Questa breve lettera enciclica è una protesta che il Sommo Pontefice Clemente XIII elevava nei confronti del Re definito Cristianissimo francese contro le leggi e le misure emesse contro i legittimi interessi della Chiesa in quel Paese. La Francia, prima figlia della Chiesa Cattolica, mostrava le prime crepe prodotte nella popolazione e nell’ordine statale dalle sette eretiche e dalle logge dei liberi muratori operanti con alacrità contro il nemico di sempre: la Chiesa Cattolica. È un odio feroce che ha sempre spinto gli aderenti alla bestia satanica ad accanirsi contro il Corpo mistico di Cristo onde ferirlo, lacerarlo e – se possibile – distruggerlo. Questa lotta, iniziata all’indomani della Resurrezione e dell’Ascensione del divin Redentore, si concluderà alla fine dei tempi con il ritorno glorioso del Cristo, che annienterà i suoi nemici riducendoli a sgabello dei suoi piedi e sprofondandoli nello stagno di fuoco per l’eterna punizione. Ma il castigo, per i popoli si compie anche qua sulla terra, e la Francia ne è un lampante esempio con rivoluzione, guerre che hanno cancellato intere generazioni, destabilizzazione dell’ordine sociale, fino alla perdita attuale dell’identità culturale per cui l’islam ha soppiantato il Cristianesimo glorioso ed antico, ed una profondissima crisi economica sta già riducendo allo stremo una terra beneficata in ogni modo da Dio e dalla Mamma celeste. L’Apostasia poi dalla fede cattolica è evidente ed irreversibile per i costumi pagani ed epicurei inculcati in tutti gli strati sociali. Ma il conto sta già arrivando e sarà ancor più salato alla fine dei tempi, quando gran parte della popolazione, salvo un miracolo strepitoso dell’Altissimo, finirà con i suoi falsi profeti e le membra della “bestia” nello stagno di fuoco.
ENCICLICA
QUAM GRAVITER
DEL SOMMO PONTEFICE
CLEMENTE XIII
Ai Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi riuniti a Parigi in Assemblea generale.
Il Papa Clemente XIII.
Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.
1. Quanto gravemente siamo stati colpiti, allorché abbiamo letto i tre Decreti (Arrêts, come li chiamano) dello scorso 24 maggio, pubblicati dal Regio Consiglio del Re Cristianissimo, vi sarà facile comprendere; come li ricevemmo, fummo al contempo colpiti e sconcertati. Infatti, che sarà in seguito del divino potere della Chiesa se, quando le occorrerà praticare e valersi del suo diritto, e vorrà richiamare i fedeli all’obbedienza, dovrà soggiacere totalmente al cenno della laica potestà e non potrà esigere dai fedeli obbedienza maggiore di quella che torna a vantaggio del potere secolare? Quale linea di demarcazione stabiliremo, al fine di riconoscere i limiti di entrambi i poteri, se è nelle mani e nell’arbitrio del potere laico la facoltà di annullare qualunque decreto della Chiesa circa la Fede o la disciplina o le norme di comportamento? Voi vedete, Venerabili Fratelli, quanto la Chiesa sia oppressa in questa sorta di servaggio, e da quale grave iattura finirà per essere funestata la vigna del Signore. Inoltre non sfuggirà alla vostra perspicacia quale flagello si debba paventare, posto che il potere secolare rivendica a sé il diritto di riesaminare le Costituzioni degli Ordini Regolari e di affrontarne la riforma, senza consultare questa Santa Sede del beato Pietro, alla quale nessuno nega che occorra rivolgersi, trattandosi di siffatte questioni, come testimoniano gli esempi, non così rari, in codesto Regno.
2. Peraltro siamo convintissimi che al Re Cristianissimo non è stato prospettato quanti gravi abusi possono aver origine da quegli editti contro la Chiesa; e non dubitiamo che la sua grande rettitudine e il suo singolare rispetto verso la Chiesa provano ripugnanza per tali abusi. Pertanto a voi compete il dovere di sottoporre alla vista di quella Maestà Regia la prova evidente di quegli abusi, descritta a vivaci colori, e voi dovete compiere tale atto con particolare sollecitudine in quanto lo stesso Re Cristianissimo ha espressamente dichiarato di voler porgere benevolo e indulgente ascolto alle vostre eventuali recriminazioni, se vorrete rivolgervi a lui. Affinché Voi possiate più agevolmente essere ammessi al suo cospetto, Venerabili Fratelli, Noi scriviamo a quella Maestà Reale rivelandogli il profondo dolore che Ci provenne da quegli editti e Lo richiamiamo al suo sentimento religioso perché Vi ascolti con animo sereno, quando solleciterete il suo reale soccorso in modo che si rivelino alla Chiesa la sua forza operante e il potere che egli ebbe da Cristo Signore. E a Voi, Venerabili Fratelli, di cui non loderemo mai abbastanza l’ardentissimo zelo e l’amore verso Dio e la Sposa di Gesù Cristo, impartiamo l’Apostolica Benedizione con tutto l’affetto del Nostro animo.
Dato a Roma, il 25 giugno 1766, ottavo anno nel Nostro Pontificato.