OBBLIGHI DEI PASTORI E DEI FEDELI NELLE TRIBOLAZIONI DELLA CHIESA
ESPOSTI DAL P. ALFONSO MUZZARELLI DELLA COMPAGNIA DI GESÙ,
ROMA – STAMPERIA DELLA S. GC. DE PROPAGANDA FIDE
AMMINISTRATA DAL SOC. CAV. PIETRO MARIETTI
- 1866
RIFLESSIONI SULLE TRIBOLAZIONI DELLA CHIESA (III)
La storia della Chiesa è fedele maestra di tutte queste verità; ed io mi accingo a darne un brevissimo saggio nella persecuzione eccitata nel secolo decimo sesto in Inghilterra contro la Cattolica Religione. So benissimo, che non mancano degli Scrittori, i quali hanno attribuito quei disastri alla imprudenza e precipitazione dei Papi piuttosto, che ai vizi di Arrigo, e degli ecclesiastici e secolari di quel tempo. Ma io reputo questa imputazione essere una calunnia di uomini poco esperti e inconsiderati contro la Santa Sede, nata da false idee e da principii di non retto raziocinio. Chiamo una falsa idea il pretendere, che la Santa Sede avrebbe operato più prudentemente col dissimulare il fallo di Arrigo, o coll’astenersi almeno dagli estremi rimedii delle censure, dalle quali irritato il Re passò finalmente alle più violente risoluzioni contro la Cattolica Chiesa. Chiamo un raziocinio men retto il supporre, che la Fede non si sarebbe perduta in Inghilterra, se i Papi si fossero mostrati più circospetti e moderati nell’usar del rigore, e il voler attribuire un fatto certo, qual è la perdita della fede, a una cagione incerta, qual è la costanza e la fermezza de’ Sommi Pontefici. E infatti, siccome non v’ha dubbio, che vi sono delle circostanze, nelle quali anche la prudenza Evangelica consiglia di tacere, dissimulare e differire, così parimenti è indubitato esservi altre circostanze, in cui né differire si può, né tacere, né dissimulare. Nobis caute discendum est, quatenus os discretum, et congruo tempore vox aperiat, et rursum congruo taciturnitas claudat. Così diceva S. Gregorio Magno (Regul. Pastoral.). David tacebat non semper, sed pro tempore, non iugiter, neque omnibus, sed irritanti adversario; provocanti peccatori non respondebat. Così S. Ambrogio (De offic. lib. 1, cap.10, num. 14). Ora il decidere e il giudicare, quanto sia spediente all’onor di Dio e al bene della Chiesa il tacere, o il parlare, non è officio di persone private, ma bensì di quelli, che Iddio ha posti a pascere il suo popolo, e ai quali lo Spirito Santo somministra i lumi e le ispirazioni opportune all’adempimento del lor ministero. Se Gesù Cristo avesse osservato la regola prescritta da questi uomini troppo prudenti, non avrebbe sgridati e minacciati così spesso gli Scribi, e i Farisei, né gli avrebbe chiamati col nome d’ipocriti, e di prole di serpenti. Non v’ha dubbio che costoro s’irritarono sempre più contro il Figliuol di Dio per la libertà de’ suoi rimproveri, e congiurarono più rabbiosamente contro la di Lui vita. Ma perché essi erano maligni, superbi, e impenitenti, perché essi prendevano occasione d’imperversare sempre di più, quanto più erano corretti dal Redentore, per questo avrete voi il coraggio di accusar Gesù Cristo d’imprudenza e di temerità? Lo scandalo, ch’essi prendevano, era uno scandalo ingiusto e malizioso, e che da essi appunto ha preso il nome di farisaico, eche non deve impedire a veruno l’uso della correzione, allorquandolo esige l’onor di Dio e il bene universale. Clemente VII cassò l’illegittimo matrimonio di Arrigo VIII con Anna Bolena vivente la legittima di lui consorte Caterina, mediante la sentenza data in Roma del 1534 il 23 Marzo, e che comincia: Cum pendente lite etc. (apud Sander. – de Schism. Anglic. l. 1). Sin qui che cosa potete voi opporre, poiché lo stesso Arrigo aveva portata questa causa al tribunale del Papa, e pendente ancora la lite il Papa avea frattanto inibito ad Arrigo queste illegittime nozze? Se Clemente avesse dissimulato un tal eccesso, oltre l’offendere i Principi congiunti per sangue a Caterina, oltre il mancare di giustizia con lei medesima, avrebbe confermato il Re Arrigo nel suo delitto, avrebbe dato segno di non far conto di tali eccessi, o di non avere abbastanza di zelo per correggerli, avrebbe somministrata occasione ad altri d’imitare la dissolutezza d’Arrigo, avrebbe eccitata l’ammirazione e lo scandalo in tutti i buoni, i quali avean presente il coraggio di Giovanni Battista adoperato con Erode a costo della vita. Gli ambasciatori di Arrigo avevano parlato con alterigia e con impudenza al Sommo Pontefice per quest’affare in Marsiglia, udendoli il Re di Francia, ed aveano appellato dalla sua autorità a un futuro Concilio. Fu allora, che il Re Francesco cominciò a vergognarsi della sua interposizione, e Clemente a pentirsi dell’indulgenza adoperata sino a quel punto. (Sander. Ibidem). – Poteva egli dunque il Papa tacere più a lungo su questo fatto senza incorrere la taccia d’indolenza, di connivenza e di mancanza al proprio dovere? Ma direte voi, poteva almeno il Papa in quell’incontro risparmiar le censure. Imperocchè, « Henricus, hac accepta sententia, cum ea non aliter atque si ipsi iniuria facta fuisset mire interpretaretar, tantum abfuit, ut eidem pareret, aut penitentiam cogitaret, ut perditorum potius hominum more pervicacius multo progrederetur, et doloris sui ulciscendi causa nihil aliud versaret animo, quam vindictam. » Così scrive lo stesso Sandero. E infatti i Cardinali stessi, che aveano dissuaso il Papa dal differire quella sentenza; parvero dipoi pentiti, e pensarono, ma senza risolversi, ai mezzi di ritrattare quel passo (Raynald. an.1534 n,. 5). – Sempre più Arrigo fu irritato per la Bolla di Paolo III, con cui questo Pontefice gl’intimava le pene più gravi adoperate dalla Chiesa, se non desisteva da’ suoi eccessi. Io non nego, che queste cose non contribuissero ad infiammare sempre più l’animo di Arrigo contro la Chiesa. Ma qui si tratta di sapere, se i Papi fossero imprudenti per questo loro procedere, e se sarebbero stati col più lodevoli differire o moderare almeno la correzione. E qui appunto è dove un privato non può farsi giudice, trattandosi non di una prudenza mondana, ma di una prudenza ecclesiastica e spirituale, che è un dono dello Spirito Santo compartito per il ben comune della Chiesa a quelli specialmente, ch’Egli ha eletti a reggerla e governarla. Pio procedé forse anche con maggior vigore contro la Regina Elisabetta; ma egli era un Santo. Tommaso di Cantuaria parve feroce e implacabile contro Enrico II, e i Vescovi suoi fautori; ma anche questi era un Santo. Piuttosto, che moderare il pastoral suo vigore col Re, egli si esibì a Papa Alessandro di rinunziare liberamente in sua mano il Vescovato, che non avea voluto rassegnare alle minacce di Enrico, e alle rimostranze degli altri Vescovi, poiché diceva egli: « Si ad Regis comminationem, ut coepiscopi mei persuasere instantias, renunciassem Episcopalis auctoritatis mihi indulto privilegio, ad Principum votum et voluntatem Catholicæ Ecclesiæ perniciosum relinqueretur exemplum » (S. Tom. Vit. Quadripart. lib. 2, cap. 12 inter Oper. Christian. Lupi Venet. 1727, tom. 10). E benchè ad alcuni sembrasse di profittare di questa occasione per sedare l’ira del Re, provvedendo la Chiesa di Cantuaria d’altro Pastore più accetto, e la persona di Tomaso d’altra Chiesa, pur nondimeno altri si opposero dicendo: « Eo cadente: caderent universi Episcopi, ut nullis futuris temporibus auderet quis obviare Principis voluntati: et sic vacillaret status Catholicæ Ecclesiæ, et Romani Pontificis deperiret auctoritas. Expedit igitur restitui etiam invitis omnibus, et ei, qui pro nobis dimicat, omnimode succurrendum (Ibidem). » Questo consiglio fu seguito da Papa Alessandro, il quale lo confermò nella Sede di Cantuaria, di cui Tomaso temeva di non aver avuto sino allora un legittimo possesso, dicendogli: « Nunc demum, Frater, nobis liquet, quem habuisti, et habes zelum pro Domo Domini, quoniam sincera conscientia te ipsum statuisti murum ex adverso…. Et sicut nostræ persecutionis factus es particeps, et consors individuus, ita tibi, Deo auctore in nullo deesse poterimus, quamdiu in hoc corpore mortali duraverit spiritus (Ibid.). » Ora voi sapete, quanto crebbe dipoi la persecuzione d’Enrico in tutto il regno per la sola persona di Tomaso, sinché o per ordine suo, p per far piacere a lui, quest’intrepido Vescovo fu tolto crudelmente di vita. Tutto questo, direste voi, avrebbe potuto impedirsi se il Pontefice avesse accettata la rinunzia del Vescovato da Tomaso. E pure egli non giudicò di dover procedere di questa maniera: e finalmente Enrico dopo la morte di Tomaso si ravvide de’ suoi eccessi, ne fece pubblica e solenne penitenza, e restituì la pace alla Chiesa. Fingiamo adesso, che invece di ravvedersi si fosse Enrico sempre più ostinato ne’ suoi trasporti, e avesse finalmente sradicata sin d’allora la fede dall’Inghilterra. Che cosa non direste voi dell’imprudenza di Papa Alessandro, quasi che per sostenere la sola persona di Tomaso avesse sacrificato la Fede di tutto un regno? Ma l’esito non fu tale, anzi ne ridondò alla Chiesa onore e utilità. Quindi forse non avrete il coraggio di condannare la condotta del Sommo Pontefice Alessandro. Dove io discopro in voi un falso metodo di ragionare, volendo dall’esito giudicare della prudenza, o imprudenza dell’Apostolica Sede. Se voi vi applicherete a leggere accuratamente la Regola Pastorale di S. Gregorio Magno, vi troverete degli ammirabili e minuti precetti sulla condotta d’un Pastore verso i trasgressori della divina legge; ma dovrete insieme concludere, che la giusta applicazione di quei precetti alla pratica non è un affare della sola prudenza dell’uomo, ma molto più di un lume particolare della divina Sapienza, la quale certamente assiste in singolar modo i Pastori collocati sulla Cattedra della verità a governare la Chiesa. E in conseguenza, io torno a ripetere, sarà sempre temerità quella di un privato, il quale pretende di giudicare con franchezza della diversa condotta usata dai Sommi Pontefici nelle diverse circostanze della Chiesa, secondo i diversi lumi e aspirazioni del divino Spirito, che gli assiste e dirige. Ma sarà anche insieme un falso ragionare il voler dall’esito misurar la giustizia e la prudenza del loro operare. No, non fu la sentenza di Clemente VII, non furono le sue censure secondo alcuni troppo precipitate, né la Bolla di Paolo III, che cagionaron la perdita della Fede in Inghilterra, ma bensì i peccati di quel regno, che provocarono la collera di Dio, e disposer quel popolo ad abbandonarsi finalmente all’errore. Anche senza quelle procedure de’ Papi la Fede si sarebbe perduta in Inghilterra forse con meno strepito, ma probabilmente con maggior danno della Chiesa, e de’ Fedeli. Già prima della sentenza di Clemente ecco di quali persone ridondava la corte di Arrigo. « Statim Henrici aula eiusmodi hominibus completa est, qui sacra omnia ridere, sacerdotibus illudere, religiosorum vitam in contemptum adducere, ecclesiasticorum divitias ac potentiam carpere, ridiculas de monachis fabulas fingere, et supra omnia Pontifici Romano detrahere, invidiamque facere solebant, et qui in his se petulantissimos et audacissimos praebebant, ii primas apud Annam, et per eam etiam apud Regem obtinebant (Sander. 1. 1). » – I consiglieri d’Arrigo erano il segretario Tomaso Cromvelo, l’Arcivescovo Graumero, e il Cancelliere Audleo, uomini egualmente scaltri, e propensi all’eresia. I Vescovi erano già caduti nell’errore di giurare obbedienza al Re nelle cause ecclesiastiche e spirituali, indottivi dall’autorità di Giovanni Fischero Vescovo Roffense, il quale per declinare la tempesta sovrastante al Clero, e sperando opportuno rimedio dal tempo, avea tratti a questo passo i Prelati più fermi, medicando il sacrilego giuramento colla clausola: Quantum per Dei verbum liceret (Sander. Ibid.). Nel Gennaio del 1533 cioè due mesi prima della sentenza del Papa erasi adunato in Londra il Parlamento a decidere gli affari di religione, e s’era disciolto il primo di Marzo per testimonianza di Burneto (Histor. lib. 2). Era dunque già seguita l’apostasia dalla Fede prima, che Clemente le censure fulminasse contro Arrigo. Nè questo Re prometteva pentimento e correzione, se il Papa avesse differito di lanciare i suoi fulmini, ma soltanto di dilazionare anch’egli la sua deserzione dal Papa, che per altro aveva incominciato. Così racconta Belcairo Zelcai (l. 20) « Bellaius… quamvis indignatum eo perduxit, ut si Clemens suam fulminationem differret, ipse quoque quod animo intenderat, nempe ut Clementi pristinam observantiam renuntiaret, exequi differret. » Dal che può conoscersi, che cosa avrebbe ottenuto il Papa con una maggior dilazione, da chi faceva con lui patti così arditi e minacciosi. Qual fosse eziandio la corruttela degli Ecclesiastici in quel regno si vide di poi sotto Eduardo VI, allorché una gran parte di essi non ebbe difficoltà di legarsi con vincolo di pubblico matrimonio, o a dir meglio di sacrilego concubinato (Sander. lib. 1). Ma qual attestato più autentico della vera cagione della perdita della Fede in Inghilterra, quanto ciò, che si osservò sotto il regno di Maria, e dipoi in quello di Elisabetta? Lo stesso Arrigo prima di morire avea tentato di riconciliarsi colla Chiesa, spinto a questo passo dagli stimoli della coscienza. Ma non volendo pubblicamente confessare il suo delitto, né farne la debita penitenza, ben dimostrò, qual animo fosse il suo, e quale stato sempre sarebbe, e qual era la moderazione, che egli esigeva dal Sommo Pontefice per conservare nel regno la Cattolica Religione, cioè una totale dissimulazione e connivenza egualmente ingiuriosa a Dio e scandalosa ai Fedeli. A lui sottentrò Eduardo, ed indi la Regina Maria, sotto il cui comando si riconciliò l’Inghilterra colla Chiesa. Si vide allora, quanto fosse sorprendente l’indulgenza dell’Apostolica Sede per quel regno. Il Cardinal Polo come Legato del Papa dichiarò con pubblico istrumento assoluti in perpetuo dalle pene e censure canoniche tutti quelli, che nel tempo dello scisma aveano acquistati i Beni monastici; benché non lasciasse di avvisarli, « ut corum, qui in Scripturis Sacris de hoc genere sacrilegii notantur, metuant exitus, ac Dei omnipotentis in tales severissima iudicia non obliviscantur, licet Ecclesia suum ius secundum canones non persequatur (Sander. lib. 2). » Si dispensò con tutti i coniugati, ch’erano quasi innumerabili, dagl’impedimenti ecclesiastici del matrimonio. Benché si distaccassero dalle Sedi Vescovili gli eretici intrusi per restituirvi i Vescovi Cattolici, nondimeno si confermarono i Vescovi di credenza cattolica, ch’erano stati creati durante lo scisma, e si ritennero sei nuovi Vescovati eretti al tempo di Arrigo. (Sander. lib. 2, Fleury lib. 149, num. 56, e lib. 150, num. 37). Per parte poi degl’Inglesi parve del tutto sincera la loro riconciliazione. La Regina Maria rassegnò nelle mani del Legato tutte le decime, primizie e benefizii, ed altri simili proventi, che sotto Arrigo ed Eduardo erano stati applicati al regio erario (Sander. Ibidem; Fleury lib. 130, num. 87). Il Parlamento presentò al Legato del Papa una supplica concepita con tutti i segni più rispettosi di umile pentimento e di sincera ritrattazione, aggiuntavi la protesta di far tutto il possibile per l’abrogazion delle leggi contrarie alla Chiesa (apud Sander. Ibid.). Il Legato a nome del Sommo Pontefice benedice e assolve pubblicamente i Parlamentari e il Re, e la Regina, i quali piegati a terra le ginocchia ricevono l’assoluzione del Papa (ibidem). Si spediscono a Roma ambasciatori a protestare obbedienza al Sommo Pontefice a nome di tutto il Regno. I Vescovi di credenza cattolica, ma creati in tempo dello Scisma, non contenti della Pontificia dispensa, domandano tutti in particolare, eccettuatone un solo, alla Sede Apostolica il perdono dell’antecedente lor colpa, e la conferma nei lor Vescovati (ibidem). Si restituiscono nelle Accademie le Scuole di Cattolica dottrina, e di Scolastica teologia; ma giova di aggiungere il rimanente colle stesse parole del Sandero. « Restituuntur ac ornantur passim Ecclesiæ, altaria eriguntur ct consecrantur, collegia nova amplissima dote fundantur, cœnobia Benedictinoraum, Carthusianorum, Brigittensium, Dominicanorum, Observantium, ac aliorum Ordinem a devotis personis ræedificantur, catholicis Regibus in hoc genere pietatis subditis omnibus prælucentibus. Ad sanctum Sacrificium, Confessionem, Communionem, publicas preces plebs alacri studio concurrit. Et ad Sacramentum quidem Confirmationis, quia per totum fere sexennium, quo Eduardus regnavit, legittime non administrabatur, tam innumerabilis parvulorum ex omnibus urbibus, Oppidis, pagis, agris turba deferebatur, ut Episcopi variis locis pene opprimerentur… Alque ita quidem religioni Catholicæ studio omnia fervebant (ibidem). » Chi non avrebbe sperato dopo sì felici successi una stabil perseveranza della Cattolica Religione in Inghilterra? E pure chi nol sa? Dopo cinque anni e Quattro mesi di regno muore la piissima Regina Maria; il Trono è occupato da Elisabetta; la persecuzione infierisce con maggior crudeltà, che non avea fatto sotto Arrigo; e la Cattolica religione è finalmente proscritta da quel regno. Questa è la vera epoca della perdita stabile e durevole della Fede in Inghilterra, là dove sotto Arrigo questa perdita fu soltanto passeggera. Ora che diran qui i sapienti del secolo? Fu forse l’imprudenza e la precipitazione di Clemente VII, e di Paolo III, che diedero occasione a questa nuova persecuzione dappoichè l’indulgenza di Giulio III lor successore avea riparati con tanta moderazione tutti i disordini e gli effetti dello scisma, e dell’eresia? – Qui è dove fa d’uopo ricorrere piuttosto agli occulti impenetrabili giudizi della divina provvidenza. Ma siccome per altro la sottrazion della Fede da un regno è uno de’ più severi castighi dell’irritata divina giustizia, ed ogni castigo suppone un delitto, convien anche dire, che molti e gravissimi fossero agli occhi di Dio gli eccessi di quel popolo infelice, e somma fosse la di lui ingratitudine, per cui si videro da lui sottratte le divine beneficenze. Forse, dice il Sandero, la cagion fu l’ostinazione. degli Ecclesiastici, i quali per la più parte non vollero prestarsi alla riforma decretata in un Sinodo dal Cardinal Legato, e approvata dal Papa, e l’ambizion di quel Clero, e l’infinita sollecitudine di accumular Beneficii; unde iam tum homines aliquot vere pii, et secundum Deum prudentes timuerunt, ne iterum a Domino gravioribus quam ante flagellis vapularemus (Sander. lib. 2 sub fin.). Forse furono i sacrilegi gravissimi d’Arrigo, e del suo popolo, che non potevano espiarsi con sì leggiera e breve penitenza. Forse la retenzione dei Beni Ecclesiastici, che sono il patrimonio di Gesù Cristo, e dei Poveri; e benché Giulio III avesse dato facoltà al suo Legato di transigere e dispensare coi detentori di tali Beni a tal segno, ut prædicta Bona sine ullo scrupulo in posterum retinere possit (apud Baynald. an. 1554, num. 8); nondimeno convien rammentarsi, che lo stesso Legato avea avvisati gli occupatori, che avesser i severissimi giudizi di Dio sopra i sacrilegi: « In quo tamen huiusmodi occupantes gravissime admonet, ut eorum, qui in Scripturis Sacris de hoc genere sacrilegii notantur, metuant exitus, ae Dei omnipotentis in tales severissima iudicia non obliviscantur (Sander. lib. 2). » Lo stesso Cardinal Legato, uomo per altro così pio, dotto e prudente erasi mostrato forse troppo indulgente coi Sacerdoti ammogliati, ai quali, dopo averlì separati dalle mogli, e privati degli anteriori Benefizii, avea permesso di ascendere troppo presto ad altro maggior grado, risolvendosi a ciò fare per la grande penuria de’ Sacerdoti: « In eo paulo indulgentior, ut a multis observatum fuit, quod in sacerdoles, ac religiosos uxoratos non apimadvertit satis; sed a praetentis uxoribus tantum separatos, atque beneficiis prioribus privatos, mox ad alia maiora sacerdotia nimis cito admiserit. Sed ut illud fieret, presbyterorum magnæ tum penuriæ indultum dicebatur » (Sander. ibidem). I Vescovi di credenza cattolica creati nello Scisma di Arrigo fuor della. Chiesa, e che aveano sottoscritto al Primato di Eduardo, non ostante l’umile e sincera loro ritrattazione, tuttavia non aveano forse ancor data a Dio e alla Chiesa quella soddisfazione e riparazion dello scandalo, che competeva a così gran delitto, e che Dio volle da essi in questa seconda persecuzione colla effusion del lor sangue per la confession della Fede. « Cuius criminis gravissimas paulo post pœnas… .. deinde multo magis sub Elisabetha omnes luerunt, depositionem, et diuturnos carceres usque ad mortem patientissime tollerantes, misericordiamque simul, et iustissima in se Dei iudicia collaudantes » (Sander. lib. 2 Eduard.). Certo è, che assai meno accuserebbero i prudenti del secolo la fermezza e severità dei Pastori della Chiesa, se fossero qualche poco istruiti nelle divine Scritture, in cui leggiamo, qual conto faccia Iddio di ciò, che ordinariamente poco si apprezza anche tra i savi, qual severissima pena Egli ne esiga. Ma non convien dimenticare per questo ciò, che ho detto da prima, cioè che Iddio della persecuzione medesima si prevale a far pompa della sua misericordia non solo coi giusti, ma eziandio coi peccatori, e ad ingrandire sempre più i trionfi della sua Chiesa. – Quanti sotto Elisabetta espiarono con una gloriosa morte per la Fede l’apostasia, in cui erano caduti sotto Arrigo ed Eduardo, o la timida e interessata condiscendenza adoperata da loro con quei Principi? Così imitarono il celebre Giovanni Fischero Vescovo e Cardinale, di cui abbiam parlato, e il quale sotto Arrigo era stato autore agli altri di sottoscrivere il sacrilego giuramento coll’eccezione; quantum per Dei verbum liceret,. Del qual fatto egli pentito dipoi pubblicamente si accusava e diceva: « Suas idest Episcopi partes fuisse, non cum exceplione dubia, sed aperte, et disertis verbis cœleros potius docuisse, quid verbum Dei permitteret, quidve probiberet, quo minus alii in fraudem incurrerent; nec unquam sibi deinceps peccatum hoc Satis expiasse videbatur, quousque proprio sanguine hanc maculam eluisset » (Sander. lib. A). Come di fatti ebbe la sorte di poter ottenere sotto o Stesso Arrigo con tanta gloria sua e della cattolica religione. Ma nulla può essere più a proposito di ciò che lasciò scritto il Ribadeneira, e leggesi nell’Appendice allo Scisma Anglicano, o sia libro quarto di quella Storia (cap. 32, Colon. 1628). « Essendo, dic’egli, per dar compimento a questa Storia dello Scisma Anglicano, pare che sarà cosa utile l’investigare alcuna di quelle cagioni, per cui l’ineffabile e secreta provvidenza di Dio ha permessa in quel regno così barbara persecuzione. Imperocchè temo, che si trovino alcuni non solo tra il volgo, ma anche tra i più prudenti, i quali riguardando semplicemente con occhi carnali lo stato dell’Inghilterra e il potere de’ nemici di Dio, possano dire, che Iddio ha abbandonata la propria causa e l’onor proprio, e che non vendica i suoi servi. A queste difficoltà ho destinato coll’assistenza del Signore di soddisfare almeno in parte. Iddio nelle opere sue due cose riguarda, vale a dire la propria gloria, e la nostra eterna salute; e amendue questi fini sommamente risplendono nell’Anglicana persecuzione. Imperocchè qual maggior ossequio può l’uomo prestare a Dio, quanto il morire per esso Lui? Ma nello stesso tempo non può l’uomo provveder meglio a se stesso, quanto sacrificando la vita per quel Signore, il quale per lui la sacrificò molto prima. Nei combattimenti e nella vittoria dei Martiri la gloria di Dio e il loro vantaggio sono così scambievolmente connessi, che l’una cosa senza l’altra non crescerebbe, ma dall’onor di Dio risulta maggiore la corona del martirio. E poiché Dio è zelatore della propria gloria, e amico de’ nostri vantaggi, non dee far meraviglia, se permette tali combattimenti, dai quali egli ricava tanto onore, e l’uomo tante utilità e mercede. Considerate dall’una parte le armi, colle quali il demonio assale questi beati Martiri, ed esaminate dall’altra il vigore e la fortezza, con cui essi resistono, e intenderete subito, quanto sia ammirabile la grazia e il favore divino. Combattono contro i Martiri i demonii e i lor ministri, combatton la fame, la sete, la nudità, l’infamia, le lusinghe, le speranze, i timori e le vane promesse; combattono i tormenti delle carceri, le catene, le ruote, il fuoco, i patiboli e la spada; combatte 1’infermità della carne, la debolezza della complessione, e l’amor proprio. E pure benché sì gran moltitudine d’uomini contro essi combatta, nondimeno per opera della divina grazia si vede, che uomini e donne, fanciulletti e fanciulle’ con tanta fortezza gli vincono, che ne restan confusi i giudici, affaticati ì tiranni, confermati i Cattolici e consolati gli Angioli istessi. Quindi alcuni, i quali non erano Inglesi, né mai vissuti erano in Inghilterra, mossi dall’esempio di tanti gloriosi Martiri Inglesi, si trasferirono a quel regno, e vollero imitarli, e accompagnarli nei supplici e nello spargimento di sangue per la Fede. « Oltre a che questa persecuzione ha portato somma utilità agl’Inglesi cattolici, poiché con essa sono provati, esaminati, dai terreni affetti si purgano, e tutto giorno a Dio si offrono in sacrifizio. Laonde giudico, che si trovino al presente in Inghilterra uomini più santi di quello, che trovar si potessero in tempo di quiete e di tranquillità. Imperocchè la prosperità assai volte snerva gli uomini, e gli rende fiacchi ed effeminati; laddove la tribolazione gli fa divenire martiri, fervorosi e costanti. Quelli adunque, che soccombendo nelle persecuzioni abbandonan la fede, dimostrano, che hanno dissolutamente vissuto sino ad ora, e che non erano nella fede forti e saldi abbastanza. Ma quelli, che sono piantati non già sull’arena, ma sul fondamento di Gesù Cristo, questi crescono fra le tribolazioni, come alcuni alberi fra i ghiacci e le nevi. Quanto poi di gloria ottiene la Chiesa dalla fortezza di questi suoi Martiri? Quanta edificazione e buon esempio da essa deriva? Quanto è onorevole alla Chiesa l’aver dei figli così illustri, così magnanimi, così bellicosi? « Che dirò poi dell’altro frutto, che da questa presecuzione si raccoglie; poiché tutte le provincie e i regni cattolici di qua imparano, qual tenore debbano osservar cogli eretici. Fioritissimo fu per un tempo il Regno d’Inghilterra e tale da far meraviglia per la virtù, la religione, l’umanità, la pace, la concordia, la libertà, e per la dolce comunicazione fraterna. Ora poi sembra divenuta un’altra Babilonia per la varietà, contrarietà e confusione delle eresie; è spelonca di ladri per le ingiustizie, è macello dei servi di Dio; è sede della guerra civile, della servitù, e di una miserabile cattività; anzi, è un incendio, che nato da una scintilla di cieco amore si è poi dilatato dalla setta di Calvino. Laonde di quanta vigilanza hanno mestieri i Re, i Principi e le cattoliche Repubbliche, affinché questo fuoco infernale non invada ancora i loro Regni. Insegna ancora quest’anglicana persecuzione, quanto dobbiam compatire quelli, che son presi di mira, vedendoli proscritti dalla patria, cacciati dalle case, spogliati degli averi e degli onori, avuti in conto di traditori, e trattati come sediziosi. Imperocché tutti noi siamo Cattolici, e siam membra d’un sol corpo mistico, il quale è la Chiesa, e il di lui capo è Gesù Cristo, e il suo Vicario in terra il Romano Pontefice. Chi non soffre pazientemente la povertà vedendo oggi nell’Inghilterra tanti ricchi e illustri personaggi spogliati de’ loro beni, e stretti in carcere non avere con che coprirsi, né pane con cui sfamarsi? Quale infermo non si farà coraggio, pensando come innumerabili Sacerdoti, e delicatissime Matrone oggi in Inghilterra sono con crudelissimi tormenti straziati? Non per altra cagione permette Iddio questa persecuzione, se non perché si confermi la nostra fede, si rassodi la speranza, si accenda la carità, si comprenda il vigore della divina grazia, si fortifichi la pazienza, si ecciti la divozione, si faccia rinunzia ai piaceri, si scuota la pigrizia, e si confonda finalmente la nostra negligenza e pusillanimità. Permette dunque Iddio, che gli eretici affliggano e vessino la Chiesa, affinché questa agitata nel vaglio delle persecuzioni più pura diventi, più santa e più perfetta; e affinché a tutti sia palese, ch’essa al par della Luna soffre talvolta le sue ecclissi e oscurità, ma non perisce giammai, né resta priva di sua virtù.» Sin qui il Ribadeneira. Finalmente vi prego a riflettere, che rigorosamente parlando la Fede non si è mai perduta in Inghilterra. Il culto pubblico della Cattolica Religione, questo è quello, che mancò del tutto in quel regno. Del rimanente da quell’epoca sino ai nostri giorni vi si è sempre mantenuto un buon numero di fervorosi Cattolici, dei quali scriveva ai suoi tempi il Ribadeneira, e credo, che possa anche affermarsi al presente: eristimo sanctiores nunc in Anglia homines reperiri, quam lempore quietis et prosperitatis potuerint inveniri. – Che se Arrigo non si fosse pubblicamente e solennemente separato dalla Romana Chiesa; se non avesse suscitata contro i Cattolici la tempesta della persecuzione, chi sa, se nessun vero cattolico saria rimasto in quella nazione. Imperocchè non par verosimile, ch’egli avesse voluto abbandonare il partito già preso, né rinunziare alla passione, né ritrattare il mal fatto, né allontanare i cattivi consiglieri, e gli eretici dal suo fianco, onde parte per le frodi di costoro, parte per il di lui mal esempio, parte per la connivenza dei Prelati, a poco a poco l’errore avrebbe corrotti anche i buoni, senza che nessuno gli avvertisse, e facesse loro coraggio a persistere nella cattolica Fede. Io credo che la Fede in un regno possa rassomigliarsi a un robusto naviglio nel mare, il quale se viene scosso e agitato dalla tempesta, benché spesso si trovi in pericolo di restar sommerso, e benché abbia a sgravarsi d’una gran parte del peso, onde è carico, nondimeno spesse volle anche cogli alberi infranti arriva a salvamento, e nel porto si ristora finalmente dai danni sofferti. Ma se mentre sembra, che l’acque dormano in calma, e i nocchieri non vegliano alla sua custodia, furtivamente e inosservata vi penetra di fianco l’onda insidiosa, a poco a poco lo vedete abbassarsi, ed indi scomparire del tutto, senza che quasi nessuno siasi avveduto del suo totale e irreparabil naufragio. – Che se voleste risalire alla prima sorgente delle tribolazioni della Chiesa, la troverete d’ordinario nel rilassamento del Clero. Questo Ceto destinato da Dio per essere il sale della terra, se svanisce e perde il suo sapore, non è più atto a servire di condimento, e conviene per conseguenza, che ogni cibo divenga insipido e noioso. Tutto allora è freddezza, indifferenza e languore nella Fede; e il sale non essendo più idoneo a condire vien gittato sulla pubblica strada, e lo calpestano quanti vi passano. Questo, che in sostanza è l’avvertimento, che diede Gesù Cristo ai suoi Apostoli (Matth. V, 13), forma da se solo la spiegazione delle tribolazioni, che tante volte ha dovuto sostenere il Clero Cattolico, e del disprezzo, a cui si è veduto esposto in mezzo allo stesso popolo Cristiano. S. Cipriano, ed Eusebio han rilevata la corruzione del Clero che precedette l’orribili persecuzioni de’ lor tempi, e gli storici del secolo decimo sesto hanno fatta la stessa osservazione all’epoca dell’eresia di Lutero. Quindi il fine principale della tribolazione è di richiamare il Clero al dovere, e alla perfezion del suo stato, e per mezzo del di lui zelo ed esemplarità rinnovare lo spirito dei Fedeli. Indarno si aspirerebbe alla Riforma della vita secolaresca, se non vi si faccia precedere la Riforma della condotta ecclesiastica. Questa è stata sempre la comune opinione fondata non solo nella provvidenza di Dio, il quale ha collocati i suoi Ministri come fiaccola accesa sul Monte Santo di Sion, affinché allo splendor di quel lume il popolo discuopra il sentiero, per cui deve camminare al termine della salute, ma eziandio perché è cosa pur troppo conforme all’umana natura, che non si creda alla dottrina di un uomo, il quale opera all’opposto di quello, che agli altri insegna, insinua e prescrive. È notabile ciò che riferisce Odorico Rainaldi all’anno 1559, §. 30 essere accaduto sotto il Pontificato di Paolo IV, perché il suddetto Pontefice avendo risaputo un grave e pubblico delitto d’un Porporato, ed infiammato di sacro zelo avendo esclamato con alta voce, Reformatio, Reformatio; allora il Cardinal Paciecco, che v’era presente, si fece coraggio a rispondere: Recte quidem, sed Reformatio a nobis ut exordium sumat, necessum est. Oimè, esclamava il Vescovo Laudense nella sua Orazione recitata per l’esequie del Cardinal di Bari (Mansi Concil. tom. 28col. 526) nel Concilio di Costanza, io lo dirò con dolore, ma trattenere non posso il concepito sentimento. « Nos Clerici debemus esse exemplar laicorum, ut vitam et mores suos emendarent. – Iam cito nobis opus est ut accipiamus exemplum vivendi ab eis.Nonne magis moraliter, magis seriose, magis composite, magis devote, ct reverenter se gestant in Ecelesiis, quam nos? O dolor,o plus quam dolor! quod Christi Sponsa praeelecta, mater Ecclesia,per nostram dissolutionem, et vanitatem ita deturpatur. Propter quod, hoc etiam Deo permittente, et suam defensionemdetrahente, multa mala nos involvunt. Nam at flebilis nos docetexperientia, iam fere omnes Principes, barones, milites, cives etclientes, servi et liberi, nos persequuntur, nobis detrahunt, nosdeplumant, nos despiciunt. Et si in his angustiis constituti clamemusad Dominum pro auxilio quid nobis respondit? Misererinequeo, quia poenitere non vultis. Tollite vos causam, sive malamvestram vitam, quantum in vobis fuerit, et ego tollam effectum,sive hanc vestram persecutionem. Verumtamen, ReverendissimiFratres, ecce nune tempus acceptabile, ecce nunc diessalutis; emendemus in melius, quod ignoranter peccavimus. » – Né deesi sfuggire dal Clero di confessare i proprii delitti pertimore di scandalizzare il popolo, o di riconoscere e autorizzare incerto modo per vere le sediziose e atroci calunnie degli avversari della Chiesa. L’umile confessione è quella che placa non solo Iddio,ma che edifica ancora il popolo, il quale così impara ciò che devefar egli stesso, e che prende piuttosto scandalo, se si accorge, che vogliono scusarsi, o dissimularsi anche quelle prevaricazioni, che per altro sono innegabili. Gli eretici poi rimangon confusi da un’umile confessione incomprensibile, e impraticabile dalla loro indurata. alterigia; e disarmati si trovano a poter nuocere colla calunnia al buon nome del Clero cattolico, allorché questi confessandole sue trasgressioni viene a separare virtualmente il vero dal falsocon una efficacia, e con un esito più felice di qualunque eloquente apologia. Imperocché allora nessun uomo fornito di buon senso e di equità potrà darsi a credere, che quelli i quali con sentimenti di umiltà confessano al pubblico i loro errori, vogliano poi tacere,o dissimulando negare, se fosser veri, anche que’ più atroci ed esagerati delitti, che dagli eretici sono ad essi malignamente imputati. – I Principi stessi Cattolici, che devono essere dal Clero ammoniti,coi quali il dissimulare l’ingiurie di Dio sarebbe vera empietà, come asseriva il citato Vescovo Laudense (Ibid. col. 563), rimangonoin tal modo più convinti dell’equità della correzione, e più disposti a riformare ancor essi la loro condotta verso la Chiesa.Ben lo conobbero in Francia i Prelati, che nell’anno 881 si adunarono da diverse provincie in un luogo detto S. Macra della Diocesi di Reims, ed ivi tennero il loro Sinodo dopo l’infestazionede’ barbari e la persecuzione dei perversi Cristiani, sotto il regno del Re Ludovico (Concil. Mansi tom. 17, col. 573 et sequ.). Ivi dopo di avere stabiliti gli uffici della pontificale e della regia autorità,prima di procedere ad indicare al Principato gli abusi contro la Chiesa introdotti, e necessari ad essere estirpati colla di lui cooperazione ed aiuto; prima di ammonire de’ suoi doveri il Monarca, e i di lui Ministri; ben conoscendo, che potea forse ad essi non piacere l’episcopal correzione, prendon principio dall’accusa di sé medesimi, e della lor negligenza, per cui, dicono, è avvenuto ciò, che sta scritto in Isaia 14. « Et erit sic ut populus, sic et sacerdos. Sacerdos enim non distat a populo, quando nullo vitæ suæ merito vulgi transcendit actionem. Ecce iam pene nulla est sæculi actio, quam non Sacerdotes administrent. Quanto autem mundus gladio feriatur aspicimus, quibus quotidie percussionibus intereat populus, videmus. Cuius hoc nisi nostro præcipue peccato agitur? Ecce depopulatæ urbes, eversa castra, ecclesiæ ac monasteria destructa, in solitudinem agri redacti sunt; sed nos pereunti populo auctores mortis existimus, qui esse debuimus duces ad vitam. Ex nostro enim peccato populi turba prostrata est, quia faciente nostra negligentia ad vitam erudita non est. Pensemus ergo, qui unquam per linguam nostram conversi deperverso suo opere, nostra increpatione correpti pœnitentiam egerunt; quis luxuriam ex nostra eruditione deseruit, quis avaritiam, quis superbiam declinavit. Hic pastores vocati sumus, et cum ante æterni Pastoris oculos venerimus, ibi gregem nostra prædicatione conversum non ducemus. Sed utinam, si ad prædicationis virtutem non sufficimus, loci nostri officiùm in innocentia teneamus (Ibid. cap. 2, col. 540).»
Questo è dunque fuor di dubbio il mezzo principale non solo per riparare ai mali della Chiesa; ma per potere applicarsi ancora con qualche frutto alla Riforma del popolo Cristiano, le di cui colpe sono sempre il motivo delle straordinarie tribolazioni. Né egli è difficile dopo questo primo passo il trovare un piano di Riforma ecclesiastica, e laicale, dappoichè ne abbiamo non pochi, e tutti proficui, che ci sono stati lasciati dai nostri maggiori quasi in eredità. Anzi egli è tanto più facile di quello, che lo fosse ai nostri maggiori, quanto che l’ecumenico Concilio di Trento ne ha stabiliti i fondamenti, né si troverà certamente in esso cosa alcuna, che debba detrarsi, e poche, che si possano aggiungervi per un Piano universale, che deve da tutti essere abbracciato, e nel quale perciò la moltiplicazion delle leggi genera piuttosto inciampo, che facilità all’osservanza. E certamente se si volessero ripigliar di bel nuovo tutti i punti di Riforma, che dai Prelati, dai Principi e dalle Nazioni furono proposti prima del Tridentino Concilio e nelle sue sessioni, e quelli, che si affacciarono ai Concili di Costanza e di Basilea, e che si trovano per disteso negli Annali di Odorico Rainaldi nelle recenziori edizioni dei Concili, e nella Istoria del Concilio di Trento scritta dal Cardinal Pallavicini, chi ha scorso questi volumi anche solo alla sfuggita, si avvedrà subito, che l’appigliarsi a questo metodo sarebbe lo stesso, che gittarsi a nuoto in un vasto oceano senza poter fissare giammai un lido sicuro di terra ferma, a cui dirigersi. Tutti i piani, le istanze, le riflessioni, e consultazioni anteriori al Tridentino Concilio si versarono, dirò così, in seno al sacro Consesso di quei dottissimi Padri, i quali ne fecero un lungo ed accurato esame, e diretti dal divino Spirito procedettero alla dichiarazione di quelle Riforme, ch’erano necessarie, utili, praticabili, e che la Chiesa ha dipoi avuto ed avrà sempre sotto l’occhio sino alla fine de’ secoli. Egli è dunque più conducente allo scopo proposto l’esigere diligentemente l’osservanza dei Tridentini Decreti, che il moltiplicarne il numero con nuove addizioni. È ben vero, che il Concilio di Trento non istabilì, come abbiam osservato, che i principali fondamenti di una perfetta Riforma, e che in riguardo alla esecuzione ed all’applicazion pratica, specialmente nei punti subalterni e minuti di disciplina, i quali su que’ fondamenti si posano, e insieme gli riparano dall’essere smossi ed offesi, può nascere gran variazione nelle diverse provincie e diocesi, da cui insensibilmente viene dappoi la disciplina a risentirne anche nella sostanza. Ma questo Supplemento, che certamente sembra necessario, è stato già donato alla Chiesa dal Santo Cardinal Borromeo nella Copiosa Raccolta dei Concilii Provinciali di Milano distribuita in due Volumi, e nella «quale sono anche registrati molti Editti e Decreti di quell’immortal Porporato. Chiunque si ponga a leggere, ed a considerare quest’insigne Raccolta, troverà poche cose da desiderare, pochissime da cangiarsi; ed egli sarebbe certo d’una somma utilità l’aver pronto un Piano quasi adeguato di Riformazione, la quale altrimenti potrebb’essere molto a lungo desiderata ed aspettata, ma senza effetto. È da riflettersi eziandio, che i suddetti Concilii di Milano cominciarono a celebrarsi poco dopo la fine del Tridentino, vale a dire quando era ancora recente la memoria delle discussioni in esso tenute, e dello spirito di quel venerabil Consesso. Né perciò sarebbe da trascurarsi la collazione di altri simili Concilii, che si tennero a quell’epoca per l’esecuzione del Tridentino; e giovar potrebbero ancora le particolari Memorie per la Riforma dell’ecclesiastica universale o particolar disciplina presentate a Paolo III, ed a Clemente VIII, e scritte di lor commissione; l’una dai Cardinali Contarini, Carafa, Polo, e Sadoleto con altri insigni Prelati l’an. 1588, e che vien riportata da Natale Alessandro al secolo decimo sesto (cap. 1, art.16, § 3, e seg.), anteriore di poco tempo alla convocazione del Tridentino; l’altra dal Cardinal Bellarmino, e trovasi inserita nel fine della Vita di questo Cardinale scritta dal Padre Daniello Bartoli, ed impressa nuovamente in Napoli l’anno 1739. L’esempio particolare di una Provincia o Metropoli, che coll’approvazione della Santa Sede intraprendesse a praticare le disposizioni dei Concilii di Milano potrebbe assai giovare all’universal riforma, la quale altrimenti sarebbe troppo malagevole e tarda, se decretar si dovesse da un generale Concilio. Io ho accennato questo metodo sin dalla prima edizione di quest’Opera nell’Opuscolo degli Abusi nella Chiesa; né però ho mai preteso, come neppur ora pretendo di usurpare un magistero incompetente al mio grado e alle mie cognizioni. Sarebbe questa un’intollerabile temerità, parto ordinario della superbia insieme, e dell’ignoranza, giacché l’uomo mediocremente istruito dee conoscere, che una teoria speculativa non è sempre riducibile alla pratica, e che chi si trova in un punto della circonferenza non iscuopre con distinzione i raggi del circolo, come per altro li vede quegli, il quale è collocato nel centro, in cui vanno tutti i raggi ad unirsi e a terminare in un punto. Ma egli non è per altro superfluo il recar pietre alla fabbrica di un signorile edifizio, dalle quali poi l’artefice sceglie quelle che giudica al suo lavoro più opportune. Ripigliando pertanto il mio principale argomento conchiudo. – Cessate finalmente di meravigliarvi e di scandalizzarvi delle tribolazioni della Chiesa. Questa meraviglia e questo scandalo non suol esser effetto, che della debolezza dell’animo, dell’attacco ai propri comodi, o della mancanza d’istruzione. Ammirate piuttosto la provvidenza e la sapienza di quel Dio, che la governa, e che purgandola nel fuoco delle tribolazioni la fa poi di là uscire non solo illesa, ma più splendida e più robusta a gloria sua, o a confusione de’ suoi nemici.
[Fine Prima parte]