VITA DELL’ANGELICO DOTTORE SAN TOMMASO D’AQUINO (1)

VITA
dell’angelico dottore
SAN TOMMASO D’AQUINO (1)
dell’ ordine dei predicatori

SCRITTA
dal F. LODOVICO FERRETTI
DEL MEDESIMO ORDINE

Il più dotto tra i santi e il
più santo tra i dotti
Card.
Bessarione, Ad. calumn,
P
latonis, Lib. Il cap. VII.
ROMA

APPROVAZIONE DELL’ORDINE
Fr. Lodovico Theissling
Maestro Generale dei PP. Predicator
IMPRIMATUR
Fr. Alberto Lepidi O. P.
Maestro del Sacro Palazzo.
f Giuseppe Palica, Arciv. di Filippi
Vìcegerente.

LIBRERIA EDITRICE RELIGIOSA
FRANCESCO FERRARI 1923

ROMA – TIPOGRAFIA ARTIGIANELLI S. GIUSEPPE

PREFAZIONE

Questa breve narrazione della vita dell’Angelico Dottore San Tommaso d’Aquino non è scritta per gli eruditi né frutto d’indagini nuove. Non ha ingombro di citazioni; e basterà assicurare i lettori che il racconto è stato condotto dietro la traccia dei primi biografi e dei documenti più autorevoli, che essi potranno trovare enumerati in appendice. Quello che soprattutto preme, è che dai fatti essi deducano, per loro bene, utili insegnamenti e specialmente i giovani apprendano da questo santissimo Duce dei loro studi, che non si sale in alto se non coll’aiuto di due ali: la pietà e la scienza.
Quando diciamo che San Tommaso fu
il più dotto tra i Santi, e il più
santo tra i Dotti, intendiamo affermare che in lui dottrina e santità si eguagliarono} e furon somme ambedue; così poté salire ad un culmine, che ad altri
non fu dato toccare. Felice chi saprà seguirlo per quella via, ponendo, come lui, per fondamento della sua vita, l’umiltà che ci fa grandi, e la purezza del cuore, a cui è concessa la visione di Dio.

I. — Nascita e presagi felici.

La data della nascita di San Tommaso d’Aquino è incerta. Vari riscontri cronologici ci conducono all’anno 1226. Nell’anno stesso, in Assisi, volò al cielo San Francesco, e Dio dava alla terra San Tommaso; come cinque anni innanzi aveva dato San Bonaventura, mentre in Bologna moriva San Domenico. Anche sulla patria si ha qualche incertezza negli storici, però dai più si ritiene che la nascita avvenisse in Roccasecca, nella contea di Aquino, da cui traeva il titolo la nobile famiglia. Tommaso ebbe il nome dell’avo, e nacque da Landolfo Conte d’Aquino e Signore di Loreto e di Belcastro e da Teodora Caracciolo, figlia del Conte di Teate e oriunda dai Principi Normanni. Da Landolfo aveva avuto Teodora altri due figli: Landolfo e Rinaldo, e cinque figlie; ma per Tommaso, che fu l’ultimo, accaddero segni speciali che lo mostrarono vero frutto di benedizione anche prima della nascita. Narrano gli storici di un santo eremita, soprannominato il Buono, che si presentò a Teodora quand’era incinta, e le disse grandi cose del bambino che essa avrebbe dato alla luce: che sarebbe stato un gran luminare nella Chiesa, che avrebbe dato alla famiglia un sommo splendore; e le suggerì di dargli il nome dell’avo, Tommaso, che, secondo l’origine ebraica, significa abisso. Il fanciullino fu tenuto a battesimo dal Conte di Somma, che fece in quell’atto le veci di Papa Onorio III. Si parlò anche di una luce che splendé sul volto del neonato nel momento del battesimo, e si conservò memoria nella famiglia di un graziosissimo fatto, riferito poi nei processi, avvenuto quando il bambino aveva pochi mesi. Era stato condotto dalla madre ad un bagno; ed ivi la balia si accorse che egli aveva in mano un pezzetto di carta e lo stringeva forte. Tentò di averlo, ma il bambino con molte strida si opponeva. Corse la contessa, che gli tolse dalla manina la carta, ove lesse le parole Ave Maria. Ma il bambinello fece tutti gli sforzi per riaver nelle mani la carta; ed appena che l’ebbe, se la pose in bocca e la inghiottì. Così possiam dire che col latte materno Tommaso facesse sua la devozione verso la Vergine Madre.

2. — A Montecassino.

I Conti d’Aquino erano in relazione stretta coi Monaci di Montecassino, grande asilo di pietà e di scienza e vero faro di civiltà, ove i figli di San Benedetto, che ivi sui principii del secolo VI aveva gettato le basi del suo Ordine e di tutto il monachismo d’Occidente, vivevano santamente sotto la guida di Sinibaldo, della stessa famiglia d’Aquino, allora abate del Monastero. Di questa nobile abbazia si erano resi altamente benemeriti gli antenati del giovanetto per averla più volte difesa contro le violenze dei messi di Ruggero, Re delle due Sicilie. Com’era costume dei nobili di quei dintorni, specialmente quando i loro figli promettevano bene di sé, il Conte Landolfo affidò Tommaso, di soli cinque anni, a quei Monaci, perché ne avessero cura. Tommaso visse in Montecassino come nella casa del Signore; lassù apprese a pregare, ed ebbe da quei santi religiosi i primi insegnamenti delle lettere. 1 libri erano la sua passione, quando potevali avere; e tutti i Monaci ammiravano come il bambino agli studi convenienti all’età sapesse alternare le devote preghiere. Gli avevano parlato di Dio, delle sue perfezioni, della sua immensa bontà, di Dio creatore del cielo e della terra; ma egli non era pago. E rivolto al suo maestro, domandavagli con molte istanze: Chi è Dio? Il ripetersi di quella domanda era segno che egli avrebbe voluto sapere qualche cosa di più di quel che il buon maestro gli potesse dire. Questo lo avrebbe appreso più tardi colla preghiera e colla chiarezza che sarebbe venuta nella sua mente dalla luce di Dio; ma in parte soltanto, qui in terra; perché il luogo ove Dio pienamente si svela è solamente il cielo.

3. — Nel castello di Loreto.

I progressi fatti da Tommaso in Montecassino nei primi studi fu così straordinario, che il conte Landolfo pensò d’inviarlo alle scuole di Napoli. Ma per godere qualche mese almeno della sua compagnia, la famiglia lo volle con sé nel castello di Loreto Aprutino, che essa possedeva, e dove soleva passare la stagione autunnale. Partì Tommaso da Montecassino col suo aio, e si recò in Loreto, ove abitavano i suoi genitori con quattro figlie. La quinta era stata sventuratamente uccisa nella sua culla da un fulmine caduto sul patrio castello, mentre era presso il fratellino Tommaso, che rimase illeso. I due fratelli stavano iniziandosi alle armi sotto Federigo II. La gentilezza e bontà del giovinetto, la sua mirabile intelligenza, la sua angelica pietà si rivelarono a tutti; sebbene sotto il velo di una modestia ed umiltà senza pari egli tentasse di nascondere le sue doti di mente e di cuore. Appunto in quel tempo fu afflitto tutto il paese da una grave carestia. Le porte del castello erano assediate dai poveri; e Tommaso era tutto lieto quando gli veniva dato l’incarico di distribuire le elemosine. Si vedeva rapidamente scender la scala che conduceva alla ròcca, e portare a quei miseri il soccorso. E supplicava i genitori perché fossero larghi nel dare, promettendo loro, in compenso, benedizioni e grazie da parte di Dio. Ma la carità di Tommaso non aveva limiti; e spesso egli correva alla dispensa, e colmava di pane il grembo della sua veste. La cosa apparve eccessiva all’amministratore della casa, che volle avvertirne il padre; e questi attese ad ammonire il figliuolo appunto nel momento in cui questi usciva dalla rócca colla solita provvista. Trovatosi in faccia al padre, aprì la sua veste fissando con occhio sereno il volto leggermente adirato di lui. Ma il pane era scomparso; il grembo di Tommaso era pieno di fiori! Stupirono tutti del prodigio; e con Tommaso ne furono lieti in modo speciale i poverelli, che da quel momento ebbero da lui senza limiti i pietosi soccorsi.

4. — Nell’ Università di Napoli.

In Napoli, ove abitò sotto la custodia del suo aio fedele, attese Tommaso agli studi per cinque anni. Nella città bellissima era stata eretta di fresco un’Università, a cui subito era accorsa molta gioventù d’Italia e di fuori, specialmente per godere l’incanto di quel cielo e di quel mare. Fu stabilita nel 1224 da Federigo II imperatore, coll’intenzione di far diminuire d’importanza quella di Bologna, città a lui nemica. Tra gli uomini dotti che vi insegnavano nel tempo in cui la frequentò il giovinetto Tommaso, troviamo ricordato un Pietro Martino, maestro di umanità e retorica, e un Pietro d’Ibernia, professore insigne di filosofia. Questi specialmente furono i maestri di Tommaso nello studio napoletano. Tutti gli storici del Santo parlan di lui non solo come di un ottimo scolaro, ma come di un giglio di purezza conservatosi intatto in mezzo alla corruzione di quella città incantevole e al contatto di una gioventù sfrenata; parlano della sua carità verso i poveri, della sua semplicità e nobiltà di tratto unita ai più innocenti costumi, delle sue molte orazioni, specialmente quando nell’antica chiesa di San Michele a Morfìsa, che il popolo chiamava Sant’Angelo, ebbe conosciuto i Padri Domenicani. Il Santo Patriarca Domenico da appena vent’anni era morto ; e già il suo Ordine era salito in alta fama di santità e dottrina. Napoli nel 1231 aveva accolto i figli di lui, che nella Chiesa di San Michele, già appartenuta ai Benedettini, poi incorporata nel gran tempio di San Domenico Maggiore, attendevano ai sacri ministeri, e nella città e nei dintorni predicavano santamente la divina parola. Tommaso rimase incantato del loro abito, e più della loro modestia e bontà: la stretta povertà in cui vivevano li faceva ai suoi occhi più grandi ancora; perché egli aveva bene appreso che le ricchezze della terra sono tutt’altro che i veri beni per l’uomo; e soprattutto li rendeva a lui amabili la purità angelica di vita in cui vivevano e che aveva loro conciliato la stima universale. L’amore alla scienza divina di cui vedeva così pieni i Frati Predicatori e il desiderio di una vita perfetta tutta impiegata nel servizio di Dio e nella salute delle anime, furono i due grandi motivi che attrassero Tommaso alla vita domenicana. Egli conobbe altresì il pericolo in cui sarebbesi trovata la sua virtù in mezzo al mondo, che già facevagli udire da tante parti le voci lusinghiere della lode all’ingegno sublime, che già tanto lo sollevava sui suoi condiscepoli, e alle doti di cui la natura lo aveva fornito; e cercò un rifugio sicuro. San Domenico dal cielo fissò il suo sguardo sopra un giovinetto sì caro, e gli pose in cuore un vivo desiderio di divenir suo figliuolo. Sappiamo che Tommaso si unì in affettuosa amicizia col Padre Giovanni da San Giuliano, dotto e santo religioso, di cui narrano gli storici che più volte vide il santo giovinetto col volto irradiato di luce celeste, mentre, inginocchiato presso gli altari, intensamente pregava.

5. — Vestizione religiosa e prime lotte.

Verso il mese di Agosto del 1243, nella sua età di diciassette anni, Tommaso, nella Chiesa di San Michele a Morfisa, prostrato in terra, chiedeva la misericordia di Dio e dell’Ordine Domenicano; e rialzatosi, riceveva dalle mani del Padre Tommaso Agni da Lentino l’abito bianco, simbolo di innocenza, tutelato dal mantello nero della penitenza. La notizia della decisione presa dall’illustre figlio del Conte d’Aquino fece accorrere al Convento molte persone meravigliate al vedere un giovinetto così nobile e che tanto faceva sperare del suo ingegno, chiedere, nel più bel fiore della sua età, mentre tutto intorno a lui sorrideva, l’abito di un Ordine mendicante, che voleva anzitutto la penitenza e il nascondimento di sé. Chi lo vide raggiante di gioia tender le braccia all’abito bianco che il Priore gli porgeva, conobbe forse i disegni di Dio su quest’anima eletta, superiori assai alle vedute umane; ma non mancarono quelli che condannarono lui di inconsideratezza per essersi chiuse da se stesso tutte le vie che la fortuna avevagli aperto dinanzi, e i frati d’imprudenza e anche d’avarizia. In quel frattempo l’aio di Tommaso, a cui egli aveva candidamente palesata innanzi la sua decisione, aveva avvertito il Conte d’Aquino, che dimorava allora in Roccasecca. Ma il Conte non seppe forse la cosa che quando Tommaso era stato già accettato nell’Ordine. Sembra che poco dopo egli morisse; e si sa che la Contessa desolata si recò in Napoli per riavere a tutti i costi il figliuolo, anche perché la morte del marito pareva averne accresciuto in lei il diritto. Ella amava il suo Tommaso d’uno specialissimo amore, sapeva di non essere stata mai da lui contristata colla più leggiera disobbedienza; e forte si meravigliava, che, così docile com’era, avesse preso quella decisione senza nemmeno avvertirla! A Tommaso invece era parsa cosa tanto naturale, e tanto necessario da parte sua aveva veduto l’obbedir prontamente alla chiamata di Dio, che non aveva veduto probabile da parte dei pii genitori la minima opposizione. Del resto, di tali fatti non eran rari gli esempi in quella età; e questo giustifica anche i religiosi, che, del resto, vedevano nel giovanetto i più evidenti segni della chiamata di Dio. Purtroppo essi temerono opposizioni fin da principio, e si prepararono a difendere come un sacro diritto la vocazione di Tommaso. Saputo che la Contessa si era messa in viaggio per Napoli, vollero che il novizio evitasse quell’incontro, e lo fecero segretamente fuggire. Due religiosi Io accompagnarono al Convento di Santa Sabina sull’Aventino in Roma, ov’era fresco e vivo il ricordo del santo Fondatore. Forse fu lo stesso Tommaso che li pregò a non esporlo ai pericoli di quel colloquio; e sebbene fosse fermamente deciso, umilmente temé di se stesso. Teodora, dopo aver riempita Napoli dei suoi clamori, volle raggiungerlo a Roma. Al cuore di Tommaso sarebbe stato dolce rimanere in quel caro Convento ove ancora vivevano alcuni padri che erano vissuti col Santo Patriarca e dove trovava tutta la freschezza e semplicità di quei primi anni della vita domenicana. Ma i Superiori che avevano avuto sentore della cosa, lo avevano di nuovo fatto partire, perché prendesse la via della Francia.

6. — Fuga del Santo e suo arresto. La prima conquista.

Il buon novizio con quattro compagni se ne andava lieto, credendosi ormai sicuro, e cercando in paesi lontani la pace desiderata. Ma purtroppo eran pronte per lui altre lotte, e, per volere di Dio, altre vittorie. Bisognerebbe entrare nel segreto di quei tempi di contrasti feroci, in cui, pur di ottenere un intento, da nessun mezzo si recedeva, fosse pure il più indegno. A Tommaso d’Aquino i nobili parenti avrebbero volentieri concesso a suo tempo di vestire un abito ecclesiastico che lo stradasse a prelature o abbazie: la nota celebrità del casato, l’ingegno rarissimo che di giorno in giorno sempre più si rivelava, avrebbero aperto a lui le più splendide vie. Ma appunto queste vie egli aveva voluto chiuder tutte davanti a sé; e questa fu la ragione della lotta ch’ei sopportò da gigante. La madre di Tommaso, i fratelli, le sorelle non ascoltaron per allora che la voce della carne e del sangue. Teodora riuscì a sapere che il suo Tommaso batteva la via che da Roma conduce a Siena, e fece disperato appello ai due figli che militavano in quel momento ai servizi dell’Imperatore Federigo II, il quale aveva posto l’assedio a Viterbo: che in ogni modo cercassero il fratello per la via senese, ed arrestatolo, lo conducessero a lei. Il novizio, che era ormai vicino ai confini della Toscana, si vide presso Acquapendente assalito ad un tratto, circondato dalla soldatesca, e dagli stessi suoi fratelli strapazzato e costretto a separarsi dai suoi compagni, che si salvarono colla fuga, e, coll’abito mezzo lacero messo in groppa ai cavalli e condotto al patrio castello di Monte San Giovanni. – Fu questo il campo della lotta più fiera: qui Tommaso si mostrò veramente grande. Il primo incontro colla madre, armata di tutte le ragioni dell’umana prudenza, avvalorate dal più vivo affetto materno, fu per Tommaso un primo trionfo. Egli l’ascoltò in silenzio e con calma serena. Alle lacrime e preghiere di lei non si commosse, e a quelle voci del senso oppose una sola ragione: la volontà di Dio che lo chiamava e a cui doveva anzitutto obbedire. Di tale chiamata era sicuro, tanto viva gli si era fatta sentire nel cuore. Ma la povera madre non si arrese. Si separò dal figlio col proposito di tentare altre vie. Ordinò che si tenesse sotto custodia, e che soltanto alle due sorelle maggiori fosse permesso di visitarlo. Queste s’impegnarono ad aiutar la madre per ottenere l’intento. – Cominciò allora colle sorelle una seconda lotta, e fu davvero un maggiore trionfo; perché i colloqui colle sorelle, che soprattutto mettevano innanzi i diritti materni, furono da Tommaso volti a tal punto, che le due nobili giovinette sentirono man mano il loro cuore distaccarsi dai pensieri e dagli amori del secolo e fermamente desiderare e volere quello che il santo fratello desiderava e voleva. Anzi una di esse fin d’allora decise di consacrarsi a Dio: l’altra nell’esercizio delle più austere virtù passò poi la sua vita nel secolo. Alla madre, sulle prime, esse nulla rivelarono, per aver modo di recarsi liberamente dal fratello, dalle cui parole s’infervoravano sempre più. E al cuore di lui Iddio concedeva una calma ed una gioia ineffabile che lo avvalorava alle lotte future.

7. — La vittoria più bella.

E venne la lotta più terribile. Non tardò a scoprirsi il cambiamento avvenuto nelle sorelle, che tenevano segretamente informati di tutto i Domenicani. Questi, per mezzo loro, fecero pervenire al novizio un abito dell’Ordine ed alcuni libri di Filosofia e di Sacra Scrittura, nei quali tanto si deliziava, ed erano stati avvisati di stare all’erta nei pressi del castello per qualunque occorrenza. Ci duole il dire dell’infame pensiero che venne in mente ai due scostumati fratelli quando seppero dell’ostinazione di Tommaso. Farlo cadere, questo fu il loro diabolico intento; dalla vita di virtù farlo scivolare ad un tratto nelle vie della carne; questo mal passo sarebbe stato il più decisivo per fargli cambiare strada per sempre. Certamente alla madre essi non fecero trapelar nulla dello scellerato disegno. Una giovane dissoluta si prestò ai loro infami voleri; e mentre Tommaso una sera, a ora già tarda, stavasene solo nella sua carcere presso un focolare acceso, ella aprì cautamente la porta e si offerse a lui con tutte le grazie e le lusinghe della procacità femminile. La forza di Dio diè vigore in quel momento al cuore ed al braccio di Tommaso, che, vista la donna, non esitò un istante, e, con un tizzone acceso, si lanciò contro di lei per colpirla nella faccia. Dicono gli storici che il mite Tommaso fece quest’atto con grandissimo sdegno ». E mentre la donna fuggiva, egli, col tizzone stesso, delineava sul muro una croce e si gettava in ginocchio davanti a lei. – Fu questo il gran trionfo per cui la vita di Tommaso si abbellì di luce divina. A celebrarlo scesero gli Angeli del cielo, che si rallegrarono con lui, fatto ad essi più simile per quella vittoria, e cinsero i suoi fianchi di un cingolo sacro. – Corsero le sorelle e diedero avviso ai Domenicani, che penetrarono nella cinta più stretta del castello. Esse avevano preparato una cesta di vimini e una corda; e Tommaso, per le mani stesse delle due giovani sorelle, fu calato giù dal muro e scese nelle braccia dei frati, che nel buio della notte si diedero con lui alla fuga. Ai fratelli non fu dato nel momento di scoprir la cosa; e mentre essi forse già si allietavano della sua caduta, egli era già in via per il suo convento di Napoli.

VITA DELL’ANGELICO DOTTORE SAN TOMMASO D’AQUINO (2)