F. CAYRÉ:
SPIRITUALI E MISTICI DEI PRIMI TEMPI (7)
Trad. M. T. Garutti Ed. Paoline – Catania
Nulla osta per la stampa
Catania, 7 Marzo 1957 P. Ambrogio Gullo O. P. Rev. Eccl.
Imprimatur
Catanæ die 11 Martii 1957 Can. Nicolaus Ciancio Vic. Gen.
CAPITOLO VII.
GLI ASCETI CRISTIANI
Iniziatori nel IV secolo
L’ascetismo che prenderemo qui in considerazione, è una via di perfezione organizzata su un piano dottrinale e sociale ad un tempo. Bisogna quindi aspettare il IV secolo per trovare i suoi veri promotori nell’antichità. Vi furono certamente principi di perfezione per tutti nella Chiesa, sin dall’origine, semplici echi d’altronde dei precetti evangelici. Vi furono altresì ferventi Cristiani, uomini o donne, che si votarono alla ricerca di questo ideale; vissero per lo più isolati nel loro ambiente cristiano o familiare, senza formare un gruppo particolare orientato verso questo scopo. Le vergini erano, una élite delle antiche comunità « parrocchiali » piuttosto che un gruppo separato. Bisogna aspettare il IV secolo per trovare l’ascetismo organizzato che doveva caratterizzare così fortemente la vita cristiana, prima orientale, poi occidentale. Sant’Antonio è, a buon diritto, ritenuto un iniziatore e non è il caso di contestargli questo titolo. Il San Paolo eremita, descritto da San Girolamo, è in parte una edificante creazione del narratore. Ben diversa è la narrazione di Sant’Atanasio, dalla quale soprattutto conosciamo il grande monaco egiziano, morto centenario nel 356. Fin dal 360, Sant’Antonio ebbe la propria vita descritta dallo stesso patriarca di Alessandria, suo amico, e questo libro fu ad un tempo una rivelazione e un incitamento per l’intera Chiesa. Ma già tutto l’Oriente cristiano conosceva il monachesimo egiziano al principio del secolo. Fin dal 275, verso i 25 anni, Antonio aveva preso alla lettera l’invito di Cristo alla rinunzia totale, e si esercitava alla vita di preghiera nella solitudine, prima vicino al suo villaggio natio, nel medio Egitto, non lontano dal Nilo, più tardi nel deserto, in direzione del mar Rosso. Lo raggiunsero assai presto centinaia di discepoli, dei quali egli divenne il maestro e il consigliere circa i mezzi per tendere alla perfezione evangelica. – L’idea fondamentale è il disprezzo dei beni creati, che sono nulla davanti a Dio. Il principio ispiratore del movimento è il contrasto del finito e dell’infinito. Ma si sbaglierebbe riportando tutto ad una concezione filosofica. È la parola di Cristo e il suo esempio che decidevano le anime, illuminate dallo Spirito Santo: il dono della scienza, diranno più tardi i maestri, ha precisamente il compito di far comprendere la vanità del creato, mentre l’intelligenza penetra in profondità il messaggio del Salvatore. La dottrina specifica dei solitari è un’ascetica a due facce. La lotta contro il diavolo vi è in onore fin dagli inizi e questo aspetto è particolarmente illustrato sia dalla vita stessa di Sant’Antonio, sia dal discorso in cui Sant’Atanasio ha riassunto l’insegnamento del padre del monachesimo. Un vigore morale straordinario si manifesta dovunque: sia nella fermezza della fede nel Cristo e nella sua opera redentrice, che si afferma nel trionfo sul demonio; sia in una attesa della vita futura che dà un carattere escatologico molto spiccato alla dottrina, se non al senso di imminenza della venuta del Cristo — forse si esagera questo aspetto — almeno al senso di valore predominante; sia nella fiducia nella vittoria finale sulle forze infernali; sia nelle leggi piene di saggezza del discernimento degli spiriti, Sant’Antonio ebbe, nella stessa Africa, imitatori di grande levatura: nel basso Egitto, Nitiia vide migliaia di monaci raggrupparsi intorno a Sant’Ammonio verso il 325; e a Scetea, all’imbocco del deserto di Libia, San Macario il Grande ne attirò ben presto altrettanti con la sua reputazione di austerità. Una pia emulazione, a volte ardente, regnava nei due gruppi, che restavano chiaramente fedeli alla formula eremitica di Antonio. È nell’Alto Egitto, risalendo il Nilo verso l’Etiopia, che si trovano i primi grandi centri cenobitici, creati verso il 320 da San Pacomio (+ 346) a Tabenna, su un’isola del Nilo. Un’organizzazione più rigida si riscontra poco dopo, ad Atrepa, non lontano da Tabenna, ispirata dall’austero Schenudi ( + 450), mentre a qualche distanza si costituivano centri cenobitici femminili, sotto la stessa ispirazione. L’istituzione monastica doveva uscire dall’Egitto verso la metà del IV secolo e stabilirsi soprattutto in Oriente, in luoghi dal clima meno favorevole. La si vede abbastanza rapidamente prosperare in Siria, nella regione di Antiochia, dove San Giovanni Crisostomo e San Girolamo verranno a formarsi alle ardue lotte dell’ascesi. Essa era già stabilita a quell’epoca in Cappadocia e nel Ponto, ad opera di San Basilio. L’Occidente, fu raggiunto dalle rivelazioni di Sant’Atanasio, provvidenzialmente esiliato a Treviri; ma i grandi sviluppi tarderanno un poco. Nella Gallia, alla metà del IV secolo, San Martino fonda Ligugé vicino a Poitiers, poi Marmoutier, vicino a Tours, da cui derivano numerose fondazioni. Il Sud del paese seguirà ben presto il movimento, sotto questo impulso, e quello di Sant’Onorato e di Cassiano, mentre Sant’Agostino lo lancia nell’Africa latina ove raggiunge un particolare splendore. Tali fondazioni, precedendo l’arrivo dei Barbari in Occidente, furono provvidenziali: posero le basi di una formazione cristiana in profondità, che le rovine dell’impero rendevano più che mai necessaria, e prepararono da lungi quel rinnovamento cristiano che si imparò ovunque dopo il duro urto con i barbari.
I monaci, maestri spirituali per eccellenza
Il monachesimo portava in germe troppe ricchezze spirituali perché non diventasse un fuoco capace di irradiarsi. La Chiesa intera doveva ben presto beneficiarne, poiché le meditazioni solitarie avevano permesso agli spiriti migliori di penetrare a fondo il cristianesimo. Se tutte le verità rivelate ne furono approfondite, all’occorrenza, quelle che maggiormente attrassero l’interesse degli asceti furono le leggi della vita interiore: è qui senza dubbio che bisogna ricercare il migliore apporto delle loro ricerche e delle loro esperienze religiose. San Basilio, l’iniziatore del monachesimo al centro dell’Asia Minore, Ponto e Cappadocia, ha lasciato opere spirituali di prima qualità, che oltrepassano il quadro di una regola nel senso giuridico della parola. Le « Grandi Regole » fanno eco alle Piccole Regole, sul piano delle applicazioni, ma sempre collegandosi alla dottrina più che alle pratiche particolari della vita religiosa. Non c’è nel IV secolo — né in seguito, nell’epoca antica — un Ordine basiliano, come non ci sarà un Ordine benedettino. I Moralia del santo indicano, meglio che la parola Regole, il suo vero campo di osservazione e di influenza. Tutti i Cristiani potranno trarre largo profitto da questi testi tratti dalla Scrittura e commentati su un piano di perfezione evangelica universale. È chiaro tuttavia che i monaci, che ne erano i veri destinatari, ne furono anche i principali beneficiari. – L’Asia Minore, grazie a San Basilio, divenne uno dei centri di irradiamento del monachesimo in Oriente sul piano dottrinale. Il Santo trovò seguaci nella sua famiglia stessa: oltre che dalla sorella maggiore, Santa Macrina, che aveva fondato un monastero di religiose nel Ponto, sull’Iris, fu seguito dal fratello minore San Gregorio, futuro vescovo di Nissa, che scriverà, insieme con la vita di Santa Macrina, un trattato sulla Verginità particolarmente celebre e quattro altri opuscoli sulla perfezione nel mondo o nei monasteri. In altri ambienti, sempre in Asia Minore, troviamo monaci scrittori, notevolissimi per la loro dottrina ascetica. Evagro ( + verso il 399), detto il Pontico (cioè nato nel Ponto), illustrerà il grande monastero egiziano di Nitria, dove egli incarnerà un origenismo prudente e sobrio; San Nilo, l’asceta (+ verso il 430) del Sinai, veniva pure dall’Asia Minore ed era stato discepolo di San Giovanni Crisostomo, come probabilmente Marco l’Eremita, suo contemporaneo: tutti e due furono scrittori spirituali molto fecondi, e la loro influenza durò molto a lungo. – Tuttavia, nessuno di questi autori eguagliò in prestigio San Giovanni Crisostomo che, prima di essere prete di Antiochia e grande predicatore, aveva vissuto come monaco sulle montagne circostanti e si era dato ad una vita di intensa preghiera, di cui beneficiò tutta la sua opera, poiché la profondità della sua eloquenza è proporzionata al fervore della sua vita cristiana. È alla vita monacale che consacrò le sue prime opere scritte; la difese contro i detrattori che la calunniavano; l’esaltò come una vera filosofia, sul piano della sapienza, e come una condizione superiore a quella dei re sul piano umano; vi spinse i suoi migliori amici, e vi sarebbe rimasto o ritornato se l’obbedienza non l’avesse costretto ad accettare il sacerdozio e più tardi l’episcopato. Durante il suo esilio nella Tauride, abbastanza vicino ad Antiochia, continuava ad agire e vivere come monaco e fu questa fama di austerità uno dei motivi che lo fecero allontanare da una corte sospettosa, decisa a perderlo. La voce maggiore del Cristianesimo orientale si era formata alla scuola di Libanio e Demostene, ma più ancora a quella di San Paolo, letto e meditato nelle solitudini dell’alta Siria. All’epoca dei trionfi oratori di Crisostomo ad Antiochia, ritornava a Dio colui che doveva essere la voce cristiana dell’Occidente, Sant’Agostino, più giovane di lui di qualche anno e convertito nella epoca in cui l’oratore orientale cominciava la sua predicazione. Agostino stesso salì sulla cattedra episcopale nel 391 e, durante quasi 40 anni, non cessò di parlare al suo popolo, e all’intera Chiesa di Occidente, poiché la sua parola è così ricca e così cattolica che riecheggerà di secolo in secolo nel mondo latino fino ai nostri giorni. – La profondità deriva senza dubbio dal suo genio, ma anche manifestamente dalla profonda fonte cui attingeva il meglio della sua ispirazione, la solitudine monacale. Fin dalla sua conversione egli realizzava un sogno di vita contemplativa che accarezzava da lungo tempo e di cui maturò il piano nel suo lungo ritiro di Cassiciaco. Mise in esecuzione tale piano a Tagaste, poi ad Ippona, come prete, infine come Vescovo, conducendo, con tutti i suoi preti, una vita comune che era una lontana anticipazione delle forme migliori del monachesimo sacerdotale ulteriore. Egli ha scritto poco in questo campo, rispetto alla sua immensa produzione letteraria. Ma questa stessa produzione testimonia della fecondità dell’istituzione. La sua Regola è il primo codice conservato del cenobitismo occidentale: codice più spirituale che giuridico che ebbe una immensa diffusione in ambienti diversissimi. Essa serve tutt’oggi come legame efficacissimo fra comunità, del resto molto differenziate, sia di uomini che di donne. Egli stesso sapeva aggiungervi le opportune precisazioni a seconda degli ambienti: nel suo trattato sul « lavoro dei monaci » impone ad alcuni le occupazioni manuali; nei sermoni (355-356) espone come era regolata la vita comune dei chierici di Ippona raggruppati nel monastero attorno al loro Vescovo. La preghiera è l’anima di questa vita religiosa. Egli raccomandava, ad esempio, la parola e la penna, per lodare degnamente Iddio e le sue « Confessioni » sono un modello immortale. – San Girolamo non fu così segnato dal monachesimo, ma vi partecipò un poco, in Oriente all’epoca in cui San Giovanni Crisostomo si allenava nell’ascesi. Restò sempre fervente fautore dell’ascetismo e lo propagò con fervore a Roma prima, fra le matrone e le vergini, e più tardi a Betlemme. Le sue lettere ascetiche sono celebri ed ebbero un’influenza decisiva in taluni ambienti. Egli fu, nella sua azione, il legame fra l’Oriente e l’Occidente. – Nella stessa epoca, ma in senso inverso Cassiano (+ 435), antico discepolo di San Giovanni Crisostomo, venne a stabilire il monachesimo a Marsiglia. Fece conoscere al mondo latino il segreto, delle solitudini egiziane nelle sue famose « Conferenze » (Collationes Patrum), raccolta di conversazioni con i maestri spirituali più in vista in Egitto, alla fine del IV secolo. L’insieme della sua opera è eccellente, benché occorra attenuare alcune pagine della conferenza 13, in cui la necessità della grazia non è abbastanza chiaramente riconosciuta. Un’altra opera di ascesi orientale, un poco posteriore, può venir qui segnalata, poiché condensa a meraviglia l’insieme della spiritualità monastica di quei tempi : è « La scala del Paradiso » di San Giovanni Climaco, monaco del VI e VII secolo, siriano di origine e senza dubbio abate del Sinai. Il suo scritto è un vero codice spirituale, perfettamente ordinato verso l’esercizio perfetto delle tre virtù teologali e particolarmente della carità. L’opera è una bella sintesi delle direttive spirituali date alle giovani reclute della solitudine da parte dei migliori e più sicuri maestri.
Organizzatori della vita monastica a partire dal VI secolo
Il monachesimo non attese il VI secolo per organizzarsi, come abbiamo visto. Tuttavia, in quest’epoca ha fatto un particolare sforzo sotto questo punto di vista, soprattutto in Occidente. Trascuriamo le questioni dottrinali che agitarono a volte i monasteri, come l’origenismo in Oriente, o il semi-pelagianesimo in Occidente, per limitarci alle forme stesse della vita religiosa, in cui si verificò una certa evoluzione, un reale progresso. San Cesario d’Arles, senza essere monaco, ebbe sul monachesimo un’influenza considerevole per la sua posizione di primato nella vasta regione occupata dai Visigoti prima, poi dagli Ostrogoti, nel sud della Gallia, fino alla conquista franca da parte di Childeberto, il quale, nel 536, cambiò la situazione senza compromettere i vantaggi acquisiti dalla Chiesa. Egli legiferò soprattutto per i monaci e le monache, ispirandosi alla Regola detta di Sant’Agostino; ne adattò una ai monaci, l’altra alle monache, con qualche leggero ritocco che, rispetta il fondo primitivo e l’ispirazione generale, in un quadro di austerità molto accentuata. Venivano moltiplicati i digiuni e i lunghi uffici, senza riguardo per gli usi più correnti nella liturgia monacale. Questa nota di austerità si ritrova molto più accentuata nelle fondazioni derivate dal monachesimo irlandese. Il Cristianesimo si stabilì tardi nell’isola, che doveva divenire l’isola dei Santi, dopo la sua evangelizzazione da parte di San Patrizio (+ 461). La critica ha messo in discussione molti punti della sua attività, ma la sostanza resta intatta: nessuno gli contesta il suo grande apostolato come Vescovo, dal 432; i primi tentativi di un’organizzazione gerarchica, con Armagh come sede episcopale e numerosi monasteri come centri ausiliari. I neofiti si precipitarono in massa verso i conventi, che divennero ben presto fiorenti, frementi di generosità apostolica; il paese, appena conquistato alla fede, divenne un focolaio di apostoli e inviò numerosi missionari sul continente stesso che lo aveva appena evangelizzato. – Il centro principale di questa fioritura cristiana, dopo Armagh, fu Bangor sulla costa nord-orientale, di fronte alla Scozia. I monaci vi si raggrupparono a migliaia, senza detrimento per altri centri religiosi molto fiorenti. La fede irlandese sbocciò in un fervore tutto spontaneo, con le caratteristiche proprie al paese. La fiducia nel valore umano, lo slancio eccessivo verso l’ascesi spiegano la posizione di Pelagio, campione e predicatore di una austerità che giunse fino all’eresia. Tuttavia molti si mantennero immuni da tali estremismi condannati dalla Chiesa e diedero prova di una esemplare generosità nell’assoggettarsi alle più rigide pratiche di austerità. Essi furono, in questo campo, coraggiosi fino all’imprudenza e praticarono l’eroismo quasi istintivamente, stando alle tradizioni meglio affermate. La regola d’altronde vegliava alla conservazione di tale fervore, e le violazioni venivano represse molto duramente. Come in Oriente, la preghiera c il lavoro riempivano la giornata del monaco. Ma vi si aggiungeva un elemento nuovo, molto caratteristico: lo spirito missionario. – Questa « peregrinazione per Dio » è molto diversa dai viaggi di informazione e di edificazione che i monaci d’Oriente intraprendevano spesso, da eremo a eremo, in cerca di lezioni e di buoni esempi. Se vi furono talvolta degli abusi, vi furono anche veri successi, come testimoniano le « conferenze spirituali » di Cassiano. Era un apostolato dottrinale e spirituale che i migliori di tali « visitatori » avevano in vista. I monaci viaggiatori irlandesi furono, nel significato attuale della i parola, veri missionari, senza detrimento per la vita monastica. La loro azione si esercitava per mezzo della formazione di gruppi religiosi, capaci di condurre i pagani alla fede e i Cristiani a una vita più perfetta. Tutta l’Europa occidentale, specialmente le due sponde del Reno, e i fianchi del Giura e delle Alpi, beneficiò ampiamente di tale afflusso apostolico. San Colombano resta il tipo classico del monaco missionario irlandese. Trascinato dallo spirito di zelo, a cinquant’anni creò in Gallia, intorno a Luxeuil, una vera colonia monacale, di cui fu capo e che armò di un saldo spirito apostolico.. Cacciato di là dopo trent’anni, riprese il suo peregrinare e partì verso l’Oriente, fondando ancora monasteri in Germania, Svizzera, L’Italia. La sua ultima fondazione fu quella del celebre Momonastero di Bobbio, nella valle del Po. Era il 614, un anno.prima della sua morte. Egli resta celebre, oltre che per il suo zelo infaticabile, per la sua austerità che più tardi verrà felicemente temperata dallo spirito benedettino. È a San Benedetto infatti (+ fra il 543 e il 553) che si ricollega lo sforzo più importante nell’organizzazione del monachesimo nell’antichità. L’abate di Monte Cassino attinse alle regole precedenti più conosciute, in Oriente e in Occidente; quelle di San Pacomio, di San Basilio, di Sant’Agostino, di Cassiano, come pure alle vite dei Padri. Ciò che meglio caratterizza la sua regola, è l’istituzione di una salda gerarchia, la stabilità di vita e la moderazione delle pratiche imposte, sia nella preghiera che nel lavoro; moderazione del resto relativa, perché le sue esigenze sono ancora gravi ed impongono un autentico sforzo. Il tutto è sostenuto da una spiritualità sobria, accessibile a tutti, proporzionata sapientemente al carattere e alla cultura dei monaci aggregati. L’introduzione del sacerdozio, sotto l’impulso di San Gregorio Magno, contribuì molto allo sviluppo di una spiritualità adatta ai bisogni interiori delle anime, senza attentare ai quadri stabiliti dal fondatore. Questo insieme di elementi gerarchici e dottrinali fece della Regola di San Benedetto una delle forze maggiori della Chiesa, in un’epoca in cui le élites spirituali non potevano formarsi e resistere fuori dei monasteri. – San Gregorio diede anche un forte impulso all’organizzazione liturgica, e rafforzò notevolmente su questo punto la vita monastica, specialmente nell’ordine benedettino, che ha sempre trovato nella liturgia uno dei maggiori punti di appoggio. La salmodia e il canto sono stati regolamentati, nelle loro grandi linee, sulla base dei principi posti o precisati al tempo di San Gregorio e sotto la sua ispirazione. La Chiesa ha vissuto della liturgia benedettina per dei secoli ed è ancor oggi una riserva di impareggiabili ricchezze a cui si attinge a larghe mani. – Costantinopoli, brillante capitale dell’impero d’Oriente, divenne anch’essa un vero centro monastico: i conventi, soprattutto maschili, si moltiplicarono nella città stessa, nei suoi dintorni e sulle due sponde del Bosforo. Fra di essi vi era soltanto un legame spirituale, basato specialmente sugli scritti di San Basilio, le Grandi e le Piccole Regole. Bisogna tuttavia segnalare una creazione originale che prelude da lontano a molte istituzioni posteriori del Medioevo occidentale: quella degli Acemiti, letteralmente i « non dormienti ». Si tratta infatti di una specie di adorazione perpetua fondata su un’organizzazione degli uffici liturgici tale da assicurare un canto ininterrotto. L’iniziatore in questo campo fu Sant’Alessandro il Siriano, che aveva creato un monastero del genere nel suo paese, vicino all’Eufrate. Egli tentò invano di fondarne un altro ad Antiochia, e più tardi a Costantinopoli, verso il 430, ma vi riuscì pienamente sulla costa dell’Asia, a poca distanza dal Bosforo. Raggruppò parecchie centinaia di monaci, fino a quattrocento, di diverse lingue, che furono ripartiti in gruppi che si succedevano al coro per assicurarvi la laus perennis. Per quanto interessante, tale istituzione non costituiva che una forma ausiliaria del monachesimo bizantino. L’istituzione acemita soffrì molto dell’interminabile guerra iconoclastica che, durante più di un secolo, decimò i più ferventi monasteri bizantini. Vi fu una bella ripresa con gli Studiti, i quali, fin dalla fine del VIII secolo, poterono riorganizzarla in piena capitale, precisamente allo Studion. San Teodoro vi raggruppò i monaci a centinaia, ed essi ripresero il meglio delle antiche tradizioni, aggiungendovi ora l’iconografia, di stile ieratico, caro alla pietà bizantina. Il concilio di Nicea ne aveva riconosciuto la legittimità. Questo culto si è perpetuato fino ai nostri giorni, con grande profitto della pietà monacale e di tutta la pietà cristiana. Resta ancora una delle caratteristiche della vita religiosa in Oriente, specialmente a Bisanzio.