LA PARUSIA (3)

CARDINAL LOUIS BILLOT S.J.

LA PARUSIA (3)

PARIS GABRIEL BEAUCHESNE, Rue de Rennes, 117 – 1920

ARTICOLO TERZO

ESAME DELL’INSIEME DEL TESTO DI SAN LUCA

L’impenetrabile segreto in cui l’oracolo evangelico racchiude il tempo della parusia e del giudizio sarebbe già sufficiente per ribaltare completamente la tesi modernista sulla fine del mondo come direttamente intravista da Gesù, quando dichiarò Amen dico vobis, non præteribit generatio hæc donec omnia haec fiant. Inoltre, l’enormità dell’equivoco appare immediatamente, fin dall’inizio, e con piena evidenza, proprio leggendo questa stessa dichiarazione letta, come deve essere, nella sua interezza e nel suo vero contenuto: In verità vi dico che questa generazione non finirà finché tutte queste cose non saranno compiute (il cielo e la terra passeranno e le mie parole non passeranno); ma per quanto riguarda quel giorno e quell’ora (della parusia), nessuno ne sa nulla, nemmeno gli Angeli che sono in cielo,  né alcun altro che il Padre mio (Matth. XXIV, 34-36; Marc., XIII, 30-). Questo è fuor di dubbio, “inequivocabile”, per così dire, e a maggior ragione  questa volta. Chi potrebbe mai immaginare di unire nella stessa frase due cose così apertamente contraddittorie come: da un lato, l’annuncio dell’ultimo giorno che viene nella presente generazione, e dall’altro, l’affermazione solenne ed enfatica che nessuna creatura in cielo o in terra sapeva o doveva sapere l’ora e il momento di essa? Si può obiettare che il tempo è stato detto inconoscibile per la sola ragione che, pur sapendo con certezza che sarebbe stato nella seconda metà di questo secolo, non potevamo sapere esattamente l’anno, il mese e il giorno, l’anno, il mese e la settimana? Questa è una via d’uscita pietosa, rifiutata non solo dal semplice buon senso, per quanto accomodante possa essere, ma anche dalla lettera stessa del testo evangelico. Per questo motivo, infatti, gli avvenimenti riguardanti la rovina di Gerusalemme sarebbero stati identicamente nella stessa condizione del giorno della parusia; si era altrettanto poco o, se si vuole, altrettanto abbondantemente informati sul tempo del primo come su quello del secondo; di tutti loro indifferentemente, si potrebbe dire con lo stesso titolo e con la stessa verità: nemo scit nisi Pater; infine, l’opposizione tra omuia hæc e de die autem illo et hora cadeva subito e diveniva completamente vuota di significato. Siamo quindi pienamente in grado di avanzare che l’interpretazione che i modernisti danno a queste parole: “La presente generazione non passerà senza il compimento di tutte queste cose“, fa violenza alle regole più elementari dell’esegesi; che il termine “tutte queste cose”, omnia hæc, si riferiva alla rovina di Gerusalemme, e non alla rovina del mondo, se solo questo non è, come è stato detto, la rovina del mondo, nella misura in cui quest’ultima doveva apparire nella prima come nella sua figura, e inoltre, il tempo della consumazione dei secoli, considerato in sé, era chiaramente, formalmente, espressamente riservato e messo a parte, al di là di ogni indagine, ogni previsione, ogni determinazione, anche approssimativa, e l’unica cosa che si poteva sapere su di esso era proprio  l’impossibilità di sapere qualcosa su di esso. – Tutto questo sia detto una volta per tutte, in modo da scartare definitivamente, e mettere completamente fuori questione, il famoso verso, non præteribit generatio hæc, il cui vero significato sembra essere stato chiaramente spiegato, abbondantemente provato, e solidamente stabilito, in modo che nessuno abbia il diritto di opporvisi, o di riprendere la discussione in alcun modo. Ma tutte le difficoltà scompaiono, per tutto questo, dall’intero contenuto dell’oracolo evangelico? L’obiezione che è stata evitata su un punto non si ripeterà su un altro? E se l’annuncio della vicinanza della catastrofe suprema non è a chiare lettere, come vorrebbero i modernisti, nella dichiarazione finale, non sarebbe forse equivalentemente significato, e virtualmente contenuto in vari luoghi nel corpo della profezia stessa? Notiamo che questa non è una supposizione assolutamente gratuita. Diverse cose potrebbero suggerirlo, come certe espressioni, certi giri di parole, certi modi di parlare che si trovano qua e là, ma principalmente e specialmente il passaggio in San Matteo e San Marco dove la parusia è presentata come immediatamente successiva, immediate, ai giorni di estrema tribolazione, di cui l’abominazione della desolazione predetta dal profeta Daniele doveva essere il segnale. – E così una nuova questione ci si pone davanti: una questione dalla cui soluzione dipenderà la conferma, o, al contrario, la negazione, di tutto ciò che è stato detto sopra in risposta all’audace affermazione dei nemici della nostra fede: il che è sufficiente per dire che è importante, ed esige di essere trattata a fondo. Noi, con l’aiuto di Dio, possiamo portare su di essa tutta la luce desiderabile, in modo che alla fine non ci sia più spazio per alcun dubbio ragionevole. A tal fine, sarà opportuno dividere il lavoro, cioè distinguere tra San Luca e gli altri due sinottici, facendo di ogni testo l’oggetto di uno studio separato e di un esame approfondito.

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E per iniziare con il compito più facile ecco il testo di San Luca, che, per comodità del lettore trascriviamo qui per intero con la notazione delle tre parti che lo dividono, e che è della massima importanza rimarcare. – Così leggiamo in San Luca, XXI, 10 e seguenti. « Gesù disse allora ai suoi discepoli:

– A) Versetti 10-23: Si leverà Nazione contro nazione, e regno contro regno. Ci saranno grandi terremoti, pestilenze e carestie in vari luoghi, ed in cielo apparizioni spaventose e segni straordinari. Ma prima di tutto questo, vi metteranno le mani addosso e vi perseguiteranno, vi trascineranno nelle sinagoghe e nelle prigioni e vi porteranno davanti ai re e ai governatori a causa del mio nome… Ma quando vedrete gli eserciti investire Gerusalemme, allora sappiate che la sua desolazione è vicina. Allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, e quelli che sono in città la lascino, e quelli che sono in campagna non entrino in città. Perché quei giorni saranno giorni di punizione, per l’adempimento di tutto ciò che è scritto. Guai alle donne che sono incinte o che allattano in quei giorni, perché ci sarà una grande angoscia sulla terra e una grande ira su questo popolo. Essi cadranno a fil di spada, saranno portati via in cattività tra tutte le nazioni.

– B) versetto 24. E Gerusalemme sarà calpestata dai Gentili, finché i tempi dei Gentili siano compiuti.

 – C) versetti 25-31. E ci saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e le nazioni saranno turbate e sconvolte sulla terra al rumore del mare e delle onde, e gli uomini avranno paura di ciò che accadrà al mondo, perché le potenze dei cieli saranno sconvolte. Allora il Figlio dell’Uomo sarà visto venire in una nuvola con grande potenza e gloria. Quando queste cose cominceranno ad accadere, raddrizzatevi e alzate la testa, perché la vostra liberazione è vicina. Guardate la ficaia e tutti gli alberi; appena cominciano a germogliare, voi sapete da voi, quando li vedete, che l’estate sta arrivando. Allo stesso modo, quando vedrete queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. » . – Così parlò Gesù, secondo la lezione del terzo Vangelo. Era, come vediamo, un quadro abbreviato che abbracciava tutto il futuro e lo divideva in tre periodi distinti: un primo (versetti 10-23), fino alla prossima caduta di Gerusalemme compresa; un secondo [versetto 24], comprendente tutti i tempi tra la caduta di Gerusalemme e gli ultimi giorni del mondo; un terzo [versetti 25-31], che inizia con i precursori della catastrofe finale e termina all’evento supremo, cioè la parousia. E in questo quadro ogni cosa è stata messa al suo posto secondo l’ordine naturale della successione degli eventi; ogni parte è stata staccata dalle altre senza confusione di sorta, nel modo più chiaro e distinto del mondo; e infine, e soprattutto (perché questo è per noi il punto capitale della questione), è stato lasciato il più ampio margine per l’interposizione di tutta la serie di secoli prima dell’arrivo dell’ultimo giorno. In verità, questo testo di San Luca, se lo si sa leggere, è di per sé la più trionfante delle difese e la più convincente delle testimonianze. – Ci sono solo due piccoli passaggi in cui la critica modernista ha trovato qualcosa da ridire. È nel luogo in cui, dopo aver descritto i segni della parusia, Gesù, continuando a rivolgersi ai discepoli davanti a Lui, aggiunge: « Quando queste cose cominceranno ad accadere, allora guardate in alto e alzate il capo, perché la vostra liberazione si avvicina. » Ed un po’ più in basso: « Quando vedrete queste cose, sappiate che il regno di Dio non è lontano. » – E infatti, cosa vi sembra, amici lettori? Non pensate che anche voi potreste vedere qui l’equivalente di un annuncio della fine del mondo per il corso della presente generazione? Guardate, alzate la testa, quando vedrete queste cose! Queste cose, questo sconvolgimento di tutta la natura, questa agonia del mondo! Essi dovevano vederle, e vedere con i propri occhi, quelli di coloro ai quali Gesù stava parlando allora. E in questo caso, fu mentre erano ancora vivi, mentre lo erano Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea, che Lo avevano interrogato, e gli altri della loro compagnia, erano ancora vivi, che, nella mente del Maestro, doveva venire la consumazione dei tempi, la parusia, l’instaurazione definitiva del regno di Dio. Così, almeno, ragionano i nostri modernisti, che non si accuserà di deviare dalla lettera, stavo per dire dalla sua più grossolana materialità. Ma tutta la tradizione cristiana aveva ragionato molto diversamente fino ad ora. Ben altrimenti Sant’Agostino, quando si chiedeva se potesse esserci qualcuno che non capisse che ci sono molte cose nel Vangelo che sembrano essere dette solo agli Apostoli, e che in realtà erano dette a tutta la Chiesa, di generazione in generazione fino alla fine dei secoli: Quod tamen cura universæ Ecclesîæ promisisse, quæ aliis morientibus, aliis nascentibus, hic usque in sæculi consummationem futura est, quis non intelligat? (August, Epist. 199, ad Hesych., n. 49). Ben diversamente, San Leone, quando mostrava l’uditorio di Gesù Cristo formato dall’universalità dei fedeli di tutti i tempi, ascoltando e sentendo il loro Salvatore in coloro che allora, nei giorni della sua vita mortale, facevano parte del suo entourage (S. Leone M. Serm. 9 de Quadrig. c. 1). No, no, prima dell’avvento della nuova scuola, nessun Cristiano avrebbe pensato che ogni parola detta ai discepoli dovesse essere sempre intesa come detta solo a loro di persona. Non sarebbe mai venuto in mente a nessuno che, nelle predizioni riguardanti il futuro della Chiesa, la forma di discorso diretto più spesso usata da Gesù fosse un qualcosa che si rivolgeva solo a coloro che erano in quel momento materialmente e fisicamente presenti davanti a Lui. Non sarebbe mai venuto in mente a nessuno di mettere in dubbio questo principio di tale evidenza naturale, che in questi dodici di cui aveva fatto il nucleo del Suo regno, Egli considerava, istruiva, ammoniva, esortava e metteva in guardia tutti i Suoi fedeli, visti distintamente da Lui attraverso tutte le epoche; e che di conseguenza, nel dire nel discorso escatologico che stiamo qui analizzando a Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea, “Quando vedrete, quando vi sarà detto, quando sentirete, alzate il capo e guardate“, ecc., attraverso loro e in loro si stava rivolgendo in realtà a quelli dei suoi che sapeva sarebbero stati testimoni dei prodromi della catastrofe suprema, qualunque fosse il momento di essa, vicino o lontano, e sulla quale, come è già stato detto, non aveva bisogno di spiegarsi. – No, ripeto, non si sarebbe mai osato toccare, prima dei nostri tempi sfortunati, questo abc, questi principi elementari dell’esegesi evangelica, il cui rifiuto non porterebbe a niente di meno che alla distruzione dei primi fondamenti della religione cristiana, a cominciare dalla promessa fondamentale: ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem sæculi. Ma anche allora, Gesù Cristo era considerato come dato in tutte le pagine della Scrittura, sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, con la sua trascendenza sovrumana, la sua onniscienza del futuro come del passato, la sua qualità di Messia, di padre dell’epoca futura, il fondatore del regno di Dio per il tempo e per l’eternità. Invece, il modernismo ha cambiato tutto questo, e ci ha dato un Cristo che ora è solo un uomo, che sa, vede e dice solo quello che un uomo può vedere, sapere e dire, e si trova di fronte ai pochi discepoli che era riuscito a legare a sé, nello stesso rapporto, o più o meno, di un professore alla Sorbona o al Collège de France di fronte alla mezza dozzina di ascoltatori che assistono alle sue lezioni, seduti più in largo in queste lezioni, … che alle prediche di Gassagne o dell’Abbé Cotin. Ma lasciamo le violenze dei ciechi, conduttori dei ciechi, e torniamo al testo di san Luca, che, lungi dall’annunciare l’imminenza della parusia e l’avvicinarsi della fine dei tempi, al contrario, ha aperto i più ampi orizzonti per le congetture sul futuro, e ha lasciato spazio a tutti i giorni, anni, secoli e settimane di secoli che si possano immaginare. Il passo che deve essere al centro della nostra attenzione qui è quello che segna il secondo dei tre periodi indicati sopra, a metà strada tra il sacco di Gerusalemme e gli ultimi giorni del mondo: E Gerusalemme sarà calpestata dai Gentili, finché i tempi dei Gentili siano compiuti. Questo passaggio è estremamente rimarchevole sotto molti aspetti. Notevole, prima di tutto, perché separa nella profezia, con un intervallo ben demarcato, le due catastrofi che i discepoli nel loro interrogatorio avevano mescolato e confuso. Notevole, quindi, perché dipinge un quadro del futuro stato politico di Gerusalemme dopo la sua caduta che la storia non avrebbe certamente potuto dipingere più accuratamente. Infatti, Gerusalemme calpestata dai Gentili, cioè asservita alle varie nazioni di Gentili (prima ai Romani, poi ai Persiani, poi agli Arabi, poi ai Franchi, poi ai Musulmani d’Egitto, poi ai Turchi), non è forse l’esatto e completo riassunto dei suoi annali, dopo Tito fino ai giorni nostri?  Ma notevole soprattutto, poiché ci fa sapere fino a quando sarebbe durato questo stato di schiavitù e servitù, e quale grande rivoluzione avrebbe dovuto essere compiuta nel frattempo, come indicato da queste parole che, nella loro estrema concisione, dicono più di pagine intere: donec impleantur tempora, nationum: finché non si compiano i tempi delle nazioni, cioè i Gentili, che sono, come tutti sanno, nel linguaggio della Scrittura, i popoli estranei alla razza e alla religione giudaica. Tutta la sostanza del dibattito è in questa piccola frase, dove sorgono immediatamente due questioni. La prima: Cosa sono questi tempi dei Gentili, fino al cui compimento si sarebbe prolungata la sottomissione di Gerusalemme? La seconda: fino a quale durata potrebbero essere stimati? In altre parole: la loro realizzazione, per parlare il linguaggio della profezia, segnano una fine chiara e precisa sul breve termine (per cadere, per esempio, entro la vita dei contemporanei di Gesù), o non hanno piuttosto lasciato aperte tutte le prospettive su una lunga serie di secoli prima della venuta della catastrofe suprema? Rispondere a queste due domande particolari in modo pertinente, sarà per questo stesso fatto come risolvere la questione integralmente, e mettere in piena evidenza ciò che il testo di San Luca ha dato da pensare, da credere o da congetturare sulla futura durata del mondo e sul tempo della parusia. – La prima domanda, dunque, è cosa si debba intendere con questa espressione, tempora nationum, i tempi dei gentili? E la risposta non può essere minimamente dubbia. Senza dubbio, i tempi dei Gentili sono i tempi preparati da Dio per la conversione dei Gentili, per l’evangelizzazione dei popoli pagani, per l’entrata nella Chiesa e per l’istituzione della Chiesa, per l’evangelizzazione dei popoli pagani, per l’ingresso delle nazioni infedeli nell’ovile della Chiesa. Questo significato è chiaramente indicato, prima di tutto, dal testo stesso dell’evangelista: (akri ou plerotosis kairoi etnon). E qui Sant’Agostino, che è comunemente accusato di non conoscere il greco, ma che comunque ne sapeva abbastanza per districarsi a volte nelle difficoltà di esegesi che gli venivano proposte, ci farà notare, nella prima delle sue due lettere a Esichio (Epist. 197, n.2), che il termine di cui fa uso San Luca non ha un equivalente in latino: né, aggiungerei, ha un equivalente nella nostra lingua. Infatti, dove si legge tempora nationum, il greco porta, non kronoi, ma xairoi etnon. Ora tra le due parole kronoi e kairoi, che in latino e francese, hanno un solo termine corrispondente, c’è una notevole differenza. E la differenza consiste nel fatto che il primo evoca solo l’idea pura e semplice di tempo, mentre il secondo, come attestano tutti i lessici antichi e moderni, significa un tempo adatto, opportuno, lavorabile. Ecco perché questa espressione, xairoi etnon ove il termine kairos è usato in modo assoluto, senza alcuna aggiunta o determinazione di alcun tipo che limiti o modifichi il suo significato originale e naturale, non poteva che significare i tempi favorevoli ai Gentili: cioè, i giorni di benedizione, di salvezza e di grazia che sarebbero finalmente sorti su di loro, e che sarebbero stati un tempo di pace e prosperità, quell’epoca tanto celebrata dagli antichi oracoli, della loro chiamata alla mirabile luce della fede. Chi non ricorda ciò che i profeti avevano dichiarato, nei termini più magnifici, della benedizione che doveva essere riversata sui Gentili attraverso il Messia? Chi non ricorda, tra cento altri, quello splendido passo di Isaia che la liturgia propone alla nostra attenzione ogni volta che l’anno riporta la commemorazione dell’arrivo dei Magi, le primizie dei gentili, alla culla di Gesù Cristo; dove la gloria futura della nuova Gerusalemme, cioè della Chiesa cristiana, alla quale accorreranno tutte le nazioni della terra, portandovi le loro offerte, e portandovi innumerevoli figli? « Alzati e risplendi, o nuova Gerusalemme – gridava il profeta – perché la tua luce risplenda e la gloria del Signore si è levata su di te. Poiché le tenebre coprivano la terra e una cupa oscurità avvolgeva i popoli, ma su di voi il Signore sorgerà e la sua gloria risplenderà su di voi; le genti cammineranno verso la vostra luce e i vostri re verso la luminosità del tuo sorgere.Alza gli occhi intorno e vedi: sono tutti riuniti, vengono a te; i tuoi figli vengono da lontano e le tue figlie sono portate in braccio. Allora lo vedrai e sarai raggiante; il tuo cuore sussulterà e si espanderà, perché le ricchezze del mare verranno a te, i tesori delle nazioni verranno a te. I cammelli di Madian e di Efa ti copriranno in gran numero, e tutti i cammelli di Saba verranno, portando oro e incenso e declamando le lodi del Signore » (Isa. LX, 1-6)). Eccoli qui, annunciati con molti secoli di anticipo, quei tempi che in San Luca sono chiamati i tempi dei Gentili: un nome tratto, come si vede, dalla nota caratteristica che li distingue, e che doveva essere singolarmente sottolineata dal contrasto tra il popolo giudaico, che si era rifiutato, con una cecità inconcepibile, di riconoscere il Messia che era venuto a loro, ritirandosi così dalla benedizione promessa ai discendenti di Abramo, e abbandonandosi al loro senso reprobo fino alla fine dei tempi, quando anche per esso, alla fine del mondo, dopo che la moltitudine dei gentili sarà entrata nella Chiesa, suonerà l’ora favorevole, l’ora della riconciliazione e del ritorno. Tutto questo è nei dati più provati e autentici della Scrittura … « C’è un tempo per i Gentili, e dopo quel tempo i Giudei, che i Gentili hanno finora calpestato, ritorneranno, e dopo che la pienezza dei Gentili sarà entrata, tutto Israele, tutto ciò che è rimasto di loro, sarà salvato. » (Rom., XI). Ma se ci fosse ancora il minimo dubbio sul significato della frase: donec impleantur tempora nationum, ci sarebbe solo, per dissiparlo del tutto, da riferirsi al versetto parallelo di San Matteo (XXIV, vers. 14), che afferma che « il Vangelo sarebbe stato predicato in tutto il mondo, per essere una testimonianza a tutte le nazioni, e che poi sarebbe venuta la consumazione ». Et prædicabitur hoc evangelium regni in universo orbe, in testimonium omnibus gentibus, et tunc veniet consummatio. “Così, quelli che in San Luca sono chiamati i tempi dei Gentili, in San Matteo, son detti i tempi in cui il Vangelo sarebbe stato predicato loro, cioè, senza difficoltà, i tempi della loro chiamata alla fede, e della loro progressiva aggregazione a quell’unico ovile di cui Gesù Cristo aveva detto: « E ho altre pecore che non sono di questo ovile (della sinagoga), e devo condurle, ed esse ascolteranno la mia voce, e allora ci sarà un solo ovile e un solo pastore » (Giov. X, 16). Questo risolve categoricamente la prima delle due domande poste sopra. Sappiamo con la massima certezza cosa si intende per i tempora nationum che, nell’oracolo evangelico, separano la caduta di Gerusalemme dal periodo prima della consumazione dei secoli e della parusia. (Vedi sopra, versetti 24 e seguenti). Ma ora ci resta da sapere ed è la cosa più importante per noi: Che durata potrebbero rappresentare questi medesimi tempi dei gentili? Rappresentano un breve intervallo di pochi anni, cosa che sarebbe facilmente accettato da coloro che dicono che le dichiarazioni di Gesù sulla prossimità della catastrofe erano inequivocabili? O, al contrario, sono una lunga serie di secoli, come quella che è già trascorsa e come quella che potrebbe ancora trascorrere in un futuro indefinitamente prolungato? Qui è importante distinguere tra ciò che il testo implica in termini di una tesi assoluta, e ciò che implica in termini di congetture, supposizioni e ipotesi, in considerazione delle particolari circostanze o condizioni in cui le diverse generazioni cristiane si sono successivamente trovate dalle prime origini ad oggi. In termini assoluti, i tempi delle nazioni, rappresentavano il tempo necessario affinché la predicazione del Vangelo, iniziata a Gerusalemme il giorno della prima Pentecoste, si diffondesse man mano in tutto il pianeta, raggiungesse progressivamente tutte le tribù, tutte le razze, tutti i popoli della terra, e penetrasse così profondamente da suscitare in tutti i luoghi e in tutti i rami della comunità cristiana la semenza della fede. Tali sono i dati che fornisce il Vangelo che corrobora ancora i più famosi oracoli dell’Antico Testamento.  Cosa potrebbe essere più categorico a questo proposito del passo citato da San Matteo: “E questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo per testimoniare a tutte le nazioni, e allora verrà la consumazione? « In tutto il mondo », ecco la totalità dei luoghi; « a tutte le nazioni » è la totalità delle razze e delle lingue. Ma poiché è il testo di San Luca che è in questo momento l’oggetto speciale del nostro studio, concentriamoci più particolarmente su ciò che San Luca stesso riporta delle parole di Gesù ai suoi Apostoli nelle apparizioni che seguirono la sua risurrezione (Luca, xxiv, 44 ss.; Atti, I, 4 ss.): « Questo è ciò che vi ho detto, mentre ero ancora con voi, che si devono compiere tutte le cose che sono scritte di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi. … Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: Così sta scritto, e così era necessario che Cristo soffrisse e risuscitasse dai morti il terzo giorno, e che la penitenza e la remissione dei peccati fossero predicate nel suo nome a tutte le nazioni nel suo nome. » E aggiunse: « Cominciando da Gerusalemme », perché questo era l’ordine che era stato stabilito, l’ordine che la predicazione apostolica doveva cominciare a Gerusalemme e poi passare alla Giudea e alla Samaria, e non fermarsi finché non avesse raggiunto i più lontani confini del mondo abitato: usque ad ultimum terræ … – Questo è ciò che disse sul Monte degli Ulivi nel momento stesso della sua partenza; fu la sua ultima parola, la sua suprema raccomandazione, perché mentre lo diceva, si alzò da terra, scomparve nella nuvola e mandò i due Angeli come sappiamo, per attestare un’ultima volta la verità del suo ritorno alla fine dei tempi per giudicare i vivi e i morti. Ma non sarà fuori luogo insistere un po’ sulle testimonianze che ha portato dalla legge di Mosè, dai profeti e dai salmi, scripta in lege Moysis et prophetis et psalmis de me, per chiarire meglio il senso delle sue ultime istruzioni, e per far emergere ancora più chiaramente tutta la portata dell’opera di evangelizzazione che lasciava alla Chiesa. Ecco la legge di Mosè [il Pentateuco], in cui è scritta la promessa di Dio ad Abramo, … che nel suo seme, cioè nel Messia che sarebbe uscito da lui, sarebbero state benedette tutte le nazioni della terra. Ecco i Salmi, e specialmente il XXI, dove dopo l’immagine della passione di Cristo, delle sue mani e dei suoi piedi trafitti, delle sue ossa segnate sulla pelle da tutto il peso del suo corpo violentemente sospeso, delle sue vesti divise, della sua tunica data in sorte, dei suoi nemici che fremono intorno a lui e si saziano del suo sangue, vediamo le conseguenze e i frutti di un così grande sacrificio: tutte le estremità della terra si ricorderanno del Signore e si convertiranno a Lui; tutte le famiglie dei gentili, tratte dalle tenebre dell’idolatria, si prosterneranno adoranti davanti alla sua faccia, ed al Signore a cui appartiene l’impero, e governa su tutte le nazioni. Questi sono i Profeti, e tra questi Isaia, che, alzando il suo volo ancora più in alto di tutti gli altri, cantò le future glorie della nuova Sion: « Allarga lo spazio della tenda » esclamava. Che le tende della vostra casa siano aperte. Non risparmiate lo spazio, tendete le vostre corde e siate saldi nella vostra fede. Poiché tu penetrerai a destra e a sinistra, e la tua progenie possederà le nazioni e abiterà le città deserte. Non temere, perché non sarai confuso. Il tuo sposo è il tuo Creatore e il tuo Redentore è il Santo d’Israele. Egli sarà chiamato il Dio di tutta la terra (Isaia, LIV, 2-5). Questo è l’annuncio della presa di possesso del mondo da parte della Chiesa di Gesù Cristo, così come l’indicazione precisa del modo in cui questa immensa rivoluzione avrebbe avuto luogo: non subito, non con un cambiamento improvviso, non con un miracolo che sarebbe stato assolutamente al di fuori di tutto l’ordine della presente provvidenza, ma con una penetrazione progressiva, simile alla penetrazione del lievito della parabola, mescolato con le tre misure di farina che rappresentavano le tre principali razze dell’umanità, semitica, camitica e giafetica: una penetrazione, quindi, che avrebbe avuto luogo, con la benedizione della grazia di Dio, per mezzo di cause secondarie, con il lavoro di uomini apostolici, per mezzo degli sforzi dei missionari nel corso dei secoli e su tutti i punti del pianeta. Questo è ciò che è rappresentato da queste immagini, così spesso ripetute altrove, dell’allargamento dello spazio, dello spiegamento di tende, dell’allungamento di corde, per preparare un posto sempre, sempre più grande. Ecco cosa dicono queste parole esplicitamente: « Penetrerai a destra e a sinistra, a est e a ovest, in tutte le spiagge e in tutti gli orizzonti; e la posterità prenderà possesso delle nazioni, di quelle che si trovano alle estremità più remote, e che per questo, gli Apostoli delle prime epoche non poterono raggiungere; e popolerà le città deserte finora private della conoscenza del vero Dio e della vera Religione. E questo movimento di penetrazione in tutte le zone, in tutte le latitudini e i climi, quando si fermerà, quando avrà la sua fine? – Quando il Redentore della Chiesa, il Santo d’Israele, sarà chiamato il Dio di tutta la terra, cioè quando da un polo all’altro, dalla Cina al Perù, dal San Lorenzo allo Zambesi, dall’Alaska al Thibet, dai laghi ghiacciati degli Urali alle pianure bruciate della zona torrida, la religione cristiana sarà conosciuta, ricevuta e praticata tra le innumerevoli varietà della grande famiglia umana, senza distinzione delle loro varie costituzioni, capacità intellettuali, usi civili, istituzioni politiche, pregiudizi di razza e colore della pelle. Redemptor tuus, Sanctus Israel, Deus omnis terræ vocabitur! Tale fu l’immenso campo che si aprì per gli Apostoli quando Gesù Cristo, salendo al cielo, li mandò a conquistare la gentilità. Concludiamo, dunque, che « i tempi dei gentili » rappresentavano l’intero periodo necessario per realizzare questa conquista, conquista che doveva essere compiuta non con miracoli come quello che colpì e convertì San Paolo sulla via di Damasco, ma con i mezzi comuni e ordinari messi a disposizione dei ministri della Chiesa, con l’aiuto della grazia di Dio. Aggiungiamo, inoltre, che non temiamo di essere contraddetti da nessuno se diciamo che una tale opera non si sarebbe potuta realizzare in pochi anni, ma solo attraverso una lunga serie di secoli, come quella che è già passata, e che, nonostante l’intenso lavoro svolto in tutte le parti del pianeta dalle missioni cattoliche, non sembra essere ancora giunta alla sua conclusione. Infine, concludiamo che il testo di San Luca, una volta messo a fuoco – come deve essere – dall’inciso troppo poco notato che abbiamo cercato di mettere in luce (e Gerusalemme sarà calpestata dai Gentili fino al compimento dei tempi dei Gentili), è in piena, perfetta e completa conformità con l’intero schema degli eventi nella storia, dal giorno in cui la profezia cadde dalle labbra di Gesù, fino al tempo, diciannove secoli dopo, in cui siamo arrivati oggi.

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Tutto questo è evidente ora, tutto questo è perfettamente chiaro a noi, che, oltre al vantaggio di essere nelle migliori condizioni del mondo per ascoltare il vero significato di una profezia che si è già adempiuta in larga misura, siamo anche forniti di tutte le conoscenze, sia geografiche che etnografiche, richieste per valutare la durata dei “tempi delle nazioni“. Ma questo non era il caso degli antichi. Per gli antichi, questa conoscenza era assolutamente carente. Quindi era impossibile per loro formarsi un’idea corretta delle proporzioni del lavoro che la Chiesa doveva compiere prima dell’ora segnata per la consumazione dei tempi. Ed è questa la ragione per cui abbiamo distinto sopra tra il significato assoluto ed oggettivo delle parole di Gesù Cristo, di cui c’era riservata l’esatta comprensione, e il significato più o meno congetturale a cui potevano prestarsi, grazie all’ignoranza in cui eravamo, e in cui siamo rimasti fino ai tempi moderni, delle vere proporzioni della mappa del mondo. Prendiamo, per esempio, la prima generazione cristiana, nella quale durava ancora la straordinaria impressione prodotta dal passaggio sulla terra di Nostro Signore e il ricordo recente della promessa del suo ritorno. Questa generazione, che aveva ricevuto i primi frutti dello Spirito, che era stata inebriata dal vino nuovo della grazia con l’amore dei beni celesti, le cui aspirazioni erano tutte rivolte verso « i nuovi cieli e la nuova terra in cui abita la giustizia », e la cui impazienza gli Apostoli avevano trovato così difficile da calmare, perché non potevano vedere la venuta di questa parousia, così ardentemente amata e così unicamente desiderata. (II Petr., III 9; I Tess. IV, 12c e segg.) Per quella generazione il mondo intero era contenuto nei limiti dell’Impero Romano. Questo significava per questa generazione che, nei suoi calcoli e nelle congetture sulla vicinanza della parusia, difficilmente essa poteva essere fermata dal pensiero che il Vangelo doveva essere predicato in tutto il mondo prima che arrivasse la fine. E infatti San Paolo non scrisse ai Colossesi, appena trent’anni dopo l’Ascensione del Salvatore, che la predicazione della verità evangelica aveva raggiunto loro, come aveva raggiunto il mondo intero, e che stava portando frutto e guadagnando terreno giorno per giorno?  (Coloss., I, 6) . Non li ha esortati a rimanere saldi nella speranza data dal vangelo che avevano udito che avevano udito e che era stato predicato ad ogni creatura sotto il cielo?  (Coloss., I, 23). E quando disse ai romani del grande desiderio che aveva di trovare un’occasione favorevole per andare da loro, non lodò forse la loro fede come rinomata in tutto il mondo? (Rom., I, 8). – Va da sé che queste espressioni, “in tutto il mondo”, “a tutto il mondo”, “a ogni creatura sotto il cielo”, dovevano essere prese solo in un senso essenzialmente relativo, per l’universalità delle regioni o province in regolare comunicazione con il centro dove la predicazione del Vangelo era iniziata, e da cui si era diffusa. Va da sé, inoltre, che anche entro questi limiti c’era ancora molta strada da fare prima che la penetrazione potesse essere considerata sufficiente a soddisfare gli oracoli riguardanti la conversione della Gentilità. Ma non importa, non si è guardato così da vicino, e tutte le condizioni fatte dalla prima generazione cristiana, a capo delle quali va certamente posta l’assenza delle conoscenze geografiche ed etnografiche di cui abbiamo parlato sopra, e questo spiega come avvenne che la porta rimase sempre più o meno aperta all’idea o all’opinione, « che il  mondo stava per finire, e che la grande rivelazione di Cristo stava per avere luogo ». Ora questa stessa osservazione si applica, proporzionalmente, alle età seguenti. Quando, per esempio, San Leone nel quinto secolo, e San Gregorio alla fine del sesto, entrambi confondendo la fine ed il crollo di un mondo (il mondo romano) con la fine ed il crollo del mondo intero, non esitarono ad annunciare (San Leone, Serm, 8 de jejunio decimi mensis; San Gregorio, hom. 1 in evangel.), come prossima, imminente, la catastrofe suprema, non c’è dubbio che la loro persuasione fu condizionata dallo stato più che difettoso della scienza geografica del tempo. Perché se avessero saputo che, delle cinque parti del mondo, almeno due e mezzo erano ancora da scoprire, avrebbero forse anche solo pensato ad un rapido arrivo della fine delle cose, contro le dichiarazioni più formali ed esplicite della Scrittura? Ma Sant’Agostino, nelle due lettere a Esichio già citate, accenna appena all’esistenza di popoli barbari nell’Africa centrale, ai quali il Vangelo non era ancora stato predicato, secondo informazioni ricevute, aggiunge, da prigionieri provenienti da queste regioni a servizio dei Romani. (Sant’Agostino, Epist. 199, n. 46.). Dovevano passare mille anni prima della scoperta del Nuovo Mondo, scoperta che doveva essere il preludio necessario all’installazione, appena completata ai nostri giorni, di missioni cattoliche su tutta la superficie del pianeta. Questa, dunque, è la meraviglia della profezia che è l’oggetto di questo studio: che si riveli ora a noi, come in così esatta e completa conformità con ciò che gli eventi ci hanno insegnato del periodo relativamente tardivo della parusia, e che, tuttavia, abbia dato origine nei tempi antichi a così tante congetture o persuasioni circa la sua imminenza o vicinanza. Ma, come abbiamo già avuto modo di dire, Gesù ha deliberatamente parlato in modo da non chiudere la porta a ipotesi che potevano avere solo gli effetti più salutari, o come stimolo al fervore, o come richiamo alla penitenza, secondo le parole di San Pietro: « Verrà il giorno del Signore, e in quel giorno i cieli passeranno con un gran rumore, e gli elementi saranno dissolti, e la terra sarà consumata, con tutte le opere che sono in essa. Allora perciò, poiché tutte queste cose sono destinate a dissolversi, quale non dovrebbe essere la santità della vostra condotta e la vostra pietà, aspettando e affrettando la venuta del giorno del Signore, in cui i cieli infuocati si dissolveranno e gli elementi infuocati si scioglieranno? Ma stiamo aspettando, secondo la Sua promessa, nuovi cieli e una nuova terra dove abita la giustizia. In questa attesa, cari, fate ogni sforzo affinché siate trovati da lui senza macchia e in pace (II Piet. III, 10 e segg.). »Queste sono le osservazioni che abbiamo dovuto fare sul testo di San Luca. Queste stesse osservazioni sono valide per gli altri due sinottici, come è già evidente da ciò che è stato detto sul versetto parallelo di San Matteo: Et prædicabitur hoc Evangelium regni in universo orbe in testimonium omnibus gentihus, et tunc véniet consummatio. Tranne che in San Matteo e San Marco c’è una riga omessa da San Luca, riguardante l’abominio della desolazione predetto dal profeta Daniele, che dà luogo a una difficoltà molto particolare e speciale. Lo riserviamo per l’articolo seguente.

LA PARUSIA (4)