VITA dell’angelico dottore
SAN TOMMASO D’AQUINO (2)
dell’ordine dei predicatori
SCRITTA
dal F. LODOVICO FERRETTI
DEL MEDESIMO ORDINE
Il più dotto tra i santi e il
più santo tra i dotti
Card. Bessarione, Ad. calumn,
Platonis, Lib. Il cap. VII.
ROMA
APPROVAZIONE DELL’ORDINE
Fr. Lodovico Theissling
Maestro Generale dei PP. Predicator
IMPRIMATUR
Fr. Alberto Lepidi O. P.
Maestro del Sacro Palazzo.
f Giuseppe Palica, Arciv. di Filippi
Vìcegerente.
LIBRERIA EDITRICE RELIGIOSA – FRANCESCO FERRARI, 1923
ROMA – TIPOGRAFIA ARTIGIANELLI S. GIUSEPPE
8. — Professione religiosa e andata a Colonia.
Pio XI nella sua enciclica Studiorum Ducem così si esprime: « Se la pudicizia di Tommaso, nel pericolo estremo a cui fu esposta, fosse venuta meno, è da ritenersi che la Chiesa non avrebbe avuto il suo Angelico Dottore. A nessuna virtù infatti meglio si collega la sapienza celeste, che alla mondezza del cuore; e Cristo lo insegnò dicendo: Beati i mondi di cuore, perché essi vedranno Dio. Ben giudicarono i superiori di Napoli che il noviziato di Tommaso, anche lungi dal chiostro, fosse compiuto. E qual maggior prova si richiedeva da lui per ammetterlo alla professione religiosa? Il farlo professare era, d’altra parte, un mezzo per metterlo sempre più al sicuro; ed egli davvero ne aveva il più pieno diritto. Contro i fratelli, essendo stata risaputa la loro infamia, erasi mosso lo sdegno tanto del Pontefice Innocenzo IV, quanto dell’Imperatore Federico; e la contessa Teodora era ormai disarmata, tanto più che le figlie si eran così volte in favore del giovane perseguitato. Nelle mani del ricordato Priore Fra Tommaso Agni da Lentino poté il novizio emettere i suoi voti solenni di povertà, castità ed obbedienza, ed ascriversi definitivamente all’Ordine Domenicano. Questo santo religioso, che fu poi Vescovo di Betlemme e Legato di Terra Santa, e che più volte aveva visitato Tommaso nel carcere col favore delle sorelle di lui, era in quel momento raggiante di gioia. E fu maggiore la sua soddisfazione quando seppe che in Roma il Pontefice aveva presa la cosa su di sé ed erasi mostrato irremovibile dinanzi ai lamenti e alle proteste della famiglia d’Aquino, difendendo ad un tempo e il diritto di Tommaso di seguire la sua vocazione e l’operato dei religiosi che alcuni avevano messo in mala vista agli occhi di lui. Prima, infatti, di pronunziarsi in favore del novizio, il Papa lo aveva voluto a sé e lo aveva interrogato intorno alla sua vocazione. Davanti al Pontefice il giovane religioso aveva, con ammirabile candore, difeso il suo diritto, ma non aveva per nulla accennato alle violenze patite. Solo aveva chiesto umilmente al Vicario di Gesù Cristo libertà di seguire, per la via della croce, il Divino Maestro. E il Papa lo aveva benedetto, vietando ai parenti di perseguitarlo in qualunque modo. Ad evitar però ogni pericolo, il Generale dell’Ordine, che era allora Fra Giovanni di Wildehausen, detto il Teutonico, il quale doveva recarsi a Parigi e quindi in Germania, prese con sé Fra Tommaso e lo condusse a Colonia, tanto più che soltanto in quel celebre studio dell’Ordine sapeva che egli avrebbe trovato il suo più degno maestro, Alberto Magno. Partirono da Roma nel settembre del 1244.
9. — Alberto Magno.
L’uomo che Dio aveva destinato ad essere a Tommaso maestro e padre, Alberto di Colonia, della nobile famiglia dei Conti di Bollstadt, non aveva forse l’uguale nell’Ordine Domenicano per santità di vita e altezza di dottrina. Dal Beato Giordano di Sassonia, succeduto a San Domenico nel governo dell’Ordine, egli aveva di 19 anni ricevuto l’abito nel convento di Parigi; ed oltre ad aver tutti meravigliato per la profondità del suo ingegno, per la prontezza della sua memoria e per il profitto che fece ben presto in tutte le scienze del tempo suo, aveva dato altresì esempio della più ardente pietà, e soprattutto della più viva divozione verso il SS. Sacramento e la Vergine Madre. In Parigi, ove prima insegnò, poi a Strasburgo, a Ratisbona, a Colonia acquistò sì alta fama che gli fu dato il soprannome di Grande. In Roma, ove aveva tenuto in Vaticano l’ufficio di Maestro del Sacro Palazzo e Teologo del Papa, era rimasto celebre il suo nome. Gareggiò colla scienza la sua santità: zelantissimo per la salute delle anime non tralasciò mai la predicazione della divina parola e la alternò sempre coll’insegnamento: ebbe una carità inesauribile verso i poveri; e quando gli fu dato, li soccorse nel modo più largo. Uomo di orazione, ebbe in pratica di recitare ogni giorno finterò salterio. Gli furono commesse le cariche più onorifiche nell’Ordine, e dalla Santa Sede venne eletto Vescovo di Ratisbona e Legato in Polonia. – Nato più che tre lustri prima del suo discepolo Tommaso, gli sopravvisse di altri 16 anni; e fu somma gloria di lui l’aver avuto un tal discepolo, di cui aiutò i progressi nella scienza con indicibile amore, di cui vide con gioia i trionfi e di cui pianse finalmente la morte. E se Tommaso volò agli eterni riposi senza poter giungere al Concilio di Lione, ov’era chiamato, in questo venerando consesso Alberto Magno sembrò parlare in suo luogo e zelare per lui l’onore di Dio e della Chiesa. La storia ci mostra ad evidenza come il Beato Alberto concepisse fin da principio verso il giovane Tommaso un grandissimo affetto e lo tenesse veramente come figlio. Di qui si spiega quanto valore acquistassero per Tommaso i suoi insegnamenti e quanto giovassero alla completa formazione di lui i suoi esempi; e come l’angelico giovane, quasi per via di un amore docile e veramente filiale, entrasse man mano nel segreto dei più alti pensieri del grande Maestro a lui comunicati con affetto di padre.
10 — Il bue muto
Se col santo suo Maestro trattava Tommaso con filiale espansione, ed a lui furon subito note, coll’altezza dell’ingegno, tutte quelle doti di mente e di cuore che nel carattere italiano, e con più evidenza nei meridionali, si uniscono spesso in dolce armonia coll’affabilità e gentilezza dei modi, coi suoi compagni egli fu piuttosto restio, e non mostrò dapprima familiarità nessuna. Assorto com’era nello studio e nel meditare continuo, osservante al sommo del silenzio, abitualmente serio e composto, fu giudicato soltanto da quella superficie, e creduto povero d’ingegno e del tutto inesperto. Si aggiunga una circostanza notata dagli storici, che Tommaso, quasi del tutto astratto dalle cose di quaggiù, non si accorgeva spesso di ciò che avveniva attorno a lui, sicché egli ebbe poi bisogno di una continua guida per le cose materiali, e fu provveduto che un religioso fosse addetto alla cura della sua persona. Questa singolarità dové certo esser notata anche nella sua giovinezza, e poté venire diversamente giudicata. Certo è che i suoi compagni di scuola presero a chiamarlo il bue muto di Sicilia ». Quel soprannome gli venne dato dapprima dai meno riflessivi di quei giovani, ma presto divenne comune, e non mancò chi giudicò scarsità d’ingegno quella taciturnità e alienazione dai sensi; fino al punto che un suo condiscepolo si offrì amorevolmente a fargli da ripetitore, pensando che poco o nulla avesse compreso delle lezioni del maestro. Per più giorni Tommaso ascoltò quelle ripetizioni, mostrando sempre all’improvvisato maestro la più schietta gratitudine pel benevolo ufficio; e se frattanto non si accresceva la sua scienza, faceva invece grandi progressi la sua umiltà; mentre provava un’interna gioia per la poca stima che si aveva di lui. Egli aveva appreso che l’umiltà è la sola via per salire alla grandezza vera; e che nel disprezzo di sé e nello star lietamente in basso sta il fondamento della virtù più sublime.
11. — Il presagio del Beato Alberto
Al Beato Alberto non restò celato il fatto di quel soprannome, e forse rise in cuor suo dell’inganno in cui eran caduti i suoi scolari intorno al giovane napoletano nuovo venuto. Tacque per allora, ed aspettò che si presentasse un’occasione per correggere quell’errore. E questa non tardò, perché avendo egli un giorno spiegato un passo difficilissimo dell’opera « sui nomi divini » da tutti allora attribuita a San Dionigi Areopagita, il condiscepolo di Tommaso, che gli faceva da ripetitore, disse a lui di mettere in carta ciò che per avventura avesse compreso della lezione del maestro. Tommaso lo fece con semplicità mirabile; e accadde che quello scritto capitò nelle mani del Maestro Alberto, che ne restò stupito, per quanto fosse certo del sublime ingegno di Tommaso. Ma perché a tutti fosse nota la cosa ed egli avesse dalla scolaresca il rispetto che si meritava, stabilì pel giorno seguente una disputa, nella quale Tommaso avesse la parte di difensore. Egli dové obbedire; e le sue risposte pronte, sicure, luminose, superarono ogni aspettativa. Gli oppositori, secondo l’uso della scuola, insistevano colle più sottili obiezioni che avrebbero messo in imbroglio i più provetti; ma egli ne vide subito il debole e le sciolse senza difficoltà veruna, sì che il Maestro degli studenti, che guidava la disputa, gli disse: Voi qui non parlate da scolaro ma piuttosto da Maestro! Allora il Beato Alberto credé giunto il momento di rompere il silenzio: e rivolto a tutta la scolaresca esclamò: Voi lo chiamate il bue muto; ma questo bue manderà tali muggiti, che se ne udirà l’eco in tutto il mondo! – Uno storico fedele del Santo aggiunge: La testimonianza di tanto maestro non lo fece per nulla montare in superbia; ed egli continuò nella sua solita ed esemplare semplicità. E interrogato più tardi perché egli avesse sempre taciuto nella scuola di Maestro Alberto, rispose: Perché ancora non avevo imparato a parlare.
12. — All’Università di Parigi.
Da quel momento a Tommaso furono affidati nella scuola i più delicati uffici. Ma il Capitolo Generale dell’Ordine, tenuto appunto in Colonia nel 1245, prese la determinazione di presentare Alberto all’Università di Parigi perché prendesse la laurea del dottorato, da cui nessuno veniva insignito innanzi il trentacinquesimo anno. Ma non si separò per questo il discepolo dal Maestro, perché insieme fu determinato che si recasse in quella metropoli anche Fra Tommaso, per continuarvi il suo corso di teologia. Partirono nell’autunno del medesimo anno; e in Parigi presero dimora nel celebre Convento di San Giacomo, già fondato nel 1217 dal Beato Mannes fratello di San Domenico, quattro anni avanti la morte del Santo Patriarca. Nel corso di quasi trent’anni quel Convento aveva acquistato una celebrità senza pari, specialmente per avere i Generali dell’Ordine risposto con larghezza ai desideri di San Luigi re di Francia, che bramò aver nella sua metropoli i più eletti ingegni dell’Ordine; favore che egli ricambiò coi benefìzi più larghi. Questi religiosi, uniti ai più celebri di altri Ordini, specialmente di quello dei Minori, occuparono nella celebre Università varie cattedre importanti. Per la venuta di Maestro Alberto ebbe l’Università un notevole incremento, e le sue lezioni furono le più frequentate. La sua fama corse per tutto e attirò scolari dai più lontani paesi. – La vita di Tommaso studente di teologia nell’Università di Parigi fu quella del più umile religioso. Dicon gli storici che egli era sempre occupato in gravi pensieri, e sembrava quasi non curare le necessità della vita. Sedeva a mensa e sembrava mangiar senza gusto; sorgeva e non ricordava affatto quel che aveva mangiato. I libri eran la sua passione più viva; e quando poté avere alcuni volumi dei Padri, avidamente li lesse e colla prodigiosa memoria li fece suoi; soprattutto cercò di penetrar nella mente di Sant’Agostino, che sempre considerò come suo speciale Maestro. – La sua preghiera si fece sempre più intensa, né mai era impedita dallo studio, che, del resto, era anch’esso una preghiera. Colla pietà più profonda e coll’esercizio continuato delle religiose virtù si preparò ai sacri Ordini, che via via gli vennero conferiti, per ricever finalmente quello a cui sapeva di doversi preparare col massimo fervore: il Sacerdozio.
13. — Ritorno a Colonia. L’ordinazione sacerdotale.
Era stato tenuto nel 1248 il Capitolo Generale dell’Ordine a Parigi per la festa di Pentecoste; ed erano state scelte dai Padri quattro città per erigervi gli studi generali, oltre quello che già esisteva in San Giacomo di Parigi, ove ogni provincia dell’Ordine doveva inviare tre studenti: Bologna per l’Italia, Colonia per la Germania, Oxford per l’Inghilterra e Montpellier per la Provenza. A diriger quello di Colonia fu nominato il Beato Alberto Magno, che nell’autunno di quell’anno si mise di nuovo in viaggio e condusse seco Fra Tommaso, che sotto la sua guida continuò con sommo profitto il corso dei suoi studi teologici durato, a quanto sembra, fino al 1252. Al sacerdozio fu promosso Tommaso in Colonia nel suo anno venticinquesimo. La celebrazione della Santa Messa fu per lui da quel momento la cosa senza paragone più degna della giornata. Gli storici della sua vita raccontano che, mentre diceva la Messa, egli era tutto rapito in Dio; che il suo volto, come accadeva a San Domenico, era spesso coperto di lacrime, e sembrava bevere a gran sorsi a quella fonte di vita e di grazia, che è la Divina Eucarestia. Giovanni XXII, nel proclamare la sua santità, lo additava ad esempio; perché ogni giorno, prima di salire la cattedra, il Santo Dottore era solito celebrare con somma devozione la Santa Messa e poi udirne un’altra; e se talvolta non poteva celebrare, ascoltavane due. E le più volte amava servire egli stesso ai confratelli che celebravano, parendogli questo un ministero angelico; ma doveva porre una speciale attenzione per rattenere gli slanci del suo spirito e non restare rapito in Dio. È facile comprendere come le giornate di lui passassero nella più intima unione col suo Signore. Lo studio, l’insegnamento e la contemplazione delle cose celesti si alternavano e, possiam dire, si compenetravano; e quando scriveva o dettava, poteva paragonarsi ad una fonte tranquilla che versa in abbondanza acque salutari. Tale specialmente era Tommaso quando predicava. Per la predicazione egli sapeva avere il Santo Patriarca Domenico fondato il suo Ordine, e dall’insegnamento della cattedra non disgiunse mai il ministero della parola. Possiamo figurarci come fossero sante ed amabili le predicazioni di San Tommaso! Dice un suo storico che il popolo udiva con tanta riverenza la sua parola, come se venisse da Dio. Delle prediche da lui tenute sui Vangeli e sulle Epistole di tutte le domeniche dell’anno e per molte feste dei Santi non restano che brevi note, ma esse ci bastano a dimostrare come egli sempre cercasse di rendere amabile la verità, da lui mostrata nei suoi molteplici aspetti; e che la parola di Dio rivelata fosse sempre la sua guida. Nulla vi si trova di sapienza terrena; è la parola evangelica nel suo senso più vero e più pieno; e sotto il rigore del ragionamento, si sente la dolcezza del cuore di un Santo. – Se il popolo accorreva nelle chiese ad udirlo, lo avrebbero ammirato i dotti non meno nella scuola. Il Beato Alberto era in quel momento l’oracolo dei tempi suoi, nessuno dottore aveva levata di sé più alta rinomanza. Ma Tommaso, senza perder nulla dell’umiltà del discepolo, doveva presto superare il maestro per la nuova luce che parve gettare sulle grandi verità filosofiche e teologiche e per l’invidiabile chiarezza dell’esposizione. Per tutti i centri di studio corse la fama di giovane sì raro; e l’Università di Parigi desiderò di riaverlo come Maestro, dopo averlo ammirato come studente. Il Generale dell’Ordine, che era tuttora il Padre Giovanni Teutonico, consentì alla domanda che specialmente ne faceva il celebre Cardinale Domenicano Ugo di San Caro, il quale prevedeva quanto splendore avrebbe apportato a quella celebre scuola il bravo Dottore italiano. E così nell’anno 1252 tornò a Parigi e inaugurò il suo insegnamento col grado di Baccelliere.
14. — Amicizia con San Bonaventura.
Con altri frati Minori era stato inviato all’Università di Parigi, in quel tempo, anche Fra Bonaventura da Bagnorea, elettissimo ingegno ed uomo ammirabile per purità e santità di vita. Nato nel 122, ebbe al battesimo il nome di Giovanni, che fu poi mutato in quello di Bonaventura per questo fatto. In età di quattro anni fu colto da grave malattia, ed era in pericolo di vita. La madre prostrata ai piedi di San Francesco d’Assisi, lo scongiurò a salvarle il figlioletto. Il Santo si mise a pregare, e il bambino guarì. Allora il Santo lo prese nelle mani, e, levati gli occhi al cielo, esclamò: O buona ventura! Con questo nome egli prese poi l’abito del santo poverello. Appena s’incontrarono, questi due grandi italiani, che dovevano essere i più fulgidi luminari del loro secolo nei due grandi Ordini, si conobbero e si amarono teneramente, come già si erano amati i loro due santissimi padri Domenico e Francesco. Come tra di loro gareggiarono nella pietà e nell’amore delle celesti cose, così si emularono nella virtù dell’umiltà; e si narra che spesso si intrattenessero insieme in santi colloqui. In uno di questi, Tommaso trovò il compagno tutto intento a scrivere la vita di San Francesco. Non volle distrarlo da quella santa occupazione, e ritirandosi, disse: Lasciamo che un Santo lavori per un altro Santo. Un’altra volta a Bonaventura che lo interrogava onde avesse tratto tutto il sapere di cui erasi arricchita la sua intelligenza, Tommaso mostrò il Crocifìsso, dicendo esser quello il libro da cui aveva imparato tutto ciò che sapeva. E fu dolce per il nostro Tommaso che mentre egli, come vedremo, dové accettare, per volere dei Superiori, il Dottorato nella celebre Università, venisse ad un tempo conferito il grado stesso al suo grande amico Fra Bonaventura, come fu a lui di conforto il vederselo a fianco nella lotta che dové sostenere per la difesa dei diritti che vennero in quel tempo contrastati ai nuovi Ordini religiosi. Sarebbe venuto un giorno in cui un grande Pontefice, desideroso di unire gli sforzi dell’Europa cristiana per la grande causa religiosa e civile che agitava allora gli animi, avrebbe voluto in Lione al Concilio Generale questi due grandi luminari della Chiesa; ma, alla vigilia del grande avvenimento, la morte doveva separare Tommaso dall’amato compagno, che si sarebbe poi a lui ricongiunto nel cielo.
15 — Il Beato Pietro da Tarantasia e il Beato Ambrogio da Siena.
Tra i compagni di studio e d’insegnamento che ebbe in Parigi San Tommaso, meritano d’esser ricordati due sopra tutti: il Beato Pietro da Tarantasia, poi Papa Innocenzo V e il Beato Ambrogio da Siena. Era il primo un giovane savoiardo nato forse nel medesimo anno del Dottore Angelico in Tarantasia nella Valle d’Aosta ai pie’ dei ghiacciai del Monte Bianco. Per il suo svegliatissimo ingegno fu mandato a Parigi giovanetto di appena nove o dieci anni; e ivi restò subito incantato dei Frati Predicatori che vide a San Giacomo. Chiese l’abito, e tosto gli fu dato, nonostante la tenera età, tanto piacque la ingenuità e candore con cui lo chiese. Vestito con ben altri sessanta giovani dal Beato Giordano, succeduto a San Domenico nel governo dell’Ordine, fece tutti meravibilare per i progressi nella pietà e nello studio. Era uno spettacolo, in quei momenti, veder correre a quel convento il fiore della gioventù là convenuta da tanti paesi ed entrare a gara nella figliolanza di San Domenico! Nel Beato Giordano di Sassonia era come una meravigliosa attrattiva: narrano che, quando passava per le vie, le madri nascondessero i loro figlioli per timore che gli andassero dietro. Durante il suo generalato, che durò quindici anni, vestì oltre mille novizi. Sapeva infondere in essi l’amore di una vita perfetta e lo zelo più acceso per la salute delle anime. La prosperità dell’Ordine diceva poi con compiacenza, dipende da queste giovani piante. Fra Pietro, prima nelle scuole di San Giacomo e poi nell’Università, fu tra i discepoli più diligenti; e quando vi giunse da Colonia San Tommaso, nel 1252, egli attendeva ai suoi studi teologici e con lui udì le lezioni del Beato Alberto Magno. Due anni dopo San Tommaso, nel 1258 egli ottenne la laurea del Magistero. Troveremo poi insieme i due Santi religiosi col loro Maestro nel Capitolo di Valenciennes, ove portarono il contributo del loro sapere nelle decisioni prese intorno agli studi nell’Ordine. – La carriera percorsa dal Beato Pietro fu rapidissima e giunse al culmine più alto. Eletto nel 1262 Provinciale di Francia, diede all’Ordine grande impulso e ne tenne alto il prestigio. Nominato dieci anni dopo Arcivescovo di Lione e Primate delle Gallie, porse braccio validamente a Gregorio X nel preparare il Concilio che doveva tenersi in quella città, e dal medesimo, prima che il Concilio si aprisse, fu nominato Cardinale insieme con San Bonaventura, e i due Cardinali insieme col Beato Alberto Magno furono come l’anima di quell’assemblea. San Tommaso era già volato al cielo! Terminato il Concilio, Gregorio X prese con lui la via di Roma e s’infermò ad Arezzo, dove santamente morì. In Arezzo stessa si tenne il Conclave, e nel primo scrutinio il voto unanime dei Padri cadde sul Beato Pietro, che, eletto Papa, prese il nome di Innocenzo V. Era il primo Papa Domenicano. Fu stimato uno dei più eloquenti uomini del suo secolo: e a tutti fu esempio di virtù e di apostolico zelo. Scrisse anche opere teologiche pregiatissime; e nel breve pontificato, durato soli cinque mesi e due giorni, poté compiere in bene della Chiesa salutari riforme e lavorare a tutto potere per l’opera della riconciliazione tra i principi e i popoli, e specialmente per la sospirata unione della Chiesa Greca colla Latina. – Sebbene tutto nascosto nel più modesto ritiro, lo pareggiò per altezza d’ingegno il Beato Ambrogio, un po’ più di lui avanzato negli anni, che nato in Siena nel 1220 dalla nobilissima famiglia dei Sansedoni, di 17 anni vestì in patria l’abito religioso e fu inviato a Parigi, ove alla scuola di Alberto Magno fu condiscepolo al Beato Pietro e a San Tommaso. Sebbene molti lo giudicassero, per altezza d’ingegno, pari all’Angelico Dottore, non volle mai salire al grado del Magistero, e i Superiori, per non contristarlo, non crederono di fargliene un comando. Divise la sua vita tra le fatiche dell’insegnamento e quelle della predicazione; ed era cosa mirabile l’udirlo parlare, tanta era l’attrattiva della sua semplice e illuminata eloquenza. Non bastavano spesso le chiese a contenere la folla che si accalcava da ogni parte ; e gli convenne spesso parlar nelle piazze. Talvolta fu veduta al suo orecchio una bianca colomba, ed altri prodigi confermarono la santità della sua parola. Fu accettissimo a Clemente IV, che lo volle in Italia e gli affidò in Roma l’ufficio di Maestro del Sacro Palazzo e predicatore apostolico e l’incarico di riordinare nella città i buoni studi che erano assai in decadenza. Passò la sua vita in laboriosi impieghi, nel sedare inimicizie tra i popoli, e specialmente nel rivendicare la libertà delle elezioni papali. Fu Legato pontificio in Germania, pacificatore di regni e di repubbliche; e per comando di Gregorio X predicò con meraviglioso zelo la santa Crociata. Alla sua città scomunicata da Clemente IV per aver dato aiuto a Corradino di Svevia, contro Carlo d’Angiò, della cui crudeltà questi fu vittima a Tagliacozzo, egli ottenne la riconciliazione col Pontefice e la liberazione delle pene a lei minacciate. Si oppose a tutto potere alla sua elezione ad Arcivescovo di Siena, voluta dai suoi concittadini e dal Pontefice, ed amò continuare nella sua vita di apostolo e cogliere in essa quasi la palma del martirio, perché, predicando in Siena, con grande impeto, contro l’usura, gli si ruppe una vena nel petto e poco dopo morì in età di 66 anni, il 20 marzo del 1286. Lasciò pochi scritti, sebbene dottissimo; e si dice che tanto alta stima egli avesse verso il suo grande condiscepolo San Tommaso e sì basso sentire di sé, che si ricusasse di scrivere o dettare, parendogli bastare ad esuberanza quanto avrebbe scritto San Tommaso. – La nobiltà dei natali, l’altezza dell’ingegno, la gentilezza e soavità del carattere unirono il Beato Pietro e il Beato Ambrogio coi più stretti legami all’Angelico San Tommaso; ma ciò che maggiormente li strinse in dolce comunanza di affetto, fu il verginale candore e soprattutto l’umiltà del cuore per cui nessuno osava anteporsi all’altro, mentre a vicenda si stimavano e si amavano. Se la superbia divide gli animi ed è causa di contese e riprova dell’umana miseria, l’umiltà li unisce e li affratella nella giocondità della pace e ne mostra a tutti la vera grandezza.
16. — La lotta contro i religiosi.
Fu assai dolorosa la contesa che sorse nel seno dell’Università di Parigi intorno ai nuovi istituti religiosi, specialmente ai due Ordini mendicanti dei Domenicani e dei Francescani. La lotta, derivata certo dalla gelosia pel rapido prosperare delle due grandi istituzioni che avevan dato alla Chiesa ed al mondo dottori così eminenti, come Alberto Magno, Tommaso e Bonaventura, ebbe un pretesto dall’uccisione avvenuta in una notte del 1252 di uno studente dell’Università di Parigi, che con altri tre era stato villanamente assalito per le vie della città. I tre, dopo essere stati crudelmente maltrattati, furon tenuti prigioni, e ne vennero tratti il giorno seguente per le proteste dell’Università. Gli assalitori appartenevano alla guardia del celebre istituto, ove i più dei dottori secolari chiesero giustizia; e in segno di protesta, sospesero le loro lezioni. I dottori invece che appartenevano agli Ordini religiosi, vollero continuarle; e sorse di qui una fiera contesa fra gli uni e gli altri dottori, sebbene i rei fossero stati debitamente puniti di comune consenso. Intanto i dottori secolari fecero un decreto, ov’era stabilito che in simili casi dovessero sospendersi tutte le lezioni. Ai religiosi un tal decreto non piacque, non vedendo essi nell’interruzione delle lezioni nessun vantaggio in tali casi. Ma i secolari si ostinarono, e giunsero al punto di escludere dall’insegnamento i religiosi. La discordia non rimase soltanto nel seno dell’Università; la città stessa era divisa per le calunnie che si spargevano contro i dottori religiosi. Il Santo Re Luigi IX era allora in Palestina; Bianca di Castiglia, sua madre, che tanto aveva amato e protetto i nuovi Ordini, era morta; e teneva la reggenza Alfonso, Conte di Poitiers, fratello di San Luigi, che non seppe spiegare nel fatto la dovuta energia. E così seguitaron le liti, che furono lunghe ed aspre: e dové intervenirvi lo stesso Pontefice Innocenzo IV, a cui i superiori dei due Ordini avevano appellato. Con una bolla inviata da Assisi il 1° luglio del 1253, egli proibì severamente ogni vessazione che venisse fatta contro i Predicatori e i Minori, che dichiarava del tutto degni della sua particolare protezione. – Ma a turbare più profondamente gli animi apparve al 4 di febbraio del 1254 un vero libello diffamatorio, di cui furono fatti molti esemplari e che fu mandato agli Arcivescovi e Vescovi ed altri prelati. In esso la preponderanza dei religiosi nella celebre Università veniva mostrata come un danno per il cattolico insegnamento, ed erano accusati i Domenicani di aver tirato ai loro voleri lo stesso Conte di Poitiers. Il più celebre tra gli oppositori fu Guglielmo di Sant’Amore, Canonico di Beauvais. Questo famoso dottore ed abile sofista, armato di tutti gli strali della calunnia, fu spedito dalla parte avversa come procuratore alla corte di Roma, dove tanto si adoperò, che Innocenzo IV, da lui male informato, si mostrò dapprima esitante, e poi apertamente contrario ai religiosi, da lui colpiti con una celebre costituzione il 21 novembre di quell’anno. Guglielmo di Sant’Amore aveva lavorato per oltre quattro mesi per ottenere il suo intento, di trarre, cioè, almeno in parte, il Pontefice nelle sue vedute e fargli giudicare non giovevole alla salvezza delle anime e al diritto del clero secolare la troppa prosperità dei due Ordini dei Predicatori e dei Minori. Ma il giorno stesso il Pontefice restava colpito da una paralisi, in seguito alla quale egli moriva il 7 dicembre di quel medesimo anno. Tornava intanto dalla Palestina il Santo Re Luigi IX, che tosto intervenne nella questione, e tentò rimetter la pace, spinto particolarmente dall’amore che portava verso i due Ordini di San Domenico e di San Francesco, fino al punto che fu udito dire, che se avesse potuto dividersi in due, avrebbe dato una parte di sé ai Domenicani, l’altra ai Francescani. Sulla cattedra di San Pietro era intanto salito Alessandro IV, che un giorno solo dopo la sua elezione, il 22 dicembre del 1254, non esitò a dichiarar nulla la costituzione del suo Predecessore, e la fece seguire da una lettera al Generale dell’Ordine, il Beato Umberto de Romanis, ove gli mostrò la sua paterna benevolenza. D’altra parte lo stesso Padre Generale lavorava per l’opera della pacificazione insieme col Generale dei Francescani, Giovanni da Parma; e i loro sforzi riuniti, colla protezione ad un tempo del Pontefice e del Re, davano i loro buoni effetti. Alessandro IV in una celebre bolla del 14 aprile 1255 condannava severamente e revocava tutte le disposizioni dei dottori secolari dell’Università contro i religiosi. Ma ancora la lotta non era terminata.
17. — Il bidello Guillot.
Il nostro Tommaso, che si trovò in mezzo a tutte queste contese, die’ esempio ad ognuno della calma più serena, anche quando vide depresso il suo Ordine e non risparmiate a sé ed ai suoi derisioni e calunnie. Ci conservarono gli storici memoria di un fatto che ci dipinge al vivo il carattere di San Tommaso ed è ad un tempo una bella conferma della sua sapiente condotta in questi momenti travagliosi. Purtroppo la celebrità a cui era rapidamente salito questo italiano non ancora laureato, il concorso di uditori d’ogni parte alle sue lezioni, mentre quelle di altri, che già avevano acquistato grido, restavano deserte, era una delle segrete ragioni di tutta quella guerra. Egli forse non lo pensò, e continuò senz’altro per la sua strada; e quando gli fu vietato di tener pubbliche lezioni nelle aule dell’Università, le seguitò con eguale concorso nel suo convento di San Giacomo. Era la Domenica delle Palme, ed egli predicava nella chiesa appunto di quel convento, quando il devoto silenzio degli uditori fu interrotto ad un tratto dalla voce molesta di un uomo, che si alzò improvvisamente dinanzi al pulpito, ed impose silenzio al predicatore. Egli era un certo Guillot, che nell’Università aveva l’ufficio di bidello degli scolari della Picardia. Tommaso si tacque; e l’importuno interlocutore disse a tutta l’assemblea come egli aveva, d’urgenza, da comunicare a tutti un avvertimento a nome dei professori dell’Università. Ed allora trasse dalla tasca un foglio, e lesse un lungo scritto, ove erano accumulate accuse sopra accuse contro i dottori Domenicani e Francescani, con la relativa difesa dell’operato di Guglielmo di Sant’Amore. Come Dio volle, quella lettura terminò; e Tommaso, che in quel tempo era rimasto impassibile, seguitò senz’altro la sua predica, riprendendola precisamente dal punto in cui era rimasta interrotta. Ciò valse presso tutto l’uditorio a sua magnifica difesa. L’insolente bidello non rimase impunito. Alessandro IV, che riseppe la cosa, ordinò al Vescovo di Parigi di fulminargli la scomunica in presenza dei maestri e degli scolari, di privarlo della sua carica e di domandare al Re che lo cacciasse dalla città.