I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLE AFFLIZIONI
“Amen, amen dico vobis,
Quia plorabitis et flebitis vos: mundus autem gaudebit.”
(JOAN. XVI, 20).
Chi potrebbe ascoltare senza stupire, Fratelli miei, il linguaggio che il Salvatore tiene ai discepoli prima di salire al cielo, quando predice che la loro vita non sarebbe stata che un succedersi di lagrime, di croci e di sofferenze; mentre i seguaci del mondo si abbandonerebbero ad una gioia insensata, ridendo come frenetici? « Non già – ci dice S. Agostino – che i seguaci del mondo, cioè i malvagi, non abbiano anch’essi le loro pene; i dolori e gli affanni sono le conseguenze di una vita peccaminosa, un cuore sregolato trova il suo supplizio nella propria sregolatezza. „ Essi sono travolti nella maledizione che Gesù Cristo pronuncia contro coloro i quali non pensano che ad abbandonarsi ai piaceri ed alla gioia. La sorte dei buoni Cristiani è ben differente: bisogna ch’essi si rassegnino a passare la vita nella sofferenza e nel pianto; ma poi, dalle lagrime e dai dolori passeranno ad una gioia e ad un piacere infinito nella sua grandezza e nella sua durata; mentre i seguaci del mondo, dopo qualche momento di gioia, mescolata ad amarezze, passeranno la loro eternità nelle fiamme. « Guai a voi, dice loro Gesù Cristo, guai a voi che non pensate che a godervela, poiché i vostri piaceri davanti alla mia giustizia vi saranno causa di danni senza fine. Ah! fortunati, dice poi ai buoni Cristiani, ah! fortunati voi, che passate i vostri giorni nelle lagrime, poiché verrà un giorno in cui Io stesso vi consolerò. » Vi mostrerò dunque, F . M., che le croci, i dolori, la povertà ed il disprezzo sono l’eredità di un Cristiano che cerca di salvare la propria anima e di piacere a Dio. O bisogna soffrire in questo mondo, o non sperar mai più di vedere Iddio lassù in cielo. Esaminiamo tutto questo un po’ davvicino.
I . — Dico primieramente che da quando siamo annoverati tra i figli di Dio, prendiamo una croce, la quale non deve abbandonarci che alla morte. Dovunque Gesù Cristo ci parla del cielo non manca di dirci che noi non possiamo meritarlo se non colle croci e colle sofferenze: « Prendete la vostra croce, ci dice Gesù Cristo, e seguitemi, non per un giorno, non per un mese, non per un anno, ma per tutta la vostra vita. » S. Agostino ci dice: « Lasciate le gioie ed i piaceri alla gente del mondo; ma voi che siete figli di Dio, piangete coi figli di Dio. » Le sofferenze e le persecuzioni ci sono vantaggiosissime sotto due rapporti. Primo, perché vi troviamo mezzi assai efficaci di espiare i nostri peccati passati, poiché, o in questo mondo o nell’altro bisogna subirne la pena. In questo mondo le pene non sono infinite sia nella durata che nel rigore: siamo in mano di un Dio misericordioso che ci castiga perché ha grandi disegni di misericordia su di noi; Egli ci fa soffrire un momento per renderci felici durante tutta una eternità. Per quanto sieno grandi le nostre pene, Egli non ci tocca ora che col suo dito mignolo; mentre, nell’altra vita, i dolori ed i tormenti che sopporteremo saranno generati dalla sua potenza e dal suo furore. Sembrerà ch’Egli cerchi esaminare le sue forze per farci soffrire. In questo mondo le nostre pene sono ancora addolcite dalle consolazioni e dai conforti che troviamo nella nostra santa Religione; ma nell’altro mondo non avremo né consolazioni né sollievo; tutto sarà per noi motivo di disperazione. Oh! felice il Cristiano che passa la sua vita nelle lacrime e nei dolori, poiché eviterà tanti mali e si procurerà tanti piaceri e gioie eterne! – Il santo Giobbe ci dice che la vita dell’uomo non è che un “succedersi di miserie.„ Entriamo in qualche particolarità. Invero, se andiamo di casa in casa, vi troviamo dappertutto la croce di Gesù Cristo; qui, una perdita di beni, un’ingiustizia che riduce alla miseria una povera famiglia; là una malattia che inchioda quel povero uomo su un letto di dolore, affinché passi la sua vita nei patimenti; altrove una povera donna che bagna il suo pane di lagrime, per i dispiaceri che le fa provare un marito irreligioso e brutale. Se mi volgo ad un’altra, vedo la tristezza dipinta sul suo volto: se gliene domando il perché mi risponderà ch’è accusata di cose, cui non ha mai neppur pensato. Da una parte sono poveri vecchi rigettati e disprezzati dai loro figli e ridotti a morire di affanno e di miseria. Finalmente, da un’altra parte, sento una casa risuonare di pianti causati dalla perdita del padre, della madre, d’un figlio. Ecco in generale. F. M., ciò che rende la vita dell’uomo sì triste e miserabile, se consideriamo tutte queste cose solo umanamente; ma se ci volgiamo dalla parte della Religione, vedremo che siamo grandemente sventurati desolandoci e piangendo come facciamo.
II. — Vi dirò poi che quello che vi rende così disgraziati, si è il guardare sempre a quelli che stanno meglio di voi. Un povero, nelle miserie della sua povertà, invece di pensare ai delinquenti carichi di catene, condannati a passare i loro giorni nelle prigioni, o a perdere la loro misera vita su di un patibolo, porterà il suo pensiero nella casa d’un grande del mondo, che sovrabbonda di beni e di piaceri. Un ammalato, invece di pensare ai tormenti che soffrono gli infelici dannati, i quali urlano nelle fiamme, sono schiacciati dalla collera di Dio, mentre un’eternità di tormenti non potrà mai cancellare il minimo loro peccato; getterà gli occhi su quelli che mai non furon tocchi da malattia e dalla povertà. Ecco, F . M., ciò che rende i nostri mali insopportabili. E che cosa ne deriva da questo, se non lamenti e pianti, che ci fanno perdere ogni merito pel cielo? Poiché, da una parte noi soffriamo senza consolazione e senza speranza d’esserne ricompensati, dall’altra, invece di servircene per espiare i nostri peccati, non facciamo che aumentarli colle mormorazioni e colla mancanza di pazienza. Eccone la prova: da quando parlate male di quella persona che ha tentato farvi del male, che guadagno avete ottenuto? Il vostro odio s’è mitigato? No, F. M., no. Dopo tanti anni che non cessate di gridare contro quel marito, che colla sua ubriachezza, coi suoi stravizzi e colle sue folli spese vi addolora, è egli diventato più ragionevole? No, sorella, no. Quando accasciato da malattie e da dissesti finanziari vi siete abbandonato alla disperazione fin a volervi uccidere, fino a maledire coloro che vi hanno dato la vita, i vostri mali sono cessati, le vostre pene diventarono meno dolorose? No, F. M., no. Quel figlio che v’ha fatto versare tante lacrime è risuscitato? No, F. M., no. Così le vostre impazienze, la vostra mancanza di sottomissione alla volontà di Dio e la vostra disperazione non hanno servito che a rendervi più infelici, non avete fatto altro, dunque, che aggiungere nuovi peccati agli antichi. Ecco, F. M., la sorte infelice e sconfortante d’una persona che ha perduto di vista il fine per cui Iddio le manda le croci. Ma, mi direte voi, abbiamo già sentito cento volte questo linguaggio: queste sono parole e non consolazioni; anche noi parliamo così a quelli che soffrono. — Ah! amico mio, guarda, guarda in alto; togli il tuo cuore dal fango della terra in cui lo tieni immerso, togli quelle nebbie che ti nascondono i beni che ti possono procurare le tue pene. Ah! guarda in alto, osserva la mano d’un buon padre che ti prepara un posto beato nel suo regno; un Dio ti colpisce, per guarire le piaghe arrecate dal peccato alla tua povera anima; un Dio ti fa soffrire per coronarti di gloria immortale. Volete sapere, F. M., come dobbiamo ricevere le croci che ci vengono o dalla mano di Dio o da quella delle creature? Ecco. Come il santo Giobbe che, dopo aver perduto immense ricchezze ed una numerosa famiglia, non se la prese, né con la folgore che aveva distrutto una parte dei suoi armenti, né coi ladri che avevano rubato il resto, né col vento impetuoso che, fatta crollare la sua casa aveva schiacciato i suoi poveri figli: ma s’accontentò di dire: “Ahimè! la mano del Signore s’è aggravata su di me.„ Quando steso per un anno sul letamaio, coperto di ulceri, senza ristoro e consolazione, disprezzato dagli uni ed abbandonato dagli altri, perseguitato fin dalla moglie che, invece di consolarlo, si burlava di lui, dicendogli: “Domanda a Dio la morte affinché finiscano questi mali. Vedi come ti tratta il tuo Dio, che tu servi con tanta fedeltà? — Taci, le rispose, se abbiamo ricevuto con ringraziamenti la prosperità dalle sue mani, perché non dobbiamo ricevere i mali di cui ci affligge?„ Ma, voi pensate, non posso spiegarmi come sia Dio che ci affligge, Dio, che è la stessa bontà, che ci ama infinitamente. Domandatemi allora anche se è possibile che un padre castighi il figlio suo, che un medico dia un rimedio amaro ai suoi ammalati. Pensereste voi forse che sarebbe meglio lasciar vivere quel figliuolo nel suo libertinaggio, piuttosto che castigarlo, per farlo camminare sulla via della salute e condurlo al cielo? Vi pare che un medico farebbe meglio a lasciar morire il suo ammalato, per tema di dargli medicine amare? Oh! quanto siamo ciechi se ragioniamo così! Bisogna che Dio ci castighi, altrimenti non saremmo nel numero dei suoi figli, poiché Gesù Cristo stesso ci dice che il cielo non sarà dato che a coloro che soffrono e che combattono fino alla morte. Credete, F. M., che Gesù Cristo non dica la verità? Ebbene, esaminate la vita che hanno condotto i santi, vedete la via ch’essi hanno presa: quando non soffrono si credono perduti ed abbandonati da Dio. “Dio mio, Dio mio – esclamava piangendo S. Agostino – non risparmiatemi in questo mondo, fatemi soffrire molto; purché mi usiate misericordia nell’altro io sono contento.„ — “O quanto sono felice – diceva S. Francesco di Sales nelle sue Malattie – di aver trovato un mezzo così facile per espiare i miei falli. Oh! quant’è più dolce e consolante soddisfare la giustizia di Dio su di un letto di dolore che andarla a soddisfare nelle fiamme! „ Ed io dico, dopo tutti i santi, che i dolori, le persecuzioni e le altre miserie sono i mezzi più efficaci per attirare un’anima a Dio. Infatti, vediamo che i più gran Santi son quelli che hanno sofferto di più: Dio distingue i suoi amici soltanto colle croci. Vedete S. Alessio che restò per quattordici anni coricato su di un fianco tutto scorticato e, in quella crudele posizione, si accontentava di dire: ” Dio mio, voi siete giusto, mi castigate perché sono peccatore e m’amate.„ Vedete ancora santa Lidwina, giovane di straordinaria bellezza, domandare a Dio, se la sua beltà poteva essere motivo della caduta e della rovina della propria anima, di farle la grazia di perderla. Sull’istante fu coperta di lebbra, che la rese a tutti oggetto d’orrore, e questo per trentotto anni, cioè fino alla sua morte. E durante questo tempo ella non si lasciò sfuggire nemmeno una parola di lamento. Quanti, che ora sono nell’inferno sarebbero in cielo, se Iddio avesse lor fatto la grazia di restar lungo tempo ammalati. Ascoltate S. Agostino: “Figli miei – ci dice – negli affanni, consolatevi col pensiero della ricompensa che vi è preparata.„ Si racconta nella storia che una povera donna era da molti anni stesa su di un letto di dolore; le si domandò che cosa poteva darle tanto coraggio per soffrire con tanta pazienza. “Eh! disse, sono così contenta d’essere come Dio mi vuole, che non cambierei con tutti i regni del mondo. Quando penso che Dio vuol ch’io soffra, mi consolo tutta.„ S. Teresa ci riferisce che un giorno Gesù Cristo apparendole le disse: « Figlia mia, non ti stupire di quanto vedi; i miei servi fedeli passano la loro vita nelle croci, nel disprezzo ; più il Padre mio ama qualcheduno e più lo fa soffrire.„ S. Bernardo accettava le sue croci con tanta riconoscenza, che un giorno diceva piangendo a Dio: “Ah! Signore, quanto sarei felice di aver la forza di tutti gli uomini, per poter soffrire tutte le croci dell’universo!„ S. Elisabetta, regina d’Ungheria, cacciata dal suo palazzo dai propri sudditi e trascinata nel fango, invece di pensare a punirli, corse alla chiesa a far cantare il Te Deum di ringraziamento. S. Giovanni Crisostomo, quel grande amante della croce, diceva che preferiva soffrire con Gesù Cristo che regnare in cielo con Lui. S. Giovanni della Croce, dopo aver provata tutta la crudeltà dei suoi fratelli, che lo misero in prigione e lo batterono sì barbaramente ch’egli era tutto coperto di sangue, che cosa rispose a coloro che erano testimoni dei suoi dolori? – E che, amici miei, voi piangete perché io soffro? Ma se non ho passato mai momenti così felici!„ Gesù Cristo, apparsogli, gli disse: “Giovanni, che cosa vuoi che ti dia per ricompensarti di quanto soffri per me? — Ah! Signore, esclamò, fate ch’io soffra ancor più! „ Conveniamo dunque, F. M., che i Santi comprendevano meglio di noi la fortuna di soffrire per Dio. Si sente dire da molti tra voi quando hanno dei dolori: Ma che ho fatto a Dio perché mi mandi tante disgrazie? — Che male avete fatto, perché il buon Dio vi affligga così?… Prendete tutti i comandamenti della legge di Dio e vedete se ve ne ha uno contro cui non abbiate peccato. Che male avete fatto? Percorrete tutti gli anni della vostra giovinezza, passate nella memoria tutti i giorni della vostra miserabile vita; e poi domandate che male avete fatto perché il buon Dio vi affligga così. Contate dunque per nulla tutte le abitudini vergognose, in cui avete marcito sì lungo tempo? Contate dunque per nulla quella superbia, la quale vi fa credere che debbono tutti inchinarsi davanti a voi per qualche pezzo di terra più degli altri che possedete e che, forse, sarà la causa della vostra dannazione? Contate dunque per nulla quell’ambizione che non vi lascia mai contenti, quell’amor proprio, quella vanità che vi occupa continuamente, quelle vivacità, quei risentimenti, quelle intemperanze, quelle gelosie? Contate dunque per nulla quella detestevole negligenza per i Sacramenti e per tutto ciò che riguarda la vostra povera anima: tutto questo voi l’avete dimenticato; ma siete perciò meno colpevole? Ebbene! amico, se siete colpevole, non è giusto che il buon Dio vi castighi? Ditemi, amico, che penitenze avete fatto per espiare tanti peccati? Dove sono i vostri digiuni, le vostre mortificazioni e le vostre buone opere? Se dopo tanti peccati non avete versato una lagrima; se dopo tanta avarizia vi siete accontentato solo di fare qualche leggera elemosina; se dopo tanta superbia non volete subire la minima umiliazione; se dopo aver fatto servire tante volte il vostro corpo al peccato, non volete sentir parlare di penitenza, bisogna che il cielo faccia giustizia poiché voi non volete farvela. Ahimè! quanto siamo ciechi! Vorremmo fare il male senza esser puniti, o meglio, vorremmo che Dio non fosse giusto. Ebbene! Signore, lasciate vivere tranquillo questo peccatore, non aggravate la vostra mano su di lui, lasciatelo impinguare come una vittima destinata alle vendette eterne, ed in quel fuoco, avrete tempo di fargli soddisfare la vostra giustizia; risparmiatelo in questo mondo, poiché egli lo vuole; nelle fiamme gli farete fare una penitenza inutile, senza fine. Dio mio! che questa disgrazia non ci tocchi mai! « Oh! – esclama S. Agostino – moltiplicate le mie afflizioni e le mie sofferenze fin che vorrete, purché mi usiate misericordia nell’altra vita!„ Ma, mi dirà un altro, tutto questo è per quelli che hanno commesso gravi peccati; non per me, che, grazie a Dio, non ho fatto gran male. — Eh! voi dunque credete che perché non avete fatto molto male non dovete soffrire? ed io vi dirò: appunto perché avete cercato di far bene il buon Dio vi affligge e permette che siate schernito e disprezzato e che si getti in ridicolo la vostra divozione; è Dio stesso che vi fa provare dispiaceri e malattie. E ne stupite? Date uno sguardo a Gesù Cristo, vostro vero modello, vedete se ha passato un solo istante senza soffrire pene che uomo alcuno non potrà comprendere. Ditemi, perché i farisei lo perseguitavano, e cercavano continuamente di poterlo sorprendere per condannarlo a morte? Era forse colpevole? No, senza dubbio; ma eccone la ragione. Perché i suoi miracoli ed i suoi esempi d’umiltà e di povertà erano la condanna del loro orgoglio e delle loro cattive azioni. Diciamo meglio, F. M.; se percorressimo la sacra Scrittura, vedremmo che fin dal principio del mondo, le sofferenze, il disprezzo e gli scherni sono sempre stati il retaggio dei figli di Dio; cioè di quelli che hanno pensato di piacere a Dio. Infatti chi può disprezzare e burlarsi d’una persona che adempie i suoi doveri di Religione, se non un infelice dannato che l’inferno ha vomitato sulla terra per far soffrire i buoni, o per cercare di trascinarli negli abissi, dove egli è già per sempre? Ne volete la prova? Eccola. Perché Caino uccise suo fratello Abele? Non forse perché era più buono di lui? Non gli tolse forse la vita perché non poté indurlo al male? Perché i figli di Giacobbe gettarono il loro fratello Giuseppe in una cisterna? non forse perché la sua vita santa condannava la loro condotta libertina? Che cosa attirò tante persecuzioni sugli Apostoli che, ad ogni momento erano gettati in prigione, battuti, torturati; e la cui esistenza, dopo la morte di Gesù Cristo, non fu che un martirio continuo, giacché quasi tutti hanno finito i loro giorni nel modo più crudele e doloroso? Ora, che male facevano essi, i quali non cercavano che la gloria di Dio e la salute delle anime? Siete disprezzati, derisi, perseguitati quantunque non diciate né facciate male ad alcuno? Tanto meglio se vi si disprezza, e vi si deride. Se non aveste nulla da soffrire che cosa avreste da offrire a Dio nell’ora di morte? Ma, direte, essi offendono Dio, si perdono facendo soffrire gli altri; se Dio volesse, potrebbe impedirneli. — Certo che se lo volesse impedirebbe. Perché Iddio tollerava i tiranni? Gli era egualmente facile punirli come conservarli; ma si serviva dei loro cattivi intenti per provare i buoni ed affrettare la loro felicità. Non v’ha dubbio che dobbiate compiangerli e pregare per essi, non perché vi disprezzanoe vi deridono, ma per il male ch’essi fanno a se stessi. Bisogna infatti convenire che si deve essere ben ciechi disprezzando uno perché serve Dio meglio di noi, cerca con più diligenza la via del cielo, e fa maggior numero di buone opere e di penitenze. È questo un mistero veramente incomprensibile. Se vuoi dannarti: ebbene! fallo. Perché ti inquieti se, io vado dove tu non vuoi andare? Io voglio andare in cielo; se tu non ci vai, è perché nonlo vuoi. Apri gli occhi, amico, riconosci il tuo accecamento: quando m’avrai impedito di servire il buon Dio, o sarai la causa della mia dannazione, che ne ricaverai? Ancora una volta, apri gli occhi, esci dal tuo errore. Cerca d’imitare quelli ch’hai disprezzato fino ad ora, e troverai la felicità in questo mondo e nell’altro. Ma, mi direte, io non faccio loro alcun male; perché essi vogliono fame a me? — Tanto meglio, amico, buon segno; siete sicuro di essere sulla via che conduce al cielo. Ascoltate nostro Signore: « Prendete la vostra croce e seguitemi; se perseguitano me perseguiteranno anche voi; io sono disprezzato e voi pure lo sarete: ma. lungi dallo scoraggiarvi, rallegratevi, perché una grande ricompensa vi è promessa in cielo. Chi non è pronto a soffrir tutto, fino a perdere la vita por amor mio, non è degno di me. » Perché il santo Tobia diventò cieco? Non era egli forse un uomo dabbene? Ascoltate ciò che dice Gesù Cristo parlando a S. Pietro martire, che si lagnava di un oltraggio fattogli senza ch’egli vi avesse dato motivo. « Ed io, Pietro, disse Gesù Cristo, che male avevo fatto quando mi si fece morire? » Riconosciamolo tutti, F. M., noi facciamo belle promesse a Dio finché nessuno ci dice nulla, e tutto va a seconda dei nostri desideri; ma al primo piccolo scherno, disprezzo od anche alla minima burla di un empio, il quale non ha il coraggio di fare ciò che voi fate, arrossite, ed abbandonate il servizio di Dio. Ah! ingrato, non ricordi quanto Iddio ha sofferto per amor tuo? Non è forse, o amico, perché vi è stato detto che fate l’uomo dabbene, che non siete che un ipocrita, e che siete più cattivo di quelli che non si confessano mai, che avete abbandonato Dio, per mettervi dalla parte di quelli che saranno dannati? Fermatevi, amico, non andate più oltre; riconoscete la vostra pazzia, e non gettatevi nell’inferno.
III. — Ditemi, F. M., che cosa risponderemo quando Dio confronterà la nostra vita con quella di tanti martiri, dei quali gli uni sono stati fatti a pezzi dai carnefici, gli altri sono marciti nelle prigioni, piuttosto di tradire la propria fede? No, F. M., se siamo buoni Cristiani, non ci lamenteremo degli scherni che ci si fanno: invece, più ci si disprezza, più saremo contenti e più pregheremo Dio per quelli che ci perseguitano; rimetteremo ogni vendetta nelle mani di Dio, e, se egli lo trova conveniente per la sua gloria e per la nostra salute, lo farà. Vedete Mosè coperto ingiurie dal fratello e dalla sorella: a tutto questo disprezzo, oppone una bontà ed una carità sì grandi che Dio ne fu commosso. Lo Spirito Santo dice ch’egli era il più mite degli uomini che vivevano allora sulla terra.„ Il Signore colpì la sorella con un’orribile lebbra per punirla di aver mormorato contro il fratello. Mose, vedendola punita, lungi dall’esterne contento, disse al Signore: “Ah! Signore, perché punite mia sorella? Sapete ch’io non ho mai domandato vendetta; guarite, ve ne prego, mia sorella. „ Dio non poté resistere alla sua bontà; e la guarì. O. quale felicità per noi, F. M., se nel disprezzo e negli scherni che ci si fanno, ci comportassimo così! Quanti tesori pel cielo! No, F. M., fin che non vi si vedrà far del bene a quelli che vi disprezzano, preferirli anche agli stessi amici e non opporre alle loro ingiurie che bontà e carità, non sarete del numero di quelli che Dio ha destinato pel cielo, direte che cosa siamo noi? Eccolo. Noi facciamo come quei soldati che, finché non vi è pericolo, sembrano invincibili e che, al primo pericolo prendono la fuga; così finché siamo adulati pel nostro modo di vivere, e si lodano le nostre azioni, crediamo che nulla potrà farci cadere; ed invece un nonnulla ci fa precipitare, ed abbandonare tutto. Dio mio, come è cieco l’uomo quando si crede capace di qualche cosa, mentre non è capace che di tradirvi e di perdervi! E d io dico, F. M., che nulla è più adatto a convertire quelli che lacerano la nostra riputazione quanto la dolcezza e la carità. Essi non possono resistervi. Se sono troppo induriti ed hanno già messo il sigillo alla loro riprovazione, si confonderanno, e se n’andranno come disperati: eccone la prova. Si racconta che S. Martino aveva con sé un chierico giovanetto. Sebbene avesse fatto ogni possibile per ben allevarlo nel servizio di Dio, il chierico divenne un vero libertino, uno scandaloso: non v’era sorta d’ingiurie e d’oltraggi ch’egli non lanciasse contro il suo santo vescovo. Ma S. Martino invece di cacciarlo da sé, come meritava, lo trattava con sì grande bontà che sembrava moltiplicare le sue cure in proporzione degli insulti che riceveva. Ad ogni momento spargeva lacrime ai piedi del crocifisso, per sollecitare la sua conversione. Ad un tratto il giovane aprì gli occhi; considerando, da una parte, la carità del Vescovo, dall’altra le ingiurie di cui l’aveva coperto, corse a gettarsi ai suoi piedi per domandargli perdono. Il Vescovo l’abbraccia e benedice Dio d’aver avuto pietà di quella povera anima. Quel giovane fu. per tutta la vita, un modello di virtù e considerato come un santo. Prima di morire ripeté più volte che la pazienza e la carità di Martino, gli avevano valso la grazia della conversione. – Si, F. M.. ecco a che riusciremmo se, invece di rendere ingiuria per ingiuria, avessimo la fortuna di non opporre che dolcezza e carità. Ahimè! quando i santi non avevano occasione d’esser disprezzati, essi stessi la cercavano: eccone la prova.Leggiamo nella vita di sant’Atanasio che una dama, desiderando lavorare per guadagnarsi il cielo, andò dal vescovo e gli domandò uno dei poveri che veniva nutrito d’elemosina, per averne cura essa stessa: perché, diceva, vorrei esercitare un po’ la pazienza. Il santo Vescovo le mandò una donna estremamente umile e che non sapeva tollerare d’esser servita da quella dama. Ogni volta che le rendeva un servizio ella si profondeva in mille ringraziamenti. Malcontenta di tutti questi ringraziamenti, la dama, tutta triste, va dal Vescovo dicendogli: “Monsignore, voi non m’avete servita com’io desideravo; m’avete dato una persona che colla sua umiltà mi copre di confusione. Al minimo servizio ch’io le rendo, s’inchina fino a terra; datemene un’altra.„ Il vescovo, vedendo la sua voglia di soffrire, gliene diede una che era superba, collerica, disprezzatrice. Ogni volta che la dama la serviva, la copriva d’ingiurie, rinfacciandole ch’essa l’aveva domandata, non per averne cura, ma per farla soffrire. E giunse perfino a batterla; ed essa che fece? Eccolo: più la povera disprezzava la dama, più questa la serviva senza stancarsi e con maggior sollecitudine. Che avvenne? Commossa da tanta carità la donna si convertì e morì da santa. Oh! F. M., quante anime, nel giorno del giudizio ci rimprovereranno, perché se non avessimo opposte alle loro ingiurie che bontà e carità, sarebbero in cielo; mentre invece bruceranno nell’inferno eternamente! Se abbiamo detto in principio, F. M., che le croci, come tutte le miserie della vita, ci erano date da Dio per soddisfare la sua giustizia per i nostri peccati, possiamo dire anche ch’esse sono un preservativo contro il peccato. Perché Dio ha permesso che uno vi recasse danno, che un altro v’ingannasse? Eccone la ragione. Perché Dio, che vede l’avvenire, ha previsto che il vostro cuore s’attaccherebbe troppo alle cose della terra e che perdereste di vista il cielo. Egli permette che si laceri il vostro onore, che vi si calunni: e perché? Perché siete troppo superbi, troppo gelosi della vostra riputazione; per questo ha permesso che foste umiliati; altrimenti vi sareste dannati. Finendo dunque, F. M., io dico che non vi è alcuno più disgraziato nelle croci che l’uomo senza Religione. Ora accusa se stesso dicendo: Se avessi preso quelle misure, questa disgrazia non mi sarebbe toccata. Ora accusa gli altri: Fu quella persona la causa dei miei mali; non le perdonerò mai più. Egli si augura la morte e la augura agli altri. Maledice il giorno della sua nascita; commetterà mille viltà, che crederà lecite, per togliersi d’impaccio; ma no, la sua croce, o meglio il suo inferno, l’accompagnerà. Tale è la fine disgraziata di colui che soffre senza rivolgersi a Dio, che solo può consolarlo e sollevarlo. Ma guardate invece una persona che ama Dio e che desidera d’andarlo a vedere in cielo: Dio mio, dice, quanto sono poca cosa i miei dolori in confronto di ciò che i miei peccati meritano che io soffra nell’altra vita! Voi mi fate soffrire un piccolo momento in questo mondo per rendermi felice per tutta l’eternità. Quanto siete buono, mio Dio! fatemi soffrire; ch’io sia oggetto di disprezzo ed orrore davanti al mondo; purché abbia la fortuna di piacervi, non voglio altro. Concludiamo dunque che chi ama Dio è felice anche in mezzo a tutte le tempeste del mondo. Dio mio, fate che noi soffriamo sempre, affinché dopo avervi imitato quaggiù, veniamo a regnare con voi in cielo!