FESTA DELL’ASCENSIONE AL CIELO DEL S. N. GESÙ CRISTO (2021)
ASCENSIONE
I. — Commento, dogmatico: Ascensione.
La seconda festa che si celebra nel corso del Tempo Pasquale è l’Ascensione, coronamento di tutta la vita di Gesù Cristo. Era infatti necessario che il divino Risuscitato, cessando di calcare il fango di questa, povera terra, ritornasse al Padre, nel cui seno, come Dio, è fin dall’eternità. Egli accolse la sua umanità, dice S. Cipriano, « con una gioia che nessuna lingua saprebbe esprimere ». Bisognava che Gesù Cristo prendesse possesso del regno dei cieli che si era acquistato con i suoi patimenti e che collocando la nostra fragile natura alla destra della gloria di Dio, ci aprisse la casa del Padre per farci occupare, come figli di Dio, il posto degli Angeli caduti. Gesù entra dunque in cielo, avendo vinto satana e il peccato: gli Angeli acclamano e salutano il loro Re; le anime dei Giusti, liberate del Limbo, formano la gloriosa sua scorta. « Vado a prepararvi il posto », disse ai suoi Apostoli, e San Paolo afferma che Dio ci ha fatti sedere con Gestì in cielo », poiché, « per la speranza siamo già salvi ». « Dove è entrato il capo, dice San Leone, anche il corpo è chiamato ad entrare. Il trionfo di Gesù Cristo è quindi anche il trionfo della sua Chiesa. Come il Sommo Sacerdote, che entrava nel Santo dei Santi per offrire a Dio il Sangue delle vittime sotto l’Antica Legge, Gesù, ci dice l’Apostolo, entrò nel Santo dei Santi della Gerusalemme celeste per offrirvi il suo proprio sangue, il sangue della Nuova Alleanza, e ottenerci i favori di Dio Nel giorno dell’Ascensione. – Gesù, mostrando a Dio le sue piaghe gloriose, comincia il suo celeste sacerdozio. « Egli divenne nostro intercessore perpetuo presso suo Padre » (Heb. VII, 25) e ci ottenne lo Spirito Santo con i suoi doni. – Complemento di tutte le feste di Gesù Cristo, l’Ascensione è il principio della nostra santificazione: « Egli sale al cielo, canta il Prefazio, per renderci partecipi della sua divinità ». « Non basta, dice Don Guéranger, che l’uomo si appoggi ai meriti della passione del Redentore, non basta che Egli unisca a questo ricordo quello della Risurrezione; l’uomo non è salvato e redento che con l’unione di questi due misteri con un terzo mistero, quello cioè dell’Ascensione trionfante di Colui che è morto e risorto. L’opera della Redenzione non sarà perfetta se non quando tutti gli uomini riaccettati saranno entrati nel giorno della risurrezione generale, dietro Gesù e per virtù della sua Ascensione, nel Cielo. Ecco la nostra speranza in questo mondo ».
II. — Commento storico: Ascensione.
Quaranta giorni dopo la Risurrezione di Cristo, il Ciclo Pasquale celebra l’anniversario del giorno che segnò il termine del regno visibile di Gesù Cristo sulla terra. Gli Apostoli, venuti a Gerusalemme prima della Pentecoste, stavano nel Cenacolo quando Gesù apparve loro e prese con essi un ultimo pasto; poi li condusse fuori di città, dalla parte di Betania, sul Monte degli Olivi che è il più alto fra quelli che circondano la capitale; Gesù allora benedisse i suoi Apostoli e ascese al cielo. Mentre saliva, una nube lo nascose agli sguardi e due Angeli annunziarono ai Discepoli che Cristo, risalito al cielo, ne scenderà di nuovo alla fine del mondo. – A Roma per ricordare questo corteo di Gesù e degli Apostoli si soleva fare, verso l’ora di Sesta (mezzogiorno) una solenne processione. Il Papa, celebrata la Messa Pontificale a S. Pietro, si recava, accompagnato, dai Vescovi e dai Cardinali, a S. Giovani in Laterano. – Sant’Elena fece innalzare sul Monte degli Olivi una Basilica sul luogo dove Gesù salì al cielo. La Basilica, sul tipo del Santo Sepolcro, era, con simbolismo felice, aperta in alto.
III. Commento liturgico: Ascensione.
Anticamente la solennità dell’Ascensione si confondeva con quella della Pentecoste, perché il Tempo Pasquale era considerato come una festa che s’iniziava a Pasqua per terminare con la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli. Ma si cominciò presto a celebrare l’Ascensione al quarantesimo giorno dopo la Risurrezione, dandole una Vigilia e un’Ottava. È festa di precetto. Con rito simbolico caratteristico si spegne oggi, il Cero pasquale che con la sua luce rappresentava, durante questa quarantena, la presenza di Gesù fra i discepoli e che si estingue dopo la lettura del Vangelo del giorno dell’Ascensione ove è narrata la dipartita del Signore per il cielo. I paramenti bianchi e l’Alleluia, mostrano l’allegrezza della Chiesa al ricordo del trionfo di Cristo, al pensiero della felicità degli Angeli e dei Giusti dell’Antica Legge che vi parteciparono. – Lo spirito di questa festa è indicato dall’Orazione del giorno dell’Ascensione che ci mostra come, dopo aver seguito finora Gesù nella sua vita mortale, bisogna innalzare lo sguardo verso il cielo e con la fede e la speranza di abitarvi con Lui, poiché quella è la vera patria dei figli di Dio.
ASCENSIONE DEL SIGNORE.
Stazione a S. Pietro,
Doppia di I cl. con ottava privilegiata di III ord. – Paramenti bianchi.
Nella Basilica di S. Pietro, dedicata a uno dei principali testimoni dell’Ascensione del Signore, si celebra oggi (Or.) l’anniversario di questo mistero, che segna il termine della vita terrena di Gesù. Durante i quaranta giorni, che seguirono la sua Risurrezione, il Redentore pose le basi della sua Chiesa, alla quale doveva poco dopo mandare lo Spirito Santo. L’Epistola e il Vangelo di questo giorno riassumono tutti gli insegnamenti del Maestro. Gesù lascia quindi questa terra, e tutta la Messa è la celebrazione della Sua gloriosa elevazione in cielo dove gli fanno scorta le anime liberate, dal Limbo (Ali.) che entrano al suo seguito nel regno celeste, ove partecipano più ampiamente alla sua divinità (Pref.). — L’Ascensione ci predica il dovere di innalzare i nostri cuori a Dio e infatti, l’Orazione ci fa chiedere di abitare in ispirito con Gesù nelle regioni celesti, dove siamo chiamati ad abitare un giorno con il corpo. Durante tutta l’Ottava si recita il Credo: «Credo in un solo Signore Gesù Cristo Figlio unico di Dio… che è asceso al cielo, dove siede alla destra del Padre ». Il Gloria dice pure: « Signore, Figlio unico di Dio Gesù Cristo, tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. Nel Prefazio proprio che si recita fino alla Pentecoste, si rendono grazie a Dio pel fatto che « il Cristo risorto, dopo essere apparso a tutti i suoi discepoli, si sia innalzato in cielo sotto i loro sguardi ». Durante tutta l’Ottava si recita ugualmente un Communicantes proprio a questa festa; con esso la Chiesa ci ricorda che « celebra il giorno sacrosanto nel quale Nostro Signore, Figlio unico di Dio, si degnò di introdurre nella gloria e porre alla destra del Padre la nostra fragile carne ». alla quale si era unito nel Mistero dell’Incarnazione. – Ogni giorno la liturgia ci ricorda, all’Offertorio (Suscipe Sancta Trinitas) e al Canone (Unde et memores) che essa, secondo l’ordine del Signore, offre il Santo Sacrificio « in memoria della beatissima passione di Gesù Cristo, della sua risurrezione dalla tomba, e della sua gloriosa Ascensione al cielo ». Infatti l’uomo è salvato solo per l’unione dei misteri della Passione e della Risurrezione con quello dell’Ascensione. « Per la tua morte e per la tua sepoltura, per la tua santa risurrezione, per la tua mirabile Ascensione, liberaci, Signore » (lit. dei Santi). — Offriamo a Dio il sacrifizio divino « in memoria della gloriosa Ascensione del Figliuol Suo » affinché, liberati dai mali presenti, giungiamo con Gesù alla vita eterna (Secr.).
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Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Acta 1:11.
Viri Galilæi, quid admirámini aspiciéntes in cœlum? allelúia: quemádmodum vidístis eum ascendéntem in coelum, ita véniet, allelúia, allelúia, allelúia.
[Uomini di Galilea, perché ve ne state stupiti a mirare il cielo? allelúia: nello stesso modo che lo avete visto ascendere al cielo, così ritornerà, allelúia, allelúia, allelúia].
Ps XLVI:2
Omnes gentes, pláudite mánibus: iubiláte Deo in voce exsultatiónis.
[Applaudite, o genti tutte: acclamate Dio con canti e giubilo.]
Viri Galilæi, quid admirámini aspiciéntes in cœlum? allelúia: quemádmodum vidístis eum ascendéntem in cœlum, ita véniet, allelúia, allelúia, allelúia.
[Uomini di Galilea, perché ve ne state stupiti a mirare il cielo? allelúia: nello stesso modo che lo avete visto ascendere al cielo, così ritornerà, allelúia, allelúia, allelúia].
Oratio
Orémus.
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui hodiérna die Unigénitum tuum, Redemptórem nostrum, ad coelos ascendísse crédimus; ipsi quoque mente in coeléstibus habitémus.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che noi, che crediamo che oggi è salito al cielo il tuo Unigenito, nostro Redentore, abitiamo anche noi col nostro spirito in cielo].
Lectio
Léctio Actuum Apostólorum.
Act I: 1-11
Primum quidem sermónem feci de ómnibus, o Theóphile, quæ coepit Iesus facere et docére usque in diem, qua, præcípiens Apóstolis per Spíritum Sanctum, quos elégit, assúmptus est: quibus et praebuit seípsum vivum post passiónem suam in multas arguméntis, per dies quadragínta appárens eis et loquens de regno Dei. Et convéscens, præcépit eis, ab Ierosólymis ne discéderent, sed exspectárent promissiónem Patris, quam audístis -inquit – per os meum: quia Ioánnes quidem baptizávit aqua, vos autem baptizabímini Spíritu Sancto non post multos hos dies. Igitur qui convénerant, interrogábant eum, dicéntes: Dómine, si in témpore hoc restítues regnum Israël? Dixit autem eis: Non est vestrum nosse témpora vel moménta, quæ Pater pósuit in sua potestáte: sed accipiétis virtútem superveniéntis Spíritus Sancti in vos, et éritis mihi testes in Ierúsalem et in omni Iudaea et Samaría et usque ad últimum terræ. Et cum hæc dixísset, vidéntibus illis, elevátus est, et nubes suscépit eum ab óculis eórum. Cumque intuerétur in coelum eúntem illum, ecce, duo viri astitérunt iuxta illos in véstibus albis, qui et dixérunt: Viri Galilaei, quid statis aspiciéntes in coelum? Hic Iesus, qui assúmptus est a vobis in coelum, sic véniet, quemádmodum vidístis eum eúntem in coelum.
“Io primieramente ho trattato, o Teofìlo, delle cose che Gesù prese a fare e ad insegnare in fino al dì, ch’Egli fu accolto in alto, dopo aver dato i suoi comandi per lo Spirito Santo agli Apostoli ch’Egli aveva eletti. Ai quali ancora, dopo aver sofferto, si presentò vivente, con molte e sicure prove, essendo da loro veduto per lo spazio di quaranta giorni e ragionando con essi delle cose del regno di Dio. E trovandosi con essi, comandò loro che non si partissero da Gerusalemme, ma aspettassero la promessa del Padre, che, diss’Egli, avete da me udita. Perocché Giovanni battezzò con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra pochi giorni. Essi adunque, stando con Lui, lo domandarono, dicendo: Signore, sarà egli in questo tempo, che tu restituirai il regno ad Israele? Ma Egli disse loro: Non spetta a voi conoscere i tempi e le stagioni, che il Padre serba in poter suo. Ma voi riceverete la virtù dello Spirito Santo, che verrà sopra di voi e mi sarete testimoni e in Gerusalemme e in tutta la Giudea e nella Samaria e fino alle estremità della terra. E dette queste cose, levossi a vista loro: e una nuvola lo ricevette e lo tolse agli occhi loro. E com’essi tenevano ancora fissi gli occhi in cielo, mentre se ne andava, ecco due uomini si presentarono loro in candide vesti e dissero loro: Uomini Galilei, perché state riguardando verso il cielo? Questo Gesù che è stato accolto in cielo d’appresso voi, verrà nella stessa maniera che l’avete veduto andarsene in cielo -.
OMELIA I
[Mons. G. Bonomelli: MISTERI CRISTIANI, Queriniana Brescia, 1896 vol. II, impr.]
In questi primi undici versetti, che leggiamo nel principio del libro degli Atti Apostolici, che la Chiesa oggi fa recitare al sacerdote celebrante la Santa Messa e che ora vi ho riportato parola per parola nella nostra favella, S. Luca ci narra l’Ascensione di Gesù Cristo al Cielo. È il fatto strepitoso, è il mistero che la Chiesa festeggia in questo giorno, col quale si chiude la vita di Gesù Cristo quaggiù sulla terra. Mio compito è quello di ragionarvi di questo fatto: e qual miglior modo di sdebitarmene che quello di commentare la lezione sacra, che udiste? Eccovi il soggetto di questa, anziché Ragionamento, modesta Omelia, a cui vi piaccia porgere benigno l’orecchio. – S. Luca, nato nel gentilesimo, fornito di coltura greca più che comune, fu medico di professione. Abbandonò il paganesimo e abbracciò il Vangelo di Gesù Cristo per opera di S. Paolo, che seguì fedelmente ne’ suoi viaggi di terra e di mare fino a Roma, dove si trovava allorché l’Apostolo scrisse la sua seconda lettera a Timoteo, poco prima della morte. (II Tim. V. 11). S, Paolo si loda di lui e lo chiama carissimo. (Ai Coloss. IV, 12). Egli scrisse il suo Vangelo come l’aveva udito da S. Paolo e lo scrisse in lingua greca, allora abbastanza conosciuta in tutto l’Oriente e a Roma e lo scrisse per uso di quei Cristiani, che prima erano stati gentili. Dopo aver scritto il Vangelo pose mano a scrivere il libro, che porta il titolo Atti o Gesta degli Apostoli, particolarmente di S. Paolo, giacché la seconda metà del libro si restringe esclusivamente a narrare le opere di lui: cosa affatto naturale, essendo egli stato suo discepolo e compagno e testimonio di ciò che narra. Cominciando questo libro, lo lega col Vangelo, che prima aveva scritto e che racchiude per sommi capi la storia di circa trent’anni. Questo libro fa seguito al Vangelo e ci descrive l’origine della Chiesa e, come voleva la natura delle cose, si apre col racconto della Ascensione di Gesù Cristo, accennata appena nell’ultimo capo del Vangelo. Uditene il prologo: Primieramente, o Teofilo, ho ragionato di tutte le cose, che Gesù prese a fare e ad insegnare fino al giorno, nel quale, dati per lo Spirito Santo i suoi comandi agli Apostoli, da Lui eletti, levossi al cielo. S. Luca rivolge la parola a Teofilo. Chi è desso codesto Teofilo, al quale S. Luca si indirizza eziandio a principio nel suo Vangelo? Sembra fuori di dubbio che fosse un personaggio distinto, che aveva dato il suo nome a Gesù Cristo e la cui vita doveva rispondere al nome che portava, e che in nostra lingua significa Amatore di Dio. Gli ricorda il libro del Vangelo, che gli aveva mandato e nel quale aveva compendiato le opere e la dottrina di Gesù Cristo. – Quæ cœpit Jesus facere et docere. Ecco che cosa è il Vangelo: il compendio delle cose fatte e insegnate da Gesù Cristo; dal che è facile inferire che nel Vangelo le opere e la dottrina di Gesù Cristo non sono riferite tutte, ma le principali e per sommi capi. A ragione poi gli interpreti fanno osservare che S. Luca, compendiando la vita di Gesù Cristo nel Vangelo, alle parole di Lui manda innanzi le opere: – Cœpit facere et docere -. Prima fece e poi insegnò! E in vero: le opere sono assai più eloquenti delle parole e gli uomini apprendono più assai da quelle, che da queste: le parole non costano gran sacrificio, ma lo impongono spesso assai grave le opere. E poi, a che valgono le parole se non sono accompagnate dalle opere? Ciò che valgono le fronde senza i frutti; ed è per questo che di Gesù si dice che cominciò a fare e dopo ad insegnare. Imitiamolo, affinché gli uomini vedano le opere nostre e vedendole sollevino la mente a Dio e gli rendano lode. – Io, scrive S. Luca, vi ho narrata nel mio Vangelo la vita di Gesù dal suo miracoloso concepimento fino alla sua dipartita dalla terra, fino a quel dì nel quale, andandosene al Cielo, lasciò i suoi comandi agli Apostoli e li costituì esecutori dei suoi voleri. Quali siano questi comandi e quali i voleri di Gesù Cristo si fa manifesto dal Vangelo istesso, dove sono determinati. E badate bene, soggiunge S. Luca, che questi comandi sono dati da Lui, che come fu concepito per virtù dello Spirito Santo, cosi tutto fa e dice per virtù dello stesso Spirito Santo, di cui possiede la pienezza. I quali comandi e voleri manifestò a quegli Apostoli che elesse Egli medesimo e ammaestrò di sua bocca. Non è senza ragione e profonda che S. Luca, nominati gli Apostoli, volle tosto soggiungere quelle due parole: – Quos elegit – I quali egli elesse -. Scopo del libro è di far conoscere le opere compiute dagli Apostoli e singolarmente da San Paolo e quindi di mettere in rilievo l’organismo della Chiesa primitiva. Importava adunque che si facesse conoscere in chi risiedeva il potere di reggere quella Chiesa e da chi era dato; e S. Luca ce lo mostra negli Apostoli e qui ci dice ch’essi l’ebbero da Cristo, che li elesse. È questa, o cari, una verità che vuolsi spesso ricordare e inculcare in questi tempi, nei quali si tende a collocare la radice del potere nella moltitudine. Checché sia del potere civile, di cui non parlo, il potere della Chiesa viene dall’alto, deriva di Cristo e da Lui passa negli Apostoli e dagli Apostoli nei suoi successori fino al termine dei tempi, perché Egli li elesse ed eleggendoli li investì di quel potere, che non riceve da chicchessia,, ma trae da se medesimo. – Fino al giorno nel quale fu assunto in Cielo – E da chi fu assunto Egli, Gesù Cristo? Non da altri fuorché dalla sua stessa onnipotenza, perché Egli era Dio eguale in ogni cosa al Padre; il perché la frase – Egli fu assunto in Cielo – vuolsi riferire alla natura umana, che aveva assunto, non alla sua divina Persona, che essendo immensa e onnipotente non può né salire, né discendere e per agire non ha bisogno di qualsiasi forza a sé estranea. Il sacro scrittore prosegue e in un versetto solo riassume la vita di Gesù Cristo, dalla sua Risurrezione alla sua Ascensione così: – Ai quali Apostoli, dopo la Passione, si era eziandio mostrato redivivo per lo spazio di quaranta giorni in molte maniere, parlando loro del regno di Dio -. Il punto capitale della vita di Gesù Cristo e la prova massima della sua divina missione, era senza dubbio il fatto della sua Risurrezione e questa, dice S. Luca, non poteva essere più certa e più splendida. Per il periodo di quaranta giorni si mostrò redivivo ai suoi Apostoli e nei modi più svariati per dileguare ogni ombra di dubbio. Si mostrò alle donne, a Pietro, a Giacomo separatamente, a due discepoli lungo la via di Emmaus, a sette sulle rive del lago di Tiberiade, a dieci e poi ad undici insieme raccolti nel Cenacolo di Gerusalemme; poi finalmente allorché salì al Cielo fu visto da circa cento e venti persone [S. Luca, narrata la Ascensione di Gesù Cristo, dice che gli Apostoli (e dà il nome di tutti undici) insieme con Maria e le donne si raccolsero nel Cenacolo in Gerusalemme, e tra parentesi aggiunge: – Che erano circa 120 -. Dal contesto sembra chiaro che questi 120 furono sul colle degli Olivi spettatori della Ascensione di Cristo. Si noti poi che gli Ebrei, allorché danno il numero delle persone, non comprendono mai le donne.], ed altra volta, che San Paolo afferma in modo solenne senza specificare il luogo e il modo, mostrossi insieme a cinquecento fratelli (I. Cor. XV. 6). Con loro parlò, con loro mangiò; volle che gli toccassero le mani e il costato perché si accertassero essere ben Egli il loro Maestro risuscitato, non ombra o spirito. La sua Risurrezione, considerata la lunghezza del tempo, la varietà delle apparizioni e delle prove e tenuto conto del numero dei testimoni, poteva ella essere più manifesta e più accertata? Mi appello a voi. – In tutte codeste apparizioni Gesù Cristo più o meno lungamente si trattenne e naturalmente parlò con gli Apostoli e con quanti erano presenti. E di quali cose parlò Egli con essi? Se noi scorriamo i quattro Evangeli e questo primo capo degli Atti Apostolici, troviamo alcuni cenni intorno alle cose che Gesù disse loro; ma ogni ragione vuole ch’Egli parlasse loro e ampiamente di tutto ciò che loro importava conoscere nell’esercizio dell’altissima missione loro affidata. S. Luca, con due sole parole, accenna il soggetto di queste istruzioni, che Gesù dava agli Apostoli e che dovevano essere la regola della loro condotta privata e specialmente pubblica, dicendo: – Loquens de regno Dei – Parlando del regno di Dio -. Qual regno di Dio? Certamente il regno di Dio sulla terra, cioè la Chiesa, che è la preparazione e il mezzo necessario per entrare nel regno di Dio, il Cielo e la vita beata. Ma se lo Scrittor sacro con estremo laconismo indicò l’argomento dei discorsi di Cristo con gli Apostoli in genere, non li significò in particolare, rimettendosi in questo alla tradizione orale. E qui riceve nuova e gagliarda prova la Dottrina Cattolica, che professa la Scrittura santa non contenere tutto l’insegnamento di Gesù Cristo, ma questo aversi pieno e perfetto nella tradizione orale. Dicano i fratelli nostri protestanti quante e quali furono le cose dette da Gesù Cristo agli Apostoli e comprese in quelle tre parole – Loquens de regno Dei? – E dovevano essere cose d’alto momento e perché venivano da tanto Maestro e perché riguardavano l’opera di Lui per eccellenza, la Chiesa, e perché erano gli ultimi ricordi che loro lasciava. L’insegnamento orale adunque degli Apostoli e della Chiesa devesi considerare come il complemento non solo utile, ma necessario di. quello che abbiamo nei Libri Santi. – S. Luca nel versetto che segue ci fa sapere qual fu uno degli argomenti di queste conversazioni od istruzioni di Gesù Cristo, scrivendo: – Stando insieme a mensa, comandò loro non si dipartissero da Gerusalemme, ma vi aspettassero la promessa del Padre, che voi avete udito (disse) dalla mia bocca -. Dovevano fermarsi in Gerusalemme finché fosse adempiuta la promessa che Egli stesso aveva fatta a nome suo e del Padre – di mandare loro lo Spirito Santo. E perché fermarsi in Gerusalemme? Perché là e non altrove, Gesù Cristo vuole che ricevano lo Spirito Santo? Perché là dove Gesù Cristo patì e morì, là se ne vedesse il primo frutto: perché là dove sul vertice della sua croce fu posta per ischerno la scritta: – Questi è il Re dei Giudei -, là cominciasse il suo regno, regno di tutti i secoli. Perché là dove Gesù Cristo lasciava i suoi Apostoli, là ricevessero lo Spirito consolatore, che doveva tenerne il luogo e continuarne l’opera. Perché là dove Gesù Cristo con la sua morte aveva posto fine alla legge mosaica, lo Spirito Santo proclamasse la nuova legge e dal centro della Sinagoga uscisse la Chiesa, che ne era la meta ed il termine. Accennata la promessa dello Spirito Santo che sarebbe disceso sugli Apostoli, Gesù ne tocca gli effetti, chiamando quella comunicazione miracolosa: Battesimo e altrove Battesimo di fuoco – Giovanni battezzò con l’acqua, dice Cristo, e voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra pochi giorni -. – Giovanni, così il divin Salvatore, battezzava il popolo sulle rive del Giordano, e voi ed Io con voi vi andammo. Che Battesimo era quello? Battesimo con acqua: esso, per sé, non mondava l’anima, ma solo il corpo. Per esso voi vi riconoscevate peccatori, bisognevoli di purificazione: esso non infondeva grazia alcuna nelle anime vostre; vi eccitava soltanto a desiderarla, destandovi la fede in Lui, che Giovanni annunziava e che ora vi parla. Voi ora siete mondi in virtù della mia parola: nell’anima vostra alberga la mia grazia e con essa il germe della vita divina. Ma la missione, che siete per cominciare domanda una forza più gagliarda, una vita più potente, un novello Battesimo, non di acqua, ma di fuoco e l’avrete tra pochi giorni -. È chiaro che Gesù Cristo in questo luogo col nome di Battesimo nello Spirito Santo designa la venuta dello Spirito Santo e la trasformazione operata negli Apostoli il giorno delle Pentecoste e la designa con questo nome perché vi è una certa somiglianza col Battesimo di acqua. Questo si riceve una sola volta e una sola volta in modo sensibile lo Spirito Santo discese sugli Apostoli: questo depose nell’anima una vita nuova, che si svolse nella vita cristiana, stampando in essi un segno incancellabile: e lo Spiritò Santo depose in essi una nuova energia, che si svolse nelle opere tutte dell’Apostolato. – Ma ritorniamo alla narrazione di S. Luca, il quale riporta una domanda degli Apostoli a Gesù, la quale se da una parte dimostra la semplicità e, diciamolo pure, la ignoranza degli Apostoli, dall’altra mette in piena luce la divinità del divino Maestro verso di loro e prova insieme l’ammirabile sincerità del sacro scrittore. Uditela: – Intanto i convenuti colà lo interrogarono dicendo: Signore, restituirai tu forse in questo tempo il regno ad Israele? – Per comprendere questa domanda, che sembra a noi molto strana, conviene conoscere le idee che allora fermentavano nel popolo giudaico non meno che nei suoi capi, alle quali naturalmente gli Apostoli non potevano essere estranei. E tanto più conviene conoscere queste idee, delle quali gli Apostoli si fanno interpreti presso del Maestro in quanto che esse ci danno la chiave per spiegare la terribile apostasia della nazione e la catastrofe che ne seguì. Scorrete i libri dell’antico Testamento e particolarmente i Salmi ed i Profeti: in moltissimi luoghi si promette il Messia e sotto le più svariate forme lo si presenta e si descrive. Si predicano, è vero, le sue umiliazioni, i suoi dolori, la sua morte in modo che sembrano una storia piuttostoché una profezia; ma lo si dipinge pure come un re potentissimo, un gran duce vincitore, un conquistatore glorioso, che strapperà il suo popolo dalle mani dei nemici, che lo rivendicherà a libertà e stenderà il suo scettro pacifico su tutta la terra. Che ne avvenne? Ciò che doveva avvenire in un popolo sì fiero della propria indipendenza, orgoglioso, tenacissimo e che dopo le terribili prove, da cui era uscito contro i Babilonesi e contro i re Siri, al tempo dei Maccabei, fremevano sotto il giogo romano. Come gli individui e più degli individui i popoli hanno il loro amor proprio, il loro egoismo nazionale, che può toccare i gradi estremi. Gli Ebrei tenevano salda la speranza del futuro Liberatore, del quale parlavano i profeti, i riti ed i simboli in tante forme rappresentavano; l’aspettavano, lo desideravano ardentemente. Ma la loro natura grossolana, il desiderio ardentissimo di scuotersi dal collo l’abbominata signoria straniera e l’orgoglio nazionale fecero sì che nel Messia promesso, nel Liberatore annunziato dai Patriarchi e dai Profeti, più che il Liberatore delle anime vedessero il liberatore dei corpi, più che il Redentore del mondo aspettassero il vindice della nazione, un Davide glorioso, un Maccabeo restauratore di Israele. Foggiatasi questa idea bizzarra e falsissima del Messia, che accarezzava il loro orgoglio e rispondeva alle condizioni politiche sì dolorose ed umilianti della nazione, è facile immaginare come i Giudei dovessero accogliere Gesù Cristo, che annunziava un regno spirituale, che voleva si rendesse a Cesare ciò che era di Cesare e che mandava in fumo le speranze di libertà e grandezza temporale, che si aspettavano. È questa la causa precipua della cecità de’ Giudei e del ripudio di Cristo e che trasse in rovina la nazione intera. Terribile lezione. che troviamo ripetuta sventuratamente anche in alcuni popoli cristiani! Perché l’Oriente ai tempi di Fozio e poi di Michele Cerulario si separò da Roma e cadde nello scisma e nella eresia, in cui giace ancora? La causa principale fu l’orgoglio nazionale dei Greci, ai quali pareva una umiliazione ubbidire al Pontefice di Roma e sottostare ai Latini. Perché la maggior parte della Germania consumò la sua separazione dal centro dell’unità cattolica, che risiede in Roma? Vuolsi ascriverne la causa principale alla gelosia nazionale: ai fieri Germani mal sapeva ricevere la legge da Roma, a loro, figli di Arminio. Perché l’Inghilterra ruppe i vincoli, che da secoli la tenevano unita a Roma? Perché le parve a torto minacciata la sua indipendenza nazionale. Se bene si guarda quasi tutti gli scismi e quasi tutte le grandi eresie, che desolarono la Chiesa, ebbero la loro funesta radice nel sentimento esagerato e male inteso della dignità e grandezza nazionale. È una prova tremenda per un popolo il sospetto, il solo timore, che gli interessi religiosi possano offendere il sentimento patriottico: nella lotta vera o immaginaria che sia v’è un grande pericolo, che il popolo agli interessi del Cielo anteponga i terreni e respinga una Chiesa od una Religione che gli sembra domandare il sacrificio della patria e tanto più grande è il pericolo quanto più ardente è l’amore della patria stessa. Ma guai a quel popolo che si lascia accecare! L’esempio d’Israele è là sotto gli occhi del mondo intero. Torniamo al sacro testo. – Gli Apostoli, benché poveri figli del popolo, rozzi pescatori, nati e cresciuti sugli estremi confini della nazione, ai piedi del Libano e lontani dal centro d’Israele, Gerusalemme, dove batteva il cuore della nazione e ardeva il focolare del patriottismo, non erano estranei alle speranze comuni, né insensibili al fremito del popolo. L’uomo nasce e vive patriota e tutto ciò che suona onore, libertà e grandezza della patria, trova sempre aperta la via del suo cuore e se vi è uomo, in cui l’amore della patria non trova eco, dite pure che è un miserabile, un essere degradato. Era dunque naturale che gli Apostoli, anime rette, forti e generose, ancorché prive d’ogni coltura, sentissero vivo l’amore della patria e partecipassero al sentimento comune, spingendolo fino al pregiudizio fatale di assegnare al Messia, e per conseguenza a Gesù Cristo, la missione di liberatore dal giogo straniero. E che gli Apostoli tutti fossero vittima di questo pregiudizio comune, figlio d’un patriottismo male inteso, e ciò fino alla Ascensione di Gesù Cristo al Cielo, apparisce in modo indubitato dalla domanda che ingenuamente e non senza qualche peritanza, gli mossero: – Signore, restituirai tu forse in questo tempo il regno ad Israele? – La domanda è fatta in modo, che sembra deliberata in comune, riserbata in sull’ultimo come cosa gravissima, nella speranza che il Maestro ne parlasse anche non richiesto e concepita in termini che esprimono l’angustia e l’incertezza dell’animo loro. Qual fu la risposta di Gesù? È semplicissima e l’avete udita. Egli, il divino Maestro, li lascia dire e li ascolta. Non una parola di stupore, non un accento solo di rimprovero per tanta ignoranza, dopo sì lungo tempo di scuola avuta da Lui, e tanta ignoranza sopra un punto capitale, che riguardava il fine della divina sua missione. Quanta benignità! Quanta carità con questi suoi cari Apostoli! Egli, vedendo le loro menti ingombre di sì gravi pregiudizi, tace e dissimula e non si prova nemmeno a dissiparli, perché non l’avrebbero compreso. Aspetta che il tempo e la luce che tra breve getterà nelle loro menti lo Spirito Santo, li rischiarino e mettano fine ai loro dubbi. Grande e sublime lezione per tutti e particolarmente per quanti hanno l’ufficio di ammaestrare il popolo! Quante volte accade di trovare persone piene di errori, che non si arrendono alle dimostrazioni più evidenti, che non sanno spogliarsi di certi pregiudizi succhiati col latte, che chiudono gli occhi della mente a verità chiarissime! Che fare? Talvolta sono vittime della educazione, dell’ambiente, come si dice, delle correnti popolari, di passioni per sé non sempre spregevoli. Combatterle risolutamente a viso aperto sarebbe forse cosa vana e talora anche nociva, perché ecciterebbe più vive le passioni facendosi l’amor proprio offeso loro patrocinatore. In molti casi giova tacere, dissimulare, attendere che le passioni sbolliscano, che il tempo ammaestri, e non è raro il caso che le menti si aprano da se stesse alla luce di quelle verità che prima si erano fieramente rigettate. L’esempio di Cristo lo prova. Egli lasciò cadere la domanda; non negò, né affermò; ma, riconducendo la mente dei suoi diletti Apostoli a ciò che maggiormente importava e dalle cose temporali richiamandoli, come sempre soleva fare, alle celesti, rispose: – Non spetta a voi conoscere i tempi e le congiunture, che il Padre ha serbato in sua balìa. – Che fu un dire: a che fermate il vostro pensiero sulle sorti future del regno d’Israele? Voi non potete mutarle; esse sono nelle mani di Dio, che solo le conosce e le regola nella sua sapienza. Ad altra impresa e troppo più alta e importante voi siete chiamati: di questa vi occupate, che è vostra, e quell’altra rimettete al divino volere. – Del resto qual era la sorte riserbata alla nazione giudaica e nominatamente alla sua capitale, Gerusalemme, cinquanta giorni innanzi l’aveva detto e descritto coi colori più vivi e la memoria doveva essere ancor fresca negli Apostoli. Non aveva lor detto, pochi giorni prima della sua passione, che sarebbe scoppiata una guerra sterminatrice con rivolte e tumulti? Non aveva chiaramente annunziato un assedio terribile, la presa della città, la distruzione del tempio, sì che non ne sarebbe rimasta pietra sopra pietra e ammonitili che fuggissero ai monti per non essere involti nella catastrofe? In quella profezia sì chiara e particolareggiata, che non potevano aver dimenticata, perché recentissima, si conteneva la risposta alla domanda: – È questo il tempo, nel quale restituirai il regno ad Israele? – Ma non è inutile il ripeterlo, quando un pregiudizio è profondamente abbarbicato nell’animo non valgono le ragioni più evidenti a svellerlo, ed è saggezza aspettare il beneficio del tempo e della esperienza, come fece Cristo, il quale, messo da banda questo argomento affatto umano e che allora non interessava, continuò, dicendo: – Piuttosto voi riceverete la potenza dello Spirito Santo, il quale verrà sopra di voi -. Ben altro regno che quello temporale d’Israele, del quale mi fate domanda, si deve fondare e tosto e per opera vostra. E come e quando? Appena avrete ricevuto lo Spirito Santo, che vi riempirà della sua forza divina tra pochi giorni e trasformandovi in altri uomini, vi renderà strumenti atti all’ardua impresa; e allora, da Lui supernamente illustrati, comprenderete qual sia il regno, ch’Io sono venuto a stabilire, regno della verità, regno dell’anime, che comincerà qui in Gerusalemme, si allargherà in tutta la Giudea e nella Samaria, che sono i confini del regno d’Israele, di cui parlate, e poi si distenderà fino agli estremi della terra. In tal modo Gesù Cristo accenna alla differenza immensa, che corre tra l’angusto e temporal regno sognato dagli Apostoli e quello senza confini e spirituale, ch’Egli per opera loro avrebbe fondato e implicitamente risponde alla domanda, che gli avevano fatta: – In questo tempo restituirai tu il regno ad Israele? – E qui cade in acconcio toccare alcune verità, che non sono senza importanza. E primieramente osservate tracciato agli Apostoli l’ordine della loro predicazione: essi dovevano cominciare la loro missione in Gerusalemme, poi spandersi nella Giudea, poi portarla in Samaria, che è quanto dire annunziare prima la buona novella ai figli di Abramo disseminati sul territorio delle dodici tribù, pigliando le mosse dalle due rimaste fedeli. Compiuta questa missione presso i figli d’Israele, il muro, che fino allora aveva separato il popolo eletto da tutti gli altri doveva cadere e aprirsi a tutti indistintamente la porta del novello regno, regno universale e duraturo fino al termine dei tempi. Disegno più audace di questo e umanamente di questo più impossibile non s’era mai visto, né mai era caduto in mente d’uomo e direttamente feriva l’orgoglio del popolo ebraico, sì tenace e sì geloso del suo più assoluto isolamento. Il carattere della più vasta universalità per ragione dello spazio e del tempo, che Cristo in questo luogo imprime al suo regno, siffattamente ripugna alle idee del mondo pagano e più ancora del mondo ebraico, che anche solo basta d’avvantaggio a mostrarli in Chi lo concepì e sì chiaramente l’annunzi la coscienza della propria forza al tutto sovra umana e divina. Osservate in secondo luogo che Cristo costituisce gli Apostoli testimoni – Eritis mihi testes – Testimoni di che? Dei fatti e dei miracoli (e per conseguenza della dottrina dai fatti e dai miracoli provata), che avevano veduto coi loro occhi. Ufficio adunque degli Apostoli e dei loro successori è quello di attestare e affermare costantemente e dovunque l’insegnamento di Cristo, la cui certezza poggia sui miracoli da Lui operati. Essi non sono che testimoni e perciò loro ufficio è quello di conservare pura e intatta la Dottrina di Cristo, quale uscì dalle sue labbra, senza aggiungere o levare ad essa pure un’apice. Perciò il ponetevelo bene nell’animo, o dilettissimi, la Chiesa, continuatrice dell’opera degli Apostoli non crea una sola verità nuova, non altera, né dimentica, né omette una sola delle verità caduta dalle labbra di Cristo e degli Apostoli: tutte le conserva e le trasmette fedelmente, come un cristallo tersissimo trasmette i raggi del sole, benché le svolga più largamente e di nuove e più ampie prove secondo i tempi e i luoghi le avvalori. Finalmente non dimenticate mai, o dilettissimi, che questo doppio ufficio di propagatrice e conservatrice infallibile della Dottrina di Cristo la Chiesa lo adempì e adempirà sempre, non per virtù propria, ma sì unicamente per virtù di quello Spirito Santo, che Cristo promise agli Apostoli e che rimarrà nella Chiesa fino all’ultimo giorno de’ secoli, secondo la sua promessa solenne. È bene a credere che Cristo, trattenendosi con gli Apostoli a lungo e più volte per lo spazio di quaranta giorni, altre cose disse loro, che non sono registrate da S. Luca, ma che si conservarono religiosamente nell’insegnamento orale degli Apostoli stessi e della Chiesa. S. Luca, compendiate queste cose, narra che Gesù condusse gli Apostoli fuori, in Betania, il castello di Marta, Maria e Lazzaro, presso Gerusalemme (S. Luca, XXIV, 51) e benedicendoli amorosamente – sotto i loro occhi levossi in alto – Videntibus illis, elevatus est – Cristo levossi da terra per virtù della sua divina persona e sembra che ciò facesse a poco a poco, volti sempre gli sguardi sorridenti e stese le braccia verso i suoi cari Apostoli e discepoli e sopra tutto verso la Madre sua, che indubitatamente era colà, come si rileva dal versetto quattordicesimo di questo primo capo degli Atti Apostolici. Levossi in alto – Elevatus est – cioè levossi al Cielo. Che vi sia un luogo dove Iddio si manifesta svelatamente nella sua gloria a quelli, che hanno meritato di vederlo e bearsi in Lui e che si dice cielo, non vi può essere dubbio alcuno e la natura stessa degli Angeli e particolarmente degli uomini, che vi sono chiamati, lo esige. Ma dove sia questo luogo e questo Cielo a noi è perfettamente ignoto. Finché gli uomini, giudicando secondo i sensi e perciò seguendo le idee astronomiche di Tolcredevano la terra immobile, centro universale del creato e gli astri e le stelle poste in alto e d’altra natura incomparabilmente più nobile della terra, si comprende come potessero e dovessero collocare il Cielo, questo luogo di delizie, questa dimora gloriosa lassù in alto, negli astri, nelle stelle, nel Cielo immobile, che a tutte le cose sovrasta. L’idea cristiana del Cielo, elevandosi ai sublimi concetti di Dio, della sua immensità, degli spiriti, delle anime e dei corpi gloriosi, conserva pur sempre l’idea d’un luogo particolare, dove Dio mostra la sua presenza e la sua gloria, ma non determinò mai precisamente in qual regione sia posto questo luogo, se sopra o sotto di noi, se ad Oriente od Occidente, a tramontana o mezzogiorno. I Libri Santi tacciono, la tradizione è muta e la Chiesa, che n’è l’interprete, insegna che il Cielo de’ beati, il paradiso vi è, ma dove sia nol disse mai. E perché non potrebb’essere sulla terra istessa? Là dove è Dio svelato alle anime, là può essere il Cielo; e non potrebbe Iddio mostrarsi loro qual è qui sulla terra, campo dei loro combattimenti e delle loro vittorie e perciò anche luogo del loro trionfo? Che importa che noi non vediamo nulla? Chi può vedere Iddio, i puri spiriti, i corpi gloriosi? Cristo non vive sulla terra nel Sacramento dell’altare invisibile? E certo dove è Cristo ivi è altresì il Cielo, di cui è il Re. Disse profondamente il poeta teologo che ogni dove è paradiso ed è questo il vero concetto del Cielo secondo la ragione e secondo la fede e questo teniamo. Ma voi direte: E pur sempre vero che il testo sacro, narrando l’ascensione di Cristo, ce lo descrisse in atto di salire in alto – Elevatus est -; e noi stessi, allorché accenniamo il Cielo, leviamo in alto le mani quasi fosse lassù sopra dei nostri capi. È vero: Cristo, salendo in Cielo, montò in alto, non perché il Cielo sia piuttosto in alto che in basso ma per mostrare che la sua presenza visibile cessava sulla terra e cominciava un’altra maniera differentissima di vita; e poiché le cose più nobili e più eccellenti per noi si dicono metaforicamente alte e ce le rappresentiamo, non in basso, ma in alto; così Cristo per farci conoscere il suo nuovo modo di esistere in Cielo, salì in alto. Per la stessa ragione, allorché noi parliamo del Cielo, leviamo in alto le mani e gli occhi come se il Cielo fosse sopra de’ nostri capi Poiché Gesù fu levato in alto, una nube, dice il sacro scrittore, lo tolse ai loro occhi. Qual nube? Porse fu vera nube, o come inclino a credere e mi sembra più conforme al fatto e alla maestà di Cristo, quella fu uno splendore di luce meravigliosa, che a guisa di nube lo circonfuse e lo rese invisibile agli occhi degli Apostoli, che lo seguivano con ansia amorosa, con gioia ineffabile e dolore vivissimo, come potete immaginare. – Allorché gli Apostoli stavano pur con gli occhi fissi in alto cercando di vedere il Maestro, che si era dileguato in mezzo a quei fulgori celesti, ecco ad un tratto due personaggi bianco vestiti stettero presso di loro, quasi inosservati, perché gli occhi loro erano fermi lassù in alto. S. Luca non dice che fossero Angeli, ma non è a dubitarne dal contesto. Li chiama personaggi (viri), non Angeli, perché apparvero con forme umane e certo non è questo il primo luogo, in cui gli Angeli si chiamano uomini. Essi, riscossi gli Apostoli da quella loro estasi, volsero loro la parola, dicendo: – 0 Galilei, che state a riguardare in Cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi fu assunto in Cielo, verrà al modo istesso, onde lo vedeste andarsene -. Quegli Angeli rammentarono agli Apostoli una verità, che più volte avevano udita dalla bocca di Cristo, cioè la sua venuta gloriosa al termine dei tempi. Vedete somiglianza tra i due fatti della salita di Cristo al Cielo e della futura sua venuta, toccata dal sacro Autore. E sempre sopra una nube, che Gesù si mostra, sia che parta dalla terra, sia che vi ritorni, per indicare la sua maestà e la piena signoria ch’Egli ha sopra ogni cosa. Nella stessa trasfigurazione la voce celeste si fa udire dal seno d’una nube e attraverso ad una nube Mosè intravvede Dio. Con la mente e col cuore abbiamo seguito Cristo, che sale al Cielo: prepariamoci con la mente e col cuore ad accoglierlo nella finale sua venuta per essergli compagni nel suo rientrare nella gloria celeste e vivere beati con Lui per tutti i secoli dei secoli.
Alleluia
Allelúia, allelúia.
Ps XLVI:6.
Ascéndit Deus in iubilatióne, et Dóminus in voce tubæ. Allelúia.
[Iddio è asceso nel giubilo e il Signore al suono delle trombe. Allelúia.]
Ps LXVII:18-19.
V. Dóminus in Sina in sancto, ascéndens in altum, captívam duxit captivitátem. Allelúia.
[Il Signore dal Sinai viene nel santuario, salendo in alto, trascina schiava la schiavitú. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.
Marc XVI:14-20
In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit incredulitátem eórum et durítiam cordis: quia iis, qui víderant eum resurrexísse, non credidérunt. Et dixit eis: Eúntes in mundum univérsum, prædicáte Evangélium omni creatúræ. Qui credíderit et baptizátus fúerit, salvus erit: qui vero non credíderit, condemnábitur. Signa autem eos, qui credíderint, hæc sequéntur: In nómine meo dæmónia eiícient: linguis loquantur novis: serpentes tollent: et si mortíferum quid bíberint, non eis nocébit: super ægros manus impónent, et bene habébunt. Et Dóminus quidem Iesus, postquam locútus est eis, assúmptus est in cœlum, et sedet a dextris Dei. Illi autem profécti, prædicavérunt ubíque, Dómino cooperánte et sermónem confirmánte, sequéntibus signis.
“In quel tempo: Gesú apparve agli undici, mentre erano a mensa, e rinfacciò ad essi la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano prestato fede a quelli che lo avevano visto resuscitato. E disse loro: Andate per tutto il mondo: predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo: chi poi non crederà, sarà condannato. Ed ecco i miracoli che accompagneranno coloro che hanno creduto: nel mio Nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, maneggeranno serpenti, e se avran bevuto qualcosa di mortifero non farà loro male: imporranno le mani ai malati e questi guariranno. E il Signore Gesù, dopo aver parlato con essi, fu assunto in cielo e si assise alla destra di Dio. Essi se ne andarono a predicare per ogni dove, mentre il Signore li assisteva e confermava la loro parola con i miracoli che la seguivano.”
Recitato il Vangelo, viene spento il Cero pasquale, ne più si accende, se non il Sabato di Pentecoste per la benedizione del Fonte.
OMELIA II
[Mons. G. Bonomelli: MISTERI CRISTIANI, Queriniana Brescia, 1896 vol. II, impr.]
FESTA ASCENSIONE – RAGIONAMENTO IV.
Il fatto della Ascensione di Gesù Cristo ci ammaestra e ci conforta.
L’Ascensione di Gesù Cristo, che oggi celebriamo, è l’ultimo dei misteri da Lui compiuti sulla terra e corona degnamente tutta la sua vita. Colla Incarnazione venne dal Cielo sulla terra: colla Ascensione parte dalla terra e ritorna al Cielo, conducendo seco le primizie della umanità redenta e schiudendo a noi fratelli suoi secondo la carne le porte di quella beata dimora. Gesù, dall’alto della croce, abbracciando collo sguardo della mente i giorni di sua vita mortale, le profezie, che si compivano nella sua Persona e vedendo compiuta l’opera della umana redenzione, poté esclamare – Consummatum est -. Tutto è consumato -. Oggi, con maggior verità, se così posso esprimermi, Gesù Cristo può ripetere – Tutto, tutto è consumato; la mia missione sulla terra, missione di maestro coll’opera e colla parola: missione di vittima espiatrice e di redentore di tutti gli uomini, è compiuta e me ne vado al Padre, che mi ha mandato. Ho gittato il seme fecondo della verità e della vita nei cuori de’ miei Apostoli. È necessario, che salga al Cielo e di là mandi lo Spirito Santo, che qual sole vivificatore e qual pioggia fecondatrice, lo faccia crescere e fruttificare: Consummatum est. Mentre Gesù sale al Cielo, benedicendo gli Apostoli, che con occhi pieni d’amore lo seguono, noi, carissimi, raccogliamoci e meditiamo alcune verità, che l’odierno mistero ci mette innanzi; esse saranno lume alle nostre menti e conforto al nostro cuore. – E per dare qualche ordine alle poche parole che sono per rivolgervi, vi mostrerò: 1° la condiscendenza paterna e la squisita bontà di Gesù Cristo verso degli Apostoli prima di separarsi da loro. 2° Vedremo come Gesù ci abbia tracciato la via da seguire se vogliamo essere con Lui, e che è compendiata in quelle parole – Conveniva che Cristo soffrisse e così entrasse nella sua gloria -. 3° Finalmente vi dirò del conforto dolcissimo, che dobbiamo attingere nell’odierno mistero, rammentando le parole dell’Apostolo, che scrisse, il Salvatore essere entrato ne’ Cieli e colà vivere adempiendo l’ufficio di Mediatore. – Semper vivens ad interpellandum pro nobis. Dalle Sante Scritture, e particolarmente dal primo capo degli Atti Apostolici, apprendiamo che Gesù Cristo dopo la sua Risurrezione dimorò sulla terra quaranta giorni. In quel periodo di tempo qual fu la sua vita? Non vi è dubbio, colla Risurrezione comincia la sua vita gloriosa, ma non sempre e in ogni occasione si manifesta come tale. Il suo corpo apparisce fornito delle doti del corpo glorioso entrando nel cenacolo a porte chiuse, dileguandosi agli occhi dei due discepoli in Emmaus, tramutandosi in un istante da un luogo all’altro: talvolta tra il suo modo di vivere e operare dopo la sua Risurrezione e quello che teneva prima non sembra correre differenza o leggera: si trattiene e conversa amichevolmente cogli Apostoli: mangia con essi; li istruisce, li rimprovera, li conforta e si direbbe che nulla di singolare apparisce nel suo corpo e nel suo tenore di vita. Come ciò, o carissimi? Perché Gesù Cristo non si circonda di luce e di gloria come sul Tabor? Perché vela lo splendore, che dovea brillare nella sua umanità risorta e trasformata e si presenta ora come pellegrino, ora come ortolano, ora come un estraneo sulle rive del lago di Galilea, ora come l’antico maestro? Quali le ragioni di questa condotta, che parrebbe al tutto contraria al suo stato di corpo glorioso? Così Egli fece unicamente per i suoi cari Apostoli e discepoli. Ad uomini che viveano ancora nello stato di via e di prova, che aggravati da un corpo mortale erano impotenti a sostenere la luce smagliante dell’umanità sua gloriosa, Gesù doveva mostrarsi in quei modi e sotto quelle forme, che, mostrando pure la verità della Risurrezione, lo rendessero accessibile ai loro sensi infermi. Ecco perché il Salvatore risorto eclissa quasi interamente la sua gloria e assume le forme più semplici. Nell’Incarnazione il Figlio di Dio per avvicinarsi agli uomini e ammaestrarli si fece uomo e nascose la sua gloria infinita nell’assunta natura, lasciandone trasparire a quando a quando alcuni raggi, che mostrassero la sua divina Persona: risorto, tempra gli splendori, onde doveva sfolgorare il suo corpo, perché gli Apostoli potessero avvicinarsi a Lui; ma nello stesso tempo opera tali prodigi, che tolgono ogni ombra di dubbio sulla realtà della Risurrezione. Non è questa una prova della sua bontà verso de’ suoi diletti discepoli? Si fa piccolo coi piccoli e quasi ancora mortale coi mortali per prolungare e compire il suo insegnamento! S’Egli fosse loro apparso sfavillante di luce, librato in alto o in altri modi straordinari, non è egli vero che forse gli Apostoli avrebbero potuto sospettare d’essere vittime di qualche inganno, o di qualche allucinazione? Come avrebbero potuto accostarsi a Lui, udirlo tranquillamente, parlargli, interrogarlo, toccare il suo corpo, palpare le sue mani? A principio, vedendolo, credevano d’avere innanzi a sé un’ombra, un fantasma, uno spirito e tennero in conto di vaneggianti le donne, che affermavano d’averlo veduto (S. Luca, XXIV, II); che sarebbe stato se si fosse mostrato in tutta la maestà e in tutta la gloria d’un corpo glorioso? Se alla vista d’un lampo di gloria, che sfolgorava nel suo corpo ancor mortale sul monte, allorché trasfigurossi, i tre Apostoli abbagliati e sopraffatti caddero colla faccia sul suolo, che sarebbe avvenuto se dopo la Risurrezione si fosse loro svelato qual era glorioso? – Gesù Cristo, se così possiamo dire, dopo la Risurrezione ama ritornare all’antica semplicità coi suoi cari, vuol ripigliare la famigliarità consueta del trattare e conversare e con essi, rivedere quei luoghi e specialmente quei colli ridenti di Galilea e quelle rive incantevoli del suo lago, dove avea cominciato la sua predicazione e formato: il drappello de’ suoi Apostoli. Si direbbe che la compagnia de’ sui fedeli discepoli gli fa dimenticare l’ingresso trionfale in Cielo. – Essi, que’ suoi diletti ondeggiano ancora tra il timore e la speranza: vuole accertarli che è ben Lui l’antico loro Maestro, il crocefisso e il risorto del Golgota e moltiplica le apparizioni e le forme ed i luoghi delle apparizioni e muta talora i testimonî, perché nella varietà delle manifestazioni maggior sia la loro certezza. Non è così che fanno gli uomini allorché vogliono persuadere d’una verità quelli, che ne dubitano? L’annunziano, la ripetono più e più volte mutando le parole e ai vecchi argomenti altri nuovi argomenti aggiungendo, finché veggono dissipato ogni dubbio e la verità nella mente degli oppositori saldamente stabilita. Gli Apostoli e i discepoli, dopo la tremenda tragedia del Calvario, erano come pecorelle che, perduto il pastore, circondate da lupi e sgominate dal nembo, non sanno dove ripararsi e qua e là scorrono per la selva, ignare che sarà di loro. Gesù, il buon pastore per eccellenza, appena risorto, va in cerca di queste pecorelle smarrite e tremanti: or queste or quelle rintraccia separatamente; poi, tutte le raccoglie in vari luoghi e ripetutamente le conforta e le prepara alle prove future. Quando sta in mezzo a’ suoi Apostoli, dopo averli consolati e fatti certi della sua Risurrezione, riduce alla loro memoria le verità che loro aveva insegnate, le spiega meglio – Loquens de regno Dei -, le ribadisce nelle loro menti, parla loro del modo, con cui dovranno governarsi nella grande missione, che loro affida: nettamente predice le lotte, le persecuzioni, che li aspettavano nel mondo; ma non temessero perché lo Spirito Santo li avrebbe ammaestrati in ogni cosa, ed Egli stesso sarebbe sempre con loro fino al termine dei tempi. Egli è simile ad un padre amoroso, che dovendo partire per lontano paese, si chiama intorno i figli, e porge loro i più saggi ammonimenti e non si stanca di ripeterli a questo e a quello in particolare e a tutti insieme, e li va preparando al momento. della separazione in guisa che questa riesca meno dolorosa. – Lo so: altri potrebbe dirmi: e non poteva Gesù Cristo nella sua onnipotenza provare in un istante solo la verità della Risurrezione, dissipare tutti i dubbi dalla mente degli Apostoli e inondarla di luce sì che non vi fosse bisogno di tanto tempo per ammaestrarli? Perché non fare in un lampo ciò che ottenne in quaranta giorni? E poi perché non affidare ad altri questo ufficio di Consolatore e di Maestro? Nessun dubbio che Gesù poteva veramente così fare, se così gli fosse piaciuto: ma nol volle e fu prova di sapienza e bontà grande fare come fece. – Se voi scorrete la vita di Gesù Cristo, troverete, che Egli si acconcia allo svolgimento delle leggi e delle forze di natura e se coi miracoli talvolta lo sospende e lo muta egli è per provare la sua missione e lo fa, diremmo quasi, con parsimonia, tanto quanto era necessario. Lo sviluppo della sua natura umana segue le leggi naturali:col lavoro suo pane: non mette l’onnipotenza sua a servizio de’ suoi bisogni naturali per risparmiarsi fatiche, stenti o dolori. Avrebbe potuto in un attimo formarsi gli Apostoli e ricolmarli d’ogni scienza: invece travaglia intorno a loro per lo spazio di tre anni e voi non ignorate quale ne fosse il risultato. Perché dopo la Risurrezione avrebbe tenuto altro modo? Non dimenticate lo mai, o dilettissimi; Dio vuole nell’ordine soprannaturale seguire le vie naturali, perché più conformi all’uomo, perché queste domandano il concorso dell’uomo e l’obbligano a spiegare la sua attività. Ponete che Cristo in un istante, usando della sua onnipotenza avesse ammaestrati e trasformati gli Apostoli: quale sarebbe statal’opera loro e quale per conseguenza il loro merito?Sarebbe stata opera totalmente di Dio e nullo il loro merito. A questo ufficio di Consolatore e Maestro degli Apostoli avrebbe potuto deputare gli Angeli od altri uomini. Chi l’ignora? Ma Gesù Cristo volle affermarlo e compirlo Egli stesso perché era conveniente ch’Egli, che aveva incominciato l’opera, Egli stesso la conducesse a termine e perché alle tante altre aggiungeva una novella prova della sua carità e paterna tenerezza verso gli Apostoli. Sia dunque ora e sempre benedetto Gesù Cristo, che, prolungando la sua dimora sulla terra dopo la Risurrezione, quasi fosse ancora pellegrino,ci diede un pegno sì prezioso della sua immensa bontà! – S. Luca (Vangelo XXIV. 50, Atti Apost. I, 12) narra che Gesù condusse Seco presso Betania sul colle degli Ulivi, i suoi Apostoli e discepoli e di là, stendendo le mani e benedicendoli, Sali al cielo! È un fatto, che non deve passare inosservato, o carissimi, e non senza ragione il sacro scrittore notò questo particolare del luogo, donde Gesù si dipartì dalla terra e cominciò il suo trionfale ingresso nel regno de’ Cieli. Sorge naturale nell’anima; perché Gesù Cristo scelse quel luogo per dare l’ultimo addio a’ suoi cari e pigliare le mosse pel Cielo in modo visibile? Là presso Betania, su quel colle degli Ulivi, Gesù avea pregato tante volte nel silenzio della notte: là aveva cominciato, dopo la preghiera, la terribile lotta, che doveva spremere dal suo corpo il sudore di sangue, prova dell’angoscia mortale, ond’era oppresso il suo cuore; là avea cominciato la sua passione. Quegli ulivi avevano visto accostarsi a Lui il traditore a capo degli sgherri della sinagoga; avevano visto il bacio nefando dato al Maestro; l’aveano visto stretto in catene avviarsi fra le tenebre di quella notte fatale verso: Gerusalemme, mentre gli Apostoli si davano alla fuga. Era troppo giusto che quel luogo per Gesù e per gli Apostoli sì memorando, testimonio di tante umiliazioni, di tanti e sì ineffabili dolori, fosse testimonio altresì della loro gioia e del trionfo supremo del divino Maestro. Chi di noi non rivede volentieri nei giorni della felicità quei luoghi dove fummo messi a dure prove e versammo lagrime amare? Il ricordo di quei luoghi per la ragione dei contrasti spande non so qual dolce voluttà negli animi nostri, che ci obbliga a rivederli e ce li rende cari e preziosi. Alla vista di quel luogo io credo che Gesù e gli Apostoli trasalissero di gioia scorrendo col pensiero la sì recente storia de’ loro patimenti, tramutati in tanta felicità. Da quel luogo, abbassando lo sguardo, vedeasi Gerusalemme, il tempio che torreggiava su tutta la città; vedeansi le piazze, le vie per le quali Gesù era stato trascinato in mezzo alle grida selvagge della folla inferocita; vedeasi il pretorio, vedeasi il Golgota, su cui in mezzo a strazi senza nome aveva esalato l’anima, e ai suoi piedi il sepolcro, in cui quel corpo, che ora appariva riboccante di vita e glorioso, per tre giorni era stato deposto. Qual vista! Quali memorie! Quei luoghi, già teatro de’ suoi vituperî e delle sue agonie, dovevano essere spettatori della sua finale vittoria e rendere più bello e più caro il suo trionfo. E chi sono i testimonî della sua Ascensione? Chi son quelli che l’accompagnano sul colle degli Ulivi, che raccolgono le ultime parole cadute dalle sue labbra e ricevono l’ultima sua benedizione? Anzitutto la sua Madre benedetta chiaramente si raccoglie dagli Atti Apostolici (S. Luca – Atti Apost. I, 14 – dice, che subito dopo l’Ascensione gli Apostoli si ritirarono in Gerusalemme e vi stettero insieme riuniti fino alla Pentecoste, cioè per 10 giorni, ed espressamente dice, che con essi era Maria, madre di Gesù. Erano, scrive S. Luca, circa 120 persone. Da ciò si rileva che queste 120 persone con Maria dovevano essere state presenti alla Ascensione di Gesù Cristo.). Poteva Egli mai Gesù Cristo privare la Madre sua di questo onore, di questa gioia suprema, la Madre sua, che più di tutti avea bevuto fino alla feccia il calice de’ suoi inenarrabili dolori? Dopo la Madre venivano gli Apostoli, poi i discepoli e i credenti tutti, che in Gerusalemme formavano la sua Chiesa. E perché questi soli? Perché su quel colle non chiamò l’intero Sinedrio, tutta Gerusalemme, tutti quelli che erano stati testimonî, complici e autori de’ suoi patimenti e della sua morte? Il suo trionfo non sarebbe stato più completo? Sono sempre le nostre vedute umane, che vorremmo adottate dalla infinita sapienza di Dio: senza accorgerci noi prestiamo a Dio le debolezze del nostro amor proprio. Umiliati ingiustamente, perseguitati, traditi, noi vogliamo la rivincita, aneliamo alla vendetta pubblica, solenne, sopra i nostri nemici e vogliamo che il mondo tutto la vegga e così sia riscattato l’onor nostro, o più veramente il nostro egoismo offeso. Non son questi i consigli della sapienza divina. Gesù non si cura di questi piccoli trionfi, di queste piccole vendette, architettate dall’amor proprio e ad esso sì care. Egli vuole ammaestrarci col suo esempio ed a più alti e più nobili ideali solleva le nostre menti. Egli non pensa a schiacciare sotto il peso d’un trionfo teatrale i suoi nemici: Egli lascia che il tempo e la forza della verità aprano la via della loro mente e del loro cuore; sa che ben presto molti di loro verranno a Lui vinti dalla evidenza della verità e attratti dalla sua grazia; Egli non vuole far violenza al libero arbitrio di chicchessia, perché vuole l’ossequio libero delle menti e dei cuori. Egli mette a parte dello spettacolo dolcissimo della sua Ascensione soltanto i suoi cari, quelli soli ch’ebbero parte ai dolori e alle umiliazioni della sua passione e della sua morte: è una ricompensa che dà loro sulla terra pegno di quell’altra pienissima ed eterna, che riserba loro in Cielo. Non ricusa i benefici effetti di questa ricompensa nemmeno a quelli che non ne sono meritevoli, anzi che ne sono indegnissimi; perché i testimonî e gli spettatori della sua Ascensione potranno e dovranno narrare anche a loro ciò che hanno veduto coi loro occhi e in qualche misura renderli pur essi partecipi del beneficio e della gioia di quest’ultimo trionfo ed insieme argomento della divina sua missione. Finalmente l’Ascensione di Gesù Cristo ribadisce quella grande verità, che forma la base della nostra fede e della nostra speranza e che quantunque notissima giova ripetere continuamente per avvalorare la nostra debolezza nelle dure prove della vita ed è quella ricordata da Cristo istesso (Mt. XXIV. 26), cioè, ch’Egli dovea patire e così entrare al possesso della sua gloria. L’Ascensione corona tutta la vita di Cristo; è il trionfo, che segue il combattimento e la vittoria; è il riposo dopo la fatica; è la mercede dopo il lavoro; è la gioia dopo il dolore; è la gloria dopo le umiliazioni. Noi sappiamo che l’anima di Gesù Cristo fin dal primo momento della Incarnazione ebbe la visione immediata di Dio e perciò fu perfettamente beata; ma questa beatitudine e questa gloria era tutta interna; non appariva esternamente e la sua trasfigurazione sul monte, non fu che uno sprazzo momentaneo della felicità e gloria interna, onde colla beatitudine e gloria interna dell’umanità di Gesù Cristo si potevano comporre i dolori e le umiliazioni indicibili, onde esternamente fu coperto ed oppresso. Quella beatitudine e gloria interna, che nell’umanità di Cristo sgorgava necessariamente dall’unione sua intima colla Persona del Verbo non furono, né potevano essere frutto de’ suoi meriti, perché precedettero ogni suo atto; ma la beatitudine e la gloria esterna dell’umanità di Cristo fu mercede dovuta a’ suoi meriti, e perciò questa l’ebbe dopo la morte e apparve nella sua magnificenza il giorno della Ascensione. Ora ciò che avviene nel Capo deve ripetersi nella conveniente misura nelle membra: Gesù ebbe la sua glorificazione esterna dopo averla meritata coi dolori e colle umiliazioni della passione e della morte; così noi pure avremo la felicità e la gloria del Cielo, ma dopo averla meritata colle fatiche e coi dolori della vita presente. – Gesù dal colle degli Ulivi sale al Cielo, ma dopo aver pregato e agonizzato a piè di quel colle, dopo aver portata la sua croce sul Golgota; anche per Lui la gloria dell’Ascensione al Cielo è un premio di ciò che sofferse nei giorni di sua vita mortale. Se così è, dilettissimi, del nostro Capo e modello Gesù Cristo, come non lo sarà per noi? – Noi tutti, quanti siamo figli di Adamo, e credenti in Gesù Cristo, aspiriamo alla felicità, ne sentiamo prepotente il bisogno, è il tormento delle anime nostre. Venuti da Dio a Dio vogliamo ritornare: viventi sulla terra sentiamo la nostalgia del Cielo: gementi su questa terra d’esilio, sospiriamo alla patria, nella quale oggi ci ha preceduto il nostro duce supremo, Gesù Cristo. Ma, non inganniamoci, carissimi; per giungervi non c’è che una sola via, la via battuta da Lui, la via del patire, la via della croce, la via del Calvario. Sperare di giungervi per altra via meno faticosa, è follia, è un insulto a Gesù Cristo, che se vi fosse ce l’avrebbe insegnata colla parola e coll’esempio. Noi dunque che oggi sul colle degli Ulivi cogli occhi della fede abbiamo veduto Gesù Cristo, che col corpo pel primo entra in Cielo e vogliamo lassù seguirlo e con Lui vivere eternamente, cogli Apostoli e coi discepoli discendiamo ancora in questa Gerusalemme terrena, con essi preghiamo nel Cenacolo, con essi e com’essi corriamo le vie dolorose dell’esilio, rifacciamo il cammino percorso dal divino Maestro, affinché, venuta l’ora nostra, come venne la sua, possiamo cantare nel suo regno – Oportuit Christum pati et ita intrare in gloriam suam – Regneremo con Lui, se con Lui avremo patito – “Conregnabimus, si tamen et compatimur”- Vi dissi a principio, che il mistero dell’Ascensione non solo ci ricorda due grandi verità, ci offre un conforto dolcissimo in mezzo alle pene e alle amarezze della vita. È prezzo dell’opera vederlo. Il nostro divino Salvatore in questo giorno ha sottratto la sua visibile presenza alla terra ed ha varcate le soglie del Cielo, dove agli Angeli tutti ed agli uomini, che lo seguirono, spiega la sua gloria in tutta 1a magnificenza che a Lui è dovuta. Rallegriamocene: il trionfo di Gesù Cristo è trionfo nostro. Dove sono i figli, che non godano degli onori che il padre riceve in lontane contrade, ancorché a loro sia tolto di vederli? Dov’è il popolo che non esulti udendo come il suo re sia accolto da altri popoli con feste strepitose? gli onori resi al padre si riflettono sui figli e le feste fatte al re sono fatte al suo popolo. Dove sono quegli uomini, che vedendo il figlio del loro ben amato monarca, che per salvarli da orrida schiavitù e renderli felici ha sfidato tutti i pericoli, ha versato il suo sangue in mezzo a dolori atrocissimi, ha dato la sua vita e ciò che vale più della vita, l’onore, e non gioiscono; vedendolo redivivo e coperto di gloria? Gesù Cristo è nostro padre, il nostro re, il Figlio del Monarca eterno, che patì e morì per noi, che oggi entra trionfante in Cielo. Come non godere ed esultare con Lui? Ma l’Apostolo Paolo ci mette innanzi un altro motivo nobilissimo, che oggi ci deve ricolmare di gioia, uditelo: Gesù Cristo – scrive l’Apostolo, è il vero e sommo Sacerdote, che placa la giustizia del Padre suo nel proprio sangue e a Lui riconcilia tutti gli uomini. Il Sacerdozio di Cristo è eterno, come eterno è Egli stesso: Egli ed Egli solo può salvare tutti quelli che con fede si accostano al Padre suo; gli altri sacerdoti non hanno virtù di salvare chicchessia, perché peccatori essi stessi ed hanno bisogno essi pure d’essere salvati; e se salvano i fratelli, lo possono unicamente nel Nome e nella autorità di Lui. Ebbene; Gesù Cristo, l’eterno sacerdote, santo, innocente, immacolato, che non ha nulla di comune coi peccatori, oggi monta nel più alto de’ cieli per rimanervi eternamente. E qual è l’ufficio, che, cominciato sulla terra, continua lassù? Eccolo: – Vive eternamente, intercedendo per noi – Semper vivens ad interpellandum pro nobis (VII, 25-26) -. Qual conforto! qual gioia per noi! Gesù-Cristo è Dio ed uomo: nell’unica sua Persona divina congiunge le due nature, divina ed umana; rinserra in sè, ponte immenso tra il Cielo e 1a terra, lo due sponde dell’infinito e del finito e per esso Dio con la pienezza de’ suoi beni discende e si comunica agli Angeli e agli uomini e per essa gli uomini e gli Angeli ascendono a Dio e a Lui si uniscono. Gesù Cristo nella natura sua divina certamente non prega, non intercede, perché eguale al Padre e al Santo Spirito e con Essi è padrone d’ogni cosa; ma nella natura umana, nella quale è inferiore al Padre e allo Spirito Santo, e nella quale merita, Egli compie incessantemente l’ufficio di Mediatore e Sacerdote e prega per tutti – Semper vivens ad interpellandum pro nobis (Heb, VII, 25-26). Allorché vivea sulla terra, dal dì che comparve nel seno intemerato della Vergine fino all’istante, in cui dall’alto della croce esalò l’estremo sospiro, Egli esercitò l’ufficio di Sacerdote e Mediatore: lo esercitò soffrendo per gli uomini, sollevando al Padre suo gli occhi e le mani, pregando con alto grido: – Cum clamore valido – spargendo largo pianto – et lacrymis -, aprendo le sue vene e il suo cuore e versando tutto il suo sangue e consumando il sacrificio di tutto se stesso. Contemplato questo Sacerdote incomparabile: Egli ha pigliato la sua santa umanità: l’ha collocatasull’altare: a forza di dolori e di strazi pel corso di trentatré anni ne ha spremuto tutto il pianto fino all’ultimo lacrima, tutto il sangue fino all’ultima stilla; l’ha offerta alla maestà del Padre suo come ostia di espiazione e propiziazione, dicendogli: – Ecco il prezzo del riscatto per i fratelli miei secondo la carne -. La fronte del Padre si rasserenò, un sorriso di gioia lampeggiò nel suo volto e dell’amor suo paterno abbracciò il Figlio e con Lui abbracciò l’umanità tutta quanta a Lui unita e riconciliata. Oggi questo Figlio, nel quale il Padre trova tutte le infinite sue compiacenze, perché a Lui eguale, dopo aver ripigliata l’umanità sua nella Risurrezione e rifattala bella, immortale e gloriosa, la presenta ancora al Padre suo in Cielo: l’esercito sterminato degli Angeli gli muove incontro, lo riconosce e adora come suo Re e del suo Nome fa risuonare le sfere celesti. Il Padre vede il Figliuol suo ammantato dell’umana natura assunta: vede in essa i segni e le cicatrici delle ferite ricevute nel terribile duello, col nemico, scintillanti come rubini e diamanti; vede quegli occhi che tante lagrime versarono: quelle mani che lavorarono sì a lungo in arte abbietta, quella fronte già trafitta dalle spine, quel petto già squarciato da crudel punta, quella umanità tutta già pesta e lacerata per la salvezza di tutti gli uomini e per la gloria sua: se la vede innanzi raggiante sì di luce e di gloria, ma umile, riverente e supplichevole, non per sé, ma pei fratelli erranti sulla terra ed ogni giorno alle prese con quel feroce nemico, ch’Egli ha debellato. In quella umanità gloriosa del Figlio che gli sta innanzi, il Padre vede tutta la storia della sua vita terrestre, legge raccolti in un sol punto tutti gli atti suoi: comprende l’amore, che lo condusse a compire tanto sacrificio: vede che l’onore che gliene viene, è rigorosamente infinito e infinitamente supera l’offesa ricevuta; vede che il trionfo della misericordia sulla giustizia è smisurato, e stringendo al suo seno questo Figliuol suo e Figliuolo dell’uomo, questo Capo e Sacerdote dell’umanità, esclama; – Figlio mio! domanda e ti darò in retaggio le nazioni tutte della terra: i confini del tuo regno saranno i confini dell’universo -. Dilettissimi! Allorchè io mi figuro Gesù Cristo, mio Salvatore, che oggi comparisce dinnanzi alla maestà del Padre, e gli mostra la sua umanità, vittima offerta per me e stende verso di Lui supplichevoli le mani e per me implora misericordia – Semper vivens ad interpellandum pro nobis – io non temo più nulla, tutto io spero, io l’amo con tutta l’anima mia e grido:- A Te, o Agnello di Dio, che siedi sul tuo trono di gloria, a Te sia benedizione, e onore e gloria e potere per tutti i secoli. Amen – (Apoc. V, 13).
Offertorium
Orémus
Ps XLVI: 6.
Ascéndit Deus in iubilatióne, et Dóminus in voce tubæ, allelúia.
[Iddio è asceso nel giubilo e il Signore al suono delle trombe. Allelúia.]
Secreta
Súscipe, Dómine, múnera, quæ pro Fílii tui gloriósa censióne deférimus: et concéde propítius; ut a præséntibus perículis liberémur, et ad vitam per veniámus ætérnam.
[Accetta, o Signore, i doni che Ti offriamo in onore della gloriosa Ascensione del tuo Figlio: e concedi propizio che, liberi dai pericoli presenti, giungiamo alla vita eterna.]
Communio
Ps LXVII: 33-34
Psállite Dómino, qui ascéndit super coelos coelórum ad Oriéntem, allelúia.
[Salmodiate al Signore che ascende al di sopra di tutti i cieli a Oriente, allelúia.]
Postcommunio
Orémus.
Præsta nobis, quǽsumus, omnípotens et miséricors Deus: ut, quæ visibílibus mystériis suménda percépimus, invisíbili consequámur efféctu.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente e misericordioso, che di quanto abbiamo ricevuto mediante i visibili misteri, ne conseguiamo l’invisibile effetto].
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)