Roger Gougenot des Mousseaux
– IL GIUDEO, Il giudaismo e la giudaizzazione
dei popoli cristiani –
2e édition
Paris: F. Wattelier, 1886
CAPITOLO DODICI. (1)
PRIMA DIVISIONE.
IL MESSIA GIUDAICO – I –
Il Giudeo ortodosso non cessa di sperare in una rivoluzione universale che lo elevi, attraverso il suo Messia, al di sopra di tutti i popoli. – Israele ha conservato la sua ingenua e robusta fede nel Messia o no? Sì, ma il Giudeo, da qualche anno, non è più, qua e laggiù, simile a se stesso. – Il rabbino Lazard afferma che il ristabilimento di Gerusalemme è solo una cosa ideale, che non danneggia di conseguenza il loro patriottismo nazionale. – I riformatori tedeschi hanno lo stesso linguaggio, perché parlare di questa restaurazione sarebbe un ostacolo alla loro emancipazione. – I Giudei inglesi sono più franchi, e l’immensa maggioranza dei Giudei crede nel Messia, ma è loro vietato fissarne la data. – Il Messia dei talmudisti rimane il perno della fede giudaica. – La lettera del signor Levy Bing sul Messia, è un capolavoro di chiarezza. – L’unificazione dei popoli deve avvenire, affinché Israele sia, sopra tutti, il popolo-Papa. – Il brindisi universale. – Il cuore e la patria finale di ogni giudeo è quindi ancora la Giudea. – Tuttavia, il Messia non sarà di natura divina. – Egli ricostruirà Gerusalemme e vi riporterà i Giudei liberati. – Il Giudeo talmudico si nutre della speranza della conquista e della spoliazione dei popoli che gli danno il diritto di cittadinanza. – Prova, aneddoti. – Per il giudeo progressista, il Messia è l’epoca filosofica attuale, che rovescia la Chiesa e il Talmud; per il giudeo ortodosso, questa epoca è una delle tappe che preparano il vero Messia. – Superstizioni grottesche. – Famiglie messianiche, descrizioni.
I Giudei hanno sempre sperato nel loro Messia, e, a volte pensandoci, a volte senza rendersene conto, hanno preparato l’opera della rivoluzione sociale ed universale, il cui strumento finale sarebbe questo Messia – che deve essere e sarà il risultato finale – al quale non cessano mai di pensare. Il risultato finale di questa rivoluzione deve essere e sarà quello di stabilire il loro dominio su tutti i popoli della terra! Ma non potremmo capire né la vivacità di questa speranza, né la forza che questa fede tradizionale dà all’esecuzione del loro piano, se non ci fermassimo un momento a considerare l’ardore e la tenacia della loro fede, che lega la mente ed il cuore del Giudeo all’idea del Messia. La questione, quindi, si pone a noi in questi termini: Israele ha conservato o meno la sua fede natia ed ardente nel Messia? E la risposta che ci danno i figli della dispersione è questa: Guai! Guai a chi ha perso questa fede! Mentre tra i Giudei c’è chi crede nel Messia con una fede franca e vigile, altri sembrano negare questo Desiderato dei discendenti di Giacobbe, ed altri ancora alterano e distorcono i tratti così vigorosamente accentuati nella sua figura tradizionale; cerchiamo più che mai, nella nostra ricerca della verità, di osservare alternativamente i pro e i contro; e prima di tutto, ricordiamo che non si tratta più di immaginare che il Giudeo sia qui, là e altrove, quello che era solo qualche anno fa, cioè sempre e ovunque uguale ed identico a se stesso. Dobbiamo quindi guardarci dal prendere colui che è alla portata delle nostre orecchie e dei nostri occhi come se fosse simile nel credo al Giudeo la cui parola e la cui vista non ci sono familiari. Ciò che è notevole, dice un abitante della capitale della Francia, il dotto e reverendo padre Theodore Ratisbonne, un israelita convertito, è la cura con cui i Giudei « … evitano ogni discussione seria e dogmatica. Soprattutto, si evita la grande questione del Messia, l’unica che si interpone tra i Giudei ed i Cristiani. » – Oggi « i Giudei non ammettono più questo punto fondamentale della religione dei loro padri; rifiutano sia il mistero del peccato originale che la promessa del Redentore. Oppure, se invocano ancora il Messia nella recita obbligatoria dei salmi, … non attribuiscono alcun significato alle loro parole; le considerano come formule superate; essi dichiarano persino che non si debba più aspettare il Messia, né chiedere altra emancipazione che quella che hanno ottenuto nella loro situazione politica. Il Messia è venuto per noi il 28 febbraio 1790, con i Diritti dell’Uomo. Così si esprimeva uno degli organi più autorevoli dei Giudei moderni, M. Cahen, il traduttore della Bibbia. » (La Question juive, p. 18, 1868, 31 pages; et M. Cahen, Archives israélites, VIII, p. 801; 1847). Queste parole sono indubbiamente limitate, nell’intenzione del dotto Religioso, ai Giudei letterati e riformisti di una parte dell’Europa, uomini potenti per ricchezza, per la loro influenza, e spesso anche per la loro brillante onorabilità, ma che costituiscono solo un piccolo numero della nazione. Un altro Cristiano, la cui penna rappresenta la Terra Santa elevata all’incrocio di tre continenti come una fortezza la cui cinta attende Israele, si esprime in termini che vale la pena di essere riportata: « La soluzione finale della questione orientale – ci dice M. Vercruysse – non sarà raggiunta dal ristabilimento del popolo israelita nel suo paese, la Palestina? … Il ristabilimento dei Giudei in Palestina ha due lati: quello religioso e quello politico. » – « Il popolo israelita e il popolo arabo o ismaelita sono i popoli che possono rivendicare la più antica nazionalità del mondo; essi sono stati provvidenzialmente conservati e preservati;… e, possiamo esserne certi che i destini di queste due nazionalità, unici e misteriosi, saranno ancora più grandi in futuro che nel passato….. » Tuttavia, i signori Isidore Cahen e Marc Lévy citano queste parole solo per combatterle con una singolare audacia di dottrina riformista. Ascoltiamoli: « Ci siamo spesso pronunciati su questa questione in un senso diverso. La storia non ricomincia, e gli israeliti, messaggeri dell’idea monoteista, devono disperdersi nel mondo, non essere confinati in una fortezza. » (Archivio Israelita, p. 884; 15 ottobre 1866). È una calunnia che viene ripetuta a sazietà da tutti i teologi del Cristianesimo, che « i Giudei non vollero riconoscere il Messia nel figlio di Maria, perché erano carnali e speravano in lui. I Giudei non volevano riconoscere il Messia nel figlio di Maria, perché erano carnali e speravano in un Messia che avrebbe dato loro innanzitutto il dominio assoluto del mondo, asserzione gratuita e contraria alla storia. In effetti, l’elezione di Israele non ha nulla di mondano. Esso ha da sempre capito che il suo regno non è di questo mondo. È il primo tra le nazioni, come il sacerdote è primo tra i credenti. Esso ha per missione di far conoscere agli uomini la vera dottrina; come potevano gli Israeliti supporre che Dio avrebbe loro sottomesso tutte le nazioni, quando il profeta Daniele aveva appena insegnato che ogni popolo ha il suo Angelo custode, come Israele? (La Bibbia non dice forse di questo Angelo: « Non vi perdonerà quando peccherete? » Esodo, XXIII, 21). – Essi erano lontani dall’avere quello spirito intollerante esclusivo ed ambizioso che viene loro attribuito; non c’era e non poteva esserci nulla del genere nelle loro speranze messianiche. (Questo esempio è uno di quelli che ci mostrano ciò che una penna giudea osa mettere sulla carta. Il Talmud, la storia delle tradizioni rabbiniche, che sono il catechismo dei Giudei, la storia dei falsi Messia e delle famiglie messianiche, ci dicono cosa dobbiamo pensare di un tale giudizio. Vedi Marc Levy, Archives israélites, VI, p. 249, 1867; continua a leggere, e vedi il contrario più in basso.). Invano – gridava il rabbino Lazard dal pulpito – si cercherebbe di riportare Gerusalemme alla sua antica gloria. « Non si tratta più di ripopolarla, ma di rivolgere i nostri pensieri verso di essa » perché non è la nostra città materiale, è solo la nostra « città ideale ». – Ed è così che « la preghiera quotidiana che chiede la restaurazione di Gerusalemme non danneggia il nostro patriottismo nazionale ». (Archivio Israelita, XVII, p. 810; 1867). Così il Giudeo, cessando di essere Giudeo nazione, lo sarebbe solo di culto! E questo culto sarebbe simbolico! Far accettare alla massa della nazione tali enormità: « la nostra bandiera religiosa porta quattro dogmi chiari e luminosi come il sole: l’unità assoluta e rigorosa di Dio; l’immortalità dell’anima; la rivelazione sinaitica, e infine la venuta del Messia. » Ma, per questo dogma della venuta del Messia, dobbiamo intendere solo « la perfettibilità indefinita dell’umanità! (Archives israélites, IV, p. 164; 1868. Auscher, rabbin. — O Israël !!!). – Tutta la fede messianica porterà dunque a questa grottesca sottigliezza, contro la quale si protesta una formula che, tra tutti i popoli, esprime la più incrollabile e positiva fede nella cosa attesa: … Io lo attendo come i Giudei attendono il Messia. – I riformatori tedeschi, ci dice l’israelita Rabbiowicz, vedevano nei « passaggi che parlano del ritorno dei Giudei alla terra dei loro ancestri e della restaurazione del regno di Davide… un ostacolo all’emancipazione ». Determinati a sbarazzarsi di questo ostacolo, hanno quindi coraggiosamente fatto il passo di fare buon mercato delle loro speranze messianiche. Questa è la chiave del mistero di questa svolta! Meglio consigliati, al contrario, e più generosi, i Giudei inglesi « hanno compreso che questa sarebbe stata una riforma che avrebbe fatto più male che bene. » Essi trovarono giustorispettare la fede secolare dei Giudei, che hanno il diritto, secondo loro, « di formare i desideri più ardenti di una patria infelice, anche se determinati a non tornare mai, di persona, nella terra dei loro ancestri ». (The Israelite Reform in London, 15 novembre 1866; Archivi Israeliti, XXII, p. 984; 1866). – La fede, dunque, non è più uniforme tra tutti i figli della dispersione; ma i meno ciechi sono quelli che si scoraggiano più rapidamente quando si tratta di credere nel loro Messia; e, nel loro pensiero, il credito di questo personaggio scende ogni giorno di più; perché « ha lasciato passare senza mostrarsi tutte le epoche che i rabbini avevano previsto essere giunte alfine delle loro molte supposizioni! » (Seconda lettera di un rabbino convertito (Drach), p. 100; Parigi, 1827). La loro fede incessantemente delusa è diventata, alla lunga, stanca! Alcuni, entrando nel senodella Chiesa, si sono umiliati davanti al Messia di Betlemme e del Calvario, altri si sono forgiati un protestantesimo filosofico, mentre altri ancora sembrano riposarsi e rinfrescarsi con l’immergersi nelle profondità dell’indifferenza. Tuttavia, la grande maggioranza della dispersione è ciecamente fedele alle sue credenze messianiche ed ai suoi rabbini, che, con grande prudenza, guidati dal dotto Abrabanel, hanno decretato l’anatema contro chiunque presuma di fissare una data per l’arrivo del Messia; è solo loro sufficiente vedere apparire a suo tempo questo illustre restauratore di Israele! Ma se questa immensa maggioranza rimane quella che era, allora dunque cos’era? Il seguente passaggio ce lo insegna in termini molto chiari: « I saggi ed i maestri della Sinagoga terminano di solito, ai giorni nostri, con il pensiero di QUESTO TRIONFATORE FUTURO i discorsi che tengono nelle loro assemblee: essi stimolano i loro correligionari alla fedele osservanza della legge, sostenendo la loro speranza di vedere la venuta del Messia e di godere di tutti i beni promessi ad Israele. Ora, uno di questi beni è il momento desiderato del massacro dei Cristiani e la completa estinzione della setta dei Nazareni. La parola è chiara, e quello che si dice anche oggi si diceva molti secoli fa. Così San Girolamo, che conosceva a fondo le dottrine giudaiche, scriveva a proposito della piccola pietra che si stacca dalla cima della montagna per infrangere la statua di Nabucodonosor: « I Giudei voltano questo passaggio a loro vantaggio, e rifiutano di riconoscere Cristo in questa pietra. Per essi, questa non designa altro che il popolo d’Israele che è diventato improvvisamente abbastanza forte da rovesciare tutti i regni della terra e fondare il suo impero eterno sulle loro rovine. (La Chiesa e la Sinagoga, pp. 18-19; Parigi, 1859). – Più tardi, nel XV secolo, il dotto Rabbi Abrabanel (Su Geremia, cap. XXX) annuncia nei suoi commentari il regno del Messia, tempo glorioso in cui si compirà lo sterminio dei Cristiani e dei gentili; e Reuchlin ci dice: « Essi aspettano con ansia il rumore delle armi, le guerre, la devastazione delle province e la rovina dei regni. La loro speranza è quella di un trionfo simile a quello di Mosè sui Cananei, e che sarebbe il preludio di un ritorno glorioso a Gerusalemme restituita al suo antico splendore. » (Reuchlin: Quindicesimo secolo. Un personaggio molto stimato dai Giudei, che fu ministro delle finanze in Portogallo e Spagna sotto Ferdinando il Cattolico. Fu bandito con il corpo della sua nazione e, checché se ne dica, questa cacciata dei Giudei fu la salvezza della Spagna, di cui erano il flagello, come lo sono ora della Romania…). Queste idee sono l’anima dei commenti rabbinici sui profeti, e sono state tradizionalmente trasmesse ed inculcate nelle menti di quella nazione; e così gli Israeliti si sono da tempo immemorabile preparati per questo evento, la meta suprema delle aspirazioni della razza Giudaica! (Buxtorf, Sinagoga giudaica, cap. XXXV. Maimonide in Surenheinsius, Mischna, parte IV, p. 164; Abrabanel, Præco salutis. La Chiesa e la Sinagoga, pp. 18-20. – Questa preparazione continua vigorosamente anche oggi). Il Messia dei talmudisti, che non è ancora un vinto, non era dunque affatto un mito; e M. Félicité (Vercruysse) può e potrà a lungo affermare che gli israeliti non rinunciano a questa credenza custodita di generazione in generazione durante una così lunga catena di secoli. (Opuscolo intitolato La Régénération du monde, dedicato alle dodici tribù d’Israele; Parigi, 1860, e di cui M. Vercruysse figlio ci fece un graziosissimo regalo al congresso di Malines del 1864; un’opera molto interessante, ma le cui idee non possiamo adottare nella loro totalità). Perché il Messia è « il perno della loro fede e della loro speranza; e non avendo accettato Cristo come il profeta promesso, aspettano! Ma c’è da sperare che un giorno riconosceranno il loro errore; altrimenti c’è da temere che un gran numero finirà per ammettere l’Anticristo come Messia. Questo è ciò che Dio ha previsto e per questo ha voluto avvertirli… » (Ibid., Vercruysse, p. 43. Vedi il seguito). Così, nonostante le numerose defezioni, essi per la maggior parte aspettano, si preparano alla realizzazione di questa speranza instancabilmente sostenuta, ed « immaginano sempre di essere gli eletti, o il popolo di Dio »; immaginano che per questo « sono superiori a tutte le nazioni (Gojim), che sono fisicamente e moralmente diversi da loro, e che queste ultime dovranno essere sterminate al momento della venuta del loro Messia. » Quindi il Giudaismo è stato fino ad oggi, « politicamente, religiosamente e fisicamente, uno spirito di casta, che, per il rigore e l’inesorabile parzialità dei suoi aderenti, non ha eguali in nessuna classe di uomini in Europa…. Quindi da questo un antagonismo permanente tra lo Stato ed il Giudaismo è inevitabile! » (Kluber, Coup d’oeil des délibérations diplomatiques du Congrès de Vienne, vol. III, p. 390; – Goschler, Dictionnaire encyclopédique de la théologie catholique, dei più sapienti professori e dottori in teologia della Germania, t. XII, p. 451; Paris, 1861, in-8o). Così, in una parte del Giudaismo rimane e si erge l’antica e incrollabile credenza nel Messia come sterminatore e depredatore dei popoli; mentre dall’altra parte, questo dogma a volte evapora, si riduce ad un simbolo, e a volte viene scartato senza un attimo di esitazione se il minimo interesse lo richiede; ma i dottori dotati di una certa prudenza si guardano bene dal respingere brutalmente i fedeli che si ostinano a prenderlo sul serio. – Gli Archivi Israeliti, i cui redattori sono tra coloro che trasformano il Messia in un mito, aprono quindi ampiamente le loro pagine alle credenze degli ortodossi, e ci danno nella seguente lettera un mirabile monumento dell’incrollabile attesa dei Giudei: Nancy, 21 marzo 1864. – « Signore, io sono di quelli che pensano che la nostra generazione non vedrà il giorno della grande riparazione promessa. Eppure non vorrei affermare il contrario, in presenza degli avvenimenti e delle trasformazioni di cui siamo stati testimoni negli ultimi quindici anni! » – « Voi dite: Noi non crediamo che questa idea, – del Messia, e del suo ritorno trionfale a Gerusalemme, – sia fattibile o accettabile! Avete pensato alla gravità di queste parole? Avete ben considerato la gravità di queste parole? Perché sono una negazione completa della nostra fede e della nostra missione nel mondo! Questo non è certo il vostro pensiero; ma è giusto che un organo dell’importanza degli Archivi non sia considerato come non pienamente consapevole dei doveri e delle speranze di Israele. Ma come, voi non credete nella missione finale della casa di Giacobbe? Gerusalemme sarebbe una parola vana per voi? Ma questo sarebbe il rovesciamento immediato del nostro culto, della NOSTRA TRADIZIONE, della nostra ragion d’essere; e, a tal fine, tutti i nostri libri sacri dovrebbero essere immediatamente bruciati? Il nostro rituale, ordinario o straordinario, tutto ci parla sempre della MADRE PATRIA; quando ci alziamo, quando ci corichiamo, quando ci sediamo a tavola, noi invochiamo il nostro Dio di affrettare il nostro ritorno a Gerusalemme, SENZA RITARDO, E FIN DAI NOSTRI GIORNI! (Questo è abbastanza letterale, abbastanza antisimbolico, tanto positivo quanto preciso; e notiamo questa parola: il ritorno alla patria. Cosa sono allora le sue patrie d’occasione per per i Giudei?). Quindi sarebbero solo vane parole? La ripetizione generale e universale di queste parole non avrebbe quindi più senso? Sarebbe pura forma? » Per fortuna non è così; e voi vedete, caro signore, che, se molti di noi hanno dimenticato l’importanza del ritorno, Dio ci ha suscitato nuovi fratelli e sorelle che a volte capiscono meglio di noi stessi QUESTO MIRACOLO, UNICO nella vita del mondo, di un intero popolo disperso da milleduecento anni in tutte le parti dell’universo senza essere confuso o mescolato in nessuna parte con il popolo tra cui vive! E, questa incredibile conservazione, fatta per aprire gli occhi dei ciechi, non avrebbe significato, nessun valore per noi e per il mondo? » Ma guardiamo l’orizzonte e consideriamo tre segni sorprendenti che ci colpiscono. Tre parole, tre cose hanno il privilegio di occupare tutte le menti e di assorbire l’attenzione del tempo presente: NAZIONALITÀ, CONGRESSO, SUEZ. » Ebbene, la chiave di questo triplice problema (dei popoli che entrano in possesso di se stessi per unificarsi, e unificare con l’aiuto del filo elettrico e del vapore le varie regioni del mondo), la chiave di questa triplice soluzione, è Israele, è Gerusalemme! Come ho detto prima, tutta la religione giudaica è basata sull’idea nazionale. – E che ne siano consapevoli o no, non c’è un battito, non un’aspirazione dei figli d’Israele che non sia verso la patria. (Il paese dei padri! Ci si dirà, come i Giudei possano essere veri cittadini con questo pensiero necessario, con questi desideri dominanti nelle loro anime?). – Ripeto, sarebbe necessario chiudere dal primo all’ultimo dei nostri libri se dovessimo bandire Gerusalemme dai nostri pensieri! » – « E queste aspirazioni, questi pensieri, non sono solo una cosa intima, personale della nostra razza, ma è un bisogno universale; è la realizzazione delle parole dei profeti; come dire? … delle parole di Dio. È la prova della Sua presenza eterna in mezzo a noi; è la sanzione di cui ho parlato. » Se, a poco a poco, la vendetta personale è scomparsa; se il barbaro e stupido pregiudizio del duello non sarà presto più che un ricordo; se, in una parola, non è più lecito farsi giustizia da soli, ma piuttosto rimettersi a giudici generalmente accettati e disinteressati alla controversia, non è forse naturale, necessario, e molto più importante, vedere presto un altro tribunale, un tribunale supremo, incaricato delle grandi controversie pubbliche, dei reclami tra nazioni e popoli, che giudichi in ultima istanza, e la cui parola faccia fede? E questa parola è la parola di Dio, pronunciata dai suoi figli maggiori (i Giudei), e davanti alla quale tutti i minori si inchinano con rispetto, cioè l’universalità degli uomini, i nostri fratelli, i nostri amici, i nostri discepoli. (Io sono il popolo-Papa! una parola sorprendente di Israele, e che lo colloca nel punto di vista più ultramontano: Avete bisogno di un giudice supremo e quindi infallibile, o nazioni della terra! Bene, eccomi qui, devo essere io, io sarò quell’arbitro, quel giudice. Riconoscete in un congresso giudaico, riconoscete in me non solo il popolo-re, ma il popolo-PAPA. » – Ancora una parola, caro signore… Ci stiamo avvicinando all’anniversario dell’uscita degli Israeliti, i nostri padri, dall’Egitto. Fu la sera del 20 aprile che, in tutta la terra, un popolo disperso per quasi duemila anni, nello stesso giorno, ALLA STESSA ORA, IMPROVVISAMENTE, risorge come un solo uomo. Afferra la coppa della benedizione posta davanti a lui e, con voce fortemente accentuata, ripete tre volte il seguente magnifico brindisi: IL PROSSIMO ANNO A GERUSALEMME! Direte voi ancora che la ricostituzione della nazione giudaica non è né fattibile né accettabile? – (Archivi Israeliti, pp. 335-350; 1864 – La lettera dovrebbe essere letta per intera.). LEVY BING. » –