DOMENICA V DOPO PENTECOSTE (2021)
(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B.; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)
Semidoppio. – Paramenti venti.
La liturgia di questa Domenica è consacrata al perdono delle offese. La lettura evangelica mette in risalto questa lezione non meno che quella d’un passo delle Epistole di S. Pietro, la cui festa è celebra in questo tempo: infatti la settimana della V Domenica di Pentecoste era in altri tempi detta settimana dopo la festa degli Apostoli.
Quando David riportò la sua vittoria su Golia, il popolo d’Israele ritornò trionfante nelle sue città e al suono dei tamburi cantò: «Saul ha ucciso mille e David diecimila! ». Il re Saul allora si adirò e la gelosia lo colpì. Egli pensava: « Io mille e David diecimila: David è dunque superiore a me? Che cosa gli manca ormai se non d’essere re al mio posto? » Da quel giorno lo guardò con occhio malevolo come se avesse indovinato che David era stato scelto da Dio. Così la gelosia rese Saul cattivo. Per due volte mentre David suonava la cetra per calmare i suoi furori, Saul gli lanciò contro il giavellotto e per due volte David evitò il colpo con agilità, mentre il giavellotto andava a conficcarsi nel muro. Allora Saul lo mandò a combattere, sperando che sarebbe rimasto ucciso. Ma David vittorioso tornò sano e salvo alla testa dell’esercito. Saul allora ancor più perseguitò David. Una sera entrò in una caverna profonda e scura, ove già si trovava David. Uno dei compagni disse a quest’ultimo: « È il re. Il Signore te lo consegna, ecco il momento di ucciderlo con la tua lancia ». Ma David rispose: « Io non colpirò giammai colui che ha ricevuto la santa unzione e tagliò solamente con la sua spada un lembo del mantello di Saul e uscì. All’alba mostrò da lontano a Saul il lembo del suo mantello. Saul pianse e disse: « Figlio mio, David, tu sei migliore di me ». Un’altra volta ancora David lo sorprese di notte addormentato profondamente, con la lancia fissata in terra, al suo capezzale e non gli prese altro che la lancia e la sua ciotola. E Saul lo benedisse di nuovo; ma non smise per questo di perseguitarlo. Più tardi i Filistei ricominciarono la guerra e gli Israeliti furono sconfitti; Saul allora si uccise gettandosi sulla spada. Quando apprese la morte di Saul non si rallegrò ma, anzi, si stracciò le vesti, fece uccidere l’Amalecita che, attribuendosi falsamente il merito di avere ucciso il nemico di David, gli annunciò la morte apportandogli la corona di Saul, e cantò questo canto funebre: « O montagne di Gelboe, non scenda più su di voi né rugiada, né pioggia, o montagne perfide! Poiché su voi sono caduti gli eroi di Israele, Saul e Gionata, amabili e graziosi, né in vita, né in morte non furono separati l’uno dall’altro » (Bisogna riaccostare questo testo a quello nel quale la Chiesa dice, in questo tempo, che S Pietro e S. Paolo sono morti nello stesso giorno). – Da tutta questa considerazione nasce una grande lezione di carità, poiché come David ha risparmiato il suo nemico Saul e gli ha reso bene per male, così Dio perdona anche ai Giudei; non ostante la loro infedeltà, è sempre pronto ad accoglierli nel regno ove Cristo, loro vittima, è il Re. Si comprende allora la ragione della scelta dell’Epistola e del Vangelo di questo giorno: predicano il grande dovere del perdono delle ingiurie « Siate dunque uniti di cuore nella preghiera, non rendendo male per bene, né offesa per offesa » dice l’Epistola. « Se tu presenti la tua offerta all’altare, dice il Vangelo, e ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia la tua offerta davanti all’altare, e va prima a riconciliarti con tuo fratello ». — David, unto re di Israele, dagli anziani a Ebron, prende la cittadella di Sion che divenne la sua città, e vi pose l’arca di Dio nel santuario (Com.). Fu questa la ricompensa della sua grande carità, virtù indispensabile perché il culto degli uomini nel santuario sia gradito a Dio (id.). Ed è per questo che l’Epistola e il Vangelo ribadiscono che è soprattutto quando noi ci riuniamo per la preghiera che dobbiamo essere uniti di cuore. Senza dubbio la giustizia di Dio ha i suoi diritti, come lo mostrano la storia di Saul e la Messa di oggi, ma se esprime una sentenza, che è un giudizio finale, è soltanto dopo che Dio ha adoperato tutti i mezzi ispirati dal suo amore. Il miglior mezzo per arrivare a possedere questa carità è d’amare Dio e di desiderare 1 beni eterni (Or.) e il possesso della felicità (Epist.) nella dimora celeste (Com.), ove non si entra se non mediante la pratica continua di questa bella virtù.
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Ps XXVI: 7; 9 Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te: adjútor meus esto, ne derelínquas me neque despícias me, Deus, salutáris meus.
[Esaudisci, o Signore, l’invocazione con cui a Te mi rivolgo, sii il mio aiuto, non abbandonarmi, non disprezzarmi, o Dio mia salvezza.].
Ps XXVI: 1 Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timébo?
[Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò?]
Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te: adjútor meus esto, ne derelínquas me neque despícias me, Deus, salutáris meus.
[Esaudisci, o Signore, l’invocazione con cui a Te mi rivolgo, sii il mio aiuto, non abbandonarmi, non disprezzarmi, o Dio mia salvezza.].
Oratio
Orémus.
Deus, qui diligéntibus te bona invisibília præparásti: infúnde córdibus nostris tui amóris afféctum; ut te in ómnibus et super ómnia diligéntes, promissiónes tuas, quæ omne desidérium súperant, consequámur.
[O Dio, che a quanti Ti amano preparasti beni invisibili, infondi nel nostro cuore la tenerezza del tuo amore, affinché, amandoti in tutto e sopra tutto, conseguiamo quei beni da Te promessi, che sorpassano ogni desiderio.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet III: 8-15
“Caríssimi: Omnes unánimes in oratióne estóte, compatiéntes, fraternitátis amatóres, misericórdes, modésti, húmiles: non reddéntes malum pro malo, nec maledíctum pro maledícto, sed e contrário benedicéntes: quia in hoc vocáti estis, ut benedictiónem hereditáte possideátis. Qui enim vult vitam dilígere et dies vidére bonos, coérceat linguam suam a malo, et lábia ejus ne loquántur dolum. Declínet a malo, et fáciat bonum: inquírat pacem, et sequátur eam. Quia óculi Dómini super justos, et aures ejus in preces eórum: vultus autem Dómini super faciéntes mala. Et quis est, qui vobis nóceat, si boni æmulatóres fuéritis? Sed et si quid patímini propter justítiam, beáti. Timórem autem eórum ne timuéritis: et non conturbémini. Dóminum autem Christum sanctificáte in córdibus vestris.”
“Carissimi: Siate tutti uniti nella preghiera, compassionevoli, amanti dei fratelli, misericordiosi, modesti, umili: non rendete male per male, né ingiuria per ingiuria, ma al contrario benedite, poiché siete stati chiamati a questo: a ereditare la benedizione. In vero, chi vuole amare la vita e vedere giorni felici raffreni la sua lingua dal male e le sue labbra dal tesser frodi. Schivi il male e faccia il bene, cerchi la pace e si sforzi di raggiungerla. Perché gli occhi del Signore sono rivolti al giusto e le orecchie di lui alle loro preghiere. Ma la faccia del Signore è contro coloro che fanno il male. E chi potrebbe farvi del male se sarete zelanti del bene! E arche aveste a patire per la giustizia, beati voi! Non temete la loro minaccia, e non vi turbate: santificate nei vostri cuori Gesù Cristo”.
Anche l’Epistola di quest’oggi è tolta dalla I. lettera di S. Pietro. È naturale che, scrivendo ai Cristiani dispersi dell’Asia minore, tenga sempre presente la condizione in cui si trovano: sono pochi fedeli tra numerosi pagani, e sono sotto la persecuzione di Nerone. Come devono diportarsi? devono vivere in stretta unione fra di loro, mediante la misericordia, la compassione, la condiscendenza; essendo stati chiamati al Cristianesimo a render bene per male, affinché abbiano per eredità la benedizione celeste. Non trattino con la stessa misura quelli che fanno loro del male. La vita felice è per chi raffrena la lingua, evita il male e procura di aver pace con il prossimo. Del resto i giusti non sono abbandonati dal Signore, e nessuno può loro nuocere, se sono zelanti del bene. Quanto alla persecuzione, beati loro se hanno a soffrire qualche cosa per la religione cristiana. Siano, quindi, calmi, senza ombra di timore: onorino, invece, e temano Gesù Cristo. Anche noi, dobbiamo procurare di vivere una vita felice, per quanto è possibile tra le miserie e le persecuzioni di questo mondo. Sforziamoci di vivere in pace, ciò che ci è possibile con l’aiuto di Dio, anche tra le tempeste di quaggiù.
[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1929]
Graduale
Ps LXXXIII: 10; 9
Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice super servos tuos.
[O Dio, nostro protettore, volgi il tuo sguardo a noi, tuoi servi]
V. Dómine, Deus virtútum, exáudi preces servórum tuórum. Allelúja, allelúja
[O Signore, Dio degli eserciti, esaudisci le preghiere dei tuoi servi. Allelúia, allelúia]
Alleluja
Ps XX: 1
Alleluja, alleluja Dómine, in virtúte tua lætábitur rex: et super salutáre tuum exsultábit veheménter. Allelúja.
[O Signore, nella tua potenza si allieta il re; e quanto esulta per il tuo soccorso! Allelúia].
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt. V: 20-24
“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Nisi abundáverit justítia vestra plus quam scribárum et pharisæórum, non intrábitis in regnum coelórum. Audístis, quia dictum est antíquis: Non occídes: qui autem occídent, reus erit judício. Ego autem dico vobis: quia omnis, qui iráscitur fratri suo, reus erit judício. Qui autem díxerit fratri suo, raca: reus erit concílio. Qui autem díxerit, fatue: reus erit gehénnæ ignis Si ergo offers munus tuum ad altáre, et ibi recordátus fúeris, quia frater tuus habet áliquid advérsum te: relínque ibi munus tuum ante altáre et vade prius reconciliári fratri tuo: et tunc véniens ófferes munus tuum.”
(In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli: Se la vostra giustizia non sarà stata più grande di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli. Avete sentito che è stato detto agli antichi: Non uccidere; chi infatti avrà ucciso sarà condannato in giudizio. Ma io vi dico che chiunque si adira col fratello sarà condannato in giudizio. Chi avrà detto a suo fratello: raca, imbecille, sarà condannato nel Sinedrio. E chi gli avrà detto: pazzo; sarà condannato al fuoco della geenna. Se dunque porti la tua offerta all’altare e allora ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta all’altare e va prima a riconciliarti con tuo fratello, e poi, ritornato, fa la tua offerta).
Omelia
[da: DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933.
Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.
Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.
Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.]
Sul secondo Comandamento di Dio. Non nominare il nome di Dio invano.
Fa gran meraviglia, F. M., che Dio sia obbligato a farci un comando per proibirci di profanare il suo santo Nome. È possibile concepire che vi possano essere Cristiani i quali si abbandonino talmente al demonio, da diventare nelle sue mani strumento per maledire un Dio sì buono e sì benefico? E possibile che una lingua, consacrata a Dio nel santo Battesimo, bagnata tante volte dal suo Sangue adorabile, sia adoperata per maledire il suo Creatore? Potrebbe fare una cosa simile chi crede davvero che Dio non gliel’ha data che per benedirlo e cantare le sue lodi? Voi converrete meco che questo è un delitto spaventoso che sembra costringere Dio a schiacciarci con ogni sorta di sventure, e ad abbandonarci al demonio, al quale obbediamo con tanto zelo. Questo delitto fa rizzare i capelli a chiunque non abbia ancor perduto interamente la fede. Tuttavia, malgrado la gravità di questo peccato, malgrado il suo orrore e la sua atrocità, vi è forse un peccato più comune del giuramento, della bestemmia, dell’imprecazione, della maledizione? Non abbiamo forse il dolore di sentire spesso uscire dalla bocca di fanciulli, che non sanno ancora bene il Pater noster, bestemmie così enormi da attirare ogni sorta di maledizioni su una parrocchia? Io vi mostrerò adunque, F. M., che cosa s’intenda per giuramento, per bestemmia, rinnegazione, imprecazione e maledizione. E voi intanto dormite, dormite profondamente mentre io parlo, affinché nel giorno del giudizio abbiate la scusa di aver fatto il male senza sapere cosa facevate, e la vostra ignoranza sia il solo motivo della vostra condanna.
I. — Per farvi comprendere la gravità di questo peccato, bisognerebbe, ch’io potessi farvi comprendere la gravità dell’oltraggio ch’esso arreca a Dio; ciò che non sarà mai dato a un essere mortale. No. M. F., non c’è che l’inferno, non c’è che la collera, la potenza e il furore di un Dio, tutti adunati sopra quei mostri infernali, che possano far comprendere la grandezza della sua atrocità. No, no, F. M., più innanzi: per questo peccato ci vuole davvero un inferno eterno. D’altra parte, non è il mio assunto: io voglio soltanto farvi conoscere la differenza che passa tra il giuramento, la bestemmia, la rinnegazione, l’imprecazione, la maledizione e le parole grossolane. Molti le confondono e prendono una cosa per l’altra; ragione per cui non si confessano quasi mai, come si deve, e si espongono perciò a far cattive confessioni e, per conseguenza, a dannarsi.
Il secondo comandamento, suona così: “Non usare invano il Nome del Signore tuo Dio, „ come se il Signore ci dicesse: “Io vi ordino e vi comando di riverire questo Nome, perché santo e adorabile; Io vi proibisco di profanarlo, adoperandolo per autorizzare l’ingiustizia, la menzogna, o anche la verità, ma quando non c’è una ragione sufficiente, „ e Gesù Cristo ci dice di non giurare assolutamente. Io dico in primo luogo, che le persone poco istruite, confondono spesso la bestemmia col giuramento. Uno sciagurato, in un momento di collera, o, meglio, di furore, dirà: “Dio non è giusto facendomi soffrire o perdere questa cosa.„ Con ciò egli ha rinnegato il buon Dio; eppure s’accuserà dicendo: “Padre, mi accuso d’aver giurato, „ invece si tratta di una bestemmia, non di un giuramento. Uno sarà falsamente accusato di un fallo, che non ha commesso: per giustificarsi dirà: “Se io ho fatto ciò, ch’io non vegga la faccia di Dio in eterno,,. Non è un giuramento, ma un’orribile imprecazione. Ecco due peccati non meno gravi del giuramento. Un altro che avrà dato al suo vicino del ladro o del furfante, s’accuserà « d’aver giurato dietro al suo vicino. » Ora, ciò non è un giurare, ma un ingiuriarlo. Un altro, dirà parole sconce e disoneste, e si accuserà “d’aver detto cattive espressioni.„ V’ingannate; bisogna confessare che avete detto delle oscenità. Ecco, F. M., che cosa è il giuramento: è un prendere il buon Dio per testimonio di ciò che si dice o promette; e lo spergiuro è un giuramento falso, cioè quando si giura per garantire una menzogna. Il Nome del buon Dio è sì santo, sì grande, sì adorabile che gli Angeli e i santi, ci dice S. Giovanni, non fanno altro in cielo che cantare: « Santo, santo, santo il Dio degli eserciti: sia benedetto il suo Nome per tutti i secoli dei secoli ! » Quando la santa Vergine andò a visitare la cugina Elisabetta e questa santa le disse: “Quanto sei tu fortunata di essere stata eletta Madre di Dio, „ la santa Vergine le rispose: « Colui che è onnipotente e il Nome del quale è santo, ha operato in me grandi cose. „ Noi dovremmo adunque, F. M., aver gran rispetto per il Nome del buon Dio e non pronunciarlo mai se non colla massima venerazione, e molto meno pronunciarlo invano. S. Tommaso ci dice che pronunciare il Nome di Dio invano, è un peccato grave; e che non è un peccato come gli altri. Negli altri peccati la leggerezza della materia può diminuire l’atrocità e la malizia, e, bene spesso ciò che per sua natura sarebbe peccato mortale non è che veniale; come il furto, che è un peccato mortale; ma se si tratta di poca cosa, come due o tre soldi, non sarà che veniale. La collera e la gola sono peccati mortali, ma una piccola collera o una piccola golosità sono semplicemente veniali. Non è così per il giuramento: qui più la materia è leggiera più la profanazione è grande! (Ogni bestemmia ha in sé la materia d’un peccato mortale, perché essa è un’ingiuria alla Maestà divina, e questa ingiuria non ammette parvità di materia per ragione della sovrana dignità di Dio. Il peccato adunque non può diventar veniale se non per difetto d’attenzione o di consenso). Perché? Perché più leggiera è la materia, e più grande è la profanazione. Se uno pregasse il re di fargli da testimonio in una sciocchezza, non sarebbe un burlarsi dì lui e un disprezzarlo? Il buon Dio ci dice che chi giurerà nel suo Nome sarà rigorosamente punito. Leggiamo nella santa Scrittura che, ai tempi di Mosè, c’erano due uomini, di cui uno giurò nel Nome santo del Signore. Subito fu preso e condotto a Mosè, il quale domandò al Signore che cosa dovesse farne. E il Signore gli disse di condurlo in un campo e comandare a tutti quelli ch’erano stati testimoni di questa bestemmia di mettergli la mano sul capo e ucciderlo, per togliere questo bestemmiatore di mezzo al suo popolo (Lev. XXIV, 14). Lo Spirito Santo ci dice ancora che la casa di chi è avvezzo a giurare sarà piena di iniquità e non ne uscirà la maledizione fin che non sia distrutta (Eccli. XXIII, 12). Il Nostro Signore Gesù Cristo ci dice nel Vangelo di non giurare ne per il cielo né per la terra, poiché né l’uno né l’altra ci appartengono. Quando vorrete assicurare gli altri di una cosa, dite: “È così, o non è così; sì o no; l’ho fatto o non l’ho fatto; il di più vien tutto dal demonio (Matth. V, 34-37).„ D’altra parte chi ha l’abitudine di giurare è di solito impetuoso, attaccato al proprio giudizio, e giura sempre, per la verità come per la menzogna. — Ma. si dirà, se non giuro, non mi si crede. — V’ingannate; non si crede mai così poco come a uno che giura, perché ciò fa supporre in lui nessuna Religione, e chi non ha religione non è degno di esser creduto. Ci sono alcuni che non sanno vendere la minima cosa senza giurare, quasi che il loro giuramento facesse diventar buona la loro merce. Quando si vede un mercante che, per vendere, giura, bisogna pensar subito ch’egli non ha fede, e quindi mettersi in guardia per non lasciarsi ingannare. I suoi giuramenti fanno orrore e non gli si crede. Invece se uno non giura, noi crederemo a ciò che dice. – Leggiamo nella storia un esempio riportato dal cardinale Bellarmino, il quale ci mostra come il giuramento non giova a niente. C’erano in Colonia, dice egli, due mercanti che pareva non potessero vendere senza giurare. Il loro pastore li esortò fortemente a lasciare quest’abitudine assicurandoli che, ben lungi dal perderci, ci avrebbero guadagnato molto. Essi seguirono il suo consiglio. Ma, per qualche tempo, non vendettero molto. Allora andarono a trovare il loro pastore e gli dissero che non vendevano tanto quanto egli aveva fatto loro sperare. Il pastore disse loro: « Abbiate pazienza, miei figliuoli: siate sicuri che Dio vi benedirà. „ Infatti, dopo qualche tempo il concorso fu sì grande che pareva dessero la merce per niente. Essi stessi riconoscevano che il buon Dio li benediceva in un modo particolare. — Lo stesso cardinale ci dice che c’era una buona madre di famiglia che aveva una gran abitudine di giurare: a forza di farle capire quanto questi giuramenti erano indegni d’una madre e che ella non faceva altro che attirare la maledizione di Dio sulla sua casa, riuscì a correggersi completamente; e allora confessò ella stessa che, da quando aveva perduta questa cattiva abitudine, vedeva che tutto le riusciva bene e che Dio la benediceva in modo affatto particolare. Volete voi, F. M., esser felici nella vostra vita e che Dio benedica le vostre case? Guardatevi dal giurare e vedrete che tutto vi riuscirà bene. Iddio ci dice che, sulla casa in cui regnerà il giuramento, piomberà la maledizione del Signore e la distruggerà. E perché, M. F., v’abbandonerete al giuramento, se il buon Dio lo proibisce sotto pena di renderci infelici in questa vita e riprovarci nell’altra? Ahimè! come conosciamo poco ciò che facciamo! Ebbene: lo conosceremo un giorno; ma troppo tardi! In secondo luogo, dico che vi è un giuramento anche più cattivo, ed è quando al giuramento si aggiungono parole di esecrazione, cosa che fa tremare; come gli sciagurati che dicono: “Se ciò che dico non è vero, ch’io non vegga la faccia di Dio in eterno! „ Ah! disgraziati! voi rischiate purtroppo di non vederla mai. Altri dicono: “Se ciò non è vero, ch’io perda il mio posto in paradiso! Dio mi danni! o che il demonio mi porti via ! … „ Ah! vecchio indurito! il demonio ti porterà con sé purtroppo, senza che tu ti dia anticipatamente a lui. Quanti altri hanno sempre il demonio in bocca, alla minima cosa che non vada loro a genio. – Diavolo d’un ragazzo!… diavolo d’una bestia!… diavolo d’un lavoro!… „ Ahimè! chi ha sì spesso il demonio in bocca, c’è ben da temere l’abbia anche nel cuore. Quanti altri non sanno che dire : “Si, per fede mia!… no, in fede mia! … cane d’un ragazzo!… „ oppure anche: “In verità!… sulla mia coscienza!… sulla mia fede di Cristiano!… „ C’è un’altra specie di giuramenti, di maledizioni, che nessuno pensa di confessare, e sono quelli che si fanno in cuore. C’è di quelli che credono che, perché non lo dicono con la bocca, non ci sia niente di male. Ma v’ingannate assai, amici miei. Avviene che qualcuno faccia qualche danno alle nostre terre o altrove qualche guasto? Voi imprecate loro nel vostro cuore, e li maledite dicendo: « Almeno il diavolo se li portasse via!… che il fulmine li schiacci!… che queste rape o quelle patate li avvelenino mentre le mangiano!… „ E questi pensieri li conservate a lungo nei vostri cuori! E credete forse che, perché non li manifestate con la bocca, non siano nulla! Sono peccati gravi, miei amici, e bisogna pur che ve ne confessiate, altrimenti andrete perduti! Ahimè! quanto pochi conoscono lo stato della loro povera anima, quale apparisce agli occhi di Dio! In terzo luogo, ci sono altri, ancor più colpevoli, i quali giurano non solo per cose vere, ma anche per cose false. Ah! se voi poteste comprendere quanto la vostra empietà disprezza allora Iddio, non avreste, certo, mai il coraggio di commetterla. Voi vi comportate allora con Dio, come un vile schiavo che dica al suo re: « Sire, è necessario che mi facciate da falso testimonio. » Ciò non vi fa orrore, M. F.? Il Signore ci dice nella santa Scrittura: « Siate santi, poiché Io sono santo. Non mentite, non ingannate il prossimo, non spergiurate prendendo il nome del Signore vostro Dio a testimoniare una menzogna; non profanate il nome del Signore. » S. Giovanni Crisostomo ci dice: « Se è già un gran peccato giurare per una cosa vera, quale sarà la gravità del delitto di colui che giura il falso, per garantire la menzogna? » Lo Spirito Santo ci dice che il bugiardo perirà. Il profeta Zaccaria ci assicura che la maledizione verrà sulla casa di colui che giurerà il falso, e vi resterà finche quella casa sia abbattuta e distrutta. – S. Agostino ci dice che lo spergiuro è un grave delitto, una bestia feroce che fa uno strazio spaventoso. E ciò che rende ancor più grave questo peccato è che ci son di quelli che, al falso giuramento, aggiungono una bestemmia d’imprecazione. « Se ciò non è vero ch’io non vegga la faccia di Dio in eterno!… che Dio mi danni!… che il demonio mi porti via! … » Ah! sciagurati! se il buon Dio v’avesse preso in parola, dove sareste voi ora? Da quanti anni non brucereste nell’inferno! Dite, F. M., è possibile concepire che un Cristiano possa rendersi colpevole d’un tal delitto, di una così grande mostruosità? O mio Dio! Un verme della terra spingere la sua barbarie a un tal eccesso? No, no, F. M., ciò è assolutamente inconcepibile in un Cristiano. Dovete altresì esaminarvi se abbiate avuto l’intenzione di giurare semplicemente, ovvero di giurare il falso, e quanti giorni abbiate mantenuto questo pensiero; vale a dire quanto tempo siete stati nella disposizione di farlo. Buona parte dei Cristiani a questo non bada neppure, sebbene sia un peccato grave. — Ma, mi direte voi, è vero che ci avevo pensato, ma non l’ho fatto. — Voi non l’avete fatto, ma il vostro cuore sì; e, poiché siete ancora nella disposizione di farlo, voi siete colpevole dinanzi a Dio. Ahimè! Povera religione! quanto poco sei conosciuta! Abbiamo nella storia un esempio terribile del castigo che spetta a coloro che giurano il falso. Ai tempi di S. Narciso, vescovo di Gerusalemme, tre giovani libertini, che s’abbandonavano alla disonestà, calunniarono orribilmente il loro santo Vescovo, accusandolo dei loro propri delitti, nella speranza che egli non avrebbe osato riprenderli delle colpe loro. Si presentarono davanti ai giudici dicendo che il Vescovo aveva commesso tale peccato. Il primo disse: « Se ciò non è vero, ch’io possa esser soffocato! „ Il secondo: « Se ciò non è vero, ch’io possa esser bruciato vivo! » Il terzo: « Se ciò non è vero, ch’io perda la vista! » — Ahimè! la giustizia di Dio non tardò a punirli: il primo fu davvero soffocato e morì miseramente; il secondo bruciò vivo nella sua casa, incendiata da un razzo di fuochi d’artifizio durante una festa che si faceva in città; il terzo, benché punito, fu meno infelice degli altri: egli riconobbe il proprio fallo, ne fece penitenza e ne pianse tanto che perdette la vista. — Un altro esempio, non meno terribile. Leggiamo nella storia: essendo re d’Inghilterra S. Edoardo, il conte Gondevino, suo suocero, era sì geloso e orgoglioso che non voleva soffrire alcuno vicino al re. Il re un giorno gli rinfacciò ch’egli aveva partecipato alla morte di suo fratello. « Se ciò è vero, rispose il conte, che questo boccon di pane mi soffochi. „ Il re prese il pane e lo benedisse senza dubitare di nulla. L’altro mangiò; ma il boccone gli si fermò in gola, lo soffocò, sicché lo spergiuro morì sull’istante. — Dopo questi terribili esempi, convenite meco, F. M., che questo peccato dev’essere ben mostruoso agli occhi di Dio, se Egli lo punisce così terribilmente. Ci sono anche padri e madri, padroni e padrone che hanno sempre in bocca di queste frasi: “Carogna d’un ragazzo!… bestia!… imbecille!… crepa una buona volta, finirai di tormentarmi!… Vorrei esser lontano da te le mille miglia!… Dio ti castighi una buona volta!… „ e aggiungono alle imprecazioni i titoli più sconciamente offensivi, applicandoli alle persone contro cui sono dirette, anche le più care. Sì, F . M., ci sono genitori sì poco Cristiani, che hanno sempre in bocca queste parole. Ahimè! quanti poveri figliuoli sono deboli e infermi, intrattabili, viziosi per le maledizioni dei loro padri e delle loro madri! Leggiamo nella storia che una madre disse a un suo figliuolo: « Non creperai mai dunque, o tormento?… » E il povero fanciullo cadde morto a’ suoi piedi. — Un’altra disse a suo figlio: “Che il diavolo ti porti via! „ e il fanciullo disparve senza che alcuno abbia potuto sapere dove fosse andato. Mio Dio! quale sventura per il figlio, quale sventura per la madre! — Nella provincia di Valesia c’era un uomo rispettabilissimo per la sua condotta. Un dì, tornato da un viaggio, chiamò il suo domestico con modo assai sgarbato. « Vieni adunque, gli disse, diavolo d’un servo, levami le calze! „ All’istante le sue calze cominciarono a togliersi senza che alcuno le tirasse. Allora tutto spaventato, cominciò a gridare: ” Via, via di qua, satana; non è te ch’io chiamo, ma il mio servo, „ di modo che il demonio se ne fuggì tosto lasciandolo mezzo scalzo. Questo esempio ci prova, o F . M., come il demonio s’aggiri sempre attorno a noi per ingannarci e perderci, appena se ne presenti l’occasione. È appunto per questo che i primi Cristiani avevano tanto orrore del demonio che non osavano nemmeno pronunciarne il nome. Guardatevi dunque bene anche voi dal pronunciarlo, e dal lasciarlo pronunciare ai vostri figliuoli e ai vostri domestici; quando li sentite, riprendeteli, finché vediate che si sono corretti. Non solo, F. M., è male giurare, ma anche il far giurare gli altri. S. Agostino ci dice che chi è causa per cui uno giuri il falso in testimonio, è più colpevole di chi commetta un omicidio, « perché – egli dice – chi uccide un uomo non uccide che il corpo; chi invece fa giurare a un altro il falso in testimonio, ne uccide l’anima. » Per darvi un’idea della gravità di questo peccato, vi mostrerò tutta la colpa di chi chiami uno in testimonio, mentre prevede che giurerà il falso. Leggiamo nella storia che a Ippona c’era un possidente, buon uomo, ma un po’ troppo attaccato alle cose terrene. Costui volle citare in giudizio uno che gli doveva qualche cosa. Il miserabile giurò il falso, vale a dire che gli doveva niente. La notte seguente, colui che aveva fatto citare l’altro in giudizio per essere pagato, si trovò egli stesso davanti a un tribunale, in cui vide un giudice che gli parlava con voce terribile e minacciosa, domandandogli perché avesse fatto spergiurare quell’uomo; se non sarebbe stato meglio perdere il suo avere che dannare quell’anima; che per quella volta gli faceva la grazia in vista delle sue buone opere; ma che però lo condannava ad essere fustigato con verghe. Infatti, il giorno dopo vide il suo corpo tutto insanguinato. Ma, mi direte voi, se non lo faccio giurare perdo ciò che mi deve. Preferite dunque rovinare la sua anima e la vostra; anziché perdere il vostro danaro? D’altra parte, F. M., potete stare ben certi che se fate un sacrificio per impedire un’offesa a Dio, vedrete che Dio non mancherà di ricompensarvi in altro modo. Tuttavia questo fatto avviene di raro. Piuttosto bisogna guardarsi bene dal far regali o dal sollecitare quelli che devono deporre in giudizio contro di noi a non dire la verità. Rovinereste loro e voi stessi assieme. Se mai l’aveste fatto e foste riuscito con la vostra menzogna a far condannare un innocente, voi sareste obbligati a riparare tutto il male che ne fosse provenuto e a risarcire quelle persone sia nella roba, sia nella riputazione, fin dove potete, senza di che andrete dannati. Bisogna anche vedere se abbiate mai avuto il pensiero di giurare il falso, e quanto tempo avete nutrito questo pensiero. Ci sono alcuni che appunto perché non l’hanno espresso a parole, non lo credono male. Mio caro, benché non l’abbiate espresso, il vostro peccato è commesso, perché siete nella disposizione di farlo. Vedete ancora se non avete mai dato dei mezzi consigli. Uno vi dirà: “Credo d’essere chiamato in giudizio per un tale; tu che ne dici? Avrei intenzione di non dir tutto quello che ho visto por non farlo condannare: l’altro ne ha di più e può pagare. Vedo però che faccio male.„ Voi gli dite: « Oh, questo non è poi gran male! … All’altro sì faresti troppo danno!… „ Se dopo ciò egli giura il falso, e non ha di che risarcire il danno, siete obbligato a risarcirlo voi. Volete sapere, F. M., che cosa dovete fare in giudizio e altrove? Sentite che cosa dice Gesù: « Piuttosto che litigare, se ti domandano il soprabito, dà anche il vestito (S. Matteo, V, 40); meglio così, che questionare. » Ahimè! quanti peccati fa commettere un processo! quante anime i processi fanno dannare per questi giuramenti falsi, per questi odi, per questi inganni, per queste vendette! Ma ecco. F. M., i giuramenti che si fanno più spesso, o piuttosto a ogni muover di ciglio. Quando diciamo qualche cosa a qualcuno e questi non vuol credere, eccoci a giurare e, se occorre, anche con una bestemmia. Da ciò devono guardarsi bene specialmente i padri, le madri, i padroni e le padrone. Spesso i loro figliuoli o i loro domestici commettono qualche sbaglio ed essi vogliono costringerli a confessarlo. I figliuoli e i domestici, per timore di esser battuti o sgridati, giurano quanto volete che non è vero, che non vorrebbero poter più fare un passo se ciò è vero. Non sarebbe meglio non dir niente e soffrire lo sbaglio, anziché farli dannare? D’altra parte, che cosa ci guadagnate? Offendete Dio tutti, e non altro. Quale rimpianto, F. M., se al giorno del giudizio doveste vedere questi poveri fanciulli dannati per una sciocchezza, per una cosa da nulla! – Ci sono altri che promettono e giurano di fare o di dare questa cosa a un altro, senza aver l’intenzione di farlo davvero. Prima di fare una promessa bisogna veder bene se si potrà mantenerla. Prima di promettere non bisogna mai dire: « Se non lo faccio, possa non veder Dio in eterno, possa non muovermi dal mio posto! » Guardatevene bene, F. M., questi sono peccati ancor più orribili di quanto possiate comprendere. Se, p. es., in un accesso di collera, avete promesso di vendicarvi, senza dubbio non siete obbligati a farlo; anzi dovete domandarne perdono a Dio. Lo Spirito Santo ci dice che chi giurerà sarà punito.
II — 1° Se voi mi domandate che cosa s’intende per questa parola ” bestemmia „ F. M., questo peccato è sì orribile, che non parrebbe vero che un Cristiano possa aver la forza di commetterlo. “Bestemmia„ è una parola che significa “maledire e detestare una bontà infinita, „ ciò che indica che questo peccato colpisce direttamente Dio. S. Agostino ci dice: – Noi bestemmiamo quando attribuiamo a Dio qualche cosa che non ha o non gli conviene, o gli togliamo ciò che gli conviene o, finalmente, quando si attribuisce a se stessi ciò che conviene a Dio, e non è dovuto che a Lui solo. Dunque noi bestemmiamo: 1° quando diciamo che Dio non è giusto, perché fa sì che ci siano alcuni tanto ricchi che hanno tutto in abbondanza, mentre tanti altri sono sì poveri che hanno a mala pena un tozzo di pane: — 2° ch’Egli non è buono, come si dice, poiché lascia tanti nel disprezzo e nelle infermità, mentre altri sono amati e rispettati da tutti; — 3° ovvero dicendo che Dio non vede tutto, non bada a ciò che avviene sulla terra; — 4° o anche dicendo: « Se Dio usa misericordia al tale, non è giusto: ne ha fatte troppe; „ — 5° ovvero quando subiamo qualche danno e ce la prendiamo con Dio, dicendo: « Ah! me infelice! Dio non può farmene di più! Credo ch’Egli non sa ch’io sono al mondo, o, se lo sa, non è che per farmi soffrire. » Parimente è bestemmia ridersi della Vergine e dei Santi, dicendo: « Oh! non hanno gran potere! io ho fatte molte preghiere e non ne ho ottenuto mai nulla!! » S. Tommaso ci dice ancora che la bestemmia è una parola ingiuriosa, oltraggiosa contro Dio o contro i Santi; ciò che si può fare in quattro modi: 1° Per affermazione, dicendo: « Dio è ingiusto e crudele permettendo ch’io soffra tanti mali, che mi si calunni in questo modo, che mi si faccia perdere questo danaro o questo processo. Ah, me infelice! tutto va male in casa mia e non ho nulla, mentre agli altri riesce tutto bene e abbondano » 2° Si bestemmia dicendo che Dio non è Onnipotente, e che potranno fare qualunque cosa senza di Lui. Fu appunto questa bestemmia che pronunciò Sennacherib, re dell’Assiria, quando assediò Gerusalemme, dicendo che, malgrado Dio, avrebbe preso la città. Egli si burlava di Dio dicendo che non era tanto potente da impedirgli d’entrare e di metter tutto a fuoco e a sangue. Ma Dio, per punire questo miserabile della sua bestemmia e mostrargli ch’Egli era davvero onnipotente, gli mandò un Angelo che in una sola notte gli uccise 185 mila uomini. Il giorno dopo il re, vedendo sgozzato tutto il suo esercito senza sapere da chi, se ne fuggì tutto atterrito a Ninive, dove egli stesso fu ucciso da due suoi figli. 3° Si bestemmia quando si attribuisce a una creatura ciò che è dovuto a Dio solo, come quei miserabili che dicono a una creatura infame oggetto della loro passione: « Io vi amo con tutta la tenerezza del mio cuore!… È tanto il mio affetto, che vi adoro!… „ Delitto che fa orrore, e tuttavia tanto comune, almeno in pratica.
4° Si bestemmia dicendo : Ah! S… N. .. di D… „ Ciò fa orrore. Questo peccato è sì grave e sì spaventoso agli occhi di Dio, che attira ogni sorta di sventure sopra la terra. I Giudei avevano tanto orrore della bestemmia che, quando sentivano qualcuno bestemmiare, si squarciavano le vesti. Non osavano neppur pronunciare questa parola; la dicevano invece: « Benedizione. » Il santo Giobbe temeva tanto che i suoi figliuoli potessero aver bestemmiato, che offriva sacrifici a Dio per placarlo se mai l’avessero fatto (Giob. I, 5). S. Agostino dice che quelli che bestemmiano Gesù Cristo che è in cielo, sono più crudeli di quelli che l’hanno crocifisso sulla terra. Il cattivo ladrone bestemmiava Gesù Cristo in croce, dicendo: « S’Egli è onnipotente, liberi se stesso e noi assieme. » Il profeta Nathan disse al re Davide: « Poiché tu sei stato causa per cui si è bestemmiato il Nome di Dio, il tuo figlio morrà, e il castigo non si allontanerà dalla tua casa per tutta la tua vita. » — Dio ci dice: « Chi bestemmierà il Nome del Signore, voglio sia messo a morte. » — Leggiamo nella S. Scrittura che venne condotto a Mosè un uomo che aveva bestemmiato. Mosè consultò il Signore, il quale gli manifestò che bisognava condurlo in un campo e farlo morire; vale a dire, ucciderlo a colpi di pietra (Lev. XXIV, 14) Possiamo dire che la bestemmia è davvero il linguaggio dell’inferno. San Luigi, re di Francia, aveva tanto in orrore questo delitto che aveva comandato che tutti i bestemmiatori fossero segnati con un ferro arroventato sulla fronte. Un giorno essendogli stato condotto un possidente di Parigi, molti vollero sollecitare la grazia per lui; ma il re disse loro che avrebbe voluto morire egli stesso per distruggere questo maledetto peccato; e comandò che fosse punito. L’imperatore Giustino faceva strappare la lingua a quelli che avevano avuto la disgrazia di commettere un sì grande delitto. Durante il regno di re Roberto, la Francia era oppressa da ogni sorta di sventure: e il buon Dio rivelò a una santa che tanto sarebbero durati i castighi quanto le bestemmie. Allora si sancì una legge che condannava tutti i bestemmiatori ad aver forata la lingua da un ferro infuocato, la prima volta; la seconda, comandava che fossero fatti morire. Badate bene, M. F., che, se la bestemmia regnerà nella vostra casa, tutto andrà a male. S. Agostino ci dice che la bestemmia è un peccato ancor più grave dello spergiuro, perché, dice egli, con lo spergiuro prendiamo il Nome di Dio in testimonio d’una cosa falsa, mentre con la bestemmia diciamo una cosa falsa di Dio stesso. Quale delitto! Chi di noi ha mai potuto comprenderlo? S. Tommaso ci dice ancora che v’ha un’altra specie di bestemmia, quella contro lo Spirito Santo, la quale si commette in tre modi: 1° Attribuendo al demonio le opere di Dio, come facevano i Giudei, i quali dicevano che Gesù Cristo cacciava i demoni in virtù del principe dei demoni; come facevano i tiranni e i carnefici, i quali attribuivano alla magia o al demonio i miracoli dei martiri; — 2° si bestemmia contro lo Spirito Santo, ci dice sant’Agostino, “quando si muore nell’impenitenza finale.„ L’impenitenza è uno stato di bestemmia; poiché la remissione dei nostri peccati si fa con la carità, che è lo Spirito Santo;
— 3° quando facciamo azioni che sono direttamente opposte alla bontà di Dio, come quando disperiamo della nostra salute, o non vogliamo usare tutti i mezzi per ottenerla; come quando ci rodiamo perché altri ricevono più grazie di noi. Guardatevi bene dall’abbandonarvi a questa sorta di peccati, perché sono oltremodo orribili. Noi trattiamo Dio da ingiusto, dicendo che dà più agli altri che a noi. Non avete voi forse bestemmiato, F. M., dicendo che non c’è Provvidenza se non per i ricchi e i birbanti? Non avete forse bestemmiato, quando subiste qualche danno, dicendo: “Ma che cosa ho fatto dunque io al Signore più degli altri, per aver tante disgrazie? „ — Che cosa avete fatto? Mio caro, alzate gli occhi e vedrete che l’avete crocifisso. — Non avete forse bestemmiato dicendo che siete troppo tentato, che non potete far diversamente, che tale è il vostro destino?… Ecché? F. M., voi non pensate a ciò che dite!… Dunque Dio vi ha fatti viziosi, collerici, violenti, fornicatori, adulteri, bestemmiatori! Ma dunque voi non credete nel peccato originale che ha degradato l’uomo dallo stato di rettitudine e di giustizia, in cui eravamo da principio stati creati!… La tentazione è superiore alle vostre forze!… Ma, mio caro, la Religione non vi aiuta dunque per nulla a farvi comprendere tutta la corruzione originale?… E voi osate, infelice, bestemmiare ancora contro Colui che ve l’ha data come il più gran dono che potesse farvi?… Non avete voi altresì bestemmiato mai contro la S. Vergine e i Santi? Non avete mai sorriso delle loro virtù, delle loro penitenze, dei loro miracoli?… Ahimè! in questo secolo sciagurato, quanti empi troviamo che spingono la loro cattiveria fino a disprezzare i santi del cielo e i giusti della terra; quanti che si fanno beffe delle austerità dei santi, e che non vogliono servire Dio per sé, né permettere che lo servano gli altri! Vedete ancora, M. F., se non avete mai lasciato ripetere i vostri giuramenti e le vostre bestemmie ai fanciulli. Ah! infelici! quali castighi vi attendono nell’altra vita!. ..
2° Ma, mi domanderete, che differenza passa tra il bestemmiare e rinnegare Dio? — Una differenza grande, M. F. — Osservo che parlando di rinnegazione, non intendo parlare di quelli che rinnegano il buon Dio abbandonando la vera Religione; costoro noi li chiamiamo apostati. Intendo dirvi di quelli che, parlando, hanno la maledetta abitudine di rinnegare, per collera o per impeto, il santo Nome di Dio: come uno che ci rimettesse al mercato o perdesse al gioco, e se la prendesse con Dio, quasi volesse far credere che ne sia stato Lui la causa. Quando vi capita questo, bisogna che il buon Dio sopporti tutti i furori della vostra collera, quasi fosse Lui la causa della vostra perdita o dell’accidente che v’è toccato. Ah, sciagurati! Quegli che vi ha tratti dal nulla, che vi conserva evi ricolma continuamente di benefizi, voi osate ancora disprezzarlo, profanare il suo santo Nome e rinnegarlo; mentre, se non avesse voluto ascoltare che la sua giustizia, da quanto tempo sareste inabissati nell’inferno! Ordinariamente vediamo che chi ha la sventura di commettere questi enormi delitti perisce miseramente. Si legge nella storia che un povero ammalato era ridotto in miseria. Essendo entrato da lui un missionario per vederlo e confessarlo: “Ah, padre! gli disse l’ammalato, Dio mi punisce per le mie collere, per le mie violenze, le mie bestemmie, e rinnegazioni. Io sono ammalato da molto tempo e ridotto estremamente povero. Tutte le mie cose hanno fatto una misera fine. I miei figli mi disprezzano e abbandonano, e non son buoni a nulla per i mali esempi ch’io ho dato loro. È già da tempo che soffro su questo pagliericcio; la mia lingua è tutto corrosa, e non posso inghiottir cosa alcuna senza soffrire dolori incredibili. Ahimè, padre! io ho gran timore che, dopo aver sofferto tanto in questa vita, debba soffrire anche nell’altra.„ Anche ai nostri giorni vediamo che questi uomini soliti a giurare e a rinnegare il santo Nome di Dio finiscono quasi sempre miseramente. Badate bene, M. F., se avete questa malvagia abitudine, dovete correggervene subito, per timore, che se non fate penitenza in questo mondo, non andiate a farla nell’inferno. Non dimenticatevi mai che la vostra lingua non deve servire che a pregare il buon Dio e a cantare le sue lodi, Se avete avuto il mal abito di giurare, dovete pronunciare spesso il santo Nome di Gesù con gran rispetto per purificare le vostre labbra.
3° Se, finalmente, mi domandate che cosa s’intende per maledizione e per imprecazione, vi dirò che s’intende, M. F., maledire, in un momento di collera o di disperazione, una persona, una cosa, o una bestia; s’intende voler annientarla o renderla infelice. Lo Spirito Santo ci dice che chi ha spesso la maledizione in bocca, deve ben temere che Dio non mandi a lui ciò ch’egli augura agli altri. Ci sono alcuni che hanno sempre in bocca il demonio, e a lui mandano tutto ciò che li urta. Se una bestia lavorando non va come deve, la maledicono o la mandano al diavolo. Altri, quando fa cattivo tempo, dicono: “Maledetto tempo! maledetta pioggia! ah, maledetto freddo!., maledetti ragazzi!… „ Non dimenticate mai che lo Spirito Santo ci dice che una maledizione, pronunciata invano e con leggerezza, su qualcuno dovrà cadere. S. Tommaso ci dice che, se pronunciamo una maledizione contro qualcuno, è peccato mortale, se auguriamo davvero ciò che diciamo. E S. Agostino ci narra di una madre che aveva maledetto i suoi figliuoli in numero di sette; ebbene, tutti quanti furono invasi dal demonio. Si sa che molti fanciulli, per essere stati maledetti dai loro genitori, furono infermi e infelici per tutta la vita. Leggiamo di una madre che, essendo andata in collera per colpa di sua figlia, le disse: “Ti s’inaridisse il braccio!„ E quasi all’istante alla povera figlia il braccio s’inaridì. I coniugati devono guardarsi dal maledirsi tra loro. Ci sono alcuni che, se non vanno bene in famiglia, maledicono la moglie, i figli, i genitori e tutti quelli che s’intromisero nel matrimonio. Ahimè, F. M.! tutte le vostre disgrazie provengono dall’esservi entrato con una coscienza tutta nera di peccati. — Gli operai, non devono mai maledire il loro lavoro, né quelli che loro lo danno: d’altra parte tutte le vostre maledizioni non faranno mai andar meglio i vostri affari; se invece aveste un po’ di pazienza, se sapeste offrire tutte le vostre pene a Dio, guadagnereste molto per il cielo. E gli strumenti del lavoro non li avete mai maledetti, dicendo: “Maledetta vanga! maledetta roncola! Maledetto aratro!„ eccetera? Ecco, M. F., ciò che attira ogni sorta di maledizioni sulle vostre bestie, sui vostri lavori, sulle vostre terre, spesso devastate dalla tempesta, dalla pioggia o dal gelo! — Non avete mai maledetto voi stessi, dicendo: « Oh, non avessi mai visto la luce!… fossi morto mentre veniva al mondo!… fossi ancor nel nulla!… „ Ahimè! quanti peccati, di cui molti non si accusano affatto, e non vi pensano neppure! — Dirò ancora che non dovete mai maledire né i vostri figliuoli, né le vostre bestie, né il vostro lavoro, né il tempo, perché in tutto ciò maledite la manifestazione della santa volontà del Signore. — I figliuoli si guardino bene dal dar occasione ai loro genitori di maledirli, ciò che è la più grande di tutte le sventure; poiché troppo spesso un fanciullo maledetto da’ suoi genitori è anche maledetto da Dio. Quando qualcuno vi offende in qualche cosa, invece di mandarlo al diavolo, non sarebbe meglio dirgli: “Che il buon Dio vi benedica? „ Allora sareste davvero i buoni servi di Dio, che rendono bene per male. Riguardo a questo comandamento, ci sarebbe ancor da parlare dei voti. Bisogna guardarsi bene dal far voti a capriccio. Certuni, quando sono ammalati, si votano a tutti i Santi, e una volta guariti, non si danno affatto pensiero di soddisfare i loro voti. Bisogna anche vedere se si son fatti davvero come si doveva, cioè in istato di grazia; se li avete osservati. Ahimè! quanti peccati in questi voti! ciò, che invece di piacere a Dio, non può che offenderlo. Che se mi domandate come mai dunque ci sono tanti che giurano, giurano anche il falso, che pronunciano maledizioni e imprecazioni orribili, che rinnegano Dio, vi dirò, M. F., che quelli che si abbandonano a questi orrori non hanno né fede, né religione, né coscienza, né virtù; sono in gran parte abbandonati da Dio. Quanto noi saremmo più felici se avessimo la grazia di non adoperar mai la nostra lingua, consacrata a Dio col santo Battesimo, se non per pregare un Dio sì buono, sì benefico, e cantare le sue sante lodi! Poiché è appunto per questo che Dio ci ha dato una lingua; consacriamola a Lui, affinché, dopo questa vita, possiamo avere la felicità di andarlo a benedire in cielo per tutta l’eternità. Ciò che vi auguro di cuore
Offertorium
Orémus
Ps XV: 7 et 8. Benedícam Dóminum, qui tríbuit mihi intelléctum: providébam Deum in conspéctu meo semper: quóniam a dextris est mihi, ne commóvear. [Benedirò il Signore che mi dato senno: tengo Dio sempre a me presente, con lui alla mia destra non sarò smosso.]
Secreta
Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris: et has oblatiónes famulórum famularúmque tuárum benígnus assúme; ut, quod sínguli obtulérunt ad honórem nóminis tui, cunctis profíciat ad salútem.
[Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche, e accogli benigno queste oblazioni dei tuoi servi e delle tue serve, affinché ciò che i singoli offersero a gloria del tuo nome, giovi a tutti per la loro salvezza.]
Communio
Ps XXVI: 4 Unam pétii a Dómino, hanc requíram: ut inhábitem in domo Dómini ómnibus diébus vitæ meæ.
[Una cosa sola chiedo e chiederò al Signore: di abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita].
Postcommunio
Orémus.
Quos cœlésti, Dómine, dono satiásti: præsta, quæsumus; ut a nostris mundémur occúltis et ab hóstium liberémur insídiis.
(O Signore, che ci hai saziato col dono celeste; fa che siamo mondati dalle nostre occulte mancanze, e liberati dalle insidie dei nemici.)
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)