tim. IV, 8). Prega e lavora, ecco il detto giusto, cristiano e di durata.

3. Lo spirito di preghiera, dunque, è la stima profonda di essa, il convincimento pratico della sua necessità, e la fiducia nella sua forza soggiogatrice. È una delle grazie più preziose della vita spirituale, il principio di tutte, l’introduzione ad ogni bene perfetto, il mezzo per eccellenza. Finché questo spirito dura in noi, Iddio e la virtù avranno la loro sede nell’anima nostra; con esso tutto si può sorreggere e migliorare. Al contrario, senza il medesimo, siamo messaggeri mal sicuri e Dio può fidarsi poco di noi. La maggiore infelicità sarebbe la perdita di questo spirito, poiché l’uomo allora non avrebbe più alcun fondamento né appoggio in Dio, e perirebbe senz’altro. S. Alfonso de’ Liguori, tra i numerosi ed utilissimi libri d’ascetica che scrisse, ne pubblicò uno piccolissimo, ma ch’ei giudicò, giusta la prefazione appostavi, come il più importante ed utile; tanto che osò affermare che, se per ipotesi tutte le sue opere fossero dovuto perire e questa sola si fosse conservata, sarebbe rimasto soddisfatto. È il libriccino che tratta della preghiera. — Ed ecco qui, pertanto, raccolto tutto ciò che riguarda il primo fondamento della vita spirituale; cioè: l’intimo convincimento dell’eccellenza, necessità, efficacia e facilità della preghiera.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (II)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (II)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO

BARTHÉLEMY HOLZHAUSER

RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO

DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR – RUE CASSETTE, 23

1856

LIBRO PRIMO

SUI TRE PRIMI CAPITOLI

Descrizione dei sette Angeli della Chiesa Cattolica da Gesù-Cristo fino alla consumazione dei secoli, figurate dalle sette Chiese dell’Asia, dalle sette Stelle e dai sette Candelabri.

SEZIONE I.

SUL CAPITOLO I

L’INTRODUZIONE DEL LIBRO DELL’APOCALISSE

§ I.

L’iscrizione, l’autorità, lo scopo, e la materia del libro dell’Apocalisse.

Cap. I, vers. 1-8

(Apoc. I, 1-8)

Apocalypsis Jesu Christi, quam dedit illi Deus palam facere servis suis, quae oportet fieri cito: et significavit, mittens per angelum suum servo suo Joanni, qui testimonium perhibuit verbo Dei, et testimonium Jesu Christi, quæcumque vidit. Beatus qui legit, et audit verba prophetiæ hujus, et servat ea, quæ in ea scripta sunt : tempus enim prope est. Joannes septem ecclesiis, quae sunt in Asia. Gratia vobis, et pax ab eo, qui est, et qui erat, et qui venturus est: et a septem spiritibus qui in conspectu throni ejus sunt:  et a Jesu Christo, qui est testis fidelis, primogenitus mortuorum, et princeps regum terræ, qui dilexit nos, et lavit nos a peccatis nostris in sanguine suo, et fecit nos regnum, et sacerdotes Deo et Patri suo: ipsi gloria et imperium in sæcula sæculorum. Amen. Ecce venit cum nubibus, et videbit eum omnis oculus, et qui eum pupugerunt. Et plangent se super eum omnes tribus terrae. Etiam: amen. Ego sum alpha et omega, principium et finis, dicit Dominus Deus: qui est, et qui erat, et qui venturus est, omnipotens.

[Rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli ha data per far conoscere ai suoi servi le cose che debbono tosto accadere: ed egli mandò a significarla per mezzo del suo Angelo al suo servo Giovanni, il quale rendette testimonianza alla parola di Dio, e alla testimonianza di Gesti Cristo in tutto quello che vide. Beato chi legge, e chi ascolta le parole di questa profezia: e serba le cose che in essa sono scritte: poiché il tempo è vicino. Giovanni alle sette Chiese che sono nell’Asia. Grazia a voi, e pace da colui, che è, e che era, e che è per venire: e dai sette spiriti, che sono dinanzi al trono di lui: e da Gesù Cristo, che è il testimone fedele, il primogenito di tra i morti, e il principe dei re della terra, il quale ci ha amati, e ci ha lavati dai nostri peccati col proprio sangue, e ci ha fatti regno, e sacerdoti a Dio suo Padre: a lui gloria, e impero pei secoli dei secoli: così sia. Ecco che egli viene colle nubi, e ogni occhio lo vedrà, anche coloro che lo trafissero. E si batteranno il petto a causa di lui tutte le tribù della terra: così è: Amen. Io sono l’alfa e l’omega, il principio e il fine, dice il Signore Iddio, che è, e che era, e che è per venire, l’onnipotente].

La rivelazione di Gesù-Cristo. Che Dio gli ha dato per rivelare ai suoi servi ciò che deve presto accadere: lo ha manifestato inviando il suo Angelo a Giovanni, suo servo.

I. La maggior parte degli scrittori ha cura di mettere in testa dei loro libri dei titoli o delle iscrizioni, per invogliare tutti coloro tra le mani dei quali cadono i loro scritti, a leggerli ed a servirsene. È così e con altre buone ragioni che ha fatto la divina Sapienza nel presente Libro dell’Apocalisse, come si vede nel primo versetto che racchiude:

1. Iscrizione e titolo del Libro.

2. la sua autorità

3. la facoltà del Superiore.

4. Scopo di quest’opera.

5. soggetto del libro.

6. volontà del re che lo permette.

7. Brevità del tempo.

8. Modo della rivelazione.

9. Nome dello scrittore.

10. Persona dell’assistente.

II. Il primo ed il secondo punto si trovano in queste parole: La rivelazione di Gesù-Cristo. In effetti il lettore scorge nel titolo ciò che è questo libro, cioè la rivelazione dei segreti e dei misteri celesti fatta non da un uomo o da un re terreno che può mentire o ingannarsi, ma da Gesù-Cristo che non può né ingannare né essere ingannato. Queste parole dimostrano tutta la dignità e tutta l’autorità di questo libro.

III.  DIO in tre Persone, ha dato a Gesù-Cristo, inferiore al Padre secondo l’umanità, la facoltà di scrivere questo libro, affinché i fedeli pii e devoti che sono stati, che sono e che saranno nella Chiesa cattolica, che si deve considerare come il regno di Gesù-Cristo, fossero sufficientemente prevenuti delle tribolazioni che Dio ha voluto che essi soffrissero per provarli ed aumentare la loro gloria. Egli ha permesso tutto questo dall’eternità, affinché fossimo premuniti come dallo scudo di una prescienza necessaria contro tutte le avversità, tanto presenti che future, egli ha voluto che fossimo consolati dalla brevità delle nostre tribolazioni, rispetto all’eternità, resistendo con la forza più grande, confidando pienamente nel buon piacere della volontà e del permesso divino che non potrebbe eseguirsi, come si vede con le parole del testo: che Dio gli ha dato per scoprire ai suoi servi ciò che deve succedere presto.

IV. La maniera in cui Nostro Signore Gesù-Cristo ha rivelato tutte queste cose a San Giovanni fu la più perfetta, tale che non fu mai più perfetta, tale che non fu mai simile presso alcun profeta; perché essa consiste in queste tre cose:  

1. Visione immaginativa;

2. Intelligenza piena di misteri;

3. Assistenza di un Angelo.

Ora, san Giovanni ebbe questi tre soccorsi scrivendo questo libro dell’Apocalisse, come risulta dalla fine del testo: Egli lo ha manifestato inviando il suo Angelo a Giovanni, suo servo: vale a dire, Egli inviò l’Angelo (San Michele) che tenendo il posto di Cristo, a mo’ di un ambasciatore reale, apparve a San Giovanni Evangelista, per rivelargli i misteri di Dio riguardanti la sua Chiesa militante sulla terra e trionfante nel cielo, e per istruirlo esteriormente (exterius), comunicando a lui una piena intelligenza di tutte queste cose.

V. Vers. 2. –  Che ha reso testimonianza alla parola di Dio e a tutto ciò che ha visto di Gesù-Cristo. Queste parole annunciano l’autorità dello scrittore che non fu altri che San Giovanni Evangelista, questo discepolo caro al suo Maestro più di tutti gli altri, che ha reso testimonianza alla parola di Dio sulla sua generazione eterna (Jo., I): « In principio era il Verbo, ed il Verbo era con Dio, ed il Verbo era Dio; » e sulla sua incarnazione temporale: « Ed il Verbo si è fatto carne, ed ha abitato tra noi, e noi abbiamo visto la sua gloria, etc. etc. » Ecco perché egli ha aggiunto: Che ha reso testimonianza … a Gesù-Cristo … e a tutto ciò che ha visto nella sua conversazione, nei suoi miracoli, nella sua morte e nella sua resurrezione, come lo si vede nel Vangelo. Egli ha reso questa stessa testimonianza nella persecuzione di Domiziano,  confessando e predicando con la forza più grande nei tormenti, che Gesù-Cristo crocifisso è veramente Figlio di Dio e Figlio dell’uomo.

VI. Vers. 3. – Felice colui che legge ed ascolta le parole di questa profezia, e che conserva tutto ciò che vi trova scritto: perché il tempo è vicino. L’Apostolo rende qui gli ascoltatori attenti sull’utilità di questo libro il cui scopo è quello di farci acquisire la beatitudine celeste. Felice colui che legge. Questo si applica ai dottori che insegnano agli altri, con le parole di questa profezia, la giustizia e il timore del Signore, e che li fortificano nelle avversità per l’amore di Gesù-Cristo e per la ricompensa della vita eterna. Perché felici sono coloro che insegnano agli altri la giustizia, essi brilleranno come stelle nell’eternità. E felice colui che ascolta. Egli si rivolge qui ai discepoli pii e semplici che credono alle parole di questa profezia, conservando nel loro cuore la giustizia e la pazienza di Gesù-Cristo che vi sono descritte. E chi conserva tutto ciò che vi si trova scritto. Vale a dire, felice chi sopporterà i travagli e le tribolazioni, sopportandole con pazienza fino alla consumazione. Felice è l’uomo che sopporta la tentazione, quando sarà stato provato, riceverà la corona di vita che Dio promette a coloro che lo amano. Perché il tempo è vicino. Vale a dire, passa rapidamente. È come se volesse dire: il lavoro della pazienza è breve, e la ricompensa della beatitudine è eterna. Da qui le parole dell’Apostolo ai Romani, (VIII, 18) : « … perché io sono persuaso che le sofferenze della vita presente non hanno alcuna proporzione con questa gloria che sarà un giorno rivelata in noi. “

VII. Vers. 4-8 – Giovanni alle sette Chiese che sono in Asia: …. Questa Asia è una grande provincia dell’Asia Maggiore ove c’erano sette città, ed in queste città sette chiese con sette Vescovi, la cui metropoli era Efeso. San Giovanni scrisse ed inviò questo libro dell’Apocalisse a queste sette chiese che gli errano state assegnate nella separazione degli Apostoli. Questo numero sette, come per altre cose, rappresenta perfettamente l’universalità di tutte le chiese. E l’autore, volendosi conciliare la loro benevolenza ed invitandoli ad estenderla ed a leggerla, li saluta con umiltà non prendendo altro titolo che il suo nome: Giovanni alle sette Chiese, etc. . Questo nome non di meno era gradevole e riempiva di una gioia spirituale coloro che l’ascoltavano.

VIII. Dopo questo saluto viene l’augurio di beni, come tanti mezzi per accattivarsi la benevolenza: la grazia e la pace siano con voi: come a dire, io vi auguro la grazia di perseverare nel bene, la consolazione nelle avversità, il coraggio nelle prove, così come la pace del cuore e l’unità negli spiriti e la fede all’interno ed all’esterno, infine il riposo eterno. Ora tutte le cose sono dono di Dio secondo san Giacomo, (I, 17) : « Ogni grazia eccellente ed ogni dono perfetto viene da Dio e discende dal Padre dei lumi. » Ecco perché San Giovanni indica subito la fonte della vera pace e della grazia, dicendo: La grazia e la pace siano con voi. Da parte di Colui che è, che era e che deve venire. Queste parole non esprimono altra Persona che Dio, così come la sua perfezione e la sua autorità; e questa differenza del tempo passato, presente e futuro, non si vi si trova che per noi, che siamo incapaci di comprendere le cose altrimenti. Il senso di queste parole è dunque: grazie e pace a voi vengono da Dio che è ora, e che era da tutta l’eternità; che deve venire al giudizio con i suoi Santi e che deve vivere nell’eternità per sé, in sé, di sé, e per sé.

IX. E da parte dei sette spiriti che sono davanti al suo trono. 1° Con questi sette spiriti sono designati i sette doni dello Spirito Santo, che si effuse sugli Apostoli nel giorno di Pentecoste sotto forma di lingue di fuoco, e fu inviato in tutto il mondo. È per Lui che ogni grazia ed ogni pace vera fu comunicata alla Chiesa. Benché lo Spirito Santo sia vero Dio, seduto sul trono con il Padre ed il Figlio nella medesima gloria e maestà, è tuttavia detto qui che Esso è alla presenza del trono, a causa della distribuzione dei doni e delle grazie spirituali fatte sotto la forma delle lingue di fuoco. Lo Spirito Santo distribuisce questi doni secondo l’eterna volontà del Padre per la nostra salvezza; similmente è detto della Persona del Verbo: « Egli discese dal cielo per noi uomini e per la nostra salvezza. » 2° Per i sette spiriti si intende anche l’universalità dei santi Angeli che sono costituiti davanti al trono e sempre presenti, come ministri di Dio, a lavorare per la nostra salvezza, assistendo i Vescovi nel governo della Chiesa, secondo i bisogni del tempo.

X. E da parte di Gesù-Cristo, il testimone fedele della gloria, della maestà e della verità del Padre. Il testimone fedele, nella predicazione divina, essendo il Verbo di Dio, il testimone fedele, nei suoi miracoli e nell’effusione del sangue prezioso, essendosi reso obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Ecco perché Egli è chiamato il primo nato dai morti, vale a dire, il primo tra i resuscitati dai morti, destinato a divenire la causa o lo strumento, ed il testimone fedele della nostra resurrezione futura, dopo che avremo sofferto, gemuto e pianto in questa valle di lacrime. Ed il Principe dei re della terra: vale a dire il principe delle potenze terrestri. Avendo il potere di abbattere per l’utilità dei suoi eletti, o di conservarli a castigo dei peccatori, permettendo che essi servano e trionfino, come dice il detto San Matteo, XXVIII, 18, a consolazione della Chiesa: « Ogni potenza mi è stata data nel cielo e sulla terra. » Che ci ha amato per primo, quando eravamo suoi nemici; e che ci amato al punto da lavare i nostri peccati, sia l’originale che gli attuali, con il suo sangue innocente. E che è stato tradito e messo a morte dai nostri peccati e per i nostri peccati. Nel suo sangue, perché il Sacramento del Battesimo e la Penitenza, che lavano il peccato originale ed i peccati attuali, traggono la loro efficacia dalla sua passione benedetta. Ed ha fatto di noi il regno ed i sacerdoti. Noi fummo rigettati e cacciati dal paradiso, dal regno di Dio; e ci trovammo tenuti in schiavitù nel legami dei nostri peccati e nella servitù del demonio. Ora, il nostro Re Gesù-Cristo ci ha riscattati e ci ha costituito in un regno, o principato monarchico, qual è la Chiesa Cattolica; regno santo, mirabile e forte contro il quale le porte degli inferi non prevarranno qualunque siano gli sforzi dei nemici. E ha fatto di noi un regno, perché ci ha costituito sotto la legge santa del regno celeste, affinché Dio, il Padre del Signore Nostro Gesù-Cristo, regnasse su di noi. E noi, noi siamo popolo per l’obbedienza come Lui è nostro Re per l’impero. E di noi ha fatto un reame; vale a dire, che ha voluto riceverci come cittadini del regno celeste, di modo che non fossimo stranieri ed ospiti, ma concittadini di Santi, i servi di Dio, edificati sul fondamento degli Apostoli e dei Profeti, e su Gesù-Cristo stesso che è la pietra angolare. E sacerdoti, che non offrono più il sangue degli animali,  ma che offrono con Lui, sull’altare della croce sacra, il corpo ed il sangue prezioso di Gesù-Cristo; sacrificio infinitamente santo ed accettabile, che gli Angeli stessi desiderano contemplare, e che placa la collera di Dio, che ci hanno attirato i nostri peccati. Ed i sacerdoti che non si saziano più, come nell’antica legge, della carne degli animali o della manna del deserto; ma del corpo e del sangue prezioso di Gesù-Cristo, l’Agnello senza macchia che si offrì per essere nutrimento e bevanda spirituale delle nostre anime. Ed i sacerdoti offrono le ostie come un sacrificio di lode gradito a Dio, cioè alla Santissima Trinità, ed a Dio Padre, per la gloria del quale il Figlio ha disposto ogni cosa. A lui sia la gloria in se stesso, e l’impero su tutte le cose nei secoli dei secoli, cioè nell’eternità. Così sia. Che sia così o che questo si faccia.

XI. E perché il nostro cuore è inquieto, ed il tempo in cui gli empi trionfano su di noi ci sembra troppo lungo, finché saremo costituiti cittadini del regno di Dio, l’autore rileva le nostre anime inquiete con ammirevole efficacia con le seguenti parole: Egli verrà sulle nubi; il testo latino dice: Ecce venit cum nubibus, come se volesse dire:; ecco, il tempo è molto breve in rapporto alla pena o alla gloria eterna. Ecce, ecco: levate gli occhi della vostra anima verso i tempi passati; Essi sono passati come se non fossero mai stati, verso i tempi presenti; come passano rapidamente! E verso i tempi futuri; siccome questi si avvicinano e tutto si compie, benché noi non ci pensiamo! Pure la Scrittura dice: « Benché tardi, attendetelo; Egli vieni presto e non tarderà. » Eccolo che viene sulle nubi; il testo latino si serve del tempo presente, per far ben comprendere alla debolezza del nostro spirito che, per quanto lungo ci sembri il tempo che ci separa dal giorno del giudizio, esso è tuttavia, in rapporto all’eternità come un tempo presente, nel quale Gesù-Cristo verrà ed apparirà. « È così che verrà, etc., » Matth., XXIV, 30. La parola latina ecce, ecco, che è spesso impiegata in questo libro, vuol dire, nel pensiero dello Spirito Santo, che noi dobbiamo elevare le nostre anime ed eccitare la nostra immaginazione per comprendere qualche cosa di serio, di mirabile, amabile od orribile. –

XII. Ed ogni occhio lo vedrà, perché apparirà visibile a tutti. Ed ogni occhio lo vedrà: l’uomo libero e lo schiavo, il ricco ed il povero, il re ed il principe, i nobili ed i plebei, i sapienti e gli ignoranti, i giusti e gli empi, etc. ma tutti lo vedranno in maniera differente; perché la sua apparizione sarà infinitamente gradita ai giusti, come quella di uno sposo alla sua sposa, di un padre o di una madre a suo figlio, di un fratello ad un fratello, di un amico all’amico, e soprattutto di un salvatore ad un salvato. In effetti, Egli si presenterà ai giusti in qualità di sposo, di salvatore, di padre, di madre, di fratello e di amico. Luc. XXI, 28: « Ora, quando queste cose cominceranno ad avverarsi, sollevate la testa e guardate in alto, » (aprite i vostri cuori), « perché la vostra redenzione si avvicina.  » L’apparizione di Gesù-Cristo, al contrario, sarà terribile per gli empi e coloro che lo hanno inchiodato, come i Giudei che lo crocifissero, i soldati che lo hanno coronato di spine e flagellato il suo sacro corpo, Pilato che lo ha giudicato, Erode che lo ha deriso, il Sommi Sacerdoti che lo hanno bestemmiato trattandolo come un ladro; e noi che lo abbiamo trafitto con i nostri peccati. E coloro che lo hanno trafitto nelle sue sante membra, nei pupilli, nelle vedove, negli orfani, negli sventurati, nei poveri di cui è il protettore, l’avvocato ed il padre, e coloro che lo hanno trafitto calunniando, condannando, rifiutando, disprezzando e trattando indegnamente le persone e le cose sante e sacre, come i tiranni, che versarono il sangue innocente dei martiri a causa della fede e della giustizia; i principi, i re, i magistrati, i giudici, i tutori che avranno soverchiato e oppresso i pupilli, le vedove, etc.. Tali sono anche i dispregiatori, i detrattori, coloro che danno cattivi giudizi, gli impudichi, gli eretici, i venefici, etc..  È a tutti i malvagi che non avranno fatto penitenza che Egli apparirà come un giudice terribile, al punto da dire alle montagne: « Cadete su di noi; ed alle colline: copriteci perché non vediamo la faccia di Colui che è seduto sul trono. »

XIII. E tutte le tribù della terra vedendolo si batteranno il petto, il testo latino dice plangent se, essi piangeranno su se stessi vedendo le ricchezze della propria gloria dalle quali si vedranno privati così vergognosamente. Essi piangeranno su se stessi, gemeranno vedendo coloro che si saranno fondati su Gesù-Cristo. E diranno, pentendosi e gemendo nell’angoscia del loro spirito: « Questi sono quelli che sono stati altra volta l’oggetto delle nostre riprovazioni. » Sap. V, 3. Si, così sia.  Queste parole esprimono un’affermazione. La prima è di etimologia greca e significa le nazioni; la seconda derivata dall’ebraico, designa i Giudei; esse sono congiunte per persuadere dell’irrefragabile verità della resurrezione e dell’ultimo giudizio, perché in questo giorno tanto le nazioni che i Giudei, vedranno Gesù-Cristo come un giudice che renderà a ciascuno secondo le proprie opere, il bene o il male. E questa verità angelica è l’unica che possa meglio frenare la nostra volontà pervertita contro i piaceri proibiti della vita presente, ed esercitare in noi il timore di Dio e l’amore del bene futuro. Ecco perché questa verità è confermata efficacemente da queste due parole: Etiam, Amen. Si, così sia. Da ciò queste parole di Gesù-Cristo, Matth., V, 18: « Io vi dirò in verità, fino a che la terra ed il cielo passino, un solo iota o un solo punto non passerà che tutte queste cose avvengano. » Io sono l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine, dice il Signore Dio, che è, che era e che deve venire; volendo con ciò dire: la mia sentenza non può essere né cambiata né annullata; perché prima di me nessuno fu, e tutte le cose sono cominciate, cominciano e cominceranno da me, e non senza di me, al quale tutti converge. Egli è chiamato l’alfa e l’omega; perché l’alfa è la prima lettera dell’alfabeto greco, e l’omega l’ultima, volendo con ciò significare con queste parole che Dio è l’inizio e la fine di tutte le creature, che tutto gli è subordinato, allo stesso modo del mare da dove escono tutte le acque e dove tutte le acque finiscono. Che è, che era, e che deve venire; queste ultime espressioni si spiegano come più in alto.

§ II.

Dell’Autore dell’Apocalisse. Come San Giovanni ha visto e scritto questo libro.

CAPITOLO I. Vers. 9-12

Ego Joannes frater vester, et particeps in tribulatione, et regno, et patientia in Christo Jesu: fui in insula, quae appellatur Patmos, propter verbum Dei, et testimonium Jesu: fui in spiritu in dominica die, et audivi post me vocem magnam tamquam tubæ, dicentis: Quod vides, scribe in libro: et mitte septem ecclesiis, quæ sunt in Asia, Epheso, et Smyrnæ, et Pergamo, et Thyatirae, et Sardis, et Philadelphiæ, et Laodiciæ. Et conversus sum ut viderem vocem, quæ loquebatur mecum: et conversus vidi septem candelabra aurea:

[lo Giovanni vostro fratello, e compagno nella tribolazione, e nel regno, e nella pazienza in Gesù Cristo, mi trovai nell’isola che si chiama Patmos, a causa della parola di Dio, e della testimonianza di Gesù. Fui in ispirito in giorno, di domenica, e udii dietro a me una grande voce come di tromba, che diceva: Scrivi ciò, che vedi, in un libro: e mandalo alle sette Chiese che sono nell’Asia, a Efeso, e a Smirne, e a Pergamo, e a Tiatira, e a Sardi, e a Filadelfia, e a Laodicea. E mi rivolsi per vedere la voce che parlava con me: e rivoltomi vidi sette candelieri d’oro.]

XIV. (Vers. 9- 11) – Dopo il saluto, San Giovanni passa immediatamente alla narrazione: egli fa di nuovo menzione, come di passaggio, della sua persona, del luogo ove ha ricevuto la rivelazione, della ragione per la quale è stata fatta questa rivelazione in questo luogo, del tempo e del modo. Egli rende innanzitutto gli uditori attenti, come ha costume di fare sempre negli esordi. Io Giovanni, vostro fratello, non per legami del sangue, ma per la rigenerazione spirituale operata col sacramento del Battesimo. Vostro fratello nell’unità e la comunione dei Santi, nella carità, in Gesù-Cristo e per Gesù-Cristo, che è il Padre comune di noi tutti, secondo la rigenerazione nella vita eterna. Che ha parte alla tribolazione, ed al regno, ed alla pazienza di Gesù-Cristo. Perché è in Gesù-Cristo, che è nostro Capo, che è fondato ogni merito; ed è per l’unità della fede e della carità, che è nella comunione dei Santi, che derivano, come per una partecipazione di parentela o di sangue, i meriti dei giusti in ciascuno dei membri. Che ha parte alla tribolazione, cioè che è stato perseguitato a causa della fede di Gesù-Cristo come gli altri Apostoli, quando fu immerso in una caldaia di olio bollente. Io ho sopportato il martirio, finché mi è stato possibile, a causa del regno celeste nel quale non posso entrare se non per molte tribolazioni, così come lo stesso Gesù ha dovuto soffrire per entrare nella sua gloria. (Bisogna distinguere il senso di queste parole, per spiegarle con le parole mediatamente ed immediatamente: non tutti sono chiamati a subire le tribolazioni tali come l’autore le definisce, in maniera immediata, cioè personale, ma mediata, per cui i meriti dei martiri ci vengono applicati per la comunione dei Santi). – Da qui risulta che colui che non imita Gesù nelle tribolazioni, non lo seguirà nel suo regno. E la pazienza di Gesù-Cristo, vale a dire a causa di Gesù-Cristo che dà la pazienza, e ci consola nella tribolazione. La tribolazione differisce dalla pazienza, in quanto la tribolazione (che deriva dalle parole latine tribula, tribulatio), indica una persecuzione dei tiranni lunga, veemente e variata, per la quale l’anima paziente è messa in uno stato di angoscia di cui geme la Chiesa; mentre la pazienza esprime la sopportazione delle miserie comuni a tutti gli uomini. La parola tribolazione significa anche i tormenti di ogni genere con i quali i Santi sono provati come i grappoli sotto il torchio. E la pazienza è la virtù che la fa sopportare con uno spirito di calma. Io sono stato nell’isola di Patmos; infatti, San Giovanni essendo stato messo in una caldaia di olio bollente, non fu bruciato, ma piuttosto come un forte atleta, ne uscì più vigoroso. Egli fu inviato in esilio a Patmos da Domiziano, che successe a Tito, suo fratello, nell’anno di Gesù-Cristo 82. Ed è nel suo esilio che Dio rivelò a San Giovanni questi misteri dell’Apocalisse. Io sono stato nell’isola, etc., queste parole designano il luogo ove ricevette questa rivelazione, cioè un’isola sotto la cui figura è molto ben rappresentata la Chiesa di Gesù-Cristo; perché nella Chiesa, le cose celesti sono aperte ai fedeli come un’isola è generalmente accessibile da qualunque lato; e come un’isola è continuamente esposta alle ingiurie del mare, così la Chiesa è continuamente afflitta dalle persecuzioni del demonio, della carne e del mondo.

XV. Per la parola di Dio, e per la testimonianza resa a Gesù-Cristo. Con queste parole San Giovanni indica di passaggio la causa del suo esilio, perché non volle negare Gesù-Cristo, né cessare di predicarlo. In seguito egli aggiunge il modo della sua visione: Io fui rapito io cielo, vale a dire in estasi, nel giorno del Signore, che è il giorno destinato alla contemplazione divina. Io ho sentito nell’immaginativo, dietro di me. Per comprendere queste parole, occorre sapere che, presso i Profeti, le parole “davanti a me” designano un tempo passato; “in me” un tempo presente; e “dietro di me“, un tempo futuro; ora, siccome i principali misteri che furono rivelati a San Giovanni, quando scrive questo libro, dovranno compiersi in un tempo futuro, ecco perché egli dice: io ho inteso dietro di me una voce immaginaria, forte e squillante come una tromba. Queste ultime parole fanno vedere la virtù e l’autorità dell’Angelo che parla a nome di Gesù-Cristo, dicendo: ciò che tu vedi, vale a dire, ciò che tu che vedrai nella presente rivelazione. … ciò che tu vedi nella tua immaginazione e con l’intelletto, con piena intelligenza, scrivilo in un libro, per l’istruzione dei fedeli, ed indirizzalo alle sette chiese che sono in Asia: ad Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatira, a Sardi, a Filadelfia ed a Laodicea. Con queste sette chiese sono designate il sette Angeli della Chiesa Cattolica, vale a dire sette epoche diverse nel corso delle quali il Signore compirà ogni cosa, e schiaccerà la testa di molti sulla terra; ed il secolo sarà consumato. Ecco perché queste sette Chiese dell’Asia Minore furono il tipo delle sette ere avvenire della Chiesa, fino alla fine del mondo. San Giovanni scrive innanzitutto a queste sette Chiese, e descrive le cose di cui esse erano il tipo, come lo si vedrà più chiaramente nella spiegazione di ogni avvenimento in particolare.

XVI. Vers. 12. – Ed io mi voltai per vedere chi mi parlava. E nello stesso tempo, io vidi sette candelieri d0oro. Ed io mi girai; cioè voltai il mio pensiero, o applicai il mio spirito, per comprendere i misteri delle cose avvenire. Queste parole ci insegnano che, nella rivelazione delle cose celesti, occorre allontanare il proprio spirito dagli oggetti terrestri, e volgerli verso Dio. Per vedere chi mi parlava, il testo latino dice: ut viderem vocem, per vedere la voce, cioè vedere colui che parlava, prendendo l’effetto come causa. Come è scritto, Exod. XX, 18: Cunctus autem populus videbat voces, etc., tutto il popolo vedeva la luce, vale a dire, intendeva.

XVII. Avvertimento sulla maniera in cui San Giovanni scrive l’Apocalisse. Ci sono tre modi di vedere, di intendere o percepire qualche cosa con i sensi. Il primo è quella di vedere con gli occhi, o intendere con le orecchie, con l’operazione dei sensi; è così che noi vediamo le stelle del cielo, etc.; ed i compagni di Saul (di Paolo) intesero la voce di Gesù-Cristo. – La seconda è quando, addormentati o svegli, vediamo in spirito, o noi comprendiamo, per delle visioni o immaginazione, delle cose che ne figurano un’altra. In questi casi, i nostri sensi esteriori sono elevati dal Signore in maniera sì ammirabile ed ineffabile, che la persona che è messa in stato di estasi, comprende gli oggetti che gli sono presentati, d’una maniera più certa e più perfetta di quanto alcun uomo potrebbe vedere, intendere, sentire o capire un oggetto qualunque, fosse pure dotato dei sensi migliori. – La terza maniera ed intellettuale, è come quando vediamo una cosa con il solo pensiero, senza il soccorso delle immagini per le quali le cose si presentano a noi come figurate. Ora tutto ciò ha luogo presso i Profeti, per volontà di Dio, in quattro maniere:

1° Con l’oscurità della fede; quando il profeta non riconosce evidentemente che Dio parla; ma essendo elevato al di sopra della natura da una luce celeste, rimarca che è Dio che parla.

2° Con l’evidenza in colui che attesta. È allorché l’animo del Profeta è elevato ed illuminato da un tal soccorso, così che riconosce evidentemente che è Dio o un Angelo che gli parla.

3° Se non scrive le cose che vede così.

4° Infine, se lo stile naturale e l’eloquenza del profeta sono elevati in ciò che egli scrive, di modo che la sua penna corra, per così dire, con la più grande rapidità, e l’uomo scrive senza fatica, e conosce in tutto o in parte ciò che scrive, a seconda che Dio lo voglia per il suo buon piacere o per la nostra utilità. – Ora questa Apocalisse fu rivelata a San Giovanni l’Evangelista, il più grande di tutti i profeti, nella maniera più perfetta. Infatti egli vede e comprende tutti questi misteri, per delle visioni immaginarie e per il soccorso dell’Angelo che lo assisteva ed illuminava evidentemente la sua anima. È per questo che dice: Io sono stato rapito in spirito, nel giorno del Signore. Volendo significare, con queste parole, che la sua santa anima, rapita in estasi, vide, intese e comprese, con il soccorso dello stesso Angelo, tutto ciò che ha scritto in questo libro.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (III)

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (IV)

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (IV)

LA VITA SPIRITUALE RIDOTTA A TRE PRINCIPII FONDAMENTALI

dal Padre MAURIZIO MESCHLER S., J.

TRADUZIONE ITALIANA PEL SACERDOTE GUGLIELMO DEL TURCO SALESIANO DEL VEN; DON GIOVANNI BOSCO

VICENZA – Società Anonima Tipografica; 1922

Nihil obstat quominus imprimatur.

Vicetiæ, 24 Martii 1922.

Franciscus Snichelotto

IMPRIMATUR

Vicetiæ, 25 Martii 1922.

    M, Viviani, Vic. Gen

PRIMO PRINCIPIO FONDAMENTALE: LA PREGHIERA (3)

CAPITOLO VIII.

Modelli di preghiera.

Possediamo un gran numero di preghiere vocali belle e degne di venerazione, sia per rispetto al loro contenuto, sia per l’autore, che talvolta non è altri che Dio e la Chiesa. Basta ricordare i Salmi, il Pater noster, l’Ave Maria, le Litanie dei Santi e le preghiere degli Uffici divini. Due parole in particolare sopra ciascuno di questi modelli.

1. I Salmi sono le preghiere più antiche che esistono nella Chiesa, e furono ispirati da Dio medesimo. – Destinati in gran parte al culto ebraico, appartengo altresì alla Chiesa per la loro relazione col Messia, sono preghiera nostra, che, grazie al Tabernacolo, riceve il suo pieno significato e adempimento. – L’oggetto e fondamento di questi sacri cantici, è Dio e l’uomo per i molteplici rapporti che passano fra la creatura ed il Creatore, resi manifesti mediante la rivelazione e la legge, con tutte le annesse benedizioni, speranze e ricompense. In essi ci si presenta Dio ora come Legislatore, come Principe, come Re, Maestà, Creatore e Padre; ora come Messia o Sposo della nostra Chiesa, ora come suo gran Pontefice di stirpe regale, o come Redentore che in mezzo a pene e dolori ci redime; ivi l’uomo stupefatto considera le opere e meraviglie di Dio, gioisce nella legge del Signore, duole delle proprie infedeltà, confessandole e pentendosene; ricorre a Dio per mezzo della preghiera e rendimenti di grazie, e sospira pel di Lui possesso; ivi, in quelle orazioni e in quei canti, trovano il loro posto tutti i sentimenti ed affetti che possono commuovere il cuore dell’uomo: il dolore ed il gaudio, il più profondo desiderio per conseguire misericordia da Dio, il grido di angoscia nelle pene; tutto ivi è perfettamente contenuto, per tutti gli stati d’animo s’incontrano espressioni appropriate. Perciò i Salmi penitenziali, e sopra tutti il Miserere, sono divenuti la preghiera ufficiale di penitenza e la pubblica confessione di tutto il mondo. – Ivi troverà altresì bellezze inarrivabili, nobili ed elevati concetti, chi sente e gusta la poesia. Non è possibile svolgere le pagine del Salterio senza restarne compresi in questo dialogo divino. Lì ci troviamo tutti riuniti, ed è Dio medesimo che ci mette la parola in bocca.

2. Tutto quello che si è detto fin qui si compie ancor meglio nel Pater noster, il cui insigne privilegio è di essere stato pronunciato la prima volta dal Figliuolo di Dio. Possiamo ben dire che da Chi ricevemmo l’essere ricevemmo anche la preghiera; ed Egli medesimo Cui dobbiamo pregare, nella sua bontà c’insegnò il moto e la maniera di farlo. Ma pur prescindendo da ciò è la preghiera più eccellente. È chiara, breve e completa. Se guardiamo alla sua totalità abbraccia tutto quello che appartiene alla preghiera, cioè: l’esortazione, o invocazione e la domanda. L’invocazione: Pater noster, è vera, di sommo onore a Dio, e di grande vantaggio a noi. Infatti; essa ci ricorda la relazione che come tra noi e Dio come Padre, ci risveglia sentimenti consolanti di rispetto, d’amore e di confidenza, e ci richiama la solidarietà nostra con tutto il genere umano, che è la grande famiglia di Dio. Le petizioni poi contengono quanto ci conviene ragionevolmente chiedere, e tutto giusta il retto ordine a cui dobbiamo conformare le nostre suppliche. – Tutte le petizioni del Pater noster si riducono al fine od ai mezzi per conseguirlo. Duplice è il fine: riguardo a Dio, il suo onore e la sua gloria; riguardo a noi, la nostra salvezza ed il conseguimento del Paradiso. – Queste sono le due prime suppliche che comprendono il fine; i mezzi per raggiungerlo si presentano in due serie; in primo luogo sono quelli che si riferiscono ai beni necessari per la vita dell’anima e del corpo, e questi sono compresi nella terza e quarta petizione; in secondo luogo vengono quelli che hanno di mira la fuga dei mali che mettono in pericolo o rendono: difficile il raggiungimento dell’ultimo fine, mali che sono indicati nelle tre ultime petizioni. Non possiamo pensare né desiderare di più; tutto è qui riunito. Così il Pater noster è un perfetto modello di preghiera, pieno di pensieri, di idee e petizioni grandi e sublimi; abbraccia tutta l’esistenza nostra, ciò che v’è di più elevato e di basso, di temporale e d’eterno; ed è, come dicono i santi Padri, un compendio del Vangelo e della religione. Istruisce il nostro intelletto, dirige rettamente la nostra volontà, ed è quello che dà la norma a cui devono conformarsi tutti i nostri desideri, suppliche e preghiere, perché ci accompagnino al cielo. Il Pater noster è anche un sicuro pegno che saremo esauditi, poiché preghiamo colle parole di nostro Signore Gesù Cristo, Sacerdote eterno, il quale prega con noi, e sappiamo che la preghiera sua è sempre esaudita per rispetto dovutogli come a Figlio di Dio. E certamente nessun’altra preghiera ci avvicina tanto alle idee, intenzioni e sentimenti del Salvatore, allo spirito e desiderî suoi, per promuovere l’onore di Dio e la salvezza nostra quanto il Pater noster. È desso una bella ed eloquente espressione dell’amore di Gesù Cristo che tutto abbraccia: Iddio, la Chiesa e l’intera umanità; tutto vi è lì riunito, le necessità individuali, quelle di tutti i popoli e quelle del genere umano di tutti i tempi; è la preghiera, finalmente, della famiglia e regno di Cristo e della Chiesa.

3. L’Ave Maria ci presenta la parte soavissima che nelle nostre preghiere vocali ha la SS.ma Vergine Regina e Signora del Cristianesimo. È una prova, che nella Chiesa non manca la Madre per le cui mani passa tutto, e che i fedeli non vogliono senza di Essa né lavorare, né vivere, né morire. – Anche l’Ave Maria ha un’origine sublime. Un Angelo disceso dal cielo l’adoperò in nome di Dio per salutare Maria come mai creatura umana fu salutata; lo Spirito Santo l’amplificò per mezzo di Santa Elisabetta, e la Chiesa ratificandola con una supplica che vi aggiunse, di semplice saluto dell’angelo, la fece una preghiera perfetta. Dal secolo XVI si prese a recitare l’Ave Maria lai fedeli nella forma presente. Tra i Cristiani suol seguire quasi sempre il Pater noster come in bell’accordo finale d’amore verso la Madre di Dio: e divenne la principale e più cara espressione del culto Mariano. Qualcuno la chiamò, e giustamente, il saluto interminabile, poiché siccome il sole illumina successivamente nel suo corso tutta la terra, così, da un estremo all’altro di essa, si rinnova incessantemente e sale al cielo la preghiera dell’Ave Maria. – Quanto alla sua composizione e contenuto, questa preghiera come qualunque altra consta di due parti: Invocazione e supplica, la prima delle quali comprende cinque titoli di lode per la Madre di Dio. I tre primi li pronunciò l’Angelo e sono intimamente uniti al mistero dell’Incarnazione, che egli Le annunciò. Il primo è la degna preparazione di Maria pel grande mistero, per la pienezza di grazia che Le fu comunicata: il secondo è il mistero stesso dell’Incarnazione che si verificò pel concepimento del Figliuolo di Dio nel seno di Maria, ed il terzo, finalmente, è l’importanza di questo mistero per Maria, in quanto che per esso doveva essere lodata e benedetta sopra tutte le donne. Segue tosto Santa Elisabetta a indicare come fondamento di questa grandezza e pienezza di grazia in Maria il Figlio di Dio che essa ha concepito e darà alla luce; e, finalmente, la Chiesa ripete e conferma quanto l’Angelo ed Elisabetta avevano detto intorno alle grandezze di Maria, condensandole in quella formula sempre memoranda di Madre di Dio. Cosicchè questa gloriosa invocazione contiene tutto quello che la fede c’insegna intorno a Maria, ed è come un compendio della dottrina cattolica circa la SS.ma Vergine. La supplica, classicamente breve, non dimenticando i due grandi momenti, il presente e il punto della morte, comprende tutte l’esistenza nostra, e le nostre necessità, e risulta una splendida manifestazione del concetto che ha il Cristianesimo del potere onnipotente d’intercessione di Maria e della fiducia che in Essa quale Mediatrice della grazia ripongono i fedeli. E con ciò, tuttavia, non è esaurita la parte che l’Ave Maria sostiene come modello di preghiera. Varie combinazioni ed amplificazioni dell’angelico saluto vengono a costituire due generi di preghiera molto importanti: l’Angelus Domini pel quale tre volte al giorno dànno il segnale le campane, ed il Rosario. L’una e l’altra devozione non sono che un intreccio d’Ave Maria con brevi aggiunte che mettono in relazione particolare il significato e contenuto delle parole coi misteri della la vita, passione e glorificazione di Gesù e Maria. Se noi quindi arriviamo a penetrare il profondo significato dell’Ave Maria, e prendiamo l’abitudine di recitarla con devozione, avremo conseguito non poco affine di pregare fervorosamente, nel vantaggio nostro spirituale e nell’onorare la Madre di Dio. Ogni giorno della nostra vita sarà allora un rosaio sempre fiorito nel quale Nostra Signora morrà tutte le sue dilezioni.

Ma, « quella noiosa. onnrimente ed eterna ripetizione! » ci si dirà. Se il ripetere ci annoia e stancamente, ciò dipende unicamente da noi. La frequente vista d’un ritratto di persona a noi cara, il ripetere un nome caro od un bel canto, per sé è la cosa più naturale del mondo e tutt’altro che fastidiosa. Un uccello tutto il santo giorno ripete i medesimi gorgheggi, quand’è che ci Stanca? Un fanciullo, va ripetendo ai suoi genitori le stesse domande, i medesimi nomi, le stesse idee, e, lungi dal rendersi fastidioso,  infonde nel loro cuore la più viva gioia, solo perché procedono dall’amato figlio. Tutto ed unicamente, quindi, dipende dallo spirito ed amore con cui pensano a qualche cosa; e precisamente ciò che produce e mantiene vivo questo spirito e quest’amore è la frequente ripetizione delle medesime idee e verità. e il ritornarvi sopra una e più volte.

4. Altrettanto può dirsi del Credo, del Gloria Patri, e del Segno di croce. La Chiesa cattolica, in tutto, anche nelle sue Preghiere, possiede una forza e varietà di sviluppo e adattabilità sorprendenti, alla maniera che Iddio nello spargere sulla terra tantissime sementi di fiori, ne fa germogliare innumerevoli specie e varietà, così opera in mille modi lo Spirito Santo nel fecondo e bel regno della preghiera. È tale la ricchezza ed abbondanza di varietà che in sé racchiudono le preghiere della Chiesa Cattolica, da poter dire che sono una sorgente inesauribile, che sotto una forma o l’altra rimane sempre ricchissima. Il Gloria Patri ad es. è un’amplificazione delle semplici parole del Segno di croce; ed il Credo, che altro è se non il Gloria ed il segno della croce sviluppati con maggior ampiezza? – Nel Gloria e nel segno di croce si manifestano chiaramente ed apertamente i nomi delle tre divine Persone; e solo analizzando un po’ meglio le loro relazioni, procedenza ed operazioni ad extra. Si presenta già sviluppato nel Credo, alla maniera della Divina Commedia, non solo un perfetto compendio della dottrina della fede, ma ancora un’esposizione sublime. delle opere di Dio e de’ suoi misteri soprannaturali.

5. Diciamo due parole intorno alle preghiere che la Chiesa adopera nei divini uffizi restando con ciò approvate di fatto da essa. Queste preghiere, dopo quelle che furono rivelate da Dio, meritano senza dubbio il primo posto nella nostra stima e venerazione. La Chiesa, che insegna ciò che dobbiamo credere, c’insegna altresì come dobbiamo pregare; e la regola del credere è anche la regola del suo pregare. In nessun’altra parte troveremo preghiere più ricche di significati, né più efficaci; in esse vive veramente lo spirito ed il gusto cristiano e cattolico; v’è in esse, lo stesso che nei Salmi e nell’orazione domenicale, chiarezza, semplicità, brevità ed efficacia. Quando prega la Chiesa prega insieme lo Spirito Santo che la dirige. Chi vuol conoscere l’amore e le cure materne della Chiesa per gli uomini, legga gli Oremus della Messa domenicale e, ad esempio, quelli del Venerdì e Sabato Santo. Non v’è circostanza, condizione o bisogno dell’uomo a cui la Chiesa non porga aiuto, e non v’è nulla che sfugga all’influenza delle sue preghiere, della sua compassione e della sua misericordia. Tutti gli uomini sono suoi figli, e come tali tutti se li stringe al cuore, e per tutti ha una preghiera. – Altra preghiera molto eccellente sono le Litanie principalmente quelle di tutti i Santi. Questa maniera di pregare ci fa rimontare ai primi secoli della Chiesa, quand’essa con rogazioni e suppliche pellegrinava alle tombe dei Martiri ed alle basiliche. Le Litanie dei Santi per la medesima loro struttura e varietà sono la preghiera delle grandi moltitudini: esse ci fanno rivivere, per così dire, nel centro del Cristianesimo; in esse si contengono espressamente le grandi e comuni preghiere della Chiesa, poiché clero e popolo alternando le loro voci elevano al cielo le proprie suppliche: il clero intona le invocazioni, ed il popolo vi aderisce, ripetendole. E ciò ricorda la costituzione gerarchica e divina della Chiesa. Questa invocazione dei Santi è una nota singolarissima dello spirito cattolico che manifesta l’umiltà cristiana e la credenza nella comunione ed intercessione dei Santi, ed anzitutto nella mediazione di nostro Signore Gesù Cristo, il grande ed universale Mediatore, la cui intercessione imploriamo solennemente per i meriti e misteri della sua Passione e della sua vita gloriosa: magnifica confessione della fede cristiana. In questo genere di preghiera tutto è istruttivo, semplice, naturale, grande e veramente cattolico; insomma, questo è un magnifico modello di preghiera popolare. Si potrebbero altresì menzionare le Antifone che ad onore della Vergine la Chiesa aggiunge ai suoi Uffizi nelle diverse epoche dell’anno; fiori di poesia semplice e filiale che sbocciano tutti i mesi nei giardini dell’anno ecclesiastico, e che sono di frequente, come la Salve Regina, meravigliosamente profonde e sublimi.

6. Questi sono alcuni gioielli del tesoro delle orazioni vocali della Chiesa: tesoro veramente grande e magnifico, del quale sono depositari tutti i fedeli che pregano. Molti altri sono sparsi nei libri di devozione. La ricchezza ci ha quasi resi poveri; ed è che l’eccessiva abbondanza porta con sé il pericolo della frivolezza. A dir poco, non vi sembra che sia un po’ strano il dover mettere mano a libri di devozione, perché c’ispirino la preghiera da rivolgersi a Dio? Tuttavia, se proprio non si può da tutti fare a meno, aiutiamoci con essi: poiché vale più il pregare mediante un libro che il non pregare e pregar male. Ma, deh! procuriamo anzitutto di far uso delle antiche ed usuali nostre preghiere apprese e recitate nell’infanzia: il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo ed il Gloria Patri. Queste devono essere il nostro libro di divozione: tutto ciò che è stampato nei libri, noi lo troveremo qui molto più chiaro, più pratico e più commovente. Ciò che dovremmo fare, è d’impiegare tutte le nostre forze a renderci famigliari queste preghiere, di studiarle, conoscerle a fondo e comprendere bene tutto il loro valore. Un modo di pregare del tutto privato e personale, è l’uso delle così dette giaculatorie; esse consistono in brevissime aspirazioni ed atti di virtù che lungo il giorno, di quando in quando, e senza previo apparecchio, escono dal cuore e salgono a Dio, ferventi e piene di vita. Differenti motivi possono dar occasione a questi slanci del cuore: un dolore, per es., che ci tormenta, un gaudio inatteso, una grazia straordinaria per parte di Dio, una repentina tentazione, la memoria e rinnovazione dei buoni propositi, la chiusa dell’esame particolare, il passare di fronte ad una chiesa e ad un’immagine devota, l’incontro di persona a cui desideriamo un bene, o d’altra cui vogliamo allontanare È una disgrazia, la cura d’utilizzare gli istanti perduti che abbondano nel giorno, ogni poco d’attenzione che si faccia. Riesce di somma importanza per colui che ama la preghiera, il procurare di rendere produttivo, poco a poco e con quiete questo terreno sterile ed incolto dei momenti perduti, consacrandoli ad essa. Il profitto che se ne ritrae rispetto allo spirito, può compararsi ad un commercio al minuto; nessun negoziante prudente disprezza i piccoli guadagni, perché in fine dei conti lo arricchiscono. Inoltre chi disprezza il poco non è degno del molto. Le giaculatorie sono piccoli granelli, ma d’oro. E si noti che questo modo di pregare non è esposto al pericolo comune delle distrazioni, poiché prima che quelle sopravvengano, le giaculatorie volarono già a Dio, occultandosi negli spazi più elevati del cielo. L’uso moderato di questi affetti oh, mantiene sempre in buona disposizione per pregare. Chi vuol pregare soltanto quando lo esige la necessità, corre pericolo di pregar male. Ciò che è l’esercito delle stelle scintillanti nel cielo, lo divengono queste giaculatorie che abbelliscono il giorno della nostra vita, e sono quelle cui è riservato l’ufficio di consolarci nella notte non lontana in cui dovremo lasciare questo mondo.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO IX – “LEVATE”

Oggi siamo circondati da questa razza d’uomini scellerati … Quello che scriveva il Santo Padre SS. Pio IX ai tempi di questa lettera Enciclica, riferendosi ai ribelli romani sostenuti dal Governo piemontese, a sua volta braccio della massoneria inglese e mondiale, è esattamente ciò che ancora oggi si può affermare nella nostra Italia dilaniata da un branco di feroci lussuriose iene selvatiche, assetate di potere, di denaro e di sangue e che, come il loro padrone, portano sulla fronte scritto “menzogna”, falsi mendaci, sornioni bugiardi col ghigno stampato sul volto amimico, senza coscienza e senza pudore … le logge di perdizione li hanno scelti con molta accuratezza e distribuiti uniformemente in tutte le formazioni pseudo-politiche, in realtà tutte soggette al demone della Corona (il lucifero cabalistico), ricattabili in ogni momento per i crimini efferati ai quali si sono sottomessi per avere cariche di potere, ottenute o per manipolazioni elettorali o per usurpazioni imposte. Ma il vero scopo del loro mandante e conduttore, è semplicemente quello di distruggere o eliminare l’unica Chiesa divina, cioè la Chiesa Cattolica Romana, di cui hanno usurpato con la connivenza di turpi falsi ecclesiastici, a loro volta venduti alle logge kazare, che hanno fatto da agenti apripista alle tigri rosse, verdi, bianche, gialle, arcobaleno! … – Nella stessa lettera il Santo Padre denuncia pure i tentativi di dissolvimento della Chiesa in Polonia ed in Russia messi in atto da governanti dissoluti in combutta (allora come oggi) con gli scismatici eterodossi servi di satana. Quante analogie, quante strategie che … poi sono sempre le stesse, strategie che come onde furiose si sono infrante, e si infrangeranno sempre contro lo scoglio inamovibile della Chiesa di Cristo, sulla quale non prevarranno mai le porte degli inferi, distrutte all’improvviso dal soffio della bocca di Cristo. Ma non si illudano questi uomini scellerati, questi dieci re senza regno dell’Apocalisse, che stanno tentando di scardinare l’edificio spirituale romano istituito da Cristo stesso ed affidato al Principe degli Apostoli, il beato san Pietro ed ai suoi successori fino alla consumazione dei tempi, … i dieci re senza regno che possiamo facilmente identificare nel:

1° Cabalismo massonico-kazaro,

2° Talmudismo giudaico-askenazita,

3° Calvinismo anglicano e sette da esso derivate;

4° Protestantesimo luterano e le migliaia di sette ad esso congregate;

5° Scisma greco-orientali;

6° Modernismo conciliare del Novus ordo vaticano;

7° Tradizionalismo acefalo dei sedevacantisti o fallibilisti e sette derivate;

8° Islamismo;

9° Buddismo gnostico-manicheo;

10° Induismo gnostico.

Ma … Deus irridebit eos… et subsannabit eosEt IPSA CONTERET CAPUT EORUM, e tutti finiranno nello stagno di fuoco eterno … parola di Dio.

Dominus dissipat consilia gentium; reprobat autem cogitationes populorum, et reprobat consilia principum.

S,S, Pio IX
Levate

Venerabili Fratelli, levate in giro i vostri occhi e vedrete, e insieme con Noi sentirete grandissimo dolore per le pessime abominazioni dalle quali oggi questa misera Italia è specialmente funestata. Noi veramente adoriamo umilissimamente gli imperscrutabili giudizi di Dio, cui piacque farci vivere in questi infelicissimi tempi nei quali, per opera di alcuni uomini, e particolarmente di coloro che nell’infelicissima Italia reggono e governano la cosa pubblica, i comandamenti di Dio e le leggi della Santa Chiesa sono interamente calpestati, e l’empietà leva impunemente più alta la testa e trionfa. Da ciò originano tutte le iniquità, i mali e i danni che con sommo dolore dell’animo Nostro vediamo. Quindi quelle molteplici falangi che, camminando nelle empietà, militano sotto il vessillo di satana, su cui sta scritto menzogna, e che ispirandosi alla ribellione, e parlando contro il cielo, bestemmiano Dio, contaminano e disprezzano ogni cosa sacra e, conculcato ogni diritto divino ed umano, simili a lupi rapaci anelano alla preda, spargono il sangue e perdono le anime coi loro scandali gravissimi, e cercano nei modi più ingiusti di fare guadagni con la loro malizia, rapiscono violentemente l’altrui, contristano il povero ed il debole, aumentano il numero delle misere vedove e dei pupilli e, accettando doni, perdonano agli empii, mentre negano giustizia all’uomo giusto e lo spogliano; corrotti di cuore, si adoperano a soddisfare turpemente tutte le loro prave passioni, col massimo danno della stessa società civile.

Oggi siamo circondati da questa razza d’uomini scellerati, Venerabili Fratelli. Questi uomini, animati da spirito veramente diabolico, vogliono collocare la bandiera della menzogna in questa Nostra alma città, accanto alla Cattedra di Pietro, che è il centro della verità e dell’unità cattolica. I reggitori del Governo piemontese, che dovrebbero frenare tali uomini, non arrossiscono di favorirli in ogni modo, di procurare loro le armi e tutte le cose, e di rendere loro sicuro l’ingresso a questa città. Ma tutti questi uomini, benché costituiti nel grado e nel posto supremo del potere civile, tremino, perché con questo modo veramente iniquo di procedere si tirano addosso nuove pene ecclesiastiche e censure. Benché però nell’umiltà del Nostro cuore non cessiamo di pregare caldamente e di scongiurare Dio ricco di misericordia, perché si degni di richiamare a salutare penitenza sul retto sentiero della giustizia, della religione, della pietà tutti questi miserabilissimi uomini, tuttavia non possiamo tacere i gravissimi pericoli a cui in quest’ora delle tenebre siamo esposti. Noi con animo veramente tranquillo aspettiamo gli eventi, qualunque essi siano, benché eccitati con nefande frodi, calunnie, insidie, bugie, avendo posto ogni Nostra speranza in Dio, Nostra salute, che è Nostro aiuto e forza in tutte le Nostre tribolazioni. Egli non permette che rimangano confusi coloro che sperano in Lui, e disperde le insidie degli empi e spezza le cervici dei peccatori. Intanto non possiamo fare a meno di denunziare a voi principalmente, Venerabili Fratelli, ed a tutti i fedeli affidati alla vostra cura la tristissima condizione ed i gravissimi pericoli in cui Ci troviamo per opera specialmente del Governo piemontese. Infatti, quantunque siamo difesi dal valore e dalla devozione del fedelissimo Nostro esercito, il quale con gloriose imprese diede prove di un valore quasi eroico, tuttavia è chiaro che esso non può resistere a lungo contro il numero assai maggiore degli ingiustissimi aggressori. Benché non sia piccola la Nostra consolazione per la filiale pietà, verso di Noi, dei Nostri sudditi ridotti a pochi dagli scellerati usurpatori, tuttavia siamo costretti a dolerci grandemente, mentre essi non possono non sentire i gravissimi pericoli che loro sovrastano per parte delle feroci bande d’uomini iniqui, i quali continuamente con ogni sorta di minacce li spogliano ed in ogni modo li tormentano. – Ma abbiamo da lamentare altri mali non mai abbastanza deplorati, Venerabili Fratelli. Specialmente dalla Nostra Allocuzione nel Concistoro del 29 ottobre dell’anno scorso e poi dall’esposizione corredata da documenti e stampata, avete benissimo appreso da quante sciagure la Chiesa Cattolica ed i suoi figli nell’Impero di Russia e nel Regno di Polonia siano, in modo miserando, vessati e lacerati. Infatti i Vescovi cattolici, gli ecclesiastici, i laici fedeli sono cacciati in esilio, incarcerati, tormentati in ogni maniera, spogliati dei loro beni, travagliati ed oppressi da severissime pene; i canoni e le leggi della Chiesa sono interamente calpestati. Non contento di ciò, il Governo russo continuò, secondo l’antico suo proposito, a violare la disciplina della Chiesa, a rompere i vincoli dell’unione e della comunione di quei fedeli con Noi e con questa Santa Sede, e ad adoperare ogni mezzo ed ogni sforzo per potere in quegli Stati rovesciare dalle fondamenta la Religione Cattolica, strappare quei fedeli dal seno della Chiesa e trascinarli nel funestissimo scisma. Con Nostro incredibile dolore vi comunichiamo che, dopo l’ultima Nostra Allocuzione, da quel Governo furono pubblicati due decreti. Col decreto del 22 del mese di maggio ultimo scorso, con orrendo attentato, fu soppressa la diocesi di Podlachia nel Regno di Polonia, insieme con quel Capitolo di Canonici, col Concistoro generale e col Seminario diocesano; il Vescovo della diocesi medesima, strappato al suo gregge, fu costretto ad uscire immantinente dai confini della diocesi. Un simile decreto fu pubblicato il 3 giugno dell’anno scorso; di esso non potemmo fare menzione perché non era giunto a Nostra conoscenza. Con quel decreto lo stesso Governo non esitò di proprio arbitrio ed autorità a sopprimere la diocesi di Kameniek e a disperdere il Capitolo dei Canonici, il Concistoro, il Seminario, e a cacciare violentemente il Vescovo dalla sua diocesi. – Essendoci poi chiusa ogni via e soppresso ogni mezzo per comunicare con quei fedeli, ed anche per non esporre nessuno al carcere, all’esilio ed alle altre pene, fummo costretti a pubblicare nel Nostro giornale l’atto con cui credemmo in proposito di provvedere all’esercizio della legittima giurisdizione ed ai bisogni dei fedeli, affinché per mezzo della stampa giungesse colà la notizia del provvedimento da Noi adottato. Ognuno facilmente capisce con quale animo e con quale scopo tali decreti sono pubblicati dal Governo russo, facendo sì che all’assenza di molti Vescovi si congiunga la soppressione di molte diocesi. – Ma ciò che aumenta la Nostra amarezza, Venerabili Fratelli, è l’altro decreto pubblicato dallo stesso governo il 22 del passato mese di maggio, con cui a Pietroburgo venne costituito un Collegio chiamato ecclesiastico cattolico romano, a cui presiede l’Arcivescovo di Mohilow. Cioè: tutte le domande, anche relative alle cose di fede e di coscienza che dai Vescovi, dal Clero e dal Popolo della Russia e della Polonia sono dirette a Noi ed a questa Sede Apostolica, si debbano prima trasmettere a quel Collegio, il quale deve esaminarle e decidere se le domande oltrepassino le facoltà dei Vescovi, ed in tal caso possa procurare che siano a Noi trasmesse. Dopo che colà sarà giunta la Nostra decisione, il presidente del detto Collegio è obbligato a mandarla al ministro dell’Interno, il quale esaminerà se in essa si contenga qualche cosa di contrario alle leggi dello Stato ed ai diritti del Sovrano; qualora ciò non esista, a suo arbitrio, sia eseguita.

Vedete certamente, Venerabili Fratelli, quanto sia da riprovarsi e condannarsi un tale decreto emanato da un potere laico e scismatico, con cui viene distrutta la divina costituzione della Chiesa Cattolica, si rovescia la disciplina ecclesiastica, e si fa alla Nostra suprema potestà ed autorità pontificia, e di questa Santa Sede e dei Vescovi, la massima ingiuria; s’impedisce la libertà del sommo Pastore di tutti i fedeli, ed i fedeli sono spinti ad un funestissimo scisma; viene violato e conculcato lo stesso diritto naturale riguardo alle cose che concernono la fede e la coscienza. Inoltre, l’Accademia cattolica di Varsavia è stata chiusa; ed è imminente la trista rovina della diocesi rutena di Chelma e Belz. E, ciò che è maggiormente doloroso, si rinvenne un certo prete Voicichi, uomo di fede sospetta, il quale, disprezzate tutte le censure e le pene ecclesiastiche, senza tener conto del terribile giudizio di Dio, non ebbe in orrore di ricevere da quella civile potestà il governo e la cura della medesima diocesi, e di emanare già diverse ordinanze, le quali, mentre si oppongono alla disciplina ecclesiastica, favoriscono il funestissimo scisma.

In mezzo a tante calamità ed angustie Nostre e della Chiesa, non essendovi altri che pugni per Noi se non il Nostro Iddio, con quanta forza abbiamo vivamente vi scongiuriamo dunque, Venerabili Fratelli, che, per il singolare amore e zelo per la causa cattolica e per la egregia vostra pietà a Nostro riguardo, vogliate unire alle Nostre le fervide vostre preghiere, e insieme al vostro Clero e al Popolo fedele pregare Iddio senza tregua e scongiurarlo che, memore delle Sue eterne misericordie, allontani da Noi la Sua indignazione, salvi la Santa Chiesa e Noi da tanti mali, protegga e conforti con la Sua virtù tanti figli a Noi carissimi della stessa Chiesa, sparsi in quasi tutti i paesi, e specialmente in Italia, nell’Impero russo e nel Regno di Polonia, ed esposti a tante insidie; li corrobori, li confermi, li conservi sempre più nella professione della fede cattolica e della sua salutare dottrina; disperda tutti gli empi consigli dei nemici degli uomini, li richiami dal baratro dell’iniquità alla via della salvezza, e li guidi sul sentiero dei Suoi comandamenti. – Vogliamo pertanto che entro sei mesi per le diocesi di qua dal mare, ed entro un anno nelle diocesi di là dal mare, sia intimato un triduo di pubbliche preghiere, da stabilirsi da Voi. Affinché i fedeli con maggiore impegno intervengano a queste pubbliche preci e preghino il Signore, concediamo misericordiosamente nel Signore una plenaria indulgenza di tutti i loro peccati, a quanti fedeli d’ambo i sessi interverranno a questo triduo pregando per le presenti necessità della Chiesa, secondo la Nostra intenzione, purché, espiati i peccati nella confessione sacramentale, si accostino alla sacra Eucaristia. A coloro poi i quali, per lo meno contriti, avranno in ciascuno dei predetti giorni compiuto le opere prescritte, condoniamo sette anni ed altrettante quarantene delle pene loro ingiunte od in qualsiasi altro modo da essi dovute nella consueta forma della Chiesa. Concediamo ancora nel Signore che tutte e singole le indulgenze, le remissioni di peccati e i condoni delle penitenze siano applicabili alle anime dei fedeli defunti nella carità di Dio. Nulla ostando ogni altra disposizione in contrario. – Infine, nulla certo per Noi è più gradito che valerci con sommo piacere di questa occasione per manifestarvi e nuovamente confermarvi la speciale benevolenza con la quale vi abbracciamo nel Signore. Come pegno certissimo di essa accettate l’Apostolica Benedizione che, con effusione di cuore, amorevolmente impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli, a tutti i Chierici e ai laici fedeli affidati in qualsiasi modo alle vostre cure.

Dato in Roma, presso San Pietro, il 27 ottobre 1867, anno ventiduesimo del Nostro Pontificato.

DOMENICA IV DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA IV DOPO PENTECOSTE (2021)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Il pensiero che domina tutta la liturgia di questo giorno è la fiducia in Dio in mezzo alle lotte e alle sofferenze di questa vita. Essa appare nella lettura della storia di David nel Breviario e da un episodio della vita di S. Pietro, di cui è prossima la festa. Quando Dio scacciò Saul per il suo orgoglio, disse a Samuele di ungere come re il più giovane dei figli di Jesse, che era ancora fanciullo. E Samuele l’unse, e da quel momento lo Spirito di Dio si ritirò da Saul e venne su David. Allora i Filistei che volevano ricominciare la guerra, riunirono le loro armate sul versante di una montagna;Saul collocò il suo esercito sul versante di un altra montagna in modo che essi erano separati da una valle ove scorreva un torrente. E usci dal campo dei Filistei un gigante, che si chiamava Golia. Esso portava un elmo di bronzo, una corazza a squame. gambiere di bronzo e uno scudo di bronzo che gli copriva le spalle; aveva un giavellotto nella bandoliera e brandiva una lancia il cui ferro pesava seicento sicli. E sfidando Israele: «Schiavi di Saul, gridò, scegliete un campione che venga a misurarsi con me! Se mivince, saremo vostri schiavi, se lo vinco io, voi sarete nostri schiavi » – Saul e con lui tutti i figli d’Israele furono allora presi da spavento, Per un po’ di giorni il Filisteo si avanzò mattina e sera, rinnovando la sua sfida senza che nessuno osasse andargli incontro. Frattanto giunse al campo di Saul il giovane David, che veniva a trovare i suoi fratelli, e quando udì Golia e vide il terrore d’Israele, pieno di fede gridò: «Chi è dunque questo Filisteo, questo pagano che insulta l’esercito di Dio vivo? Nessuno d’Israele tema: io combatterò contro il gigante ». « Va, gli disse Saul, e che Dio sia con te! » David prese il suo bastone e la sua fionda, attraversa il letto del torrente, vi scelse cinque ciottoli rotondi e si avanzò arditamente verso il Filisteo. Golia vedendo quel fanciullo, lo disprezzò: « Sono forse un cane, che vieni contro di me col bastone? » E lo maledisse per tutti i suoi dèi. David gli rispose: « Io vengo contro di te in nome del Dio d’Israele, che tu hai insultato: oggi stesso tutto il mondo saprà che non è né per mezzo della spada, né per mezzo della lancia, che Dio si difende: Egli è il Signore e concede la vittoria a chi gli piace ». Allora il gigante si precipitò contro David: questi mise una pietra entro la sua fionda e dopo averla fatta girare la lanciò contro la fronte del gigante, che cadde di colpo a terra. David piombò su di lui e tratta dal fodero la spada di Golia, Io uccise tagliandogli la testa che innalzò per mostrarla ai Filistei. A questa vista i Filistei fuggirono e l’esercito di Israele innalzato il grido di guerra li insegui e li massacrò. « I figli d’Israele, commenta S. Agostino, si trovavano da quaranta giorni di fronte al nemico. Questi quaranta giorni per le quattro stagioni e per le quattro parti del mondo, significano la vita presente durante la quale il popolo cristiano non cessa mai dal combattere Golia e il suo esercito, cioè satana e i suoi diavoli. Tuttavia questo popolo non avrebbe potuto vincere se non fosse venuto il vero David, Cristo col suo bastone, cioè col mistero della croce. David, infatti, che era la figura di Cristo, usci dalle file, prese in mano il bastone e marciò contro il gigante: si vide allora rappresentata nella sua persona ciò che più tardi si compi in N. S. Gesù Cristo. Cristo, infatti, il vero David, venuto per combattere il Golia spirituale, cioè il demonio, ha portato da sé la sua croce. Considerate, o fratelli, in qual luogo David ha colpito Golia: in fronte ove non c’era il segno della croce; cosicché mentre il bastone significava la croce, cosi pure quella pietra con la quale colpì Golia rappresentava Cristo Signore. » (2° Notturno). Israele è la Chiesa, che soffre le umiliazioni che le impongono i nemici. Essa geme attendendo la sua liberazione (Ep.), invoca il Signore, che è la fortezza per i perseguitati (All.), «Il Signore che è un rifugio e un liberatore » (Com.), affinché le venga in aiuto « per paura che il nemico gridi: Io l’ho vinta » (Off.). E con fiducia essa dice: « Vieni in mio aiuto, o Signore, per la gloria del tuo nome, e liberami » (Grad.). « Il Signore è la mia salvezza, chi potrò temere? Il Signore è il baluardo della mia vita, chi mi farà tremare? Quando io vedrò schierato contro di me un esercito intero il mio cuore sarà senza paura. Sono i miei persecutori e i miei nemici che vacillano e cadono » (Intr.). Cosi sotto la guida della divina Provvidenza, la Chiesa serve Dio con gioia in una santa pace (Or.); il che ci viene mostrato dal Vangelo scelto in ragione della prossimità della festa del 29 giugno. Un evangeliario di Wurzbourg chiama questa domenica, Dominica ante natalem Apostolorum. Infatti è la barca di Pietro che Gesù sceglie per predicare, è a Simone che Gesù ordina di andare al largo, ed è infine Simone, che, dietro l’ordine del Maestro, getta le reti, che si riempiono in modo da rompersi; infine è Pietro che, al colmo dello stupore e dello spavento, adora il Maestro ed è scelto da Lui come pescatore d’uomini. « Questa barca, commenta S. Ambrogio, ci viene rappresentata da S. Matteo battuta dai flutti, da S. Luca ripiena di pesci; il che significa il periodo di lotta che la Chiesa ebbe al suo sorgere e la prodigiosa fecondità successiva. La barca che porta la sapienza e voga al soffio della fede non corre alcun pericolo: e. che cosa potrebbe temere avendo per pilota Quegli che è la sicurezza della Chiesa? Il pericolo s’incontra ove è poca fede; ma qui è sicurezza poiché l’amore è perfetto » (3° Nott.). Commentando il brano di Vangelo molto simile a questo (vedi mercoledì di Pasqua) ove S. Giovanni racconta una pesca miracolosa, che ebbe luogo dopo la Resurrezione del Salvatore, S. Gregorio scrive: « che cosa significa il mare se non l’età presente nella quale le lassitudini e le agitazioni della vita corruttibile assomigliano a flutti che senza tregua si urtano e si spezzano? Che cosa rappresenta la terra ferma della riva, se non la eternità del riposo d’oltre tomba? Ma poiché i discepoli si trovavano ancora in mezzo ai flutti della vita mortale, si affaticano sul mare, mentre il Signore, che si era spogliato della corruttibilità della carne, dopo la Risurrezione era sulla riva » (3° Notturno del mercoledì di Pasqua). In S. Matteo il Signore paragona « il regno dei cieli a una rete gettata in mare che raccoglie ogni sorta di pesci. E quando è piena, i pescatori la tirano a riva e prendono i buoni e rigettano i cattivi ». Orsù, coraggio: mettiamo tutta la nostra confidenza in Gesù. Egli ci salverà, mediante la Chiesa, dagli attacchi del demonio, come salvò per mezzo di David l’esercito d’Israele che temeva il gigante Golia.

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI: 1; 2 Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timebo? Dóminus defensor vitæ meæ, a quo trepidábo? qui tríbulant me inimíci mei, ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt.

[Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò? Il Signore è baluardo della mia vita, cosa temerò? Questi miei nemici che mi perséguitano, essi stessi vacillano e stramazzano.] Ps XXVI:3

Si consístant advérsum me castra: non timébit cor meum.

[Se anche un esercito si schierasse contro di me: non temerà il mio cuore.]

Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timebo? Dóminus defensor vitæ meæ, a quo trepidábo? qui tríbulant me inimíci mei, ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt.

[Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò? Il Signore è baluardo della mia vita, cosa temerò? Questi miei nemici che mi perséguitano, essi stessi vacillano e stramazzano.]

Oratio

Orémus.

Da nobis, quæsumus, Dómine: ut et mundi cursus pacífice nobis tuo órdine dirigátur; et Ecclésia tua tranquílla devotióne lætétur.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Signore, che le vicende del mondo, per tua disposizione, si svolgano per noi pacificamente, e la tua Chiesa possa allietarsi d’una tranquilla devozione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom VIII: 18-23.

“Fratres: Exístimo, quod non sunt condígnæ passiónes hujus témporis ad futúram glóriam, quæ revelábitur in nobis. Nam exspectátio creatúræ revelatiónem filiórum Dei exspéctat. Vanitáti enim creatúra subjécta est, non volens, sed propter eum, qui subjécit eam in spe: quia et ipsa creatúra liberábitur a servitúte corruptiónis, in libertátem glóriæ filiórum Dei. Scimus enim, quod omnis creatúra ingemíscit et párturit usque adhuc. Non solum autem illa, sed et nos ipsi primítias spíritus habéntes: et ipsi intra nos gémimus, adoptiónem filiórum Dei exspectántes, redemptiónem córporis nostri: in Christo Jesu, Dómino nostro”.

[“Fratelli: Ritengo che i patimenti del tempo presente non hanno proporzione con la gloria futura, che deve manifestarsi in noi. Infatti il creato attende con viva ansia la manifestazione dei figli di Dio. Poiché il creato è stato assoggettato alla vanità non di volontà sua; ma di colui che ve l’ha assoggettato con la speranza che anch’esso creato sarà liberato dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo, invero, che tutta quanta la creazione fino ad ora geme e soffre le doglie del parto. E non solo essa, ma anche noi stessi, che abbiamo le primizie dello Spirito, anche noi gemiamo in noi stessi attendendo l’adozione dei figliuoli di Dio, cioè la redenzione del nostro corpo”].

IL RE DELLA MUNIFICENZA.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

L’epistola d’oggi comincia con una frase celebre del grande Apostolo San Paolo. Già di queste frasi San Paolo ce ne ha lasciate molte. Era anche, umanamente parlando, uno scrittore così poderoso! « I dolori del tempo non sono proporzionati alle gioie dell’eternità » o più alla lettera « le sofferenze di questo mondo non sono coadeguate alla futura gloria che in noi dovrà manifestarsi ». – Se c’è un uomo che abbia molto faticato e sofferto a questo mondo, è proprio Lui, San Paolo. Faticato più di tutti i suoi colleghi, lo dice Lui con ispirato accento; e scusate se è poco! E pari alle fatiche i dolori ineffabili del suo apostolato, irto di difficoltà materiali, di morali contraddizioni; una vita così angosciosa da parere una morte, da poter egli chiamarla tale. « Quotidie morimur.» E non crediamo, che Paolo non sentisse tutto questo peso e tutte queste punture: era un forte, non era un insensibile. Anzi la sua era una sensibilità squisita. Soffriva atrocemente. Soffriva quando esercitava l’apostolato con quella sua foga impetuosa, soffriva quando era costretto all’inazione — a starsene, anche lui, uomo di azione, di zelo, « le braccia al sen conserte ». In tutto questo martirio apostolico, apostolato martirizzatore, c’era un conforto per S. Paolo, il vero, il grande conforto. Guardava in su, guardava in là. Tutto questo martirio doveva finire e trasformarsi: alla lotta doveva subentrare la vittoria, alla fatica il riposo, al patimento la gioia, alla umiliazione la gloria. L’Apostolo vi guarda con una fede inconcussa, che diviene speranza irremovibile. E trova che il premio sperato e promesso, promesso e sperato, è di gran lunga superiore alla posta che si richiede. « Non sunt condigno passiones huius temporis ad futuram gloriam que revelabitur în nobis; » parole auree che ciascun fedele può e deve ripetere per conto proprio, soggetto com’è ai dolori della prova, aperto come deve essere alla speranza del premio.Ma dunque, dirà qualcuno più saputello, ma dunque San Paolo è un calcolatore? che impiega il suo capitale al 100 per uno? anzi all’infinitoper uno? e di questo buon affare egoisticamente si compiace? e lo predica perché buono a tutti? Adagio alle conseguenze stiracchiate…Ben diversa da quella del calcolatore avido ed egoista, la figura spirituale di San Paolo e di quanti ripetono fidenti il suo gesto e la sua parola!Paolo è un innamorato di Dio del quale sa due cose; che Egli chiede ai suoi figliuoli e ai suoi soldati parecchio, che Egli darà loro moltissimo. Questa ricompensa Paolo non può non accettarla; ma accettandola, accettandola come ricompensa divina alla fatica umana, poiché è ricompensa, e Dio vuol che lo sia, accettandola dunque così, San Paolo vuole sentirla ancora più come una misericordia che una giustizia; vuol sentire nel Dio rimuneratore il Dio generoso. E il mezzo logico per rimanere in quella forma di sentimento è presto trovato. Pur meritandolo, nel senso che bisogna porre noi le condizioni « sine qua non » del premio che i desiderî avanza, il premio rimane sempre più un dono che un premio; premio per un decimo, dono per novantanove centesimi. Dio va con la sua ricompensa bene al di là del punto dove arriverebbero i nostri meriti. Tra il nostro «facere et pati» e il suo rimunerare non c’è proporzione, questo supera a dismisura quello. E ciò perché Dio è Dio e lo sarà sempre, è il Re della munificenza, della magnificenza. Re e Padre ha benignamente mascherato e maschera (prendete la parola con un po’ di grano di sale) il suo dono finale con la giustizia di un premio « corona justitiæ, » ma ha pagato e paga il suo premio con la esattezza del matematico e la tirchieria del mercante, colla generosità del principe. A noi l’essergli, come Padre, di ciò doppiamente grati.

Graduale

Ps LXXVIII: 9; 10 Propítius esto, Dómine, peccátis nostris: ne quando dicant gentes: Ubi est Deus eórum?

V. Adjuva nos, Deus, salutáris noster: et propter honórem nóminis tui, Dómine, líbera nos.

[Sii indulgente, o Signore, con i nostri peccati, affinché i popoli non dicano: Dov’è il loro Dio? V. Aiutaci, o Dio, nostra salvezza, e liberaci, o Signore, per la gloria del tuo nome.]

Allelúja

Alleluja, allelúja Ps IX: 5; 10 Deus, qui sedes super thronum, et júdicas æquitátem: esto refúgium páuperum in tribulatióne. Allelúja [Dio, che siedi sul trono, e giudichi con equità: sii il rifugio dei miseri nelle tribolazioni. Allelúia.

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam. Luc. V: 1-11

In illo témpore: Cum turbæ irrúerent in Jesum, ut audírent verbum Dei, et ipse stabat secus stagnum Genésareth. Et vidit duas naves stantes secus stagnum: piscatóres autem descénderant et lavábant rétia. Ascéndens autem in unam navim, quæ erat Simónis, rogávit eum a terra redúcere pusíllum. Et sedens docébat de navícula turbas. Ut cessávit autem loqui, dixit ad Simónem: Duc in altum, et laxáte rétia vestra in captúram. Et respóndens Simon, dixit illi: Præcéptor, per totam noctem laborántes, nihil cépimus: in verbo autem tuo laxábo rete. Et cum hoc fecíssent, conclusérunt píscium multitúdinem copiósam: rumpebátur autem rete eórum. Et annuérunt sóciis, qui erant in ália navi, ut venírent et adjuvárent eos. Et venérunt, et implevérunt ambas navículas, ita ut pæne mergeréntur. Quod cum vidéret Simon Petrus, prócidit ad génua Jesu, dicens: Exi a me, quia homo peccátor sum, Dómine. Stupor enim circumdéderat eum et omnes, qui cum illo erant, in captúra píscium, quam céperant: simíliter autem Jacóbum et Joánnem, fílios Zebedaei, qui erant sócii Simónis. Et ait ad Simónem Jesus: Noli timére: ex hoc jam hómines eris cápiens. Et subdúctis ad terram návibus, relictis ómnibus, secuti sunt eum”.

(“In quel tempo mentre intorno a Gesù si affollavano le turbe per udire la parola di Dio, Egli se ne stava presso il lago di Genesaret. E vide due barche ferme a riva del lago; e ne erano usciti i pescatori, e lavavano le reti. Ed entrato in una barca, che era quella di Simone, richiese di allontanarsi alquanto da terra. E stando a sedere, insegnava dalla barca alle turbe. E finito che ebbe di parlare, disse a Simone: Avanzati in alto e gettate le vostre reti per la pesca. E Simone gli rispose, e disse: Maestro, essendoci noi affaticati per tutta la notte, non abbiamo preso nulla; nondimeno sulla tua parola getterò La rete. E fatto che ebbero questo, chiusero gran quantità di pesci: e si rompeva la loro rete. E fecero segno ai compagni, che erano in altra barca, che andassero ad aiutarli E andarono, ed empirono ambedue le barchette, di modo che quasi si affondavano. Veduto ciò Simon Pietro, si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: Partiti da me, Signore, perché io son uomo peccatore. Imperocché ed egli, e quanti si trovavano con Lui, erano restati stupefatti della pesca che avevano fatto di pesci. E lo stesso era di Giacomo e di Giovanni, figliuoli di Zebedeo: compagni di Simone. E Gesù disse a Simone: Non temere, da ora innanzi prenderai degli uomini. E tirate a riva le barche, abbandonata ogni cosa, lo seguitarono”).

OMELIA

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933

Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.]

Sulla Speranza.

Diliges Dominum Deum tuum. (MATTH. XXII, 37).

È vero, F. M., che S. Agostino ci dice che, quand’anche non ci fosse né il cielo da sperare, né l’inferno da temere, non per questo bisognerebbe lasciare d’amare il buon Dio; perché Egli è infinitamente amabile e merita d’essere amato; tuttavia Dio, per incoraggiarci ad attaccarci a Lui ed amarlo sopra tutte le cose, ci promette una ricompensa eterna. Se noi compiamo degnamente sì bella opera, che costituisce tutta la felicità dell’uomo sulla terra, ci prepariamo la nostra felicità e la nostra gloria nel cielo. Se la fede c’insegna che Dio vede tutto, ch’Egli è testimonio di tutto ciò che facciamo e soffriamo, la virtù della speranza ci fa sopportare le nostre pene con un’intera sommissione alla sua santa volontà, col pensiero che ne saremo ricompensati per tutta l’eternità. Noi vediamo che fu appunto questa bella virtù che sostenne i martiri in mezzo ai loro tormenti, i solitari nei rigori delle loro penitenze, i santi, infermi o ammalati, nelle loro malattie. Sì, F. M., se la fede ci scopre dovunque Dio presente, la speranza ci fa fare tutte le nostre azioni con l’unico scopo di piacere a Dio, col felice pensiero d’una ricompensa eterna. Ora, poiché questa virtù addolcisce tanto i nostri mali, vediamo insieme in che cosa consiste questa bella e preziosa virtù della speranza.

1° Se noi abbiamo, F. M., la felicità di conoscere per mezzo della fede che c’è un Dio, il quale è nostro Creatore, nostro Salvatore e nostro sommo Bene, e non ci ha creati che per conoscerlo, amarlo, servirlo e possederlo; la speranza c’insegna che, sebbene indegni di questa felicità, noi possiamo aspirarvi per i meriti di Gesù Cristo. Per rendere, F. M., le nostre azioni degne d’essere ricompensate occorrono tre cose: la fede, che ci fa in esse veder Dio presente; la speranza, che ce le fa compiere con l’unico scopo di piacere a Lui; e l’amore, che ci attacca a Lui come al nostro sommo Bene. Sì, M. F., noi non conosceremo mai il grado di gloria che ogni azione ci procura nel cielo, se la facciamo puramente per amor di Dio; i santi stessi che sono in cielo non riescono a comprenderlo. Eccone un esempio meraviglioso. Leggiamo nella vita di S. Agostino che, scrivendo egli a S. Girolamo per domandargli di quale espressione bisognasse servirsi per far meglio sentire la grandezza della felicità che godono i santi in cielo; nel momento in cui scriveva, secondo il solito al principio di tutte le sue lettere, “Salute in Gesù Cristo Signor nostro, „ la sua camera fu illuminata da una luce affatto straordinaria, più bella che il sole in pieno meriggio e pregna di mille profumi; egli ne fu si rapito che per poco non ne morì di piacere. Nello stesso istante, sentì uscir da questa luce una voce e dirgli: “Ah! mio caro amico Agostino, tu mi credi ancor sulla terra: grazie a Dio, io sono in cielo. Tu vuoi domandarmi di qual termine si potrebbe servirsi per far meglio sentire la felicità che godono i santi: sappi, amico mio, che questa felicità è sì grande e tanto al di sopra di tutto ciò che una creatura possa pensare, che ti sarebbe più facile contare tutte le stelle del firmamento, metter l’acqua di tutti i mari in un’ampolla, stringer tutta la terra nella tua mano, che comprendere la felicità di chi è minimo fra i beati nel cielo. E avvenuto a me ciò che avvenne alla regina di Saba: ella aveva concepito una grande idea del re Salomone per la voce corsa della sua riputazione: ma dopo aver visto ella stessa il bell’ordine che regnava nel suo palazzo, la magnificenza senza pari, la scienza e la sapienza di questo re, ne fu sì meravigliata, si rapita che se ne ritornò a casa dicendo che tutto ciò che le si era detto non era nulla in confronto di quello che aveva visto ella medesima. Io ho fatto altrettanto per la bellezza del cielo e la felicità di cui godono i beati; credeva d’aver compreso qualche cosa di queste bellezze che sono rinchiuse nel cielo e della felicità di cui godono i santi; ma, malgrado tutti i pensieri più sublimi ch’io ho potuto concepire, tutto ciò non è nulla in confronto di quella felicità che forma il retaggio dei beati. „ – Leggiamo nella vita di S. Caterina da Siena che Dio le fece vedere qualcosa della bellezza del cielo e della sua felicità. Ella ne fu sì rapita che cadde in estasi. Ritornata in sé, il confessore le domandò che cosa il buon Dio le avesse fatto vedere. Rispose che Dio le aveva tatto vedere qualcosa della bellezza del cielo e della felicità dei santi, ma che era impossibile dirne la minima parte tanto sorpassava tutto ciò che noi possiamo pensare. Ebbene, P. M, ecco dove conducono le nostre buone azioni se noi le facciamo con lo scopo di piacere a Dio: ecco i beni che la virtù della speranza ci fa attendere e desiderare.

2° La virtù della speranza ci consola e ci sostiene nelle prove che il buon Dio ci manda. Ne abbiamo un bell’esempio nella persona del santo Giobbe, là sul letamaio, coperto d’ulceri da capo a piedi. Aveva perduti tutti i suoi figli, rimasti schiacciati sotto le rovine della sua casa. Egli stesso si vide trascinato giù dal suo letto e buttato su di un letamaio all’angolo della via, e abbandonato da tutti: il suo povero corpo era tutto coperto di putredine; i vermi lo rodevano vivo, tanto ch’era costretto di toglierli con cocci di vasi infranti; era insultato persino da sua moglie, che, invece di consolarlo, lo copriva d’ingiurie, dicendogli: “Lo vedi, il tuo Dio, che tu servi con tanta fedeltà? Vedi come ti ricompensa? Domandagli la morte, che almeno ti libererà da’ tuoi mali!„ I suoi migliori amici pareva venissero a trovarlo unicamente per accrescere i suoi dolori. Tuttavia malgrado questo miserrimo stato in cui era ridotto, egli non cessava di sperar sempre in Dio. “No, mio Dio, diceva egli, io non cesserò mai di sperare in voi; mi toglieste anche la vita, io non lascerei di sperare in voi e d’avere una gran confidenza nella vostra bontà. — Perché, mio Dio. dovrei io scoraggiarmi o abbandonarmi alla disperazione? Io farò a Voi l’accusa dei miei peccati che sono la causa de’ miei mali; ma spero che voi, Voi stesso sarete il mio Salvatore. La mia speranza è che Voi mi ricompenserete un giorno dei mali ch’io soffro per vostro amore. Ecco, F. M., ciò che noi possiamo chiamare una speranza vera; poiché, non ostante gli sembrasse che tutta la collera di Dio fosse piombata su di lui, egli non cessava perciò di sperare in Dio. Senza esaminare il perché di tanti mali, si contenta di dire che sono effetto de’ suoi peccati. – Vedete voi, F. M., i grandi beni che la speranza gli procura? Tutti lo trovano infelice; e lui solo, sul suo letamaio, abbandonato da’ suoi e disprezzato dagli altri; lui solo si trova felice, perché mette la sua confidenza in Dio. Ah! se nelle nostre pene, nei nostri affanni, nelle nostre malattie, avessimo questa grande confidenza in Dio, quanti beni non accumuleremmo. per il cielo! Ahimè! quanto siamo ciechi, F. M.!Se invece di disperarci nelle nostre miserie, avessimo la ferma speranza che il buon Dio tutto questo c’invia come altrettanti mezzi per farci meritare il cielo, con quanta gioia non le soffriremmo! Ma, mi direte voi, che vuol dire questa parola: sperare? — Eccolo, F . M. Vuol dire sospirare a qualche cosa che deve renderci felici nell’altra vita; vuol dire desiderare ardentemente la liberazione dei mali di questa vita e desiderare il possesso d’ogni sorta di beni capaci di soddisfarci pienamente. Quando Adamo ebbe peccato e si vide oppresso da tante miserie, tutta la sua consolazione era nel pensiero che, non solo questi dolori gli meritavano il perdono del suo peccato, ma anche gli procuravano beni per il cielo. Quanto è grande la bontà di Dio, F. M., nel ricompensare con tanti beni la minima delle nostre azioni, e per tutta l’eternità! — Ma, per farci meritare questa felicità, il buon Dio vuole che noi abbiamo una grande confidenza in Lui, quasi fanciulli verso un buon padre. E per questo che noi lo vediamo in molti passi della sacra Scrittura, prendere il nome di Padre, affine d’inspirarci una maggior confidenza. Egli vuole che noi ricorriamo a Lui in tutte le nostre pene sia dell’anima, sia del corpo. Ci promette di soccorrerci tutte le volte che faremo ricorso a Lui. S’Egli prende il nome di Padre, è per inspirarci una maggior confidenza nella sua bontà. Vedete come ci ama! Per bocca del suo profeta Isaia, Egli ci ammaestra che ci porta nel proprio seno. “Una madre, dice, che porta il proprio figlio in seno non può dimenticarlo; e, quand’anche fosse tanto barbara da giungere anche a questo, Io non dimenticherò mai colui che mette la sua confidenza in me„ Egli si lamenta persino che non abbiamo abbastanza fiducia in Lui, e ci avverte di “non metter più la nostra confidenza nei re e nei principi, perché la nostra speranza sarà ingannata (Ps CXLV, 2). „ E va più innanzi ancora, poiché giunge fino a minacciar la sua maledizione se non avremo grande confidenza in Lui, e per bocca del suo profeta Isaia ci dice: “Maledetto colui che non mette la sua fiducia nel suo Dio!„ e più innanzi ” Benedetto colui che ha fiducia nel Signore ! „ (Ger. XVII, 5, 7). Vedete la parabola del Figliuol prodigo, ch’Egli propone con tanto piacere, affine d’inspirarci una grande confidenza in Lui. ” Un padre, ci dice, aveva un figlio che domandò ciò che poteva spettargli della eredità. Questo buon padre gli diede la sua parte di beni. E il figlio lo abbandona, parte per un paese straniero, e si lascia andare ad ogni sorta di disordini. Ma poco dopo, le sue dissolutezze l’avevano ridotto alla più grande miseria. Senza danaro e senza alcuna risorsa. Egli avrebbe voluto nutrirsi degli avanzi del cibo dei porci, da lui custoditi. Vedendosi oppresso da tanti mali, si ricordò d’aver abbandonato un buon padre, che lo aveva sempre colmato d’ogni sorta di benefizi in tutto il tempo ch’era rimasto presso di lui, e disse tra sé: “Mi alzerò e, colle lagrime agli occhi, andrò a gettarmi ai piedi di mio padre: egli è tanto buono che spero avrà ancor pietà di me. Gli dirò: “Mio tenero padre, io ho peccato contro di voi e contro il cielo: non merito più d’esser posto nel numero dei vostri figli; mettetemi tra i vostri servi e sarò ancor troppo felice. „ Ma che fa questo buon Padre? Gesù Cristo — e questo tenero padre è Lui stesso — ci dice che ben lungi dall’attendere che il figlio venga a gettarsi ai suoi piedi, appena lo scorge da lontano, egli stesso accorre per abbracciarlo. Il figlio vuol confessare i suoi peccati, ma il padre non permette più che gliene parli. “No, no, figlio mio, non è più questione di peccati; non pensiamo che a gioire.„ Questo buon padre invita tutti a ringraziare il buon Dio perché suo figlio morto è risuscitato, perché, dopo averlo perduto l’ha ritrovato. E per testimoniargli quanto lo ami, gli rende tutti i suoi diritti e la sua amicizia. (Luc. XV.). – Ebbene! ecco, F . M., come Gesù Cristo accoglie il peccatore ogni volta che ritorna a Lui: gli perdona non solo, ma gli rende tutti i beni che il peccato gli aveva rapiti. Dopo ciò, M. F., chi non avrà una grande fiducia nella carità del buon Dio? Egli va più innanzi e ci dice che quando noi abbiamo la fortuna d’abbandonare il peccato per amar Lui, tutto il cielo s’allieta. E se leggete più innanzi ancora, non vedete con qual premura Egli corre in cerca della pecorella smarrita? Una volta trovatala, ne prova tanta gioia che se la mette persino sulle spalle per evitarle la fatica del ritorno (Luc. XV). Vedete con qual bontà accoglie la Maddalena a’ suoi piedi, (Luc. VII),  con qual tenerezza la consola; e non solo la consola, ma la difende altresì contro gl’insulti dei farisei. Vedete con quanta carità e con quanto piacere perdona all’adultera; essa l’offende ed è proprio Lui che vuol farsi suo protettore e suo salvatore (Giov. VIII). Vedete la sua premura nel seguire la Samaritana; per salvare l’anima sua va Lui stesso ad aspettarla presso al pozzo di Giacobbe: le indirizza Lui per primo la parola per mostrarle anticipatamente la sua bontà; e mostra di chiederle acqua, per darle la sua grazia e il cielo (Ibid. IV). – Ditemi F. M., quali pretesti avremo noi per scusarci quando Egli ci mostrerà quanto era buono a nostro riguardo e come ci avrebbe ricevuti se avessimo voluto far ritorno? Con quanta gioia ci avrebbe perdonato e reso la sua grazia? Non potrà Egli dirci: Ah! infelice, se tu sei vissuto e morto nel peccato è perché non hai voluto uscirne; mentre Io desideravo tanto perdonarti! Vedete, M. F., quanto il buon Dio vuole che andiamo a Lui con confidenza nei nostri mali spirituali! Egli ci dice, per bocca del suo profeta Michea, che quand’anche i nostri peccati fossero così numerosi come le stelle del firmamento, come le gocce d’acqua del mare, come le foglie delle foreste e come i granelli d’arena chiusi nell’oceano, se noi ci convertiamo sinceramente, Egli ci promette che li dimenticherà tutti; e ci dice ancora che quand’anche i nostri peccati avessero reso l’anima nostra nera come il carbone o rossa come lo scarlatto, Egli ce la renderà candida come la neve. „ (Isai. I, 18) E soggiunge che Egli getta i nostri peccati nel caos del mare perché non appariscano mai più. Quanta carità, F. M., da parte di Dio! Con quanta confidenza non dobbiamo rivolgerci a Lui! Ma qual disperazione per un Cristiano dannato sapere quanto il buon Dio avrebbe desiderato perdonargli s’egli avesse voluto chiedergli perdono. F. M., se noi andremo dannati, bisognerà pur confessare che l’avremo voluto noi, poiché il buon Dio ci ha detto tante volte che voleva perdonarci. Ahimè, quanti rimorsi di coscienza, quanti buoni pensieri, quanti desiderii la voce di Dio ha suscitato in noi! O mio Dio! quanto è stolto l’uomo che si danna, mentre può così facilmente salvarsi! Ah! F. M., per convincerci di tutto questo, non abbiamo che da esaminare ciò ch’Egli ha fatto per noi durante i trentatré anni che visse sopra la terra. – Inoltre dobbiamo avere grande confidenza in Dio anche per i nostri bisogni temporali. Per eccitarci a rivolgerci a Lui con gran confidenza per ciò che riguarda il corpo, Egli ci assicura che avrà cura di noi; e noi stessi vediamo quanti miracoli ha fatto piuttosto che lasciarci mancare il necessario. Nella santa Scrittura vediamo ch’Egli ha nutrito il suo popolo per quarant’anni nel deserto, con la manna che cadeva ogni giorno dal cielo prima del levar del sole. Durante i quarant’anni che rimasero nel deserto i loro abiti non si logorarono punto. Nel Vangelo ci dice di non metterci in pena per ciò che riguarda il nutrimento e il vestito: “Guardate, ci dice, gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono nulla nei granai; eppure, con quanta cura il Padre vostro celeste li nutre: non siete voi da più di loro? voi siete figliuoli di Dio. Uomini di poca fede, non mettetevi adunque in pena per ciò che mangerete o per ciò di cui vi vestirete. Guardate i gigli dei campi, come crescono: eppure non lavorano, non filano; vedete come sono vestiti: vi garantisco io che Salomone, in tutta la sua magnificenza, non fu mai vestito come uno di loro. So adunque, conclude questo divin Salvatore, se il Signore si prende tanta cura per vestire un’erba, che oggi è, e domani vien gettata a bruciare, con quanta maggior ragione non si prenderà cura di voi, che siete i suoi figli? Cercate adunque anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato con abbondanza.„ (Matt. VI). Vedete ancora quanto Egli vuole che abbiamo fiducia: “Quando mi pregherete, ci ammaestra, non dite: Mio Dio, ma Padre nostro, perché sappiamo che il figlio ha una fiducia illimitata in suo padre.„ Quando fu risorto, apparve a Maddalena e le disse: “Va da’ miei fratelli, e di’ loro ch’io ascendo al Padre mio, che è anche Padre vostro.„ (Giov. XX, 17). M. F., dunque non converrete voi meco che, se siamo tanto infelici sulla terra, ciò non può essere se non perché non abbiamo abbastanza fiducia in Dio?

3° In terzo luogo, F. M., dobbiamo avere grande fiducia in Dio nelle nostre pene, nei nostri affanni, nelle nostre malattie. Bisogna, che questa grande speranza del cielo ci sostenga e ci consoli; ecco ciò che hanno fatto tutti i santi. Leggiamo nella vita di S. Sinforiano che, mentre veniva condotto al martirio, sua madre, che l’amava davvero in Dio, salì sopra un muro per vederlo passare, e, levando la voce quanto poté, “Figlio mio, figlio mio, gli gridava, guarda il cielo; coraggio, figlio mio! ti sostenga la speranza del cielo! figlio, coraggio! se il cammino del cielo è difficile, è per altro molto breve.„ E questo fanciullo, animato dalle parole di sua madre, sostenne con grande intrepidezza i tormenti e la morte. S. Francesco di Sales aveva una sì grande fiducia in Dio, che pareva insensibile alle persecuzioni che gli si movevano. Egli diceva a se stesso: Poiché nulla avviene senza che Dio lo permetta, le persecuzioni non sono che pel nostro bene. „ Leggiamo nella sua vita che una volta fu orribilmente calunniato; eppure egli non perdé nulla della sua tranquillità ordinaria. Scrisse ad un amico che qualcuno l’aveva avvertito che si straziava la sua fama in un bel modo; ma ch’egli sperava che il buon Dio aveva ordinato tutto questo per la sua gloria e per la salute dell’anima sua. E si accontentò di pregare per quelli che lo calunniavano. Ecco, F. M., la fiducia che dobbiamo avere in Dio. Quando siamo perseguitati e disprezzati è segno che noi siamo davvero Cristiani, figli, cioè, di un Dio disprezzato e perseguitato.

4° In quarto luogo, M. F., se dobbiamo avere una confidenza cieca in Gesù Cristo, perché siamo sicuri che non mancherà mai di venire in nostro soccorso in tutte le nostre pene, purché andiamo a Lui come figli al padre; dobbiamo avere altresì una grande fiducia nella sua santa Madre, che è tanto buona, e desidera tanto di aiutarci in tutti i nostri bisogni temporali, ma specialmente quando vogliamo tornare a Dio. Se abbiamo qualche peccato che ci fa vergogna a confessarlo, gettiamoci a’ suoi piedi e siamo sicuri ch’ella ci otterrà la grazia di confessarci bene, e, nello stesso tempo, non mancherà di domandare il nostro perdono. Per darvene una prova, eccone un esempio mirabile. Si racconta nella storia che un uomo, per lungo tempo, condusse una vita molto cristiana, tanto da sperarne il cielo. Ma il demonio, che tutto fa a nostra rovina, lo tentò sì spesso e sì a lungo, che lo fece cadere in peccato grave. In seguito, rientrato in sé, comprese tutta l’enormità del suo peccato, e il primo pensiero fu di ricorrere al rimedio salutare della confessione. Ma ne concepì tanta vergogna che non poté mai determinarsi a confessarlo. Straziato dai rimorsi che non gli lasciavano un istante di riposo, prese l’insensata risoluzione d’annegarsi, sperando con ciò di metter fine a’ suoi tormenti. Ma giunto alla riva del fiume, fremette al pensiero dell’infelicità eterna in cui stava per precipitarsi, e se ne tornò piangendo a calde lacrime, e pregò il Signore di perdonargli senza ch’egli fosse obbligato a confessarsi. Credette ritrovare la pace dell’anima visitando molte chiese, facendo preghiere e penitenze; ma, non ostante le preghiere e le penitenze, i rimorsi lo perseguitavano sempre. Il buon Dio non voleva concedergli il perdono che per la protezione della sua santa Madre. Una notte ch’egli era immerso in una grande tristezza, si sentì fortemente inspirato d’andar a confessarsi. S’alzò di buon mattino e si portò alla chiesa; ma, quando fu là per confessarsi, si senti più che mai tormentato dalla vergogna del suo delitto, e non ebbe la forza di fare ciò che la grazia del buon Dio gli aveva inspirato. Qualche tempo dopo si ripeté la stessa cosa: si portò di nuovo alla chiesa, ma fu di nuovo trattenuto dalla vergogna e, in quel momento di disperazione, risolvé di morire piuttosto che dichiarare il suo peccato al confessore. Però gli venne in mente di: raccomandarsi alla santa Vergine. Prima di andare a prostrarsi ai piedi dell’altare della Madre di Dio, le mostrò il bisogno che aveva del suo soccorso, e la scongiurò con le lacrime agli occhi di non abbandonarlo. Quale bontà da parte della Madre di Dio, quanta premura a soccorrerlo! Non s’era ancora inginocchiato che tutte le sue pene scomparvero e si cambiò il suo cuore. Egli s’alzò pieno di coraggio e di fiducia, andò a trovare il suo confessore e gli confessò tutti i suoi peccati versando torrenti di lacrime. A mano a mano che confessava i suoi peccati gli pareva di togliersi un peso enorme dalla coscienza. In seguito, confessò che, quando ricevette l’assoluzione, provò maggior contento che se gli avessero donato tutto l’oro del mondo. Ahimè, F. M., quale sventura per quest’uomo, se non fosse ricorso alla santa Vergine. Ora brucerebbe nell’inferno. Sì, M. F., in tutte le nostre pene sia dell’anima sia del corpo, dopo che in Dio, ci occorre una grande fiducia nella santa Vergine. Ecco un altro esempio che varrà a inspirarci una tenera fiducia in Lei, specialmente quando vogliamo concepire un grande orrore del peccato. S. Alfonso de’ Liguori racconta che una gran peccatrice di nome Elena, essendo entrata in chiesa, il caso, o piuttosto la Provvidenza, che dispone di tutto per il bene dei suoi eletti, volle ch’ella sentisse un discorso sulla divozione al santo Rosario. Ebbe sì forte impressione da ciò che disse il predicatore sull’eccellenza e sui mirabili effetti di questa santa pratica che le venne il desiderio d’avere una corona. E subito dopo la predica l’acquistò; ma, per qualche tempo, aveva cura di nasconderla per timore che fosse vista e messa in ridicolo. In seguito cominciò a recitarla, ma con poco gusto e divozione. Ma qualche tempo dopo la santa Vergine le fece sentire tanta divozione e tanto piacere, ch’ella non sapeva più stancarsi di recitarla; e per mezzo di questa pratica di pietà, tanto accetta alla santa Vergine, meritò da Lei uno sguardo di compassione, che le fece concepire orrore della sua vita passata. La sua coscienza le divenne un inferno e non le lasciava più riposo né giorno né notte. Straziata continuamente da rimorsi implacabili, non poteva più resistere alla voce interiore, che le diceva che il sacramento della Penitenza era il solo rimedio per aver la pace ch’ella bramava tanto, e cercava ovunque senza trovarla mai: che il sacramento della Penitenza era il solo rimedio per tutti i mali dell’anima sua. Invitata da questa voce, condotta e incalzata dalla grazia, andò a gettarsi ai piedi del ministro del Signore e a lui confessa tutte le miserie dell’anima sua, tutti i suoi peccati; e lo fa con tanta contrizione, con tanta abbondanza di lacrime che il confessore, sommamente meravigliato, non sa a che attribuire questo miracolo della grazia. Finita la confessione, Elena va a presentarsi ai piedi dell’altare della santa Vergine, e là, penetrata dei sentimenti della più viva riconoscenza, “Ah! santissima Vergine, esclama, è vero, fin qui sono stata un mostro; ma voi, che siete tanto potente presso Dio, aiutatemi, di grazia, a correggermi: io voglio occupare il resto dei miei giorni a far penitenza.„ Da quel momento rientrò in sé, spezzò per sempre i vincoli delle funeste compagnie che l’avevano tenuta nei disordini, donò tutti i suoi beni ai poveri e si abbandonò a tutti i rigori della penitenza che il suo amore per Dio e il ribrezzo de’ suoi peccati poterono inspirarle. Iddio, per mostrare quanto le era grato per la fiducia che ella aveva avuto nella Madre sua, nell’ultima sua malattia le apparve insieme alla Ss. Vergine per confortarla. Ella rese così nelle loro mani la sua bell’anima che aveva sì bene purificata con le lacrime e la penitenza, di modo che, dopo il buon Dio, è alla protezione della santissima Vergine che questa gran penitente dovette la sua salvezza. – Ecco ancora un altro esempio, non meno ammirabile, di fiducia nella santa Vergine, il quale mostra quanto sia utile la divozione alla Madre di Dio per aiutarci a uscir dal peccato. Narra la storia che un giovine, ben educato da’ suoi genitori, ebbe la sventura di contrarre un’abitudine sciagurata che gli fu causa di un’infinità di peccati. Siccome aveva ancora il timor di Dio e desiderava rinunciare a’ suoi disordini, di quando in quando faceva qualche sforzo per uscirne; ma il peso delle sue malvagie abitudini lo trascinava sempre. Detestava il suo peccato, ma pure vi ricadeva ad ogni istante. Vedendo che non riusciva a correggersi, s’abbandonò allo scoraggiamento e prese la risoluzione di non confessarsi più. Il suo confessore, che non lo vedeva più venire al tempo fisso, volle fare un nuovo sforzo per ricondurre questa povera anima a Dio. Va a trovarlo in un momento in cui era solo a lavorare. Questo povero giovine, vedendo venire il sacerdote, cominciò a sospirare e ad emettere grida di lamento. “Che avete, amico mio, gli domanda il sacerdote? — Ah! io non mi correggerò mai e ho risoluto di tralasciar tutto. Che dite mai, mio caro? Io so invece che se voi farete ciò ch’io vi dirò, riuscirete a correggervi e otterrete il perdono. Andate subito a gettarvi ai piedi della santa Vergine e poi venite a trovarmi.„ Il giovine andò all’istante a gettarsi ai piedi di un altare della Madonna e, bagnando di lacrime il pavimento, la supplicò d’aver pietà di un’anima che aveva costato il Sangue di Gesù Cristo, suo divin Figlio, e che il demonio voleva trascinare nell’inferno. In quel momento senti nascere in sé una sì gran fiducia che si alzò e andò a confessarsi. La sua conversione fu sincera: tutte le sue malvage abitudini furono assolutamente distrutte, ed egli servì il buon Dio per tutta la sua vita. — Riconosciamolo tutti, F. M. che, se noi restiamo nel peccato, è proprio perché non vogliamo usare dei mezzi che la religione ci offre, né far ricorso con fiducia a questa buona Madre, che avrebbe tanta pietà anche di noi, come l’ebbe di tutti quelli che l’hanno pregata prima di noi.

5° In quinto luogo, o F. M., osservo che la speranza ci fa fare tutte le nostre azioni con l’unico scopo di piacere a Dio e non al mondo. Noi dobbiamo cominciare a praticare questa virtù quando ci svegliamo, offrendo il nostro cuore a Dio con amore, con fervore, pensando quanto grande sarà la ricompensa della nostra giornata se faremo bene tutto ciò che dovremo fare, col solo scopo di piacere a Dio. Dite, M. F., se in tutto ciò che facciamo avessimo la fortuna di pensare alla grande ricompensa che il buon Dio lega a ciascuna delle nostre azioni, di quali sentimenti di rispetto e d’amore non saremmo noi penetrati! Vedete come sarebbero pure le nostre intenzioni facendo l’elemosina. — Ma, mi direte voi, quando io faccio qualche elemosina, è appunto per il buon Dio che la faccio, non per il mondo. — Però, M. F., noi siamo ben contenti quando ci si vede, quando ci si loda, e ci piace anche dirlo noi altri di nostra bocca. Nel nostro cuore amiamo pensarvi e ci compiacciamo nel nostro interno; — ma, se avessimo questa bella virtù nell’anima, non cercheremmo che Dio: il mondo non ci sarebbe per nulla, né cureremmo noi stessi. Non meravigliamoci adunque, F. M., se facciamo sì male le nostre azioni. È perché non pensiamo davvero alla ricompensa che il buon Dio vi annette, se le facciamo unicamente per piacere a Lui. Quando facciamo un favore a qualcuno che, ben lontano d’esserci riconoscente, ci paga d’ingratitudine, se avessimo questa bella virtù della speranza, noi ne saremmo ben contenti, pensando che la nostra ricompensa sarà ben più grande presso Dio. Francesco di Sales ci dice che, se si presentassero a lui due persone per ricevere qualche beneficio, egli sceglierebbe quella che crederebbe meno riconoscente, perché il merito sarebbe più grande presso Dio. E il santo re Davide diceva che, quando faceva qualche cosa,la faceva sempre alla presenza di Dio, come se dovesse essere giudicato subito dopo per riceverne la ricompensa; ciò che lo portava a far bene tutto ciò che faceva per piacere a Dio solo. Infatti, quelli che non hanno questa virtù della speranza fanno tutto per il mondo o per farsi amare o stimare, e perdono ogni ricompensa. – Dicevo che dobbiamo avere grande fiducia inDio nelle nostre malattie e nei nostri affanni: è precisamente qui dove il buon Dio ci attende per vedere se gli mostreremo una grande fiducia. Leggiamo nella vita di S. Elzeario che la gente del mondo lo scherzava pubblicamente per la sua devozione; e i libertini se ne facevano giuoco. Santa Delfina gli disse un giorno che il disprezzo che si faceva della sua persona ricadeva sulla sua virtù. – Ahimè! rispose egli piangendo, quando penso a tutto ciò che Gesù Cristo ha sofferto per me. io ne sono sì commosso che, quand’anche mi cavassero gli occhi, non avrei parole per lamentarmi pensando alla gran ricompensa di quelli che soffrono per amor di Dio: qui è tutta la mia speranza, e ciò che mi sostiene in tutte le mie pene. „ E si capisce. Che cosa mai può consolare un povero ammalato nelle sue pene se non la grandezza della ricompensa che il buon Dio gli promette nell’altra vita? – Leggiamo nella storia che un predicatore, essendo andato a predicare in un ospedale, tenne un discorso sulle sofferenze. Egli dimostrò come le sofferenze ci acquistino grandi meriti per il cielo, e quanto un’anima che soffre con pazienza è accetta al buon Dio. Nello stesso ospedale v’era un povero ammalato che da molti anni soffriva assai, ma, sventuratamente sempre lamentandosi. Il discorso gli fece comprendere quanti beni egli aveva perduto pel cielo, sicché dopo la predica, cominciò a piangere e a singhiozzare in modo fuori del solito. Un sacerdote che lo vide gli domandò perché si abbandonasse a così grande affanno e se qualcuno l’avesse offeso, aggiungendo che, nella sua qualità d’amministratore egli poteva fargli render giustizia. “Oh! no, signore, rispose il povero uomo, nessuno mi ha offeso, ma io stesso mi son fatto troppo gran torto. — Come? gli domandò il sacerdote. — Ah! reverendo, quanti beni ho perduto in tanti anni ch’io soffro, e nei quali avrei tanto meritato per il cielo se avessi avuto la fortuna di sopportare i miei mali con pazienza! Ahimè! quanto grande è la mia sventura! Io che mi credevo così degno di compassione, se avessi ben compreso il mio stato, sarei il più felice nomo del mondo.„ Ah! F. M., quanti dovranno tener lo stesso linguaggio in punto di morte, mentre se avessero avuto la fortuna di sopportarle in pace per il buon Dio, le loro pene, le quali non hanno servito che a perderli per il cattivo uso che ne hanno fatto, li avrebbero condotti al cielo. Si domandò un giorno a una povera donna che da lungo tempo soffriva in letto mali terribili, e che tuttavia si mostrava sempre contenta, le si domandò, dico, che cosa potesse sostenerla in uno stato sì lacrimevole.” Quando penso, rispose ella, che il buon Dio vede tutte le mie sofferenze e me ne compenserà per tutta l’eternità, io ne provo tanta gioia, soffro con tanto piacere, che non cambierei il mio stato con tutti gl’imperi del mondo. ,, Convenite meco, F . M., che quelli che hanno questa bella virtù nel cuore, cambiano ben presto il dolore in dolcezza. – Ah! F. M. se noi vediamo tanti infelici nel mondo maledire la loro esistenza e passar la loro povera vita in una specie d’inferno per gli affanni e la disperazione che li perseguitano ovunque, sappiate che tutte queste sventure non provengono che dal non voler essi metter la loro confidenza in Dio, né pensare alla grande ricompensa che li attende in cielo. – Leggiamo nella vita di S. Felicita che, temendo ella che il più piccolo de’ suoi figliuoli non avesse il coraggio di sostenere il martirio, “Figlio mio, gli gridava, guarda il cielo che sarà la tua ricompensa: ancora un istante e tutti i tuoi dolori saranno finiti. „ Tali parole, uscite dalla bocca d’una madre, diedero tanta forza a quel piccolo fanciullo, che abbandonò con una gioia incredibile il suo povero corpicino a tutti i tormenti che i carnefici vollero infliggergli. E S. Francesco Saverio ci dice che, essendo tra i barbari, ebbe a soffrire senz’alcun conforto, tutto ciò che gli idolatri potevano inventare; ma ch’egli aveva posto la sua fiducia in Dio per modo da dover riconoscere che il buon Dio l’aveva sempre soccorso in maniera visibile. Gesù Cristo, per mostrarci quanto dobbiamo aver confidenza in Lui e non temer mai di domandargli ciò che ci è necessario per l’anima o por il corpo, ci dice nell’Evangelo che un uomo essendo andato di notte a domandar tre pani a un suo amico per offrirli a uno ch’era venuto a trovarlo, l’amico gli rispose ch’era già in letto co’ suoi figliuoli e che non bisognava incomodarlo. Ma il primo continuò a pregarlo, dicendo che non aveva neppur un pane da offrire al suo ospite. E l’altro fini per dargli ciò che domandava, non perché  fosse suo amico, ma per liberarsi da un importuno. Di qui, conclude Gesù Cristo: “Domandate e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto; e siate sicuri che ogni volta che domanderete qualcosa al mio Padre in Nome mio, voi l’otterrete. „ – Da ultimo soggiungo che la nostra speranza dev’essere universale, che dobbiamo cioè ricorrere a Dio in tutto ciò che ci possa accadere. Se siamo ammalati abbiamo grande fiducia in Lui, giacché è Lui stesso quegli che ha guarito tanti infermi durante la sua vita mortale: e se la mostra salute può contribuire alla sua gloria ed alla salvezza dell’anima nostra, siamo sicuri di ottenerla, se invece ne sarà più utile la malattia, Egli ci darà la forza di sopportarla con pazienza per ricompensarcene poi nell’eternità. — Se ci troviamo in qualche pericolo, imitiamo i tre fanciulli che il re aveva fatto gettare nella fornace di Babilonia. Essi posero talmente la loro fiducia in Dio. che il fuoco non fece che abbruciare le corde che li legavano; così che essi passarono tranquilli nella fornace ardente come in un giardino di delizie. — Siamo noi tentati? Mettiamo la nostra fiducia in Gesù Cristo e saremo sicuri di non soccombere. Questo tenero Salvatore ci ha meritato la vittoria nelle tentazioni lasciandosi tentare Egli stesso. — Siamo noi impigliati in una cattiva abitudine? temiamo di non poterne uscire? abbiamo fiducia in Dio, poiché Egli ci ha meritato ogni sorta di grazie per vincere il demonio. — Ecco, F. M., di che consolarci nelle miserie che sono inseparabili dalla vita. Ma udite ciò che dice S. Giovanni Crisostomo: « Per meritare tanta fortuna, non bisogna essere presuntuosi, esponendoci al pericolo di peccare. Il buon Dio ci ha promesso la sua grazia solo a patto che, da parte nostra, facciamo tutto il possibile per evitare le occasioni del peccato. Bisogna altresì guardarci dall’abusare della pazienza del buon Dio restando nel peccato, col pretesto che Dio ci perdonerà anche se tardiamo a confessarci. Guardiamocene bene, finché duriamo nel peccato, noi siamo in gran pericolo di cader nell’inferno; e tutto il pentirci che faremo alla morte, se saremo restati volontariamente nel peccato, non ci assicurerà affatto della nostra salvezza; perché avendo potuto uscirne, non l’avremo fatto. » Ah, noi insensati! Come mai osiamo restare nel peccato mentre non siamo certi neppur d’un minuto di vita? Nostro Signore ci ha detto che la morte verrà proprio quando meno ci penseremo. Aggiungo, che se non dobbiamo sperar troppo, non bisogna neppur disperare della misericordia di Dio, che è infinita. La disperazione è un peccato più grande di tutti quelli che possiamo aver commessi, perché siamo sicuri che Dio non ci rifiuterà mai il suo perdono se ritorneremo a Lui sinceramente. La grandezza dei nostri peccati non deve farci temere di non poter più ottenerne il perdono, perché tutti i nostri peccati in confronto della misericordia di Dio sono ancor meno d’un granello di sabbia in confronto di una montagna. Se Caino, dopo aver ucciso il fratello, avesse voluto chieder perdono a Dio, egli ne sarebbe stato sicuro. Se Giuda si fosse gettato ai piedi di Gesù Cristo per pregarlo di perdonargli, Gesù Cristo avrebbe rimesso anche a lui, come già a S. Pietro, il suo peccato. – Concludiamo. Volete voi ch’io vi dica perché si sta così a lungo nel peccato e perché ci angustiamo tanto per il momento in cui bisogna accusarsene? E perché noi siamo orgogliosi, e non per altro. Se avessimo l’umiltà non resteremmo mai nel peccato, né temeremmo affatto d’accusarlo. Domandiamo a Dio, F. M., il disprezzo di noi stessi e noi temeremo il peccato e lo confesseremo, subito appena commesso. Concludo dicendovi che dobbiamo domandar sovente a Dio questa bella virtù della speranza, che ci farà compiere tutte le nostre azioni con l’intenzione di piacere a Dio solo. Guardiamoci bene dal disperare giammai nelle malattie e nei nostri affanni. Pensiamo che tutte queste cose non sono che altrettanti beni che Dio ci manda perché formino il pegno di quella ricompensa eterna ch’io vi auguro di cuore…

 IL CREDO

 Offertorium

Orémus Ps XII: 4-5 Illúmina óculos meos, ne umquam obdórmiam in morte: ne quando dicat inimícus meus: Præválui advérsus eum.

[Illumina i miei occhi, affinché non mi addormenti nella morte: e il mio nemico non dica: ho prevalso su di lui.]

Secreta

Oblatiónibus nostris, quæsumus, Dómine, placáre suscéptis: et ad te nostras étiam rebélles compélle propítius voluntátes.

[Dalle nostre oblazioni, o Signore, Te ne preghiamo, sii placato: e, propizio, attira a Te le nostre ribelli volontà.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XVII: 3 Dóminus firmaméntum meum, et refúgium meum, et liberátor meus: Deus meus, adjútor meus.

[Il Signore è la mia forza, il mio rifugio, il mio liberatore: mio Dio, mio aiuto.]

Postcommunio

Orémus. Mystéria nos, Dómine, quæsumus, sumpta puríficent: et suo múnere tueántur. Per …

[Ci purifichino, o Signore, Te ne preghiamo, i misteri che abbiamo ricevuti e ci difendano con loro efficacia.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLA SPERANZA

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933

Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.]

Sulla Speranza.

Diliges Dominum Deum tuum.

(MATTH. XXII, 37).

È vero, F. M., che S. Agostino ci dice che, quand’anche non ci fosse né il cielo da sperare, né l’inferno da temere, non per questo bisognerebbe lasciare d’amare il buon Dio; perché Egli è infinitamente amabile e merita d’essere amato; tuttavia Dio, per incoraggiarci ad attaccarci a Lui ed amarlo sopra tutte le cose, ci promette una ricompensa eterna. Se noi compiamo degnamente sì bella opera, che costituisce tutta la felicità dell’uomo sulla terra, ci prepariamo la nostra felicità e la nostra gloria nel cielo. Se la fede c’insegna che Dio vede tutto, ch’Egli è testimonio di tutto ciò che facciamo e soffriamo, la virtù della speranza ci fa sopportare le nostro pene con un’intera sommissione alla sua santa volontà, col pensiero che ne saremo ricompensati per tutta l’eternità. Noi vediamo che fu appunto questa bella virtù che sostenne i martiri in mezzo ai loro tormenti, i solitari nei rigori delle loro penitenze, i santi, infermi o ammalati, nelle loro malattie. Sì, F. M., se la fede ci scopre dovunque Dio presente, la speranza ci fa fare tutte le nostre azioni con l’unico scopo di piacere a Dio, col felice pensiero d’una ricompensa eterna. Ora, poiché questa virtù addolcisce tanto i nostri mali, vediamo insieme in che cosa consiste questa bella e preziosa virtù della speranza.

1° Se noi abbiamo, F. M., la felicità di conoscere per mezzo della fede che c’è un Dio, il quale è nostro Creatore, nostro Salvatore e nostro sommo Bene, e non ci ha creati che per conoscerlo, amarlo, servirlo e possederlo; la speranza c’insegna che, sebbene indegni di questa felicità, noi possiamo aspirarvi per i meriti di Gesù Cristo. Per rendere, F. M., le nostre azioni degne d’essere ricompensate occorrono tre cose: la fede, che ci fa in esse veder Dio presente; la speranza, che ce le fa compiere con l’unico scopo di piacere a Lui; e l’amore, che ci attacca a Lui come al nostro sommo Bene. Sì, M. F., noi non conosceremo mai il grado di gloria che ogni azione ci procura nel cielo, se la facciamo puramente per amor di Dio; i santi stessi che sono in cielo non riescono a comprenderlo. Eccone un esempio meraviglioso. Leggiamo nella vita di S. Agostino che, scrivendo egli a S. Girolamo per domandargli di quale espressione bisognasse servirsi per far meglio sentire la grandezza della felicità che godono i santi in cielo; nel momento in cui scriveva, secondo il solito al principio di tutte le sue lettere, “Salute in Gesù Cristo Signor nostro, „ la sua camera fu illuminata da una luce affatto straordinaria, più bella che il sole in pieno meriggio e pregna di mille profumi; egli ne fu si rapito che per poco non ne morì di piacere. Nello stesso istante, sentì uscir da questa luce una voce e dirgli: “Ah! mio caro amico Agostino, tu mi credi ancor sulla terra: grazie a Dio, io sono in cielo. Tu vuoi domandarmi di qual termine si potrebbe servirsi per far meglio sentire la felicità che godono i santi: sappi, amico mio, che questa felicità è sì grande e tanto al di sopra di tutto ciò che una creatura possa pensare, che ti sarebbe più facile contare tutte le stelle del firmamento, metter l’acqua di tutti i mari in un’ampolla, stringer tutta la terra nella tua mano, che comprendere la felicità di chi è minimo fra i beati nel cielo. E avvenuto a me ciò che avvenne alla regina di Saba: ella aveva concepito una grande idea del re Salomone per la voce corsa della sua riputazione: ma dopo aver visto ella stessa il bell’ordine che regnava nel suo palazzo, la magnificenza senza pari, la scienza e la sapienza di questo re. ne fu sì meravigliata, si rapita che se ne ritornò a casa dicendo che tutto ciò che le si era detto non era nulla in confronto di quello che aveva visto ella medesima. Io ho fatto altrettanto per la bellezza del cielo e la felicità di cui godono i beati; credeva d’aver compreso qualche cosa di queste bellezze che sono rinchiuse nel cielo e della felicità di cui godono i santi; ma, malgrado tutti i pensieri più sublimi ch’io ho potuto concepire, tutto ciò non è nulla in confronto di quella felicità che forma il retaggio dei beati. „ – Leggiamo nella vita di S. Caterina da Siena che Dio le fece vedere qualcosa della bellezza del cielo e della sua felicità. Ella ne fu sì rapita che cadde in estasi. Ritornata in sé, il confessore le domandò che cosa il buon Dio le avesse fatto vedere. Rispose che Dio le aveva tatto vedere qualcosa della bellezza del cielo e della felicità dei santi, ma che era impossibile dirne la minima parte tanto sorpassava tutto ciò che noi possiamo pensare. Ebbene, P. M, ecco dove conducono le nostre buone azioni se noi le facciamo con lo scopo di piacere a Dio: ecco i beni che la virtù della speranza ci fa attendere e desiderare.

2° La virtù della speranza ci consola e ci sostiene nelle prove che il buon Dio ci manda. Ne abbiamo un bell’esempio nella persona del santo Giobbe, là sul letamaio, coperto d’ulceri da capo a piedi. Aveva perduti tutti i suoi figli, rimasti schiacciati sotto le rovine della sua casa. Egli stesso si vide trascinato giù dal suo letto e buttato su di un letamaio all’angolo della via, e abbandonato da tutti: il suo povero corpo era tutto coperto di putredine; i vermi lo rodevano vivo, tanto ch’era costretto di toglierli con cocci di vasi infranti; era insultato persino da sua moglie, che, invece di consolarlo, lo copriva d’ingiurie, dicendogli: “Lo vedi, il tuo Dio, che tu servi con tanta fedeltà? Vedi come ti ricompensa? Domandagli la morte, che almeno ti libererà da’ tuoi mali!„ I suoi migliori amici pareva venissero a trovarlo unicamente per accrescere i suoi dolori. Tuttavia malgrado questo miserrimo stato in cui era ridotto, egli non cessava di sperar sempre in Dio. “No, mio Dio, diceva egli, io non cesserò mai di sperare in voi; mi toglieste anche la vita, io non lascerei di sperare in voi e d’avere una gran confidenza nella vostra bontà. — Perché, mio Dio. dovrei io scoraggiarmi o abbandonarmi alla disperazione? Io farò a Voi l’accusa dei miei peccati che sono la causa de’ miei mali; ma spero che voi, Voi stesso sarete il mio Salvatore. La mia speranza è che Voi mi ricompenserete un giorno dei mali ch’io soffro per vostro amore. Ecco, F. M., ciò che noi possiamo chiamare una speranza vera; poiché, non ostante gli sembrasse che tutta la collera di Dio fosse piombata su di lui, egli non cessava perciò di sperare in Dio. Senza esaminare il perché di tanti mali, si contenta di dire che sono effetto de’ suoi peccati. – Vedete voi, F. M., i grandi beni che la speranza gli procura? Tutti lo trovano infelice; e lui solo, sul suo letamaio, abbandonato da’ suoi e disprezzato dagli altri; lui solo si trova felice, perché mette la sua confidenza in Dio. Ah! se nelle nostre pene, nei nostri affanni, nelle nostre malattie, avessimo questa grande confidenza in Dio, quanti beni non accumuleremmoper il cielo! Ahimè! quanto siamo ciechi, F. M.!Se invece di disperarci nelle nostre miserie, avessimo la ferma speranza che il buon Dio tutto questo c’invia come altrettanti mezzi per farci meritare il cielo, con quanta gioia non le soffriremmo! Ma, mi direte voi, che vuol dire questa parola: sperare? — Eccolo, F . M. Vuol dire sospirare a qualche cosa che deve renderci felici nell’altra vita; vuol dire desiderare ardentemente la liberazione dei mali di questa vita e desiderare il possesso d’ogni sorta di beni capaci di soddisfarci pienamente. Quando Adamo ebbe peccato e si vide oppresso da tante miserie, tutta la sua consolazione era nel pensiero che, non solo questi dolori gli meritavano il perdono del suo peccato, ma anche gli procuravano beni per il cielo. Quanto è grande la bontà di Dio, F. M., nel ricompensare con tanti beni la minima delle nostre azioni, e per tutta l’eternità! — Ma, per farci meritare questa felicità, il buon Dio vuole che noi abbiamo una grande confidenza in Lui, quasi fanciulli verso un buon padre. E per questo che noi lo vediamo in molti passi della sacra Scrittura, prendere il nome di Padre, affine d’inspirarci una maggior confidenza. Egli vuole che noi ricorriamo a Lui in tutte le nostre pene sia dell’anima, sia del corpo. Ci promette di soccorrerci tutte le volte che faremo ricorso a Lui. S’Egli prende il nome di Padre, è per inspirarci una maggior confidenza nella sua bontà. Vedete come ci ama! Per bocca del suo profeta Isaia, Egli ci ammaestra che ci porta nel proprio seno. “Una madre, dice, che porta il proprio figlio in seno non può dimenticarlo; e, quand’anche fosse tanto barbara da giungere anche a questo, Io non dimenticherò mai colui che mette la sua confidenza in me„ Egli si lamenta persino che non abbiamo abbastanza fiducia in Lui, e ci avverte di “non metter più la nostra confidenza nei re e nei principi, perché la nostra speranza sarà ingannata (Ps CXLV, 2). „ E va più innanzi ancora, poiché giunge fino a minacciar la sua maledizione se non avremo grande confidenza in Lui, e per bocca del suo profeta Isaia ci dice: “Maledetto colui che non mette la sua fiducia nel suo Dio!„ e più innanzi ” Benedetto colui che ha fiducia nel Signore ! „ (Ger. XVII, 5, 7). Vedete la parabola del Figliuol prodigo, ch’Egli propone con tanto piacere, affine d’inspirarci una grande confidenza in Lui. ” Un padre, ci dice, aveva un figlio che domandò ciò che poteva spettargli della eredità. Questo buon padre gli diede la sua parte di beni. E il figlio lo abbandona, parte per un paese straniero, e si lascia andare ad ogni sorta di disordini. Ma poco dopo, le sue dissolutezze l’avevano ridotto alla più grande miseria. Senza danaro e senza alcuna risorsa. Egli avrebbe voluto nutrirsi degli avanzi del cibo dei porci, da lui custoditi. Vedendosi oppresso da tanti mali, si ricordò d’aver abbandonato un buon padre, che lo aveva sempre colmato d’ogni sorta di benefizi in tutto il tempo ch’era rimasto presso di lui, e disse tra sé: “Mi alzerò e, colle lagrime agli occhi, andrò a gettarmi ai piedi di mio padre: egli è tanto buono che spero avrà ancor pietà di me. Gli dirò: “Mio tenero padre, io ho peccato contro di voi e contro il cielo: non merito più d’esser posto nel numero dei vostri figli; mettetemi tra i vostri servi e sarò ancor troppo felice. „ Ma che fa questo buon Padre? Gesù Cristo — e questo tenero padre è Lui stesso — ci dice che ben lungi dall’attendere che il figlio venga a gettarsi ai suoi piedi, appena lo scorge da lontano, egli stesso accorre per abbracciarlo. Il figlio vuol confessare i suoi peccati, ma il padre non permette più che gliene parli. “No, no, figlio mio, non è più questione di peccati; non pensiamo che a gioire.„ Questo buon padre invita tutti a ringraziare il buon Dio perché suo figlio morto è risuscitato, perché, dopo averlo perduto l’ha ritrovato. E per testimoniargli quanto lo ami, gli rende tutti i suoi diritti e la sua amicizia. (Luc. XV.). – Ebbene! ecco, F . M., come Gesù Cristo accoglie il peccatore ogni volta che ritorna a Lui: gli perdona non solo, ma gli rende tutti i beni che il peccato gli aveva rapiti. Dopo ciò, M. F., chi non avrà una grande fiducia nella carità del buon Dio? Egli va più innanzi e ci dice che quando noi abbiamo la fortuna d’abbandonare il peccato per amar Lui, tutto il cielo s’allieta. E se leggete più innanzi ancora, non vedete con qual premura Egli corre in cerca della pecorella smarrita? Una volta trovatala, ne prova tanta gioia che se la mette persino sulle spalle per evitarle la fatica del ritorno (Luc. XV). Vedete con qual bontà accoglie la Maddalena a’ suoi piedi, (Luc. VII),  con qual tenerezza la consola; e non solo la consola, ma la difende altresì contro gl’insulti dei farisei. Vedete con quanta carità e con quanto piacere perdona all’adultera; essa l’offende ed è proprio Lui che vuol farsi suo protettore e suo salvatore (Giov. VIII). Vedete la sua premura nel seguire la Samaritana; per salvare l’anima sua va Lui stesso ad aspettarla presso al pozzo di Giacobbe: le indirizza Lui per primo la parola per mostrarle anticipatamente la sua bontà; e mostra di chiederle acqua, per darle la sua grazia e il cielo (Ibid. IV). – Ditemi F. M., quali pretesti avremo noi per scusarci quando Egli ci mostrerà quanto era buono a nostro riguardo e come ci avrebbe ricevuti se avessimo voluto far ritorno? Con quanta gioia ci avrebbe perdonato e reso la sua grazia? Non potrà Egli dirci: Ah! infelice, se tu sei vissuto e morto nel peccato è perché non hai voluto uscirne; mentre Io desideravo tanto perdonarti! Vedete, M. F., quanto il buon Dio vuole che andiamo a Lui con confidenza nei nostri mali spirituali! Egli ci dice, per bocca del suo profeta Michea, che quand’anche i nostri peccati fossero così numerosi come le stelle del firmamento, come le gocce d’acqua del mare, come le foglie delle foreste e come i granelli d’arena chiusi nell’oceano, se noi ci convertiamo sinceramente, Egli ci promette che li dimenticherà tutti; e ci dice ancora che quand’anche i nostri peccati avessero reso l’anima nostra nera come il carbone o rossa come lo scarlatto, Egli ce la renderà candida come la neve. „ (Isai. I, 18). E soggiunge che Egli getta i nostri peccati nel caos del mare perché non appariscano mai più. Quanta carità, F. M., da parte di Dio! Con quanta confidenza non dobbiamo rivolgerci a Lui! Ma qual disperazione per un Cristiano dannato sapere quanto il buon Dio avrebbe desiderato perdonargli s’egli avesse voluto chiedergli perdono. F. M., se noi andremo dannati, bisognerà pur confessare che l’avremo voluto noi, poiché il buon Dio ci ha detto tante volte che voleva perdonarci. Ahimè, quanti rimorsi di coscienza, quanti buoni pensieri, quanti desiderii la voce di Dio ha suscitato in noi! O mio Dio! quanto è stolto l’uomo che si danna, mentre può così facilmente salvarsi! Ah! F. M., per convincerci di tutto questo, non abbiamo che da esaminare ciò ch’Egli ha fatto per noi durante i trentatré anni che visse sopra la terra. – Inoltre dobbiamo avere grande confidenza in Dio anche per i nostri bisogni temporali. Per eccitarci a rivolgerci a Lui con gran confidenza per ciò che riguarda il corpo, Egli ci assicura che avrà cura di noi; e noi stessi vediamo quanti miracoli ha fatto piuttosto che lasciarci mancare il necessario. Nella santa Scrittura vediamo ch’Egli ha nutrito il suo popolo per quarant’anni nel deserto, con la manna che cadeva ogni giorno dal cielo prima del levar del sole. Durante i quarant’anni che rimasero nel deserto i loro abiti non si logorarono punto. Nel Vangelo ci dice di non metterci in pena per ciò che riguarda il nutrimento e il vestito: “Guardate, ci dice, gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono nulla nei granai; eppure con quanta cura il Padre vostro celeste li nutre: non siete voi da più di loro? voi siete figliuoli di Dio. Uomini di poca fede, non mettetevi adunque in pena per ciò che mangerete o per ciò di cui vi vestirete. Guardate i gigli dei campi, come crescono: eppure non lavorano, non filano; vedete come sono vestiti: vi garantisco io che Salomone, in tutta la sua magnificenza, non fu mai vestito come uno di loro. So adunque, conclude questo divin Salvatore, se il Signore si prende tanta cura per vestire un’erba, che oggi è, e domani vien gettata a bruciare, con quanta maggior ragione non si prenderà cura di voi, che siete i suoi figli? Cercate adunque anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato con abbondanza.„ (Matt. VI). Vedete ancora quanto Egli vuole che abbiamo fiducia: “Quando mi pregherete, ci ammaestra, non dite: Mio Dio, ma Padre nostro, perché sappiamo che il figlio ha una fiducia illimitata in suo padre.„ Quando fu risorto, apparve a Maddalena e le disse: “Va da’ miei fratelli, e di’ loro ch’io ascendo al Padre mio, che è anche Padre vostro.„ (Giov. XX, 17). M. F., dunque non converrete voi meco che, se siamo tanto infelici sulla terra, ciò non può essere se non perché non abbiamo abbastanza fiducia in Dio?

3° In terzo luogo, F. M., dobbiamo avere grande fiducia in Dio nelle nostre pene, nei nostri affanni, nelle nostre malattie. Bisogna, che questa grande speranza del cielo ci sostenga e ci consoli; ecco ciò che hanno fatto tutti i santi. Leggiamo nella vita di S. Sinforiano che, mentre veniva condotto al martirio, sua madre, che l’amava davvero in Dio, salì sopra un muro per vederlo passare, e, levando la voce quanto poté, “Figlio mio, figlio mio, gli gridava, guarda il cielo; coraggio, figlio mio! ti sostenga la speranza del cielo! figlio, coraggio! se il cammino del cielo è difficile, è per altro molto breve.„ E questo fanciullo, animato dalle parole di sua madre, sostenne con grande intrepidezza i tormenti e la morte. S. Francesco di Sales aveva una sì grande fiducia in Dio, che pareva insensibile alle persecuzioni che gli si movevano. Egli diceva a se stesso: Poiché nulla avviene senza che Dio lo permetta, le persecuzioni non sono che pel nostro bene. „ Leggiamo nella sua vita che una volta fu orribilmente calunniato; eppure egli non perdé nulla della sua tranquillità ordinaria. Scrisse ad un amico che qualcuno l’aveva avvertito che si straziava la sua fama in un bel modo; ma ch’egli sperava che il buon Dio aveva ordinato tutto questo per la sua gloria e per la salute dell’anima sua. E si accontentò di pregare per quelli che lo calunniavano. Ecco, F. M., la fiducia che dobbiamo avere in Dio. Quando siamo perseguitati e disprezzati è segno che noi siamo davvero Cristiani, figli, cioè, di un Dio disprezzato e perseguitato.

4° In quarto luogo, M. F., se dobbiamo avere una confidenza cieca in Gesù Cristo, perché  siamo sicuri che non mancherà mai di venire in nostro soccorso in tutte le nostre pene, purché andiamo a Lui come figli al padre; dobbiamo avere altresì una grande fiducia nella sua santa Madre, che è tanto buona, e desidera tanto di aiutarci in tutti i nostri bisogni temporali, ma specialmente quando vogliamo tornare a Dio. Se abbiamo qualche peccato che ci fa vergogna a confessarlo, gettiamoci a’ suoi piedi e siamo sicuri ch’ella ci otterrà la grazia di confessarci bene, e, nello stesso tempo, non mancherà di domandare il nostro perdono. Per darvene una prova, eccone un esempio mirabile. Si racconta nella storia che un uomo, per lungo tempo, condusse una vita molto cristiana, tanto da sperarne il cielo. Ma il demonio, che tutto fa a nostra rovina, lo tentò sì spesso e sì a lungo, che lo fece cadere in peccato grave. In seguito, rientrato in sé, comprese tutta l’enormità del suo peccato, e il primo pensiero fu di ricorrere al rimedio salutare della confessione. Ma ne concepì tanta vergogna che non poté mai determinarsi a confessarlo. Straziato dai rimorsi che non gli lasciavano un istante di riposo, prese l’insensata risoluzione d’annegarsi, sperando con ciò di metter fine a’ suoi tormenti. Ma giunto alla riva del fiume, fremette al pensiero dell’infelicità eterna in cui stava per precipitarsi, e se ne tornò piangendo a calde lacrime, e pregò il Signore di perdonargli senza ch’egli fosse obbligato a confessarsi. Credette ritrovare la pace dell’anima visitando molte chiese, facendo preghiere e penitenze; ma, non ostante le preghiere e le penitenze, i rimorsi lo perseguitavano sempre. Il buon Dio non voleva concedergli il perdono che per la protezione della sua santa Madre. Una notte ch’egli era immerso in una grande tristezza, si sentì fortemente inspirato d’andar a confessarsi. S’alzò di buon mattino e si portò alla chiesa; ma, quando fu là per confessarsi, si senti più che mai tormentato dalla vergogna del suo delitto, e non ebbe la forza di fare ciò che la grazia del buon Dio gli aveva inspirato. Qualche tempo dopo si ripeté la stessa cosa: si portò di nuovo alla chiesa, ma fu di nuovo trattenuto dalla vergogna e, in quel momento di disperazione, risolvé di morire piuttosto che dichiarare il suo peccato al confessore. Però gli venne in mente di: raccomandarsi alla santa Vergine. Prima di andare a prostrarsi ai piedi dell’altare della Madre di Dio, le mostrò il bisogno che aveva del suo soccorso, e la scongiurò con le lacrime agli occhi di non abbandonarlo. Quale bontà da parte della Madre di Dio, quanta premura a soccorrerlo! Non s’era ancora inginocchiato che tutte le sue pene scomparvero e si cambiò il suo cuore. Egli s’alzò pieno di coraggio e di fiducia, andò a trovare il suo confessore e gli confessò tutti i suoi peccati versando torrenti di lacrime. A mano a mano che confessava i suoi peccati gli pareva di togliersi un peso enorme dalla coscienza. In seguito confessò che, quando ricevette l’assoluzione, provò maggior contento che se gli avessero donato tutto l’oro del mondo. Ahimè, F. M., quale sventura per quest’uomo, se non fosse ricorso alla santa Vergine. Ora brucerebbe nell’inferno. Sì, M. F., in tutte le nostre pene sia dell’anima sia del corpo, dopo che in Dio, ci occorre una grande fiducia nella santa Vergine. Ecco un altro esempio che varrà a inspirarci una tenera fiducia in Lei, specialmente quando vogliamo concepire un grande orrore del peccato. S. Alfonso de’ Liguori racconta che una gran peccatrice di nome Elena, essendo entrata in chiesa, il caso, o piuttosto la Provvidenza, che dispone di tutto per il bene dei suoi eletti, volle ch’ella sentisse un discorso sulla divozione al santo Rosario. Ebbe sì forte impressione da ciò che disse il predicatore sull’eccellenza e sui mirabili effetti di questa santa pratica che le venne il desiderio d’avere una corona. E subito dopo la predica l’acquistò; ma, per qualche tempo, aveva cura di nasconderla per timore che fosse vista e messa in ridicolo. In seguito cominciò a recitarla, ma con poco gusto e divozione. Ma qualche tempo dopo la santa Vergine le fece sentire tanta divozione e tanto piacere, ch’ella non sapeva più stancarsi di recitarla; e per mezzo di questa pratica di pietà, tanto accetta alla santa Vergine, meritò da Lei uno sguardo di compassione, che le fece concepire orrore della sua vita passata. La sua coscienza le divenne un inferno e non le lasciava più riposo né giorno né notte. Straziata continuamente da rimorsi implacabili, non poteva più resistere alla voce interiore, che le diceva che il sacramento della Penitenza era il solo rimedio per aver la pace ch’ella bramava tanto, e cercava ovunque senza trovarla mai: che il sacramento della Penitenza era il solo rimedio per tutti i mali dell’anima sua. Invitata da questa voce, condotta e incalzata dalla grazia, andò a gettarsi ai piedi del ministro del Signore e a lui confessa tutte le miserie dell’anima sua, tutti i suoi peccati; e lo fa con tanta contrizione, con tanta abbondanza di lacrime che il confessore, sommamente meravigliato, non sa a che attribuire questo miracolo della grazia. Finita la confessione, Elena va a presentarsi ai piedi dell’altare della santa Vergine, e là, penetrata dei sentimenti della più viva riconoscenza, “Ah! santissima Vergine, esclama, è vero, fin qui sono stata un mostro; ma voi, che siete tanto potente presso Dio, aiutatemi, di grazia, a correggermi: io voglio occupare il resto dei miei giorni a far penitenza.„ Da quel momento rientrò in sé, spezzò per sempre i vincoli delle funeste compagnie che l’avevano tenuta nei disordini, donò tutti i suoi beni ai poveri e si abbandonò a tutti i rigori della penitenza che il suo amore per Dio e il ribrezzo de’ suoi peccati poterono inspirarle. Iddio, per mostrare quanto le era grato per la fiducia che ella aveva avuto nella Madre sua, nell’ultima sua malattia le apparve insieme alla Ss. Vergine per confortarla. Ella rese così nelle loro mani la sua bell’anima che aveva sì bene purificata con le lacrime e la penitenza, di modo che, dopo il buon Dio, è alla protezione della santissima Vergine che questa gran penitente dovette la sua salvezza. – Ecco ancora un altro esempio, non meno ammirabile, di fiducia nella santa Vergine, il quale mostra quanto sia utile la divozione alla Madre di Dio per aiutarci a uscir dal peccato. Narra la storia che un giovine, ben educato da’ suoi genitori, ebbe la sventura di contrarre un’abitudine sciagurata che gli fu causa di un’infinità di peccati. Siccome aveva ancora il timor di Dio e desiderava rinunciare a’ suoi disordini, di quando in quando faceva qualche sforzo per uscirne; ma il peso delle sue malvagie abitudini lo trascinava sempre. Detestava il suo peccato, ma pure vi ricadeva ed ogni istante. Vedendo che non riusciva a correggersi, s’abbandonò allo scoraggiamento e prese la risoluzione di non confessarsi più. Il suo confessore, che non lo vedeva più venire al tempo fisso, volle fare un nuovo sforzo per ricondurre questa povera anima a Dio. Va a trovarlo in un momento in cui era solo a lavorare. Questo povero giovine, vedendo venire il sacerdote, cominciò a sospirare e ad emettere grida di lamento. “Che avete, amico mio, gli domanda il sacerdote? — Ah! io non mi correggerò mai e ho risoluto di tralasciar tutto. Che dite mai, mio caro? Io so invece che se voi farete ciò ch’io vi dirò, riuscirete a correggervi e otterrete il perdono. Andate subito a gettarvi ai piedi della santa Vergine e poi venite a trovarmi.„ Il giovine andò all’istante a gettarsi ai piedi di un altare della Madonna e, bagnando di lacrime il pavimento, la supplicò d’aver pietà di un’anima che aveva costato il Sangue di Gesù Cristo, suo divin Figlio, e che il demonio voleva trascinare nell’inferno. In quel momento senti nascere in sé una sì gran fiducia che si alzò e andò a confessarsi. La sua conversione fu sincera: tutte le sue malvage abitudini furono assolutamente distrutte, ed egli servì il buon Dio per tutta la sua vita. — Riconosciamolo tutti, F. M.. che, se noi restiamo nel peccato, è proprio perché non vogliamo usare dei mezzi che la religione ci offre, né far ricorso con fiducia a questa buona Madre, che avrebbe tanta pietà anche di noi, come l’ebbe di tutti quelli che l’hanno pregata prima di noi.

5° In quinto luogo, o F. M., osservo che la speranza ci fa fare tutte le nostre azioni con l’unico scopo di piacere a Dio e non al mondo. Noi dobbiamo cominciare a praticare questa virtù quando ci svegliamo, offrendo il nostro cuore a Dio con amore, con fervore, pensando quanto grande sarà la ricompensa della nostra giornata se faremo bene tutto ciò che dovremo fare, col solo scopo di piacere a Dio. Dite, M. F., se in tutto ciò che facciamo avessimo la fortuna di pensare alla grande ricompensa che il buon Dio lega a ciascuna delle nostre azioni, di quali sentimenti di rispetto e d’amore non saremmo noi penetrati! Vedete come sarebbero pure le nostre intenzioni facendo l’elemosina. — Ma, mi direte voi, quando io faccio qualche elemosina, è appunto per il buon Dio che la faccio, non per il mondo. — Però, M. F., noi siamo ben contenti quando ci si vede, quando ci si loda, e ci piace anche dirlo noi altri di nostra bocca. Nel nostro cuore amiamo pensarvi e ci compiacciamo nel nostro interno; — ma, se avessimo questa bella virtù nell’anima, non cercheremmo che Dio: il mondo non ci sarebbe per nulla, né cureremmo noi stessi. Non meravigliamoci adunque, F. M., se facciamo sì male le nostre azioni. È perché non pensiamo davvero alla ricompensa che il buon Dio vi annette, se le facciamo unicamente per piacere a Lui. Quando facciamo un favore a qualcuno che, ben lontano d’esserci riconoscente, ci paga d’ingratitudine, se avessimo questa bella virtù della speranza, noi ne saremmo ben contenti, pensando che la nostra ricompensa sarà ben più grande presso Dio. Francesco di Sales ci dice che, se si presentassero a lui due persone per ricevere qualche beneficio, egli sceglierebbe quella che crederebbe meno riconoscente, perché il merito sarebbe e più grande presso Dio. E il santo re Davide diceva che, quando faceva qualche cosa,la faceva sempre alla presenza di Dio, come se dovesse essere giudicato subito dopo per riceverne la ricompensa; ciò che lo portava a far bene tutto ciò che faceva per piacere a Dio solo. Infatti, quelli che non hanno questa virtù della speranza fanno tutto per il mondo o per farsi amare o stimare, e perdono ogni ricompensa. – Dicevo che dobbiamo avere grande fiducia inDio nelle nostre malattie e nei nostri affanni: è precisamente qui dove il buon Dio ci attende per vedere se gli mostreremo una grande fiducia. Leggiamo nella vita di S. Elzeario che la gente del mondo lo scherzava pubblicamente per la sua divozione ; e i libertini se ne facevano giuoco. Santa Delfina gli disse un giorno che il disprezzo che si faceva della sua persona ricadeva sulla sua virtù. – Ahimè! rispose egli piangendo, quando penso a tutto ciò che Gesù Cristo ha sofferto per tue. io ne sono sì commosso che, quand’anche mi cavassero gli occhi, non avrei parole per lamentarmi pensando alla gran ricompensa di quelli che soffrono per amor di Dio: qui è tutta la mia speranza, e ciò che mi sostiene in tutte le mie pene. „ E si capisce. Che cosa mai può consolare un povero ammalato nelle sue pene se non la grandezza della ricompensa che il buon Dio gli promette nell’altra vita? – Leggiamo nella storia che un predicatore, essendo andato a predicare in un ospedale, tenne un discorso sulle sofferenze. Egli dimostrò come le sofferenze ci acquistino grandi meriti per il cielo, e quanto un’anima che soffre con pazienza è accetta al buon Dio. Nello stesso ospedale v’era un povero ammalato che da molti anni soffriva assai, ma, sventuratamente sempre lamentandosi. Il discorso gli fece comprendere quanti beni egli aveva perduto pel cielo, sicché dopo la predica, cominciò a piangere e a singhiozzare in modo fuori del solito. Un sacerdote che lo vide gli domandò perché si abbandonasse a così grande affanno e se qualcuno l’avesse offeso, aggiungendo che, nella sua qualità d’amministratore egli poteva fargli render giustizia. “Oh! no, signore, rispose il povero uomo, nessuno mi ha offeso, ma io stesso mi son fatto troppo gran torto. — Come? gli domandò il sacerdote. — Ah! reverendo, quanti beni ho perduto in tanti anni ch’io soffro, e nei quali avrei tanto meritato per il cielo se avessi avuto la fortuna di sopportare i miei mali con pazienza! Ahimè! quanto grande è la mia sventura! Io che mi credevo così degno di compassione, se avessi ben compreso il mio stato, sarei il più felice nomo del mondo.„ Ah! F. M., quanti dovranno tener lo stesso linguaggio  n punto di morte, mentre se avessero avuto la fortuna di sopportarle in pace per il buon Dio, le loro pene, le quali non hanno servito che a perderli per il cattivo uso che ne hanno fatto, li avrebbero condotti al cielo. Si domandò un giorno a una povera donna che da lungo tempo soffriva in letto mali terribili, e che tuttavia si mostrava sempre contenta, le si domandò, dico, che cosa potesse sostenerla in uno stato sì lacrimevole.” Quando penso, rispose ella, che il buon Dio vede tutte le mie sofferenze e me ne compenserà per tutta l’eternità, io ne provo tanta gioia, soffro con tanto piacere, che non cambierei il mio stato con tutti gl’imperi del mondo. ,, Convenite meco, F . M., che quelli che hanno questa bella virtù nel cuore, cambiano ben presto il dolore in dolcezza. – Ah! F. M. se noi vediamo tanti infelici nel mondo maledire la loro esistenza e passar la loro povera vita in una specie d’inferno per gli affanni e la disperazione che li perseguitano ovunque, sappiate che tutte queste sventure non provengono che dal non voler essi metter la loro confidenza in Dio, né pensare alla grande ricompensa che li attende in cielo. – Leggiamo nella vita di S. Felicita che, temendo ella che il più piccolo de’ suoi figliuoli non avesse il coraggio di sostenere il martirio, “Figlio mio, gli gridava, guarda il cielo che sarà la tua ricompensa: ancora un istante e tutti i tuoi dolori saranno finiti. „ Tali parole, uscite dalla bocca d’una madre, diedero tanta forza a quel piccolo fanciullo, che abbandonò con una gioia incredibile il suo povero corpicino a tutti i tormenti che i carnefici vollero infliggergli. E S. Francesco Saverio ci dice che, essendo tra i barbari, ebbe a soffrire senz’alcun conforto, tutto ciò che gli idolatri potevano inventare; ma ch’egli aveva posto la sua fiducia in Dio per modo da dover riconoscere che il buon Dio l’aveva sempre soccorso in maniera visibile. Gesù Cristo, per mostrarci quanto dobbiamo aver confidenza in Lui e non temer mai di domandargli ciò che ci è necessario per l’anima o por il corpo, ci dice nell’Evangelo che un uomo essendo andato di notte a domandar tre pani a un suo amico per offrirli a uno ch’era venuto a trovarlo, l’amico gli rispose ch’era già in letto co’ suoi figliuoli e che non bisognava incomodarlo. Ma il primo continuò a pregarlo, dicendo che non aveva neppur un pane da offrire al suo ospite. E l’altro fini per dargli ciò che domandava, non perché  fosse suo amico, ma per liberarsi da un importuno. Di qui, conclude Gesù Cristo: “Domandate e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto; e siate sicuri che ogni volta che domanderete qualcosa al mio Padre in Nome mio, voi l’otterrete. „ – Da ultimo soggiungo che la nostra speranza dev’essere universale, che dobbiamo cioè ricorrere a Dio in tutto ciò che ci possa accadere. Se siamo ammalati abbiamo grande fiducia in Lui, giacché è Lui stesso quegli che ha guarito tanti infermi durante la sua vita mortale: e se la mostra salute può contribuire alla sua gloria ed alla salvezza dell’anima nostra, siamo sicuri di ottenerla, se invece ne sarà più utile la malattia, Egli ci darà la forza di sopportarla con pazienza per ricompensarcene poi nell’eternità. — Se ci troviamo in qualche pericolo, imitiamo i tre fanciulli che il re aveva fatto gettare nella fornace di Babilonia. Essi posero talmente la loro fiducia in Dio. che il fuoco non fece che abbruciare le corde che li legavano; così che essi passarono tranquilli nella fornace ardente come in un giardino di delizie. — Siamo noi tentati? Mettiamo la nostra fiducia in Gesù Cristo e saremo sicuri di non soccombere. Questo tenero Salvatore ci ha meritato la vittoria nelle tentazioni lasciandosi tentare Egli stesso. — Siamo noi impigliati in una cattiva abitudine? temiamo di non poterne uscire? abbiamo fiducia in Dio, poiché Egli ci ha meritato ogni sorta di grazie per vincere il demonio. — Ecco, F. M., di che consolarci nelle miserie che sono inseparabili dalla vita. Ma udite ciò che dice S. Giovanni Crisostomo: « Per meritare tanta fortuna, non bisogna essere presuntuosi, esponendoci al pericolo di peccare. Il buon Dio ci ha promesso la sua grazia solo a patto che, da parte nostra, facciamo tutto il possibile per evitare le occasioni del peccato. Bisogna altresì guardarci dall’abusare della pazienza del buon Dio restando nel peccato, col pretesto che Dio ci perdonerà anche se tardiamo a confessarci. Guardiamocene bene, finché duriamo nel peccato, noi siamo in gran pericolo di cader nell’inferno; e tutto il pentirci che faremo alla morte, se saremo restati volontariamente nel peccato, non ci assicurerà affatto della nostra salvezza; perché avendo potuto uscirne, non l’avremo fatto. » Ah, noi insensati! Come mai osiamo restare nel peccato mentre non siamo certi neppur d’un minuto di vita? Nostro Signore ci ha detto che la morte verrà proprio quando meno ci penseremo. Aggiungo, che se non dobbiamo sperar troppo, non bisogna neppur disperare della misericordia di Dio, che è infinita. La disperazione è un peccato più grande di tutti quelli che possiamo aver commessi, perché siamo sicuri che Dio non ci rifiuterà mai il suo perdono se ritorneremo a Lui sinceramente. La grandezza dei nostri peccati non deve farci temere di non poter più ottenerne il perdono, perché tutti i nostri peccati in confronto della misericordia di Dio sono ancor meno d’un granello di sabbia in confronto di una montagna. Se Caino, dopo aver ucciso il fratello, avesse voluto chieder perdono a Dio, egli ne sarebbe stato sicuro. Se Giuda si fosse gettato ai piedi di Gesù Cristo per pregarlo di perdonargli, Gesù Cristo avrebbe rimesso anche a lui, come già a S. Pietro, il suo peccato. – Concludiamo. Volete voi ch’io vi dica perché si sta così a lungo nel peccato e perché ci angustiamo tanto per il momento in cui bisogna accusarsene? E perché noi siamo orgogliosi, e non per altro. Se avessimo l’umiltà non resteremmo mai nel peccato, né temeremmo affatto d’accusarlo. Domandiamo a Dio, F. M., il disprezzo di noi stessi e noi temeremo il peccato e lo confesseremo, subito appena commesso. Concludo dicendovi che dobbiamo domandar sovente a Dio questa bella virtù della speranza, che ci farà compiere tutte le nostre azioni con l’intenzione di piacere a Dio solo. Guardiamoci bene dal disperare giammai nelle malattie e nei nostri affanni. Pensiamo che tutte queste cose non sono che altrettanti beni che Dio ci manda perché formino il pegno di quella ricompensa eterna ch’io vi auguro di cuore…

LO SCUDO DELLA FEDE (161)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (29)

FIRENZE – DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA – 1861

SECONDA PARTE.

Genuino prospetto del Cattolicismo, e del Pretestantismo, delineato dai Protestanti.

PRATTENIMENTO IV

Accusa della Riforma contro la Chiesa Cattolica. – Quanto abbiano di verità, e a chi debbano propriamente applicarsi.

PUNTO I.

Presso chi sia la vera Bibbia, la vera parola di Dio: chi sieno i veri corruttori della Bibbia.

50. Apost. Resto grandemente sorpreso, stupito, sbalordito dell’orrida descrizione, che fatta mi avete della vostra Riforma (ossia di voi stesso) dal giorno della sua nascita sino a’ suoi funerali inclusive. Nulla posso rispondere a quello che ne avete detto; poiché la confessione di un reo della sua propria reità è tale una prova della medesima; che non ammette risposta, sempre che è libera totalmente e spontanea come è la vostra. Nulla tampoco risponder posso contro gli elogi da voi fatti alla Cattolica Chiesa, essendo fuor d’ogni dubbio non esservi prova più autentica, incontrastabile di ciò che ha di buono, di lodevole un individuo, quanto la libera testimonianza dei suoi nemici; e molto più quando essi testificano a loro proprio danno e confusione. Ciò nonostante mi siete venuto in sospetto di poca lealtà, perché taciute mi avete tante brutte magagne che i vostri Emissarii, voleva dire i vostri Missionarj, mi hanno scoperte nella Cattolica Chiesa, e persino me le han fatte vedere stampate in certi libercoli che mi han regalati, dalle quali la Riforma va esente e onde almeno per questa ragione meritava essa i vostri elogj. Ditemi dunque: non è egli vero che la Chiesa Cattolica non ha la vera Bibbia, che ha corrotto in mille guise la parola di Dio, perché  non ammette altra Bibbia come autentica, che quella detta la Volgata dopo averla ripiena di corruzioni, di errori? Non è egli vero che la Riforma non si è macchiata di tale iniquità, e possiede la genuina parola di Dio, perché la sua Bibbia è stata esattamente tradotta dai veri Originali Greco ed Ebraico?… Rispondete.

Prot. « Giudicano i dotti (protestanti) che la Volgata debba preferirsi alle altre odierne (edizioni) latine, perché più antica di tutte, e nella Chiesa Occidentale è stata pubblicamente ricevuta per molti anni; onde meritamente deve molto stimarsi, né deve temerariamente rigettarsi, come di poi più diffusamente dimostreremo. » (Walton, Prelegom. X, N. 3, p. 72.).

« Giovanni Brosio, nostro compatriota, scrisse un trattato dottissimo, nel quale fa le difese dell’antica Versione (la Volgata), moltissimi luoghi della quale confrontati coll’edizione di Bezza e di altri, dimostra che sono onninamente retti » (Il celebre Millio, Prolegom. In N. Test. Oxon, 1707, p. 138.)

« Annotai poi quelle cose che credei bene doversi annotare alla Versione Latina (la Volgata) da gran tempo ricevuta, la quale sempre moltissimo stimai, non solo perché non contiene dogma alcuno insalubre, ma anche perché ha in sé molto di erudizione, quantunque usi un genere di dire assai ruvido. Per quelli che non hanno imparato né l’ebraico, né il greco è sicurissima la Versione Volgata, la quale non ha dogma: alcuno cattivo, siccome il consenso di tanti secoli e di tante genti ha giudicato. » (Ugone Grozio, Præf. ad Comment. in Libros V. Vet. Test. — et in Vot. pro pace.)

« Preceduto avea la Volgata, negletta di poi malamente, essendo essa la prestantissima di tutte le Versioni… Imperocchè i miei stessi discepoli tanto protestanti come pontifici facilmente si rammenteranno quanto grandemente io commendi l’uso sì critico, sì ascetico della Volgata, e vituperi il disprezzo di essa. » (Dav, Michaels, Supplem. ad Lèxio hebraic. part. 3, p. 992. = e nella Biblioteca Orientale, T. I, N. 311).

« Oh quanto immeritamente Erasmo riprende in molti luoghi l’antico Interprete (l’autore della Volgata) come dissenziente dai Codici greci! Dissente, lo confesso, da quegli esemplari (del Nuovo Testamento) i quali esso Erasmo aveva trovato, Ma non abbiamo trovato, che appoggiata sia neppure in un luogo coll’autorità degli altri Codici anche antichissimi quella interpretazione che egli riprende; che anzi in alquanti luoghi osservato abbiamo, che sebbene la lezione dell’antico Interprete non convenga alle volte co’ nostri greci esemplari, con tutto ciò quadra assai meglio; sembra, cioè che abbia séguito un più emendato esemplare. » (Bezza, presso Rich, Simon, Hist. critique du Nuov. Test. chap. 28).

« Nelle sue Note ai Vangeli e agli Atti (Isacco Casabuoni) spesso preferisce la lezione della Volgata a quella dell’odierno testo greco, e dimostra che la Volgata combina con gli antichi Manoscritti Greci. » Ora veniamo a noi.

51. « Riguardo alle Versioni di Beza e del Pescatore, dei quali molto stimo l’erudizione, ed a quelle degli altri ,, l’erudizione de’ quali non istimo tanto, molti hanno ammonito che spesso sono stravolte a sensi privati….. Della: Versione Ginevrina, la quale ne’ luoghi non controversi non è da disprezzarsi, il Re Giacomo, etc.? » (Grozio, Vot. Pro pace, pag. 674)

« Anche in Inghilterra « ad oggetto che il popolo si acconciasse alle innovazioni, i depredatori (riformatori) si avvisarono di dar fuori una Bibbia ordinata a tale scopo, la quale Bibbia non era che una continuata alterazione del testo originale in tutti quei luoghi in cui si credé necessaria! Questo per avventura si fu l’atto il più sfacciato…. In esso noi ravvisiamo la vera indole degli Eroi della Protestante Riforma. » (Cobbet, Op. cit. Lett 7, § 208.).

Apost. Non potrete al certo negare che almeno la Bibbia tradotta in italiano da Giovanni Diodati, e che i vostri Missionarii ci presentano come una gemma preziosissima, non sia perfettamente genuina e sicura.

Prot. « Siccome questo Interprete non aveva altro fine che d’istruire i seguaci del suo partito, egli ha adattato (accomodée) la sua interpretazione e le sue note alla loro dottrina. Necessitava assolutamente, che a tenore de’ principii di Ginevra, essi trovas- sero la loro Confessione di fede nella Scrittura, e per tal motivo convenne che egli restringesse in alcuni luoghi, a tenore di questa idea, ciò che nell’originale esisteva in termini troppo generali. » (Così Riccardo Simone, non solo protestante, ma panegirista dei protestanti, citato dal Martini, ediz. Venez. Del 1832, vol. 64°, p. 6).

PUNTO II.

Non è vero che la Chiesa Cattolica proibisca in modo assoluto la lettura della Bibbia in lingua volgare, ne sottragga il frutto ai fedeli, o ne proibisca l’uso alla protestante, perché la creda contraria alla sua fede. — Società Protestante promotrice della Dottrina Cristiana altre di simil fatta: loro qualità, brutti maneggi e tenebrosi intenti.- Fede Cattolica: – sua verità – Culto de’ Santi, perché abolito dai pretesi Riformatori.

52. Apost. Da quanto mi avete detto chiaramente risulta, che la sola Chiesa Cattolica possiede la vera Bibbia, la genuina parola di Dio: che la sua Volgata, la più esatta di tutte le versioni, la più conforme agli Originali, è preferibile a tutti li odierni greci Esemplari; che i protestanti son quelli che hanno una Bibbia erronea; che l’hanno di più interamente corrotta, stravolgendola a sensi privati, eccetto i soli luoghi non controversi. Tale è la vostra sentenza, né io ho ché ripetervi. Ma ditemi, perché la Chiesa Cattolica ne proibisce la lettura in lingua volgare, e così priva i fedeli del gran frutto della parola di Dio?… Come! Proibire la parola di Dio! Ciò fa senz’altro perché la ravvisa contraria a’ suoi dogmi, ai suoi insegnamenti.

Prot. Non mi aspettava questa tua conseguenza; poiché vuol poco a conoscere che la Bibbia dev’esser contraria non già a chi la mantiene illibata, segno manifesto che nulla ha che temere dalle sue divine sentenze; ma bensì a coloro che la travisano, la corrompono, non essendovi altra ragione che questa di tal sacrilego attentato. Ma rispondiamo per ordine.

« Il pretendere di asserire che la Chiesa Cattolica rifiuti accordare ai suoi aderenti la lettura della Bibbia, è ciò un calunniarla. Là, per lo meno, dov’ella trova la semplicità e fedeltà cristiana, non lo fa giammai, ma si sforza di prevenire le ricerche di pura curiosità, i dubbi di pura critica, la lettura non approfondita. Non vi è dubbio che questa sua cura potrebbe quà e là essere spinta troppo oltre…. Ma in presenza degli emissarj inmglese che, simili agli uccelli di rapina, ai bracchi, vanno a seminare la discordia dappertutto, senza considerare l’uomo tal quale egli è, né  rispettando nel loro orgoglio anglicano convenienza di sorta, questa severità e queste ansiose cure de’ preti cattolici per le loro pecorelle sembrar dovrebbero pienamente giustificate anche allora quando non ne fossimo persuasi! » (Il celebre Dottor Leo di Berlino, Risposta al giornale di Halla. Vedi Annales catholiques de Genève; 4 Livr. 1855, P. 273.)

« Quando pure vi fossero (nella Bibbia) dottrine al tutto lontane dalla ragione, già se ne avrebbe anco di troppo per porre dall’uno dei lati ogni uso di ragione nel dichiarare le Sante Scritture; perocchè quello (N. B.) non varrebbe che a dimostrare esser vero il sistema Cattolico solamente?» (Zimmermann, nella Gazzetta Letteraria di Lipsia 1829, N.27) Hai capito?

53. Apost. Se così è, perché quella vostra Società inglese detta “Società promotrice della Dottrina Cristiana” – in un suo libercoletto intitolato Roma e la Bibbia (Londra 1855) va declamando che Roma proibisce ai fedeli la lettura della Bibbia, perché la conosce contraria al suo religioso sistema?

Prot. « Ti prego riflettere che questa Società, per promuover la Dottrina Cristiana, va di continuo pubblicando delle Opere, l’oggetto delle quali si è di dare a credere al popolo d’Inghilterra che la Cattolica Religione è idolatra e condannabile, e che per conseguenza una terza parte della totalità de’ nostri consudditi sono idolatri, e destinati all’eterna perdizione, e che non dovrebbero essi conseguentemente dei medesimi diritti, dì che noi protestanti godiamo. Questi calunniatori conoscono bene, che que- sta stessa Cattolica Religione fu per novecento: anni l’unica religione cristiana conosciuta dai nostri antenati. Egli è questo un fatto, che essi non possono mascherare alle persone intelligenti. E perciò tanto essi, quanto il clero protestante stanno costantemente applaudendo al cangiamento, che ebbe luogo circa a dugent’anni fa, il qual cangiamento passa sotto il nome di Riforma » (Coblet, Opera citata, Lett. 1, § 2)  – « Chiunque sia nell’animo non dico del tutto, ma almeno così fattamente preoccupato, che il cuore guisa scevro ed immacolato, certo che altamente si corruccia, e con ferma e salda voce si fa innanzi a reclamare contro quelle diverse lingue e quelle orribili favelle veramente infernali; con che i nemici del Cattolicismo non dubitano di menargli addosso l’ultimo colpo mortale. Cotal linguaggio non è certamente quello. della verità, ma sì quello della passione che trabocca, quello che si pare chiaramente dell’interesse, e per conseguenza che nulla determina e stabilisce! » (Alberti Teofilo, ossia, Meditazioni religiose 1828, p. 75.).

« Cotesti corifei e servili seguaci dello spirito non di verità, ma di setta e di partito, bene avventuratamente sono eglino vinti, e le loro dottrine messe a terra da nient’altro che da un Catechismo qualunque che a caso capitasse nelle mani di un Cattolico. » (Fessler: Le mie vedute intorno alla religione, ed alla Chiesa, Lipsia 1807, part. 2 pag. 58).

« Costoro vanno sempre d’attorno levando novelli rumori, suscitando nuove differenze, e ingerendo discordie. Essi soli alimentano l’odio dei partiti religiosi, essi e non altri, siccome avversi al Cristianesimo, tutto ciò che è cattolico censurano. » (Lessing, Opuscoli teologici di vario argomento, part. 2, p. 21).

« L’odio, di che andiamo discorrendo, odio vile, di cui prendono baldanza i nostri teologi contro il Cattolicismo e la Gerarchia Romana, è prodotto dalla moda; e i banditori protestanti le vanno dietro e se ne fanno belli. » (Fogli di conversazione letteraria, del 1835, N. 124).

« La fede del cattolico, a cui il talento dell’uomo va sottomesso, non è già, come altri vorrebbero persuadere, contro la ragione; che anzi questa la giustifica pienamente. La fede cattolica non è altro che. la ragione credente sottoposta all’autorità divina. » (Marhemecke. La Simbolica).

« L’opera eziandio dei venerandi Padri radunati in Concilio nella città di Trento, non fu e non è che una deduzione la più conseguente, e in pari tempo un confermare il dogma cattolico secondo i dettami della Santa Scrittura e della Tradizione Apostolica. » (Fessler, Storia degli Ungheresi; T. 8, p. 184.).

« Chiamar la fede della Chiesa Romana priva di luce e di verità, egli è un’ingiustizia che regge al paragone colle più inique. Non l’han difesa questa fede tanti uomini sommi e generosi, onore dell’umanità? Non han cercato altri con i propri scritti di renderle il suo, senza cavilli ed inganni, ma sì colle leggi dell’intelligenza?» (F. Bonteweeke. Manuale delle scienze filosofiche, Gottinga 1820) Con tutto ciò accusano e condannano questa Chiesa come superstiziosa e idolatra! Che te ne pare?

54. Apost. L’accusano in tal modo e la condannano pel suo culto dei Santi, e altresì pel superstizioso immenso dispendio che spreca pel culto religioso in generale: le quali cose, come ben sapete, i Riformatori spinti furono ad abolire per assoluto dovere di cristiana delicata coscienza. Non è egli vero?

Prot. Per ristringermi alla sola Inghilterra su questo grave rapporto, e non dilungarmi di troppo:

« Bisognerebbe che fossimo precisamente contrarii a ciò che sempremai si è pensato esser gli Inglesi, se tuttora affettassimo di credere che la distruzione dei Sacrarii de’ nostri antenati derivò da motivi di coscienza…. I signori Riformatori depredaron le Chiese cattedrali così come i Conventi e le loro Chiese E però non deve fare in modo alcuno meraviglia che assai per tempo, in sul bel principio della pia loro ed onorata intrapresa, volgessero eglino i loro frettolosi passi verso Cantorbery, che a preferenza d’ogni altro luogo erasi contaminato del manifesto peccato di possedere ricchi altari, tombe, immagini d’oro e d’argento insieme con dei manifestamente peccaminosi diamanti ed altre pietre preziose… »

« Ma erano a Cantorbery due oggetti, per cui i nibbj della Riforma vi furono particolarmente tratti, cioè il monastero di S. Agostino, e la tomba di Tommaso A. Becket. Il Santuario del primo, siccome era opera di gran magnificenza, offerse un copioso bottino ai saccheggiatori, i quali se avessero potuto avere accesso al Sepolcro di Gesù Cristo, e trovato lo avessero ricco del pari, eglino fuor di dubbio lacerato lo avrebbero a brani. »

«Ma come che ricca  si fosse questa preda, ve ne aveva pur una più grande nel Santuario di Tommaso A. Becket nella Chiesa cattedrale…. Questa tomba di Becket era di legno lavorato colla massima squisitezza, intarsiato abbondevolmente di ricchi metalli, e densamente tempestato di pietre preziose di ogni sorta. Qui stava un oggetto per la riformatrice pietà da fissarvi sopra è suoi sguardi divini. Che se in una delle nostre Chiese ora trovar si potesse per avventura un Santuario cosiffatto, oh! come griderebbero i Swaddlers per un’altra. Riforma!… »

Ogni altare di chiesa aveva, come già osservai, più o meno di oro o di argento. Parte di questo consisteva in sacre immagini, parte in turiboli, candelieri ed altri oggetti…. La parte fanatica de’ Riformatori prendevasi diletto in questionare, etc…. Ma ben altri erano i pensieri che occupavano l’animo dei derubatori! Eglino erano assorti in meditare sul valore delle Immagini, dei turiboli e degli altri sacri arredì.! » (Cobbet, Oper. cit. Lett. 6, §° 117, e seg. – e – 207).

Apost. Ora comincio a comprendere perché anche nella mia Italia certi miei padroni gridano allo spreco delle spese del culto, all’agiatezza degli Ecclesiastici, alla dabbenaggine di chi prega i Santi, etc.; e ardentemente desiderano una Protestante Riforma. – Ma ritornando al nostro primo subietto, dico che se la Bibbia fosse contraria alla vostra Riforma e favorevole al Cattolicismo, come voi supponete, i vostri Riformatori non l’avrebbero data nelle mani di tutti come l’unico giudice in materia di fede, come l’unica regola del cristiano, secondo il senso in cui da ciascuno è intesa. Questo avvenimento è una vera disfida fatta al Cattolicismo, che sola dimostra quanto fosser sicuri di aver dalla loro la parola di Dio.

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (III)

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (III)

LA VITA SPIRITUALE RIDOTTA A  TRE PRINCIPII FONDAMENTALI

dal Padre MAURIZIO MESCHLER S., J.

TRADUZIONE ITALIANA PEL SACERDOTE GUGLIELMO DEL TURCO SALESIANO DEL VEN; DON GIOVANNI BOSCO

VICENZA – Società Anonima Tipografica – 1922

Nihil obstat quominus imprimatur.

Vicetiæ, 24 Martii 1922.

Franciscus Snichelotto

IMPRIMATUR

Vicetiæ, 25 Martii 1922.

    M, Viviani, Vic. Gen

PRIMO PRINCIPIO FONDAMENTALE LA PREGHIERA (2)

La preghiera è il principio d’ogni bene nell’uomo. Cosicchè imparar a pregare, stimare, amare e praticare fervorosamente e come si deve la preghiera, è un tesoro inapprezzabile pel tempo e per l’eternità.

CAPITOLO V.

Efficacia illimitata della preghiera.

È Innumerevoli e magnifici sono i beni che si conseguono mediante la preghiera.

1. Ciò che la Preghiera ha di comune con tutte le altre opere soprannaturali, è di essere meritoria e soddisfattoria: ma l’efficacia ber conseguire quello che si domanda, è sua esclusiva proprietà. L’uomo prega e domanda, e Dio ascolta e concede, non perché l’uomo lo meriti, ma perché lo domanda. L’efficacia, dunque, dipende dalla forza e dal potere della preghiera come tale, non dal merito di colui che prega. Il che appartiene esclusivamente alla preghiera, e non v’è cosa che tanto indichi la sua superiorità, come questo suo potere dinanzi a Dio.

2. E fin dove arriva questa sua efficacia? Fin dove si estende la necessità dell’uomo e la potenza e misericordia di Dio, nulla eccettuato. Dio disse. Qualunque cosa domanderete nell’orazione, credendo, la otterrete. (Matt. XXI, XXII:7, 7). Qualunque cosa domanderete al Padre nel nome mio, la farò: affinché sia glorificato il Padre nel Figliuolo. (Giov. XIV, 13), L’uomo non deve fare eccezioni di sorta, dove Dio non ne fa. Dunque, possiamo chiedere a Dio quanto ragionevolmente e conforme alla sua volontà desideriamo. È cosa evidente che dobbiamo chiedere anzitutto ciò che riguarda l’anima, e possiamo essere tanto più sicuri di conseguirlo, quanto più necessario ed utile ci sia. Riguardo alle cose temporali dobbiamo por attenzione nel chiedere, perché, attesa la loro natura, potrebbero tornarci di castigo anzi che di bene se Iddio ce le concedesse. – La Sacra Scrittura ci descrive con mano maestra il potere della preghiera. Il popolo d’Israele e la sua marcia attraverso il deserto; Mosè, Giosuè, le imprese dei Giudici e dei Maccabei, i miracoli di Gesù Cristo e degli Apostoli; in una parola, tutta la storia del popolo eletto e della Chiesa Cattolica, formano la storia della preghiera e della sua efficacia. I bisogni dell’uomo e la sua preghiera sono allacciati, come una lunga e mirabile catena, alla bontà e all’aiuto di Dio. Non vi sono leggi naturali che resistano al potere della preghiera, tanto che per essa alle volte possono sospendersi, e di fatto furono anche sospese. Al comando della preghiera il sole si fermò (Gios. X,, 13), o indietreggiò (IV dei Re, XX, 14). Come il cielo circonda la terra, così la preghiera abbraccia colla sua efficacia tutta l’umanità lungo i secoli.

3. Ma v’è un mondo invisibile in gran parte agli occhi nostri, e noto soltanto al cielo, nel quale si manifesta con più potere e magnificenza l’efficacia della preghiera: è il mondo delle anime con tutto quello che si riferisce alla loro purificazione, trasformazione, santificazione. Nessuna cosa può a lungo resistere alla soave e potente influenza della preghiera; non le passioni, non la forza delle tentazioni e dei pericoli; trionfa di tutto: trasforma insensibilmente i sentimenti, le idee, la volontà ed i pensieri dell’uomo. Colla preghiera, senza accorgersi, l’uomo diventa un altro. Com’è difficile lavorare il ferro quand’è freddo! Ma messo nella fucina si può modellare facilmente. Prega e prega incessantemente ed arriverai a dominar tutte le tue passioni. Ecco, egli fa orazione (Att. IX, 4, 11) dice, di Paolo poco prima convertito, il Signore ad Anania. Gesù colla sua potenza atterrava Saulo, acerrimo suo nemico, e la preghiera ne faceva un Apostolo. Di un uomo e per un uomo che prega, non v’è nulla da temere. – Quella luce e pace dello spirito, quella moderazione negli affetti, e fortezza d’animo nel soffrire che gli antichi cercavano nella filosofia, ai primi Cristiani comunicavasi nella preghiera. La preghiera era per essi la scuola più santa e la più sublime metafisica, la leva con cui rovesciarono e sfasciarono il mondo pagano; la preghiera è pur oggi il braccio forte della Chiesa, e la sua scienza di governo. All’apparire di qualche persecutore, essa fa ricorso a Dio, prega e vince, o atterrando il nemico, o, come quasi sempre avviene, convertendolo…

4. Ma, in che consiste l’efficace segreto della preghiera? Nell’unione dell’uomo con Dio. È mirabile già per sé il dominio che ha l’uomo sulla natura. E qual potere e quale scienza non acquista egli quando opera in unione a Dio, quando confida in Lui, nella sua provvidenza, potenza e sapienza! Quali saranno allora i limiti del suo potere? Può uno meravigliarsi che vi siano dei miracoli? Per la preghiera l’uomo è uno strumento nelle mani di Dio e partecipa alle mirabili sue opere. In quest’alleanza che si stabilisce tra Dio e l’uomo mediante la preghiera, questi non porta altro che il riconoscimento della propria debolezza, contro la quale chiede aiuto; Dio in cambio gli va incontro colla sua bontà, onnipotenza e fedeltà: verità consolantissima e degna d’aversi sempre presente. Nella preghiera non si tratta del merito nostro, ma della bontà e misericordia di Dio. Sono queste le cause che Lo muovono ad esaudirci. La debolezza può sempre molto di fronte a chi è veramente grande. Se una povera bestiolina ci pregasse di risparmiarle la vita, certamente non ci rifiuteremmo di esaudirla. Il bambino non può nulla in famiglia, eppure nulla gli manca, vive della sua debolezza; domanda e tutto ottiene. Se paragoniamo l’uomo agli animali, risulta inferiore in molte cose: l’animale entra nel mondo vestito, armato e ben provvisto per la vita; l’uomo al contrario, quanto tempo deve rimanere senza poter fare da sè! Ma in compenso Dio lo ha dotato di un braccio forte e industrioso, con cui si provvede poi di tutto. Invero la preghiera è per l’uomo un braccio spirituale con cui si nutre, si veste, si adorna, si difende; con essa può tutto e fa tutto. La preghiera è la leva del fedele; oh! se sapessimo valercene! Grazie alla preghiera l’uomo ha la parola ed il voto nei consigli della Santissima Trinità. dove si decidono tutti gl’interessi del mondo: la sua voce arriva dovunque. Cosicchè l’uomo, l’umile e semplice fedele, può mutare colla sua preghiera la faccia della terra. La sorte del Cristianesimo non si decise unicamente sul campo di battaglia al ponte Milvio né sugli eculei o negli anfiteatri dove si tormentavano i confessori della fede, ma anche nel silenzio delle catacombe dove pregava il popolo cristiano, sotto il palmeto di San Paolo primo eremita, e nella caverna di San Antonio abbate. Immensa è la efficacia della preghiera e non ci è dato di calcolare quanto possiamo con essa. Mediante la preghiera noi comandiamo a Dio medesimo, poiché solo di fronte ad essa Dio si mostra debole. Infatti, pare che la preghiera s’imponga, perché Egli stesso così vuole: ma non è una debolezza questa che Lo abbassi, che Lo glorifica anzi: ciò deve infondere in noi vigore e fiducia nella preghiera, se tanto può, o, a dir meglio, se tutto può.

CAPITOLO VI.

Come deve farsi la preghiera.

Se talvolta la nostra preghiera non ha il suo buon esito, dobbiamo cercare la causa non in Dio ma in noi. Possono per ciò darsi tre ragioni: o la nostra propria indegnità, o il pregare non come si deve, o il chiedere che non conviene. Mali, male, mala. In generale la nostra preghiera deve riunire le seguenti doti. – Prima di tutto, dobbiamo sapere noi stessi quello che andiamo ad esporre a Dio, e per questo è necessario pregare con fervore, con attenzione e senza distrazioni. Qui sta la forza che non vogliamo essere distratti e che non ci lasciamo andare in distrazioni volontarie, Come può prestarci attenzione Dio, se non prestiamo attenzione a noi Stessi e non sappiamo quel che diciamo? Tornerebbe anche di poco onore e gradimento al nostro Angelo custode il dover presentare a Dio una preghiera piena di distrazioni; sia dunque fermo il nostro proposito di non dar occasione a ciò, poiché ogni distrazione volontaria nella preghiera è peccato e ci attrarrà non grazie ma castighi. Al contrario, le distrazioni involontarie che ci sopravvengono nostro malgrado, nulla ci tolgono, né del merito, né del profitto, né della forza che ha la preghiera dinanzi a Dio, ma ci privano soltanto della dolcezza che porta con sé la preghiera ben fatta. Non s’annoiano il padre e la madre perché il loro bambino, non avente ancora l’uso di ragione, ciarla senza senso. Iddio conosce la nostra debolezza ed ha pazienza. In secondo luogo, seriamente convinti che importa molto di essere esauditi, dobbiamo pregare con fervore ed impegno. Il fervore non consiste in lunghe preghiere, ma nell’affetto della volontà. L’incenso non sale al cielo convertito in aroma se le braci non consumano. Il fervore è l’anima della preghiera. Dio attende al cuore, non alle labbra. Siccome il trattare con Dio è già di per sé cosa molto importante e ciò che domandiamo è sempre alcunché di grande, viene di conseguenza che la nostra preghiera dev’essere accompagnata dal fervore e dal desiderio. Se dubitiamo che le nostre preghiere siano accette a Dio, chiediamo l’aiuto altrui, pregando in comune, invocando i Santi; ed in particolare il Nome di Gesù al quale è assicurata la forza d’impetrazione e concessione delle grazie (Giov. XVI, 23). – La terza condizione che si richiede nella nostra preghiera è l’umiltà. Ci presentiamo a Dio come mendici, non come creditori: come peccatori, non come giusti. Aiuta molto altresì l’umiltà esterna. in quanto che piace e fa violenza a Dio ed eccita in noi il fervore. – La quarta condizione importante della nostra preghiera è la fiducia. Tutto ci richiama ad essa: Dio medesimo vuole che preghiamo, e per conseguenza desidera esaudirci: siamo creature e figli suoi, ed Egli sa molto meglio di noi valutare questo titolo che Lo muove a darci ascolto. Non dobbiamo finalmente dimenticare, che nella preghiera anzitutto e principalmente trattiamo colla bontà e misericordia di Dio, dalla quale ha da martire la finale decisione. Quanto più spirituale è ciò che domandiamo, più sicuri siamo di essere esauditi. Trattandosi di cose temporali, fa d’uopo guardarci da due difetti: primo, di chiedere incondizionatamente qualunque cosa temporale, ché alle volte potrebbe pregiudicarci; secondo di credere che non dobbiamo pregare per i beni terreni, mentre anche questi ordinariamente devono chiedersi; perché Iddio vuole che lo riconosciamo altresì come fonte e principio di tutti i beni di quaggiù, e appunto perciò ci ha ha comandato nel « Pater noster  che Glieli domandiamo.» – La quinta dote della Preghiera è la perseveranza che occupa un posto assai distinto tra le condizioni che per precetto divino deve avere Dobbiamo pregare, “Sempre pregare, né mai stancarci” (Luc. XVIII, 1). Non stancarci mai di pregare, equivale a non tralasciare mai la preghiera per negligenza, né per accidia, né per pusillanimità, né per svogliatezza. E pregheremo sempre, se non trascuriamo di farlo nei tempi determinati. Come suol dirsi che mangiamo sempre, perché mai omettiamo di mangiare a suo tempo, Se Dio ritarda nell’esaudirci, pensiamo di non essere sufficientemente disposti o che vuol provare la nostra buona volontà, e ricordiamoci che noi altresì abbiamo fatto attendere Lui molte volte. Non perderemo nulla frattanto: al contrario anzi Iddio ci premierà con nuovi meriti ogni qualvolta noi rinnoveremo la preghiera. Nemmeno dobbiamo dimenticare che Iddio non è nostro servitore da essere obbligato a soddisfare tutti i nostri desiderî: Egli è nostro Padre e concede quando e come trova conveniente pel bene nostro. A noi tocca il pregare, a Dio appartiene l’esaudire: il meglio per noi è di lasciare tutto nelle sue mani. – Appartiene altresì alla perseveranza il pregare molto, pregare tanto quanto possiamo. Dobbiamo pregare molto, perché siamo molti ed è molto da domandare. Colui che Prega solo per sé e per le proprie particolari necessità, non occupa bene il suo posto in questo mondo, né dà motivo che risplenda tutto il potere e la forza della preghiera. La nostra preghiera è la preghiera del Figlio di Dio. che si estende a tutte le necessità della Chiesa e dell’umanità. E quante e quanto grandi necessità, dalle quali dipende in gran parte la salute delle anime e la gloria di Dio, si presentano ogni istante dinanzi alla Maestà di Dio, attendendo la sua decisione! Se unissimo nella nostra preghiera a tutte le necessità del mondo per presentarle e raccomandarle a Dio, allora sì che pregheremo come apostoli, come Cattolici e come l’uomo-Dio. Così fece il Redentore, e così insegnò a noi a farlo nel « Pater noster », Se ci accadesse di non avere un fine onde pregare, facciamo in spirito un giro intorno al mondo, e presentiamo a Dio tutte le necessità che vi sono. Esse attendono l’aiuto della nostra preghiera. – Dobbiamo finalmente pregare molto, per imparare a pregar bene. Il migliore modo ed il più rapido per imparare a pregare, è il pregare; così come imparammo a camminare, a leggere, ed a scrivere, camminando, leggendo e scrivendo. Se ci riesce dura la preghiera, gli è perché preghiamo troppo poco. E pensare la grande ed importante cosa che è il conseguire gusto e facilità nella preghiera! Se trovassimo diletto nel pregare, troveremmo il tempo poiché per ciò che si vuole davvero il tempo non manca mai.  

CAPITOLO VII.

La preghiera vocale.

La necessità della preghiera è indispensabile; il suo potere è immenso; consolante è la sua facilità. A rendere facile la preghiera contribuiscono non poco i molti e vari modi che si hanno nel farla. Parlando generalmente, vi sono due classi di preghiera: vocale e mentale.

1. Preghiamo vocalmente quando ci serviamo d’una formola determinata di preghiera, pronunciandone a voce alta o no le parole.

2. L’orazione mentale è senza dubbio molto migliore; quantunque non sia da disprezzarsi affatto la vocale, che anzi conviene tenere in gran pregio. Infatti, anzitutto essa è una conversazione con Dio, e basta già questa ragione per preferirla a tutte le altre cose. Inoltre, è una preghiera che corrisponde molto alla natura nostra, composta di Spirito e di materia. Noi dobbiamo lodare Dio con tutto l’essere ch’Egli ci ha dato, e quindi col corpo e coll’anima. Nella preghiera vocale è tutto l’uomo che prega, giubilando in Dio col corpo e coll’anima (Sal. LXXXIII, 3). La preghiera nella Scrittura chiamasi: Il frutto delle labbra, che confessano il nome di Dio (Ebr. XIII, 15). Vi sono molte labbra, che lungi dal dare questi frutti di lode a Dio, ne vituperano piuttosto l’adorabile Nome. È ben giusto quindi che le nostre labbra compensino questa mancanza, il che si fa nella preghiera vocale. La memoria trova un sicuro appoggio nella formula della preghiera, il sentimento viene eccitato colla pronuncia delle parole e l’intelligenza trova una ricca miniera di pensieri e di verità nelle parole stesse. Essendo le parole segni ed immagini sante, toccate colla verga magica della memoria discoprono mondi meravigliosi di verità. e fanno scaturire acque di celesti consolazioni. Lo Spirito Santo medesimo, nei salmi. ha ispirato le più belle preghiere vocali, ed il Salvatore non credette di venir meno alla sua dignità prescrivendoci una formula di preghiera, il Pater poster. La Chiesa, generalmente, nella celebrazione de’ suoi divini ufficiî, adopera solo preghiere vocali, molto brevi. La maggior parte degli uomini conosce soltanto la preghiera vocale, per la quale trova eterna sua felicità. È  questa preghiera la via reale del cielo, la scala d’oro per la quale gli Angeli discendono ed ascendono, dal cielo alla terra e dalla terra al cielo, portandovi suppliche e riportandone grazie. La preghiera vocale, finalmente, è quella che dà unità, in tutto il mondo, al modo di pregare del Cattolicesimo: è la voce potente della professione di fede. che muove, eccita e rinvigorisce i buoni. sconfigge gl’increduli e dà gioia a tutto il cielo: quando, principalmente, riuniti i fedeli in processioni, rogazioni e pellegrinaggi, escono sulle vie pubbliche, per le campagne ed attraverso le città, percorrendole con solenne gravità, alternando la recita del Rosario, le Litanie dei santi pii cantici. Questi popoli sono le schiere dell’esercito di Dio sulla terra, il cui passo la cui voce risuona tremenda agli spiriti increduli: essì rendono testimonianza meglio d’ogni altra dimostrazione che il mondo non appartiene del tutto agli empî, e che costoro hanno da fare con un popolo che prega. La preghiera vocale è una grazia molto grande, tale da non poter mai ringraziare Iddio abbastanza d’avercela concessa e che di essa dobbiamo far uso incessantemente.

3. Come tutte le cose di questo mondo, anche la preghiera vocale ha le sue difficoltà. che sono l’abitudine e le distrazioni. Procedono queste dall’uso frequente e quotidiano e dalla continua ripetizione d’una stessa formula. Per superarle, disponiamo dei mezzi seguenti: anzitutto, teniamo come norma fissa e costante, di non cominciare mai una preghiera vocale, per quanto sia breve, senza raccoglierci un momento per chiederci che cosa andiamo a fare, e per domandare a Dio aiuto di farla bene. Chi vuol oltrepassare un fossato, conviene che indietreggi un po. e prenda la corsa per dare il salto. Non premettendo questo breve raccoglimento di spirito, incominceremo distratti e distratti proseguiremo. Può dirsi che quanto è più breve la preghiera, tanto è più necessario questo raccoglimento. Se la preghiera poi è lunga, fa d’uono ripeterlo di frequente, sia pure brevissimamente, poiché non vi è altro modo che aiuti a pregar bene e con attenzione. – In secondo luogo è necessario frenare la vista, o tenendo gli occhi chiusi, o fissandoli in un punto. – In terzo luogo, è bene qui notare che mentre recitiamo vocalmente, l’attenzione nostra ed i pensieri possono concentrarsi o nel senso e significato delle parole con cui preghiamo, o nella persona a cui va diretta la preghiera, o in noi e nelle nostre necessità, o nei rapporti che passano tra noi e la Persona a cui si parla; il che è sufficiente per l’attenzione che si richiede, e nel far uso d’una o d’altra di queste industrie, giova moltissimo a rendere facile e soave la preghiera vocale.

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (IV)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (I)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (I)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE, che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO

BARTHÉLEMY HOLZHAUSER

RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

PREFAZIONE DALL’AUTORE FRANCESE.

Il lavoro che pubblichiamo oggi, comprende il testo dell’Apocalisse, cioè la rivelazione dei grandi misteri che Gesù Cristo ha fatto a San Giovanni Evangelista, uno dei quattro Arcicancellieri del suo regno. Questa rivelazione contiene tutti i principali eventi che si sono già realizzati in gran parte, e che continueranno a realizzarsi nella Chiesa di Gesù Cristo, fino alla consumazione dei tempi. Molte persone hanno creduto e credono ancora che questo libro sacro non sarà mai spiegato, a causa dello stile enigmatico e figurato in cui è scritto. Ma questo è un errore assurdo come è assurdo credere che Dio abbia voluto parlare agli uomini, per non essere mai compreso. La parola Apocalisse, derivata dal greco, significa rivelazione; ora, se questo libro non si doveva mai interpretare, avrebbe portato un titolo che lo avrebbe escluso immediatamente dal codice sacro. – Un venerabile servo di Dio, Barthélemi Holzhauser, restauratore della disciplina ecclesiastica in Germania, dopo i primi disastri causati alla Chiesa dall’eresia di Lutero, ha intrapreso, con il l’aiuto delle luci celesti che lo hanno illuminato, l’interpretazione di questo libro. Già famoso per le sue profezie, Holzhauser si è distinto ulteriormente per una scienza approfondita della storia del mondo, che è stato in grado di applicare in un modo veramente ammirevole alle vaste conoscenze che possedeva delle Sacre Scritture. Questo illustre ecclesiastico, tanto dotto quanto pio, fondò in Germania vari istituti che erano un baluardo inespugnabile contro il protestantesimo che allora minacciava la completa rovina dell’Europa. Oltre a diverse opere che uscirono dalla sua penna, redasse in latino la sua famosa Interpretazione dell’Apocalisse tra le montagne del Tirolo, nel mezzo delle più grandi prove, e immerso nella meditazione, nel digiuno e nella preghiera. Il suo lavoro ha già ottenuto gli onori dell’immortalità. Infatti, se ne trovano antichi esemplari non solo nelle biblioteche della Germania, ma anche in quelle di varie parti d’Europa. La società colta dei Mechitaristi ha pubblicato una nuova edizione di quest’opera nel 1850. Seguendo il parere del dotto professore dell’università di Monaco, il Dr. Haneberg, osiamo affermare che il lavoro di Holzhauser offre la migliore interpretazione che sia mai apparsa dell’Apocalisse. Questo illustre scrittore non fa che ripetere con altre parole quello che abbiamo letto in una vecchia copia della vita di Holzhauser, ove si dice che tutti gli altri commentatori che hanno scritto su questo libro sacro (per quanto dotti fossero), sembrano dei bambini rispetto a questo genio. Potremmo raccogliere molte testimonianze di profonda stima in favore del nostro autore, se entrassimo nei dettagli e dicessimo tutto quello che abbiamo sentito dire di lui da illustri uomini di varie nazioni. La sua interpretazione offre un quadro completo del piano della saggezza divina nella grande opera di redenzione. Il lettore vi troverà un intero corso di teologia; vi vedrà in più, un riassunto prezioso della storia del mondo applicata e comparata alla storia della Chiesa. Noi crediamo di poter affermare che mai opera sia riuscita a riunire così vaste materie per presentarle in una luce così interessante. Se l’uomo non ha tanto a cuore che regolare la sua vita presente per raggiungere il suo destino futuro, non avrà mai trovato un mezzo così perfetto di soddisfare i suoi ardenti desideri che il leggere attentamente quest’opera. Infatti, essa racchiude un gran numero di quadri che offrono, sotto diversi punti di vista, tutto ciò che è più capace di interessarci nel passato, presente ed avvenire. – L’autore ha diviso la sua materia, in sette principali epoche nelle quali riassume tutta la storia del mondo con quella della Chiesa, che egli compara continuamente l’una all’altra, facendoci penetrare i segreti più reconditi di questa guerra accanita che lucifero intraprese contro il genere umano nel paradiso terrestre, e che terminerà sulla soglia dell’eternità con la caduta dell’Anticristo e con il cataclisma del mondo. È allora che il buon grano sarà separato dalla paglia per sempre, e che ciascuno di essi andrà ad occupare il posto che il Vangelo gli assegna. Tutto ciò che l’autore propone è tratto dall’Apocalisse stesso, ed ha come base la verità eterna di Dio. È così per la sua divisione delle epoche o degli Angeli della sua storia di cui dà dapprima uno scorcio generale e particolare per ognuno dei suoi Angeli; la sua divisione, diciamo noi, è fondata sulle sette Chiese, i sette candelabri, i sette angeli, i sette sigilli, i sette spiriti, le sette trombe e le sette piaghe dell’Apocalisse. Ed è nello sviluppo delle grandi verità contenute sotto questi diversi enigmi, che l’autore ci dimostra, in una maniera ammirevole e stupefacente, la concatenazione di tutti i grandi fatti che collegano la storia antica alla storia moderna e futura. È così ancora che egli ci fa vedere i legami stretti che uniscono l’umanità alla divinità, il tempo all’eternità. Poi egli termina la sua descrizione con dei particolari estremamente interessanti che furono rivelati a San Giovanni sul regno di Maometto e dell’anticristo, sull’antipapa che lacererà la Chiesa d’Occidente, sul trionfo della Chiesa, sulla prossima estirpazione delle eresie, etc., etc. – Questa è l’idea generale che noi diamo, come di passaggio, sul contenuto di quest’opera per non uscire dai limiti di una prefazione. Il lettore che avrà letto e riletto attentamente quest’opera resterà convinto che, lungi dall’avere esagerato, siamo stati piuttosto parsimoniosi negli elogi che merita. Tra i nostri lettori se ne troverà qualcuno forse la cui fede non è ferma. Noi lo preghiamo di considerare attentamente l’applicazione che l’autore fa dell’Apocalisse alla storia in generale ed in particolare; e noi gli chiediamo di voler spiegare come sia potuto accadere che San Giovanni, che redasse la sua rivelazione diciotto secoli fa, abbia potuto riuscire a comporre la sua opera se non fosse stato che un uomo ordinario, di maniera che tutti questi enigmi non trovino il loro chiarimento ed il loro posto che in ciascuna dei grandi tratti della storia del genere umano; e questo agli occhi della più grande e durevole società del mondo, agli occhi cioè della società cristiana? Non si riconosce forse essere questa la chiave del tesoro infinitamente prezioso della verità eterna di Dio? Sì, che coloro che non credono, o che si rifiutano ostinatamente di vedere la luce eterna che brilla nella Chiesa Cattolica, cerchino di risolvere questo problema, rendendosi conto delle ragioni che possono avere per non credere come gli altri uomini; che si sforzino, se appena prendono la briga di applicare l’intero testo dell’Apocalisse a qualche setta, a qualche monarchia o a qualunque storia sia, in modo che ogni frase, e persino ogni parola nella sua interezza, possa essere chiarita dall’applicazione che ne avranno fatto, e noi li pregheremo di sottomettere come noi la loro produzione al giudizio degli uomini, per avere preferenza sulla nostra, se possibile. – Non nascondiamo la difficoltà che abbiamo incontrato nel nostro lavoro; ma questa stessa difficoltà ne è la pietra angolare, e se la verità della più lunga e varia storia del mondo non avesse coinciso in tutti i suoi punti con la verità della profezia, sarebbe stato impossibile per noi farci leggere e farci comprendere. – Dobbiamo avvertire il lettore che le età della Chiesa non si presentano tutte in unica volta come un colpo teatrale all’occhio dei contemporanei, è così che la sesta età, ad esempio, che l’autore latino annuncia cominciare con il santo Pontefice ed il grande Monarca che dominerà in Oriente e in Occidente, e di cui il potere si estenderà sulla terra e sul mare; questa sesta età, noi diciamo, si concatena a tutte le altre in modo così certo e reale, che apparirà lenta agli occhi degli uomini. – In secondo luogo, dobbiamo fare osservare che molti fatti che caratterizzano un’età non devono essere compresi in maniera talmente assoluta da escludere l’esistenza di altri fatti che sono loro opposti. È così, ad esempio, che l’impenitenza, che dovrebbe essere uno dei pronostici della quinta età, non escludeva la conversione di un grande numero di uomini di quest’epoca, non più di quanto la conversione dei peccatori, che è uno dei caratteri della sesta, non escluderà l’ostinazione di molti empi. È con l’analisi universale e la comparazione di diversi pronostici tra loro, che si può conoscere la differenza delle età. Ma lo storico non può fare uscire il carattere di un’età se non verso la fine, o almeno dopo il suo pieno sviluppo. La precipitazione che noteremo negli avvenimenti che segnalano la nostra epoca conferma in maniera stupefacente i passaggi di questo libro nei quali il venerabile Holzhauser ci informa che le due ultime età saranno molto brevi. – Noi faremo osservare infine che, benché la Chiesa debba godere di una grande prosperità nella sesta età, il mondo non cesserà di avere il suo regno; ed è sempre su questo mare più o meno agitato che il vascello della Chiesa continuerà a vogare fino alla fine. Tali sono le considerazioni che dobbiamo fare e che concludiamo con ciò che segue: si sa che il venerabile Holzhauser non completò la sua opera e che si fermò al quarto versetto del quindicesimo capitolo; restavano quindi ancora quasi otto capitoli da spiegare. Quando i suoi discepoli ne chiesero la ragione egli rispose loro ingenuamente che … non si sentiva animato dallo stesso spirito e non poteva continuare. Poi aggiunse che avrebbe desiderato che qualcuno dei suoi, dopo di lui, completasse la sua opera e la coronasse. Noi ignoravamo questo passaggio della sua vita quando abbiamo iniziato questo lavoro; altrimenti non avremo mai osato realizzare questo progetto di pubblicazione che abbiamo concepito otto anni orsono. Dal momento che siamo stati informati del contenuto di questo passaggio, abbiamo preso consiglio da un dottore in teologia, che ha voluto prendersi carico di ricevere la nostra redazione, e ci ha incoraggiato a continuare. Noi non pretendiamo con questo essere la persona prevista dal venerabile Holzhauser; ma siccome siamo stati presi di ammirazione per la sua opera, ci siamo sentiti irresistibilmente spinti a farla conoscere al pubblico come un mezzo efficace per edificare i fedeli e procurare la salvezza delle anime. Ecco perché, dal momento che abbiamo ritrovato un momento di calma, dopo gli avvenimenti di cui fummo vittima nei disastri che provarono sì crudelmente la Svizzera cattolica nel 1847, ci siamo messi presto ad eseguire il nostro piano. Ed è per raggiungere con maggior sicurezza al nostro scopo, che ci siamo serviti della lingua più generalmente conosciuta in Europa. Abbiamo ripartita la nostra materia in nove libri, in onore dei nove cori degli Angeli. La traduzione dei primi quindici capitoli, che riproduciamo testualmente, ci è servita come modello e soccorso indispensabile nella continuazione di quest’opera della quale il nostro maestro ha tutto il merito e tutta la gloria. Non dissimuliamo tuttavia le grandi difficoltà che abbiamo incontrato sia nella traduzione sia, soprattutto, nella continuazione di questa “Interpretazione”; ma ci siamo continuamente sentiti soccorsi ed animati da una gioia spirituale inesprimibile che compensava le nostre fatiche. Oltretutto il frutto che ci promettiamo dai nostri sforzi nell’opera di santificazione delle anime, ci è servito sempre di appoggio per non soccombere nei nostri deboli mezzi umani. Se malauguratamente ci è sfuggito qualcosa che possa in qualunque modo essere di contrasto alla retta dottrina, noi lo ritrattiamo da subito. Protestando la nostra perfetta ed umile sottomissione alla nostra santa Madre, la Chiesa romana. È con questi sentimenti e con la coscienza della purezza e della rettitudine della nostra intenzione, che ci raccomandiamo all’indulgenza ed alle preghiere dei nostri lettori. Augurando a tutti la salvezza eterna in Gesù Cristo e per Gesù-Cristo. Così sia.

NOTIZIE SULLA VITA DELL’AUTORE LATINO

Crediamo che il lettore ci sarà grato dell’idea avuta di porre in capo a questa nuova edizione un compendio della vita di Holzhauser che uno scrittore anonimo ci ha lasciato in un libro pubblicato a Bamberg, nell’anno 1799, Crediamo che il lettore ci sarà grato dell’idea avuta di porre in capo a questa nuova edizione un compendio della vita di Holzhauser che uno scrittore anonimo ci ha lasciato in un libro pubblicato a Bamberg, nell’anno 1799. – Questo vero servo di Dio, di origine sveva, nacque in un umile villaggio chiamato Longnau, situato a qualche lega da Augsbourg, nell’anno di grazia 1613, nel mese di agosto. Suo padre era calzolaio. Nella sua infanzia si fece notare per l’innocenza dei costumi. Non essendoci scuole nel suo villaggio, frequentò assiduamente quella della piccola città di Verding situata a qualche lega circa dalla casa paterna dove si dedicò in particolare allo studio della lingua tedesca. Era solito abbreviare la lunghezza del cammino con la preghiera ed i santi cantici di cui faceva la sua delizia, nell’anno 1624, all’età di undici anni, iniziò lo studio della lingua latina ad Augsburg, ove la sua povertà lo costringeva a cercare sussistenza da porta a porta. In seguito, continuò i suoi studi a Neubourg, sul Danubio, dove trovò miglior sorte nella protezione dei padri della Società di Gesù. Infine, terminò la sua carriera letteraria a Ingolstadt. – Fin dai primi anni fu favorito da celesti visioni. Confessò pubblicamente di essere stato liberato dalla peste per intercessione della Madre di Dio, per la quale era animata dalla più grande devozione. Egli invocò soprattutto questa Madre di buon consiglio nella scelta di un confessore e dello stato di vita; ed è per sua ispirazione che si confermò sempre più nella risoluzione che prese di entrare nella carriera ecclesiastica. Animato da un grande zelo per la preghiera, forte nella fede, e pieno di fiducia in Dio, superò in modo ammirevole le numerose difficoltà che incontrò il suo progetto. Benché povero egli stesso, non si mostrò meno ardente nella sua carità verso gli indigenti e misericordioso e benevolo nei riguardi del prossimo. Non calcolando alcun danno, distribuiva le sue cure ed i suoi soccorsi a tutti gli sventurati di guerra e degli altri flagelli che l’accompagnano. Nel fervore del suo zelo insegnava la dottrina cristiana agli ignoranti, consolava gli afflitti, fortificava i deboli, sollevava coloro che si erano lasciati abbattere, correggeva gli abusi; e nelle frequenti ingiurie che riceveva dai malvagi si mostrava pieno di gioia per essere stato trovato degno di soffrire per il nome di Gesù Cristo. – a queste prime virtù, Barthélemi aggiunse la pratica della mortificazione, dell’abnegazione, della castità, dell’umiltà, della dolcezza e della pazienza, e si mostrò per questo il vero tipo dello studente cristiano, non perdendo mai di vista quest’oraciolo dello Spirito Santo: Adolescens juxta viam suam ambulans, etiam cum senuerit, non revedet ab ea. Prov. XXII, 6. Dai primi anni fu favorito da celesti visioni. Confessò pubblicamente di essere stato liberato dalla peste per intercessione della Madre di Dio, per la quale era animata dalla più grande devozione. Egli invocò soprattutto questa Madre di buon consiglio nella scelta di un confessore e dello stato di vita; ed è per sua ispirazione che si confermò sempre più nella risoluzione che prese di entrare nella carriera ecclesiastica. Animato da un grande zelo per la preghiera, forte nella fede e pieno di fiducia in Dio, superò in modo ammirevole le numerose difficoltà che incontrò il suo progetto. Benché povero egli stesso, non si mostrò meno ardente nella sua carità verso gli indigenti e misericordioso e benevolo nei riguardi del prossimo. Non calcolando alcun danno, distribuiva le sue cure ed i suoi soccorsi a tutti gli sventurati di guerra e degli altri flagelli che l’accompagnano. Nel fervore del suo zelo insegnava la dottrina cristiana agli ignoranti, consolava gli afflitti, fortificava i deboli, sollevava coloro che si erano lasciati abbattere, correggeva gli abusi; e nelle frequenti ingiurie che riceveva dai malvagi si mostrava pieno di gioia per essere stato trovato degno di soffrire per il nome di Gesù Cristo. – a queste prime virtù, Barthélemi aggiunse la pratica della mortificazione, dell’abnegazione, della castità, dell’umiltà, della dolcezza e della pazienza, e si mostrò per questo il vero tipo dello studente cristiano, non perdendo mai di vista quest’oracolo dello Spirito Santo: Adolescens juxta viam suam ambulans, etiam cum senuerit, non revedet ab ea. (Prov. XXII, 6). – Appena ebbe terminato il suo corso di studi, ispirato dai segni manifesti della volontà divina di lavorare per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, deliberò di entrare in un nuovo stato di vita, e si fece iscrivere nei ruoli della milizia ecclesiastica. Nel corso del suo terzo anno di studi teologici, si preparò al sacerdozio; e nell’anno1639 fu ordinato sacerdote nella città episcopale di Eichstadt sul Danubio, e celebrò la sua prima messa ad Ingolstadt nel giorno della Pentecoste, nella stessa cappella di Notre-Dame de la Victoria ove aveva spesso offerto il suo cuore a Dio, consacrandogli tutti i suoi beni con ferventi preghiere. Non tardò nell’ascoltar confessioni ed esercitare le altre funzioni del santo ministero, e ciò con tal successo che un gran numero di penitenti affluivano al suo confessionale. Temendo di esaurire le sue forze nella cura della vigna del Signore, cercò di associarsi dei collaboratori zelanti, capaci di continuare e propagare la sua opera. –  A questo scopo nell’anno 1640 ingaggiò tre curati più anziani di lui per seguire certe regole che s’imposero tra loro. Questi continuarono tuttavia a restare nel loro presbiterio finché non avessero ottenuto dai loro superiori il permesso di aderire pienamente all’invito di Barthélemi. – terminati gli studi teologici e guarito da un’angina con l’aiuto manifesto di Dio, partì con uno dei suoi associati per Salzbourg ove, guidato da un’ispirazione divina, fondò il suo primo istituto nel 1636. Si mise lungo la strada a piedi e senza sacco, con poco denaro; cammin facendo incontrò un quarto associato, con l’aiuto della divina provvidenza arrivò al termine del suo viaggio.  L’autorità ecclesiastica gli fece una buona accoglienza; poco tempo dopo ottenne un canonicato a Tittmoning, città dell’Arcivescovato di Salzbourh, vicino alla Baviere sulla Salza. Questa città ha una cittadella molto antica con una collegiata dedicata a san Lorenzo. Essa è la più insigne delle città circostanti. Da quando fu stabilito come canonico in cura di anime, ottenne per lui ed i suoi una vasta casa, la stessa che aveva visto in sogno quando si trovava ad Ingolstadt. Il numero dei suoi compagni cresceva di giorno in giorno, e senza incontrare ostacoli da parte dei confratelli, guadagnò un numero infinito di anime a Gesù Cristo con la parola di Dio e con la sua carità verso i poveri ed i malati. – più tardi lasciò un certo numero dei suoi a Tittmoning per andare a mettersi alla testa di una parrocchia e di un decanato a San Giovanni, in Leogenia, vallata del Tirolo, sulla strada da Innsbruck e Salzbourg, il giorno della Purificazione della Santa Vergine, nell’anno 1642. Come sempre fece ogni sforzo per mettere tutto nel migliore ordine possibile, insegnando la dottrina cristiana ai bambini ed anche agli adulti, visitando le scuole, e non ometteva nulla per ristabilire la disciplina ecclesiastica. Per questo non tardò a riconciliarsi la stima di tutti gli abitanti del luogo. – Avendo osservato quanto importante fosse che i giovani destinati allo stato ecclesiastico venissero imbevuti di solidi principi e virtù cristiane, fece in modo da stabilire dei seminari ove potessero formarsi sacerdoti esemplari. Il primo dei suoi seminari fu fondato nell’anno 1643 a Salzbourg; più tardi per gravi motivi fu trasportato ad Ingolstadt nell’anno 1649. Nel contempo stabilì il suo istituto a Augsbourg, a Gerlande, poi a Ratisbona, dopo avere ottenuto un’approvazione a Roma con l’appoggio del duca Massimiliano di Baviera, del quale ricevette la seguente lettera nell’anno 1646: « È della divina bontà il suscitare sacerdoti il cui unico scopo è quello di procurare alla Chiesa degli uomini che, vivendo secondo le regole dei santi Canoni e della disciplina ecclesiastica, si dedichino interamente e con cuore puro, alle funzioni sacerdotali; e che vegliando su se stessi, cercando di perfezionarsi, lavorino sinceramente alla gloria di Dio ed alla salvezza delle anime. » E per giungere a questo scopo Barthélemi prescrisse tre cose: la coabitazione e la conversazione fraterna, l’allontanamento delle donne e la comunità dei beni. Tuttavia, non fu che nel gennaio 1670 che ricevette dalla sacra congregazione dei Vescovi e regolari, l’approvazione desiderata, nei termini seguenti: « Questa pia e santa istituzione non ha bisogno di approvazione, poiché non prescrive null’altro di ciò che si praticava nel clero della Chiesa primitiva. » – Nella carestia che afflisse il Tirolo verso l’anno 1649, lavorò con grande successo nell’alleviare i bisognosi. Dopo avere esercitato il santo ministero per dieci anni nella vallata di Leogenia, si trovò in una gran penuria per la sua casa per la soppressione delle decime ed a causa dell’aggravio delle imposte straordinarie. Lungi dal lasciarsi abbattere, questo venerabile servo di Dio non trovò che uno stimolante in queste probe, e si rimisero, egli ed i suoi, tra le mani della divina provvidenza. – Come ricompensa della sua fedeltà e pazienza, Dio dispose gli avvenimenti in tal sorta che Barthélemi potette lasciare queste montagne ove il suo nome è ancora benedetto, per traferirsi nella Franconia e nei dintorni di Maienza. L’anno 1654, fece fondare dai suoi, un seminario a Wurzbourg; e su invito dell’elettore di Maienza, che lo ammise più tardi nella sua intimità, divenne curato e decano a Bingen sul Reno. – Quando Carlo, re d’Inghilterra, che si trovava allora esiliato in Germania, si disponeva a tornare in patria, colpito dalla reputazione di Barthélemi che aveva predetto cose strabilianti in Inghilterra, mostrò un gran desiderio di vederlo, discendendo il Reno. Avendolo dunque fatto chiamare, si intrattenne con lui per un’ora per ascoltare dalla sua bocca ciò che prediceva del suo reame e del proprio regno. Questo servo di Dio aveva predetto che questo reame si sarebbe ridotto nelle più grandi miserie; che il re non sarebbe stato risparmiato; ma che dopo il ritorno della pace gli Inglesi, convertiti alla fede cattolica, avrebbero fatto per la Chiesa più di quanto non avessero fatto dopo la loro prima conversione. Ora non deve passare sotto silenzio che dall’anno 1658, l’esercizio della Religione Cattolica fosse proibito in questa isola sotto pena di morte; e che questo decreto fu in seguito abolito nel 1778. È quello che Barthélemi aveva annunziato in maniera ammirabile nell’anno 1635, nei seguenti termini: et intellexi juge sacrificium centum et viginti annis ablatum esse. « Ho inteso che il Sacrificio eterno sarebbe stato soppresso per centoventi anni. » È impossibile il dire quanto desiderasse questa conversione. Nulla aveva più a cuore che andare egli stesso, disprezzando ogni pericolo per la sua vita, a cominciare questa opera. Tuttavia, ne fu impedito, malgrado lui, dalle cure che dovette dare alla sua parrocchia ed alle scuole latine che egli stava per aprire a Bingen, per il maggior vantaggio degli abitanti di questa città e dei luoghi circostanti. – Nel mentre era occupato ad adempiere ai suoi doveri del buon pastore, prodigando ai suoi collaboratori ed ai suoi istituti tutte le sollecitudini di un padre, fu colpito da una febbre mortale, e levando gli occhi verso il cielo, girato verso i suoi che piangevano e pregavano, spirò il 20 maggio 1658 nel 45mo anno di vita, diciannovesimo del suo sacerdozio e 18 anni dopo la fondazione del suo istituto. Il suo corpo riposa nella chiesa parrocchiale di Bingen davanti all’altare della santa croce, in una tomba chiusa che porta questo apitaffio: « Venerabilis vir Dei servus Bartholomæus Holzhauser, SS. Theologiæ Licentiatus, Ecclesiæ Bigensis pastor et decanus, Vitæ Clericorum sæcularium in communi viventium in superiore Germania restitutor, obiit anno 1658, die Maji 20. »  – Oltre alle virtù ammirabili della sua giovinezza che portò in seguito ai gradi più alti di perfezione nella sua carriera ecclesiastica, Holzhauser era dotato di una scienza profonda e favorita dal dono della profezia; ecco ciò che nessuno negherà. Ce ne possiamo convincere dalle sue opere delle quali molte ci sono rimaste, e più particolarmente la sua interpretazione dell’Apocalisse, di cui diamo qui la traduzione francese. Si noterà in quest’opera una singolare ed ammirabile connessione dei tempi e degli avvenimenti, stabilenti o manifestanti il più bel sistema generale di tutta la Chiesa, estesa dalle sue origini fino alla consumazione dei secoli. Egli scriveva questa interpretazione nel Tirolo, mentre era afflitto dalle prove più grandi, passando così le sue giornate interamente nel digiuno e nella preghiera, separato da ogni commercio con gli uomini. Siccome egli non terminò la sua opera e non interpretò l’Apocalisse che fino al quindicesimo capitolo, i suoi sacerdoti ne chiesero la ragione: egli rispose loro che non sentiva più l’ispirazione, che non poteva continuare (Parve a Dio, per ragioni particolari, che volesse riservare il resto dei suoi segreti ad un’altra epoca). Poi aggiunse che qualcuno si sarebbe occupato più tardi della sua opera e l’avrebbe completata. – Questo è il compendio che diamo della vita di Holzhauser, affinché non sembrasse che volessimo nascondere al lettore quanto piacque alla divina bontà di assistere gli uomini di buona volontà nei tempi più difficili. Egli visse in mezzo agli orrori della guerra dei 30 anni che durò dal 1614 al 1648. – Noi non pretendiamo di elevarci sopra il giudizio degli uomini; e ci sottomettiamo con reverenza filiale alla santa Chiesa Romana in tutto ciò che potrebbe essere giudicato da Essa circa quest’opera. Quanto al secolo presente, cosa dobbiamo attenderci da esso? Ahimè! Siccome ogni carne ha corrotto le sue vie, e lo spirito ha orrore di tutto ciò che non colpisce gradevolmente i sensi, possiamo prevenire in anticipo il giudizio del mondo. Tuttavia, tutti gli uomini non pensino come il secolo, e si sappia che è piaciuto alla divina provvidenza il suscitare degli uomini eminenti per il loro talento e la loro pietà per eccitare gli altri alla penitenza ed alla pazienza con l’esempio e la parola. Noi non ignoriamo quanti uomini, toccati dalla storia e dall’esempio dei Maccabei hanno trovato nella Scrittura coraggio e consolazioni. Chi oserà dunque farci un rimprovero per esserci sforzati nel soccorrere i nostri fratelli in questi tempi pieni di prove rudi e calamità. Non sempre ci è stato permesso, né sempre lo sarà, il dare il pane a coloro che hanno fame, e acqua agli assetati, quando il medico lo permette o lo ordina? – Noi dunque ti preghiamo, caro lettore di accogliere con benevolenza il nostro umile lavoro, e ti auguriamo ogni specie di prosperità per il corpo e per l’anima. Addio, dunque, e tutto ti sia propizio!

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (II)