IL SACRO CUORE DI GESÙ (39)

IL SACRO CUORE (39)

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi;

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ-

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero, 1919]

PARTE SECONDA.

Spiegazioni dottrinali. (3)

CAPITOLO VII.

OGGETTO PER ESTENSIONE: L’INTERIORE DI GESÙ

Il cuore di Gesù, emblema del suo amore, ci ricorda, nello stesso tempo, tutto l’essere intimo di Gesù: la vita del suo cuore, le sue virtù, ecc. — Da qui viene una prima estensione della divozione.

Una prima serie di divergenze, nelle spiegazioni di alcuni autori, ci hanno permesso di meglio spiegarci i due elementi essenziali della divozione al sacro Cuore, l’amore e il cuore, il cuore amante e l’amore del cuore. Ma la questione si presenta ora sotto un altro aspetto. È l’amore o, almeno, è unicamente l’amore che pretendiamo onorare? – La questione è risolta, almeno in parte. Infatti, i documenti ci dimostrano chiara una cosa; che la divozione al sacro Cuore, cioè, si presenta, prima di tutto, come la divozione al cuore amante di Gesù, all’amore del sacro Cuore. I testi che abbiamo citato, lo dicono il più chiaramente possibile; e se ne potrebbero accumulare all’infinito, che ci ridirebbero sempre la stessa cosa. Ma ce sono altri — e spesso sono i documenti medesimi — che indicano pure altra cosa, come oggetto della divozione, che la estendono a tutta la vita intima di Gesù, qualche volta a tutta la sua persona, ai suoi lavori, alle sue sofferenze, alle sue virtù, ai suoi sentimenti, alla sua presenza eucaristica, a Gesù tutto intero, designato sotto il nome di sacro Cuore. Per rendersene conto, basta leggere un trattato sul sacro Cuore ed esaminare qualcuna delle pratiche in onor suo. – Nessuno, meglio del P. Galliffet, ha dato l’idea vera e precisa della divozione. Esaminiamo ciò che egli dice sull’eccellenza della divozione al sacro Cuore di Gesù. « Se ne deve giudicare, dic’egli, dal suo oggetto, dal suo fine, dagli atti e pratiche di virtù che contiene, dal frutto che produce ». E sviluppa questi quattro punti. Che cosa dice dell’oggetto? « È precisamente dall’oggetto che una divozione ritrae la sua eccellenza, come ne ritrae il vero carattere. L’oggetto di questa, è il Cuore di Gesù». Il P. Galliffet continua col considerare questo cuore in sé stesso (L, II, c. I, art. 2, p. 72), e constata l’eccellenza:

a) « delle proprietà naturali del cuore », b) della sua unione con l’anima più perfetta e eccellente che sia mai stata, c) della sua unione col Verbo eterno, d) della funzione divina per cui fu formato e che non è altro che ardere incessantemente delle fiamme più pure e più ardenti dell’amor divino, e) della santità che gli è propria, f) « delle virtù di cui è sorgente ». Tutte cose, si vede bene, che sono indubitatamente in rapporto col cuore. E s’intravvede che il P. Galliffet forza un poco questo rapporto, presentando il cuore come « la sorgente » delle virtù e dei sentimenti. L’autore studia, in seguito, il cuore di Gesù, in rapporto agli uomini. « Considerate, dice egli, che questo Cuore divino vi si presenta tutto infiammato dell’amore che vi porta e tutto pieno di quei generosi sentimenti di bontà a di misericordia, ai quali siete debitori della vostra redenzione, e ricordatevi che è questo medesimo Cuore che ha risentito, così vivamente, tutte le vostre miserie, che è stato così crudelmente afflitto dai vostri peccati, e nel quale si sono formati tanti desideri ardenti della vostra felicità. Ma consideratelo, soprattutto nei dolori sofferti, per amor vostro nella sua passione ». – Qui, senza dubbio, l’amore è messo in prima linea, ma per quanto l’autore s’inganni vedendo meno il simbolo che il principio, l’amore non è solo, in vista. Vi è, pertanto, qualche considerazione ancora più chiara. Riassumendo, alla fine del cap. IV, libro I, la sua dottrina, sull’oggetto della divozione al sacro Cuore per darne un’idea « netta e perfetta », il padre Galliffet dice: « Molti vi prendono inganno. Sentendo pronunziare questo sacro nome: Cuore di Gesù, limitano i loro pensieri al cuore materiale di Gesù Cristo; non riguardano questo Cuore divino che come un pezzo di carne, senza vita e senza sentimento, come farebbero, presso a poco, di una reliquia santa, ma tutta materiale. Ah! come l’idea che si deve avere di questo sacro Cuore, è differente, è ben altrimenti magnifica! ». – Egli vuol dunque che si consideri, da prima, « come cuore unito intimamente e indissolubilmente all’anima e alla persona adorabile di Gesù Cristo…, cuore pieno di vita, di sentimento e d’intelligenza ». In secondo luogo, « come l’organo principale e più nobile delle affezioni sensibili di Gesù Cristo, del suo amore, del suo zelo, della sua obbedienza, dei suoi desideri, dei suoi dolori, delle, sue gioie, delle sue tristezze; come il principio e la sede di queste medesime affezioni e di tutte le virtù dell’Uomo-Dio ». In terzo luogo, « come il centro di tutti i dolori interni che ha sofferto per la nostra salute, e di più come cuore ferito crudelmente dal colpo di lancia, che ricevé sulla croce; infine come santificato dai doni più preziosi dello Spirito Santo e per l’infusione di tutti i tesori di grazia di cui è capace ». – « Tutto questo, continua l’autore, appartiene realmente a questo Cuore divino; tutto questo forma parte dell’oggetto della divozione al Cuore di Gesù ». E, come se questo non fosse abbastanza chiaro, conclude: « Si consideri dunque questo composto mirabile che risulta del cuore di Gesù, dell’anima e della divinità che gli sono unite, dei doni e delle grazie che racchiude, delle virtù e degli affetti di cui è il principio e la sede, dei dolori interni di cui è il centro, della ferita che ricevé sulla croce; ecco l’oggetto completo, per così esprimermi, che si propone all’amore e all’adorazione dei fedeli » (loc. cit. pag. 53, 54). Si faccia pur grande quanto si vuole la parte ad una fisiologia inesatta, ciò non potrà mai niente, lo vedremo, contro la divozione. Non è forse vero che onesto oggetto, sì ampio e sì esteso, scaturisce naturalmente dalla definizione ricevuta: « il culto del cuore di carne come emblema dell’amore di Gesù per noi » ? E quello che dice il P. Galliffet vien ripetuto, quasi parola per parola, dai postulatori del 1765, in un passo da cui abbiamo già estratto un brano ripetuto da molti altri in termini equivalenti. Gli autori moderni sono più circospetti nella scelta delle loro espressioni, nel definire l’oggetto proprio della divozione. Ma quando, nei loro svolgimenti, sono meno circospetti, arrivano a dire lo stesso. E bisogna ben riconoscere che l’idea viva della divozione trabocca da ogni parte, per confermare questa formula del cuore come emblema d’amore, e va a ricercare nel cuore di Gesù tutta la vita intima di Dio fatto uomo, tutte le ricchezze nascoste nella sua umanità e, per parlare come i Sulpliziani, tutto « l’interiore di Gesù ». Si leggano le litanie del sacro Cuore e vi si troverà conferma di ciò. E fu così fin dal principio. Ecco come si esprime il P. de la Colombière nella sua spiegazione « della offerta al sacro Cuore di Gesù ». « Quest’offerta, egli dice, si fa per onorare questo Cuore divino, la sede di tutte le virtù, la sorgente d’ogni benedizione, il rifugio di tutte le anime sante. Le principali virtù che si vogliono onorare in lui sono: in primo luogo, un amore ardentissimo per Iddio, suo Padre, unito con un profondissimo rispetto e con la .più grande umiltà che fosse mai; in secondo luogo, una pazienza infinita; e, in terzo luogo, una compassione sensibilissima per le nostre miserie, ecc. ». « Questo Cuore è sempre animato, per quanto gli è conveniente di esserlo, dagli stessi sentimenti, e soprattutto sempre infiammato d’amore per gli uomini ». Si potrebbero citare mille pagine dello stesso genere nella beata Margherita Maria. Come spiegasi questa anomalia, questa specie di sproporzione fra la definizione e l’uso, fra la teoria e la realtà? Senza porsi di fronte esplicitamente alla questione, gli autori la risolvevano praticamente in due sensi. Dapprima cercando di riferire tutto all’amore intimo di Gesù. La sua vita affettiva, non è forse tutta amore? E le varietà di questa vita affettiva, che cosa sono se non lo stesso amore, diversificato secondo le condizioni dell’oggetto?  È quello che già aveva detto sant’Agostino; quello che hanno ripetuto san Tommaso, Bossuet e tutti i discepoli di questi grandi maestri. Quello che non è amore in Gesù, è però sempre sotto l’influenza dell’amore. Perché i suoi dolori? Egli ha amato. Che cosa sono i suoi miracoli? Effetti della sua bontà e del suo amore. Se san Tommaso concepisce tutti gli atti buoni dell’uomo retto come prodotti sotto l’impero dell’amore (egli intende però l’amore per Iddio), non si potrebbe forse dire che tutta la vita di Gesù si compendia nell’amore di Dio e nell’amore del prossimo? Tutta la sua vita non è stata forse per il prossimo, come per Iddio? Questo ci dà certo una bella idea della divozione al sacro Cuore. Bisogna convenire, pertanto, che questa idea non esaurisce tutte le ricchezze della divozione, come la troviamo negli scritti del P. Galliffet, (potrei ben dire in tutti quelli della beata Margherita Maria) e come pur la constatiamo nella pratica dei fedeli. – Pur essendo essenzialmente quale lo abbiamo definito, il culto del sacro Cuore va ancor più lungi. Si può e si deve concepirlo come la divozione all’amore del sacro Cuore per noi. Perché ne è ben questa la sostanza secondo la parola già citata di Pio VI. Ma va anche più lungi; essa è la divozione al cuore vivente di Gesù, perché considera il cuore di Gesù secondo le condizioni in cui ci troviamo a riguardo del cuore umano. – Il cuore è soprattutto l’emblema d’amore. Ma il cuore vivo e vero non è solo questo. Di qui viene che la divozione al cuore vivo e vero di Gesù non vi onora solamente l’amore. Tutta la nostra vita intima e profonda ha i suoi rapporti col cuore; i nostri sentimenti vi si ripercuotono; tutta la nostra vita affettiva vi trova come un centro di consonanza per il quale ci si manifesta sensibilmente (Si sa che l’amore di volontà, come tutti gli atti della vita spirituale, non ha organo materiale per parlare propriamente. Ma qui non si fa questione d’organo o di principio, si tratta di concorso e di risonanza. Ora si sa bene che anche l’amore spirituale, quando è veramente e primamente un amore umano, si riversa sulla parte sensibile dell’uomo; ha il suo contraccolpo nell’organismo). – Ora, la nostra vita affettiva e la nostra vita morale, sono strettamente unite, tanto da non potersi dire se sono distinte l’una dall’altra. Così il linguaggio corrente, che è espressione delle realtà profondamente sentite, collega col cuore tutta la vita morale e affettiva dell’uomo; le virtù come i sentimenti, il primo impulso all’azione e i moventi intimi. Non si arriva perfino a dire che i grandi pensieri vengono dal cuore, e che il cuore ha delle ragioni che la ragione stessa non conosce? Non è forse vero che, quando Pascal parla di « Dio sensibile al cuore », traduce una realtà profonda e che « Dio sensibile al cuore » è altra cosa che la conoscenza puramente astratta e fredda del filosofo? Gesù stesso non si è forse rivelato a noi come dolce e umile di cuore e non vediamo noi forse, in ciò, una manifestazione del suo sacro Cuore? Ma, si dirà, non si tratta forse qui del « cuore metaforico » contro il quale ci si metteva in guardia, allorché si definiva la divozione al sacro Cuore? No. È al cuore reale che va il nostro pensiero. E non solamente come simbolo dell’amore, come un’eco interna che rivela coi suoi palpiti la vita affettiva, ma in quel modo che l’uso popolare, fondato su di una esperienza vaga ma sicura, riferisce al cuore la nostra vita intima, di cui vediamo in esso il simbolo e l’espressione, nello stesso tempo che scorgiamo la ripercussione del nostro stato affettivo e delle nostre divozioni morali. – Prima estensione della nostra divozione. Estensione, come si vede, legittima e naturale non appena si concepisce la divozione come riferentesi al cuore vivo e vero di Gesù, per onorare in esso tutto quello che è, tutto quello che fa, tutto quello che ricorda e rappresenta allo spirito. Considerata da questo punto di vista la divozione al sacro Cuore, non è solo la divozione all’amore del Cuore di Gesù, ma essa diviene la divozione a tutta la vita interiore del Salvatore, in quanto che quanta vita ha nel cuore vivente un centro di ripercussione, un simbolo o un segno di richiamo. – Vi è pure un’altra idea della divozione, idea ugualmente naturale e consacrata del pari dall’uso e fondata sul linguaggio corrente. È il passaggio dal cuore alla intera persona.

VIII.

OGGETTO PER ESTENSIONE: LA PERSONA DI GESÙ

Nuova estensione del culto. — Come e in qual senso il cuore significa e riassume la persona.

È sempre la persona che si onora quando si onora il cuore; come è la persona che si onora quando le si bacia rispettosamenté la mano. È la condizione del culto; né v’ha bisogno d’insistervi qui. Pio VI ha fatto giustizia delle accuse formulate a questo riguardo dal Giansenismo, come se i fedeli, onorando il sacro Cuore di Gesù, l’onorassero facendo astrazione della sacra Persona del Verbo incarnato. Sino dai primi giorni della divozione, la dottrina fu molto chiara a questo riguardo. Abbiamo già veduto il P. Galliffet insistere sempre più sull’unione del cuore alla persona divina del culto del sacro Cuore. Si può, diceva egli, rivolgere a questo Cuore divino delle preghiere, degli atti, degli affetti, delle lodi, in una parola tutto quello che si può rivolgere alla persona stessa, poiché infatti è la persona unita al cuore che lo riceve realmente. – Margherita Maria aveva già detto, con una perfetta chiarezza, che Gesù si compiaceva molto di essere onorato sotto la figura di questo cuore di carne. Il culto, in questo caso non è d’altronde puramente relativo, come quello che si rende a una immagine, come quello, pur anco, che si rende alla vera croce; perché il cuore fa parte della persona e ha in sé la dignità della persona di cui fa parte. Basta ricordare queste nozioni, perché non vi ha nulla in questo che sia proprio al culto che esaminiamo. La stessa cosa si applica in special modo al culto delle cinque piaghe, di cui una ci riconduce al cuor di Gesù. Che cosa è infatti, diceva il cardinale Gerdil (Animadversiones, § I, Opere t. V, p. 174, Napoli 1855), che cosa è la piaga del cuore, senonché il cuore piagato? Ma nella divozione al sacro Cuore, così come è accettata nella Chiesa, si trova un passaggio speciale dal cuore alla persona, che merita attenzione. Col trascurare di farne oggetto di nota: si confondono qualche volta le nozioni, e non si sa più come spiegare né il linguaggio della beata Margherita Maria, né il movimento del culto. Nel linguaggio abituale, la parola cuore è usata spesso per una figura che i grammatici chiamano sinedoche per disegnare una persona si dice: « È un gran cuore, è un buon cuore », per dire: È una grande, è una bell’anima. E quando diciamo: « Che cuore »! è la persona che designiamo direttamente, non è già il suo cuore. Ciò avviene, naturalmente, nella divozione al sacro Cuore. Margherita dice: Questo sacro Cuore, come direbbe: Gesù. Nei due casi, ella ha in vista direttamente la persona. E l’uso è divenuto ormai familiare di designare Gesù col nome di sacro Cuore. Non già, notiamole bene, che i due nomi siano sinonimi. Non si può dire, indifferentemente Gesù o sacro Cuore. Non si designa sempre la persona per il suo cuore. Per farlo bisogna avere in vista la persona nella sua vita affettiva e morale, nel suo intimo, nel suo carattere, nei principi della sua condotta. L’idea del cuore non sparisce, ma domina la frase; il cuore non designa la persona che sotto gli aspetti rappresentati dal cuore. Ma questo passaggio dal cuore alla persona, questo riguardar la persona nel cuore, dà alla divozione un andamento più libero, una importanza maggiore. Di qui segue che il sacro Cuore mi ricorda Gesù in tutta la sua vita affettiva e morale, l’interiore di Gesù, amabile e amante, Gesù modello e virtù. La vita di Nostro Signore può così concentrarsi tutta sul cuore: in tutti i suoi stati posso studiare quanto vi ha di più profondo, di più intimo, di più personale. Gesù si riassume tutto e si esprime nel sacro Cuore, attirando sotto questo simbolo espressivo il nostro sguardo e il nostro cuore sul suo Cuore e sulla sua amabilità. Gesù non è forse, in tutto e per tutto, amantissimo e amabilissimo? E Gesù non è forse tutto cuore? Eravamo già arrivati a constatare ciò per altra via, per quella del simbolo e della cooperazione del cuore alla vita affettiva di Gesù. Ma ora ci troviamo più a nostro agio nella divozione, grazie a questa specie di comunicazione d’idiomi fra ciò che conviene al cuore e quel che conviene alla persona stessa di Gesù riguardata in ciò che ha di più profondo e di più personale. Che cosa è per noi una statua del sacro Cuore ? Una statua nella quale Gesù, mostrandoci il suo cuore, cerca tradurre ai nostri sguardi tutta la sua vita intima, la sua amabilità e soprattutto il suo amore. – Grazie a questa nuova estensione, possiamo descrivere la divozione al sacro Cuore come la divozione a Gesù che si rivela a noi rivelandoci il suo cuore, nella sua vita intima e nei suoi sentimenti più personali, che, infine, non ci ripetono che amore e amabilità. Questa divozione, se così posso esprimermi, ci scopre il fondo di Gesù. Non è già che il cuore sparisca in questa nuova accettazione. È la persona stessa di Gesù che ce la dischiude, ripetendoci, come già alla beata Margherita Maria: « Ecco questo cuore ». E noi riguardando il cuore che ci viene dischiuso dinanzi, impariamo a conoscere la persona nel suo fondo. Così tutto Gesù si riassume nel sacro Cuore, come tutto il resto, secondo i divini disegni, si riassume in Gesù (Cf. RENÉ DU BOUAYS DE LA BÉGASSIÈRE, Notre culte catholique français du sacre Cœur, p. 7, Lyon 1901).

IX.

UN CARATTERE DISTINTIVO. L’AMORE MISCONOSCIUTO

L’idea dell’amore misconosciuto e oltraggiato. — Il suo posto nella divozione.

La divozione al sacro Cuore è dunque soprattutto la divozione all’amore, all’amabilità di Gesù, la divozione a Gesù così amabile e così amante. Si può ben dire che tutto è là, e che tutto viene di là. Ma vi è un tratto che la divozione mette in tal special rilievo e che le dà il suo carattere particolarmente commovente. Gesù non si accontenta di mostrare il suo cuore ferito d’amore, con la sua tenerezza squisita, con la sua generosità, che va « sino a esaurirsi e consumarsi per dimostrar loro (agli uomini) il suo amore ». Ci mostra pure questo amore misconosciuto, oltraggiato da quelli stessi da cui aveva maggior diritto di aspettarsi la corrispondenza e che per vocazione avrebbero dovuto amarlo di più. Dopo aver detto: « Ecco questo cuore che ha tanto amato gli uomini ». aggiunse: « E per riconoscenza, non ricevo, dalla maggior parte, che della ingratitudine, e con le loro irriverenze e i loro sacrilegi, con la freddezza, il disprezzo che hanno per me in questo sacramento d’amore. Ma quello che mi è ancor più sensibile, è che vi siano dei cuori a me consacrati che agiscon così » (Mémoire nella Vìe et Oeuvres, t. II, p. 355, 2.» edizione, p. 413; G. n. 92, p. 102). Commentando queste parole il P. Galliffet scrive: « Bisogna osservare ancora un punto essenziale della natura della nostra divozione, ed è che l’amore da cui è infiammato il suo divin Cuore deve essere considerato come un amore disprezzato e offeso dall’ingratitudine degli uomini…. Il Cuore di Gesù Cristo deve esser dunque considerato qui sotto due rapporti: da una parte come infiammato d’amore per gli uomini; dall’altra come offeso crudelmente dall’ingratitudine di questi uomini stessi. Questi due motivi, uniti insieme, devono produrre in noi due sentimenti ugualmente essenziali alla divozione verso questo sacro Cuore: cioè, un amore che risponda al suo e un dolore che ci muova a riparare le ingiurie che si son fatte dalla durezza degli uomini » (T. I, cap. IV, P . 43). Il primo grido della divozione al sacro Cuore è: Quale amore! Il secondo : L’amore non è amato! È  questo che spiegano a lungo i postulatori del 1765: « Bisogna notare, dicono essi, che il sacro Cuore deve essere considerato sotto due aspetti; dapprima come traboccante d’amore per gli uomini…. ; poi come crudelmente ferito dall’ingratitudine degli uomini, satollato d’oltraggi e reso degno così non solo del nostro amore, ma della nostra compassione pur anco » ( Memorie n. 34, 38; NILLSE, t. I, p. 117, 120). – Gesù non soffre più; non può più soffrire, ma l’oltraggio, da parte degli uomini, non è meno reale; essi farebbero tutto quello che dipenderebbe da loro per farlo soffrire, se per la sua condizione attuale non fosse al sicuro dei loro colpi! V ha ancor di più ; tutti questi oltraggi piombarono veramente sul suo cuore ; Egli ne soffrì, quant’era possibile soffrire. Nella sua passione, non risenti solo le ingiurie dei Giudei e dei Romani; non seppe solo dell’ingratitudine dei suoi concittadini e dell’abbandono dei suoi amici. L’avvenire e il passato ebbero il contraccolpo nei suoi dolori e vi si concentrarono. Se dunque Gesù non soffre più nel presente, ha però sofferto del presente; e i fedeli non hanno torto di rappresentarselo sofferente, perché ha veramente sofferto per le offese del presente. Senza contare che ci è sempre permesso di trasportarci nel passato per compatire Gesù, poiché l’avvenire d’allora è il presente d’oggi. È possibile che qualche volta il modo di esprimere di tutto ciò non sia rigorosamente esatto. Ma è ben certo che l’esattezza dell’espressione potrebbe correggersi senza toglier nulla alla verità profonda delle cose e all’impressione che devono produrre. È sempre vero, in ogni modo, che la beata Margherita Maria ha veduto il sacro Cuore coronato di spine e sormontato dalla croce, e lo ha spiegato molto bene vedendovi il segno di una grande realtà: « Era circondato, il sacro Cuore da una corona di spine, a significare le punture che i nostri peccati gli facevano, e aveva una croce al disopra a significare che, non appena questo sacro Cuore fu formato, vi fu piantata la croce » (Lettres inédites, IV, p. 141; riveduto su G. CXXXIII, p. 567). La Chiesa conosce bene queste maniere psicologiche di sopprimere il tempo e lo spazio; la sua liturgia è piena di questi riflessi della eternità divina proiettati sul nostro mondo passeggiero e incostante. – Queste spiegazioni erano necessarie per far comprendere come la divozione al sacro Cuore può rappresentarci Gesù oltraggiato. Ma questo rapporto del presente con la passione non è la sola, né  probabilmente la principale ragione dello stretto rapporto che esiste tra la devozione al sacro Cuore e il ricordo dei dolori di Gesù.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.