SABATO SANTO
[P. GUÉRANGER, ABATE DI SOLESMES:
L’Anno liturgico, (trad. P. Graziani – vol. I, Ed. Paoline, Alba Cuneo – 1956]
AL MATTINO
Gesù nel sepolcro.
La notte è passata sul sepolcro ove giace il corpo dell’Uomo-Dio. Ma se la morte trionfa nell’oscuro fondo d’una grotta silenziosa ed imprigiona fra le sue pareti colui che dà la vita agli esseri, il suo trionfo sarà breve. Hanno un bel vegliare i soldati all’ingresso della tomba! non potranno mai impedire al divino prigioniero di spiccare il suo volo. I santi Angeli adorano con profonda devozione il corpo esanime di Colui che col suo sangue ha « pacificato il cielo e la terra » (Col. I, 20). Il suo corpo, solo per poco separato dall’anima, è rimasto unito al Verbo; solo un momento l’anima ha cessato di animarlo, senza perdere l’unione con la Persona del Figlio di Dio. Il sangue sparso sul Calvario è pure rimasto unito alla divinità e ricomincerà a scorrere nelle vene dell’Uomo-Dio, non appena scoccherà il momento della sua risurrezione.
Eccesso dell’amore divino.
Avviciniamoci anche noi alla sua tomba e veneriamo la spoglia divina di Gesù. Ora comprendiamo gli effetti del peccato, «per il quale entrò la morte nel mondo, e la morte s’è estesa a tutti gli uomini » (Rom. V, 12). Gesù «che non conobbe il peccato» (II Cor. V, 21) ha tuttavia permesso che la morte estendesse il suo dominio sopra di Lui per diminuirne gli orrori e restituirci, con la sua risurrezione, l’immortalità perduta per il peccato. Adoriamo con la massima riconoscenza quest’ultimo annientamento del Cristo che, con la sua incarnazione, si degnò di prendere la « forma di schiavo » (Fil. II, 7), ed ora s’è abbassato ancora di più. Eccolo senza vita in una tomba! Se tale spettacolo ci rivela la spaventosa potenza della morte, ben più ci mostra l’immenso ed incomprensibile amore di Dio per l’uomo: un amore che ha superato qualsiasi eccesso, sì da poter dire, che il Figlio di Dio tanto più ci ha glorificati quanto più s’è abbassato. Come dunque ci dovrà essere cara la tomba che genera alla vita! E come dobbiamo ringraziarlo, non solo per aver voluto morire per noi sulla Croce, ma anche per avere abbracciata, per amor nostro, l’umiliazione del sepolcro!
La Madre dei dolori.
Scendiamo ora a Gerusalemme a visitare la Madre dei dolori. Anche sull’afflitto cuore è passata la notte; ma le scene del giorno si sono ripetute nella sua mente senza lasciarla in pace un istante. Ha riveduto il Figlio calpestato sotto i piedi di tutti e colare sangue da ogni parte. Quante lacrime ha già versato durante quelle lunghe ore! ed ancora non le viene reso il suo figlio Gesù! Vicino a lei Maddalena, affranta dalle emozioni che l’hanno scossa attraverso le vie di Gerusalemme e sul Calvario, è muta dal dolore; essa non altro aspetta che la luce del nuovo giorno, per ritornare al sepolcro a rivedere i resti mortali del caro Maestro. Le altre donne, non amate come Maddalena ma ugualmente care a Gesù, che le aveva viste affrontare Giudei e soldati, e stargli vicine sino alla fine, ora circondano di delicatezze la Madre, consolandosi al pensiero di alleviare il proprio dolore, quando, trascorso il Sabato, andranno con Maddalena a portare nel sepolcro il tributo del loro amore.
I Discepoli.
Giovanni, il figlio adottivo, il prediletto di Gesù, piange sul Figlio e sulla Madre. Altri Apostoli e discepoli, come Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, visitano a loro volta questa casa di dolore. Pietro, nell’umiltà del suo pentimento, non teme di tornare alla Madre della misericordia; e tutti, sommessamente, parlano del supplizio di Gesù e dell’ingratitudine di Gerusalemme. La santa Chiesa, nell’ufficio di questa notte, ci dà un’idea dei discorsi di questi uomini, che rimasero scossi nell’intimo della loro anima da una sì terribile catastrofe. « Il giusto muore, essi dicono, e nessuno si commuove! L’abbiamo perduto di vista di fronte all’iniquità; simile ad un agnello, non ha aperto bocca, ed è stato trascinato nel luogo del dolore; ma il suo ricordo è un ricordo di pace » (Respons. 6.0 del Notturno).
L’attesa della Risurrezione.
Così discorrono questi fedeli, mentre le pie donne, in preda al dolore, si preoccupano degli onori funebri. La santità, la bontà, la potenza, i dolori e la morte di Gesù: tutto è loro presente; ma, dell’annunciata imminente risurrezione, non se ne ricordano affatto. Soltanto Maria vive di questa certezza. Lo Spirito Santo, parlando della donna forte, dice: « Durante la notte non fa spegnere la sua lucerna » (Prov. XXXI, 18). Ora questa parola oggi si compie nella Madre di Gesù. Il suo cuore non soccombe, perché sa che presto il figlio dalla tomba sorgerà alla vita. La fede nella risurrezione del Salvatore, quella fede senza la quale, come dice l’Apostolo, sarebbe vana la nostra religione (I Cor. XV, 17), è, per così dire, tutta concentrata nell’anima di Maria. La Madre della Sapienza conserva questo prezioso deposito; e, come portò in seno Colui che il cielo e la terra non possono contenere, così oggi, con la ferma e costante fede nelle parole del Figlio, essa compendia tutta la Chiesa. Sublimità del Sabato, che tra tante sue tristezze, viene ad accrescere le grandezze di Maria! La santa Chiesa ne perpetua il ricordo, ed avendo in animo di consacrare alla sua Regina un giorno alla settimana, le dedica il Sabato.
LA GIORNATA DEL SABATO SANTO
Riti dell’Ufficio.
Dai tempi più antichi il giorno d’oggi, come quello di ieri, è trascorso senza l’offerta del divino Sacrificio. Ieri la Chiesa non lo celebrò, perché l’anniversario della morte di Cristo le sembrava riempire di ricordi l’intera giornata. Per la medesima ragione si priva oggi della celebrazione del Sacrificio; perché la sepoltura di Cristo non è che la conseguenza della sua Passione, e perciò, finché il suo corpo giace inanimato nella tomba, non è opportuno rinnovare il divino mistero nel quale egli è offerto glorioso e risuscitato. Anche la Chiesa Greca, che durante la Quaresima non digiuna il Sabato, imita poi la Chiesa latina nell’estendere a questo giorno le più austere pratiche. – Questo è un giorno di grande lutto e in esso la Chiesa si ferma sul sepolcro del Signore, medita la sua Passione e la sua Morte, fino al momento in cui, avendo celebrata la solenne Vigilia, attesa notturna della Resurrezione, essa si ammanterà di quella gioia pasquale che si manifesterà in tutta la sua grandezza nei giorni che seguiranno. Ma se la Sposa del Cristo deve oggi rimanere presso il sepolcro ove riposa il suo Signore, nondimeno essa rompe quel silenzio con il canto e la recita delle diverse ore dell’Ufficio, come ha già fatto nei giorni passati. Prima del levare del sole, inizia col canto delle Tenebre; seguono poi Prima, Terza, Nona che ricordano quanto Gesù ha sofferto, il giorno avanti, durante quelle stesse ore. Ora Gesù non soffre più e la Chiesa lo sa; riposa come vincitore e il suo trionfo è vicino. Ecco perché durante la recita dell’Ufficio, dopo aver detto: « Cristo s’è fatto obbediente fino alla morte, alla morte della croce », essa aggiunge: «per questo Iddio l’ha esaltato e gli ha dato un nome che supera ogni altro nome » e termina con questa preghiera: « O Dio onnipotente, noi anticipiamo la risurrezione del Figlio tuo con un’attesa piena di amore: fa in modo che la nostra preghiera ottenga la gloria di questa stessa resurrezione. Te lo chiediamo per Gesù Cristo nostro Signore ».
I Vespri pongono termine a questa giornata, e viene soppressa Compieta. La recita di Compieta precede normalmente il riposo, ma questa notte la Chiesa ci invita a vegliare fino al momento gioioso in cui annunzierà la risurrezione del Signore.
LA SERA
Ci sarà utile fermarci ancora qualche istante sui misteri di quei tre giorni durante i quali l’anima del Redentore rimase separata dal corpo. Questa mattina abbiamo visitato il sepolcro e adorato il sacro corpo, che la Maddalena e le compagne si accingono ad onorare fin dal primo mattino, con nuovi tributi. È giusto che anche noi, in questo momento, veneriamo l’anima santa di Gesù. Essa non è nella tomba: la dobbiamo seguire per i luoghi ove risiede, mentre attendiamo che venga a ridar vita alla membra, che sono state separate per un certo, tempo dalla morte.
L’inferno.
Esistono quattro vaste regioni, dove mai alcun vivente potrà entrare. La divina rivelazione ci ha soltanto manifestata la loro esistenza. La prima è l’inferno dei dannati, macabro soggiorno in cui satana e i suoi angeli, insieme a tutti i reprobi della razza umana, sono condannati per l’eternità alle fiamme vendicatrici. È il regno del principe delle tenebre, dov’egli non cessa mai di tramare contro Dio e l’opera sua, piani perversi e sempre sventati.
Il Limbo dei bambini.
La seconda vasta regione è il limbo, ove si trovano le anime dei bambini che uscirono da questo mondo prima d’essere battezzati. Secondo la più autorevole dottrina della Chiesa, quelli che vi dimorano non soffrono alcun tormento e, sebbene non potranno mai contemplare l’essenza divina, possono tuttavia godere una felicità naturale e proporzionata ai loro desideri.
Il purgatorio.
Una terza regione è il luogo dell’espiazione, in cui le anime uscite da questo mondo col dono della grazia si purificano da ogni macchia per essere ammesse all’eterna ricompensa.
Il limbo dei Giusti.
Infine, abbiamo il limbo dov’è prigioniera delle ombre l’intera schiera dei santi che morirono dal giusto Abele al momento in cui Gesù Cristo spirò sulla croce. Là stanno i nostri progenitori. Noè, Abramo, Mosè, David, gli antichi Profeti; Giobbe e gli altri giusti del paganesimo; i santi personaggi che sono legati alla vita di Cristo: Gioacchino, padre di Maria e Anna sua madre; Giuseppe, Sposo della Vergine e Padre putativo di Gesù; Giovanni il precursore, coi suoi genitori Zaccaria ed Elisabetta. Finché la porta del cielo non sarà aperta dal sangue redentore, nessun giusto potrà più salire a Dio. Uscendo da questo mondo le anime più sante dovettero scendere nel limbo. Molti passi dell’Antico Testamento designano gl’« inferi » come il soggiorno dei giusti che meglio hanno servito ed onorato Dio; solo nel Nuovo Testamento si cominciò a parlare del Regno dei Cieli. Però questa temporanea dimora non conosce altre pene che quella dell’attesa e della prigionia. Le anime che vi abitano possiedono sempre la grazia, certe d’una felicità che non avrà fine; esse sopportano rassegnatamente una tale severa relegazione, conseguenza del peccato, ma vedono con gioia sempre crescente l’avvicinarsi del momento della loro liberazione.
Gesù agl’inferi.
Avendo il Figlio di Dio accettato tutte le condizioni della nostra umanità, non poteva trionfarne che con la risurrezione; e le porte del cielo non si sarebbero riaperte che con la sua Ascensione; l’anima sua, separata dal corpo, doveva anch’essa scendere agl’« inferi » per condividere un poco l’esilio dei giusti. « Il Figlio dell’uomo, egli aveva detto, starà tre giorni e tre notti nel cuore della terra » (Mt. XII, 40). Ma tanto più il suo ingresso in questi luoghi doveva essere salutato dalle acclamazioni del popolo santo, quanto più doveva far pompa di maestà e mostrare la potenza e la gloria dell’Emmanuele. Nel momento in cui Gesù sulla Croce esalò l’ultimo respiro, il limbo dei giusti si vide improvvisamente illuminato da splendori celesti; l’anima del Redentore unita alla divinità del Verbo discese un istante in mezzo a quelle ombre, e del luogo d’esilio ne fece un Paradiso. Fu il compimento della promessa di Cristo morente al ladrone pentito: «Oggi sarai meco in Paradiso».
La felicità dei giusti.
Chi potrebbe ridire la felicità in questo momento dei giusti che avevano atteso da tanti secoli; la loro ammirazione e il loro amore all’apparire dell’anima divina che viene a condividere e dissipare il loro esilio? Quali sguardi di bontà getta l’anima di Gesù su quell’immensa schiera di eletti a lui preparata da tanti secoli, su questa porzione della Chiesa ch’Egli ha riconquistata col suo sangue, ed alla quale furono applicati dalla misericordia del Padre i meriti di questo sangue prezioso prima ancora che fosse versato? Noi, che all’uscire da questo mondo abbiamo la speranza di salire a Colui che ci è andato a preparare un posto in cielo (Gv. XIV, 2), uniamoci alle gioie dei nostri padri, adorando la condiscendenza dell’Emmanuele, che si degnò rimanere tre giorni nei luoghi sotterranei, per accettare e santificare tutti i destini, anche quelli transitori, dell’umanità.
Gesù vincitore di satana.
Ma in questa visita ai luoghi infernali, il Figlio di Dio manifesta anche la sua potenza. Sebbene non discenda sostanzialmente nella dimora di satana, Egli vi fa sentire la sua presenza; e il superbo principe di questo mondo deve, in questo momento, cadere in ginocchio ed umiliarsi. In quel Gesù che aveva fatto crocifiggere dai Giudei, ora riconosce proprio il Figlio di Dio. L’uomo è salvato, la morte è distrutta, il peccato è cancellato; d’ora innanzi le anime dei giusti non scenderanno più nel seno d’Abramo, ma andranno in cielo, accompagnate dagli Angeli fedeli, che le porteranno a regnare lassù col Cristo, loro divino Capo. Il regno dell’idolatria sta per soccombere; gli altari sui quali si offrivano a satana gl’incensi della terra ovunque crollano e s’infrangono. La casa dell’uomo armato viene forzata dal suo divino avversario; tutto ciò che possiede gli viene portato via (Mt. XII, 29); il libello della nostra condanna è stato portato via al serpente, e la croce che con tanta gioia aveva visto innalzare per il Giusto, è stata per lui, secondo l’energica espressione di S. Antonio, come un amo mortifero che porta in punta l’esca per il mostro marino, che si dibatte e muore dopo averla inghiottita. – Lo spirito di Gesù fa sentire pure la sua presenza ai giusti, che sospirano nel fuoco dell’espiazione. La sua misericordia porta sollievo alle loro sofferenze e ne abbrevia il tempo della prova. Molti di loro vedono in quei tre giorni finire le loro pene e si uniscono alla moltitudine dei santi per circondare di lodi e di amore colui che apre le porte del cielo. Non è contrario alla fede cristiana il pensare, con alcuni teologi, che la permanenza dell’Uomo-Dio nella regione del limbo dei bambini fu anche per loro di consolazione; ed allora essi appresero che un giorno si sarebbero congiunti ai loro corpi, e si sarebbe aperta per loro una dimora meno oscura e più ridente di quella in cui la divina giustizia li terrà prigionieri fino al giudizio finale.
Preghiera.
Ti salutiamo e ti adoriamo, anima santissima del nostro Redentore, durante le ore che ti degnasti passare insieme coi nostri padri; glorifichiamo la tua bontà ed ammiriamo la tua tenerezza verso gli eletti; ti ringraziamo per aver umiliato il nostro terribile nemico: degnati di schiacciarlo sempre sotto i nostri piedi. O Emmanuele, sei rimasto abbastanza nella tomba: è ora di ricongiungere l’anima tua al corpo. Il cielo e la terra aspettano la tua risurrezione; già la Chiesa, è impaziente di rivedere il suo Sposo. Esci dal sepolcro, autore della vita! trionfa sulla morte e regna in eterno.
LA VEGLIA PASQUALE
Durante i primi secoli, i fedeli vegliavano nella Chiesa per tutta la notte, dal sabato alla domenica, attendendo il momento gioioso della risurrezione. Di tutte le veglie dell’anno, nessuna altra era frequentata con tale entusiasmo e i fedeli che celebravano il passaggio di Cristo dalla morte alla vita, partecipavano, nel medesimo tempo, come testimoni alla solenne amministrazione del Battesimo ai catecumeni: funzione che simbolizzava il passaggio dalla morte spirituale alla vita della grazia. – La Chiesa d’Oriente ha continuato fino ad oggi l’antica tradizione di questa grande vigilia. In Occidente, a cominciare dal Medio Evo, il desiderio di accorciare l’austerità di un digiuno che durava dalla sera del Venerdì Santo fin dopo la Vigilia Pasquale, contribuì a far anticipare poco alla volta l’ora della Messa notturna della risurrezione, prima nel pomeriggio, poi a mezzogiorno e in seguito, dal XII secolo in avanti, nella stessa mattina del Sabato. Durand de Mende, verso la fine del XIII secolo, attesta che a quel tempo appena qualche Chiesa conservava l’usanza primitiva. Questa modificazione portò una specie di contraddizione tra il mistero di questo giorno e l’Ufficio divino che vi si celebra. Cristo era ancora nella tomba e già veniva celebrata la sua resurrezione, e gli stessi riti di questa Vigilia, fatti apposta per preparare l’anima al mistero della Pasqua, avevano perduto buona parte del loro significato. In più, svolgendosi oggi questa cerimonia durante le ore di lavoro, veniva resa difficile la partecipazione da parte della grande maggioranza dei Cristiani. Accogliendo il desiderio dei Pastori e dei fedeli, nel 1951 Papa Pio XII restituì la Vigilia alla sua ora normale, invitando il popolo cristiano a riprendere la tradizione della pietà dei padri.
Innanzitutto noi esporremo il piano generale di questa funzione e in seguito ne spiegheremo tutte le parti. Il centro di questa vasta cerimonia è l’amministrazione del Battesimo ai catecumeni; i fedeli devono tenerlo ben presente se vogliono seguire con utilità e intelligenza questo dramma sacro. Si comincia con la benedizione del fuoco; poi viene esposto il Cero pasquale; la cerimonia delle Letture serve a legare quanto è già stato fatto e quanto ancora avverrà; terminate le Letture si passa alla benedizione dell’acqua; essendo così preparata la materia del Battesimo, i catecumeni ricevono il sacramento della rigenerazione; in seguito, il Vescovo conferirà loro la Cresima. A questo punto, i fedeli che sono stati testimoni della rigenerazione dei neofiti vengono invitati a rinnovare gli impegni del battesimo. Ha inizio il Santo Sacrificio in ricordo della Risurrezione e i neofiti vengono ammessi per la prima volta a partecipare ai sacri misteri.
La Stazione.
A Roma, la Stazione è nella Chiesa madre e matrice di S. Giovanni in Laterano; il Sacramento della rigenerazione è amministrato nel Battistero Costantiniano. I gloriosi ricordi del IV secolo aleggiano ancora sotto le volte di questi antichi santuari; infatti ogni anno ivi si amministra il Battesimo di qualche adulto, e numerose ordinazioni aggiungono nuovi splendori alla giornata.
I. – BENEDIZIONE DEL FUOCO E DELL’INCENSO
L’ultimo Scrutinio.
Mercoledì scorso i catecumeni furono convocati per oggi all’ora di terza (le nove del mattino). È il momento dell’ultimo Scrutinio, presieduto dai sacerdoti, i quali domandano il Simbolo a coloro che non lo hanno ancora professato. Fatta la stessa cosa per l’Orazione Domenicale e per gli attributi biblici dei quattro Evangelisti, uno dei sacerdoti, dopo aver esortato gli aspiranti al Battesimo a mantenersi raccolti ed in preghiera, li congeda.
Il nuovo fuoco.
All’ora di Nona (le tre pomeridiane), il Vescovo si reca insieme a tutto il clero nella chiesa; quindi ha inizio la Veglia del Sabato Santo. Il primo rito da compiere è la benedizione del nuovo fuoco, che con la sua luce illuminerà la funzione per tutta la notte. Era usanza dei primi secoli cavare, ogni giorno, il fuoco da un ciottolo, prima dei Vespri, e con esso accendere le lampade e i ceri che dovevano ardere durante l’ufficio e rimanere accesi in chiesa fino ai Vespri del giorno seguente. La Chiesa di Roma praticava tale usanza con maggior solennità il mattino del Giovedì Santo; in tal giorno il nuovo fuoco riceveva una benedizione speciale. In seguito ad un’istruzione, che il Papa S. Zaccaria fece per lettera a S. Bonifacio, Arcivescovo di Magonza nell’VIII secolo, venivano accese col fuoco tre lampade, che poi erano custodite con diligenza in un luogo segreto. Ad esse s’attingeva la luce per la notte del Sabato Santo. Nel secolo appresso, sotto il Papa S. Leone IV, nell’847, la Chiesa di Roma finì per estendere anche al Sabato Santo l’usanza degli altri giorni dell’anno, consistente nell’ottenere il nuovo fuoco da una pietra (Questa pratica del nuovo fuoco pare sia d’origine irlandese).
Il Cristo, Pietra e Luce.
Il senso di questa simbolica osservanza, non più praticata se non in questo giorno nella Chiesa latina, è facile coglierlo ed è molto profondo. Gesù Cristo disse: « Io sono la Luce del mondo » (Gv. VIII, 12); dunque la luce materiale è figura del Figlio di Dio. Anche la Pietra è uno dei tipi sotto il quale viene nelle Scritture raffigurato il Salvatore del mondo, « Cristo è la Pietra angolare », ci dicono unanimemente S. Pietro (I Piet. 2, 6) e S. Paolo (Ef. II, 20), i quali non fanno che applicare a lui le parole della profezia di Isaia (Is. XXVIII, 16). Ma in questo momento la viva scintilla che sprizza dalla pietra rappresenta un simbolo ancora più completo: è Gesù Cristo, che balza fuori dal sepolcro incavato nella roccia, attraverso la pietra che ne suggella l’ingresso. – La tomba di Gesù è fuori delle porte di Gerusalemme; le donne e gli Apostoli dovranno uscire dalla città per recarvisi e per costatare la risurrezione. Così il Vescovo e i suoi accompagnatori usciranno dalla chiesa per portarsi sul sagrato, là ove brillerà nella notte il nuovo fuoco. Il Vescovo lo benedice con questa preghiera:
“O Dio, che per mezzo di tuo Figlio, pietra angolare, hai acceso nei fedeli il fuoco del tuo splendore, santifica questo nostro fuoco fatto scaturire dalla pietra affinché servisse alle nostre necessità; e concedi di essere tanto infiammati da queste feste pasquali di celesti desideri da poter giungere con l’anima pura alle feste pasquali dell’eterno splendore. Per lo stesso Cristo nostro Signore”. In seguito, egli asperge il fuoco con acqua benedetta e lo incensa. Ed è giusto che il fuoco misterioso, destinato a fornire la luce al cero pasquale più tardi allo stesso altare, riceva una benedizione particolare e sia salutato con trionfo dal popolo cristiano.
II. – BENEDIZIONE DEL CERO PASQUALE
A questo punto viene portato davanti al Vescovo il Cero che0 la Chiesa ha già preparato affinché riluca durante questa lunga Veglia. Questa grande torcia, tutta d’un pezzo, a forma di colonna, rappresenta il Cristo. Prima d’essere accesa, essa era simboleggiata nella colonna di nube che avvolse la partenza degli Ebrei all’uscita dall’Egitto: sotto questa prima forma essa figura il Cristo nella tomba, morto e sepolto. Quando riceverà la fiamma, vedremo in essa la colonna di fuoco che rischiara i passi del popolo santo e l’aspetto di Cristo raggiante degli splendori della sua risurrezione. Con un punteruolo, il Vescovo traccia su di essa, nei punti stabiliti per ricevere i grani di incenso, una croce. Alla cima di questa croce egli segna la lettera greca Alpha, al fondo la lettera Omega, e tra i bracci della croce quattro numeri, ossia la data dell’anno; e intanto pronuncia queste parole:
“Cristo ieri e oggi Inizio e fine
Alpha e Omega
Suoi sono i tempi
E i secoli
A Lui gloria e onore
Per tutti i secoli e per tutta l’eternità. Amen”.
Il numero di questi grani d’incenso infissi nella massa del Cero rappresenta le cinque piaghe di Cristo sulla Croce, mentre i grani stessi simboleggiano i profumi che la Maddalena e le donne avevano npreparato mentre il Cristo riposava nella tomba. A questo punto, il Diacono accende al nuovo fuoco un piccolo cero e lo presenta al Vescovo che se ne serve per accendere a sua volta il Cero pasquale dicendo:
“La luce della gloriosa risurrezione di Cristo dissipi le tenebre del cuore e dello spirito.”
Poi benedice il Cero recitando questa preghiera:
“Fa’ scendere, o Signore, su questo cero acceso l’effusione abbondante delle tue benedizioni; accendi tu stesso questa luce che deve rischiararci in questa notte, o invisibile rigeneratore; affinché il sacrificio che ti viene offerto durante questa notte sia illuminato dal tuo fuoco misterioso e affinché in ogni luogo ove sia portato quanto ora viene benedetto, la potenza e la malizia del diavolo venga vinta e vi trionfi la potenza della tua divina maestà. Amen”.
Durante questa cerimonia sono state spente tutte le luci della Chiesa. Una volta i fedeli spegnevano perfino il fuoco delle case prima di recarsi in chiesa e non accendevano le altre luci della città se non mediante questo fuoco benedetto, consegnato ai fedeli in pegno della divina risurrezione. Notiamo a questo punto un altro simbolo non meno significativo: l’estinzione di ogni luce, in questo momento significa l’abrogazione della antica legge che è cessata quando venne scisso il velo del Tempio; il nuovo fuoco simboleggia la misericordiosa promulgazione della legge nuova che Gesù Cristo ha portato dissipando tutte le ombre della prima alleanza.
III. – PROCESSIONE SOLENNE E MESSAGGIO PASQUALE
A questo punto il Diacono veste la stola e la dalmatica bianca, prende il Cero pasquale acceso ed entra nella chiesa buia in testa al corteo. Dopo un breve cammino la processione si ferma e tutti si voltano verso il Cero che il diacono solleva ben alto e mentre canta:
Luce di Cristo.
Tutti rispondono: ringraziamo Dio.
Questa prima apparizione della luce proclama la divinità del Padre che si è manifestato a noi attraverso Gesù Cristo: « Nessuno conosce il Padre – ha detto Gesù – se non il Figlio e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo» (Mt. XI, 27).
Tutti si alzano e il Vescovo che ha benedetto il Cero pasquale accende alla sua fiamma la sua candela e la processione riprende verso la chiesa. – Al centro della chiesa la processione si ferma ancora e tutti si inginocchiano mentre il diacono canta per la seconda volta in un tono leggermente più alto: Luce di Cristo.
Tutti rispondono: ringraziamo Dio.
Questa seconda ostensione della luce ci parla della divinità del Figlio che si manifestò agli uomini nella incarnazione rivelando loro la sua uguaglianza di natura col Padre.
Il clero e gli altri ministri accendono le loro candele al Cero pasquale e poi la processione continua fino a che il diacono giunge all’altare. Allora alza il Cero per la terza volta mentre tutti si inginocchiano e canta:
Luce di Cristo.
Si risponde sempre: ringraziamo Dio.
Tutti allora si alzano e accendono le candele al Cero. Questa terza ostensione della luce proclama la divinità dello Spirito Santo che ci è stato rivelato da Gesù Cristo quando impose agli Apostoli il solenne precetto che la Chiesa sta per mettere in pratica questa notte: «Andate ed ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo» (Mt. XXVIII, 19). Per mezzo del Figlio che è « luce del mondo », gli uomini hanno conosciuto la SS. Trinità: il Vescovo, prima di procedere al loro Battesimo, chiederà ai catecumeni di professare la loro fede in essa; a questo punto s’accendono col nuovo fuoco le lampade che stanno appese in chiesa. Tale accensione ha luogo subito dopo quella del Cero pasquale, perché la conoscenza della risurrezione del Salvatore si diffuse successivamente, fino a che tutti i fedeli non ne furono rischiarati. Tale succedersi ci dimostra inoltre che la nostra risurrezione sarà la continuazione e l’imitazione di quella di Gesù Cristo il quale ci apre la via da percorrere per riacquistare l’immortalità, dopo essere, come Lui, passati nella tomba. – Il primo compito del nuovo fuoco è di annunziare gli splendori della Trinità. Ma ora servirà alla gloria del Verbo Incarnato, completando il magnifico simbolo che d’ora innanzi deve attirare i nostri sguardi. – Salito il Vescovo sul trono, il Diacono, lasciato il Cero, viene ad inginocchiarsi ai suoi piedi e chiede la benedizione per compiere il suo solenne ministero. Il Vescovo gli risponde: “Il Signore sia nel tuo cuore e sulle tue labbra affinché tu possa annunziare con dignità e competenza la proclamazione della Pasqua.”
Il Cero pasquale è stato posto sul candeliere in mezzo al presbiterio; il Diacono incensa il leggìo, gira attorno al Cero incensandolo da tutte le parti, ritorna davanti al leggio e inizia il canto dell’Exultet mentre tutti tengono la candela in mano. Negli elogi che il Diacono prodiga a questo Cero glorioso già si sente echeggiare l’annuncio della Pasqua; nel celebrare le lodi della divina fiaccola, di cui il Cero è l’emblema, egli compie la funzione di araldo della Risurrezione dell’Uomo-Dio. Unico ad essere rivestito di bianco, mentre il Vescovo indossa i colori della Quaresima, il Diacono fa sentire la sua voce nella benedizione del Cero con una libertà che non è consentita di solito alla presenza del Sacerdote, e tanto meno del Vescovo. Gl’interpreti della Liturgia c’insegnano che il Diacono rappresenta, in questo momento, la Maddalena e le altre pie donne, che per i primi ebbero l’onore d’essere edotti da Gesù della propria risurrezione e furono incaricati d’avvertire gli Apostoli ch’Egli era uscito dalla tomba e li avrebbe preceduti nella Galilea (Codesta cerimonia era praticata in Gallia, nell’alta Italia e nella Spagna fin dallo scorcio del IV secolo. Ugualmente quella del Cero pasquale a Ravenna, ai tempi di S. Gregorio, e a Napoli nell’VIII secolo.). – Ascoltiamo pertanto i melodiosi accenti di quel sacro canto, che farà battere i nostri cuori e ci farà pregustare le allegrezze che ci riserva questa notte meravigliosa. Il Diacono esordisce con questo lirico tono:
“Esulti ormai l’angelica schiera celeste, esultino divini i misteri, e la vittoria di sì gran Re annunci la tromba della salvezza. Goda pure la terra illuminata dai raggi di tanti fulgori, e resa brillante dallo splendore del Re eterno, si senta sgombra dalla caligine del mondo intero. Si allieti pure la Madre Chiesa adornata degli splendori di tanta luce, e questo tempio risuoni delle acclamazioni dei popoli. Perciò, o fratelli carissimi, che assistete a tanto meraviglioso splendore di questa santa luce, invocate insieme con me, ve ne prego, la misericordia di Dio onnipotente; affinché Egli che, senza alcun mio merito, si è degnato di aggiungermi al numero dei Leviti, infondendo in me lo splendore della sua luce, faccia sì ch’io possa dir tutte le lodi di questo Cero. Per nostro Signore Gesù Cristo suo Figlio, il quale vive e regna Dio con lui nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli”.
R. Così sia.
V. Il Signore sia con voi.
R. E col tuo spirito.
V. In alto i cuori.
R. Li abbiamo al Signore.
V. Ringraziamo il Signore Dio nostro.
R. È degno e giusto.
È veramente degno e giusto acclamare, con tutte le forze del cuore, dell’anima e della voce, l’invisibile Dio Padre onnipotente e il suo Figlio Unigenito, nostro Signore Gesù Cristo. Il quale ha per noi pagato all’eterno Padre il debito d’Adamo, e col pio sangue ha cancellato la nota delle pene dell’antica colpa. Queste, infatti, son le feste pasquali in cui viene immolato il vero Agnello che col sangue consacra le porte dei fedeli. È questa la notte in cui, dopo aver tratti i figli d’Israele, nostri padri, dall’Egitto, li facesti passare a piedi asciutti attraverso il Mar Rosso. È dunque questa la notte in cui lo splendore della colonna di fuoco ha cacciato le tenebre dei peccati. Questa è la notte che oggi, dopo aver per tutto il mondo sottratti dai vizi del secolo e dalla caligine del peccato quelli che credono in Cristo, li restituisce alla grazia, li unisce alla società dei santi. Questa è la notte in cui, spezzate le catene della morte, Cristo esce vittorioso dalla regione dei morti. – Nulla certo ci avrebbe giovato il nascere senza il benefizio della redenzione.
Oh! meravigliosa degnazione della tua pietà verso di noi.
Oh! eccesso incomprensibile di carità: per redimere il servo hai abbandonato alla morte
il Figlio!
Oh! certamente necessario peccato d’Adamo! ch’è stato cancellato dalla morte di Cristo!
Oh! felice colpa, che meritò d’avere tale e tanto Redentore.
Oh! notte veramente beata, che sola meritò di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo risuscitò dalla regione dei morti! Questa è la notte di cui sta scritto: La notte diverrà luminosa come il giorno; e: La notte è la mia luce nelle mie delizie. Difatti la santità di questa notte bandisce i delitti, lava le colpe, ridona l’innocenza ai caduti, l’allegrezza ai mesti; fuga gli odii, fa ritornare la concordia, e, sottomette gl’imperi. Accetta dunque in questa gradita notte, o Padre santo, il sacrificio serale di quest’incenso, che nell’offerta di questo Cero, frutto del lavoro delle api, ti fa la santa Chiesa per mezzo dei suoi ministri. Ma già conosciamo la gloria di questa colonna, che la brillante fiamma accende in onore di Dio. Questa fiamma, sebbene divisa in parti, non diminuisce comunicando la sua luce. Essa, infatti, viene alimentata dalla cera liquefatta che la madre ape ha prodotto per questa preziosa lampada.
O notte Veramente beata, che spogliò gli Egiziani ed arricchì gli Ebrei!
Notte in cui alle terrene s’uniscono le cose celesti, alle umane le divine.
Ti preghiamo dunque, o Signore, a far sì che questo Cero, consacrato al tuo nome per dissipare le tenebre di questa notte, duri sino in fondo senza venir meno e, ricevuto in odore di soavità 0sia unito ai celesti splendori. Trovi ancora la sua fiamma l’Astro del mattino, quell’Astro, dico, che non conosce tramonto, quello che, risorto dalla regione dei morti, brilla sereno sopra il genere umano.
Ti preghiamo adunque, o Signore, a concedere tempi tranquilli in queste gioie pasquali, di reggere, governare e conservare con protezione continua noi tuoi servi, tutto il clero, il devotissimo popolo, insieme al beatissimo nostro Papa Gregorio, e al nostro Vescovo N. Volgi ancora lo sguardo a coloro che ci reggono col potere e, per il dono della tua ineffabile pietà e misericordia, dirigi i loro pensieri alla giustizia e alla pace, affinché dopo la terrena fatica raggiungano la patria celeste insieme con tutto il tuo popolo. Per lo stesso Signor nostro Gesù Cristo tuo Figlio, il quale teco vive, regna Dio nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Così sia.
Terminata questa preghiera, il Diacono depone la dalmatica bianca e, indossata quella violacea, torna a lato del Vescovo. Cominciano a questo punto le lezioni prese dai libri dell’Antico Testamento.
IV. – LETTURE
Dopo tale preludio, mentre le luci della risurrezione risplendenti per tutta la chiesa rallegrano i cuori dei fedeli, ha inizio la quarta parte della Vigilia pasquale. Per completare quell’istruzione già iniziata al tempo della Quaresima si procede ora alla lettura di qualche passo delle Scritture particolarmente adatti a questa solenne circostanza. Come per le altre Vigilie dell’antica Chiesa romana, le letture di questa notte erano dapprima in numero di dodici. Al tempo della dominazione bizantina venivano lette anche in greco per i fedeli che non capivano il latino. In seguito, il numero venne ridotto a sei, numero conservato ancora oggi per il Sabato delle Quattro Tempora, oppure a quattro, come si verifica ad esempio nel Sacramentario Gregoriano e nel primo Ordo romano. L’uso delle quattro letture si conservò in diverse chiese mentre altre, e tra esse quella di Roma, erano tornate al numero di dodici. Durante queste letture i sacerdoti compivano sui catecumeni i riti preparatori del Battesimo, pieni di profondo significato. Prima tracciavano sulla loro fronte il segno della croce; poi imponevano su di loro la mano, scongiurando satana di uscire dall’anima e dal corpo per lasciare libero il posto a Gesù Cristo. Imitando l’esempio del Salvatore, toccavano con la propria saliva le orecchie dei neofiti, dicendo « Apritevi »; e poi le narici, aggiungendo: « Respirate la soavità dei profumi ». Quindi ciascun neofita riceveva l’unzione dell’Olio dei Catecumeni sul petto e fra le spalle ; ma prima di questa cerimonia, che lo consacrava atleta di Dio, il sacerdote lo aveva già invitato a rinunciare a satana, alle sue pompe e alle sue opere. Questi riti si compivano prima sugli uomini, poi sulle donne. I bambini dei fedeli, nonostante la loro piccola età, erano pure annoverati secondo il sesso; e, se fra i catecumeni si trovava qualcuno affetto da malattia, e che tuttavia si era fatto portare alla chiesa per ricevere questa notte la grazia della rigenerazione, il sacerdote pronunciava su di lui un’Orazione, nella quale si chiedeva a Dio che lo soccorresse e confondesse la malizia di satana. – L’insieme di questi riti, chiamato Catechizzazione, durava parecchio, per il gran numero degli aspiranti al Battesimo. Per questo motivo il Vescovo si era recato in chiesa fin dall’ora Nona e si era data inizio di buon’ora alla grande Veglia. Ma per tenere attenta l’assemblea durante le ore richieste dall’adempimento di tutti i riti, dall’alto dell’ambone si leggevano i brani delle Scritture più adatti alla solenne circostanza. Tali lezioni nel loro insieme completavano il corso dell’istruzione, di cui abbiamo seguito lo svolgersi durante l’intera Quaresima. – I Catecumeni oggi sono meno numerosi di un tempo e col ritorno della cerimonia alle ore notturne, questi riti preparatori potrebbero essere compiuti anche nel pomeriggio; e sempre per alleggerire questa parte della Veglia, si leggono appena quattro Letture. Esse vengono cantate davanti al Cero pasquale acceso in mezzo al presbiterio mentre tutti sono seduti e ascoltano. Dopo ogni lettura, il Diacono invita l’assemblea dei fedeli a rivolgere a Dio, in ginocchio, una preghiera silenziosa, nella quale ciascuno esprima i sentimenti che la lettura ha fatto nascere in lui. Quindi il Diacono ordina a tutti di alzarsi e il Vescovo raccoglie la preghiera di ciascuno nell’orazione detta colletta (raccogliere) che è la preghiera di tutta la Chiesa. Certi canti ispirati all’Antico Testamento e introdotti dalle stesse letture, riuniscono tutte le voci nella melodia del Tratto e mentre lo istruiscono, contribuiscono a rendere l’uditorio più attento. L’assieme di tutta la funzione presenta l’aspetto di una austera gravità: l’ora in cui Cristo risusciterà nei suoi fedeli non è ancora scoccata.
V. – PRIMA PARTE DELLE LITANIE DEI SANTI E BENEDIZIONE DELL’ACQUA BATTESIMALE
Terminate le Letture, due cantori in ginocchio in mezzo al presbiterio cantano le Litanie dei Santi fino all’invocazione « Propitius esto ». Tutti stanno in ginocchio e rispondono. A questo punto il canto viene interrotto. In mezzo al presbiterio dalla parte dell’Epistola è stato preparato un recipiente con l’acqua che dovrà essere benedetta e con quanto è necessario per questa benedizione; il Vescovo, in piedi davanti al popolo, dà inizio alla benedizione in presenza dei fedeli.
Il Vescovo dice: Il Signore sia con voi.
I fedeli rispondono: E col tuo spirito.
PREGHIAMO
“O Dio onnipotente ed eterno, riguarda propizio la devozione del popolo che rinasce ed anela, come il cervo, alle fonti delle tue acque; e concedigli propizio che la sete ispirata dalla sua fede, pel mistero del Battesimo ne santifichi l’anima e il corpo. La benedizione dell’acqua battesimale è di istituzione apostolica (Quantunque non possa vantare alcun testo del Nuovo Testamento, la benedizione dell’acqua è attestata fin dalla fine del II secolo. S. Basilio l’enumera fra le cose non scritte, ma tramandate « da una tacita e segreta tradizione »), essendo l’antichità di tale pratica attestata dai maggiori dottori, fra cui S. Cipriano, S. Ambrogio, S. Cirillo di Gerusalemme e S. Basilio. È quindi giusto che quest’acqua, strumento della più divina fra le meraviglie, nel glorificare Dio che s’è degnato associarla ai disegni della sua misericordia verso l’umanità, sia circondata di tutto quell’apparato che possa renderla anch’essa gloriosa in faccia al cielo ed alla terra. All’uscire dall’acqua, secondo l’immagine dei padri dei primi secoli, i Cristiani sono i fortunati Pesci di Cristo; niente, quindi, da stupire, se in presenza dell’elemento cui devono la vita, trasaliscano di gioia e rendano gli onori dovuti all’Autore stesso dei prodigi che la grazia sta per operare in essi. La preghiera di cui si serve il Pontefice per benedire l’acqua ci riporta alla culla della fede, per la nobiltà e la forza dello stile, per l’autorità del suo linguaggio e per i riti antichi e primitivi che l’accompagnano. Essa viene cantata sul modo solenne del Prefazio ed è pregna d’un lirismo ispirato. Il Pontefice prelude con una semplice Orazione, dopo la quale esplode l’entusiasmo della santa Chiesa, che, per richiamare l’attenzione di tutti i suoi figli, provoca le loro acclamazioni, mentre li invita ad innalzare i loro cuori, dicendo: In alto i cuori!
V. Il Signore sia con voi.
R. E col tuo spirito.
PREGHIAMO
“O Dio onnipotente ed eterno, assisti a questi misteri e sacramenti della tua grande pietà e manda lo spirito di adozione a rigenerare i nuovi popoli che il fonte battesimale ti partorisce; affinché per effetto della tua virtù si compia ciò che siamo per fare mediante il nostro umile ministero. Per il nostro Signore Gesù Cristo tuo Figlio, il quale teco vive e regna Dio nell’unità dello Spirito Santo.
V. Per tutti i secoli dei secoli.
R. Così sia.
V. Il Signore sia con voi.
R. E col tuo spirito.
V. In alto i cuori.
R. Li abbiamo già al Signore.
V. Ringraziamo il Signore Dio nostro.
R. È cosa degna e giusta.
È veramente degno e giusto, equo e salutare, che noi sempre in ogni luogo rendiamo grazie a te, o Signore santo, Padre onnipotente, Dio eterno; che con invisibile potenza operi mirabilmente l’effetto dei tuoi sacramenti. E benché noi siamo indegni d’essere ministri di sì grandi misteri, tuttavia non ci privare dei doni della tua grazia e porgi l’orecchio della tua pietà alle nostre preghiere. O Dio, il cui spirito negli stessi princìpi del mondo si portava sulle acque, affinché fin d’allora la sostanza delle acque ricevesse la virtù di santificare. O Dio che, lavando con le acque i delitti di un mondo colpevole, nella inondazione del diluvio facesti vedere la figura della rigenerazione; che allora facesti sì che il medesimo elemento divenisse misteriosamente termine del peccato e principio di virtù. Riguarda, o Signore, in faccia la tua Chiesa, e moltiplica in essa le tue rigenerazioni, tu che con l’impetuoso fiume della tua grazia rallegri la tua città, e per tutta quanta la terra apri il fonte del battesimo per rinnovare le nazioni; affinché per comando della tua maestà essa riceva la grazia del tuo Unigenito dallo Spirito Santo. Qui il Pontefice si ferma un istante, e, immergendo la mano nelle acque, le divide in forma di croce, per significare ch’esse, mediante la virtù della croce, hanno riacquistata la capacità di rigenerare le anime. Fino a che Gesù Cristo non morì sulla Croce questo meraviglioso potere era per loro solo una promessa: mancava l’effusione del sangue divino, perché ciò fosse loro conferito. È il sangue di Gesù che opera dentro l’acqua sulle anime mediante la virtù dello Spirito Santo, alla quale s’è richiamato il Pontefice. Ch’egli, con la misteriosa unione della sua divinità, fecondi quest’acqua preparata per la rigenerazione degli uomini; affinché, ricevuta la santificazione dal seno purissimo di questo fonte divino, venga fuori una creatura rinata, una generazione celeste; e tutti, sebbene distinti per sesso o per età, siano partoriti dalla grazia nella medesima infanzia. Per tuo comando, o Signore, s’allontani dunque da qui ogni spirito immondo, e stia lontana ogni malvagità e artifizio diabolico. Non vi abbia parte alcuna la potenza del nemico, non vi voli attorno con insidie, non vi si insinui di nascosto, non la corrompa né la contamini. – Dopo queste parole, con le quali il Vescovo chiede a Dio che voglia allontanare dalle acque l’influsso degli spiriti maligni, che tentano d’infettare tutto il creato, stende su di esse la mano e le tocca. L’augusto carattere del Pontefice e del Sacerdote è sorgente di santificazione; quindi il solo contatto della mano consacrata esercita già un potere sulle creature, in virtù del sacerdozio di Cristo che in lui risiede. Questa sia una creatura santa e innocente, libera da ogni assalto nemico e purgata per l’allontanamento di ogni malvagità. Sia una sorgente viva, un’acqua che rigenera, un’onda che purifica; affinché, quelli che saranno lavati in questo bagno salutare, operando in essi lo Spirito Santo, conseguano la grazia d’una perfetta purificazione. – Pronunciando poi le seguenti parole, il Vescovo benedice tre volte l’acqua del fonte, facendovi tre segni di croce. “Perciò ti benedico, o creatura dell’acqua, pel Dio vivo, pel Dio vero pel Dio santo, per quel Dio che in principio con una parola ti separò dalla terra, e il cui spirito si moveva su di te.” A questo punto, per ricordare le acque una volta destinate a fecondare il Paradiso terrestre, ch’era attraversato da quattro fiumi, il Vescovo le divide con la mano e le getta verso le quattro parti del mondo, che poco dopo dovevano ricevere la predicazione del Battesimo. Compie questo rito così profondo, dicendo le parole:
“Per il Dio che ti fece scaturire dal fonte del Paradiso, e ti ordinò d’irrigare con quattro fiumi tutta la terra; che da amara qual eri nel deserto, ti rese potabile con la sua dolcezza, e che per dissetare il popolo ti fece scaturire dalla pietra. Ti benedico anche per Gesù Cristo, unico suo Figlio, Signor nostro, il quale in Cana di Galilea, con un meraviglioso miracolo della sua potenza, ti cambiò in vino, camminò su di te e in te fu battezzato da Giovanni nel Giordano. Il quale ti fece uscire dal suo costato insieme col suo sangue, e comandò ai suoi discepoli di far battezzare in te i credenti, dicendo: Andate, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo.”
Qui il Vescovo sospende il tono del Prefazio e prosegue con un tono più semplice di voce. Quindi, segnata l’acqua col segno della croce, invoca su di essa la fecondità dello Spirito Santo. Mentre noi mettiamo in pratica questi precetti, tu, o Dio onnipotente assisti propizio e benigno alita. – Lo Spirito Santo porta un nome che significa Soffio; è il soffio divino, potente come un turbine, che si fece sentire nel Cenacolo. Questo divino carattere della terza Persona divina viene espresso dal Pontefice con l’alitare tre volte sull’acqua del fonte, in forma di croce; poi continua senza riprendere il tono del Prefazio. – “Tu stesso con la tua bocca benedici queste acque pure, affinché, oltre a naturale virtù di purificare, usate per lavare i corpi, ricevano anche quella di purificare le anime.” Poi prende il Cero e ne immerge l’estremità inferiore nella vasca.
Questo rito, che data dal XI secolo, esprime il mistero del Battesimo di Cristo nel Giordano, quando le acque ricevettero la caparra del loro divino potere, e lo Spirito Santo nel momento in cui, il Figlio di Dio discese nel fiume, si posò sul suo capo in forma di colomba. Oggi non è data più una semplice caparra: l’acqua riceve veramente la virtù promessa, mediante l’azione delle due divine Persone. Perciò il Vescovo, riprendendo il tono del Prefazio ed infondendo nell’acqua il Cero pasquale, simbolo di Cristo, sul quale si fermò la celeste Colomba, canta: Discenda su tutta l’acqua di questo fonte la virtù dello Spirito Santo. – Questa volta, prima di ritirare il Cero dall’acqua, il Vescovo si inchina sul fonte; e, per unire in un solo invisibile simbolo la potenza dello Spirito Santo alla virtù di Cristo, alita di nuovo sopra l’acqua, ma non più in forma di croce, sebbene tracciando col suo alito questa lettera dell’alfabeto greco, ψ, che, in questa lingua, è la prima lettera della parola Spirito, «psuke»; poi prosegue nella sua preghiera:
“E a tutta questa massa d’acqua dia la feconda efficacia di rigenerare. Toglie allora il Cero dal fonte e continua: Qui si cancellino le macchie di tutti i peccati, qui la natura creata a tua immagine e ristabilita nella sua dignità di origine, si purifichi da tutti i deturpamenti antichi; affinché ogni uomo che entra in questo sacramento di rigenerazione, rinasca alla nuova infanzia della vera innocenza.” – Dopo ciò il Vescovo di nuovo sospende il tono del Prefazio e pronuncia senza canto la seguente conclusione:
“Per nostro Signor Gesù Cristo, tuo Figlio, il quale ha da venire a giudicare i vivi e i morti e il mondo col fuoco.”
R. Così sia.
Dopo che il popolo ha risposto Amen, un Sacerdote asperge l’assemblea con l’acqua del fonte, ed un chierico minore, attingendovi un vaso pieno d’acqua, lo conserva per il servizio in chiesa e l’aspersione delle case dei fedeli.
Le preghiere per la benedizione dell’acqua sono ormai terminate; eppure la santa Chiesa non ha ancora finito di compiere, verso quest’elemento, tutto quello che ha stabilito di fare. Giovedì scorso entrò un’altra volta in possesso delle grazie dello Spirito Santo mediante la consacrazione dei Santi Oli; oggi vuole onorare l’acqua battesimale, infondendo in essa questi Oli così rinnovati che furono accolti con tanta gioia. Il popolo fedele imparerà a venerare sempre più la sorgente purificante dell’umana salvezza, nella quale sono racchiusi tutti i simboli dell’adozione divina. Quindi il Vescovo prende
l’ampolla che contiene l’Olio dei Catecumeni, e, versandolo sull’acqua, pronuncia le parole:
“Sia santificato e fecondato questo fonte dall’Olio della salute per la vita eterna di tutti i rigenerandi.”
R. Così sia.
Allo stesso modo vi versa una parte del sacro Crisma, dicendo:
“L’infusione del Crisma di nostro Signore Gesù Cristo, e dello Spirito Santo Paraclito, sia fatta nel nome della santa Trinità.”
R. Così sia.
Da ultimo, tenendo nella destra il Crisma e nella sinistra l’Olio dei Catecumeni, li versa insieme nell’acqua e, terminando questa sacra libazione, che esprime la sovrabbondanza della grazia battesimale, conclude:
“La mescolanza del Crisma che santifica, e dell’Olio che unge e dell’acqua battesimale, sia fatta ugualmente nel nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo.”
R. Così sia.
Dopo queste parole il Vescovo sparge gli Oli Santi sulla superficie dell’acqua affinché si impregni tutta quanta di questo ultimo grado di santificazione. Essendo stata benedetta l’acqua, si può procedere all’amministrazione del Battesimo. I catecumeni sono invitati ad avvicinarsi al Vescovo, in mezzo al presbiterio. Durante i primi secoli, il Battesimo veniva amministrato non al centro del presbiterio ma al battistero che allora era fuori della chiesa e la cerimonia aveva luogo secondo questo ordine:
Il corteo si portava al luogo ove era stata preparata l’acqua: l’edificio era staccato dalla chiesa, di forma rotonda e ottagonale. Il centro era costituito da una specie di vasto bacino al quale si accedeva mediante diversi gradini. L’acqua vi veniva fatta affluire attraverso certi canali e vi zampillava dalla bocca di un cervo in metallo. Al di sopra del bacino si elevava una cupola al centro della quale era raffigurato lo Spirito Santo con le ali tese nell’atto di fecondare le acque; una balaustra correva attorno al bacino, allo scopo di separare i battezzandi, i padrini e le madrine dagli altri fedeli: essi soltanto, il Vescovo e i sacerdoti, potevano varcarla. Poco distante venivano innalzate due tende che servivano per gli uomini e le donne e dove essi si ritiravano per asciugarsi e mutarsi l’abito dopo il Battesimo.
Ecco come avveniva la processione verso il battistero. Stava innanzi il Cero pasquale, figura della colonna luminosa che guidò Israele nelle tenebre della notte, verso il mar Rosso; seguivano i catecumeni, accompagnati, gli uomini dai padrini a destra, le donne
dalle madrine a sinistra: ognuno veniva accompagnato al Battesimo da un Cristiano del suo stesso sesso. Gli accoliti portavano, uno il Sacro Crisma, l’altro l’Olio dei Catecumeni; seguiva il clero e infine il Vescovo accompagnato dai suoi ministri. La processione si snodava alla luce delle torce, mentre l’aria risuonava di melodiosi canti. Venivano cantati i versetti del Salmo nel quale David paragonava il suo desiderio di Dio all’ardore col quale il cervo sospira l’acqua del ruscello. Il cervo che si ammirava al centro del battistero stava a significare appunto il desiderio del catecumeno. – Dopo l’appello, essi avanzavano ad uno ad uno, guidati gli uomini dai padrini, e le donne dalle madrine. Spogliato dei vestiti nella parte superiore del corpo, il catecumeno scendeva i gradini della vasca, entrava nell’acqua a portata di mano del Vescovo il quale, con voce alta, gli domandava:
V. Credi in Dio Padre onnipotente, Creatore del Cielo e della terra?
R. Credo, rispondeva il catecumeno.
V. Credi in Gesù Cristo, suo unico Signore, che è nato ed ha patito per noi?
R. Credo.
V. Credi nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi, nella remissione dei peccati, nella risurrezione della carne, nella vita eterna?
R. Credo.
Dopo questa professione di fede, il Vescovo rivolgeva la domanda:
« Vuoi essere battezzato? ». « Lo voglio », rispondeva il catecumeno.
Allora il Vescovo, mettendo la mano sulla testa del catecumeno, la immergeva per tre volte nel fonte dicendo: « Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo ». – Per tre volte l’eletto veniva immerso nell’acqua; essa lo copriva interamente e lo faceva scomparire allo sguardo dei presenti. Il grande Apostolo spiega questa parte del mistero, dicendo che l’acqua è per l’eletto la tomba dov’è stato sepolto con Cristo, e, come Cristo, lo renderà alla vita; la morte subita è quella del peccato, e la vita che ora possiede è quella della grazia (Rom. VI, 4). Così il mistero della risurrezione dell’Uomo-Dio si riproduce interamente nel Cristiano battezzato. Ma prima che l’eletto uscisse dall’acqua, un rito sublime completava in lui la rassomiglianza col Figlio di Dio. – Come la divina Colomba si era posata sul capo di Gesù, mentre stava immerso nelle acque del Giordano, così il neofita, prima di uscire dal fonte, riceveva da un ministro il sacro Crisma, dono dello Spirito Santo. Tale unzione indica nell’eletto il regale e sacerdotale carattere del Cristiano, che per l’unione con Gesù Cristo, suo capo, partecipa, in un certo grado, alla sua Regalità ed al suo Sacerdozio. – Ripieno così dei favori del Verbo eterno e dello Spirito Santo e ricevuta l’adozione dal Padre, che vede in lui un membro del proprio Figlio, il neofita usciva dal fonte per gli appositi gradini, simile alle pecorelle della divina Cantica, quando risalgono dal lavatoio dove hanno purificata la loro bianca lana (Cant. IV, 2). Il padrino l’attendeva sul limitare del fonte, mentre con una mano lo aiutava a salire e con un’altra lo nascondeva con un panno e lo asciugava dall’acqua che gli grondava da tutte le parti. – Il Vescovo proseguiva nella sua nobile funzione: quante volte immerge un peccatore nell’acqua, altrettante volte un giusto rinasce dal fonte. Ma non può continuare a lungo un ministero, nel quale può essere supplito da altri ministri. Egli solo può conferire ai neofiti il sacramento che li confermerà nel dono dello Spirito Santo: e se per esercitare questo divino potere, dovesse attendere che tutti i catecumeni siano rigenerati, si arriverebbe al grande giorno prima di compiere tutti i misteri della santa notte. Perciò si limitava a conferire con le proprie mani il santo Battesimo ad alcuni eletti, uomini, donne e bambini, lasciando ai ministri la cura di finir di raccogliere la messe del Padre di famiglia. Un apposito luogo del Battistero veniva chiamato Crismario, perché in quel luogo il Vescovo conferiva il Sacramento della Cresima. Là si dirige e sale sul trono che gli è stato preparato; di nuovo lo rivestono dei paramenti sacri che aveva lasciati recandosi al fonte; e subito vengono portati ai suoi piedi prima i neofiti da lui battezzati, e successivamente gli altri rigenerati dal ministero dei sacerdoti. Quindi distribuiva a ciascuno di loro una veste bianca, dicendo: « Ricevi la veste bianca, santa e immacolata ; e portala al tribunale di nostro Signor Gesù Cristo per averne la vita eterna ». I neofiti, dopo aver ricevuto questo eloquente simbolo, si ritiravano dietro le tende del Battistero, dove deponevano gli abiti inzuppati d’acqua, ne indossavano dei nuovi, e, con l’aiuto dei padrini e delle madrine, ponevano sopra ogni altro, la veste bianca ricevuta dal Vescovo. Poi tornavano al Crismario, dove il Pontefice conferiva loro solennemente il Sacramento della Confermazione.
LA CONFERMAZIONE
Giovedì scorso durante la solennità della consacrazione del Crisma, il Pontefice ricordava a Dio, nella sua preghiera, che allorché le acque ebbero adempiuto il lor ministero purificando tutta la terra, sul mondo rinnovato apparve una Colomba con un ramo d’ulivo nel becco annunciante la pace ed il regno di colui che prende dall’Unzione il nome sacro che porterà eternamente. Così pure i neofiti, purificati nell’acqua, attendono ora ai suoi piedi i favori della divina Colomba ed il pegno di pace di cui è simbolo l’ulivo. Già il sacro Crisma è stato sparso sul loro capo; allora non significava altro che la dignità cui dovevano essere elevati. Ora invece non solamente significa la grazia, ma l’opera nelle anime; perciò si richiede la mano del Vescovo, da cui solo dipende la consacrazione del Crisma, non potendo un semplice Sacerdote fare l’unzione che conferma il Cristiano. Davanti al Vescovo sono schierati i neofiti, gli uomini da un lato, le donne dall’altro; i bambini in braccio ai padrini ed alle madrine. Gli adulti poggiavano il piede destro su quello destro di quelli che fungevano loro da padre e da madre, significando con tale segno di unione la filiazione della grazia nella Chiesa. Nel vedere la schiera riunita intorno a lui, il Pastore si rallegra nel suo cuore, ed alzandosi dal trono, esclama: « Discenda in voi lo Spirito Santo e la virtù dell’Altissimo vi conservi da ogni peccato! ». Stendendo poi le mani, invocava su di loro lo Spirito dai sette doni, il quale solo può confermare nei neofiti le grazie ricevute nelle acque del fonte battesimale. – Guidati dai loro assistenti, essi s’avvicinavano l’uno dopo l’altro al Vescovo, ansiosi di ricevere la pienezza del carattere di Cristiano. – Il Vescovo intingeva il pollice nel vaso contenente il Crisma e segnava ciascuno di loro sulla fronte col segno incancellabile, dicendo: « Io ti segno col segno della Croce e ti confermo col Crisma della salute nel nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo ». E, dando un leggero schiaffo sulla guancia, che presso gli antichi significava la liberazione d’uno schiavo, lo metteva in possesso della completa libertà dei figli di Dio, dicendo loro: «La pace sia con te » (Nei primi tempi, dicendo «Pax tecum », il Vescovo dava il bacio di pace ai neocresimati. (Nei primi tempi, dicendo «Pax tecum », il Vescovo dava il bacio di pace ai neocresimati. Più tardi il bacio fu sostituito da una piccola carezza sulla guancia, che. per alcuni simbolisti, divenne sinonimo di schiaffo, poiché il soggetto doveva da quel momento sopportare con Cristo e per Cristo ogni genere d’ignominie e patimenti. Per altri, invece rappresenterebbe il colpo che ricevevano sulla spalla quelli che nel Medioevo venivan fatti cavalieri, dovendo anche il cresimato divenire soldato armato di Cristo.). – Più tardi il bacio fu sostituito da una piccola carezza sulla guancia, che. per alcuni simbolisti, divenne sinonimo di schiaffo, poiché il soggetto doveva da quel momento sopportare con Cristo e per Cristo ogni genere d’ignominie e patimenti. Per altri, invece rappresenterebbe il colpo che ricevevano sulla spalla quelli che nel Medioevo venivan fatti cavalieri, dovendo anche il cresimato divenire soldato armato di Cristo.). I ministri del Pontefice fasciavano la testa dei neocresimati con una benda destinata a salvaguardare da ogni contatto profano la parte della fronte, segnata dal sacro Crisma. Il neofita la doveva tenere per sette giorni, assieme alla veste bianca di cui era stato rivestito. – Frattanto, mentre si svolgevano questi misteri, passavano le ore della notte; e giungeva il momento di celebrare, con un sacrificio di giubilo, l’istante supremo in cui Cristo uscirà dalla tomba. – È tempo che il Pastore riconduca al tempio santo il fortunato gregge, che, in una maniera così gloriosa, è venuto ad accrescerne le file; è tempo di offrire alle amate pecorelle il divino alimento cui d’ora in poi hanno diritto. Si aprivano le porte del Battistero e la processione s’avviava verso la basilica. Il Cero pasquale, come una colonna di fuoco, precedeva lo sciamare dei neofiti; e i fedeli venivano dietro al Vescovo e al clero e rientravano in chiesa trionfanti. Lungo il percorso, veniva ripetuto il cantico di Mosè dopo il passaggio del Mar Rosso.
VI. – RINNOVAZIONE DELLE PROMESSE DEL BATTESIMO E SECONDA PARTE DELLE LITANIE
Terminata la benedizione, l’acqua deve essere portata al fonte battesimale. La processione vi si reca cantando « Sicut cervus »; poi si ritorna in presbiterio. Il Vescovo veste la stola e il piviale bianco, incensa il Cero e poi si volta verso i fedeli che tengono in mano le candele accese e li invita a rinnovare le promesse del Battesimo.
Io credo in Dio Padre Onnipotente, Creatore del cielo e della terra.
E voi credete?
Credo.
Io credo in Gesù Cristo suo Figliolo Unico, Dio e Uomo, morto in Croce
per salvarci. E voi credete?
Credo.
Credo nello Spirito Santo, la Santa Chiesa cattolica, la Comunione dei Santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna, E voi credete?
Credo.
Prometto con l’aiuto che invoco e spero da Dio, di osservare la sua santa legge e di amare Dio con tutto il cuore, sopra ogni cosa e il prossimo come me stesso per amor di Dio. E voi promettete?
Prometto.
Rinuncio al demonio, alle sue vanità e alle sue opere, cioè al peccato. E voi rinunciate?
Rinuncio.
Prometto di unirmi a Gesù’ Cristo e seguirlo, di voler vivere e morire per Lui. E voi promettete?
Prometto.
In nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo.
A chiusura di questa cerimonia si canta l’altra parte delle litanie dei Santi, mentre il Vescovo si porta in Sacrestia ove veste i paramenti sacri risplendenti di tutta la bellezza della Pasqua.
MESSA SOLENNE DELLA VEGLIA PASQUALE
Le Litanie volgono al termine; e già il coro dei cantori è arrivato al grido d’invocazione: Kyrie eleison! Il Pontefice procede dalla Sacrestia verso l’altare in tutta la maesta dei più grandi giorni. Al suo apparire, i cantori prolungano la melodia sulle parole di supplica, ripetendole tre volte, e tre volte aggiungendo la preghiera al Figlio di Dio: Christe eleison! Da ultimo, si termina con l’invocare tre volte lo Spirito Santo: Kyrie eleison! Mentre si eseguono tali canti, il Vescovo ai piedi dell’altare offre all’Altissimo i suoi primi omaggi con l’incenso; così che non si rende più necessaria l’Antifona ordinaria, che prende il nome di Introito, ad accompagnare l’ingresso del celebrante. – La Basilica comincia ad illuminarsi coi primi bagliori dell’aurora. L’assemblea dei fedeli, suddivisa nei diversi settori, gli uomini nella navata di destra, le donne in quella di sinistra, ha accolto nelle sue file le nuove reclute. Presso le porte, il posto dei catecumeni è vacante; e sotto le navate laterali, al luogo d’onore, si distinguono i neofiti dalla veste bianca e dalle bende e dal cero acceso che tengono in mano. – Terminata l’incensazione dell’altare, tutto ad un tratto, oh trionfo del Figlio di Dio risuscitato! la voce del Ponteifice intona l’Inno Angelico: « Gloria a Dio nel più alto dei cieli; e pace in terra agli uomini di buona volontà »! A tali accenti le campane, mute da tre giorni, risuonano a distesa nel campanile della Basilica; e l’entusiasmo della nostra santa fede fa palpitare tutti i cuori. Il popolo continua con ardore il Cantico celeste; terminato il quale, il Vescovo riassume nell’Orazione seguente i voti di tutta la Chiesa in favore dei suoi nuovi figli.
Epistola (Col. III, 1-4). – “Fratelli: Se siete risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù, ove è Cristo assiso alla destra del Padre; alle cose di lassù pensate, e non a quelle della terra; perché voi siete morti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando comparirà Cristo, vostra vita, allora anche voi comparirete con Lui nella gloria.”.
Finita questa lezione così breve, ma così profonda in ogni sua parola, il Suddiacono scende dall’ambone e viene a fermarsi davanti al trono del Vescovo. Dopo averlo riverito con un profondo inchino, con voce esultante pronuncia queste parole che fa risuonare in tutta la Basilica e ridestano l’allegria in tutte le anime: « Padre venerabile, ti dò una grande gioia: cantiamo Alleluia!» Allora il Vescovo si alza e canta: Alleluia! con un tono allegro. Il coro ripete Alleluia! e per due volte il grido celeste s’alterna fra il coro e il Pontefice. In quel momento svaniscono tutte le passate tristezze; si sente che le espiazioni della santa Quarantena sono state gradite dalla divina maestà; ed il Padre dei secoli, per i meriti del Figliolo risuscitato, perdona alla terra, avendole ridato il diritto di cantare il cantico dell’eternità. Il coro aggiunge questo versetto del Re Profeta, che celebra la misericordia di Dio:
Celebrate il Signore, perché Egli è buono, e perché la sua misericordia dura in eterno.
Tuttavia manca ancora qualcosa alle gioie di questo giorno. Gesù è uscito dalla tomba; ma fino a quest’ora non s’è manifestato a tutti. Soltanto la sua santa Madre, Maddalena e le altre pie donne, l’hanno visto; questa sera soltanto si mostrerà agli Apostoli. Siamo quindi solo all’alba della Risurrezione, perciò la Chiesa esprime ancora0 per un’ultima volta la lode del Signore sotto la forma quaresimale del Tratto.
TRATTO
Lodate il Signore, tutte quante le nazioni; lodatelo tutti, o popoli.
V. Perchè s’è affermata sopra di noi la sua misericordia e la verità del
Signore rimane in eterno.
Mentre il coro canta quest’inno davidico, il Diacono si dirige verso l’ambone, donde farà sentire le parole del santo Vangelo. Non è accompagnato dagli Accoliti con le loro fiaccole, però lo precede il turiferario con l’incenso. Anche questo è un’allusione agli eventi della grande mattinata: le donne sono venute al sepolcro coi profumi, ma ancora non brilla nelle loro anime la fede della risurrezione. – L’incenso rappresenta i loro profumi, mentre l’assenza delle fiaccole significa ch’esse ancora non possedevano questa fede.
Vangelo (Mt. XXVIII, 1-7). – “Dopo la sera del sabato, mentre cominciava ad albeggiare il primo giorno della settimana, Maria Maddalena e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro. Quand’ecco venire un grande terremoto. Perché un Angelo del Signore, sceso dal cielo, si appressò al sepolcro e, ribaltatane la pietra, ci sedeva sopra. Il suo aspetto era come il folgore e la sua veste candida come la neve. E per lo spavento che ebbero di lui, si sbigottirono le guardie e rimasero come morte. Ma l’Angelo prese a dire alle donne: Voi non temete; so che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui; è già risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove giaceva il Signore. Or, presto, andate a dire ai suoi discepoli che egli è risuscitato dai morti: ed ecco, vi precede in Galilea wi lo vedrete. Ecco, v’ho avvertite.”
Dopo la lettura del Vangelo, il Pontefice non intona il Simbolo della fede: la santa Chiesa lo riserva per la Messa solenne che radunerà di nuovo i fedeli. Essa segue ora per ora le fasi del divino mistero, e in questo momento vuol ricordarci l’intervallo che dovette trascorrere prima che gli Apostoli, destinati a predicare ovunque la fede della risurrezione, non gli avessero reso omaggio.
Salutato il popolo, il Pontefice s’accinge a offrire alla divina maestà il pane e il vino occorrenti al Sacrificio; per una deroga all’osservanza d’ogni Messa, i cantori non intonano l’Antifona nota sotto il nome di Offertorio. Infatti, quotidianamente tale Antifona accompagna la processione dei fedeli diretti all’altare ad offrire il pane ed il vino che saranno loro restituiti nella Comunione, trasformati nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo. Se non che la Funzione s’è prolungata molto; e se l’ardore delle anime è sempre lo stesso, si fa però sentire la fatica del corpo; il piagnucolare dei fanciulli, che si tengono digiuni per la Comunione, fanno già intendere la sofferenza che provano. Il pane e il vino, materia del santo Sacrificio, saranno oggi apprestati dalla Chiesa; e quand’anche non saranno gli stessi neofiti a presentarli, non per questo mancheranno d’assidersi alla mensa del Signore. – Fatta dunque l’offerta, e incensato il pane e il vino e l’altare, il Pontefice raccoglie i voti di tutti i presenti nella Segreta, seguita dal Prefazio pasquale. – Al cominciare del Canone si opera il mistero divino. Nulla è mutato nell’ordine delle cerimonie, fino all’istante che precede la Comunione. Per un’usanza che rimonta ai tempi apostolici, i fedeli, prima di accostarsi al corpo e al sangue del Signore, si scambiavano reciprocamente il bacio fraterno, pronunciando le parole: « La pace sia con te! ». In questa prima Messa pasquale tale costume si omette, perché fu la sera del giorno della risurrezione che Gesù rivolse quelle parole ai discepoli riuniti. La santa Chiesa, sempre ossequiente alle minime circostanze della vita del suo celeste Sposo, ama riprodurle nella sua condotta. Per la stessa ragione omette oggi il canto dell’Agnus Dei, che del resto non data prima del VII secolo, e che presenta alla terza ripetizione le parole: « Donaci la pace ».
È venuto il momento in cui i neofiti, per la prima volta, gusteranno il pane di vita e berranno la celeste bevanda che Cristo istituì nell’ultima Cena. Purificati nell’acqua e ricevuto lo Spirito Santo, essi ormai hanno diritto d’assidersi al sacro banchetto; la bianca tunica che li copre dice abbastanza che la loro anima è rivestita della veste nuziale richiesta agl’invitati nel festino dell’Agnello. S’avvicinano all’altare lieti e riverenti; il Diacono porge loro il corpo delSignore, e poi il calice del sangue divino. Anche i bambini sono ammessi, e il Diacono, intingendo il dito nella sacra coppa, lascia cadere nella loro bocca qualche goccia. Finalmente, per significare che in queste prime ore del Battesimo sono tutti « simili ai bambini appena nati », come si esprime il Principe degli Apostoli, a tutti viene offerto dopo la Comunione un po’ di latte e di miele, simboli dell’infanzia e ricordo, nello stesso tempo, della terra che il Signore promise al suo popolo.
Compiuto infine ogni cosa, il Vescovo conclude le preghiere del Sacrificio domandando al Signore lo spirito di concordia fra tutti i fratelli, che in una medesima Pasqua hanno partecipato ai medesimi misteri. La stessa Chiesa li ha portati nel suo seno materno, lo stesso fonte li ha generati alla vita; sono membri d’un medesimo divino Capo; un medesimo Spirito li ha contrassegnati col suo sigillo; un medesimo Padre Celeste li ha riuniti nella sua adozione, – Ad un cenno del Diacono, dato in nome del Pontefice, l’assemblea si scioglie, e i fedeli, uscendo dalla chiesa, si ritirano nelle loro case, fino al momento che il santo Sacrificio non li riunirà di nuovo per celebrare con maggior splendore la festa delle feste, la Pasqua della Risurrezione.
LODI
Fino a quando durò l’usanza di celebrare la Veglia Pasquale durante la notte dal sabato alla domenica, non vi fu l’Ufficio notturno o mattutino. Ma più tardi, quando venne in uso di anticipare la Messa della notte di Pasqua al mattino del Sabato Santo, si pensò di aggiungere l’Ufficio dei Vespri. Siccome tutta la mattinata era occupata dalle cerimonie liturgiche, la Chiesa pensò di dare ai Vespri una forma molto breve e adatta a quella gioia che si conveniva dopo il canto dell’Alleluia. I Vespri furono pertanto organizzati in modo da fare corpo con la Messa.
Con la restaurazione della Vigilia Pasquale, Mattutino e Lodi di Pasqua hanno subito una modificazione. La Chiesa ha voluto conservare un brano delle Lodi, unendolo alla Messa della quale serve come ringraziamento. – Terminata la Comunione viene intonata l’antifona Alleluja dopo la quale si canta il Salmo 150 che sarà seguito immediatamente ancora dall’antifona Et valde mane e dal canto del Benedictus.
ANTIFONA
Alleluja, Alleluja, Alleluja.
SALMO 150
Lodate il Signore nel suo santuario, lodatelo nel suo maestoso firmamento.
Lodatelo per i suoi prodigi, lodatelo per la sua somma maestà:
Lodatelo con squilli di trombe, lodatelo con l’arpa e la cetra.
Lodatelo col timpano e con danze, lodatelo con strumenti a corda e a
fiato.
Lodatelo con cembali sonori, lodatelo con cembali squillanti: ogni
creatura che respiri, lodi il Signore !
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Come era nel principio e ora e sempre, e nei secoli dei secoli, Così sia.
ANTIFONA
Al mattino presto della domenica vengono al sepolcro quando il sole è già sorto.
CANTICO DI ZACCARIA
“Benedetto il Signore Dio d’Israele, perché visitò e redense il suo popolo.
Ed elevò per noi il potente Salvatore, nella casa di Davide suo servo.
Come aveva parlato per bocca dei santi, e che un di furono suoi profeti.
Per liberarci dai nostri nemici, e dalla mano di tutti coloro che ci odiano.
Per usare misericordia verso i padri nostri, e ricordare la sua santa
alleanza:
Il patto che giurò ad Abramo, padre nostro, di darsi a noi.
Affinché senza timore, liberati dalla mano dei nostri nemici, serviamo a lui,
Nella santità e nella giustizia alla sua presenza per tutti i nostri giorni.
E tu, o bimbo, sarai chiamato vate dall’Altissimo: poiché precederai il
Signore per preparargli la strada, Per fare conoscere al suo popolo la salvezza in remissione dei peccati, Per la tenera bontà del nostro Dio, per la quale ci visiterà dal Cielo il Messia, Sole nascente,
Per illuminare quanti siedono nelle tenebre e all’ombra della morte,
Per dirigere i nostri passi nella via della pace.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Come era nel principio e ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Così sia.”
Mentre si canta il Benedictus, il Vescovo incensa l’altare e poi
dopo che è stata ripetuta l’antifona, egli canta questa preghiera:
“Infondi in noi, o Signore, lo Spirito del tuo amore, affinché stiano in perfetta concordia quelli che hai saziato coi sacramenti pasquali. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen”.
Terminata questa preghiera, il Diacono annunzia ai fedeli che la funzione è terminata e aggiunge alla solita formula due Alleluja;
questi due Alleluja verranno ripetuti a fine Messa per tutta la settimana, fino al sabato prossimo incluso.
Andate la Messa è finita, Alleluja, Alleluja !
Ringraziamo Dio, Alleluja, Alleluja !
La Messa termina con la benedizione del Vescovo.