Doppio di I classe con Ottava privil. di II Ord.- Paramenti, bianchi.
MESSA DELLA FESTA DELL’EPIFANIA (2021)
Stazione a S. Pietro
Questa festa si celebrava in Oriente dal III secolo e si estese in Occidente verso la fine del IV secolo. La parola “Epifania” significa: manifestazione. Come il Natale anche l’Epifania è il mistero di un Dio che si fa visibile; ma non più soltanto ai Giudei, bensì anche ai Gentili, cui in questo giorno Dio rivela il suo Figlio (Or.). Isaia scorge in una grandiosa visione, la Chiesa, rappresentata da Gerusalemme, alla quale accorrono i re, le nazioni, la moltitudine dei popoli. Essi vengono di lontano con le loro numerose carovane, cantando le lodi del Signore e offrendogli oro e incenso (Ep.). – I re della terra adoreranno Dio e le nazioni gli saranno sottomesse • (Off.). Il Vangelo mostra la realizzazione di questa profezia. – Mentre il Natale celebra l’unione della divinità con l’umanità di Cristo, l’Epifania celebra l’unione mistica delle anime con Gesù. – Oggi – dice la liturgia – la Chiesa è unita al suo celeste Sposo, poiché, oggi Cristo ha voluto essere battezzato da Giovanni nel Giordano: oggi una stella conduce i Magi con i loro doni al presepio: oggi alle nozze l’acqua è stata trasformata in vino. Ad Alessandria d’Egitto pubblicavasi ogni anno, il 6 gennaio, l’Epistola Festalis, lettera pastorale in cui il Vescovo annunziava la festa di Pasqua dell’anno corrente. Di qui nacque l’uso delle lettere pastorali in principio di Quaresima. In Occidente, il IV sinodo d’Orléans (541) ed il sinodo d’Auxerre (tra il 573 ed il 603) introdussero la stessa usanza. Nel medioevo vi si aggiunse la data di tutte le feste mobili. Il Pontificale Romano prescrive di cantar oggi solennemente, dopo il Vangelo, detto annunzio (Liturgia, Paris, Bloud et Gay, 1931, pag. 628 sg.).
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Malach 3:1 – 1 Par XXIX:12
Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium
[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]
Ps LXXI: 1
Deus, judícium tuum Regi da: et justítiam tuam Fílio Regis.
[O Dio, concedi al re il tuo giudizio, e la tua giustizia al figlio del re.]
Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium
[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]
Oratio
Orémus.
Deus, qui hodiérna die Unigénitum tuum géntibus stella duce revelásti: concéde propítius; ut, qui jam te ex fide cognóvimus, usque ad contemplándam spéciem tuæ celsitúdinis perducámur.
[O Dio, che oggi rivelasti alle genti il tuo Unigenito con la guida di una stella, concedi benigno che, dopo averti conosciuto mediante la fede, possiamo giungere a contemplare lo splendore della tua maestà.]
Lectio
Léctio Isaíæ Prophétæ.
Is LX:1-6
Surge, illumináre, Jerúsalem: quia venit lumen tuum, et glória Dómini super te orta est. Quia ecce, ténebræ opérient terram et caligo pópulos: super te autem oriétur Dóminus, et glória ejus in te vidébitur. Et ambulábunt gentes in lúmine tuo, et reges in splendóre ortus tui. Leva in circúitu óculos tuos, et vide: omnes isti congregáti sunt, venérunt tibi: fílii tui de longe vénient, et fíliæ tuæ de látere surgent. Tunc vidébis et áfflues, mirábitur et dilatábitur cor tuum, quando convérsa fúerit ad te multitúdo maris, fortitúdo géntium vénerit tibi. Inundátio camelórum opériet te dromedárii Mádian et Epha: omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.
“Levati, o Gerusalemme, e sii illuminata, perché la tua luce è venuta, e la gloria del Signore è sorta su te. Poiché, ecco le tenebre ricoprono la terra e l’oscurità avvolge le nazioni; su te, invece, spunta il Signore, e in te si vede la sua gloria. Le nazioni cammineranno; alla tua luce, e i re allo splendore della tua aurora. Alza i tuoi occhi all’intorno, e guarda: tutti costoro si son radunati per venire a te. I tuoi figli verranno da lontano, e le tue figlie ti sorgeranno a lato. Allora vedrai e sarai piena di gioia; il tuo cuore si stupirà e sarà dilatato, quando le ricchezze del mare si volgeranno verso di te, quando verranno a te popoli potenti. Sarai inondata da una moltitudine di cammelli, di dromedari di Madian e di Efa: verranno tutti insieme da Saba, portando oro e incenso, e celebrando le glorie del Signore”
OMELIA I
[Artig. Pavia, A. Castellazzi, La scuola degli Apostoli, Pavia, 1929]
GESÙ CRISTO RE
Isaia, il profeta suscitato da Dio a rimproverare e a consolare il popolo eletto in tempo di grande afflizione, ci dipinge in esilio, prostrato a terra, immerso nel dolore per voltate le spalle a Dio. È bisognoso d’una consolazione; e il profeta questa parola l a fa sentire. Gerusalemme risorgerà. Il Messia vi comparirà come un faro risplendente sulla sponda di un mare in burrasca. E nella sua luce accorreranno le nazioni uscendo dalle tenebre dell’idolatria. Gerusalemme deve alzar gli occhi econtemplar lo spettacolo consolante dei suoi figli dispersi che ritornano, e dei popoli della terra che verranno ad essa, cominciando da quei dell’oriente, recando oro ed incenso, annunziando le lodi del Signore. Questa profezia ha compimento nel giorno dell’Epifania, poiché in questo giorno comincia il movimento delle nazioni verso la Chiesa, la nuova Gerusalemme, I Magi che venuti dall’oriente domandano ove è il nato Re dei Giudei, ci invitano a far conoscenza con questo Re. Vediamo, dunque, come Gesù Cristo è:
1. Il Re preannunciato,
2. Che esercita su noi l’autorità legittima,
3. E al quale dobbiamo dimostrare la nostra sudditanza.
1.
Isaia che invita Gerusalemme a vestirsi di luce ne dà ragione: perché la tua luce è venuta, e la gloria del Signore è sorta su di te. Il Messia promesso, ristoratore non solo di Israele, ma di tutto il genere umano è venuto dall’alto ad illuminare chi giace nelle tenebre e nell’umbra della morte. La notte in cui nasce il Salvatore una luce divina rifulge attorno ai pastori che fanno la guardia, al gregge nelle vicinanze di Betlemme; e contemporaneamente in altre contrade un’altra luce, una stella, appare ai Magie li guida a Gerusalemme. «Dov’è il nato re dei Giudei? Perché noi abbiam veduto la sua stella in Oriente a siam venuti per adorarlo» (Matth. II, 2). A questa domanda che essi fanno, arrivati a Gerusalemme, Erode e tutta la cittàsi conturba. Eppure, niente era più esatto di quella domanda. – Il Messia era stato ripetutamente predetto dai profeti come un restauratore, che avrebbe iniziato un regno nuovo. Gli Ebrei potevano errare nella interpretazione diquesto regno; ma i n essi l’idea del Messia era inconcepibile,se disgiunta dalla dignità reale. Del resto i profeti l’avevano annunciato chiaramente come re. Davide dice:«Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech» (Ps. CIX). È lo stesso che dire che il Messia sarebbe stato sacerdote e re. «Poiché questo Melchisedech era re di Salem, Sacerdote del Dio Altissimo… Egli primieramente, secondo l’interpretazione del suo nome, re di giustizia, e poi anche re di Salem, che significare di pace» (Hebr. VII, 1-2). Anche il regno del Messia sarà regno di giustizia e di pace. Sentiamo Geremia « Così parla il Signore, Dio d’Israele,ai pastori che pascono il mio popolo. … Ecco che vengono i giorni, e io susciterò a Davide un germe giusto; e regnerà come re, e sarà sapiente e renderà ragione, e farà giustizia in terra» (Ger. XXIII, 2, 5.) . Isaia, parlando della nascita del Messia, così si esprime: «Ecco, ci è nato un pargolo, e ci è stato donato un figlio, e ha sopra i suoi omeri il principato » (Is. IX, 4). A lui segue Zaccaria: «Egli sarà ammantato di gloria, e sederà, e regnerà sul suo trono» ( Zac. VI, 13). Quando poi l’Angelo annunzia a Maria l’Incarnazione, parlando del Messia che nascerà da lei, dice: «Questi sarà grande e sarà chiamato Figliuolo dell’Altissimo: il Signore Iddio gli darà il trono di David, suo padre, ed egli regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà mai fine» (Luc. I, 32-33). Non solo è predetto come re, ma come re è salutato e venerato. Abbiamo visto che i Magi dichiarano apertamente di essere venuti ad adorare «il nato Re Giudei ». Quando Natanaele è condotto da Filippo a vedere « quello di cui scrissero Mosè nella legge e i profeti, Gesù », al primo incontro esclama: «Maestro, tu sei il Figliuolo di Dio: tu sei re d’Israele» (Giov. I, 49). Nel giorno del trionfo, quando entra in Gerusalemme per celebrare l’ultima Pasqua, la grande folla accorsa per le feste gli va incontro con rami di palma, gridando : «Osanna! Benedetto chi viene nel nome del Signore, il Re d’Israele» (Giov. XII, 13). In parecchie circostanze, perfino quando sta lasciando la terra per salire al cielo, gli si fanno domande relative al suo regno. Infine, Gesù Cristo stesso dichiara d’essere re; d’avere un regno (Giov. XVIII, 36). Un regno non umano, nè caduco, « ma di gran lunga superiore e più splendido » (S. Giov. Crisost. In Ioa. Ev. Hom. 83, 4).
2.
Le nazioni camminano alla tua luce e i re allo splendore della tua aurora: … tutti costoro si son radunati per venire a te. Re e sudditi, che vanno a mettersi aipiedi di Gesù Cristo, attratti dalla luce che si diffondedal suo Vangelo, riconoscono praticamente che Egli hail diritto di dominare su di loro. Difatti chi è Gesù Cristo? Il centurione romano, che coi soldati è posto a guardia della croce, esclama alla morte di Gesù: «Costui era veramente Figlio di Dio» (Matth. XXVII, 54). È Figlio di Dio — nota a questo punto S. Ilario — ma non come noi che siam figli di Dio adottivi. «Egli, invece, è Figlio di Dio vero e proprio, per origine, non per adozione» (S. Ilario, De Trin. 1. 3, c. 11). La sua vita dunque, lo fa superiore a tutto quanto è al disotto di Dio: superiore non solo a tutti gli uomini, ma anche a tutti gli Angeli. A nessuno di loro Dio ha detto: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato» (Ps. II, 7). Essi sono posti al comando di Dio; sono a disposizione di Gesù Cristo. « Pensi tu — egli dice a S. Pietro — che io non possa chiamare in aiuto il Padre mio, il quale mi manderebbe sull’atto più di dodici legioni di Angeli?» (Matth. XXVI, 53). Non solo gli Angeli sono a disposizione di Gesù Cristo, ma lo devono adorare, come è scritto nei libri santi: «E lo adorino tutti gli Angeli di Dio »: (Hebr. I, 6). A Gesù, dunque, tutte le creature, uomini e Angeli, devono l’adorazione, la soggezione, l’obbedienza; tutte devono riconoscere la sua sovranità. Oltre che per diritto di natura, Gesù Cristo è nostro re per diritto di investitura. Il Messia, Figlio ed erede di Dio, Creatore e Signore del cielo e della terra, ha diritto al dominio universale sul mondo. Al momento propizio il Padre gliene darà l’investitura, secondo Egli ha dichiarato: « Chiedimi, e ti darò in eredità le nazioni e in possesso i confini della terra » (Ps. II, 8). Nell’incarnazione Gesù Cristo è costituito « erede di tutte le cose » (Hebr. I, 2). e riceve, così, la promessa investitura del suo dominio universale. Ma Gesù Cristo è anche nostro Re per diritto di conquista. Noi eravamo schiavi del peccato, destinati alla morte eterna. Egli ci ha liberati dalla schiavitù del peccato, sottraendoci alla morte eterna. «Quando combatté per noi — dice S. Agostino — apparve quasi vinto; ma in realtà fu vincitore. In vero fu crocifisso, ma dalla croce, cui era affisso, uccise il diavolo, e divenne nostro Re» (En. in Ps. 149, 6). A differenza degli altri conquistatori, egli non ci ha liberati versando il sangue altrui, ma versando il proprio sangue. «Non sapete — dice S. Paolo ai Corinti — che voi non vi appartenete? Poiché siete stati comprati a caro prezzo» (I Cor. VI, 19-20). Noi non possiamo disconoscere l’autorità di chi ha sborsato per noi un prezzo che supera ogni prezzo. I popoli liberati dalla schiavitù passano sotto il dominio del loro liberatore; e noi siamo passati sotto il dominio di chi ci ha liberati dalla schiavitù di satana. Lui dobbiamo riconoscere per nostro re, proclamare apertamente nostro Re, non solo a parole, ma all’occorrenza anche con della propria vita, come ce ne hanno dato esempio i martiri di tutti i tempi. Tra coloro che furono martirizzati al Messico nel Gennaio del 1927 si trovava un tal Nicolas Navarro. Alla giovane moglie che piangendo lo pregava ad aver pietà del figlioletto: «Anzitutto la causa di Dio! — rispose — E quando il figlio crescerà gli diranno: Tuo padre è morto per difendere la Religione». Percosso, ferito con le punte dei pugnali, strascinato così brutalmente da non esser più riconoscibile, come avvenne anche ai suoi compagni, riceve per di più tanti colpi sulla faccia da aver sradicati i denti. Caduto a terra colpito da due palle, incoraggia i compagni, e rammenta loro la promessa di seguire fino alla morte l’esempio di Gesù. Trapassato da due pugnalate, muore gridando : « Viva Cristo Re » (Civiltà Cattolica, 1927, vol. IV p. 181).
3.
Isaia predice che le nazioni faranno a gara per entrare nel regno di Gesù Cristo. Verranno i nuovi sudditi. portando oro e incenso, e celebrando le glorie del Signore.
Così fanno subito i re Magi, i quali, venuti alla culla di Gesù, « prostrati lo adorarono: e, aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra » (Matth. II, 11). « Offrono l’incenso a Dio, la mirra all’uomo, l’oro al re » (S. Leone M. Serm. 31, 2). Quell’oro, forse una corona reale, essi offrono a Dio come tributo che i sudditi devono al re in segno di sudditanza.Quale tributo dobbiamo noi portare a Gesù Cristoin segno della nostra sudditanza? Il regno di Gesù Cristonon è un regno materiale. È un regno spirituale, che siesercita principalmente sulle anime. In primo luogo è ilregno della verità. Tra le fitte tenebre dell’errore che coprivanola faccia della terra, Gesù comparve come il soleche illumina ogni cosa, fugando l’ignoranza, la menzogna,l’inganno. Tra gl’intricati sentieri, che non permettono all’uomo, o gli rendono assai difficile, di prendere unagiusta direzione nel cammino di questa vita, Egli è laguida sicura. – Egli poteva dire alle turbe : «la luce è in voi… Sinchéavete la luce credete nella luce, affinché siate figliuolidi luce» (Giov. XII, 35-36). Primo tributo da rendere al nostro Re saràdunque quello di accogliere con docilità e semplicità lasua parola che è contenuta nel Santo Vangelo. È un regno di giustizia. Se c’è un regno in cuicontano più i fatti che le parole, è precisamente il regnodi Gesù Cristo. Come tutti i re, Gesù Cristo è legislatore.E le sue leggi vuol osservate. Sulla terra, quantitrasgrediscono le leggi e si credono sudditi fedeli e amanti del loro re! Gesù dichiara apertamente che non puòessere o dichiararsi amico suo chi trasgredisce le sue leggi: «Se mi amate osservate i miei comandamenti (Giov. XIV, 15). – Per conseguenza egli eserciterà un altro potere reale: quello di giudicare coloro che sono osservanti delle leggi e coloro che le trasgrediscono. Nessuno potrà sfuggire al suo giudizio e alla sua sanzione. «Poiché bisogna che tutti noi compariamo davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva le cose che gli spettano, secondo quello che ha fatto, o in bene o in male» (2 Cor. V, 10.).Lo ubbidiremo, dunque, in modo da non meritarsi alcuna riprensione. – Il regno di Gesù Cristo è un regno universale. I suoi confini sono i confini del mondo, i suoi sudditi sono tutte le nazioni dell’universo. È un dominio che si estende su l’individuo e sulla società; e che quindi va riconosciuto e onorato in privato e in pubblico. Purtroppo non tutti riconoscono ancora di fatto il dominio di Gesù Cristo. Un numero sterminato d’infedeli, non sa ancora chi sia Gesù Cristo. Molti Cristiani gli si ribellano; violano i suoi diritti, e gli rifiutano il dovuto omaggio. Tributo d’omaggio del buon Cristiano sarà quello di affrettare con la preghiera il giorno in cui tutte le nazioni conosceranno questo Re, e intanto rendergli l’omaggio, che altri gli negano, riparare le offese, che altri gli recano. Fede viva, esatta osservanza dei comandamenti, zelo per concorrere a farlo regnare, nei singoli individui, nelle famiglie, nella società, ecco i tributi, che dobbiam recare a Gesù Cristo Re, in attestazione della nostra sudditanza.
Graduale
Isa LX: 6;1
Omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.
[Verranno tutti i Sabei portando oro e incenso, e celebreranno le lodi del Signore.]
Surge et illumináre, Jerúsalem: quia glória Dómini super te orta est. Allelúja, allelúja.
[Sorgi, o Gerusalemme, e sii raggiante: poiché la gloria del Signore è spuntata sopra di te.
Allelúja.
Allelúia, allelúia
Matt II:2.
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum. Allelúja.
[Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni per adorare il Signore. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum
Matt II: 1-12
“Cum natus esset Jesus in Béthlehem Juda in diébus Heródis regis, ecce, Magi ab Oriénte venerunt Jerosólymam, dicéntes: Ubi est, qui natus est rex Judæórum? Vidimus enim stellam ejus in Oriénte, et vénimus adoráre eum. Audiens autem Heródes rex, turbatus est, et omnis Jerosólyma cum illo. Et cóngregans omnes principes sacerdotum et scribas pópuli, sciscitabátur ab eis, ubi Christus nasceretur. At illi dixérunt ei: In Béthlehem Judæ: sic enim scriptum est per Prophétam: Et tu, Béthlehem terra Juda, nequaquam mínima es in princípibus Juda; ex te enim éxiet dux, qui regat pópulum meum Israel. Tunc Heródes, clam vocátis Magis, diligénter dídicit ab eis tempus stellæ, quæ appáruit eis: et mittens illos in Béthlehem, dixit: Ite, et interrogáte diligénter de púero: et cum invenéritis, renuntiáte mihi, ut et ego véniens adórem eum. Qui cum audíssent regem, abiérunt. Et ecce, stella, quam víderant in Oriénte, antecedébat eos, usque dum véniens staret supra, ubi erat Puer. Vidéntes autem stellam, gavísi sunt gáudio magno valde. Et intrántes domum, invenérunt Púerum cum María Matre ejus, hic genuflectitur ei procidéntes adoravérunt eum. Et, apértis thesáuris suis, obtulérunt ei múnera, aurum, thus et myrrham. Et re sponso accépto in somnis, ne redírent ad Heródem, per aliam viam revérsi sunt in regiónem suam,”
[Nato Gesù, in Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, ecco arrivare dei Magi dall’Oriente, dicendo: Dov’è nato il Re dei Giudei? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo. Sentite tali cose, il re Erode si turbò, e con lui tutta Gerusalemme. E, adunati tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, voleva sapere da loro dove doveva nascere Cristo. E questi gli risposero: A Betlemme di Giuda, perché così è stato scritto dal Profeta: E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei la minima tra i prìncipi di Giuda: poiché da te uscirà il duce che reggerà il mio popolo Israele. Allora Erode, chiamati a sé di nascosto i Magi, si informò minutamente circa il tempo dell’apparizione della stella e, mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e cercate diligentemente il bambino, e quando l’avrete trovato fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo. Quelli, udito il re, partirono: ed ecco che la stella che avevano già vista ad Oriente li precedeva, finché, arrivata sopra il luogo dov’era il bambino, si fermò. Veduta la stella, i Magi gioirono di grandissima gioia, ed entrati nella casa trovarono il bambino con Maria sua madre qui ci si inginocchia e prostratisi, lo adorarono. E aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non passare da Erode, tornarono al loro paese per un altra strada.]
Omelia II
Sopra i Re Magi.
[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, IV ed., Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]
Vidimus stellam ejus, et venimus adorare eum.
Abbiamo visto la sua stella e siam venuti ad adorarlo.
Giorno felice per noi, giorno sempre memorabile, nel quale la misericordia del Salvatore ci ha tratto dalle tenebre dell’idolatria per chiamarci alla conoscenza della fede, nella persona dei Magi, che vengono dall’Oriente ad adorare e riconoscere il Messia per loro Dio e loro Salvatore in nostro nome. Sì, M. F., essi sono i nostri padri e i nostri modelli nella fede. Avventurati se noi siamo fedeli nell’imitarli e nel seguirli. Oh! esclamava con trasporti di amore e di riconoscenza S. Leone, Papa: “Angeli della città celeste, prestateci le vostre fiamme d’amore per ringraziare il Dio delle misericordie della nostra vocazione al Cristianesimo ed al salvamento eterno. „ Celebriamo, M. F., così ci dice il gran santo, con allegrezza, gli inizi delle nostre felici speranze. Ma, all’esempio dei Magi, siamo fedeli alla nostra vocazione, altrimenti tremiamo che Dio non ci faccia subire lo stesso castigo dei Giudei che erano il suo popolo eletto. Da Abramo sino alla sua venuta, li aveva condotti come per mano, (Hebr. VIII, 9) e da per tutto si era mostrato il loro protettore e il loro liberatore; e poscia li rigettò e li respinse per causa del disprezzo che avevano fatto delle sue grazie. Sì, questa fede preziosa ci sarà tolta e sarà trasportata in altri paesi, se non ne pratichiamo le opere. Ora, vogliamo noi conservare fra di noi questo prezioso deposito? Seguiamo fedelmente le tracce dei nostri padri nella fede. Per formarci una debole idea della grandezza del beneficio della nostra vocazione al Cristianesimo, non abbiamo che a considerare quello che erano i nostri antenati prima della venuta del Messia, loro Dio, loro Salvatore, loro luce, loro speranza. Essi erano abbandonati in balia di ogni sorta di delitti e di disordini, nemici di Dio medesimo, schiavi del demonio, vittime destinate alle eterne vendette. Possiamo noi considerare uno stato così deplorevole, senza ringraziare Dio con tutto il nostro cuore, di aver voluto chiamarci alla conoscenza della vera religione, e di aver fatto tutto quello che ha fatto per salvarci? O favore, o grazia inestimabile, così preziosa e così poco conosciuta nel secolo sciagurato nel quale viviamo, dove la maggior parte non sono Cristiani che di nome! Ora, M. F., che cosa abbiamo fatto per averci preferiti a tanti altri che sono periti, e che periscono ancora tutti i giorni, nell’ignoranza e nel peccato? Ah! che dico? Noi siamo forse più indegni di questa sorte che non il popolo sventurato dei Giudei. Se noi siamo nati nel seno della Chiesa Cattolica, mentre tanti altri periscono fuori di essa, è per un effetto della bontà di Dio verso di noi. Parliamo dunque della vocazione alla fede. Considerando la fede nei Magi, noi vedremo che essi ne praticavano le opere e che la loro fedeltà alla grazia fu pronta, generosa e perseverante. Poscia noi confronteremo la nostra fede così debole con quella dei Magi che era così viva. Finalmente parleremo della riconoscenza che dobbiamo a Dio per il dono della fede che ci ha conceduto. Potremo mai abbastanza ringraziare il Signore di una tal sorte?
I. — 1° Noi diciamo dapprima che la fedeltà dei Magi alla grazia fu pronta. Infatti, appena hanno veduto la stella miracolosa, che, senza nulla esaminare, essi partono per recarsi a cercare il loro Salvatore, così solleciti, così divorati dal desiderio di arrivare al termine al quale la grazia, figurata dalla stella, li chiama, che nulla può trattenerli. Ah! quanto siamo lontani dall’imitarli! Da quanti anni Dio ci chiama colla sua grazia, ispirandoci il pensiero di abbandonare il peccato, di riconciliarci con lui? Ma sempre noi siamo insensibili e ribelli. Oh! quando sorgerà questo fausto giorno nel quale ci condurremo come i Magi, i quali abbandonarono ogni cosa per consacrarsi a Dio?
2° In secondo luogo noi diciamo che la loro fedeltà alla loro vocazione fu generosa, perché vinse tutte le difficoltà che vi si opponevano, per seguire la stella. Ahi quali sacrifici non hanno da fare? È necessario abbandonare il loro paese, la loro casa, la loro famiglia, il loro regno, o per meglio dire, è necessario allontanarsi da tutto ciò che hanno di più caro al mondo; è necessario che si aspettino di sopportare le fatiche di lunghi e penosi viaggi, e ciò, nella più rigorosa stagione dell’anno: tutto sembrava opporsi al loro disegno. Quanti scherni non ebbero da soffrire dalla parte dei loro eguali, come dal popolo! Ma no! nulla è capace di trattenerli in un atto così importante. Ed ecco precisamente in che consiste il merito della fede, di rinunciare ad ogni cosa, e di sacrificare quello che si ha di più caro per obbedire alla voce della grazia che ci chiama. Ah! se ne bisognasse di fare, par acquistare il cielo, dei sacrifici come quelli dei Magi, come sarebbe piccolo il numero degli eletti! Ma no, facciamo solamente quanto facciamo per gli affari temporali e noi siamo sicuri di acquistare il cielo. Vedete: un avaro lavorerà giorno e notte per adunare o per guadagnare del denaro. Vedete un ubriacone: egli si esaurirà e soffrirà tutta la settimana per avere qualche denaro per bere la domenica. Vedete quei giovani tutti dati ai piaceri! Essi faranno due o tre leghe nello scopo di trovare qualche piacere scipito, e mescolato d’amarezza. Ritorneranno la notte, sotto un tempo perverso. Arrivati in famiglia, invece d’essere compassionati, saranno ripresi, almeno se i genitori non hanno ancora perduta la memoria che Dio un giorno domanderà conto della loro anima. E voi medesimi vedete che in tutto ciò vi sono dei sacrifici da fare, tuttavia nulla scoraggia, e si viene a capo di tutto; gli uni per frode, gli altri per inganno, si riesce in tutto. Ma ah! quando si tratta di ciò che riguarda il salvamento, che cosa facciamo noi? Quasi ogni cosa ci sembra impraticabile. Confessiamo, che il nostro accecamento è molto deplorevole, di fare tutto quello che facciamo per questo miserabile mondo e di non far nulla per assicurarci la nostra felicità eterna. – Vediamo ancora sino a qual punto i Magi spingono la loro generosità. Arrivati a Gerusalemme, la stella che li aveva condotti nel loro viaggio scomparve. Essi si credevano, certamente, nel luogo dove era nato il Salvatore che venivano ad adorare, e si avvisavano che tutta Gerusalemme sarebbe al colmo della più grande gioia, per la nascita del suo liberatore. Quale meraviglia! quale sorpresa per essi! Non solamente Gerusalemme non presenta alcun segno di gioia, essa ignora persino che è nato il suo liberatore. I Giudei sono pure sorpresi di vedere i Magi recarsi ad adorare il Messia, come i Magi sono meravigliati che un tal avvenimento sia loro annunciato. Qual prova per la loro fede! Qual altra ne occorreva per farli rinunciare al loro disegno e farli ritornare il più segretamente possibile nel loro paese, per tema di servir di favola a tutta Gerusalemme? Ah! ecco quello che molti di noi avrebbero fatto, se la loro fede fosse stata sottoposta ad una simile prova. Non fu senza mistero che la stella scomparve: era per risvegliare la fede dei Giudei che chiudevano gli occhi sopra un tale avvenimento; era necessario che venissero degli stranieri per rimproverare il loro accecamento. Ma tutto ciò, lungi dallo scuotere i Magi, all’opposto non fa che raffermarli nella loro risoluzione. Abbandonati in apparenza da questo lume, si scoraggeranno i nostri santi Re? Abbandoneranno tutto? Ah! se fossimo stati noi, certamente sarebbe stato necessario molto meno. Essi si volgono da un’altra parte: si recano a consultare i dottori che sapevano avere tra le mani le profezie che loro indicavano il momento nel quale il Messia nascerebbe, e domandano loro in qual luogo il nuovo Re dei Giudei deve nascere. Mettendosi sotto dei piedi ogni rispetto umano, essi penetrano persino nel palazzo di Erode, e gli domandano dov’è questo Re nuovamente nato, dichiarandogli, senza alcun timore, che sono venuti per adorarlo. Che il re si offenda di questo linguaggio, nulla vale a trattenerli in una ricerca così importante. Essi vogliono a qualunque costo trovare il loro Dio. Quale coraggio, quale fermezza! A qual punto ci troviamo noi che temiamo un piccolo scherno? Un “che si dirà” ci impedisce di compiere i nostri doveri di religione e di frequentare i sacramenti. Quante volte non abbiamo arrossito di fare il segno della croce prima e dopo di aver preso il nostro cibo? Quante volte il rispetto umano ci ha fatto trasgredire le leggi dell’astinenza e del digiuno, nel timore d’essere segnati a dito e di essere tenuti in conto di buoni Cristiani? A qual punto siamo noi? Oh! qual onta, quando, al giorno del giudizio, il Salvatore confrontando la nostra condotta con quella dei Magi, i nostri padri nella fede, i quali hanno tutto abbandonato e tutto sacrificato piuttosto che resistere alla voce della grazia che li chiamava.
3° Vedete di giunta quanto fu grande la loro perseveranza. I dottori della legge dicono loro che il Messia doveva nascere a Betlemme e che il tempo era arrivato. Appena hanno ricevuto la risposta, che essi partono per questa città. Non dovevano aspettarsi che accadesse quello che accadde alla Ss. Vergine e a S. Giuseppe? Il concorso non sarebbe così grande, che essi non troverebbero luogo? Potevano essi dubitare che i Giudei i quali, da quattro mila anni attendevano il Messia, non corressero in folla a gettarsi ai piedi di questa culla, per riconoscerlo per loro Dio e per loro liberatore? Ma no, nessuno si muove: i Giudei sono immersi nelle tenebre, e vi restano. Bella immagine del peccatore che non cessa di udire la voce di Dio che gli grida colla voce dei suoi pastori di abbandonare il suo peccato per consacrarsi a Lui, e non ne rimane che più colpevole e più indurato. Ma torniamo ai santi re Magi. Essi partono soli da Gerusalemme; come sono esatti! Oh! qual fede! Dio li abbandonerà senza ricompensa? No, certamente. Appena sono usciti dalla città, che quella stella miracolosa ricomparve davanti ad essi, sembra prenderli per la mano per farli arrivare a questo povero tugurio di miseria e di povertà. Essa si ferma e sembra dir loro: Ecco colui che io vi ho annunciato. Ecco colui che è aspettato. Sì, entrate: voi lo vedrete. Egli è colui che è generato da tutta l’eternità, e che nasce, vo’ dire, che prende un corpo umano che deve sacrificare per salvare il suo popolo. Che questo apparato di miseria non vi ributti. Egli è in fasce, ma è quel medesimo che sprigiona la folgore dal più alto dei cieli. La sua vista fa tremare l’inferno, perché l’inferno vi vede il proprio vincitore. Questi santi Re sentono, in questo momento, i loro cuori così divampanti d’amore che si gettano ai piedi del loro Salvatore bagnando quella paglia delle loro lagrime. Quale spettacolo, che dei re riconoscano per loro Dio e Salvatore un bambino adagiato in un presepio tra due vili animali! Oh! la fede è qualche cosa di prezioso! Non solamente questo stato di povertà non li ributta; ma essi ne sono più commossi ed edificati. I loro occhi sembravano non potersi saziare dal considerare il Salvatore del mondo, il Re del cielo e della terra, il Padrone di tutto l’universo in un tale stato. Le delizie delle quali i loro cuori furono inondati furono talmente abbondanti, che essi consacrarono al loro Dio tutto quello che avevano. Da questo momento offrono a Dio le loro persone; non vogliono essere padroni neppure delle loro persone. Non contenti di questa offerta, offrono ancora tutto il loro regno. Giusta il costume degli Orientali, i quali non avvicinavano mai i grandi principi senza fare dei presenti, essi offrono a Gesù le più ricche produzioni del loro paese, cioè dell’oro, dell’incenso e della mirra, e, con questi presenti, essi esprimono perfettamente le idee che avevano concepite del Salvatore, riconoscendo la divinità sua, la sua sovranità e la sua umiltà. La sua divinità, coll’incenso, che non è dovuto che a Dio solo; la sua umanità, colla mirra, che serve ad imbalsamare i corpi; la sovranità sua, con l’oro, che è il tributo ordinario, del quale ci serviamo per pagare i sovrani. Ma questa offerta esprimeva ancor meglio i sentimenti del loro cuore: la loro ardente carità era manifestata dall’oro che è il simbolo; la loro tenera devozione era figurata dall’incenso; i sacrifici che essi facevano a Dio di un cuore mortificato, erano rappresentati dalla mirra. Quale virtù in questi tre Orientali! Dio, vedendo la disposizione dei loro cuori, non doveva dire quello che disse alcun tempo dopo, che non aveva veduto fede più viva in tutto Israele (Matt. VIII, 10)! Infatti, i Giudei avevano il Messia in mezzo a loro, e non vi ponevano mente ; i Magi, benché molto lontani, venivano a cercarlo ed a riconoscerlo per loro Dio. I Giudei, dopo alcun tempo, lo trattano come il più colpevole che la terra abbia portato, e finiscono coll’appenderlo alla croce nell’atto stesso che Egli forniva delle prove evidenti della sua divinità; mentre i Magi lo veggono adagiato sopra la paglia, ridotto alla più vile condizione, si gettano ai suoi piedi per adorarlo, e lo riconoscono per loro Dio, loro Salvatore e loro liberatore. Oh! che la loro fede è qualche cosa di prezioso! Se noi avessimo la sorte di ben comprenderlo, quale cura non avremmo di conservarla in noi!
II. — Quali sono quelli che noi imitiamo, i Giudei o i Magi? Che cosa vediamo nella maggior parte dei Cristiani? Ah! una fede debole e languida; e quanti non hanno neppure la fede dei demoni i quali credono che esiste un Dio e tremano alla presenza sua? „ (Jac. II, 19) Torna facile l’esserne convinti. Vedete se noi crediamo che Dio risiede nelle nostre chiese, quando parliamo, volgiamo il capo da una parte e dall’altra e che non ci mettiamo solamente ginocchioni nel momento che Egli ci addimostra l’eccesso del suo amore, vo’ dire nel momento della comunione e della benedizione. Crediamo noi che esiste un Dio? Oh! no, o se noi lo crediamo è per oltraggiarlo. Qual uso facciamo noi del dono prezioso della fede e dei mezzi di salvamento che troviamo nel seno della Chiesa Cattolica? Quale rassomiglianza tra la nostra vita e la santità della nostra religione? Possiamo noi asserire che la nostra professione è conforme alle massime del Vangelo, agli esempi che Gesù Cristo ci ha dati? Stimiamo noi, pratichiamo tutto quello che Gesù Cristo stima e pratica? Vo’ dire, amiamo la povertà, le umiliazioni, il disprezzo? Preferiamo la qualità di Cristiani a tutti gli onori e a tutto quello che possiamo possedere e desiderare sopra la terra? Abbiamo noi per i sacramenti quel rispetto, quel desiderio e quell’impegno per approfittare delle grazie che il Signore ci prodiga? Ecco gli oggetti sopra i quali ciascuno di noi deve esaminarsi. Ah! quanto sono grandi ed amari i rimproveri che noi dobbiamo muovere a noi stessi sopra questi diversi oggetti! Alla vista di tante infedeltà e ingratitudini, noi dobbiamo tremare che Gesù Cristo ci tolga, come ai Giudei, questo dono prezioso della fede, per trasportarlo in altri regni dove se ne farà un uso migliore. Perché i Giudei hanno cessato di essere il popolo di Dio? Non è stato per causa del disprezzo che hanno fatto delle sue grazie? State sull’avviso, ci dice S. Paolo (Rom. X, 20), se voi non restate incrollabili nella fede, sarete come i Giudei, rigettati e respinti. Ah! chi non tremerebbe che ci incolga una simile sventura, considerando che esiste così poca fede sopra la terra? Infatti qual fede si scorge tra i giovani i quali dovrebbero consacrare la primavera dei loro giorni al Signore, per ringraziarlo d’averli arricchiti di questo prezioso deposito? All’opposto non si veggono occupati, gli uni a soddisfare le loro vanità, gli altri ad accontentarsi nei piaceri? Non sono costretti di confessare che sarebbe necessario di insegnar loro che hanno un’anima? Sembra che Dio non l’abbia loro conceduta che per perderla. — Qual fede troviamo noi fra coloro che hanno toccato l’età matura, che cominciano ad essere disingannati delle follie della giovinezza? Non sono essi tutto occupati, notte e giorno, per aumentare i loro beni? Pensano essi a salvare la povera anima, della quale la fede loro dice che se la perdono, tutto è perduto per essi? No, no, poco loro importa che sia perduta o salvata, purché aumentino le loro ricchezze! — Finalmente, qual fede scorgesi fra i vecchi i quali, fra breve, saranno citati a comparire davanti a Dio per render conto della loro vita, la quale, forse, non è stata che una serie di peccati? Pensano essi ad approfittare del poco tempo che Dio, nella sua misericordia, vuol loro ancora concedere, e che non dovrebbe essere consacrato che a piangere le loro colpe? Non si veggono e non si udranno, quante volte l’occasione si presenti, encomiare i piaceri che hanno gustato nelle follie della loro giovinezza? Ah! M. F., non saremo dunque costretti di confessare che la fede è quasi spenta, o piuttosto, è quello che dicono tutti coloro che non hanno ancora abbandonato la loro anima alla tirannia del demonio. Infatti, qual fede si può sperare di trovare in un Cristiano il quale resterà tre, quattro o sei mesi senza frequentare i sacramenti? Ah! e quanti che restano un anno intero, e molti altri, tre o quattro anni? Temiamo, M. F., temiamo di provare gli stessi castighi coi quali Dio ha colpito tante altre nazioni, le quali, forse, li avevano meno meritati di noi che siamo stati collocati nel luogo dei Giudei, e dai quali tuttavia la fede è stata trasportata altrove. E che; cosa dobbiamo fare per avere la sorte di non esserne mai privati? Converrà fare come i Magi i quali si studiarono continuamente di rendere la loro fede più viva. Vedete come i Magi sono attaccati a Dio colla fede! Quando sono ai piedi della culla, essi più non pensano ad abbandonare il loro Dio. Essi si conducono come un fanciullo che sta per separarsi da un buon padre, che sempre indugia, e ondeggia per cercare dei pretesti, affin di prolungare la sua felicità. A grado che il tempo si avvicina, scorre il pianto, il cuore si strazia. Della guisa medesima i santi Re. Quando convenne lasciare la culla, essi piangono a calde lagrime, sembravano essere legati da catene. Da una parte erano pressati dalla carità di recarsi ad annunciare questa felicità a tutto il loro regno; dall’altra essi erano obbligati di separarsi da colui che erano venuti a cercare di lontano, e che avevano trovato dopo molte difficoltà. Essi si guardavano l’uno l’altro per vedere colui che partirebbe il primo. Ma l’angelo disse loro che bisognava partire, recarsi ad annunciare questa felice novella ai popoli dei loro regni, ma di non ritornare da Erode: che se Erode aveva loro detto di prendere tante precauzioni, di informarsi minutamente per indicargli il luogo della sua nascita, ciò non era che per farlo morire; ma che era necessario battere un’altra strada. Bella figura d’un peccatore convertito, che ha lasciato il peccato per consacrarsi a Dio; egli non deve ripresentarsi nel luogo nel quale prima si recava. Queste parole dell’angelo li costrinsero del più vivo dolore. Nel timore di avere la sventura di essere la causa della sua morte, dopo di aver preso commiato da Gesù, da Maria e da Giuseppe, essi partono il più segretamente possibile, non battono la grande strada, per tema di destare qualche sospetto. Invece di alloggiare nelle locande, passano le notti ai piedi degli alberi, nel seno delle rocce, e a questo modo percorrono quasi trenta leghe. Appena sono arrivati nel loro paese che essi annunciano a tutti i loro regnicoli il loro disegno di lasciar tutto, di abbandonar tutto ciò che possedevano, non potendo risolversi a possedere qualche cosa, dopo di aver veduto il loro Dio in una così grande povertà; e si reputavano infinitamente felici di poterlo imitare almeno in questo. Le notti sono consacrate alla preghiera, e i giorni a recarsi nelle case, per mettere ognuno a parte della felicità loro, di tutto ciò che avevano veduto in questa stalla, delle lagrime che questo Dio che nasceva aveva già sparse per piangere i loro peccati. Essi esercitavano rigorose penitenze sui loro corpi; rassomigliavano a tre angeli i quali percorrevano le province del loro paese per preparare le vie del Signore; essi non potevano parlare del dolce Salvatore senza versare continue lagrime, ed ogni volta che si intrattenevano insieme di questo felice momento nel quale si trovavano in questa stalla, sembrava loro di morire d’amore. Oh! non potevano essi dire a se medesimi come i discepoli di Emmaus (Luc. XXIV, 32.) “I nostri cuori non erano ardenti d’amore quando eravamo prostrati ai suoi piedi in quel povero tugurio di miseria? „ Ah! se essi avevano avuto la sorte che noi ora abbiamo, di portarlo nel loro cuore, non avrebbero esclamato coi medesimi trasporti d’amore che in progresso di tempo S. Francesco: “Oh! Signore, diminuite l’amor vostro, e aumentate le mie forze, io non posso più reggere? „ Oh! con quale gran cura non l’avrebbero conservato! Se si avesse loro detto che un sol peccato glielo farebbero loro perdere, non avrebbero cento volte preferito di morire che di attirarsi una tale sventura? Oh! che le loro vite furono pure ed edificanti nel volgere degli anni che sopravvissero alla nascita del Salvatore! – Si narra che S. Tommaso dopo l’ascensione del Salvatore, si recò ad annunciare il Vangelo nel loro paese. Li trovò tutti e tre. Dopo che erano usciti dalla stalla, non avevano cessato di estendere la fede nel loro paese. S. Tommaso rapito di vederli così ripieni dello spirito di Dio e giunti ad una così prestante santità, trovò tutti i cuori già disposti a ricevere la grazia del salvamento, per le sollecitudini che avevano preso i santi Re. Raccontò loro tutto quello che il Salvatore aveva operato e sofferto dal momento che avevano avuto la sorte di vederlo nella mangiatoia, che era vissuto sino all’età di trenta anni, che aveva lavorato nell’oscurità, che era sottomesso alla Ss. Vergine ed a S. Giuseppe, che erano vissuti con lui, e che S. Giuseppe era morto molto tempo prima di lui; ma che la Ss. Vergine viveva ancora, che era uno dei discepoli di Gesù che ne aveva la cura. Raccontò loro che il Salvatore aveva sofferto nel volgere degli ultimi tre anni della sua vita tutto quello che si avrebbe potuto far soffrire al più grande ribaldo del mondo: che quando annunciava che era venuto per salvarli, che era il Messia aspettato da tanti secoli, che insegnava loro quello che era necessario di fare per approfittare delle grazie che loro recava, era cacciato dalle assemblee. Egli aveva percorsi molti paesi guarendo gli ammalati che gli si recavano innanzi, risuscitando i morti e liberando le persone possedute dal demonio. La causa della sua morte fu uno di coloro che aveva scelti per annunciare il Vangelo, il quale, dominato dall’avarizia, lo vendette per 30 denari. Lo si era legato come un ribaldo, attaccato ad una colonna, flagellato crudelmente, in modo da essere irriconoscibile. Lo si era trascinato per le vie di Gerusalemme, carico di una croce che lo faceva cadere ad ogni passo; il suo sangue bagnava le pietre per dove passava, e, come cadeva, i carnefici lo facevano alzare percuotendolo; che avevano finito coll’appenderlo alla croce e che, lontano dal vendicarsi di tanti oltraggi, non aveva cessato di pregare per essi; che era spirato sopra questa croce, sotto della quale coloro che passavano e i Giudei lo coprivano di maledizioni. Poi, tre giorni dopo, era risuscitato, come aveva predetto; e scorsi quaranta giorni era salito al cielo. Tommaso ne era stato testimonio, come gli apostoli che avevano seguito Gesù nella sua missione. Al racconto di tutto ciò che il Salvatore avea sofferto, i santi Re sembravano non poter più vivere. L’hanno fatto morire, quel tenero Salvatore! dicevano essi. Hanno potuto essere così crudeli? Ed Egli ha loro perdonato! Oh! quanto è buono! quanto è misericordioso! E non potevano frenare le loro lagrime, né i loro singhiozzi, tanto profondamente erano penetrati dal dolore. S. Tommaso li battezzò, li ordinò sacerdoti, e li consacrò Vescovi, perché avessero maggior potere di propagare la fede dopo la loro consacrazione. Essi erano così animati dell’amore di Dio, che gridavano a quanti incontravano: Venite, venite, noi vi racconteremo quello che ha sofferto questo Messia che noi abbiamo veduto in quella mangiatoia. Sembrava che ad ogni istante, essi fossero rapiti fino in cielo, tanto l’amore di Dio divampava nel loro cuore. Tutta la loro vita con fu che una serie di miracoli e di conversioni. Come erano stati uniti nel tempo della loro vita in un modo così intimo, Dio permise che fossero sepolti nella medesima tomba. Il primo che morì fu collocato dalla parte destra; ma alla morte del secondo, come lo si collocava a lato dell’altro, colui che era sepolto il primo cedette il suo posto all’altro; finalmente quando venne la volta dell’ultimo, i due morti prima si scostarono per fargli luogo nel mezzo, come fosse più glorioso per lui, di aver per un tempo più lungo lavorato per il Salvatore. Essi erano stati così ripieni dell’umiltà del loro Maestro, che lo manifestarono anche dopo la loro morte. Dopo la loro vocazione alla fede, essi avevano sempre aumentato in virtù ed in amore di Dio. Oh! quanto saremmo felici, se seguissimo le tracce dei nostri avi nella fede, i quali credevano che tutto quello che operavano era nulla.
III. — E che dobbiamo noi fare per addimostrare a Dio la nostra riconoscenza, di averci somministrati dei mezzi così facili per salvarci? Noi dobbiamo essergli riconoscenti. Se nel mondo, il più piccolo servigio non è ricambiato, noi siamo mossi a mormorare; qual giudizio deve recare il nostro Dio della nostra ingratitudine? Mosè, prima di morire, fa radunare il popolo intorno a sé, e gli racconta tutti i benefizi di cui il Signore non aveva cessato di ricolmarlo, soggiungendo che, se non fosse riconoscente, doveva aspettarsi i più grandi castighi; ed è ciò che precisamente gli accadde, poiché è stato abbandonato da Dio! Ah! M. F., i benefizi dei quali Dio ci ha ricolmi sono di gran lunga più preziosi di quelli dei Giudei. Oh! se voi poteste interrogare i vostri avi e comprendere per quale via siete venuti fino al battesimo, per quale via la Provvidenza vi ha condotti fino a questo momento fortunato nel quale voi siete rivestiti del dono prezioso della fede! Dopo di aver rimossi tutti i pericoli e tutti gli accidenti che avrebbero potuto soffocarvi, come tanti altri, nel seno delle vostre madri, il Signore, appena vedeste la luce del giorno, vi accolse tra le sue braccia, il mio figlio diletto. Da questo momento, non vi ha più perduto di vista. A grado che la vostra ragione si è svolta, i vostri padri, le madri vostre e i vostri pastori non hanno cessato di annunciarvi i benefizi che il Salvatore ci promette se lo serviamo. Egli non cessa di vegliare sopra la nostra conservazione come su la pupilla del suo occhio. Lo Spirito Santo ci dice che il Signore, facendo uscire il suo popolo dall’Egitto e conducendolo nella Terra promessa, si rassomiglia ad un’aquila la quale vola intorno a’ suoi piccini per eccitarli a volare, li prende e li porta sopra le sue ali (Deuter. XXXII, 11); „ ecco precisamente quello che opera Gesù Cristo per noi. Egli protende le sue ali, vo’ dire le sue braccia in croce, per riceverci e per eccitarci cogli insegnamenti suoi e co’ suoi esempi a staccarci da questo mondo, e ad ergerci al cielo con lui. La Scrittura santa ci narra che gli Israeliti furono stabiliti, per un favore singolare della bontà sua, nel paese di Canaan, per gustarvi il miele così eccellente che trovavano nel cavo delle pietre, per nutrirsi del fiore più puro del frumento, e per bere il vino più squisito (ibid. 13, 14). Sì, tutto ciò non è che una pallida immagine dei beni spirituali dei quali possiamo usufruire nel seno della Chiesa. Non è nelle piaghe di Gesù Cristo che noi troviamo le più grandi consolazioni? Non è nei sacramenti che noi gustiamo quel vino così delizioso la cui dolcezza e la cui forza inebriano le nostre anime? Qual cosa Dio poteva fare di più per noi? Quando il profeta Nathan fu mandato a Davide per riprenderlo del suo peccato, gli disse: “Ascolta, o principe, ecco quello che dice il Signore: Io ti ho salvato dalle mani di Saulo per farti regnare in suo luogo; io ti ho concesso tutti i beni e tutte le ricchezze della casa di Giuda e d’Israele, e, se tu tieni ciò in poco conto, soggiunse, io sono pronto a fare ancora di più „ (II Reg. XII, 7,8). Ma per noi, che può Egli concederci di più, quando ci mette a parte di tutti i suoi tesori? Qual è la nostra riconoscenza, o piuttosto qual disprezzo, qual abuso ne facciamo noi? Qual caso, qual uso facciamo noi della parola di Dio che ci si annuncia così spesso? Oh! quanti infelici che non conoscono Gesù Cristo! ai quali questa parola santa non è mai stata annunciata, e che diventerebbero gran santi se avessero solamente i rilievi di questo sacro pane, che non si cessa di prodigarvi e che voi lasciate perdere! Qual uso facciamo noi della confessione, nella quale Dio ci appalesa quanto grande è la misericordia sua, nella quale basta il far conoscere le piaghe della nostra povera anima per essere guariti? Ah! la maggior parte disprezzano questo rimedio, e gli altri vi si accostano il più raramente che possono. Qual uso facciamo noi della santa comunione e della santa Messa? Se non esistesse nel mondo cristiano che una sola chiesa nella quale si celebrasse questo augusto mistero, nella quale si consacrasse e nella quale fosse permesso di visitare e di ricevere il corpo e il sangue prezioso di Gesù Cristo, noi sentiremmo certamente una grande invidia verso coloro che fossero alle porte di questa chiesa, i quali potrebbero visitarlo e riceverlo tutte le volte che lo desiderassero. Noi siamo questo popolo scelto; noi siamo alla porta di questo luogo così santo, così puro, nel quale Dio si immola ogni giorno. Qual uso facciamo noi di questa felicità? Quando Dio verrà a giudicare il mondo, un Giudeo, un idolatra, un maomettano potrà dire: Oh! se io avessi avuto la fortuna di vivere nel seno della Chiesa Cattolica, se fossi stato Cristiano, se avessi ricevuto le grazie che aveva questo popolo eletto, io sarei vissuto in altro modo. Sì, M. F., noi abbiamo ricevuto queste grazie e questi favori di predilezione. Ma, ancora una volta, qual uso ne facciamo, dov’è la riconoscenza nostra? No, no, la ingratitudine nostra non rimarrà impunita; Dio, nella sua collera, ci toglierà quei beni che teniamo in sì poco pregio, o piuttosto che noi disprezziamo e facciamo servire a commettere il peccato. Io non dico che la siccità, le inondazioni, i geli, le gragnuole, le malattie e tutti i flagelli della sua giustizia ci incoglieranno: tutto ciò è nulla, benché tutto ciò sia una parte della punizione della nostra ingratitudine. Ma un tempo verrà, nel quale Dio vedendo il disprezzo che noi facciamo di questo dono prezioso che ci è stato trasmesso dai nostri padri nella fede, ci sarà tolto per essere concesso ad altri. Ah! non siamo noi stati vicini a perdere la nostra fede, nei giorni nefasti che abbiamo trascorsi? Non fu un avvertimento col quale Dio sembrava dirci, che se noi non ne facevamo un uso migliore, ci sarebbe tolta? Questo solo pensiero non dovrebbe farci tremare e raddoppiare le nostre preghiere e le nostre buone opere, affinché Dio non ci privi di questa felicità? Non dovremmo, come i Magi, essere pronti a ogni cosa piuttosto che perdere questo tesoro? Sì, M. F., imitiamo i Magi. E per essi che Dio ci ha trasmesso la fede; è in essi che noi troviamo il modello il più perfetto d’una fede viva, generosa e perseverante. Uniti di spirito e di cuore ai santi Re Magi, rechiamoci a Gesù Cristo, e adoriamolo come nostro Dio: amiamolo come Salvator nostro, attacchiamoci a Lui come a Re nostro. Presentiamogli l’incenso d’una preghiera fervorosa, la mirra d’una vita penitente e mortificata, l’oro d’una carità pura; o meglio, facciamogli, come i Magi, una offerta universale di tutto ciò che noi abbiamo e di tutto ciò che noi siamo; e non solamente Dio ci conserverà questo deposito prezioso della fede, ma la renderà ancor più viva, e, con tal mezzo, noi piaceremo a Dio e ci assicureremo una felicità che non avrà termine. È quello che io vi desidero.
Credo…
Offertorium
Orémus
Ps LXXI:10-11
Reges Tharsis, et ínsulæ múnera ófferent: reges Arabum et Saba dona addúcent: et adorábunt eum omnes reges terræ, omnes gentes sérvient ei.
[I re di Tharsis e le genti offriranno i doni: i re degli Arabi e di Saba gli porteranno regali: e l’adoreranno tutti i re della terra: e tutte le genti gli saranno soggette.]
Secreta
Ecclésiæ tuæ, quǽsumus, Dómine, dona propítius intuere: quibus non jam aurum, thus et myrrha profertur; sed quod eisdem munéribus declarátur, immolátur et súmitur, Jesus Christus, fílius tuus, Dóminus noster:
[Guarda benigno, o Signore, Te ne preghiamo, alle offerte della tua Chiesa, con le quali non si offre più oro, incenso e mirra, bensì, Colui stesso che, mediante le medesime, è rappresentato, offerto e ricevuto: Gesù Cristo tuo Figlio e nostro Signore.]
Communio
Matt II:2
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum.
[Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni ad adorare il Signore.]
Postcommunio
Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, quæ sollémni celebrámus officio, purificátæ mentis intellegéntia consequámur.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che i misteri oggi solennemente celebrati, li comprendiamo con l’intelligenza di uno spirito purificato.]
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)