CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (28)
PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA
Brixiæ, die 15 octobris 1931.
IMPRIMATUR
+ AEM. BONGIORNI, Vic. Gen
TESTIMONIANZE DEI CONCILI ECUMENICI DEI ROMANI PONTEFICI, DEI SANTI PADRI E DELLE SACRE CONGREGAZIONI ROMANE CHE SI CITANO NEL CATECHISMO
DOMANDA 543a
S. Agostino, In Epist. Joannis ad Parthos, VIII, 1:
« Le opere di misericordia, i sentimenti d’amore, la retta devozione, la purezza di castità, la moderazione della sobrietà, sempre devon essere praticate…. son tutte virtù interiori. E chi è in grado di enumerarle tutte? È come un esercito del condottiero, che risiede nell’anima tua. Ebbene, a quel modo che un condottiero fa per mezzo dell’esercito quel che gli pare, così Gesù Cristo Signore, nel metter dimora nell’uomo, vale a dire nell’anima, per la fede (Agli Efes., III, 17) si vale, come coadiutori suoi, di codeste virtù ».
(P. L., 35, 2035 ss.).
DOMANDA 547a
S. Ambrogio, De Mysteriis, 42:
« Hai ricevuto l’emblema spirituale, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di prudenza e fortezza, spirito di scienza e di pietà, spirito di timor santo: e tu conserva quel che hai ricevuto. T’ha contrassegnato il Padre, t’ha confermato Cristo Signore e ti ha dato pegno in cuore lo Spirito ».
(P. L., 16, 419).
Il medesimo, De Sacramentis, III, 8:
« Segue (il Battesimo) contrassegno spirituale…. perché dopo esso, rimane il perfezionamento, quando per invocazione del sacerdote viene infuso lo Spirito Santo, Spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di prudenza e fortezza, spirito di scienza e pietà, spirito di timor santo: quasi le sette virtù dello Spirito ».
(P. L., 16, 453).
DOMANDA 549a.
Leone XIII, Encicl. Divinum illud munus, 9 mag. 1897:
« All’uomo giusto, inoltre, se cioè vive la vita della grazia divina ed esercita colle virtù, per così dire, le sue facoltà, occorrono assolutamente que’ sette cosidetti doni dello Spirito Santo, grazie a’ quali l’anima è armata e fortificata, sicché più facilmente e più prontamente obbedisce a’ suoi cenni e impulsi. Perciò questi doni hanno tanta efficacia da sollevarlo alla vetta della santità e sono così eccellenti da sussistere tali e quali, benché in modo più perfetto, nel regno de’ cieli ».
(Acta Leonis XIII, XVII, 141).
DOMANDA 552a.
Leone XIII, Encicl. Divinum illud munus, 9 mag. 1897:
« E per opera appunto di tali carismi l’animo è destato e trasportato a desiderare e conseguire le beatitudini evangeliche, le quali, come i fiori della primavera, son segno e annunzio dell’eterna beatitudine ».
(Ibid.).
DOMANDA 566a.
S. Girolamo, Adv. Jovinianum, II, 30:
« Ci son peccati leggeri e ci sono i gravi. Altro è il debito di diecimila talenti, altro quello d’un quadrante…. Tu vedi perché otteniamo perdono, se l’imploriamo per peccati piccoli, mentre è difficile ottenerlo per peccati gravi: vedi che c’è gran distanza tra peccati e peccati ».
(P. L., 23, 327).
S. Cesario d’Arles, Serm. 104, 2:
« E, benché l’Apostolo enumeri parecchi peccati capitali, noi però diciamo in breve quali sieno, per non sembrar di ridurre a disperazione: il sacrilegio, l’omicidio, l’adulterio, la falsa testimonianza, il furto, la rapina, la superbia, l’invidia, l’avarizia; e, se a lungo covata, l’ira; e l’ubbriachezza abituale è pur computata nel numero di essi. Difatti chiunque sa d’essere schiavo di qualcuno di essi, se non si corregge degnamente e, avendo tempo, non ne fa assai lunga penitenza e non abbonda in elemosine e non si astiene da essi per l’appunto, non potrà purgarsi soltanto in quel fuoco transitorio, di cui parla l’Apostolo, ma lo tormenterà senza rimedio l’eterna fiamma. È utile anche, benché a tutti sia noto quali sieno, accennare alcuni almeno de’ peccati veniali, che dirli tutti sarebbe troppo lungo. È peccato veniale prender cibo e bere più del necessario, parlare senza misura o tacere più di quel che occorre…. Non crediamo che all’anima rechino morte simili peccati; però la contaminano con una specie di pustole e di orribile scabbia, sicché non può presentarsi che a stento, o almeno con grande confusione, all’abbraccio dello Sposo celeste… Se poi non ci ricordiamo di ringraziar Dio nella tribolazione, nè di redimere i peccati colle buone opere, staremo al purgatorio fino a quando que’ peccati veniali, come legna, stoppia o fieno, sien consumati. Ma qualcuno potrebbe dire : Non m’importa quanto vi starò, purché giunga alla vita eterna. Nessuno dica così, fratelli carissimi, perchè quel fuoco purgativo sarà più doloroso d’ogni pena che a questo mondo si può pensare, o vedere, o sentire ».
(P. L., 39, 1946).
DOMANDA 570a.
S. Pio V, Costit. Ex omnibus afflictionibus, 1 ott. 1567, prop. 20 tra quelle condannate di Baio:
Non c’è alcun peccato che di natura sua sia veniale; ma ogni peccato merita la pena eterna ».
(Du Plessis, 1. c. III, II, 110)
DOMANDA 583a.
S. Basilio M., Homilia in Psalm 33:
« Quando t’invade bramosia di peccato, vorrei che pensassi al terribile e intollerabile tribunale di Cristo, nel quale siederà il giudice sopra un altissimo trono e assisteranno tutte le creature, tremando alla gloriosa vista di lui. Vi sarem condotti anche ciascuno di noi, a rispondere delle azioni compiute in vita. Ai grandi peccatori si faranno subito intorno angeli terribili e deformi, con facce infiammate e spiranti fuoco, palesando così la crudeltà del proposito e del volere, simili in volto alla notte, per il dolore e l’odio contro il genere umano. Inoltre vorrei tu pensassi al baratro profondo, alle fitte tenebre, al fuoco senza splendore, capace di bruciare, ma privo di lume; poi una specie di vermi che inoculan veleno e divoran le carni, non mai sazii di rodere e per la furia del rodere intollerabilmente tormentosi. Finalmente, supplizio più di tutti molesto, quell’ignominia e confusione senza fine. Temi queste cose e preso da questo timore poni un freno nell’anima e reprimi il desiderio del peccato.
(P. G., 29, 370-1).
DOMANDA 585a.
Concilio di Trento : Vedi D. 74.
DOMANDA 586a.
Benedetto XII; Vedi D. 62.
S. Agostino, De anima, II, 8:
« Insomma ignoravi proprio quel che (Vincenzo Vittore) crede giustamente e salutarmente cioè che le anime son giudicate all’uscir da’ corpi, prima di presentarsi a quel giudizio, dov’esse dovranno esser giudicate, dopo rivestito il proprio corpo, e o patire o gioire in quella carne, colla quale han vissuto? Chi insordì contro il Vangelo con tanta ostinazione della mente da non intendere o non credere intese tali verità nel povero che, dopo morte, fu accolto in seno ad Abramo e nel riccone, di cui è descritto il tormento giù nell’inferno? »
(P. L., 44, 498).
DOMANDA 588a
Concilio di Firenze, Decretum prò Græcis:
« Similmente, le loro anime son purificate dalle pene del purgatorio, se muoiono davvero pentiti nell’amor di Dio, prima d’aver sodisfatto con degne opere di penitenza ai peccati in opere ed omissioni; e che, per esser alleviate da tali pene, giovano loro i suffragi de’fedeli che sono ancora in vita, cioè le S. Messe, le preghiere e le elemosine e le altre opere di pietà, che, secondo le norme della Chiesa, sogliono farsi da’ fedeli per gli altri fedeli. Inoltre son subito accolte in cielo a contemplare apertamente Dio uno e trino, com’è, l’uno più perfettamente dell’altro in proporzione de’ meriti, l’anime di quelli, che dopo ricevuto il battesimo non si macchiarono affatto di colpa, oppure si son purificate o in vita o, spoglie de’ loro corpi, come s’è detto quassù. Ma l’anime di quelli, che muoiono in peccato mortale attuale o nel peccato originale soltanto, subito scendono agl’inferi per una punizione però diversa ».
(Mansi, XXXI, 1031).
S. Giovanni Damasceno, De fide ortodoxa, IV, 27:
« Dunque risorgeremo coll’anima ricongiunta di nuovo al corpo, esente ormai da corruzione, e ci presenteremo dinanzi al tremendo tribunale di Cristo, e allora il diavolo e i suoi ministri e l’uomo suo, cioè l’Anticristo, e gli uomini empii e delittuosi saran dannati al fuoco eterno; fuoco, cioè, non a somiglianza del nostro, ma quale Dio sa. Invece quelli che hanno fatto bene rifulgeranno come il sole in compagnia degli Angeli nella vita eterna, col Signor nostro Gesù Cristo, per vedere ed esser veduti sempre e godere perciò d’una gioia che non verrà mai meno, lodandolo col Padre e collo Spirito Santo per infiniti secoli di secoli. Così sia ».
(P. G., 94, 1228).
DOMANDA 589a.
Concilio IV di Laterano: Vedi d. 179; Concilio di Firenze, d. 585; Benedetto XII, d. 62; Pio IX, d. 162.
Papa Vigilio, Adv, Origenem, can. 9:
« Sia scomunicato chi dice o pensa ch’è temporaneo il castigo de’ demonii e degli empii e che avrà una fine, oppure che avverrà la riabilitazione e la reintegrazione de’ demonii e
degli empii ».
(Mansi, IX, 534).
DOMANDA 59la.
Concilio di Firenze : Vedi D. 588.
S. Gregorio Magno, Dialogus, IV, 43:
« Unico è il fuoco dell’inferno, ma non tormenta nelmodo medesimo tutti i peccatori, perchè laggiù ciascuno patisce tanto quanto esige la sua colpa ».
(P. L., 77, 401).
S. Agostino, De Fide, spe et caritate, 3:
« Dopo la risurrezione, compiuto i l giudizio universale, avranno fine le due città, cioè quella di Cristo e quella del diavolo, quella de’ buoni e quella de’ cattivi, l’una e l’altra però di angeli e insieme di uomini. Agli uni mancherà il volere, agli altri il poter peccare, o qualsiasi mezzo di morire; e gli uni vivranno davvero una vita perpetuamente felice, gli altri saranno per sempre infelici nell’eterna morte senza poter morire, perchè vivranno gli uni e gli altri senza fine. Ma gli uni godranno della felicità l’uno meglio dell’altro, gli altri patiranno l’uno meno dell’altro ».
(P. L., 40, 284).
DOMANDA 592a.
Concilio II di Lione (1274): Professio fidei Michaelis Paleologi:
« …. Che se davvero moriranno pentiti nell’amore, prima d’aver sodisfatto alle colpe commesse o alle omissioni con degne opere di penitenza, le anime di essi dopo morte son purificate dalle pene del purgatorio, come ci ha spiegato il fratello Giovanni: e ad esse giovano, per sollievo da siffatte pene, i suffragi de’ fedeli che sono ancora in vita, cioè le S. Messe, le preghiere e le elemosine e le altre pratiche di pietà che, secondo le norme della Chiesa, sogliono i fedeli fare per altri fedeli ».
(Mansi, XXIV, 70).
Concilio di Firenze: Vedi D. 588.
Concilio di Trento, sess. XXV, Decretum de Purgatorio:
« Siccome la Chiesa Cattolica, ammaestrata dallo Spirito Santo, ha insegnato, sulla scorta delle sacre scritture e dell’antica tradizione de’ Padri, tanto ne’ Sacri Concilii quanto recentemente in questo sacrosanto Sinodo, che il purgatorio esiste e che le anime ivi relegate aiutate co’ suffragi de’ fedeli, specie poi col sacrificio dell’altare, il Santo Sinodo prescrive ai Vescovi di curare con ogni premura che sia creduta e professata da’ fedeli cristiani e insegnata e predicata dappertutto la sana dottrina intorno al Purgatorio, com’è tramandata da’ sacri Padri e da’ sacri Concilii…. Procurino inoltre i Vescovi che si adempiano con pietà e devozione i suffragi de’ fedeli vivi, cioè le sante Messe, le preghiere e le elemosine e le altre pratiche di pietà che, secondo le norme della Chiesa, sogliono i fedeli fare per altri fedeli; e quelle che son d’obbligo per essi, secondo le disposizioni testamentarie o per altro titolo, siano compiute con cura e diligenza, non per burocrazia, da’ sacerdoti della Chiesa e dai ministri e dalle altre persone che vi son obbligate ».
Benedetto XII; Vedi D. 62.
Leone X, Costit. Exsurge Domine, 15 giug. 1520, propp. 37-40 tra le condannate, contro gli errori di Martin Lutero:
a 37. I Purgatorio non può esser dimostrato in base a sacra Scrittura, compresa nel canone.
« 38. Le anime nel Purgatorio non son sicure della loro salvezza, almeno tutte: e non è dimostrato da alcuna ragione o da passi scritturali qualsiasi ch’esse son fuori dalla condizione di meritare o di accrescer la carità.
« 39. Le anime in Purgatorio peccano ininterrottamente ogni volta che invocano riposo e inorridiscono delle pene.
« 40. Le anime liberate dal Purgatorio per i suffragi de’ viventi godono minor beatitudine che se avessero sodisfatto per conto proprio »
(Bullarium Romanum, 1. c. 751).
Pio IV, Costit. Injunctum nobis, 13 nov. 1564, Professione di Fede Tridentina:
« Fermamente credo che c’è il Purgatorio e che le anime ivi relegate sono aiutate co’ suffragi de’ fedeli; similmente che si devono venerare e invocare i Santi che regnano insieme con Cristo e ch’essi presentano a Dio preghiere per noi e che devono esser venerate le loro reliquie. Affermo con sicurezza che si devon tenere e conservare le imagini di Cristo e della Madre di Dio sempre Vergine, nonché degli altri Santi, e che ad esse deve tributarsi debito onore e riverenza; inoltre che da Cristo fu lasciata alla Chiesa la facoltà delle Indulgenze e l’uso di esse è oltremodo salutare al popolo cristiano».
(Mansi, XXXIII, 221 s.).
S. Gregorio Magno, Dialogus, IV, 39:
« Ognuno, quale si parte dal mondo, tale si presenta al giudizio. Si deve credere però che prima del giudizio vi è un fuoco purificatore di certe colpe lievi, in forza di quel che dice la Verità che non sarà perdonato nè in questo nè nel mondo futuro (Matt. XII, 32) chi bestemmierà contro lo Spirito Santo. Da questa espressione si può capire che certe colpe si possono cancellare in questo mondo, certe altre invece all’altro mondo. È logico infatti che, se qualcosa si nega di uno, s’intenda concessa per altri. Però, come ho detto, s’ha da credere che ciò può accadere per i piccoli e minimi peccati ».
(P. L . , 77, 396).
DOMANDA 595a;
S. Agostino, De Civitate Dei, XXI, 13, 16:
« Alcuni scontano le pene temporali solamente in questa vita, altri dopo morte, altri in questa vita e dopo morte, ma prima di quel severissimo ed ultimo giudizio patiscono. Non vanno però tutti alle pene eterne, che ci saranno dopo quel giudizio, coloro che dopo morte scontano quelle temporali. « Si creda pure che non ci saranno pene purificative, tranne che prima dell’ultimo e tremendo giudizio. Però non si deve negare che lo stesso fuoco eterno, a seconda delle colpe, sarà per gli uni meno, per gli altri più tormentoso, sia che ne varii la forza e l’ardore in proporzione alla pena, sia che pur ardendo egualmente per tutti, non tutti sentano eguale tormento ».
(P. L . , 41, 728, 731).
DOMANDA 596a.
Concilio IV di Laterano: V. D. 179; Concilio di Firenze, D. 585; Benedetto XII, D. 62.
Concilio di Vienna (1311-12) contro gli errori dei Beguardi e delle Beghine:
« 5. Ogni natura intellettiva è in sè stessa naturalmente beata e l’anima non ha bisogno del lume di gloria che la elevi a veder Dio e a goderne beatamente ».
(Mansi, XXV, 410).
DOMANDA 597a.
Concilio di Firenze: Vedi D. 588; Concilio di Trento, D. 282.
S. Gregorio Magno, Moralia, IV, 70:
« Poiché in questa vita c’è per noi discernimento di opere, nell’altra ci sarà senza dubbio un discernimento di dignità sicché chi nel merito supera qui un altro, lassù lo superi nel premio. Perciò dice la Verità nel Vangelo: In casa del Padre mio son molte le dimore (Gio. XIV, 2). Ma proprio nella diversità delle dimore sarà in qualche senso concorde la diversità stessa de’ premii; perchè in quella pace ci unisce tal forza che uno gioisce d’aver ricevuto in altri quel che non ha egli stesso ricevuto. Per questo ricevono egualmente un denaro tutti senz’aver lavorato egualmente nella vigna (Matt., XX, 10). In verità presso il Padre le dimore son molte e pure lavoratori differenti ricevono il medesimo denaro; perchè c’è un’unica beata letizia per tutti, benché non identica per tutti sia l’altezza di vita ».
(P. L., 75, 677).
Afraate, Demonstrationes, XXII, 19:
« Ascolta ora l’Apostolo che dice: Ognuno riceverà il premio a norma della sua fatica (I ai Cor., III, 8). Chi avrà lavorato poco, riceverà secondo la fatica sostenuta. Chi avrà corso mólto, avrà premio in misura della sua corsa…. E dice ancora l’Apostolo: Una stella supera l’altra di splendore; così sarà pure la risurrezione de’ morti (I ai Cor., XV, 41-2). Sappi perciò che, anche quando gli uomini entreranno nella vita, una mercede sarà pure più grande dell’altra e più insigne una gloria dell’altra e più cospicuo un premio dell’altro ».
(Patrologia Syriaca, I, I, 1030).
S. Efrem, Hymni et Sermones, 11:
« Chi avrà ben operato, entrerà in un luogo pieno di beni; rimarranno invece nell’inferno i cattivi per esser pasto al fuoco e in balìa delle fiamme, sicché ciascuno se n’andrà al suo posto; qui uno sarà immerso nel fango, donde più non si solleverà, là un altro sarà immerso nel fuocc per rimanervi in eterno; chi sarà avvolto nelle tenebre e non vedrà mai lume; chi scenderà nell’abisso e non lo risalirà più; chi ancora entrerà in luogo santo per rimanervi sempre. Chi siederà sul secondo gradino, chi sul terzo, altri saran levati fino al qunto, altri al decimo, altri al trentesimo, altri più su…. perché ciascuno avrà dalla divina giustizia in proporzione della sua fatica ».
(Lamy, o. c, II, 424).
S. Girolamo, Adv. Jovinianum, II, 32, 33, 34:
« Tocca a noi prepararci premii differenti secondo il differente sforzo…. Se dovessimo essere uguali nel cielo, inutilmente qui ci umilieremmo per poter essere là più grandi…. Perchè perseverano le vergini? perchè s’affaticano le vedove? Perchè sono continenti le maritate? Per quanto tutti abbiam peccato, tuttavia dopo il pentimento saremo come gli Apostoli ».
(P. L., 23, 329, 330, 333).
S. Girolamo, Adv. libros Rufini, I , 23 :
« Come non è detto arcangelo se non chi è primo tra gli angeli, così non si direbbero principati podestà e dominazioni se non vi fossero altri al disotto di loro e di grado inferiore…. Come anche tra gli uomini l’ordine delle dignità è diverso a seconda della diversa fatica, avendo il vescovo e il prete e ogni dignità della Chiesa il suo posto, pur essendo tutti uomini; così (sappia) che ci son meriti diversi fra gli angeli, e tuttavia tutti appartengono alla dignità angelica ».
(P. L., 23, 416-17).
S. Agostino, Sermo, 87, 6:
« Saremo dunque uguali in quel premio, primi gli ultimi e ultimi i primi; perchè il famoso denaro (Matt., XX, 2) è la vita eterna e tutti saranno uguali nella vita eterna. Splenderanno sì uno più, uno meno secondo i meriti diversi; ma, in ordine alla vita eterna, tutti saranno uguali ».
(P. L., 38, 533).
Il medesimo, In Joannem, LXVII, 2:
« Uguale per tutti è quel denaro, che il padre di famiglia comanda di dare a tutti gli operai della vigna, senza distinguere tra chi ha lavorato di più e chi meno (Matt., XX, 9); ora con quel denaro si allude alla vita eterna dove nessuno vive più di un altro, perchè nell’eternità non è diversa la misura del vivere. Ma le molte dimore (Gio., XIV, 2) alludono alla diversa ricompensa de’ meriti nell’unica e identica vita eterna ».
(P. L., 35, 1812).
ALCUNI PUNTI DISCUSSI CHE S’INCONTRANO NEL CATECHISMO
(PER I CATECHISTI CHE SPIEGANO IL TERZO CATECHISMO)
I.
DOMANDA 112a.
Discutono i teologi a proposito degli uomini che saran vivi nell’ultimo giorno. Alcuni ritengono che non moriranno prima del giudizio universale, ma saranno giudicati da vivi: e s’appoggiano tanto alle parole del Simbolo « di là ha da venire a giudicare i vivi e i morti » quanto a quelle dell’Apostolo Ia ai Cor., XV, 51, che si leggono in molti codici greci: « Non tutti dormiremo, ma tutti saremo trasformati ». Però i più pensano che anch’essi moriranno per risorgere subito e poi subire, insieme con tutti gli altri, il giudizio universale. Difatto la Scrittura insegna: La morte passò in tutti gli uomini, perchè in lui tutti peccarono (Paolo, Ai Rom., V, 12); come in Adamo tutti muoiono, così pure tutti torneranno a vita in Cristo (I ai Cor., XV, 22). Giustamente ritengono più sicura e più probabile questa sentenza S. Tommaso, la, IIæ, q. 81, a. 3, ad I um; il Billot, De novissimis, tesi XII: P. Hugon, De novissimis, q. 1, n. 4; il Lépicier, De novissimis, p. 19 segg. Se la competente autorità dichiarerà certa la seconda opinione, nella risposta alla cit. Dom. 112 sarà facile, dopo le parole: ancor vivi aggiungere: per morir subito.
II.
DOMANDA 151a.
Se la Chiesa sia con giudizio solenne sia per ordinario e universale insegnamento propone da credere a tutti una verità come divinamente rivelata è certo per tutti (Dom. 148) a) che la Chiesa è infallibile nel proporre questa verità in questo modo; 6) che tutti devono accettare, e per fede divina e cattolica questa verità; (La parola cattolica sembra dal Concilio Vaticano aggiunta per significare che è necessaria tal fede se uno vuol esser membro della Chiesa cattolica, perchè chi nega o dubita d’una di queste verità con ostinazione è eretico e perciò più non appartiene alla Chiesa cattolica.) c) che perciò è un eretico chi la nega o ne dubita con ostinazione. Se la Chiesa, nel modo sopraddetto, propone da credere a tutti una verità per sè stessa non rivelata, ma connessa con quelle rivelate, come sono i fatti dogmatici e le censure contro le proposizioni che dalla Chiesa sono state proscritte e proibite (Dom., 150, 151) tutti del pari ammettono a) che la Chiesa è infallibile nel proporre anche questa verità in questo modo; b) che tutti debbono accettare, con interiore consenso, questa verità, sicché chi la nega o ne dubita con ostinazione commette peccato grave; c) che però costui non è in senso stretto eretico. Dunque noi accettiamo questa verità per fede, benché non cattolica, ma per qual fede? I più sostengono che l’accettiamo per fede ecclesiastica, perchè le verità di cui si parla non sono dette da Dio, ma soltanto dalla Chiesa, sotto l’assistenza di Dio (Il Card. Billot, De Ecclesia thes. 18 e De virtutibus infuses thes. 13; P. Palmieri, P. Schultes….). – Altri insegnano che accettiamo anche tal verità per fede divina, inquantochè l’accettiamo per l’infallibilità della Chiesa; ma siccome l’infallibilità della Chiesa poggia sulla parola di Dio che le promette la sua assistenza, primo e ultimo fondamento della nostra fede è la parola di Dio; e questa è fede divina. Altri, con altre parole, intendono questa fede (P. Schiffini S. J . , De virtutibus infusis, disp. III, sez. IV; P. Marin Sola O. P., La evolución homogénea, cap. V.)
Noi tralasciamo nel catechismo questa controversia de’ teologi, come si può vedere nella risposta alla cit. dom. 151.
III.
DOMANDE 158a . E SEGG.
Si domanda se la scomunica, massima tra le pene spirituali, comporti l’esclusione dal corpo della Chiesa, sicché lo scomunicato più non sia un membro della Chiesa.
Ci son tre pareri:
Il primo è affermativo per tutti gli scomunicati, non soltanto pei vitandi, ma pure pei tollerati. Sembrano appoggiar questo parere le parole della sacra Scrittura in Matt., XVIII, 17: Se non ascolterà la Chiesa, sia per te come un gentile e un pubblicano e quelle di parecchi santi Padri e Dottori e le formole della scomunica e dell’assoluzione, applicate a tutte le scomuniche.
Il secondo è negativo per i tollerati, affermativo per i vitandi: parere più in voga presso i moderni teologi, che intendono il riferito argomento d’autorità soltanto per i vitandi.
Finalmente il terzo è negativo per tutti gli scomunicati, anche pei vitandi, perchè nel Codice di D. C. can. 2257-2267, dove sono elencate tutte le pene contro gli scomunicati, non si legge nemmeno a proposito de’ vitandi questa gravissima pena, cioè l’esclusione dal corpo della Chiesa.
Noi abbiamo seguito il secondo, più in voga, come si è detto, presso i teologi moderni; ma se la competente autorità dichiarerà che il primo o il terzo hanno almeno una qualche probabilità, sarà facile correggere quel ch’è stato detto alle dom. 158 e segg.
IV.
DOMANDE 175a 296a.
Si domanda se possiamo pregare le anime del Purgatorio affinchè intercedano per noi dinanzi a Dio. L’opinione affermativa non soltanto è più accetta presso i teologi, specie moderni, ma è anche conforme, cosa più importante, alla pratica ordinaria de’ fedeli, alla quale fin qui la Chiesa in nessun modo ha contraddetto. Son contrari però teologi autorevoli, alcuni de’ quali citano in favore della loro opinione anche S. Tommaso, il quale insegna nella 2.a, 2æ, q. 83, art. 11, a l3° punto che le anime del Purgatorio non sono in condizione di pregare, ma piuttosto che si preghi per esse. Ma pure fra i tomisti non mancano quelli che intendono in altro senso le parole di S. Tommaso, cioè nel senso che il S. Dottore nega alle anime del Purgatorio una preghiera meritoria, quale risponde al nostro stato di vita, e la preghiera d’intercessione propriamente detta, che ha origine dallo stato di gloria, non però la preghiera che compete a tutti quelli che hanno carità e consegue alla comunione de’ Santi.
Noi riteniamo certa l’opinione affermativa, soprattutto perchè, come s’è detto, è conforme alla pratica dei fedeli, alla quale non mai contraddisse la Chiesa; di qui la risposta alle dom. 175 e 296. Che se la competente autorità dichiarerà erronea o in qualche modo dubbia quest’opinione, sarà facile correggere le citate risposte.
V.
DOMANDA 359a
A proposito de’ bambini, che muoiono col solo peccato originale, la dottrina insegnata nel catechismo è oggi comune, vale a dire che son privi della beatifica visione di Dio e così subiscono la pena del peccato originale, cioè quella del danno, non invece la pena del peccato personale, cioè quella del senso. Ciò posto, si domanda se abbiano cognizione della mancanza della visione beatifica e, se sì, patiscano o no dolore per questa consapevolezza. Qui son discordi i teologi.
Viene dapprima l’opinione di S. Tommaso. L’Angelico in 2. dist. 33, q. 2, a 2, aveva insegnato che le anime dei bambini conoscono d’esser prive della vita eterna e la cagione di essere così escluse e che tuttavia non se ne affliggono affatto. Ma poi nel De Malo, q. 5, a. 3 mutò parere, benché rimanga tal quale la conclusione, cioè che le anime dei fanciulli son punite unicamente colla privazion della visione beatifica e che per cagion d’essa, da loro ignorata, non hanno affatto dolore. « Le anime dei bambini non mancano, peraltro, della cognizione naturale, qual è propria dell’anima separata conforme alla sua natura, ma non hanno la soprannaturale, innestata qui in noi dalla fede, perché qui essi non ebbero in atto la fede, nè ricevettero il Sacramento della fede. Orbene appartiene alla cognizione naturale che l’anima sappia d’essere stata creata per la felicità e che la felicità consiste nel conseguire il bene perfetto. Ma è al disopra della cognizione naturale il sapere che quel bene perfetto, per cui è fatto l’uomo, consiste nella gloria, che i Santi possiedono. Perciò dice l’Apostolo che occhio non vide, nè orecchio udì, nè in cuor d’uomo fu capito mai quel che Dio ha preparato per chi lo ama e poi soggiunge: A noi fu rivelato da Dio per mezzo dello Spirito Santo; ora questa rivelazione riguarda la fede. Dunque le anime dei bambini non sanno d’esser private di tal bene e perciò non ne hanno dolore, ma possiedono senza dolore ciò che hanno per natura ». Quest’opinione non fu accettata da altri teologi. Così il Bellarmino De omissione gratiæ et statu peccati t. VI, cap. 6 pensa come probabile che « i bambini, morendo senza Battesimo, avranno dolore nell’anima perchè capiranno d’esser privi della felicità, esclusi dalla compagnia de’ fratelli e genitori giusti, relegati al Limbo, come in una prigione, e destinati a vivere nel buio sempiterno; però che questo dolore è in loro leggerissimo e mitissimo…». E i Virceburgensi Theol. Dogm., De Pecatis, n. 134 e segg., espongono queste tesi: i bambini, morendo senza Battesimo, son puniti colla privazione della felicità soprannaturale — son puniti anche colla privazione della felicità naturale — sembra più probabile che non sieno puniti colla pena del senso — son tristi per la privazione della felicità. Tralasciamo altre più severe opinioni di teologi. — In questa controversia noi, nel catechismo, insegniamo quel che è comunemente ammesso da’ teologi, appoggiati all’autorità di Innocenzo III, Pio VI, Pio IX.
VI.
DOMANDA 513a,
Per tutti è certo che le virtù teologali (fede, speranza, carità) sono infuse da Dio, com’è affermato espressamente nel catechismo, dom. 513, e che per via naturale non si possono conseguire. E delle virtù morali? C’è discussione tra i teologi; ma per ben intenderla bisogna notare alcune cose. Non si discute degli atti di virtù morale diretti a ottenere un fine d’ordine naturale; perché tutti ammettono che per compiere questi atti basta la virtù morale naturale, anzi nemmeno è necessario l’aiuto della grazia attuale. Così pure tutti ammettono che gli atti di una virtù morale diretti a ottenere un fine di ordine soprannaturale — per es. quando uno fa il digiuno per castigare e render docile il suo corpo — se si è in istato di peccato mortale, possono esser compiuti per la virtù morale naturale sotto l’influsso delle virtù teologiche (fede e speranza) e coll’aiuto della grazia attuale; e che a compierli non occorre una virtù morale infusa; però questi atti non son meritorii di vita eterna, per quanto dispongano alla giustificazione. Ma, e se si ha la grazia santificante? Allora questi atti hanno merito di vita eterna, donde il dubbio se anch’essi possono compiersi per virtù morale naturale sotto l’influsso delle tre virtù teologali, e col sussidio della grazia attuale, oppure occorra una virtù morale infusa. I Tomisti dicono che per compiere questi atti occorrono assolutamente le virtù morali infuse e che queste sono infuse insieme colla grazia santificante e insieme pure si perdono per causa del peccato. S’appoggiano all’autorità di Innocenzo III e del Catechismo per i parroci e alla ragione teologica. (Innoc. III in cap. 3 Majores, Sul Battesimo: Non tutti concedono in senso assoluto ciò che dicono gli objettanti che cioè la fede o la carità e le altre virtù non sono infuse ai bambini, in quanto non consentono: perchè a tal proposito si disputa fra i dottori di teologia. Alcuni affermano che in forza del Battesimo è rimessa la colpa ai bambini, ma non è concessa la grazia; altri dicono che son rimessi i peccati e infuse le virtù, possedendole quanto all’abito, non quanto all’uso, fino a che giungano a età competente. Il catechismo per i parroci, p. II, c. II, n. 51: « Allora sopraggiunge (nel Battesimo) il nobilissimo corteggio di tutte le virtù, che sono in fuse all’anima da Dio insieme colla grazia »). – Difatti le potenze dell’anima, benché agiscano sotto l’influsso delle virtù teologali e col sussidio della grazia attuale, non possono, abbandonate alle forze di natura, compiere atti proporzionati a quel bene soprannaturale, ch’è la vita eterna. È dunque necessario che Dio infonda nelle potenze dell’anima gli abiti operativi di quegli atti; ora tali abiti son le virtù morali infuse. Questa opinione dei tomisti è la più comune tra i teologi. Invece i scotisti pensano che non sia necessario ammettere, nel caso presentato, le virtù morali infuse da Dio. S’appoggiano all’autorità del Concilio di Trento sess. VI, cap. 7, dove il Concilio insegna che nella giustificazione s’infondono le virtù teologali, senza far cenno delle morali; e c’è anche la ragione teologica. Non si può dubitare, dopo conseguita la giustificazione, che l’uomo giusto può, sotto l’influsso delle virtù teologali e col sussidio della grazia attuale, compiere questi atti colle forze di natura; se infatti poteva ciò prima della giustificazione, cosa ammessa da tutti, lo potrà anche meglio dopo la giustificazione. Che, inoltre, dopo la giustificazione questi atti sieno meritevoli di vita eterna si deduce dal Con. di Trento, sess. VI, can. 32 (Tra le Testimonianze vedi questo canone tridentino, dom. 282 e le parole di S. Agostino, dom. 66) e dalla dottrina teologica sulla grazia santificante. – Difatti in virtù della grazia santificante l’uomo è sollevato a tal’altezza da diventar membro vivo di Gesù Cristo, tempio dello Spirito Santo, partecipe della divina natura, figlio di Dio (adottivo). « E se figlio, dice Paolo, ai Gal., IV, 1, anche erede per bontà di Dio » (La stessa cosa ripete l’Apostolo, Ai Rom., VIII, 16 ss.); ossia quegli atti, in virtù della grazia santificante, sono atti ormai di figlio; e, se son atti di figlio, sono atti di erede della gloria celeste; e, se son atti di erede della gloria celeste, sono anche atti meritevoli della vita eterna. Tutti i catechismi non fanno parola di tal questione (e di parecchie altre, circa le virtù acquisite o infuse, in discussione presso i teologi).
VII.
DOMANDA 583 E SEGG.
Non sarà fuor di proposito toccar qui brevemente de’ varii insegnamenti e opinioni sui Novissimi, segnatamente sull’Inferno e sul Purgatorio. Dell’Inferno s’ha da credere per fede divina:
1) C’è l’Inferno, costituito dai demonii e da quelli che son morti nel peccato mortale, anche se commesso una volta sola.
2) Nell’Inferno i dannati son puniti con doppia pena, cioè quella del danno e quella del senso, specialmente del fuoco.
3) Sono eterne, nè avranno mai fine o sollievo, le pene sofferte all’Inferno dai dannati.
4) Tuttavia non sono identiche per tutti, ma differenti conforme al numero e alla gravità de’ peccati, che meritarono l’eterna dannazione. È certo di certezza teologica, benché non sia di fede, che il fuoco, da cui son puniti nell’Inferno i dannati, è fuoco reale, ossia fisico, non metaforico. Il P. Hugon, De novissimis, q. 3, I, n. 7:
« Non c’è una definizione della Chiesa sulla natura del fuoco, ma l’insegnamento de’ teologi sul fuoco non metaforico, bensì reale, è talmente accettato nella Chiesa che sarebbe gravissima temerità pensare il contrario ». Così ripete il Lépicier. De novissimis, q. 4, a. 2; e il Card. Billot, De novissimis, q. 3, tesi 4. Si cita pure una risposta della S. Penitenzieria, che alla domanda « se si debbano assolvere i penitenti, che ammettono nell’Inferno soltanto un fuoco metaforico, ma non reale » rispose il 30 aprile 1890 « che siffatti penitenti bisogna con cura istruirli e gli ostinati non si devono assolvere ». Finalmente c’è libera discussione fra i teologi come possa un fuoco reale tormentar puri spiriti, quali sono i demonii e le anime de’ dannati prima della risurrezione; di qual natura è il fuoco d’Inferno, dove si trova l’Inferno, se sulla terra, o sotto, se è un luogo, oppure una condizione…
Riguardo al Purgatorio è di fede:
1) Che esiste il Purgatorio, dove son prigioniere l’anime di coloro, che morirono senza peccato mortale, ma debbono ancora espiare qualche debito di pena temporale.
2) Che nel Purgatorio le anime son punite sia colla pena del danno sia con quella del senso, cioè colla temporanea esclusione della visione di Dio beatifica e con altre gravi pene.
3) Che son differenti le pene delle anime in Purgatorio, riguardo alla durata e all’asprezza, a seconda del debito di pena temporale, che ciascuno deve scontare.
4) Che le lor pene possono esser fatte e più brevi e più miti coi suffragi che si offrono per esse. Non è di fede che le anime nel Purgatorio son punite con fuoco reale ossia fisico e non metaforico. Il Concilio di Firenze non ha voluto definir questo punto, perchè i Greci eran del parere che in Purgatorio le anime soffrano la pena del senso e non per fuoco reale e fisico, ma piuttosto per le tenebre e la tristezza del soggiorno… Anche oggi nella Chiesa Orientale tutti i catechismi non parlano di fuoco purificatore, così nella Chiesa latina il catechismo di PP. Pio X e molti altri. Ma d’altra parte il senso comune de’ fedeli nelle Chiese latine e l’insegnamento teologico (Cfr. il P. Hugon, 1. c. 9 q, a. 5, n. 3; Lépicier 1. e, q. 5, a. 2, n. 1; Billot, 1. e, tesi 7, col Bellarmino, col Suarez…. ) accettano la pena del fuoco reale, sull’autorità di S. Gregorio M. e di S. Gregorio Nisseno (S. Gregorio M., Dialogus IV, 39: « Però si deve credere che c’è prima del giudizio un fuoco purgativo per certe colpe lievi – P. L., 77, 396 -. S. Gregorio di Mssa, Orat. de mortuis: lo spirito «uscito dal corpo non potrà diventar partecipe della divinità, se non avrà tolto le macchie il fuoco purgativo inflitto all’anima » – P. G., 46, 530 -).
Così stando le cose, anche noi nel nostro catechismo (dom. 590) non parliamo del fuoco purificatore; ma se l’autorità competente giudicherà che si debba credere alla sua esistenza, sarà facile aggiungerne menzione alla citata risposta.
C’è libera discussione, finalmente, se, data l’esistenza del fuoco purificatore, esso sia della stessa natura del fuoco infernale, benché abbia minor violenza di tormento; come possano esserne toccate le anime separate dal corpo; dove si trovi il Purgatorio; se sia un luogo, oppure una condizione; se i peccati veniali sian rimessi, riguardo alla colpa, in virtù del fuoco purificatore. Il Dottore Angelico, De Malo, q. 7, a 11 insegna, a tal proposito, che i peccati son rimessi non in virtù del fuoco, ma d’un atto di carità verso Dio con detestazione de’ peccati veniali commessi in questa vita.
Il nostro catechismo, in conformità di quanto è detto nel Prœmio, tace completamente di tutte queste discussioni agitate liberamente fra i teologi. Piuttosto di consumar tempo nella disamina di tali questioni, sforziamoci con tutto l’impegno, come s’addice ai Cristiani, di evitare col viver bene, i castighi dell’inferno e, per quanto ce lo permette l’umana fragilità, colle penitenze e con le opere di misericordia sfuggire, o almeno abbreviare e mitigare, anche le pene del Purgatorio.
F I N E