F. CAYRÉ:
SPIRITUALI E MISTICI DEI PRIMI TEMPI (8)
Trad. M. T. Garutti Ed. Paoline – Catania
Nulla osta per la stampa
Catania, 7 Marzo 1957 P. Ambrogio Gullo O. P. Rev. Eccl.
Imprimatur
Catanæ die 11 Martii 1957 Can. Nicolaus Ciancio Vic. Gen.
CAPITOLO VIII
ALTRE TENDENZE SPIRITUALI
Le analisi che abbiamo fatto, anche se sommarie, hanno mostrato nella Chiesa antica una forte vitalità spirituale. I molteplici rami e gli abbondanti frutti testimoniano del vigore della radice, come pure della sua origine trascendente, divina, poiché la stessa storia sacra lo dichiara espressamente e le opere confermano le sue rivelazioni. Ci resta da gettare un colpo d’occhio generale su questo insieme di fatti spirituali, evocati in queste brevi pagine, per individuarvi i punti di contatto. Li troveremo nelle tendenze profonde dei gruppi spirituali che abbiamo incontrato dovunque in queste evocazioni, per rapide che siano state. Per tenerci tuttavia a ciò che vi è di più caratteristico, collegheremo tali tendenze alle grandi Scuole dottrinali della Chiesa antica, seguendoli d’altronde nel loro adattamento, relativo ma reale e fecondo, alle nuove condizioni che si imposero alla cristianità fin dalla metà del I secolo.
Scuola di Alessandria
Alessandria fu chiaramente un punto d’incontro provvidenziale fra lo spirito cristiano, fondato sulla fede, e lo spirito greco fondato sulla ragione. L’origenismo, che è il frutto più evidente di tale incontro, restava fondamentalmente cristiano di animo e di cuore, a dispetto di certe audacie degli iniziatori, audacie che i migliori Vescovi di Alessandria seppero temperare, nel III e soprattutto nel IV secolo, poi nel V; basti citare Sant’Atanasio e San Cirillo, due nomi dalla gloria sfolgorante. Non tutti i dottori alessandrini furono origenisti, tutt’altro; ma tutti i Cattolici di questa scuola ebbero in eredità, come caratteristica, un gusto molto accentuato per le cose di Dio. Le cose divine erano veramente il punto di partenza di tutte le loro speculazioni e il termine diretto del loro sforzo ascetico, quando si davano all’ascesi come Sant’Antonio, o l’incoraggiavano a fondo, come fece efficacemente Sant’Atanasio. Questi monaci, che osservavano digiuni prolungati ed erano sempre in lotta con il demonio, erano d’altronde avidi di silenzio e di preghiera, e le consacravano lunghe ore del giorno e della notte. Il patriarca di Alessandria che ne testimonia con ammirazione merita di essere preso alla lettera (v. sopra). – Un celebre rappresentante della pietà alessandrina di spirito origenista fu Evagno il Pontico (+ 399), monaco di Nitria, dove Origene fu lungamente in onore. Lui stesso veniva dal Ponto, beneficiava di una grande cultura, aveva frequentato San Gregorio a Costantinopoli, e godeva di un alto prestigio. San Massimo il Confessore gli deve il meglio del suo pensiero: i tre gradi dell’ascesa spirituale; la dottrina dell’apatheia nell’esercizio delle virtù e la funzione dell’amore nella preparazione alla contemplazione; la teoria della preghiera pura, contemplazione da cui è esclusa ogni immagine. Egli dovette usare, nella sua opera abbastanza vasta e complessa, formule pericolose che lo compromisero gravemente e lo fecero condannare come origenista, due secoli più tardi. San Cirillo di Alessandria (+ 444) doveva essere, nel V secolo, la grande autorità spirituale dell’Egitto. Egli ha meglio di chiunque altro messo in luce la funzione dello Spirito Santo come principio santificatore in ogni Cristiano. Senza dubbio tutta la Trinità ci santifica, ma lo fa per mezzo dello Spirito « che è il suo profumo e la sua qualità o la sua virtù che fortifica », la « fonte d’acqua viva che feconda per la vita eterna », il « sigillo che si imprime (nelle anime) per restituire loro la somiglianza divina ». È pure su questa azione dello Spirito Santo che Cirillo, come tutti i Padri del IV secolo, si basa per provarne la divinità. Lo Spirito Santo deifica, dunque è Dio; per comunicare il fuoco ci vuole del fuoco; bisogna essere Dio per rendere partecipi della divinità. Lo Spirito Santo, che è Dio, si unisce all’anima che Egli santifica in una semplice unione morale, relativa ma vera, strettissima e fecondissima, come si era unito al primo uomo, ed è così che l’uomo è « deificato ». – Le formule che abbiamo citate, le immagini usate per tradurre una realtà profonda, esprimono a meraviglia il carattere realistico della pietà alessandrina. Lungi dal negare la grazia santificante, come si è creduto a torto, Cirillo l’attribuisce in proprio allo Spirito Santo; tale appropriazione spiega tutto, a patto di appoggiarsi bene sulla concezione greca della Trinità: si possono allora ricercare le analogie esistenti fra la giustificazione e gli attributi personali dello Spirito Santo, analogie che sono il vero fondamento dell’appropriazione. Tale realismo della fede, portata così fino al misticismo, è la caratteristica più saliente della tradizione alessandrina, preoccupata di mettere in tutto l’accento su Dio e l’azione divina nelle anime.
Scuola di Antiochia
La scuola di Antiochia, soprattutto a partire dal IV secolo, praticava particolarmente una specie di alto moralismo cristiano, divino sotto molti aspetti, ma più vicino alla realtà umana. Il suo modello migliore ci è dato da San Giovanni Crisostomo. A torto lo si è accusato di origenismo; Sant’Epifanio, ingannato dapprima dalle perfide calunnie di Teofilo di Alessandria, ha riconosciuto il suo errore, e Teofilo stesso non ha invocato nessuna delle sue accuse al conciliabolo della Quercia. Infatti Crisostomo si ricollega piuttosto alla scuola anti-origenista, quella di Antiochia. D’altronde, un solido senso tradizionale gli fece evitare i pericoli cui potevano condurre le tendenze di quella scuola, alla quale doveva tutta la sua formazione religiosa scientifica. Specialmente in cristologia, egli ha mantenuto con cura l’unità personale del Salvatore, evitando le formule dualistiche troppo recise del suo maestro Diodoro; afferma che il Cristo è uno, pur paragonando la sua umanità a un tempio in cui Egli abita. Si astiene, del resto, dallo scrutare il mistero. In che modo Cristo è uno? Non cercatelo, dice; Cristo lo sa. Aveva agito egualmente per la questione trinitaria. Uno dei grandi rimproveri che rivolge agli anomei è di voler « comprendere » Dio. Egli aveva il senso del mistero e questa umiltà, come la sua docilità alla tradizione, lo preservò dagli scogli. I pelagiani pretesero che egli negasse il peccato originale; Sant’Agostino li confutò e con ragione. Malgrado non si trovi nella sua opera una teoria del peccato originale così precisa come presso il Vescovo di Ippona, la dottrina di una caduta dell’umanità vi è chiaramente affermata. Sant’Efrem Siro, creatore di una celebre scuola ad Edessa, dove si ritirò quando i Persiani invasero Nisibi dopo il 360, si ricollega, fin nel suo misticismo, ai maestri di Antiochia, e con il meglio delle sue tendenze spirituali prepara le vie a San Giovanni Crisostomo. È nei monasteri che egli ha esercitano la maggiore influenza ed essa è di ordine ascetico e morale, fondata sulla fede più salda, sostenuta da una vera devozione verso la Vergine Maria. – Alla, base di questa dottrina troviamo l’affermazione molto esplicita della libertà. L’uomo è stato fatto a immagine di Dio, per mezzo della libertà e del dominio che ha su tutta la creazione; per mezzo della sua attitudine a ricevere i doni di Dio; per mezzo della facilità con cui il suo spirito può tutto concepire e applicarsi a tutto. Nei progenitori, tale immagine naturale di Dio era accompagnata da preziosi doni soprannaturali, comportanti una certa luce esteriore, che velava ai loro sguardi la loro nudità e non era che un riflesso dei doni spirituali della loro anima. Tutto questo è stato perduto col peccato, ma la libertà, per quanto indebolita e malata, sussiste: Sant’Efrem è molto categorico su questo punto. L’uomo decaduto ha bisogno della grazia, ma questa l’aiuta senza violenza, senza distruggere la libertà. Sant’Efrem considera volentieri la vita cristiana come un combattimento spirituale. Egli fornisce armi contro tutti i vizi, soprattutto contro i vizi capitali: raccomanda in modo particolare il digiuno, la temperanze, la preghiera, la lettura dei Libri Santi. Fra le virtù che sembra preferire, segnaliamo la carità, la verginità, la pazienza, l’umiltà, la penitenza, di cui tratta spesso. Insegna con forza la vanità dei beni di questo mondo e spinge le anime ferventi al ritiro. Innumerevoli sono le istruzioni che ha indirizzato ai monaci; segnaliamo soltanto un piccolo trattato « sulla vita spirituale », un altro sulla formazione dei monaci e due opuscoli « sulla virtù, a un novizio ». Esiste infine di lui, semplice diacono, un piccolo scritto che esalta la dignità dello stato sacerdotale e la santità che esso esige. È ancora alle tendenze ascetiche di Antiochia, sembra, più che alla teologia alessandrina, che bisogna collegare l’opera del vescovo di Fotikè, in Epiro, Diadoco, « Cento capitoli sulla perfezione spirituale », che è un capolavoro. L’autore visse nel V secolo e non è conosciuto se non per la sua attività spirituale, specialmente contro gli euchiti, falsi mistici dell’Asia Minore (condannati ad Efeso nel 431), che spiegavano le tentazioni per mezzo della coabitazione nell’uomo di Dio e del demonio. La sua opera molto saggia contiene eccellenti consigli, per la lotta contro le passioni e il diavolo; raccomanda le virtù morali più comuni, continenza, temperanza, povertà, obbedienza, umiltà, ma con insistenza particolare sulla vita interiore: preghiera, raccoglimento, silenzio, pace del cuore. Tuttavia il fondo della dottrina esposta da Diadoco è soprattutto mistica ed è quanto vogliamo qui presentare a grandi linee. I primi capitoli, I e II, pongono le basi: le virtù teologali tendenti a dare un gusto spirituale di Dio che è una vera sapienza; essa si manifesta in esortazioni apostoliche, quando la sua abbondanza stessa non toglie la parola. L’essenza della sua dottrina è questo « gusto spirituale » di Dio che riempie l’anima di dolcezza, frutto della presenza divina. Il « gusto di Dio » è un vero senso interiore con cui lo Spirito Santo forma le anime a immagine del Creatore. È con tocchi successivi che l’artefice divino realizza la sua opera nelle anime. In questa formazione progressiva, Diadoco distingue tre tappe: un periodo di dolcezze, all’inizio della vita spirituale; poi un lungo periodo di lotte contro gli assalti del demonio e dei sensi, con cui l’anima si purifica e tende al perfetto possesso del senso per mezzo dello spirito; quando tale senso le è accordato, essa ne è tutta trasformata. In una simile anima si sviluppa spesso una attività infusa, molto profonda, della carità che « oltrepassa la fede » (supra fidem consistere), poiché « colui che si lega a Dio con un’ardente carità è allora ben più grande della sua fede; egli è tutto intero nel suo desiderio ». Questo desiderio, atto di una carità arricchita dal senso dello spirito, la stabilisce in uno stato più elevato della semplice fede imperfetta.
Scuola d’Occidente
Nella stessa epoca, agli inizi del V secolo, finiva di formarsi e di maturare nell’Africa latina un’opera dottrinale che doveva, provvidenzialmente, sintetizzare i migliori elementi spirituali delle antiche scuole e trasmetterli all’Occidente prima dell’invasione barbarica. Da Cartagine e da Ippona, che erano i suoi grandi centri di azione, Sant’Agostino poteva, di fatto, irradiare sull’Europa e sull’Oriente, dopo aver lui stesso beneficiato dei nuovi apporti della vastissima cultura spirituale che rispondeva al suo genio, tutto rivolto verso i grandi problemi del pensiero e della vita. Si ricollegherebbe già con la sua filosofia alla scuola di Alessandria, se non fosse necessario guardarsi da ogni eccesso. Il genio di Platone l’aveva conquistato fin dall’età di diciannove anni, ma in realtà non lo conobbe a fondo che a trent’anni, attraverso testi di Plotino recentemente tradotti che l’entusiasmarono, a dispetto delle riserve sempre più gravi che la sua fede rinascente, ravvivata dall’influenza di Sant’Ambrogio a Milano, sollevava e di cui le Confessioni conservano il ricordo. Al di là di Plotino, è a Platone che egli va istintivamente, sempre più, fino a non vedere più altro che lui, come farà trent’anni dopo nella Città di Dio. È infatti in un Dio puro Spirito che troverà il vero centro delle idee, centro tutto trascendente, e tuttavia agente sul capolavoro clic è lo spirito umano, certo sostanzialmente unito al corpo, ma ben superiore al corpo, essendo chiamato alla vita immortale, e avendo, malgrado le sue cadute, alti destini. – Questa profonda filosofia dello spirito, d’altronde non è che un’ancella per Agostino, un’ancella meno osservata in se stessa che nella sua attività ausiliaria, al servizio della teologia vivente, per mezzo della quale si ricollega, più ancora che ai filosofi, ai grandi Dottori cristiani di Alessandria, provvidenzialmente conosciuti a Milano attraverso Sant’Ambrogio, che trovava in essi le fonti inesauribili della sua vita cristiana e della sua predicazione. – Al tempo stesso poneva le sicure basi dottrinali di una morale viva, cristiana di ispirazione. La nota essenziale di tale sintesi è il senso di Dio e sono le Confessioni che ne danno lo spirito. L’opera descrive la presenza e l’opera di Dio vivente nell’autore — i libri IX e X sono tra i migliori in questo senso — compiuta e fissata in lineamenti decisivi nel XIII, secondo un metodo che si appoggia meno sulla Scrittura che su quell’altissima esperienza mistica orientata verso l’azione e verso la preghiera. I libri XI e XII sono un saggio di applicazione di tali principi ai primi capitoli del Genesi, secondo un metodo di superiore ricerca dottrinale, attratta dai grandi problemi, e specialmente da quello del Tempo, che l’autore ritiene essere uno di quelli in cui meglio si manifesta la differenza fra il Creatore, che vive fuori del tempo, nell’eternità, come nel suo centro di azione e di riposo, e la creatura che vi si trova sempre rinchiusa, qualunque cosa faccia. Questi e altri analoghi problemi furono ripresi nei dodici libri su lì Genesi alla lettera, vera Summa di domande e di profonde risposte sui punti più elevati della scienza naturale e soprannaturale dell’epoca. Anche se l’opera è scientifica, non si può dimenticare il quadro spirituale in cui è nata e il tempo in cui è stata realizzata. – Negli stessi anni infatti Sant’Agostino affrontava il suo capolavoro sulla Trinità, che spinge a fondo le indagini sulla divinità stessa, considerata specialmente nelle sue Persone. Evidentemente la Scrittura darà il suo contributo, ma la ragione ne raggrupperà i dati e li arricchirà con una serie di analisi e di sintesi che prepareranno da lontano i lavori delle università medievali. Le pagine sulla relazione, fondamento della personalità in Dio, sono geniali. Ma più importanti ancora e più nuovi sono gli otto ultimi libri di quest’opera (VIII-XV), in cui l’autore, con una penetrazione e una sottigliezza ineguagliate, osserva l’anima umana da molteplici punti di vista, per trovarvi un’immagine della vita trinitaria più rassomigliante possibile. – Gli alti voli della Scuola di Alessandria, le rigorose ricerche scritturali e morali della Scuola di Antiochia trovano così, nell’opera di Sant’Agostino, una vera sintesi vivente. Vi trovano anche il loro compimento, poiché durante gli ultimi vent’anni della sua vita egli dovette scrutare un altro aspetto del Cristianesimo, quello che è concentrato nella Città di Dio, opera di teologia più che di storia, nonostante il grande posto che vi occupa la storia. Di fronte alle rovine sociali di cui egli intravede l’imminenza, il suo pensiero si eleva alla sola città immutabile, alla vita celeste in cui gli eletti formeranno una vera società imperitura; i tempi che la precedono non hanno significato e valore duraturo per gli uomini che nella misura in cui questi possono volgergli verso tale fine e li orientano, di fatto, verso di esso. – Tali sono gli elementi generali della sintesi dottrinale che Sant’Agostino lasciava, morendo, in eredità all’Occidente di cui doveva essere il maestro per eccellenza sul piano dottrinale. Non è sicuro che le loro vere linee di forza siano state bene osservate e mantenute. – Le controversie pelagiane hanno obbligato il Santo a prendere posizioni di resistenza irrigidite dalla lotta e che la visione d’insieme potrebbe e dovrebbe attenuare, specialmente l’importanza di una profonda sapienza soprannaturale, fondata su una vera vita dello spirito, senza detrimento per l’unità sostanziale dell’uomo o per l’universalità dell’appello degli uomini alla salvezza. Le restrizioni su questi punti furono il risultato di diverse riduzioni del vasto piano spirituale costruito da Agostino ad altezze cui ci si eleva troppo raramente, per il rischio di comprometterlo. – Fra quelli che esposero con maggiore autorità e ampiezza la sua dottrina spirituale, bisogna segnalare soprattutto San Gregorio Magno, che l’aveva presa per guida e ispiratrice fin da prima del suo pontificato, e che approfittò dell’autorità che gli veniva dalla sua carica, durante quattordici anni (590-604), per applicarne i principi alla vita cristiana universale. Prima di lui, ad Arles, un monaco prete, Fornero, aveva esposto i suoi principi in un volume spirituale consacrato alla vita pastorale, sotto questo pio titolo « Vita contemplativa ». San Gregorio riprende questo tema e lo applica specialmente ai monaci nei suoi « Moralia », e con essi è tutta la Chiesa che ne ha beneficiato. In realtà, l’opera non è così nettamente morale, né pastorale, ma piuttosto spirituale, nel senso stretto e attuale del termine, spingendo la spiritualità fino al misticismo, poiché il pensiero del Papa si spinge fin là sulla linea agostiniana. SantAgostino pone, nell’ordine spirituale, dei principi: essi sintetizzano alti valori che erano già riconosciuti, almeno sostanzialmente, fin dall’antichità cristiana, specialmente in Oriente, e che dovevano essere apprezzati e realizzati soprattutto nella vita cristiana in Occidente. – L’influenza di San Gregorio doveva segnare d’altronde molto efficacemente queste realizzazioni nelle cristianità occidentali per mezzo del posto effettivo, preponderante, che poté mantenervi il Papato, erede del potere delle chiavi affidato a San Pietro e centro gerarchico indispensabile all’unità vera per l’intera Chiesa. Tale autorità si fece particolarmente attenta nell’istituzione monastica, di cui la Chiesa d’Occidente ebbe tanto bisogno e da cui trasse tanti vantaggi nelle epoche più tormentate della sua storia. Tali sostegni dottrinali e pratici dovevano essere eminentemente benefici, anche se gli effetti non si manifestarono che più tardi in tutta la loro ampiezza.
Scuola bizantina
In Oriente la Chiesa era allora molto provata, in numerose località, anche se il centro creato da Costantino restava inviolato e raggruppava intorno a sé, almeno di nome, gli antichi patriarcati del IV secolo. Costantinopoli ridivenne sempre più Bisanzio, a partire dal IV secolo, a dispetto delle sue grandezze, non soltanto politiche, ma religiose, le sole che qui ci interessano. Con le secessioni prodotte dalle eresie, che divennero vere piaghe nazionali (nestorianesimo, soprattutto in Siria; monofisismo, predominante in Egitto), secessioni aggravate dalla spinta dei Persiani e degli Arabi al sud, e degli Slavi al nord, Bisanzio divenne un bastione superbo ma isolato, nonostante la magnifica ripresa di influenza al sud e all’ovest. Tale bastione almeno era cristiano, se si intende con ciò l’intervento ufficiale della religione in tutti gli ingranaggi dello Stato e in tutte le branche della società. Quanto al fondo spirituale, bisogna esaminare più da vicino. – Costateremo anzitutto nella Chiesa di Bisanzio l’esistenza di ciò che si potrebbe chiamare « la scuola bizantina », titolo che giustifica il mantenimento, almeno nominale, di una influenza dottrinale esercitata da questa Chiesa sui Cristiani detti « ortodossi », parola che designa le Chiese orientali formate da Costantinopoli e rimaste fedeli al suo spirito. Ma il suo territorio a partire dal VI secolo si era molto ristretto, poiché, malgrado tutto il prestigio di Giustiniano e i suoi effimeri trionfi in Occidente, l’impero si infranse nell’Oriente meridionale. Ripiegato su se stesso, si mantenne e fece più tardi conquiste spirituali presso gli Slavi che avevano ricevuto la fede cristiana. Da ciò l’interesse che si accorda a questo gruppo religioso e al suo spirito. – La Chiesa bizantina restò saldamente cattolica fino al IX secolo e oltre, nonostante le crisi che la lacerarono. Chiusa in se stessa e dominata dalla Corte, non ebbe veri pensatori paragonabili ai maestri delle antiche scuole di Oriente. Ne ha conservato, un po’ coagulato, il ricordo grazie ai tre gerarchi cui essa si rifaceva, San Basilio e San Gregorio Nazianzeno, questi neoalessandrini del IV secolo, e San Giovanni Crisostomo, gloria di Antiochia, aureolato dal martirio, poiché il suo esilio e la sua morte tragica servirono molto alla sua causa. Questi nomi sono infatti ricordi di gloria più che forze ispiratrici di vita. La stessa eloquenza che domina in questa Chiesa fu più formale di quella di tali antichi maestri. Essa avrà almeno il merito di trasmettere alla Chiesa la testimonianza di una ardente pietà mariale, poiché è nelle sue omelie che si sono trovati gli omaggi più belli all’Immacolata Concezione di Maria e alla sua Assunzione. – Fra i maestri che caratterizzarono il pensiero e la spiritualità bizantina, bisogna segnalare « Dionigi l’Aeropagita », questo teologo che scriveva indubbiamente ai confini della Siria e dell’Egitto, probabilmente alla fine del V secolo, che fu introdotto a Costantinopoli sotto Giustiniano, nel IV secolo, e vi fu chi si acclimatò definitivamente nel, VII secolo per opera di San Massimo il Confessore. L’Aeropagita metteva al servizio di una sicura fede cristiana una filosofia neoplatonica molto accentuata, benché la sua utilizzazione in teologia fosse abbastanza superficiale, più verbale che profonda, a differenza dell’uso che ne aveva fatto Sant’Agostino in Occidente. Tuttavia questo incontro aveva il suo valore e può segnare veri accostamenti dottrinali. Quanto alla sua mistica, essa è più formale che potentemente realizzata. – Il vero maestro spirituale della Chiesa bizantina è San Massimo il Confessore, teologo profondo, morto martire per difendere l’umanità di Cristo contro i monoteliti, nel VII secolo. La sua teologia, difatti, si accompagnava con una ardente devozione verso l’Uomo-Dio, di cui raccomandava con fervore l’imitazione, fin dalle prime pagine di uno scritto ascetico; e del resto la sua mistica, strettamente legata alla carità, si espandeva in contemplazione. Egli temperava così l’intellettualismo di Dionigi in questo campo, pur utilizzando le sue vedute sulle « gerarchie » in una « Mistagogia » che si ispira a tale autore. Massimo è uno dei migliori maestri spirituali dell’antichità, il più sicuro della Scuola che egli rappresenta per noi perfettamente. Tempera felicemente, in profondità, ciò che questa Scuola, sotto l’influenza molto brillante della Corte imperiale, aveva di splendente all’esterno, nella liturgia e nell’arte come nell’eloquenza un po’ fittizia anche dei migliori oratori religiosi. San Massimo era monaco. Per questo titolo si ricollegava a quella élite cristiana che aveva prima fuggito le città per trovare la pace di Dio, e le aveva poi invase per portarla alle anime esposte a pervertirsi. Di fronte ai richiami al lusso e al fasto mondano che la corte di Bisanzio incarnava agli occhi delle masse, di fronte al sontuoso palazzo del basileo, i monaci presentavano l’esempio vivente di una vita di raccoglimento, di penitenza e di preghiera. Gli imperatori iconoclasti soprattutto soffrirono di tale contrasto nell’VIII secolo e tentarono con ogni mezzo di spezzare tale resistenza distruggendo il monachesimo, poiché i monasteri erano il luogo di asilo preferito dei difensori delle icone. Gli studiti brillarono per la loro energia in questa lotta, da cui uscirono definitivamente vincitori dopo cento anni e più di lotte. Quasi sempre i Vescovi cedettero davanti alla volontà imperiale; i monaci fecero invece fronte unico, sostenuti dal Papa, la cui autorità era riconosciuta dalla Chiesa bizantina (le Novelle stesse, inserite da Giustiniano nel Codice, ne sono testimonianza), finirono per trionfare definitivamente nel IX secolo. – La festa dell’« ortodossia », stabilita nell’843, evoca questa epopea religiosa in un senso storicamente cattolicissimo, benché le interpretazioni che ne sono state date in seguito le diano un ben diverso significato. L’ortodossia autentica si appoggia sulle caratteristiche della Chiesa che il simbolo di Costantinopoli, nel 381, riconduce a quattro e che la liturgia bizantina stessa fa ripetere ogni domenica: « Unam sanctam catholicam et apostolicam Ecclesiam ». Un orientale, Sant’Ireneo, nel II secolo, venne a ricordare all’Occidente chequesta cattolicità e questa apostolicità delle Chiese erano,di fatto, realizzate per mezzo dell’unione con laChiesa di Pietro che è a Roma. La Chiesa bizantina,di cui abbiamo parlato, lo sapeva, specialmente nelle sueélites spirituali, e ciò fu la sua forza. L’ortodossia,lungi dall’essere un criterio di verità, ne richiama uno,chiaro e netto. La Chiesa bizantina può trovarlo, sempreparlante nella sua storia e nella sua liturgia, perpoco che lo si liberi dalle scorie depositate dalle passioni su un fondo storico glorioso e fondamentalmente cristiano. La Scuola bizantina, ben capita, può trarre dal loro « isolamento » funesto tutte le Chiese che si rifanno ad essa e che spesso vegetano spiritualmente per mancanza del sostegno della cattolicità. E quale vasto campo di irradiamento per lei!