GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (53) – LA VERA E LA FALSA FEDE (VIII.)

LA VERA E LA FALSA FEDE –VIII.

 (P. Gioacchino VENTURA: LE BELLEZZE DELLA FEDE, vol. II. Genova; Ed. Dario Giuseppe Rossi, 1867)

LETTURA VI.

LA CREDENZA DEI MAGI OVVERO LA VERITÀ E LA CERTEZZA DELL’INSEGNAMENTO DELLA FEDE.

PARTE SECONDA.

SI CONFERMA ULTERIORMENTE LA VERITÀ DELLE ESPOSTE DOTTRINE

§ XV. – L’effetto che deve necessariamente produrre la discordia delle opinioni si è di renderle tutte incerte. Osservazione sopra di ciò di Cicerone applicabile a lutti gli eretici. Quale è il loro più ordinario modo di avere una opinione. Senza l’autorità o il consenso non si può esser certo della verità dei proprj raziocinj. Testimonianze di Cicerone sopra questa materia. Col leggere solo la Scrittura, l’eretico si forma opinioni e non credenze intorno alla religione. Perciò tra i protestanti non vi sono dommi, ma sterili e vane opinioni.

Or qual sarà mai l’effetto di questa infinita discrepanza di opinioni, onde fra gli eretici le sette sono ostili alle sette, e gl’individui in guerra cogl’individui? L’incertezza e il dubbio. S. Tomaso lo ha detto: « Quando si vede che diversi fra coloro che si stimano sapienti opinano diversamente fra loro sopra di una cosa stessa, per altro dimostrata come verissima, e diversamente la insegnano, questa stessa cosa diviene dubbiosa ed incerta: Apud multos in dubitatone permanent ea quæ sunt verissime demonstrata, cum videant a diversis, qui sapientes dicuntur, diversa doceri. Cicerone aveva fatto di già tanti secoli prima la stessa osservazione, e citava l’esempio dei filosofi per prova della sua verità. Imperciocché, nel secondo degli accademici, dopo di avere enumerate le diverse opinioni dei filosofi intorno a Dio, e messi in contraddizione fra loro Zenone e Cleante, il maestro e il discepolo; dei quali il primo sosteneva che l’etere è il sommo Dio, e l’altro che il Dio supremo regolatore dell’universo si è il sole: Tullio conchiude appunto così: « Questa dissensione che vediamo regnare tra i capiscuola della filosofia intorno a Dio ci obbliga ad ignorare il Signor nostro; ed ormai non possiamo più saper con certezza se dobbiamo prestare l’omaggio della nostra servitù all’etere, ovvero al sole: ltaque cogimur, dissensione sapientum, dominum nostrum ignorare: quippe qui nesciamus, soli an etheri serviamus. Così pure, dopo aver fatto il quadro delle sentenze contraddittorie dei filosofi, sull’anima umana, dice: « Di queste contrarie sentenze, presentate tutte come vere, quale però sia la vera in realtà, ormai non può altri saperlo fuorché un Dio. In quanto a noi uomini, i filosofi colle loro dissensioni ci lasciano nell’incertezza: e nemmeno ci permettono  di decidere quale sia la vera: Harum sententiarum qua vera sit, Deus aliquis viderit: qua verosimilis, magna quæstio est. » – Ora allo stesso modo è obbligato a discorrerla 1’eretico intorno alle verità cristiane. Le opinioni diverse, i contrari sistemi, che tante migliaia di sette professano intorno a queste medesime verità, devono rendergliele necessariamente dubbiose ed incerte. Ed incerto pure diverrà per lui se il vero Cristianesimo sia fra i ruteni o fra i Greci, fra i luterani o fra i calvinisti, fra i metodisti o fra i quaccheri, fra presbiteriani o fra gli anglicani, fra i sociniani o fra gli anabattisti. Né là testimonianza della sacra Scrittura, in cui queste sette si vantano di aver trovata la loro fede, può rassicurarlo: perché è impossibile che la stessa Scrittura contenga, sopra uno stesso articolo, opinioni cosi contraddittorie come sono quelle onde una setta dall’altra discorda. Immaginate ancora che le sette nate dalla ribellione alla vera Chiesa non siano più di cento (quando si contano per migliaja). L’individuo di una di queste sette, per poco che ragioni, come potrà mai essere certo che la dottrina della sua setta sia la vera quando vede che le altre novantanove la condannano come eretica e come falsa? Con qual dritto dirà che tutte queste sette (che pur assicurano di aver seguite le stesse guide, la Scrittura e la ragione) sono nel falso, e la sua sola setta è nel vero? Sopra qual titolo accorderà il privilegio dell’infallibilità alla setta propria, e lo negherà a tutte le altre? Che sarà poi se, come si è notato, consideri l’infelice settario che anche nella setta propria degl’individui che la compongono non intendono poi allo stesso modo le dottrine che vi si processano? Non può dunque l’eretico appoggiarsi fuori di sé, sopra una fede comune, dove comun fede non vi è. Non può prendere almeno come in imprestito la certezza degli altri, se gli manca la propria; e lungi dal ritrovare fuori sé quell’appoggio possente alla sua credenza che i Cattolici, per sempre meglio confermarsi nella loro, ritrovan nella perfetta conformità del credere di tutta la Chiesa; non trova nella varietà delle opinioni di tante sette contrarie alla sua e degli stessi individui della sua medesima setta che motivi di dubbio e d’incertezza. Privo adunque ad un tempo e del sostegno dell’ autorità della Chiesa, che non riconosce, e del soccorso della grazia della fede, che non implora, e dell’appoggio della conformità delle altrui credenze colle sue, che non ritrova, rimane l’eretico perfettamente isolato dal cielo e dalla terra, dagli uomini e da Dio. Rimane abbandonato unicamente ai suoi lumi individuali e privati, in mano del suo consiglio e del suo giudizio, e non può contare che sopra sé stesso per indovinare la vera religione. Ora è egli facile che un viandante, lasciato solo in un immenso deserto, dove non vi è né sentiero né guida, ritrovi la sua strada per arrivare alla patria? Perciò la maggior parte degli eretici che ragionano, evitano di ragionare per accertarsi della vera religione. Non han coraggio d’intraprendere un lavoro, di cui l’immensa difficoltà è certa, incertissimo il risultato. – Accade dei settarj della religione ciò che Cicerone dice dei settarj della filosofia: nella età ancor tenera, o per compiacenza verso di un parente e di un amico, o abbagliati dall’eloquenza di un maestro da cui hanno ricevute le prime lezioni, pronunziano giudizio di cose che ancora non intendono, e si attaccano tenacemente al primo sistema che loro si è offerto, come chi ha fatto naufragio ed è sbattuto dalla tempesta si afferra al primo sasso che gli viene incontro: firmissimo tempore ætatis, aut obsecuti amico cuidam, aut una alicuius, quam primum audierint, oratione capti de rebus incognitis judicant; et ad quamcumque sunt disciplinam, tamquam tempestate delati, ad eam tamquam ad saxum adhærescunt. Hanno poi un bel dire che hanno  dato a tal sistema la preferenza perché insegnato da un uomo di maggior sapienza e di maggiore dottrina degli altri. Essi  mentiscono a se stessi. E come mai uomini ancora rozzi ed ignoranti potevano da per se stessi sopra ciò formare giudizio? E non si ricerca di fatti una consumata sapienza per decidere chi è più sapiente? Nam quod dicunt, se credere ei quem  indicant fuisse sapientem, probarem si idipsum rudes et indocti indicare potuissent. Statuere enim quis sit sapiens, vel maxime videtur esse sapientis. I più dei filosofi adunque non è già che credan vere le loro dottrine, ne conoscono anzi la falsità e l’errore. Ma siccome, per una incomprensibile frenesia, quest’errore, adottato da essi una volta, è loro amabile e caro; così ostinatamente lo diffondono, amando meglio di errare di quello che ricercare con animo imparziale la verità, che consiste in quello che SEMPRE E DA TUTTI si crede, e sì dice: Sed nescio quomodo plerique errare malunt, eamque sententiam, quam adamaverunt, pugnacissime defendere quam sine pertinacia quid COMSTANTISSIME dicatur exquirere (Àcad., lib. 1). –  Or ecco la storia altresì di quasi tutti gli eretici; sono pure essi pure lontanissimi dal credere, in faccia a tante contrarie testimonianze, che la loro setta o la loro dottrina è certamente la vera. Ma, o perché l’adottarono una volta nell’interesse di qualche passione, o perché vi sono natie cresciuti, vi si ostinano; e preferiscono le stravaganze e le turpitudini di un eresiarca privato alle credenze della Chiesa universale. – Molto più dopo che l’eresia, rivoltasi ad arrestare, per le vie del rispetto umano, le continue conversioni alla fede cattolica. che non può più arrestare per le vie della discussione o della tirannia, è giunta ad accreditare in Europa la massima che un uomo onesto non cambia mai religione: massima orribile., infernale, perché significa o che tutte le religioni sono egualmente buone per salvarsi, ciò che, come qui appresso vedrassi, è un’assurdità ed una bestemmia: o che, non essendovene se non una sola che conduca alla salute, l’uomo onesto che se ne trova fuori non deve abbracciarla, ma sacrificare ad un misero puntiglio Dio. l’anima, l’eternità, ciò che è il cumulo del delirio. Non sono però mancati, né mancano pur tuttavia degli eretici che, colla Scrittura alla mano, che leggono e rileggono di continuo, cercano di formarsi una religione. Infelici però! essi coi privati loro sforzi non arrivano, né possono mai arrivare a nulla di certo e di sicuro. Imperciocché egli è fuor di dubbio che l’uomo isolato e ridotto ai mezzi individuali di conoscere non è certo se non delle verità per sé note e immediatamente evidenti, cioè delle verità di semplice percezione; sia che le conosca immediatamente coll’intelletto (lnlellectus simpliciter percipiens semper est verus, S. Thomas); sia che le riceva per mezzo dei sensi, il cui giudizio, circa le cose di loro particolar competenza, è certo e sicuro (Sensus circa sensibile proprium sempre est vena, idem). E la ragione di ciò si è che, fino a tanto che si tratta di semplici percezioni, sì l’intelletto come il senso è sempre passivo, e quindi, dice lo stesso S. Tomaso, riporta fedelmente l’impronta della verità da cui è stato informato, come la cera riceve e ritiene l’impronta del sigillo che vi si è impresso. Ma quando trattasi di verità, di deduzione e di raziocinio, in cui l’intelletto divide e compone e diviene attivo e vi mette qualche cosa del proprio, nulla di più facile che l’ingannarsi (Error est in intellectu componente rei dividente, idem). E perciò ha detto pure S. Tomaso:« Troppo sovente accade che la ragione umana, camminandoper la via dell’inquisizione privata, incontri l’errore mentre crede di abbracciare la verità; attesa la debolezza del nostro intelletto nel ben giudicar delle cose, e la facilità che vi è da prendere per una verità un’illusione della fantasia (lnvestigationi rationis humanæ plerumque falsitas admiscetur, propter debilitatem intellectus nostri et phantasmatum admixtionem). » E perciò accade che anche le cose di cui la privata ragione è riuscita a persuaderai sulla testimonianza di una dimostrazione ben fatta rimangono incerte per l’uomo isolato; perché non può mai, finché è solo:  assicurarsi di avere tutti evitati i tredici scogli delle fallacie; un solo dei quali in cui s’intoppi basta a distruggere la rettitudine della dimostrazione: Et ideo apud multos indubitazione permanent ea quæ sunt verissime demonstrata dum vim demonstrationis ignorant. Inter multa etiam vera quæ demonstratur, immiscetur aliquando aliquid falsum, quod non demonstratur, sed aliqua probabili vel sophistica ratione asseritur. Se dunque l’autorità di persona che non può e non vuole ingannarlo, o il senso comune dei periti o dei dotti nella materia di che si tratta, non viene ad assicurar l’uomo che ha ragionato della rettitudine dei suoi raziocinj, egli è obbligato a diffidarne, a temer sempre che l’opposto di ciò che gli sembra vero sia falso; e la propria esperienza e quella dei più grandi ingegni che, ingannati da false evidenze, sono caduti in turpissimi errori, non può che confermarlo in questo timore. Quanto dire che l’uomo che conta solo, che solo ragiona, discute, dimostra, e che si fonda sul terreno vacillante della sua privata ragione,non può formarsi che opinioni più o meno probabili, più o meno vaghe, ma non già dommi certi ed immutabili; può giungere ad una certezza provvisoria, che altro non è se non la probabilità; ma non già ad una certezza assoluta,che comandi un’adesione dell’intelletto ferma, intera, costante, immutabile. – La storia della filosofia antica e moderna conferma la verità di questa dottrina. Gli antichi filosofi, con tutti i loro studi, con tutti i loro sforzi, con tutte le loro dispute sulle più importanti verità, sopra Dio e l’anima, non arrivarono a formarsi, come si è veduto, che opinioni più o meno incomplete, incerte, assurde, turpi, inette e ridicole; ma non poterono mai stabilire nulla come assolutamente certo e sicuro.Udiamo per tutti Cicerone idoneo testimonio di tutta la pagana antichità. Nei tre libri Sulla natura degli dei, introducendo egli Vellejo a sostenere la dottrina epicurea, Balbo la stoica, Cotta l’accademica intorno a Dio; nell’esame profondo che fa di queste tre dottrine delle tre scuole o sette principali della filosofia, passa in rivista, mette a fronte e pesa con pari eloquenza ed erudizione tutte le opinioni. dei filosofi sopra Dio. Or ecco come conchiude egli questo lungo ed interessante trattato sopra la prima e la più importante di tutte le verità: «Dopo questa discussione ci separammo, ritenendo presso a poco ciascuno la sua antica opinione, giacché a Vellejo parve più vera l’argomentazione di Cotta; a me poi parve più verosimile quella diBalbo: Hac cum essent dicta, ita discessimus ut Vellejo Cottæ disputatio verior, mihi Balbi, ad veritatis similitudinem, videretur esse propinquior. »Oh parole! oh confessione! Chi non si sente stringere il cuore?chi non arrossisce della debolezza della ragione umana al vedere un ingegno sì grande, anzi i più grandi ingegni dell’antichità altro frutto non ritrarre da sì lunghe discussioni che quello di concetti vaghi, di opinioni più o meno probabili, più o meno incerte intorno a Dio? oh miseria! disputare tanto per ottenere sì poco! Né meno debole, vacillante ed incerta era l’opinione di Tullio sull’immortalità dell’anima: verità la più importante dopo quella dell’esistenza di Dio, colla quale è legata e dalla quale discende. È vero che in diversi luoghi delle sue opere dichiara di ammetterla e volerla sempre ritenere, ma senza esserne né certo né sicuro; e il suo linguaggio problematico sopra questa materia indica più la sua inclinazione e il suo gusto di quello che il suo convincimento di essere immortale. Poiché dice: « Se erro nel credere all’immortalità dell’anima, erro volentieri; e finché vivo, non soffro che nessuno mi levi dalla mente questo errore che tanto mi piace. Se poi, come poveri e meschini filosofi opinano, la mia anima morrà col corpo, non ho a temere che le anime di questi filosofi, che periranno come la mia, mi befferanno per questo mio errore: Quod si in hoc erro, libenter erro, nec mihi hunc errorem, quo delector, extorqueri volo. Sin mortuus, ut quidam minuti philosophi censent, nihil sentiam; non rereor ne hunc errorem meum philosophi mortui irrideant. » Altrove poi, avendo esortato il suo uditore a leggere il celebre libro di Platone, in cui Tullio dice trovarsi ciò che può desiderarsi di più eloquente e di più solido in favore dell’immortalità, introduce lo stesso uditore a fare una dolentissima confessione intorno all’insufficienza dei raziocinj degli uomini più grandi per far credere con ferma certezza una qualunque verità. Poiché gli fa dire: « ho fatto più volte, tel giuro, ciò che mi suggerisci (di leggere il citato libro di Platone): ma, non so come, mentre leggo un tal libro mi pare di rimanere convinto; quando poi lo chiudo e comincio a ripensar meco stesso sull’immortalità, tutta la mia persuasione svanisce, e mi trovo incerto siccome pria: MARC. Num eloquentia Platonem superare possumus? Evolve diligentur ejus librum de animo. Amplius quod desideres nihil erit. AUDIT. Feci mehercule sæpius; sed nescio quomodo, dum lego, assentior: cum posui librum et mecum ipse de immortalitate cœpi cogitare, assentio omnis illa dilabitur. » – Or, se ciò accade delle verità primitive, cui pur la ragione può giungere; che sarà mai delle verità cristiane, che di sì gran lunga superano la ragione? Se l’uomo isolato non può generalmente elevarsi che a concetti più o meno probabili nelle cose che può a sé stesso dimostrare ed intendere; come può mai innalzarsi a dommi certi ed indubitabili di cose che non può né intendere né dimostrare? Il  simbolo adunque che l’eretico, usando del principio del libero esame e del giudizio privato, è ito accozzandosi con sommo stento leggendo  la Scrittura, non sarà che una faragine rozza e sconnessa d’incerte nozioni, di vaghe congetture, dì mal fondati giudizj sulla religione cristiana: parto mostruoso sovente più che della ragione, dell’immaginazione, della passione, del capriccio, e che non avendo infatti altra autorità, altra forza che quella della ragione che se li ha formati. Non potranno trasformarsi in verità certe che riscuotano un’adesione completa dell’intelletto e comandin la fede. Potrà opinare più o meno leggermente, ma non già credere nel senso che noi Cattolici attribuiamo a questa parola. – Egli è perciò che questi infelici. Che l’eresia ha trascinati si lungi dalle vie della certezza della fede, non si odono mai parlar di dommi, ma di opinioni. E di opinioni religiose, e non già di domini parlano i genitori nelle famiglie, i maestri nelle scuole, e perfino i teologi nelle cattedre e i predicanti nei templi. Ora il linguaggio è l’interprete fedele dei giudizj e delle idee di un popolo. Come dunque noi Cattolici colle parole dommi sacri, articoli di fede, che abbiamo sempre in bocca nel nostro linguaggio religioso, diamo chiaramente a conoscere che per la conoscenza cattolica, il Cristianesimo è un affare di damma e di certezza; così gli eretici colle parole opinione propria, opinione religiosa, che pare ripetano ad ogni istante nei loro discorsi e nei loro scritti quando trattasi di religione, danno evidentemente a vedere, loro malgrado  che nelle loro menti il Cristianesimo è un affare di probabilità e di opinione. – Badino perciò certi Cattolici che, come ho avuto occasione di notarlo io stesso, chiamano la religione l’opinione religiosa. Sebbene questa espressione, che ripetono con aria di grande pretensione e di grande importanza, come per farsi credere all’altezza del linguaggio del tempo, l’abbiano imparata da qualche libro anticristiano e la ripetano senza intenderla: badino però, io lo ripeto, che potrebbero farsi prendere, così parlando, per empj, quando i poverini non sono più che leggieri, stolidi e ridicoli. Poiché questa espressione, « opinione religiosa,» che, trattandosi del Cristianesimo quale il protestantismo lo ha ridotto, e sotto una penna ed in una bocca protestante, ha un senso rigorosamente filosofico e vero, nella bocca però di un Cattolico, trattandosi della cattolica Religione dommaticamente ed immutabilmente certa e sicura, è insieme un’assurdità ed una bestemmia. – Ritornando però al proposito, osserviamo che solamente il domma (parola greca che vuol dire decreto) può riscuotere l’assenso della mente e imporre e comandare alle affezioni del cuore: poiché esso solo si annunzia come necessario e circondato della forza, della certezza e dell’autorità. Ma in quanto all’opinione, non essendo nulla più che un concepimento vago, indeterminato, ed incerto della privata ragione, non può ottenere alcun assenso fermo ed immutabile, molto meno può esigere il menomo sacrificio dalle passioni. L’individuo perciò, come la società, si dirige co’ dommi e non già colle opinioni; e le opinioni allora comandano l’azione quando sono passati in dommi, o in certe ed importanti credenze. Ogni religione che non può presentarsi come dommatica, ma sol come opinabile, non può riscuotere che un’adesione momentanea, incostante, interessata, ovvero una completa indifferenza. E le opinioni religiose, appunto perché opinioni, non giovano per la vita presente e non presentano alcuna sicurezza per la vita presente, e non presentano alcuna sicurezza per la vita avvenire, non hanno maggiore importanza di quello che le opinioni di filosofia, di politica e di letteratura. Quando perciò nello scorso secolo il protestante Neker, ministro dell’infelice Luigi XVI, intitolò un suo libro: dell’importanza delle opinioni religiose, fu come se avesse detto: dell’ importanza delle cose che non importano né all’individuo ne alla società; perciò il libro sull’Importanza delle opinioni religiose non fece il minimo senso nella opinione e non produsse il menomo vantaggio alla religione. – Lo stesso è accaduto di tutti i libri apologetici del Cristianesimo scritti contro gli increduli da penne protestanti. Simili a chi per combattere non ha che armi logore, senza punta e senza taglio nelle mani, ed un terreno vacillante sotto dei piedi, e che, lungi dall’offendere il suo avversario, non deve sudar poco per difendersi e tenersi fermo in piedi esso stesso; simil, dico, a questo misero guerriero, gli eretici apologisti del Cristianesimo, incertissimi essi stessi di ciò che difendono, non potendo opporre che opinioni ad opinioni, non fanno il minimo timore ai loro avversarj, non recano il minimo danno al vizio o all’errore; e il più sovente non ne riscuotono che risa, disprezzo ed urti terribili che li fanno vacillare nella trista posizione in cui si trovano collocati. Il dottor protestante Beatty combattè il materialismo di Lokio. I grandi atei inglesi Hume, Bollinbroke, Collins, Gibbon trovarono dei confutatori in molti devoti dottori dello scisma anglicano. Ma chi fece mai attenzione a siffatte confutazioni? Gli scrittori contro di cui erano dirette se ne fecero beffe; il pubblico vi rimase così indifferente come se si fosse trattato di una controversia grammaticale: ed esse non impedirono che la storia di Hume in particolare, che contiene una chiara confessione di ateismo, non fosse dedicata al re d’Inghilterra, che pure porta ancora il titolo di difensor della fede. Perciò è un pezzo che questi inermi combattenti han deposto ogni pensiero di combattere l’incredulità ed han preso il saggio partito di lasciare in pace il deismo, l’idealismo, il materialismo, l’ateismo stesso che rompe ai loro fiaschi da tutte le parti: affinché queste opinioni filosofiche li lascino in pace nelle loro opinioni cristiane si comode e sopra tatto sì lucrose! – Deh che non è dato all’eresia il combattere l’incredulità con successo. I ribelli del senso comune della Chiesa universale non faranno mai paura ai ribelli del senso comune degli uomini, ma. rei del medesimo delitto, sono obbligati a perdonarselo a vicenda. Quindi la sì vantata tolleranza degli eretici per tutti gli errori non è se non l’effetto e l’indizio insieme della perdita intera di ogni fede e di ogni verità. Non è adunque fuori del nostro proposito che ne diciamo qui due parole.

§ XVI. – Digressione sulla tolleranza. Nessuno eretico ha diritto di accusare gli altri di eresia. La sola Chiesa cattolica può e deve condannare tutti gli errori, perché essa è verità; e compatisce gli erranti, perché  è carità. La tolleranza che gli eretici vantano di avere per tutte le altrui opinioni è una conseguenza necessaria dell’incertezza in cui sono della verità delle proprie. Questa tolleranza sono costretti ad estenderla persino all’ateismo. Uniti tutti coloro che sono fuori della Chiesa, qualunque religione professino, sono figli dello stesso padre, il demonio; formano una stessa famiglia; e l’istinto che hanno di ciò, li porla a tollerarsi a vicenda e ad essere intolleranti pei soli Cattolici. Questa coalizione di tutti gli erranti contro la Chiesa Cattolica è una bella prova che essa sola è vera e divina.

Ammesso una volta il principio del libero esame e del giudizio privato in materia di religione, ognuno rimane affatto indipendente in faccia all’altro nella sua religiosa opinione. Nessuno ha il diritto di dire all’altro: « La vostra opinione è falsa: la mia è la vera. » Nessuno ha autorità di obbligar l’altro ad opinare come esso opina, ad operare come esso opera. Chi osasse di arrogarsi una tale autorità e un  tale diritto, sarebbe giustamente reo in faccia alla ragione protestante, di usurpazione e di tirannia; sarebbe anzi il più iniquo degli usurpatori, il più odioso dei tiranni, poiché di tutte le usurpazioni e di tutte le tirannie la più ingiusta e la più oppressiva è quella che si esercita sulle coscienze e che dispone a capriccio della religione. Perciò il protestante è dai suoi stessi principj condotto a rispettare in tutti gli altri non solo il diritto di formarsi ciascuno la propria opinione, ma ancora l’opinione stessa che si è formata. E per quanto questa opinione sia evidentemente sconcia ed assurda, nessuno può farne ragionevolmente un rimprovero, subito che a questi così ne pare; ed ognuno ha egual diritto di ammettere ciò che gli pare e come gli pare. Perciò se un protestante dicesse all’altro: «Voi errate; voi siete eretico ammettendo tal e tal altra opinione, negando per esempio, la divinità di Gesù Cristo, questi potrà benissimo rispondere, come presso Cicerone Cotta rispondeva a Balbo che lo accusava di negare Dio : « Amico mio, ricordatevi che voi, al par di me, avete rigettata ogni specie di autorità, e che avete fissato per principio che ognuno deve appoggiarsi sulla propria ragione. Non abbiate dunque a male ch’io opponga la mia ragione alla vostra, e che usi dello stesso diritto che reclamate per voi stesso, di ritenere per vero ciò che alla mia ragione sembra vero: Tu auctoritate omnes contemnis, ratione pugnas. Patere igitur rationem meam cum tua conferre (De nat. Deor.). Non vi è che il domma o decreto che, supponendo un’autorità legittima che lo pubblica è obbligatorio. In quanto all’opinione privata di uno, esso non ha diritto che all’esame e non si può imporre alla credenza degli altri. Ora dovunque non vi è un’autorità comune, che ha diritto all’udienza comune, e perciò non vi sono dommi comuni, ma private opinioni; ognuno come ha diritto di tenere e di aver perdonata la propria, così ha un dovere di perdonare, di rispettare quella degli altri. – Da ciò si scorge quanto è assurdo ed ingiusto il rimprovero che gli eretici fanno a noi Cattolici di essere intolleranti verso di loro. Ingiusto, perché i Cattolici, generalmente parlando, compiangendo la miseria e la cecità degli eretici e degli infedeli non hanno alcun odio contro le loro persone. E difatti ove i Cattolici, soggetti politicamente ai protestanti o agli scismatici, sono più o meno palesemente tiranneggiati ed oppressi; al contrario gli eretici e gl’infedeli, soggetti politicamente pure ai Cattolici, godono di tutte le libertà che loro assicura la legge politica degli stati, e non soffrono alcuna oppressione. Di più la Chiesa cattolica, lungi dal nutrire odio per le vittime infelici dell’errore, spedisce ogni giorno i più generosi dei suoi figli, perché a costo ancora della propria vita del corpo, assicurino loro la vita dell’anima, portando loro la grazia colla verità. – Aggiungo che il rimprovero d’intolleranza che si fa alla Chiesa Cattolica è assurdo: perché l’errore può e deve essere tollerante per l’errore, ma non può e non deve essere tollerante la verità. Ora la Religione Cattolica è verità, è sola verità. è certa di essere tutta la verità. Come dunque la luce non può accomunarsi colle tenebre, né Gesù Cristo con Belial, non può la Cattolica Religione e non deve affratellarsi coll’errore, né vederne con occhio freddamente tranquillo gli orribili guasti che cagiona fra i popoli, e le tante anime che acceca nel tempo e perde per l’eternità. Se essa imitasse in ciò la condotta dell’eresia e si mostrasse indifferente per le dottrine che le son contrarie, darebbe a credere che errore è essa pure e che non è certa della sua verità. Tutta compassione per gli eretici e per gli infedeli, non può aver che odio e orrore per le dottrine dell’eresia e dell’infedeltà. E come l’odio infinito di Dio verso il peccato è una necessaria conseguenza ed una prova insieme che esso è santità, così quest’odio implacabile, quest’orrore costante della Chiesa Cattolica verso ogni sorta di errore, è una conseguenza necessaria ed insieme uno de’ più splendidi argomenti estrinseci che essa è verità, e che la verità in essa sola si ritrova, mentre è la sola che condanna tutti gli errori. La divisa dunque della Chiesa Cattolica è in queste belle parole di S. Agostino: «Guerra a morte all’errore, e perdono e carità verso gli erranti: Diligite homines, interficite errores. » Cioè a dire che la Chiesa Cattolica è e deve essere teologicamente intollerante verso le false dottrine; ma è tollerantissima verso gl’infelici che ne sono le vittime. Non così però l’eresia. Siccome la diversità delle opinioni religiose nuoce agl’interessi della sua politica; quando ne ha il potere, perseguita ed opprime politicamente gli uomini che le professano. Ma siccome non può decidere con certezza quale sia la vera religione, teologicamente è obbligata a scusarle e tollerarle tutte: cioè a dire che, intollerante per le persone, è, e deve essere tollerantissima per tutti gli errori; e questa tolleranza teologica di tutti gli errori è una legge, dalla quale l’eresia, non può sottrarsi senza smentirsi, senza contraddirsi, senza distruggersi. – Ecco dunque il fondamento, la ragione, la necessità logica della tolleranza reciproca dei protestanti, della quale essi menano sì gran vanto, e di cui invece dovrebbero arrossire e confondersi: giacché essa è la conseguenza e la prova insieme dell’assenza di ogni certezza, di ogni fede, di ogni religione fra loro. Siccome però il principio protestante, Che non bisogna riconoscere altra autorità che la Scrittura interpretata dalla ragione, non ammette restrizione e non può ammetterne alcuna, così non solo questa tolleranza si deve estendere e si estende difatti a tutti gli eretici, ma a quelli ancora fra gli eretici che negano la Trinità, la divinità di Gesù Cristo, l’eternità delle pene; perché essi ancora appoggiano queste negazioni sulla Scrittura, Si deve estendere e si estende difatti a tutti i maomettani, a tutti gl’idolatri fra i quali si è dai protestanti disseminata la Scrittura perché ognuno se la spieghi a suo modo, ed ai quali però non si può fare alcun rimprovero, se non vi trovano nemmeno un solo dei dommi cristiani che l’eretico dice loro di avervi trovati. Si deve estendere e si estende difatti a tutti i deisti, i quali, affermando che la ragione non ha loro dimostrata con bastevole chiarezza l’ispirazione divina delle Scritture si credono in diritto di negarla, e con essa di negare tutto il Cristianesimo. – Si deve estendere infine anche agli atei; giacché anche l’ateo dice di usare della sua ragione per negare Dio, che la sua ragione non comprende. E poiché la ragione, stabilita come unico giudice della Scrittura, diviene, come si è veduto, l’ultimo fondamento della credenza religiosa; sarebbe, dice un autore tristamente celebre non meno pe’ suoi talenti che per la sua caduta. sarebbe assurdo, contraddittorio, empio, l’obbligarlo a credere ciò che ripugna alla sua ragione. L’ateo ha in comune coll’eretico il principio di non riconoscere alcuna autorità, di non ammettere che ciò che sembra ammissibile alla propria ragione, rigettando tutto il rimanente. Or con lo stesso diritto onde il luterano rigetta le buone opere, il zwingliano la presenza reale, il calvinista il purgatorio, il sociniano la Trinità, il deista la rivelazione tutta intera, perché questi misteri sembrano inammissibili alla loro ragione, l’ateo potrà in faccia al protestante negare Dio stesso, affermando che l’esistenza di un Dio, puro spirito, immenso, eterno, immutabile, Creatore del tutto, è il più impenetrabile dei misteri, è il più inammissibile alla sua ragione. Si dirà che esso abusa della sua ragione? Verissimo: ma non è l’eretico che ha diritto di fargli un tal rimprovero. Subito che per esso pure tutto si riduce alla ragione, si deve ammettere come egualmente legittimo ogni parto della ragione. – Non può dunque l’eretico negare all’ateo la tolleranza. Sicché la tolleranza degli eretici non è che la confessione, il riconoscimento di tutti gli errori, fondato sopra la distruzione di tutte le verità. – Una sola eccezione iniqua fanno gli eretici dalla legge della tolleranza che estendono a tutti gli uomini di tutte le sette e di tutte le religioni, e questa eccezione è contro i figli della Chiesa Cattolica. In oriente i greci scismatici, i nestoriani, gli eutichiani tollerano e la perfidia giudaica e il sensualismo maomettano, e la superstizione idolatra. In occidente i luterani, i calvinisti, gli anglicani, tollerano anch’essi il socinianismo che non riconosce la Trinità, il deismo che rigetta ogni rivelazione, e perfino l’ateismo che nega ogni divinità. Chi mai oggi più tra gli eretici alza una voce, muove un dito, per impugnare questi errori che perdono le anime e degradano l’umana società? Solo contro i Cattolici si armano di uno zelo diabolico, invocano una crociata infernale, riuniscono i loro sforzi, il loro odio, il loro furore: e declamano e scrivono ed intrigano. Solo contro i Cattolici l’impostura e la calunnia, l’ingiustizia e l’oppressione, l’anarchia e il dispotismo, tutte le vie insomma sono buone, tutti i mezzi sono legittimi, tutti i delitti sono permessi. Che anzi non arrossiscono di far causa comune coi più dichiarati nemici del Cristianesimo per abbattere e distruggere dappertutto il Cattolicismo. Così questi generosi filantropi, che si perdonano fra loro e perdonano a tutti gli altri settari le opinioni le più empie, le più assurde e più scandalose, non perdonano al Cattolico la sua fede sì costante, sì ragionevole, sì santa e sì pia. Mentre riconoscono in ognuno il diritto funesto di delirare, seguendo le dottrine di qualunque impostore o le stravaganze della propria ragione ispirata dalle passioni: puniscono, come un delitto, il diritto che il Cattolico crede d’avere e d’esercitare, di umiliare, cioè, la propria ragione e di credere al Cristianesimo come lo intende e lo insegna la Chiesa; segno manifesto che la verità nella sola Chiesa Cattolica si trova, e che fuori di essa, sotto forme variate all’infinito, vi è l’errore più o meno esplicito, più o meno esteso, più o meno assurdo: giacché la religione contro la quale si coalizzano in una fratellanza, in un odio comune tutti gli errori, non può essere che verità.

GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (54) LA VERA E LA FALSA FEDE -IX.-

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (19)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (19)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vie. Gen

APPENDICI

APPENDICE III.

Di quelli che sono in pericolo di morte.

Se accade che sia in pericolo di morte un infermo battezzato, sia bambino, sia fanciullo, sia adulto, che ignora il catechismo e vuol giovarsi degli altri Sacramenti della Chiesa, il sacerdote lo istruisca sommariamente intorno a Dio, a Dio remuneratore, ai misteri della Ss. Trinità e della Redenzione umana, alla reale presenza di Cristo nell’Eucaristia e al sacramento della Penitenza; e lo esorti a implorar perdono da Dio de’ peccati commessi, per intercessione della beata Vergine Maria, nostra Madre amorosissima; ne ascolti, per quanto è possibile, la confessione e gl’impartisca l’assoluzione sacramentale; finalmente gli somministri il sacramento del Corpo di Cristo e, se tempo avanza, anche la Estrema Unzione. – Se invece l’infermo non è battezzato e chiede il Battesimo, ma non può essere istruito più accuratamente, per conferirgli il Battesimo basta sia istruito intorno a Dio, a Dio remuneratore e, come sopra, a’ principali misteri della fede e che dimostri in qualche modo di assentirvi e prometta seriamente di osservare i comandamenti della Religione cristiana. Che se non è in grado nemmeno di chiedere il Battesimo, però abbia prima o nella attuale condizione manifestato in qualche modo probabile l’intenzione di riceverlo, dev’essere battezzato sotto condizione; e se, poi, guarito, rimanga dubbio circa la validità del conferito Battesimo, sia di nuovo conferito il Battesimo sotto condizione. – In mancanza del sacerdote e di tempo per chiamarlo, qualsiasi persona, per prepararlo, quant’è possibile, alla morte, istruisca l’infermo, l’esorti e lo battezzi, come s’è detto sopra.

APPENDICE IV.

DECRETO circa le Indulgenze concesse a coloro, che si adoperano a insegnare o a imparare la Dottrina Cristiana.

PIO PP. XI

a perpetuo ricordo del fatto.

Con nostra lettera motu proprio del 29 giugno 1923, Noi abbiamo istituito presso la Sacra Congregazione del Concilio uno speciale Ufficio coll’incarico di regolare e propagare nella Chiesa tutta l’azione catechistica. Orbene, adesso la Commissione Catechistica dell’Ufficio medesimo, allo scopo di promuovere sempre più l’istruzione religiosa del popolo cristiano e specialmente de’ fanciulli, ci prega istantemente di ricompensare coi doni spirituali delle Indulgenze coloro, che s’adoperano a insegnare o a imparare il Catechismo cristiano. Vero è che i nostri predecessori di vener. mem. Paolo Pp. V e Clemente Pp. XIII concedettero già siffatti doni spirituali, che a que’ tempi parevano bastare; ma ora giudichiamo nel Signore che tali doni son da accrescersi e da conformarsi ai bisogni del nostro tempo. Abrogate dunque le Indulgenze già concesse da que’ Romani Pontefici, udito inoltre il parere del Nostro caro Figlio Cardinale di S. Romana Chiesa Penitenziere Maggiore, fidando nella misericordia di Dio onnipotente e nell’autorità de’ santi Apostoli Pietro e Paolo, concediamo misericordiosamente nel Signore a tutti e singoli i fedeli di Cristo, che per mezz’ora circa, non meno però di un terzo d’ora, si presteranno a insegnare o a imparare la dottrina cristiana almeno due volte al mese, indulgenza plenaria, da lucrarsi due volte nel medesimo mese e in giorni di loro scelta; purché, veramente pentiti, confessati e comunicati, visitino qualche chiesa od oratorio pubblico e vi preghino secondo l’intenzione Nostra o del Romano Pontefice. Inoltre ai medesimi fedeli, ogniqualvolta si presteranno durante il suddetto periodo di tempo a insegnare o a imparare la dottrina cristiana, elargiamo una indulgenza parziale di cento giorni, da lucrarsi colla contrizione almeno del cuore. Non ostante qualsiasi disposizione in contrario. La presente avrà valore per sempre in avvenire.

Roma, presso S. Pietro, sotto Fanello del Pescatore, il 12 Marzo 1930, nono del Nostro Pontificato.

E. CARD. PACELLI

Segretario di Stato.

APPENDICE V. (*)

(*) Questa Appendice fa parte del Catechismo di S.S. Pp. Pio X.

Sunto storico della divina rivelazione.

I. – Creazione del mondo e dell’uomo.

1. Al principio nulla esisteva fuor di Dio: ed Egli, per essere infinitamente perfetto e felice da sé, non avea bisogno di nessuno e di nulla; sicché solamente per bontà sua s’indusse a creare, cioè a far dal nulla tutte le cose contenute in cielo e in terra, visibili e invisibili.

2. Ogni cosa creata fu creata con ordine stupendo; e l’uomo, ultima creatura e per così dire corona del creato, fu fatto a immagine e somiglianza di Dio.

3. Al primo uomo, che chiamò Adamo, Dio diede per compagna Eva, formandola da una costa di lui; e da questi due provenne tutto quanto il genere umano.

II. – Della caduta dell’uomo e della promessa del Redentore.

4. L’uomo, costituito re di tutta la terra, fu posto in un amenissimo luogo, il paradiso terrestre, dove poteva goder d’ogni piacere: tuttavia, perché riconoscesse il pieno dominio del Creatore, Dio gli comandò di non mangiare dell’albero della scienza del bene e del male.

5. Eva, credendo più al serpente che a Dio, e Adamo, per contentar Eva, trasgredirono miserabilmente il comando divino e per loro colpa accadde quel che Dio aveva minacciato per patto, cioè che non soltanto i due, ma tutti gli uomini poi rimanesser privi sia della grazia e dell’eterna felicità, sia di tutti gli altri doni che rimediavano alle deficienze dell’umana natura. Così diventarono soggetti alla schiavitù del demonio, alle passioni, ai dolori e anche alla morte; ed esposero tutti al pericolo di perdere l’eterna felicità.

6. Ma Dio, dopo averli scacciati dal paradiso terrestre e condannati alla fatica, al dolore e alla morte fisica, non tolse loro la speranza dell’eterna salvezza; anzi preannunziò che, grazie al Messia ovvero Cristo, sarebbe stata da Lui distrutta la orribile signoria del demonio: e che il Messia verrebbe nella pienezza de’ tempi; e che, sorretto da questa speranza e fede, l’uomo rivivrebbe, conformandosi alla legge morale, scolpita nel suo cuore.

III. – Della corruzione degli uomini, del diluvio, del popolo eletto.

7. Ma fin da Caino, che per invidia uccise suo fratello Abele, le colpe si moltiplicarono talmente sulla terra, col crescere del genere umano, che tutti senz’eccezione si corrompevano. Perciò Dio mandò sulla terra il diluvio e tutti perirono tranne Noè, uomo giusto, colla sua famiglia, perché Dio lo volle salvo nell’arca, ossia nave grandiosa che gli aveva comandato di costruire. Orbene, per contraccambio di questo beneficio Noè, al cessar del diluvio, fece offerta sull’altare d’un olocausto.

8. Però le varie schiatte provenute da Sem, da Cam, da Jafet figli di Noè, deviarono dal retto sentiero e coll’andar del tempo, dimenticato l’unico vero Dio, adorarono idoli d’ogni sorta. Dio pertanto scelse, tra i pochissimi fedeli della schiatta di Sem, il caldeo Abramo, lo chiamò fuor di patria e gli promise, purché si mantenessero giusti lui e i suoi discendenti, d’essere il loro Dio, inoltre di accrescerli sterminatamente, facendoli dominatori della terra di Canaan ossia Palestina, non solo, ma, di più, benedire nel seme di Abramo tutte le genti. Questa promessa medesima fu da Dio rinnovata sia ad Isacco, figlio di Abramo, sia a Giacobbe o Israele, secondogenito d’Isacco.

9. Così la progenie di Abramo e d’Isacco divenne il popolo eletto, perché conservasse la fede e la vera religione e tramandasse a’ posteri la promessa del Salvatore.

IV. – Dell’esilio in Egitto degli Ebrei e della loro liberazione per mezzo di Mosè.

10. Giacobbe morì nell’Egitto, dove s’era rifugiato, in occasione di terribile carestia, con tutti i suoi presso il figlio prediletto Giuseppe, che i fratelli avevan venduto, per malevolenza, a certi Egiziani come schiavo. Il Faraone, cioè re d’Egitto, preso d’ammirazione per il dono della profezia, per la fedeltà e per la saggezza di Giuseppe, l’innalzò alla più alta carica del regno. Nell’Egitto gli Ebrei crebbero in tal numero e raggiunsero tale prosperità, che un altro Faraone poi, crudelissimo, che aveva in sospetto la loro potenza, fece ogni sforzo di spegnerli, durante una schiavitù durissima, comandando di buttar nel Nilo i loro maschi neonati.

11. Dio però venne in aiuto del suo popolo. Difatti la figlia stessa del re salvò dalle acque Mosè, futuro salvator del popolo, lo fece allevar nella reggia; e per mezzo di lui più tardi ingiunse Dio al re di liberare il popolo ebreo. E, siccome il Faraone non voleva ubbidire, ne devastò orrendamente il regno con dieci flagelli, detti le piaghe d’Egitto, l’ultimo de’ quali fu di uccidere nottetempo, pel ministero d’un Angelo, tutti i primogeniti degli Egiziani, mentre furono rispettate dall’Angelo le case degli Ebrei, ch’essi aveano segnato col sangue d’un agnello.

12. Il re cedette e Mosè, partito subito col popolo, passò il mar Rosso, grazie alla miracolosa separazion delle acque, nelle quali, pentiti della conceduta partenza, anche gli Egiziani discesero, per inseguir gli Ebrei. Ma le acque si ricongiunsero su loro e tutti perirono. Così avvenne il passaggio, cioè la Pasqua (Ex., XII); e del fatto prodigioso gli Ebrei ogni anno celebrarono il ricordo, fino alla Pasqua di Gesù Cristo, nella quale fu redento il genere umano dalla servitù del peccato, di gran lunga la peggiore di tutte.

V. – Gli Ebrei nel deserto, la legge, Giosuè, la terra promessa.

13. Agli Ebrei, guidati attraverso il deserto, Iddio diede, sul monte Sinai con grande autorità fra tuoni e fulmini, il Decalogo, vale a dire dieci comandamenti, scolpiti sopra due tavole di pietra; e vi aggiunse altri precetti rituali e sociali, che il popolo doveva osservare fino alla venuta del Messia per rendersi meritevole delle divine promesse.

14. F u questo il vecchio Testamento, cioè patto di Dio col popolo eletto: questa la legge antica, mosaica, la quale, co’ suoi minuti e gravosi precetti, mirava a conservar la fede e il culto dell’unico vero Dio, ignorato dappertutto da’ popoli, e quasi a preparare il nuovo Testamento, cioè la nuova legge di Cristo infinitamente superiore all’antica: finalmente quest’è il fondamento, sul quale poggia la costituzione del popolo ebreo, fondata da Mosè.

15. Pure così favoriti da Dio e meravigliosamente sostentati nel deserto, gli Ebrei ritardarono per le loro colpe l’ingresso alla terra promessa. Anzi Mosè vi morì proprio sulla soglia e gli succedette Giosuè, che finalmente dopo quarant’anni di peregrinazione s’impossessò della Palestina e la spartì in dodici tribù, che debbono la loro origine ai dodici figli di Giacobbe.

VI. –  Giudici, i Re, Davide, Salomone, il Tempio, il regno di Giuda,

16. Morto Giosuè, i Giudici governarono il popolo; ed erano suscitati da Dio ogni qualvolta qualche grave frangente li richiedeva; poi i Re, tra i quali fu primo Saul. A lui, abbandonato da Dio, succedette Davide, uomo davvero valoroso e fedele, della tribù di Giuda; e nella sua famiglia rimarrà ereditario il regno e nascerà finalmente il Messia, il cui regno non avrà fine.

17. Salomone, figlio di David, il più sapiente degli uomini, edificò a Dio in Gerusalemme un amplissimo e magnifico tempio: ma, già vecchio, s’abbandonò alla lussuria e all’idolatria, e per questo delitto, come anche per la crudeltà del figlio e successor suo Roboam, dieci tribù si separarono dalla casa di Davide e costituirono, con Geroboam, autore della scissione, il regno di Israele. Anche questo cascò in breve nell’idolatria, fu maledetto da Dio e distrutto dagli Assiri.

18. Frattanto anche le tribù di Giuda e Beniamino, che formavano il regno di Giuda fedeli ai successori di Davide, prevaricarono più volte, nonostante i fieri rimproveri de’ Profeti, specialmente al tempo di empii re come Achaz e Manasse. Perciò intervenne il re di Babilonia, Nabuccodonosor, che distrusse Gerusalemme col suo tempio e condusse i n ischiavitù re e popolo.

VII. – La schiavitù babilonese, il ritorno in patria e la riedificazione del tempio.

19. Gli Ebrei, afflitti dalla schiavitù di Babilonia e commossi dagli ammonimenti de’ Profeti, si convertirono e confermarono la loro fede in Dio e nella libertà d’Israele per mezzo del Messia.

20. Così, dopo 70 anni, al tempo di Ciro, re de’ Persiani, che aveva soggiogato Babilonia, avvenne il ritorno in patria del popolo d’Israele, secondo la mirabile profezia del profeta Isaia; e la città, sotto la guida di Zorobabele e di Neemia, fu ricostruita con unanime slancio di pietà e patriottismo e, anzitutto, il tempio che, per quanto meno splendido del vecchio per architettura e decorazione, doveva però essere onorato dalla presenza dell’aspettato Dominatore e Angelo del nuovo Testamento. Fu restituito il culto pubblico a Dio e, per opera del sacerdote Esdra, richiamato il popolo all’obbedienza della legge: anzi della legge furono letti e spiegati opportunamente in presenza di tutti, gli esemplari.

21. Di poi, collo scorrere de’ secoli, la libertà civile, la forza e la potenza del popolo ebreo decadde man mano; tuttavia, se anche molti non furono fedeli ai buoni propositi antichi, non si raffreddò, anzi crebbe e si consolidò lo studio della legge divina e similmente l’aspettazione del Salvatore, giorno per giorno più chiaramente manifestato dai Profeti, finché apparve Gesù Nazareno, nel quale tutte a un punto le profezie furono divinamente adempite (Cfr. Part. III, D. 80)..

VIII. – Vita, predicazione, morte, risurrezione e ascensione di Gesù Cristo.

22. Gesù nacque in Betlemme da Maria Vergine, della casa di Davide, sposa a Giuseppe. Come le avea preannunziato l’Angelo Gabriele, la fecondò lo Spirito Santo; perciò, pur conservandosi vergine, divenne Madre del Verbo Divino, che s’incarnò da Lei.

23. In conformità della legge, circonciso e chiamato Gesù ossia Salvatore, visse — dopo l’esilio in Egitto, costrettovi dalla persecuzion d’Erode — nella cittadina di Nazaret, sottomesso a Maria e Giuseppe, in continuo progresso « di sapienza, d’età e di grazia nel cospetto di Dio e degli uomini ». A trent’anni, ricevuto il Battesimo di penitenza da Giovanni Battista sulle rive del Giordano, cominciò a predicare attraverso la Giudea e la Galilea l’Evangelo, o buona novella, vale a dire la remissione de’ peccati e la vita eterna per tutti coloro, che crederebbero in Lui e obbedirebbero a’ suoi precetti; e con i miracoli confermò la sua divina dottrina e missione.

24. Molti credettero in Lui, specialmente gli Apostoli ossia messaggeri, scelti da Lui stesso per istituire la Chiesa, di cui designò capo e fondamento Pietro. Ma contro di Lui eccitarono l’odio e l’invidia i pontefici, i farisei e i dottori della legge, gelosi del suo potere, insofferenti de’ suoi rimproveri contro gli errori e le imposture che commettevano. E per quest’odio il Sinedrio, tribunale supremo della nazione, lo condannò a morte, Lui il Redentore aspettato dalle genti, e gli antepose l’assassino Barabba quando Pilato, governatore romano, benché vile d’animo, fece lo sforzo di salvargli per grazia la vita, in occasione della Pasqua. – Straziato da crudelissimi tormenti, flagellato, coronato di spine e crocifisso tra due assassini sul Calvario presso Gerusalemme, esalò a capo chino l’ultimo respiro perdonando a’ nemici non solo, ma implorando da Dio il perdono a loro. Così l’opera della Redenzione fu da Lui compiuta, con perfetta soddisfazione all’eterno Padre per noi. Allora fu adempito il vecchio Testamento, cioè il patto stretto con quell’ingrato popolo, dal quale Dio Redentor di tutti era stato respinto e crudelmente suppliziato: ed Egli consacrò col suo sangue prezioso il nuovo ed eterno Testamento.

26. Deposto nel sepolcro il corpo di Gesù, l’anima di Lui discese agl’inferi per liberarne l’anime de’ giusti, che vi aspettavan la redenzione. Ma il terzo dì, come più volte avea predetto, risuscitò da morte; e dopo le sue apparizioni alle pie donne, a Pietro, ai due discepoli che andavano in Emmaus, a tutti gli altri Apostoli, ancora dubitosi della verità di quel fatto, questi, osservate ben bene le sue piaghe gloriose, finalmente rimasero certi della risurrezione di Cristo. Ed Egli, dopo averli ammaestrati circa il regno di Dio e comunicata l’autorità di rimettere e ritenere i peccati, li mandò in tutto il mondo a istruire e battezzar tutte le genti, promettendo di mandare lo Spirito Santo e di rimaner con loro fino alla consumazione de’ secoli. Orbene, quaranta giorni dopo la sua risurrezione, in vista di loro salì al cielo e siede alla destra del Padre con pieno potere in cielo e in terra.

IX. – La venuta dello Spirito Santo e la Chiesa Cattolica.

27. Dopo altri dieci giorni, nella festa di Pentecoste, lo Spirito Santo promesso da Cristo discese sugli Apostoli e sulla Chiesa nascente, per non separarsene mai più. Così fu fondato e compiuto il regno di Dio, con gli Apostoli come reggitori e propagatori e con il soprannaturale sussidio sia della divina parola, diffusa colla predicazione o consegnata agli scritti, sia de’ Sacramenti (tra i quali spetta il primo posto alla Santissima Eucaristia, sotto i cui veli nascosto Cristo di continuo è a noi presente), sia finalmente de’ doni dello Spirito Santo Paraclito: e cominciò, indipendentemente dalla Sinagoga, a esercitare la propria missione per la salvezza del genere umano. E avvenne che a poco a poco i pagani, nonostante le durissime persecuzioni dell’impero romano, si convertirono dal culto indegno degli idoli e dall’orrenda corruzione de’ costumi e moltissimi, abbraciata la fede cattolica, divennero insigni per gloria d’ogni virtù.

28. Non andò molto che, insieme colla capitale col re e col tempio, precipitò in rovina la nazione de’ Giudei, che si dispersero per tutte le regioni del mondo, si sfasciò sotto il peso de’ suoi vizii il mondo antico, scomparvero per vecchiaia regni e imperi; ma la Chiesa colla civiltà da lei promossa rimane sempre più all’avanguardia per la salvezza della società umana, benché nazioni anche potentissime abbiano miseramente fatto secessione dal suo grembo materno per via di scisma e d’eresia e benché i nemici del Cristianesimo abbiano sempre scatenato guerre e seguitino tutt’ora a scatenarne contro di essa. « Le porte dell’inferno non avranno sopravvento »: fidati in questa divina promessa, i buoni soldati di Cristo di nulla affatto temono, pregano colla Chiesa Madre, Iddio, faticano, sopportano pazientemente le avversità tutte, aspettando la risurrezione finale e il ritorno glorioso di Gesù Cristo giudice, che preannunziò gli odii, le persecuzioni e le defezioni, ma insieme accrebbe e confortò il coraggio di tutti i suoi fedeli con quelle parole famose: « Se il mondo vi odia, sappiate che odiò me per primo. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. Confidate! io ho vinto il mondo » (Giov., X V , 18-20; XVI, 33) (Gli argomenti per dimostrare la divinità di Gesù Cristo sono nel nostro Catechismo maggiore, alla Dom. 82).

INQUISIZIONE: LEGGENDE E FALSE ACCUSE DI SINISTROIDI FACINOROSI, IGNORANTI E IN MALA FEDE.

INQUISIZIONE

Speciale tribunale ecclesiastico per combattere e sopprimere l’eresia.

SOMMARIO : I. I. medievale. – II. I. spagnuola.

I. I. MEDIEVALE.

I. ORIGINE. – Missione essenziale dell’episcopato è non solo d’insegnare le verità della fede, ma anche di difenderle contro coloro che le attaccano. Ora, esso si dimostrò impotente a reprimere gli inquietanti progressi fatti nei secc. XI, XII e XIII soprattutto dai catari (chiamati in Italia patarini, nella Linguadoca albigesi, dal nome della regione in cui pullulavano) e dai valdesi. Il Papato perciò, a scongiurare il grave pericolo che minacciava la Cristianità, creò un tribunale speciale: l’Inquisizione. Ma procedette a tappe. – Dapprima Lucio III, a Verona, nel 1184, ponendo il principio di una procedura più sbrigativa che non quella dell’accusa pubblica, ereditata dalla legge romana, obbligò i Vescovi a visitare una o due volte all’anno, personalmente o mediante sostituti, le parrocchie contaminate dall’eresia per sentire, sotto il vincolo del giuramento, le testimonianze di persone degne di fede. Ad essi spettava inoltre la ricerca {inquisitio) d’ufficio dei colpevoli, la loro riconciliazione con la Chiesa o la loro punizione, qualora si rifiutassero di purificarsi, mediante giuramento, dall’accusa di eresia o diventassero recidivi. L’episcopato aveva giurisdizione anche sugli esenti, perché procedeva quale delegato della S. Sede (9, X, V, 7). Varie costituzioni emesse da Innocenzo III negli aa. 1205, 1206 e 1212 e il can. 3 del Concilio Ecumenico Lateranense (1215) completarono le prescrizioni di Lucio III (17-19, 21, X , V , 3; 13 X, V, 7). – Non bastando ancora l’episcopato a tale compito, la S. Sede affidò poteri temporanei a delegati, i più attivi dei quali furono, in Francia; Pietro de Castelnau, assassinato il 15 genn. 1208, e Romano, cardinale di S. Angelo; in Italia: il card. Ugolino. Terminata la crociata che abbatté la potenza degli albigesi in Linguadoca, Raimondo VII, conte di Tolosa, re Luigi I ed il legato romano firmarono il Trattato di Parigi del 12 apr. 1229 che assicurava alla Chiesa la cooperazione dello Stato (testo fotografato in J. Guiraud, Histoire de l’Inquisìtion au moyen àge, II, Parigi 1938, p. 8) . – Da parte sua l’imperatore Federico II promulgò costituzioni contro gli eretici nel 1220, 1224 e 1231 (J. – L. – A . Huillard-Bréholles, Historia diplomatica Frederici II [Parigi 1852], p. 4, 421 e 19, X, V, 7 ). Fu allora che Gregorio IX istituì per l’Europa, dal 1231 al 1234, dei tribunali d’I., presieduti da inquisitori permanenti, i quali esercitavano i loro poteri entro circoscrizioni determinate. A tale scopo egli scelse Francescani e Domenicani, designati a tale ufficio dai loro superiori gerarchici (L. Auvray, Registres de Grégoire IX [ivi 1890], pp. 339-41 e Th. Ripoll, Biillarium Ordinis Fratrum Prædic., I [Roma 1729], p. 47) o più tardi, dalla S. Sede stessa.

II. GLI INQUISITORI. – Domenicani e Francescani esplicarono contro gli eretici uno zelo ardente. In Italia si urtarono contro le autorità locali che li proteggevano, e contro i ghibellini che avevano fatto lega con essi. Pietro di Verona pagò con la vita l’esercizio delle sue funzioni di inquisitore nel Milanese e a Firenze (29 apr. 1252). Ma nonostante la resistenza, l’eresia catara volgeva al declino verso la fine del sec. XIII e all’inizio del XIV. Quanto ai valdesi, perseguitati dovunque, emigrarono nelle Alpi del Delfinato, poi, scacciati dai loro rifugi, passarono nel Piemonte, dove esistono tuttora. Nei secc. XIV e XV gli inquisitori perseguirono gli pseudo-apostoli, discepoli di fra’ Dolcino, e gli amanti degeneri della povertà francescana, conosciuti sotto il nome di beghini, spirituali e fraticelli. Dinanzi a loro comparivano anche gli Ebrei convertiti che apostatavano, i bestemmiatori, gli scomunicati, dopo un anno di insordescenza, i colpevoli di stregoneria, di divinazione, di sortilegi, di fatture, di invocazione del demonio, di delitti contro natura, di adulterio, di incesto, di concubinato, di usura e, infine, i violatori del riposo domenicale. – Nella loro qualità di giudici delegati della S. Sede, gli inquisitori godevano di poteri eccezionali, che li rendevano indipendenti dall’Ordinario, almeno per quanto riguardava l’esercizio del loro ufficio. Taluni commisero abusi, ma la colpa era più spesso dei loro dipendenti, come, ad es., i notai. La S. Sede punì senza pietà i colpevoli, ad es., Roberto le Bougre, che incorse nella prigione perpetua. Per porre fine a qualunque arbitrio, Clemente V decretò che l’uso della tortura, la promulgazione delle sentenze definitive, la sorveglianza delle prigioni fossero di competenza insieme dei Vescovi e degli inquisitori (1, 2, V, 3 in Clem.). In seguito Giovanni XXII obbligò i giudici dell’Inquisizione a comunicare le procedure agli Ordinari (J. – M . Vidal, Bullaire de l’Inquisìtion francaise au XIVe siècle, Parigi 1913, nn. 40, 55, 56).

III. LA PROCEDURA. – La procedura inquisitoriale è conosciuta nei suoi minimi particolari, grazie ai manuali redatti da Nicola Eymeric, Bernardo Gui e altri. Sospetti, denunce, accuse, la stessa voce pubblica, bastavano all’inquisitore per citare a comparire dinanzi a sé le persone compromesse, o farle trarre in arresto, sia dalle autorità civili, che dai propri dipendenti (sergenti, messaggeri, notai, carcerieri). L’interrogatorio doveva avere luogo in presenza di due testimoni. Un notaio – in sua mancanza due persone idonee – scriveva i processi verbali delle deposizioni o almeno la sostanza di esse. Esente da ogni giurisdizione, l’inquisitore, salvo eccezioni, si dispensava dall’osservare la procedura di diritto comune, per seguire a suo piacimento quella messa in onore da Clemente V e chiamata sommaria, passava oltre a ogni privilegio, ai procedimenti dilatori!, all’appello e all’applicazione del can. 37 del IV Concilio Lateranense che proibiva le citazioni a più di due giornate di cammino (dietæ) dal domicilio dell’incolpato. L’inquisitore aveva dunque un potere discrezionale. La colpevolezza era stabilita sia con la confessione degli interessati, sia con prove testimoniali. Come testimoni potevano essere uditi anche eretici e infamati, pur sottoponendo le loro deposizioni a un serio esame. Erano esclusi i nemici mortali dell’interessato. Due testimonianze di persone degne di fede erano sufficienti a stabilire la colpevolezza; le deposizioni dei testimoni erano comunicate agli imputati, ma i loro nomi erano tenuti nascosti per tema di rappresaglie. Per questo occorreva tuttavia, dopo Bonifacio VIII, che il pericolo fosse giudicato molto grave (20, V , 2 in 6°). – Esistevano vari mezzi per costringere l’imputato a confessare: il regime della prigione stretta, che comportava il digiuno, la privazione del sonno, la prigionia nelle segrete, i ceppi ai piedi e le catene ai polsi, e tormenti anche più crudeli. Se recalcitrava, il detenuto era sottoposto alla tortura, ossia al cavalletto, alla corda, ai carboni ardenti, o al supplizio dello stivaletto. Tuttavia bisognava evitare sempre la mutilazione e il pericolo di morte. – In forza della decretale Si adversus (11, X, V, 7) l’avvocato o il notaio che prestavano il concorso del loro ufficio a un eretico o a un fautore di eresia, si esponevano alla perdita dell’ufficio e incorrevano nell’infamia. Di conseguenza gli imputati restavano indifesi. Tutto al più si permetteva all’avvocato di consigliare il colpevole a confessare. Una volta raggiunta la prova del delitto di eresia, l’inquisitore riuniva una giuria composta di religiosi, di chierici secolari, di persone gravi, di giureconsulti, in numero rilevante, fino a raggiungere la quarantina. Ascoltato il loro parere, egli pronunciava la sentenza sia in pubblico, solennemente, nel cosiddetto « sermone generale », sia fuori di esso. Se l’eretico si ostinava a rifiutare la ritrattazione dei suoi errori o se ricadeva dopo averli abiurati (nel qual caso era giudicato recidivo) l’inquisitore lo abbandonava (relinquimus) — appositamente non adoperava il verbo tradimus — al braccio secolare, pregandolo di risparmiare al colpevole la mutilazione e la morte. In pratica però questa raccomandazione non aveva effetto; solo preservava il giudice dall’irregolarità, in cui sarebbe incorso con il partecipare a una sentenza capitale. Se la corte laica di giustizia non avesse dato alle fiamme l’impenitente o il recidivo, sarebbe stata passibile di scomunica, in quanto favoriva l’eresia (C. Douais, Practica Inquisitionis heretìce pravitatis, auctore Bernardo Guidonis, Parigi 1886, pp. 88 e 127). – Condotto al luogo del supplizio, se il condannato dichiarava di pentirsi e di rinnegare i suoi errori, il tribunale lo restituiva all’inquisitore, il quale lo sottometteva a un interrogatorio molto serrato al fine di evitare qualunque soperchieria. Il pentito doveva denunciare, verosimilmente senza alcuna costrizione fisica, i suoi complici e abiurare una per una le sue eresie. Per castigo era condannato alla prigione perpetua. Se la sua conversione in extremis appariva simulata, la sentenza primitiva riprendeva il suo effetto. Il recidivo che si convertiva all’ultima ora otteneva solo la grazia di ricevere i Sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, prima di morire sul rogo: il delitto di eresia era paragonabile a un caso di lesa maestà divina. – Se il colpevole era chierico od aveva ricevuto gli Ordini, l’autorità ecclesiastica procedeva a degradarlo prima di abbandonarlo al potere civile. Sul fondamento delle costituzioni apostoliche, del Liber Sextus (18, V, 2, in 6°) e della legislazione imperiale, alcuni autori hanno immaginato che l’appello fosse permesso solo nel caso di una sentenza interlocutoria, ma escluso per le sentenze definitive, in particolare per le condanne che importavano il ricorso al braccio secolare. I regesti pontifici han dimostrato, almeno per quanto riguarda il sec. XIV, la falsità di tali affermazioni (v. J. – M. Vidal, Bulicare de l’Inquisìtion francaise, pp. LXXII – LXXX). Tra le pene inflitte agli eretici che abiuravano i loro errori, sembra che quella della reclusione fosse la più largamente adoperata dagli inquisitori. Il regime penitenziario variava a seconda dei casi e dei luoghi: la « prigione larga » escludeva i ferri e le segrete, penalità riservate ai condannati alla «prigione stretta» o alla « prigione strettissima ». – In qualunque caso però, i detenuti non ricevevano altro cibo che « il pane del dolore e l’acqua della tribolazione ».

IV. I PENITENTI. — A volte, i prigionieri ottenevano la libertà provvisoria o definitiva. Si imponeva loro, però, di portare, sulle vesti, segni d’infamia: pezzi di stoffa gialla o rossa, di forme diverse, che li esponevano a ogni sorta di vessazioni, di affronti, di incommodità, che rendevano loro la vita difficile. Infatti, i buoni Cristiani si rifiutavano di avere relazioni con essi ; di dare i propri figli in matrimonio ai loro figli e alle loro figlie. Insulti e persecuzioni non venivano risparmiati. I calunniatori e i falsi testimoni erano duramente puniti: per due giorni consecutivi, dal levar del sole fino a nona, e nelle quattro domeniche successive, erano issati su una scala, a mani legate e capo scoperto, vestiti di un camice senza cintura, davanti alle porte delle chiese, perché  la folla li coprisse di ingiurie. Altre volte, gli inquisitori imponevano ai penitenti pellegrinaggi più o meno lontani. I pellegrinaggi maggiori erano a S. Giacomo di Compostella, a Roma, a S. Tommaso di Canterbury, ai SS. Tre Re Magi di Colonia. Al loro ritorno i pellegrini presentavano dei certificati in attestazione del viaggio compiuto e delle visite obbligatorie ai santuari. Ai pellegrinaggi e ai segni d’infamia si accompagnava ordinariamente la fustigazione pubblica. In determinati giorni di festa o di domenica, il penitente assisteva alla Messa parrocchiale, presentandosi al celebrante, con un cero in una mano, delle verghe nell’altra, e riceveva la flagellazione. La cerimonia poteva anche aver luogo durante le processioni. Il fustigato annunciava al popolo riunito, che egli aveva meritato la sua sorte, perché aveva commesso dei misfatti contro gli inquisitori e il tribunale dell’Inquisizione. Sui penitenti gravavano poi altri doveri, come assistere alla predica e alla Messa cantata, astenersi dalle opere servili nei giorni proibiti, ricevere i Sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, nelle date stabilite, digiunare, ecc. Le pene inflitte ai colpevoli erano dalla Chiesa stimate, più che punizioni, penitenze utili alla salvezza dei penitenti, tornati alla vera fede cristiana. Così, la prima domenica del mese, il curato spiegava le lettere penitenziali in possesso di un penitente e gli ricordava gli obblighi a cui era tenuto.

V. IL FINANZIAMENTO. – La ricerca e la cattura degli eretici o di coloro che li favorivano, implicava gravi spese. Per compensarle, gli inquisitori imponevano delle multe, sia a titolo principale sia a compenso di pene gravi commutate in pene più lievi. Il resto degli utili era devoluto ad opere pie, quali la costruzione o la manutenzione di chiese, di ponti, di fontane, l’acquisto di paramenti sacri, di vasi sacri destinati agli edifici del culto. – La confisca totale cadeva sui beni degli eretici ostinati e dei recidivi, anche se penitenti, che erano stati rimessi al braccio secolare, come pure sui beni di coloro che erano stati condannati alla prigione perpetua. In Francia un funzionario reale detto « receveur des encours », percepiva il ricavato delle confische, il che gli consentiva di assumersi le spese del tribunale dell’Inquisizione, che incombevano al re. In Italia i redditi del tribunale dell’Inquisizione, si dividevano in tre parti, fra le città, gli ufficiali laici, e il tribunale stesso.

VI. CONSEGUENZE DELLE CONDANNE. – La macchia di eresia non cessava con la morte: secondo le disposizioni delle Decretali (12, X, III, 28 e 8, X, V, 7) la presenza del corpo di un eretico profanava il cimitero dov’era sepolto e l’inquisitore ordinava che le ossa venissero riesumate e calcinate sul rogo. Alcune costituzioni apostoliche e un editto di Federico II prescrivevano la distruzione totale delle case in cui dei catari, detti « perfetti » o « perfette », erano stati arrestati, o s’erano nascosti, o avevano predicato o amministrato il consolamentum, sorta di sacramento che sostituiva quelli della Chiesa. In realtà gli inquisitori applicarono tali decreti solo alle case in cui morivano persone che avevano ricevuto il consolamentum in punto di morte, a saputa del proprietario, o in cui erano state elevate al grado di « perfetti ». – Infine, alcune inabilità civili ed ecclesiastiche colpivano ipso facto tutti gli eretici riconciliati con la Chiesa, fino alla seconda generazione in linea paterna e fino alla prima in linea materna; i chierici divenivano inabili a possedere dignità e benefici ecclesiastici; i laici non potevano esercitare pubblici uffici né compiere determinati atti della vita civile (L. Tanon, Histoire des Tribunaux de l’Inquisìtion en France, Parigi 1893, pp. 539-45). Gli inquisitori accordavano spesso remissioni e commutazione di pene, ma sempre rivedibili.

VII. IL NUMERO. – Quale fu il numero di eretici e di recidivi che subirono il supplizio del fuoco? La documentazione insufficiente impedisce di determinarlo con esattezza. Si hanno indicazioni precise solo sull’attività, nel sec. XIV, del tribunale di Pamiers dove, su 64 persone condannate, 5 furono consegnate al braccio secolare, e su quella dell’inquisitore Bernardo Gui nel Tolosano, dove su 930 persone 42 perirono sul rogo (cf. J. – M. Vidal, Le tribunal d’Inquisition de Pamiers, Tolosa 1906, p. 329; C. Douais, Documents pour servir à l’histoire de l’Inquisìtion dans le Languedoc, I , Parigi 1900, p. ccv). – I moderni hanno giudicato severamente l’istituzione dell’Inquisizione, e l’hanno tacciata di essere contraria alla libertà di coscienza. Ma dimenticano che in passato si ignorava questa libertà e che l’eresia incuteva orrore nei ben pensanti, che erano certamente la grande maggioranza anche nei paesi più infetti di eresia. Non va inoltre dimenticato che in alcuni paesi il Tribunale dell’Inquisizione, durò pochissimo ed ebbe importanza assai relativa: così nell’Italia meridionale, nei regni spagnoli durante i secc. XIII e XIV e nella Germania. A Roma stessa sparì ben presto: il processo contro Lutero nel 1518 fu condotto dall’Uditore generale della Camera Apostolica.

BIBL.; Fonti; Ph. Limborch, Historìa Inquisitionis, Amsterdam 1692; Th.Ripoll, Bullarium O.F.P., Roma 1729; J.H.Sbaralea, Bullarium Franciscanum, Roma 1765; P. Frédéricq, Corpus documentorum Inquisitionis hæreticæ pravitatis Neerlandicæ, 5 voll., Gand 1889; J. Dollinger, Beitràge zur Sektengeschichte des Mittelalters, Munster 1890; C. Douais, Documents pour servir à l’histoire de l’Inquisìtion dans le Languedoc, 2 voll., Parigi 1893. — Manuali degli Inquisitori: Bernardo di Como, Lucerna inquisitorum hæreticæ pravitatis, Milano 1566; N. Eymeric, Directorium inquisitorum cum commentariis F. Pegnæ, Roma 1578; Davide d’Augusta, De inquisitione hæreticorum, in Abhandlungen der historischen Klasse der Kònìglichen bayerischen Akademìe der Wissenschaft, 14, parte 2″ (1878), pp. 204-35; B. Gui, Practica Inquisitionis hæreticæ pravitatis, ed. C. Douais, Parigi 1886; nuova ed. parziale G. Mollat e G. Drioux, 2 voll., ivi 1926-27; A. Dondaine, Le manuel de l’Inquisiteur {1230-1330), in Archivum Fratrum Prædicatorum, 17 (1947), pp. 85-194; T . Kaeppeli, Un processo contro i valdesi di Piemonte nel 1335, in Rivista della storia della Chiesa in Italia, 1 (1947), pp. 285-91. – Studi; Una bibliografia, ma incompleta, è stata data da E . Vacandard, in DThC, VII (1923) coll. 2067-68 e da J. Guiraud, Histoire de l’Inquisìtion au moyen age, Parigi 1935, I , pp. XI – XLVIII. I libri scritti di recente, a parte quello del Guiraud, non hanno rinnovato l’argomento. Il libro classico di H . C. Lea, A history of the Inquisition of the Middle Ages, 3 voll., Nuova York 1887, vers. frane, di S. Reinach, Parigi 1900-1902, ha perso un po’ del suo valore; vale però meglio il libro di A. S. Turbeville, Medioeval heresy and the Inquisition, Londra 1920. Per l’Italia vedi F. Tocco, L’eresia nel medioevo, Firenze 1884; L . Fumi, Eretici e ribelli nell’Umbria: studio d’un decennio (1320-30), Todi 1916; G. Biscaro, Inquisitori ed eretici lombardi (1292-1318), in Miscellanea di storia italiana, 3a serie, 19 (1922), pp. 445-557; A. Mercati, Frate Bartolo d’Assisi michelista e la sua ritrattazione, in Archivum Franciscanum historicum, 20 (1927), pp. 260-304; G. Biscaro, Inquisitori ed eretici a Firenze (1319-34), in Studi medievali, 8 (1929), pp. 347-75; id., Eretici ed inquisitori nella Marca Trevisana (1280 1308), in Archivio veneto, 5a serie, 11(1932), pp. 148-80; G. Cornaggia Medici, La visitatio plebana. Caratteri della procedura inquisitoria vescovile con speciale riguardo alle fonti della Chiesa milanese, Milano 1935; P. Barino da Milano, L’istituzione dell’I, monastico-papale a Venezia nel sec. XIII, in Collectanea franciscana, 5 (1935), pp. 177-212; id. – Per una storia dell’Inquisizione, medievale, in Scuola cattolica, 67 (1939), PP. 589-96; F. Bock, Die Beteilung an den Inquisìtìonsprozessen unter Johanns XXII., in Archivum Fratrum Prædicatorum, 6 (1936), pp. 312-333; id., Studien zu den politischen Inquisìtìonsprozessen Johanns XXII., in Quellen und Forschungen, 26 (1936), p. 21-142, 27 (1937), pp. 109-34; C. Della Veneria, L’Inquisizione medievale, e il processo inquisitorio, Milano 1939; P. Barino da Milano, Le eresie popolari del sec. XI nell’Europa occidentale, in Studi gregoriani 1 (1947), pp. 43-89; R. Morghen, Osservazioni critiche su alcune questioni fondamentali riguardanti le origini ed i caratteri propri delle eresie medievali, in Miscellanea storica in memoria di Pietro Fedele,  Roma 1946, pp. 97-151.

II. INQUISIZIONE SPAGNOLA.

I. ISTITUZIONE. – Gli Ebrei, numerosi Spagna, vi avevano raggiunto una posizionepreponderante grazie alla loro abilità commerciale. La loro arroganza, il loro lusso e le loro ricchezze, oltre la pratica dell’usura, eccitarono contro di essi l’esasperazione pubblica, che prorompeva di quando in quando in feroci rappresaglie e massacri. Ripetute predicazioni, particolarmente per opera di S. Vincenzo Ferreri, e severi editti nel 1412-13 ne indussero molti a passare al Cristianesimo. Ma troppo spesso tali conversioni erano provocate dall’interesse o dalla paura senza condurre a mutazione di costumi o di occupazioni; molti di questi conversos, o marranos, come furono chiamati, praticavano di nascosto riti giudaici, altri ritornavano addirittura al giudaismo particolarmente in punto di morte; sicché furono ritenuti dagli Spagnoli peggiori di coloro che non s’erano convertiti. – Per provvedere a questo stato di cose e al riordinamento religioso della Spagna, cedendo alle istanze di autorevoli personaggi dell’alto clero e del laicato, i sovrani Ferdinando ed Isabella chiesero a Sisto IV il ripristino della Inquisizione.

II. ORGANIZZAZIONE. – Con bolla del primo novembre 1478 l’Iquisizione  fu infatti ripristinata. Essa però assumeva un più deciso carattere nazionale perché, pur ricevendo i loro poteri dal Papa, gli inquisitori erano nominati su proposta dei sovrani che potevano rimuoverli o  sostituirli quando non facessero al caso loro. Anche nelle confische che colpivano i rei, i sovrani avevano la loro parte. I tre primi inquisitori furono nominati nel 1480; il Papa ne aggiunse altri sette, e per dareuniformità e disciplina al loro procedere, i due sovrani, accanto agli altri consigli della corona, istituirono il Consejo de la Suprema y General Inquisicion (detto più brevemente la Suprema) con giurisdizione su tutto ciò che interessava la fede. A capo di questo consiglio fu posto un inquisitore generale con pieno potere sui giudici dei singoli tribunali sottoposti. Gli inquisitori iniziarono la loro attività a Siviglia, città popolata di convertiti, donde molti esularono. Un editto del 2 genn. 1481 impose a chi dava loro asilo di consegnarli all’Inquisizione. Un secondo editto, detto di grazia, prometteva il perdono ai penitenti; allo scadere della dilazione accordata, la denuncia dei colpevoli o sospetti di apostasia diventò obbligatoria e per scovare i falsi cristiani fu compilato un memento in 37 articoli in cui si indicavano le loro osservanze caratteristiche. – Molte lamentele, portate fino a Roma, contro il modo di procedere degli inquisitori, decisero Sisto IV a togliere la nomina di questi alla corona e a creare in Castiglia una corte d’appello per i processi di eresia (25 maggio 1483); ma il tentativo non riuscì. Il Papa nominò  allora inquisitore generale il Torquemada il quale esercitò le sue funzioni dapprima in Castiglia (1483) e poi in Aragona (1484), quindi nel resto della Spagna (3 apr. 1487). Egli compose, per i suoi sottoposti un codice che, integrato con aggiunte successive, fu pubblicato a Madrid nel 1576 sotto il titolo di Compilacion de las istructiones del officio de la Sancta Inquisicion. Non  era opera originale, perché condensava la dottrina esposta da Bernardo Gui nella Practica Inquisitionis e da Nicolò  Eymerich nel Directorium Inquisitorum. Vi apportava solo delle precisazioni di dettagli e delle direttive occasionali. – In Aragona l’Inquisizione trovò una forte opposizione. I conversos di Saragozza ordirono un complotto contro i due inquisitori Pedro Arbues de Epila e Yuglar.  a notte del 14 sett. 1485, Pedro fu ucciso da un colpo di spada. La sua morte (17 sett.), suscitò a Saragozza la rivolta della popolazione contro i conversos. La repressione fu severa e i congiurati perirono tutti sul rogo. Nel 1492 tutti gli Ebrei, che non accettarono di farsi cristiani, furono costretti a lasciare la Spagna, causa i disordini e le cospirazioni che andavano fomentando; da allora in poi non si ebbero giudaizzanti che saltuariamente, sebbene venissero guardati con sospetto o con disprezzo quei Cristiani che traevano origine dagli Ebrei convertiti. – Quello che era successo ai marranos avvenne anche per i Mori rimasti in Spagna dopo la conquista di Granata (1492), ai quali nel 1498 fu imposto di farsi Cristiani o di andarsene. Si creò così una classe di convertiti (moriscos) solo superficialmente e contro di loro si volse l’attività della Inquisizione. – Gli errori degli alumbrados nei secc. XVI-XVII, tennero pure occupata l’Inquisizione, al giudizio della quale del resto furono assoggettati reati di diritto comune, che ben poco avevano a che fare con l’eresia; e ciò avuto riguardo al migliore funzionamento della sua procedura in confronto agli altri tribunali, alla sua segretezza ed alla maggiore integrità dei giudici. Essa non dimenticò la tradizione medievale ch’era di condurre i rei a penitenza per sottrarli soprattutto alla consegna al braccio secolare ed alle relative conseguenze; non sfuggì però ai pregiudizi dei tempi nell’applicazione delle pene corporali e nel solenne apparato dell’auto da fé (atto di fede). È certo che con l’allargarsi dei poteri dell’Inquisizione in Spagna ne ebbero a scapitare i tribunali vescovili, ai quali venne a mancare quasi del tutto il potere coercitivo. Anzi sarebbe stato proposito della Suprema assoggettare a sé i Vescovi stessi (v. CARRANZA); ma a ciò Roma non volle consentire. Numerosi del resto furono gli attriti con l’autorità Papale che interveniva per moderare lo zelo degli inquisitori, impedire le esorbitanze senza riuscire sempre a correggerne lo spirito aspro di indipendenza e la condotta inflessibile e dura. Sono ben noti i tentativi del re Filippo II per introdurre l’Inquisizione nei suoi domini di Napoli e di Milano e nei Paesi Bassi, incontrando la risoluta resistenza degli abitanti. In Spagna l’Inquisizione, soppressa una prima volta dal dominio francese nel 1809, fu ristabilita nel 1814 e soppressa poi definitivamente nel 1821.

BIBL.: Durante le sue ultime vicende gli archivi dell’Inquisizione, come avvenne anche altrove, andarono distrutti, mettendo così in serio imbarazzo chi voglia descriverne imparzialmente i caratteri e le vicende. Nella storiografia del periodo romantico ebbe larga parte la tendenziosità anticlericale e l’immaginazione romanzesca. Così non si può accettare ad occhi chiusi quanto ne scrisse il più noto storico : Y . A. Llorente, Anales de la Inquisición de Espana, Madrid 1812; id., Memoria histórìca, ivi 1812; id., Historia crìtica de la Inquisición de Espana, ivi 1822 (l’autore fu segretario generale del S. Uffizio e attinse abbondantemente negli archivi); H. Ch. Lea, The Moriscos of Spain. Their conversion and expulsion, Filadelfia 1901; id., A hystory of the Inquisition of Spain, 4 voll., Nuova York 1906-1907; E. Schàfer, Beitràge zur Geschìchte des spanischen Protestantismus und der Inquisition in XVI. Jahrhundert, 3 voll., Giitersloh 1902 (cf. R. De Schepper, in Rev. hist. ecclés., 10 [1909], pp. 138-45); F. Tocco, Henry Charles Lea e la storia dell’Inquisizione, spagnola, in Archivio storico italiano, 5 (1911), pp. 265-303; Ch. Moeller, Les bùchers et les auto-da-fé, in Rev. hist. ecclés., 14 (1913) P- 720-51; 15(1914) pp. 50-69; Pastor, II, p. 593 sgg.; R. Sabatini, Torjuemada et l’Inquisìtion espagnole, trad. francese dall’inglese, Parigi 1937 (opera insufficiente e a volte tendenziosa).

Guglielmo Mollat

Evidentemente I FACINOROSI MASSONIZZANTI, i comunistoidi mondialisti, i modernisti apostati – cattolici falsi ed ipocriti – non ricordano le inquisizioni degli ariani, dei musulmani, degi protestanti luterani, calvinisti, anglicani, dei regimi comunisti in tutto il mondo, – Europa Orientale, Messico, Cuba, Cina, Corea, Indocina – ove l’inquisizione non era regolata dai tribunali, ma da scimitarre, mannaie, roghi pubblici, gulag e fucilazioni, per non parlare dell’acqua tofana o dei bambini di Trento – Simonino -, Marostica – Lorenzino – etc. Si vede che la memoria è corta e superselettiva per coprire ben altri e veri crimini contro l’umanità!

[Nota di ExsurgatDeus]

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (52): LA VERA E LA FALSA FEDE -VII.-

LA VERA E LA FALSA FEDE –VII.-

 (P. Gioacchino VENTURA: LE BELLEZZE DELLA FEDE, vol. II. Genova; Ed. Dario Giuseppe Rossi, 1867)

LETTURA VI.

LA CREDENZA DEI MAGI OVVERO LA VERITÀ E LA CERTEZZA DELL’INSEGNAMENTO DELLA FEDE.

§ XII. – A somiglianza degli antichi filosofi, gli eretici hanno ripudiata, come inutile, la preghiera a Dio per ottenere la fede. Non solo perciò manca loro il motivo di un AUTORITÀ’ DIVINA, ma ancora il soccorso della DIVINA GRAZIA perché credano con CERTEZZA. Spiegazione del detto di Tertulliano, che IL VERO ERETICO NON È PIÙ CRISTIANO. Che cosa significa credere? L’eretico OPINA, ma veramente non CREDE nulla e non CREDE a nessuno. Difficoltà che vi è perciò di convertirlo alla vera fede. La gente idiota presso gli eretici CREDE e può appartenere alla Chiesa. Il vero eretico però le stesse verità cristiane che professa le ritiene come OPINIONI umane, non come DOMMI divini; e però la sua fede non ha nulla di cristiano.

Ripieni gli antichi filosofi di questo orgoglio infernale, onde si credevano illuminati quanto Dio stesso, immaginate se poterono mai pensare a chiedere lume a Dio. Era anzi domma comune alle due grandi sette in cui si era divisa la filosofia, la setta stoica e la setta epicurea, che l’uomo, per l’acquisto della verità come per la pratica della virtù, non aveva bisogno alcuno di Dio, e che non avea perciò a chiedere a Dio alcun soccorso. Poiché la filosofia stoica dice presso Tullio: « Agli dei si deve domandar la ricchezza; ma la sapienza bisogna ripeterla dalla propria intelligenza, e l’uomo non è per nulla a Dio debitore di sue virtù: Quis, quod bonnus vir esset gratias diis gessit? Fortuna a Deo, a semetipso potendo est sapientìa (Ve nat. deor., lib. 2) . E la filosofia epicurea ripeté la stessa dottrina, per la bocca di Orazio che ne era alunno, in queste orgogliose parole: « Mi dia pur Giove le ricchezze e la vita. In quanto al lume della mente, all’equità del cuore non ho di lui alcun bisogno, ma basto io solo a me stesso, Det vitam, det opes, animum æquum mi ipse parabo. – Ora questa orribile dottrina, che l’uomo non ha bisogno che di se medesimo per esser sapiente come per esser virtuoso, dottrina che mette nelle tenebre il princìpio della luce ed il principio della santità nella corruzione; questa dottrina, dico, professata già dai pagani filosofi, è stata quindi rinnovata ed anche al presente è più o meno esplicitamente seguita dagli eretici cristiani. Non chiedono essi mai a Dio né la luce che gl’illumini, né la grazia che gli faccia migliori. E questi fedeli seguaci della Bibbia hanno con un orribile sangue freddo proscritto l’uso della preghiera, che pure, nei termini più chiari è raccomandato ad ogni pagina della Bibbia. Bisogna però confessarlo: così facendo, sono essi coerenti alle dottrine dei loro maestri; ed a che può essere mai utile la preghiera, se, come ha delirato Lutero, il libero arbitrio dell’uomo, pel peccato di Adamo, fece irreparabilmente naufragio, e non è necessario il ben vivere, ma basta sol credere per andar salvi? o, come ha bestemmiato Calvino, i figli dei battezzati nascono tutti santi, la grazia è inammissibile, tutti i fedeli sono predestinati? Or queste dottrine infernali una volta ammesse, non vi è più, come ognun vede, alcuna necessità di pregare: e perciò, checché sia della preghiera pubblica, che in alcune chiese da noi separate è restata come un esterior cerimonia cui non prendono alcuna parte né la mente né il cuore, la preghiera privata però della sera e del mattino, questa espressione della indigenza dell’anima, questa sorgente di tutti i suoi beni, questo pane di tutti i giorni, questo riposo di tutte le ore, questa speranza di tutti gl’istanti più non si pratica, più non si conosce. Io ho veduto una volta, in persona di un calvinista moribondo nel grande ospedale degli Incurabili di Napoli, il tremendo effetto dell’avversione profonda che l’eresia ispira alle sue vittime per la preghiera. Essendosi costui ricusato ostinatamente di entrare in discorso di religione, sino a turarsi colle mani le orecchie per non sentirne, non potei, per quanto mi fossi adoperato, ottenere che almeno pregasse! « La preghiera, diceva, non mi serve a nulla e non mi renderà migliore. » Ed in questo parossismo di orgoglio l’infelice spirò. Tutto al contrario però mi è accaduto con un luterano qui in Roma. Mi si presentò egli dicendomi: « Sono luterano, ma di nome: in realtà però, come quasi tutti coloro che fra noi hanno qualche coltura, non credo nulla, ma desidero sinceramente di credere. Ed oh sapeste quanta invidia mi fa. quando entro nelle vostre chiese, il vedere tanta gente che ora, perché crede! » E qui, dando un profondo sospiro e con un accento di tristezza da cavar dagli occhi le lagrime, soggiungeva: « Ah quanto sono essi felici! io, misero me, non credo e non posso credere! » Questo desiderio però sì sincero e sì ardente di credere era già una preghiera incominciata: mi fu dunque facilissimo l’impegnarlo a continuare a pregare Iddio d’illuminarlo. Ogni sera si recava egli adunque alla chiesa della Maddalena che dalla parte della porteria rimane aperta sino a notte avanzata per comodo dei soli uomini, che in gran numero vi si recano infatti a pregare, e per ore intere chiedeva a Dio lume alfin di conoscere la vera religione, pronto a sacrificar tutto, anche la vita, per abbracciarla dopo averla conosciuta. Non occorre il dire che con disposizioni sì pure, sì belle e sì generose, questo brav’uomo finì col credere e si fece Cattolico. Deh che chi domanda a Dio la luce è illuminato, chi gli chiede la grazia è guarito! in una parola l’uomo che prega con umiltà di spirito con sincerità d’affetto, per quanto sia cieco e corrotto, è salvo; giacché ottiene il lume e la grazia necessaria per vederci, correggersi e salvarsi. Perciò la divina bontà anche agli idolatri, non che ai maomettani, anche agli eretici concede la grazia della preghiera. Questi novelli Giobbi, cui l’errore e il vizio hanno spogliato di tutto e ridotto da capo a piedi una piaga, pure, nell’immensa loro sventura, conservano sane le labbra per pregare: Derelicta sunt tantummodo labia circa dentes meos (Job XIX); e nella preghiera hanno ancora riserbato un mezzo efficacissimo di salute. Ma lo spirito delle tenebre, che li tiene schiavi, per toglier loro questo unico mezzo di salute che lor rimane fra le pratiche del Cattolicismo che ha rendute odiose agli eretici ha ispirato loro una profonda antipatia per la preghiera, e persuadendo loro a cercare in terra il lume e la forza che non scendono se non dal cielo e ad attendere da loro stessi ciò che non può venir che da Dio, li conferma sempre di più nel culto della propria ragione e del proprio cuore. Quindi mancherà ancora all’eretico il secondo motivo di credere con certezza divina, cioè il divino soccorso. E come è possibile che Dio venga colla sua misericordia e col suo lume a rischiarare le tenebre di una intelligenza idolatra di sé medesima e che, senza avere con Lucifero comune la natura, ne ha comune l’audacia, l’orgoglio e il sacrilegio? non deve anzi Iddio alla sua gloria il lasciarla sempre più ottenebrarsi nelle sue tenebre ed accecarsi nel suo accecamento? infatti questo Dio stesso, che ha dichiarato che si lascerà subito trovare dall’uomo il quale lo domanda e lo cerca e discende alla semplicità dei fanciulli (in Matth. XI), protesta però altamente che si avvolgerà in un velo impenetrabile e si renderà un oscurissimo enimma a colui che si crede sapiente e scienziato per sé stesso (ibid.); e che, come l’umiltà è sicura di ottener grazia al trono della sua bontà, così l’orgoglio non deve aspettarsi dalla sua giustizia che resistenza, odio, guerra e disprezzo, Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam (Jac. IV). – Prima però di passar oltre a vedere come alla pretesa fede dell’eretico manca ancora il terzo ed ultimo appoggio per credere cioè l’uniformità delle credenze de’ suoi complici nella ribellione alla Chiesa, fermiamoci qui un poco a considerare come appunto perché la fede dell’eretico si riduce a queste parole: « io credo a me stesso, » e manca del divino soccorso, essa non è più fede; e che la grande e terribile parola di Tertulliano: « l’eretico non è più Cristiano, si hætici sunt, christiani non sunt, » che è sembrata a taluni un esagerazione oratoria, è una trista e rigorosa verità. Imperciocché Gesù Cristo non ha ordinato ai suoi Apostoli e ai loro successori di presentare alle nazioni le sue dottrine come indovinelli onde s’intertiene una riunione di oziosi per esservi discusse, ma come un cibo divino alle intelligenze fameliche della verità per essere credute. Non ha detto RAGIONATE, ma CREDETE. Non è dunque l’inquisizione, l’esame, il raziocinio umano, ma la FEDE DIVINA che forma il Cristiano, Justus autem meus ex fide vivit.  Ora credere significa accettar come vera una proposizione, una dottrina di cosa ignota, lontana, invisibile, sulla testimonianza di un’autorità che non falla. Se l’autorità è umana, umana pure si dice la fede. Si dice però FEDE DIVINA, se è divina l’autorità che le serve di motivo e di appoggio. – Due cose adunque costituiscono la fede. La prima, ch’essa non ha luogo nelle cose di cui si ha una scienza immediata, come sono le cose che si vedono, si sentono e s’intendono, o per mezzo dei sensi, o per mezzo del raziocinio; e perciò non è un atto di fede il credere che esiste il sole e la luna, e che il tutto è maggiore della sua parte. Perciò pure non vi sarà fede in cielo quando tutti i misteri di Dio, che qui avremo creduti, ivi li vedremo in Dio, che conosceremo come è in se stesso, Videbimus eum sicuti est (I Joan. III). Perciò infine S. Paolo chiama la FEDE DIVINA « argomento delle cose che ancora non appariscono né alla ragione né ai sensi. Augumentum non apparentium (Hebr. XI). » Ma ciò non è tutto: per seconda condizione la fede suppone ancora un’autorità divina od umana fuori di noi che ci attesti la cosa ignota, invisibile o lontana; e questa autorità ci server di motivo più o meno possente, secondo che più o meno veridica, per determinare l’assenso e riscuoter la fede. Sicché credere è acconsentire alla testimonianza di un altro che parla; credere importa selezione, ubbidienza del nostro intelletto all’altrui parola. Colui adunque che tiene una cosa per vera sulla testimonianza della propria ragione o dei proprj sensi: colui che acconsente, ma pel motivo che vede la cosa, o la intende; colui che intorno alla verità della cosa si riporta interamente a sé stesso, si fonda, si riposa in sé stesso: costui giudica, opina,ma non crede; ed il suo assenso è il risultato necessario dell’evidenza intuitiva o discorsiva della cosa, che forza l’intelletto, e non già un atto libero di fede della volontà. – Ora tale appunto, come lo abbiamo veduto, si è la condizione dell’eretico rispetto alle verità cristiane che esso dice di credere. Poiché sebbene dica di ammetterle sulla testimonianza di Dio che le ha rivelate nelle Scritture, pure, siccome queste Scritture se le interpreta da sé, e ne ammette solo quello che gli sembra più ragionevole; non è sulla testimonianza di Dio che sottomette la propria ragione, ma è alla propria ragione che sottomette la testimonianza di Dio; e dove la fede del Cattolico si riduce alla parola: « io credo a Dio, » al contrario la fede dell’eretico si risolve in quest’altra: « io credo a me stesso. » E poiché il credere è l’adesione dell’intelletto mosso da un motivo distinto dallo stesso intelletto, giacché non può l’intelletto essere allo stesso tempo soggetto e motivo della fede; così l’eretico appoggiandosi al proprio intelletto, e chiedendo allo stesso intelletto il motivo da piegar l’intelletto non ha più il motivo della fede; giudica, opina, decide, ma non crede, e non ha fede alcuna, nel senso filosofico e teologico che si attacca a questa parola. – E questa, per dirlo qui di passaggio, si è la ragione onde è più facile il persuadere la vera religione ai maomettani ed agli idolatri che agli eretici. Il maomettano e l’idolatra crede a Maometto, a Sciaca, a Brama, sull’autorità del Corano o del Vegas, libri stimati da lui sacri ed interpretati dai muftì o dai bramini, che crede investiti dalla divina autorità d’interpretarli, e di deciderne. Il suo inganno si è nel credere divini quei libri e divina l’autorità che li interpreta. Il suo inganno è intorno all’oggetto della sua credenza; in quanto che quello che crede è falso, superstizioso, assurdo, ma non s’inganna intorno al principio generale: che la religione si deve ammettere sulla testimonianza divina attestata da una sacra e divina autorità; cioè a dire che crede male, ma crede. E quando il missionario gli fa conoscere l’assurdità, l’orrore e la turpitudine di ciò che crede, è fatto tutto; giacché pel rimanente trova in lui un intelletto abituato a sottomettersi ad una autorità esterna ed a credere, sulla sua testimonianza, la religione. Cioè a dire che col maomettano e coll’idolatra si tratta di rettificare l’oggetto della fede. ossia le cose credute, ma non già il soggetto della fede, ossia l’intelletto che crede, che si trova di già formato all’abitudine del credere. Ma coll’eretico vi sono a vincere due difficoltà: la prima è quella di persuadergli che le cose che esso ritiene per vere son false, e quelle che come false rigetta son vere. La seconda difficoltà, ancora più grande da superare, è quella di far piegare a credere sull’altrui testimonianza un intelletto assuefatto a non credere che sulla propria. Cioè a dire di far credere chi in verità non ha mai creduto. Ora il sottomettere un siffatto intelletto al giogo della fede è cosa più malagevole di quella che il persuadere la continenza a chi ha passata la vita in tutte le sregolatezze del senso. E più facile persuadere la castità alla lascivia che l’umiltà all’orgoglio. – Vi sono però delle verità cristiane che le diverse sette degli eretici han ritenuto, come il mistero della unità e della Trinità di Dio, dell’umanità e della divinità di Gesù Cristo e della sua incarnazione e morte per la salute degli uomini, del peccato originale e della vita futura. Ma che perciò? Da prima queste stesse verità fondamentali del Cristianesimo, che l’eresia si vanta di mantenere, le ha talmente sfigurate e malconce che, come lo abbiamo di già notato, è impossibile il ritrovar ne’ suoi libri il senso in cui si devono intendere. Ma abbia pur l’eresia conservate queste grandi e sublimi verità nella purezza: e lo schifoso insetto che ella è, che colla velenosa sua bava attossica e fa appassire i fiori più gentili cui si attacca, sia pur passato sul bianco giglio della dottrina cattolica senza corromperlo né alterarne il divino candore. Dall’avere gli eretici alcune verità comuni con noi non ne segue che le credono come noi. Poiché altro si è credere con fede umana, altro credere con fede teologica una cristiana verità. Che il Vangelo di Gesù Cristo contiene una rivelazione divina, è un fatto sì evidente e sì certo che per negarlo bisognerebbe negare con molto più di ragione che le orazioni di Demostene e di Tullio siano capolavori di eloquenza, e i versi di Omero e di Virgilio capolavori di poesia; giacché il carattere divino del Vangelo è di gran lunga più splendido di quello che lo sia, negli indicati libri, il merito oratorio o poetico. Ma il complesso dei grandi motivi di credibilità che basta a far credere divino il Vangelo e Dio il gran personaggio che ne è l’autore e il soggetto, non basta però a far credere con una completa e perfetta acquiescenza della mente, determinata da una volontà libera, tutti e singoli i misteri contenuti nel Vangelo, e farvi assoggettare la ragione che non gli intende. Questo atto sublime è l’opera dell’impulso dello Spirito Santo liberamente accettato : è l’opera della grazia della fede. Or egli è certo che ad una tal grazia non ha parte lo eretico. L’aveva egli ricevuta al Battesimo, se fu debitamente battezzato, ma la perdette in seguito quando, giunto all’età della ragione, incominciò liberamente a professare l’errore ed ostinarsi nello scisma e nell’eresia, che è il peccato onde la grazia della fede fa naufragio. Perciò nella classe idiota ed incolta, come sono per la più parte i contadini, le donne della plebe, il popolo, anche presso le nazioni da noi divise per la eresia o lo scisma. si conserva un qualche avanzo di fede nelle cristiane verità che vi sono restate superstiti: sì perché questa classe di uomini, non potendo far uso del principio del libero esame per trovare, per formarsi la propria religione colla Scrittura a dispetto di questo principio, che forma la base dell’eresia e il distintivo degli eretici, non riceve la religione da questi grandi apòstoli della ragione se non per via di autorità; sì ancora perché la maggior parte di sì fatti uomini rimangono nell’eresia e nello scisma non per una volontà pertinacemente ribelle alla verità conosciuta, ma per una ignoranza più o meno invincibile di cui solo Dio è il conoscitore ed il giudice. Entrati pertanto nella Chiesa per mezzo del Battesimo, e non essendone usciti per mezzo dell’ostinazione nell’errore conosciuto, la quale sol forma l’eretico, ne conservan la fede. Divisi dal corpo della Chiesa, appartengono al suo spirito. La Chiesa, in mezzo a queste nazioni ribelli e nemiche alla sua autorità, conta a milioni dei figliuoli, che se osservano i divini comandamenti, si salvano, ma si salvano per la vera Chiesa e nella vera Chiesa. E così sempre si verifica la gran verità: Che solamente nella vera Chiesa si trova la salute, e fuori di questa, come fuori dell’arca noetica, non si scampa dall’eterno naufragio. – Ma in quanto alle persone istruite e colte, come sono principalmente i dottori, i maestri dell’eresia, ed in generale in quanto a tutti coloro in cui non ha, né può aver luogo l’ignoranza invincibile della vera dottrina e della vera Chiesa, e che ad occhi veggenti combattono l’una e ripudiano l’altra; queste vittime sciagurate dell’orgoglio infernale sono estranee non solo al corpo, ma allo spirito ancora della vera Chiesa; e col perderne la comunione, ne han perduto ancora la fede. Imperciocché, noi l’abbiamo veduto, privo dell’autorità della Chiesa, ridotto a non credere che a sé stesso, l’eretico veramente tale non ammette una qualche verità cristiana che sulla testimonianza della propria ragione; perché la sua ragione, e non altri, gli persuade che tale verità si contiene nella Scrittura. L’ammette come fra i varj sistemi di fisica o di medicina si ammette da ognuno quello che gli sembra più fondato e più ragionevole. L’ammette come frutto delle ricerche, dei confronti, dei calcoli della scienza, in una parola sull’autorità del proprio giudizio. La sua credenza è tutta umana e filosofica, non già teologica e divina; è una credenza inetta, sterile, derisoria; che non ha nulla di comune colla vera fede che giustifica e salva: e l’uomo che sopra una tale credenza unicamente si fonda non può con verità dirsi più Cristiano: Si hæretici sunt, christiani non sunt.

§ XIII. – Segue lo stesso argomento della mancanza di una FEDE CERTA presto gli eretici. I buoni Cattolici s’ingannano nel pensare che il vero eretico, ammettendo certe verità cristiane con loro, le creda come loro. L’eretico giudica, il solo Cattolico CREDE, Attira prova della perdita della fede presso gli eretici: la loro ripugnanza ad ammettere i cristiani misteri. La setta razionalista, che rigetta i misteri cristiani, è figlia legittima di Lutero e di Calvino.

Noi Cattolici, grazie all’educazione veramente cristiana, grazie all’abitudine al credere, prima eredità, appannaggio prezioso che abbiamo ricevuto dai nostri padri, spesso c’inganniamo intorno alla condizione morale in cui si trovan gli eretici relativamente alle verità rivelate. E perché, richiesti da noi « se ammettono un Dio uno e trino, un Salvatore uomo e Dio » rispondon che sì, ci pensiamo che essi almeno credono queste verità come noi. Or nulla vi è di più falso. Gli eretici, non si può abbastanza ripeterlo, giudicano soltanto, noi Cattolici solamente e veramente crediamo, e tra il giudicare e il credere la distanza è immensa; e solo la conoscono coloro che, vittime già dell’errore e docili quindi all’impulso della grazia, sono venuti alla verità, poiché essi sanno per prova l’immenso stadio che perciò han dovuto percorrere. Le belle parole, per esempio, di Santa Marta: Sì, o Signore, io credo che voi siete il Messia Figliuolo di Dio vivente, che siete venuto in questo mondo, Credo, Domine, quia tu es Christus Filius Dei vivi, qui in hunc mundum venisti (Joan. XI); queste belle parole, dico, in bocca al vero Cattolico, che crede a questa ed alle altre cristiane verità come insegnategli dalla Chiesa, fedele depositaria ed interprete infallibile della parola di Dio, importano, come lo abbiamo di già veduto, un assenso pieno, intero e perfetto, un sacrificio completo dell’intelletto, che, ajutato dalla grazia, volontariamente si piega, si sottomette, s’immola a riconoscere come verità certissima, immutabile un mistero che non intende. Nella bocca però dell’eretico, che non si è indotto ad ammettere la divinità di Gesù Cristo, se non perché, leggendo il Vangelo, gli è sembrato di aver trovato questo mistero nel Vangelo; le stesse parole significano ben altra cosa. Esse esprimono un assenso condizionale, provvisorio, fondato sul solo motivo che cosi ne è parso alla sua ragione. Sono una concessione orgogliosa dell’io individuale che piega la palpebra dell’occhio senza abbassare il capo; che si degna di ammettere questo mistero perché lo giudica ammissibile; che fa che la ragione consenta, ma senza nulla sacrificare della sua indipendenza e del suo orgoglio. Ove dunque la parola lo credo che Gesù Cristo è Dio, nello bocca del Cattolico è sinonimo di quest’altra, lo tengo per infinitamente certo che Gesù Cristo è Dio, e lo credo con una certezza che esclude ogni dubbio, e son pronto a confessarlo in faccia ad ogni specie di sacrificio; nella bocca però dell’eretico equivale a quest’altra: io giudico, mi pare, potrebbe essere che Gesù Cristo sia Dio. In somma, noi ammettiamo questa verità come un domma della Chiesa universale divinamente rivelato; l’eretico, come un privato giudizio umanamente stabilito. E siccome non è il privato giudizio dell’uomo, ma la fede di Dio che forma il Cristiano: così l’eresia, rendendo, nell’anima in cui regna, impossibile questa fede, vi distrugge la base stessa della rivelazione cristiana. Il Cristianesimo non vi rimane che come un sistema filosofico, una teoria più o meno ragionevole, che l’intelletto è libero di ammettere o di rigettare in tutto o in parte. Fra gli eretici adunque, checché sia delle parole, non vi è più in fatti certezza teologica, non vi è più fede comune, non vi è domma obbligatorio. La religione vi si è diseccata nella sua radice, vi si è annullata nel suo costitutivo essenziale, che è la FEDE. E questi grandi riformatori del cristianesimo, di cristiano non avendo conservato che il nome, profanato da mille turpitudini, da mille errori, col divenire eretici han cessato in tutta la forza del termine di essere Cristiani, Si hæretici sunt, christiani non sunt. Un’altra’Conseguenza e prova insieme della perdita totale della fede cristiana, presso questi distruttori del Cristianesimo, si è la loro repugnanza ad ammetterne i misteri. Noi lo abbiamo di già avvertito: gli eretici, o gli scismatici, che dicono di ammettere le stesse verità cristiane che noi, sono lontanissimi dal crederle, al par di noi. Siccome queste verità non le ammettono se non perché è sembrato evidente alla loro privata ragione che esse si trovano nelle scritture: cosi la loro credenza ha la sua radice nella ragione e non nella fede. Credono, per esempio, che Gesù Cristo è Dio come credono che furono oratori Tullio e Demostene, ed Omero e Virgilio poeti. Lo credono come un fatto incontrastabile, che non può negarsi senza far violenza alla ragione. Lo credono con una certezza umana, non già con una fede divina. Lo credono come gli scribi e farisei credevano ai miracoli di Gesù Cristo, perché avendoli veduti cogli occhi loro ed avendoli essi stessi severamente esaminati e discussi, era loro impossibile il negarli; e perciò in un loro conciliabolo confessarono pubblicamente che Gesù Cristo faceva gran copia di miracoli: Hic homo multa signa facit (Ioan. XI). Ma come questa credenza dei giudici nei miracoli del Signore, credenza puramente umana, forzata, violenta, non li sollevava sino a credere altresì le celesti dottrine e la missione divina, così la credenza umana degli eretici nella sua divinità non gl’innalza sino a credere gli altri misteri che non si trovano nel Vangelo colla stessa evidenza da forzar la ragione. Dall’abisso del loro cuore, in cui fermenta l’orgoglio, si sollevano densissimi vapori, tenebre immense, che oscurano la chiarezza soprannaturale, impediscono la cognizione di questi misteri. Quindi questi misteri medesimi, che la docilità e la rettitudine della coscienza cattolica, rinvigorita dall’ajuto soprannaturale della grazia, ammette e crede senza pena e senza sforzo, diventano agli occhi dell’eretico enimmi oscurissimi. proposizioni inammissibili. Chi l’uno ne nega, e chi l’altro. Chi a suo capriccio li spiega, e chi secondo la sua capacità li restringe. Chi qualcuno ne ritiene come probabile, chi tutti affatto li rigetta siccome assurdi. E i dommi tra noi più popolari e più consolanti, come per esempio la confessione, la Eucaristia, il culto della santissima Vergine e dei Santi, le indulgenze, il purgatorio, si volgono, agli occhi di questi ciechi volontarj, in pratiche superstiziose, in occasione di stolide bestemmie e di sacrileghi insulti. – Rousseau ha pronunziato una gran verità dicendo: Ci vogliono buone ragioni per far sottomettere la ragione. Or, quando trattasi dei misteri della Religione queste buone ragioni non possono essere motivi intrinseci, perché, se un mistero si potesse con motivi intrinseci dimostrare, cesserebbe di essere un mistero; devono essere adunque argomenti estrinseci il primo e il più poderoso dei quali si è una autorità divina, infallibile che dichiari che un tal mistero veramente è rivelato da Dio, e lo proponga alla ragione perché lo accolga e lo creda. Togliete questa autorità e non vi rimarrà più mezzo da esigere la sottomissione della ragione ad un mistero che essa non intende. – Invano direte che basta che un tal mistero sia chiaramente contenuto nella Scrittura, perché la ragione lo ammetta. Poiché, tolta l’autorità della Chiesa, la ragione, che riman sola a giudicare e decidere Se un tal mistero si contiene veramente nella Scrittura, farà tutti gli sforzi per escluderlo. Vi è egli mai mistero più chiaramente annunziato nel Vangelo di quello della presenza reale di Gesù    Cristo nell’Eucaristia? Eppure appena Lutero tolse di mezzo l’autorità della Chiesa, e rimase alla ragione d’ognuno l’interpretazione del Vangelo, la prima cosa che fecero i suoi primi discepoli Zvringlio e Calvino fu quella di eliminare questo mistero; e dove Gesù Cristo ha detto nei termini più chiari e più precisi: Questo è il mio corpo, non hanno avuto difficoltà di asserire che nell’Eucaristia non è veramente il corpo del Signore, ma, secondo uno, ve n’è solo il segno; secondo altri, la figura; per questi ve n’è solo la memoria; per quelli solamente la promessa e il pegno; ed hanno amato meglio sostenere ed ingojarsi mille assurdità egualmente empie che ridicole, di quello di sottomettere docilmente la loro ragione alle sacre profondità del mistero. Lo stesso accadde del mistero della Trinità. Vivente Lutero e Calvino, Michele Serveto scrisse sette libri per distruggerlo Distrutto però il mistero della Trinità svanisce anche quello dell’incarnazione, crolla tutto il Cristianesimo, e la Religione di Gesù Cristo si riduce ad un puro deismo. Or siccome il passaggio, tutto di un salto, dalla Religione Cattolica al deismo era una cosa per quei tempi troppo forte, ed avrebbe troppo chiaro fatto conoscere che la riforma del Cristianesimo ne era la vera distruzione; così il buono e zelante Calvino condannò a morte e fece bruciar vivo in Ginevra Serveto. che non aveva altro torto che quello di essersi prevalso con maggiore licenza, contro Calvino e Lutero, dello stesso dritto e dello stesso privilegio della privata ragione, che Lutero e Calvino avevano proclamato in materia di religione, e di cui essi medesimi i primi aveano usato con tanta licenza e audacia contro la Chiesa universale. – Lo stesso, e per la stessa ragione, e nello stesso secolo avvenne, come si è veduto, a Valentino Gentile, che appoggiato allo stesso principio di Lutero e prevalendosi dello stesso dritto, rinnovò in Berna l’eresia di Ario, negando la consustanzialità del Padre e del Figliuolo, e però ancora la Trinità delle persone in unità di natura e la divinità di Gesù Cristo, fondamento di tutto il Cristianesimo. Sebbene questi errori si contengano tutti nel principio protestante, come l’intera pianta si contiene nel suo seme, pure, perché Gentile li volle fare troppo presto dischiudere, dagli stessi eretici bernesi fu fatto decapitare. Ma il rogo e la mannaja non sono buoni argomenti per impedire che i principj una volta adottati producano tutte le loro conseguenze. Perciò come cominciò a declinare la febbre di un ingiusto fanatismo e di un zelo bugiardo e ipocrita, la ragione incominciò la sua guerra contro i misteri. Fu libero ad ognuno di negarli in privato; purché, per rispetto ai pregiudizi popolari, usasse politica in pubblico. Da ciò la scuola razionalista, che in questi ultimi anni si è prodotta in Germania alla luce del giorno, ma che era nata già al tempo della dottrina di Lutero: Che la privata ragione è l’interprete della Scrittura. Questa scuola si studia d’interpretare i Libri Santi in un modo, dice essa, tutto ragionevole. In fondo però, spiegando in un senso figurato o iperbolico i passi della Scrittura, pei quali letteralmente è annunziato un mistero; ed attribuendo i miracoli che vi sono narrati a cause puramente naturali, od alla scienza fisica, o all’impostura di chi li operò, toglie dalla Scrittura tutti i misteri e tutti i prodigi. Fa un poema umano di un’opera tutta divina, e trasforma l’augusto deposito della rivelazione cristiana in codice di un meschino deismo. Deh che la ragione, abbandonata a sé sola, declina sempre le sublimità dei misteri che la umiliano: come il cuore non soffre il giogo delle leggi severe che lo crocifiggono! Perciò nessuna religione di fabbrica umana troviamo che abbia imposto agli uomini misteri incomprensibili e leggi rigorose. Perciò, ritrovando l’eresia questi misteri incomprensibili, queste leggi rigorose nell’unica religione di origine divina, nella Cattolica Religione, quando le è stato permesso, ha fatto e farà sempre tutti gli sforzi per distruggerli e dispensare, il più che si è possibile, la mente dal sottomettersi, il cuore dal mortificarsi; ed a questa licenza accordata alla sensualità e all’orgoglio, deve principalmente l’eresia la sua forza e i suoi successi. – Questa maniera di considerare il Cristianesimo, che la scuola razionalista professa ne’ suoi libri e nelle sue lezioni è pur quella che i protestanti, coerenti ai loro principj, hanno nel cuore. E, tolto il popolo, presso il quale tre secoli di eresia non hanno potuto smantellare e disperdere del tutto le verità cristiane che l’insegnamento cattolico vi avea lasciate: tolti quei savj, di cui il numero diviene ogni giorno più grande e più imponente, che, conoscendo la vanità ridicola unita all’empietà infernale della riforma, ne deplorano l’avvenimento e riguardano con occhio di tenerezza la sede romana, centro e sostegno della verità; del rimanente la maggior parte dei protestanti istruiti e dei preti anglicani non sono nulla più che framassoni, materialisti. pagani che nulla credono e non isperano nulla nell’altra vita. Per tali almeno li ha ultimamente denunziati al mondo uno dei loro stessi confratelli, che ha obbligo di conoscerli; confermandoci sempre più l’osservazione di Tertulliano, che fra gli eretici vi sono più deisti che Cristiani: Si hæretici sunt, christiani non sunt.

§ XIV. – Si assegna l’ultima causa della mancanza di una fede CERTA presso gli eretici: cioè la discordia delle opinioni e delle credenze. Impossibilità di unire gli uomini in una stessa sentenza quando manca un’autorità comune. Tentativo vano e ridicolo di un proconsolo romano per metter fra loro d’accordo i filosofi, rinnovato in questo secolo per metter fra loro d’accordo i protestanti.

Ma non si tratta qui di certezza puramente scientifica, di fede puramente umana. Piacesse al cielo che l’eretico che ragiona potesse almeno levare sino a questa altezza la certezza della sua fede intorno alle verità cristiane! Ma nemmeno può lusingarsi di giungere a questo meschino risultato, onde pur crederebbe alcuna cosa da uomo, non credendola da cristiano. Imperciocché, coll’interno soccorso della grazia della fede, gli manca ancora il soccorso esterno proveniente dalla concordia, dall’uniformità delle credenze degli altri colla sua. La società è la concordia degli esseri intelligenti uniti fra loro per mezzo dell’obbedienza alla stesso autorità. L’obbedienza alla stessa autorità fa che gl’individui che vi sono soggetti professino le stesse credenze sociali, adempiano le stessi leggi; e così induce fra loro somiglianza di relazioni onde si accordan fra loro. Dove dunque non vi è autorità, non vi è obbedienza; non vi è professione delle stesse dottrine, né soggezione alle stessi leggi; non vi è perciò concordia tra gl’individui, non vi è società. La chiave, ovvero la pietra situata alla sommità dell’arco di un edificio, mentre pare che opprima col suo peso le altre pietre che vi sono sottoposte, è pur quella cui queste pietre si appoggiano e per cui esse stan ferme al loro posto, sono in armonia fra loro e costituiscono l’arco. Togliete la chiave, e l’ordine architettonico scomparisce, l’arco crolla, e più non si vedono che ruine. Così l’autorità, mentre pare che pesi sopra gl’individui che le sono soggetti, é pur quella cui questi individui devono la loro sicurezza: ed essa è che li tiene in relazione, in armonia fra loro, sicché formino società. Distruggete l’autorità: ogni ordine sociale si dilegua, la società si discioglie, e più non si trovano che individui fra loro discordi. Onesta dottrina è applicabile egualmente all’ordine politico ed all’ordine morale e religioso. Come non vi è unità né società politica senza una politica autorità, così senza una autorità morale e religiosa non vi è unità o società né religiosa, né morale. Perciò siccome gli antichi filosofi non riconoscevano alcuna autorità intellettuale cui sottoporre i loro giudizj e le loro opinioni, così non vi fu mai fra loro unità od uniformità di opinioni e di giudizj comuni, ma solo opinioni e giudizj privati, fra loro contrarj e discordi. – Da prima, poiché nell’uomo privato si riconobbero tre mezzi di conoscere la ragione, il senso intimo e i sensi esterni; così la dottrina dell’individualismo o del privato giudizio o della opinione privata, che la filosofia pagana stabilì come criterio unico della verità e fondamento delia certezza, produsse tre sistemi; il primo, che stabiliva la sola ragione; il secondo, che dava il solo intimo senso; il terzo, che i soli sensi esterni di ognuno costituiva come l’ultimo giudice del vero. E quindi le tre grandi scuole o sette: la setta spiritualista o italica di Pitagora, e rinnovata quindi da Platone; la setta entusiasta o elealica di Senofane e di Parmenide, restaurata poi dai cirenaici; e la setta materialista o ionica di Talete, riformata a suo modo da Epicuro. Ma che? ben presto quanti furon membri di queste diverse sette, viventi ancora i loro rispettivi maestri, si costituirono maestri e capi di altrettante sette diverse; che non più felici delle prime, si suddivisero esse ancora in altrettante diverse scuole quanti contavano scolari, che essi pure stabilirono ciascuno scuole novelle. Anzi può dirsi che in breve non vi furono più sette, perché ogni individuo di esse avea un suo particolare sistema. Così sulla sola questione del sommo bene si contarono più di ottanta opinioni diverse, altrettante intorno a Dio, e più di quaranta intorno all’uomo; e sopra ciascuna delle grandi verità, fondamento della religione e dell’ordine, vi erano quante teste tante opinioni diverse: Quod capita, tot sententiæ. Ma questi gladiatori audaci della filosofia, di cui nemmen due soli potevano esser d’accordo sopra una sola cosa, si univano a molti insieme per fare a’ nemici comuni la guerra, che poi, simili agli sparziati, rinnovavano fra loro più ostinata e più cruda fino a distruggersi. Così, nel corso degli ottocento anni che durò questo orribile conflitto delle opinioni private in Grecia e in Roma, nessuna disputa fu mai terminata, nessuna questione decisa, nessuna verità assicurata, nessun errore distrutto. Ma i sistemi nascendo dai sistemi, gli errori dagli errori, in questo vasto pelago di condizioni, di dubbj. d’incertezze, di assurdità, di delirj, di turpitudini, nessuna verità rimase in piedi: e si finì collo scetticismo, ossia colla disperazione di trovare con certezza una sola verità. – Gli eretici moderni, partendo dallo stesso principio, che ogni Cristiano è giudice legittimo delle verità rivelate, sono giunti alle stesse conseguenze, ed hanno offerto al mondo, in materia di religione, lo stesso spettacolo compassionevole, la stessa scandalosa anarchia, che i così detti savj antichi offrirono di sé in filosofia. Il protestantismo, ovvero la negazione della legittima autorità della Chiesa, appena nato sì trasformò, sotto gli occhi stessi di Lutero, in tre grandi sette, generate dai suoi tre primi figliuoli che si ribellarono al padre comune e da lui si divisero per punirlo del delitto onde egli si era ribellato e diviso dal Sommo Pontefice, padre di tutti i fedeli. Queste tre grandi sette religiose che, a somiglianza delle tre grandi sette dell’antica filosofia, inclinarono una più allo spiritualismo (i confessionisti), un’altra all’entusiasmo e al fanatismo (gli anabattisti), e l’ultima al sensualismo (i sacramentari-calvinisti), queste tre grandi sette, dico, non si erano ancora costituite, che si scissero e ne formarono ciascuna cento altre, ognuna delle quali ne produsse altre cento; come si è osservato nel quadro funesto che abbiamo presentato al lettore della genealogia delle sette protestanti (Lett. VI, § 5). Eppure non ne abbiamo indicate che le principali. E chi può, per esempio, numerare le sette diverse che il protestantismo ha prodotto nella sola Inghilterra? Abbiamo sotto gli occhi la storia del signor Gregoire, Delle sette nate ed esistenti solo nello scorso secolo; e quelle dell’Inghilterra, entrano per più centinaja in questo orrendo catalogo. Come il corpo umano, da cui l’anima è partita, si corrompe e genera vermini, che morendo lasciano altri vermini da essi generati e che finiscono col divorarsi il cadavere che li ha prodotti; così le infelici nazioni protestanti, appena si sono staccate dalla Chiesa, ed hanno perciò perduto lo spirito vero di Gesù Cristo che le animava, si sono cominciato a disciogliere in putredine; Mille sette si sono formate nel loro seno; e questi; nel perire ne han lasciate mille altre superstiti, che vi hanno l’una dopo l’altra divorate e distrutte tutte le verità cristiane. Sicché senza l’influenza segreta della Chiesa Cattolica, più non rimarrebbe fra questi popoli sventurati traccia veruna di cristiana verità. – Osserviamo però che siccome nello stato, così nella Chiesa, non ogni autorità, ma la sola autorità legittima, mantiene un legittimo ordine. Ora la sola autorità legittima in materia di religione è un’autorità divinamente stabilita, divinamente assistita, divinamente ispirata. Essa sola può far piegare l’intelletto e comandare l’obbedienza del cuore; ed al contrario una autorità puramente umana, che s’impone arbitra della religione, come ogni autorità usurpatrice e illegittima, riscuote tanta ubbidienza quanta gliene concilia la forza, e, mantenendo un’ombra esteriore di unità religiosa, lascia sussistere nell’interno dei cuori la più grande discordia ed una vera anarchia di religiose opinioni. Così gli antichi filosofi avevano anzi per massima di dover professare in pubblico il cullo degl’idoli imposto dall’autorità politica, mentre se ne beffavano in privato; e, d’accordo nelle apparenze, non ve ne erano poi due soli che sentissero lo stesso intorno alla sostanza della religione. Lo stesso accadde presso i popoli idolatri o maomettani a’ tempi nostri. I buddisti della Cina, i bramini delle Indie, i dervis della Persia, i muftì, gli ulemas de’ Turchi, tutti d’accordo nel praticare le cerimonie esteriori della religione dell’impero, sono però in privato divisi in infinite sette diverse, di cui ognuna intende a suo modo Confucio, il Zend-avesta, il Vedas ed il Corano. Lo stesso interviene infine nei paesi cristiani in cui lo scisma e l’eresia, innestata colla costituzione dello stato, forma la religione pubblica che lo stato alimenta colle sue ricchezze e mantiene colla sua forza. Ma i castighi che l’eresia minaccia ai dissidenti, le ricompense che offre ai docili, se riescono a mantenere una uniformità esterna di eulto, non arrivano a produrre però nell’interno delle coscienze la stessa unità di opinioni. Quindi tra gli uomini di Chiesa, non che tra i laici, non si trovano nemmen due soli che intendano al medesimo modo la dottrina di Fozio in Grecia, quella di Lutero in Germania, quella di Zwinglio in Olanda, quella di Calvino in Ginevra, quella dei trentanove articoli in Inghilterra. In quest’ultimo paese in particolare, in pubblico la stessa dottrina, non si trovano due soli individui che abbiano in fondo la stessa religione e la stessa credenza. Nella famiglia dello stesso vescovo che vive delle pingui rendite dell’anglicanismo, difficilmente si trovano due sinceri anglicani. Il padre alle volte trovasi che è sociniano, la madre quaccheressa, i figli e le figlie chi presbiteriano, chi unitario, chi anabattista. Sicché, indipendentemente dalle infinite sette dei così detti pubblici dissidenti della chiesa stabilita, questa stessa chiesa, simile ad un mare, di cui tanto è più turbato da contrarie correnti il fondo, quanto sembra più in calma la superficie, sotto le apparenze di una unità derisoria, nasconde la più vasta anarchia delle opinioni che ne discoprono l’ignominia, l’impotenza e il nulla. – Varie volte presso gli antichi come presso i moderni, si é tentato di mettere d’accordo le diverse opinioni private, ma sempre invano. Senza un’autorità divina insegnante, è tanto possibile il riunire le menti degli uomini in una stessa credenza, quanto è possibile il tenere ferme e compatte le volubili arene del deserto quando spirano contrarj e impetuosi i venti, ed ergervi sopra un solido edificio. Riferisce Cicerone (De leg., lib. 1) che un certo Lucio Gellio, proconsole romano in Grecia, scandalizzato dal vedere le infinite sette fra loro contrarie che facevano misero strazio della filosofia e della verità, riunì un giorno tutti in un luogo i filosofi della provincia e fece loro una patetica esortazione: « che mettessero una volta un termine allo scandalo delle eterne ed ostinate loro controversie, onde vedevansi consumare la vita intera in vani litigi; che cercassero d’intendersi fra loro e di convenire insieme in qualche cosa: » e promise loro la sua cooperazione ed il suo concorso per quest’opera di riconciliazione e di pace: Memini Gellium, cum proconsul in Greciam venisset, Athenis philosophos qui tum erant, in unum locum convocasse, ipsisque magnopere auctorem finisse ut aliquando, controversiarum aliquem finem facerent; quod si cssent eo animo ut nollent ætatem in litibus convenire posse rem convenire, et simul operum suam illis esse pollicitum. Gellio però, nel pensare, nel parlare cosi, dimostrossi quanto buon proconsole, altrettanto cattivo filosofo; giacché credette cosi facile il riunire le menti in materia di opinioni come spesso è facile una transazione in materia d’interessi, e che sia possibile l’ottenere che la ragione degli uomini nei giudizj liberi si accordi a giudicare e credere al medesimo modo sopra una sola cosa, senza un’autorità che abbia il diritto di comandare alla ragione. Perciò soggiunse Cicerone che il tentativo di quest’uomo dabbene fu reputato un giuoco, e da molti posto meritamente in ridicolo: Joculare illud quidem et a multis sæpe derisum. Lo stesso e per le stesse ragioni è precisamente accaduto in questo nostro secolo, e poco meno che sotto gli occhi nostri presso i protestanti in Germania. Le loro variazioni, che sempre variano, le divisioni loro, che sempre più si dividono e si fanno fra loro la guerra, sono il lato debole, sono uno dei più grandi scandali del protestantismo, che ogni dì più lo scredita, lo perde e conduce ogni dì più in gran numero a picchiare alle porte della Cattolica Chiesa coloro che cercano una dottrina vera e stabile in materia di religione, onde assicurare la salute delle loro anime. Per far cessare adunque questo scandalo, il governo di un grande stato protestante di Germania riunì i sedicenti teologi delle diverse sette che lacerano quella misera contrada, ed esortolli « a comporre le loro discordanti opinioni religiose in una formula o simbolo comune, che fosse ricevuto da tutte le sette e togliesse dagli occhi del mondo lo spettacolo disgustevole di tante divisioni fra protestanti, che ben presto finirebbero…. ma colla morte del protestantismo. » Stolido ed insensato consiglio però, sogno vano e ridicolo! così almeno ne giudicarono anticipatamente gli stessi protestanti e ne fecero un argomento di risa: Joculare illud quidem et a multis sæpe derisum. Ed il fatto venne ben presto a confermare la verità di questo giudizio. L’assemblea ebbe veramente luogo nel 1817, terzo anniversario secolare dell’apostasia di Lutero, epoca scelta ed annunziata con fastosi proclami come quella che doveva riunire in un sol corpo tutte le sette protestanti, che sebbene ribelli alle dottrine di questo eresiarca, non lo riconoscono però meno pel loro legittimo padre e maestro, .Ma con qual prò? Questo strano concilio, in cui non vi erano due soli padri che sentissero allo stesso modo, finì col dichiararsi inconciliabile. Ognuno rimase nelle sue antiche opinioni. Solo si convenne che ognuno perdonasse agli altri le loro stravaganze per avere perdonate le proprie. Perciò, senza essersi punto accordati nella stessa fede intorno all’Eucaristia, si videro luterani e calvinisti accostarsi in uno stesso tempio, ad una stessa mensa, a ricevere la comunione da uno stesso ministro, che non era né calvinista né luterano. E perché il calvinista, negando la presenza reale, non riconosce che una memoria della passione del Signore, ed al contrario il luterano, negando la transustansazione, ammette nella Eucaristia la sostanza del pane insieme con quella del corpo di Gesù Cristo.: così quel bravo ministro, volgendo in derisione ed in commedia l’azione la più santa e la più augusta della religione, nel comunicare un calvinista diceva: « Prendi la memoria del corpo del Signore; » e nell’avvicinarsi poi ad un luterano ripigliava: « E tu prendi colla sostanza del pane la sostanza ancora del corpo del Signore », dichiarando con questo fatto unico, in cui il sacrilegio contrastava singolarmente col ridicolo, che rimanea ognuno libero di opinare come più gli piaceva; e che questa diversità o contradizione di opinioni in materia di domma era una cosa affatto indifferente. – Così in questa grande riunione, in cui si dovea metter fine allo scandalo delle divisioni del protestantismo, non poté nulla essere riunito; le divisioni divennero sempre più visibili e più profonde, e questo conciliabolo altro non fu che una professione pubblica e solenne d’indifferentismo in materia di religione, ed uno scandalo novello e di gran lunga maggiore di quello che, con questa pantomima sacrilega, si pretese distruggere. Deh! che senza l’autorità legittima della Chiesa si può bensì, come testé si è fatto in Germania, riunire diversi stati nello stesso sistema di dogane e farne un sol corpo commerciante; ma non si possono riunire diverse chiese in una fede comune e formarne una sola chiesa! La discordia è sempre il carattere dell’errore; la concordia, l’unità non può trovarsi che nella religione di verità. Queste osservazioni però dan luogo ad altre osservazioni non meno importanti, e che ci è mestieri di esporre nella seconda parte: omettendo perciò la STORIA BIBLICA, alfine di non prolungare oltre misura la presente lettura.

8 DICEMBRE 2020: FESTA DELLA IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA SS. MADRE DI DIO, LA VERGINE MARIA

8 DICEMBRE, FESTA DELLA IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA SS. MADRE DI DIO, LA VERGINE MARIA

Præclára custos Vírginum,

Intácta mater Núminis,

Cæléstis aulæ jánua,

Spes nostra, cæli gáudium,

Inter rubéta lílium,

Colúmba formosíssima,

Virga e radíce gérminans

Nostro medélam vúlneri.

Turris dracóni impérvia,

Amíca stella náufragis,

Tuére nos a fráudibus,

Tuáque luce dírige.

Erróris umbras díscute,

Syrtes dolósas ámove,

Fluctus tot inter, déviis

Tutam reclúde sémitam.

Jesu, tibi sit glória,

Qui natus es de Vírgine,

Cum Patre, et almo Spíritu,

In sempitérna sǽcula.

Amen.

[Inno {dal Proprio dei Santi}

Illustre custode delle Vergini,

Immacolata Madre di Dio,

porta della reggia celeste,

speranza nostra e gioia del cielo;

Giglio fra le spine,

colomba bellissima,

verga dalla cui radice germoglia

il rimedio alle nostre ferite;

Torre al dragone inaccessibile,

stella propizia ai naufraghi,

difendici dalle insidie

e guidaci colla tua luce.

Dissipa le ombre dell’errore,

rimuovi gli scogli pericolosi,

gli erranti fra tanti flutti

riconduci sulla via sicura.

O Gesù, sia gloria a te,

che sei nato dalla Vergine,

insieme col Padre e collo Spirito Santo,

per i secoli eterni.

Amen.]

Dal libro del Genesi

Gen III:1-5

1 Il serpente era il più astuto di tutti gli animali della terra che il Signore Dio aveva fatto. Ed esso disse alla donna: Perché Dio v’ha comandato di non mangiare di ogni albero del paradiso?

2 La donna gli rispose: Noi mangiamo del frutto degli alberi che sono nel paradiso

3 Ma del frutto dell’albero ch’è in mezzo al paradiso, Iddio ci ha ordinato di non mangiarne e di non toccarlo, affinché per disgrazia non moriamo.

4 Allora il serpente disse alla donna: No, che non morrete.

5 Ma Dio sa che in qualunque giorno ne mangerete, s’apriranno i vostri occhi: e sarete come dèi, conoscitori del bene e del male.

 … et eritis sicut dii, scientes bonum et malum.

6 Vide dunque la donna che il frutto dell’albero era buono a mangiare, e bello a vedere, e gradevole all’aspetto: e colse di quel frutto, e ne mangiò: e ne diede a suo marito, il quale pure ne mangiò.

7 Allora si aprirono gli occhi ad ambedue: ed avendo conosciuto d’essere nudi, intrecciarono delle foglie di fico, e se ne fecero delle cinture.

8 E udita la voce del Signore Dio che passeggiava nel paradiso alla brezza del pomeriggio, Adamo colla sua moglie si nascose dalla faccia del Signore Dio in mezzo agli alberi del paradiso.

9 Il Signore Dio chiamò Adamo, e gli disse: Dove sei?

10 Ed egli rispose: Ho udito la tua voce nel paradiso: ed ho avuto timore, essendo nudo, e mi sono nascosto.

12 Ed egli a lui: Ma chi t’ha fatto conoscere d’esser nudo, se non l’aver mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?

12 E Adamo rispose: La donna che m’hai dato per compagna, m’ha dato del frutto, e io l’ho mangiato.

13 Allora il Signore Dio disse alla donna: Perché hai fatto questo? Ed ella rispose: Il serpente m’ha ingannata, e io ne ho mangiato.

14 Allora il Signore Dio disse al serpente: Perché tu hai fatto questo, sei maledetto più di tutti gli animali e le bestie della terra: striscerai sul tuo ventre, e mangerai la terra tutti i giorni della tua vita.

15 Porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la stirpe tua e la stirpe di lei ella ti schiaccerà la testa, e tu insidierai al suo calcagno.

Sermone di san Girolamo Prete

Sull’Assunz. della D. V. M.

Chi e quanto grande sia la beata e gloriosa sempre Vergine Maria ci è dichiarato dall’Angelo da parte di Dio quando dice: «Salve, piena di grazia; il Signore è con te: la benedetta tu sei fra le donne» Luc. 1,28. E conveniva che tali doni fossero assicurati alla Vergine, sì da essere piena di grazia lei, che ha dato la gloria ai cielo, il Signore alla terra, che ha fatto risplendere la pace, ha portato la fede alle Genti, un fine ai vizi, una regola di vita, una disciplina per i costumi. E veramente piena, perché mentre agli altri si dona con misura, in Maria invece discese tutta insieme la pienezza della grazia. Veramente piena, perché sebbene la grazia si trovò nei santi Padri e Profeti, non ci fu però nella sua pienezza; in Maria invece discese tutta la pienezza della grazia ch’è in Cristo, sebbene in maniera differente. E perciò dice: «La benedetta tu sei fra le donne»; cioè benedetta più di tutte le altre donne. Ond’è che tutta la maledizione attirata da Eva fu tutta tolta dalla benedizione di Maria. Di lei Salomone nella Cantica, quasi in sua lode dice: «Vieni, colomba mia, immacolata mia. Poiché l’inverno è già passato, la pioggia è cessata e sparita» Cant. II,10. E poi soggiunge; «Vieni dal Libano, vieni, sarai incoronata» Eccli. XXIV,5. – Non immeritatamente dunque si invita a venire dal Libano, significandosi per il Libano il candore. Ella infatti era risplendente per i molti meriti e virtù, e più candida della neve, più bianca per i doni dello Spirito Santo, e presentava in tutto la semplicità della colomba; poiché quanto è avvenuto in lei, è tutto purezza e semplicità, tutto verità e grazia; tutto misericordia e giustizia che venne dal cielo; e perciò immacolata, perché al tutto senza macchia. Ella infatti divenne madre, come attesta san Geremia, ma rimanendo vergine. «Il Signore, dice, farà una novità sulla terra una donna chiuderà in sé un uomo» Jerem. XXXI, 22. Novità veramente inaudita, novità delle virtù eccedente ogni altra novità, che un Dio (che il mondo non può contenere, e nessuno vedere senza morire) sia entrato nel seno d’una vergine come in un asilo, senza essere prigioniero di questa corpo; e tuttavia Dio vi sia contenuto tutto intero: e che ne sia uscito lasciando come dice Ezechiele) la porta del tutto chiusa (Ezech. XLIV, 2. Onde si canta di lei nella stessa Cantica «Orto chiuso, fonte sigillata, le tue emanazioni sono un paradiso» Cat. IV,12. Vero giardino di delizie, che aduna tutte le specie di fiori, e i profumi di virtù; e chiuso siffattamente, che né la violenza né l’astuzia possono forzarne l’entrata. Quindi fonte sigillata col sigillo di tutta la Trinità.

Dagli Atti di Papa Pio IX

Ora la vittoria della Vergine Madre di Dio nella sua Concezione sul crudelissimo nemico del genere umano, la quale le divine scritture, la venerabile tradizione, il sentimento perpetuo della Chiesa, l’accordo singolare dei vescovi e dei fedeli, come pure gli atti insigni e le costituzioni dei sommi Pontefici avevano già meravigliosamente illustrato, Pio IX Pontefice massimo annuendo ai voti di tutta la. Chiesa risolva di proclamarla solennemente col suo supremo e infallibile oracolo. Pertanto l’otto Dicembre dell’anno mille ottocento cinquantaquattro, nella basilica Vaticana, davanti a una immensa assemblea di Padri di santa Romana Chiesa, di Cardinali e di Vescovi anche di lontanissime regioni, plaudendo l’orbe intero, solennemente proclamò e definì:

La dottrina che tiene la beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua Concezione essere stata, per singolare privilegio di Dio, preservata immune da ogni macchia di colpa originale, essere stata rivelata da Dio, e perciò doversi credere da tutti i fedeli fermamente e invariabilmente.

Omelia di san Germano Vescovo

Nella Presentazione della Madre di Dio.

Salve, o Maria, piena di grazia, più santa dei Santi, e più eccelsa dei celi, e più gloriosa dei Cherubini, e più onorevole dei Serafini, e venerabile più d’ogni altra creatura. Salve, o colomba, la quale e ci porti il frutto dell’olivo, e ci annunzi colui per cui siamo preservati dal diluvio spirituale ed è il porto della salvezza; le ali della quale risplendono come l’argento e il cui dorso come il fulgore dell’oro e dei raggi dello Spirito santissimo e illuminatore. Salve, amenissima e razionale paradiso di Dio, dalla sua benignissima ed onnipotente destra piantato quest’ oggi ad Oriente, esalante per lui il soave odore del giglio, e germogliante la rosa immarcescibile per la guarigione di quelli che avevano bevuto ad Occidente l’amarezza d’una morte disastrosa e funesta all’anima; paradiso, in cui fiorisce l’albero della vita per la conoscenza della verità, che dona l’immortalità a chi ne avrà gustato. Salve, edificio sacrosanto, immacolato, palazzo purissimo di Dio sommo Re, ornato d’ogni parte dalla magnificenza del medesimo Re Divino, palazzo che offre a tutti ospitalità e ristora con misteriose delizie; in cui si trova il talamo non manufatto dello Sposo spirituale e risplendente di svariato ornato; in cui il Verbo, volendo chiamare la umanità errante, si disposò alla carne, per riconciliare col Padre quelli che se ne erano allontanati di propria volontà. – Salve, monte di Dio fertilissimo e ombreggiato, nel quale fu nutrito l’Agnello ragionevole che portò i nostri peccati e infermità; monte, dai quale si rotolò, senza che nessuna mano la staccasse, quella pietra che frantumò gli altari degli idoli, ed è diventata testata dell’angolo «meravigliosa agli occhi nostri » Ps. CXVII, 22. Salve, trono santo di Dio, altare divino, casa di gloria, ornamento incomparabile, tesoro eletto, propiziatorio di tutto l’universo, e cielo che narra la gloria di Dio. Salve, urna formata d’oro puro, contenente la dolcezza più soave delle anime nostre, cioè Cristo, la vera manna. O Vergine purissima e degnissima di ogni lode ed ossequio, tempio consacrato a Dio eccedente in eccellenza ogni creatura, terra intatta, campo fecondo senza coltura, vigna tutta fiorita, fontana che spande acque abbondanti, vergine feconda, e madre senza conoscere uomo, tesoro asceso d’innocenza e bellezza tutta santa: colle tue accettissime e valide preghiere, grazie alla tua autorità materna, presso il Signore Dio e Creatore di tutto, il tuo Figlio generato da te senza padre terreno, degnati di prendere in mano il governo dell’ordine ecclesiastico e di condurci al porto tranquillo. – Rivesti splendidissimamente i sacerdoti di giustizia e dei sentimenti d’una fede provata, pura e sincera. I principi ortodossi, che ti hanno scelta, a preferenza d’ogni splendore di porpora o di oro e di margarite e pietre preziose, per diadema e manto e ornamento solidissimo del loro regno, dirigili nel loro governo tranquillamente e prosperamente. Abbatti e soggioga le nazioni infedeli che bestemmiano contro di te e contro il Dio nato da te; e conferma nella fede il popolo loro soggetto, affinché perseveri, secondo il precetto di Dio, nell’obbedienza e in una dolce dipendenza. Corona dell’onore della vittoria questa tua stessa città, la quale ti considera come l Signore m’ebbe con sé dall’inizio delle sue imprese, da principio, prima ancora che facesse cosa alcuna. Fin dall’eternità io sono stata costituita, ab antico, prima ancora che fosse fatta la terra. Non c’erano ancor gli abissi, ed io ero già concepita.sua torre e fondamento; custodisci, circondandola di fortezza, l’abitazione di Dio; conserva sempre il decoro del tempio; libera i tuoi lodatori da ogni pericolo e angoscia di spirito; dona la libertà agli schiavi, sii il sollievo dei viandanti privi di tetto e di ogni altro aiuto. Porgi la tua mano soccorritrice al mondo universo, affinché passiamo le tue feste nella gioia e nell’esultanza, e si terminino tutte, come questa che ora celebriamo, lasciandoci splendidi frutti in Gesù Cristo Re dell’universo e nostro vero Dio, a cui sia gloria e potenza insieme col Padre, il santo principio della vita, e collo Spirito coeterno, consustanziale e conregnante, ora e sempre e per i secoli dei secoli. Così sia.

SAN PIER CRISOLOGO

Sermone CXLII su missus est (Lc. 1. 26-30)

Avete udito oggi, fratelli carissimi, l’Angelo che trattava con Maria della redenzione dell’uomo; avete udito che si trattava di far ritornare l’uomo alla vita per quella medesima via per la quale era caduto. Si, si, tratta l’Angelo con Maria della salute, perché un altro angelo con Eva aveva trattato della rovina. Avete udito l’Angelo che con arte ineffabile costruiva il tempio della Maestà divina col limo della nostra carne. Avete udito che con mistero incomprensibile Dio è collocato in terra e l’uomo in cielo. Avete udito come in modo inaudito in un sol corpo si unisce Dio e l’uomo. Avete udito che con angelica esortazione la fragile natura della nostra carne è confortata a portare tutta la gloria della Divinità. Finalmente perché sotto tanto peso non soccombesse la sottile arena del nostro corpo in Maria e nella Vergine che avrebbe portato il frutto di tutto il genere umano non si spezzasse la tenue vèrga, una voce angelica per allontanare il timore, ecco precede dicendo: Non temere, Maria. Prima si annunzia la causa della dignità della Vergine nel nome stesso, perché Maria in ebraico significa Signora. L’Angelo dunque la chiama Signora, perché come genitrice del Dominatore lasci il timore e perché l’autorità stessa del suo Figlio obbliga a chiamarla Signora. Non temere Maria, perché hai trovato grazia. È vero, chi ha trovato grazia, non sa temere. Hai trovato grazia. Presso chi? Presso Dio. Beata colei che fra gli uomini sola avanti tutti meritò di udire queste parole: Hai trovato grazia. Quanta? Quanta aveva detto prima, cioè la pienezza della grazia. E veramente ebbe la piena grazia che con larga pioggia doveva inondare tutta la creatura. Hai trovato grazia davanti a Dio. Mentre dice questo ed egli stesso si meraviglia che solo una femmina o che tutti gli uomini per mezzo di una femmina abbiano meritato la vita, stupisce l’Angelo che Dio venga nelle angustie del seno verginale, mentre tutto il creato per Lui è troppo piccolo. Quindi è che l’Angelo indugia, segnala alla Vergine il merito, segnala la grazia, appena manifesta la causa, per prepararla lentamente, appena sopita la lunga trepidazione. Pensate, fratelli, con quanta riverenza, con quale tremore noi dobbiamo intervenire, assistere al mistero quando lo stesso Angelo non ne parla senza timore a chi ascolta con timore. – Ecco concepirai. Bene concepirai ciò che la carne ignora, ciò che la natura non ammette, di cui la nostra condizione non ha esempio. Concepirai. Chi pervenne al frutto prima di aver provato la fatica e il sudore della terra? Chi raccoglie i frutti prima di aver coltivata la pianta? Chi arrivò ad alcun punto senza percorrere strada? Chi fuori delle leggi di natura riceve incremento di natura? Beata dunque e veramente beata Maria, la quale fuori delle leggi della generazione, senza i fastidi dei dolori materni, pervenne a tanta gloria di maternità. – Beata chi accolse e conservò nel seno il pegno divino in modo che tutto l’esterno del corpo non se ne avvedesse. Beata Lei che ciò che ricevette dal cielo sul referto dell’Angelo, lo accolse nel segreto del suo pensiero. Entro la casa della Vergine il mistero celeste si svolge in modo che tutto rimanendo chiuso nulla trapela fuori. – Concepirai e partorirai un figlio. Chi entra ed esce senza lasciar segno dell’entrata e dell’uscita? Certo solo un Abitatore divino, non umano. E chi nel concepimento conserva vergine e nella nascita lascia vergine la madre, non è uomo terreno, ma celeste. Ceda dunque la legge della nostra carne, nulla rivendichi la natura, dove si introduce una legge celeste e per dar vita a progenie divina, per ossequio a Natura Divina. – Il discorso sul concepimento e sul parto non affatichi la vostra mente, né per leggerezza si commuoverà il Cristiano, poiché sono in campo insegne divine della potenza di Dio per dar vita a progenie celeste. – Concepirai e partorirai un figlio. Non disse «per te», ma disse « tuo » . Perché? Perché l’Essere santo sarà chiamato Figlio di Dio. O Vergine, la grazia ti rende madre, non la natura; la pietà volle che tu fossi chiamata madre, ciò che non consentiva l’integrità; ma nel tuo concepimento e nel tuo parto è cresciuto il pudore, è aumentata la castità, è stata confermata l’integrità e la verginità e tutte le virtù hanno perseverato. O Vergine, se per te tutto è salvo, che cosa hai dato? Se sei vergine, come sei madre? Se sei sposa, come genitrice? Colui che ha fatto sì che tutto ti fosse accresciuto, nulla ha permesso che fosse diminuito. Hai concepito il tuo Autore. Ha principio da te il Principio, è tuo figlio il tuo Padre, nella tua carne vi è il tuo Dio; per te Egli ha ricevuto la luce del mondo, dopo aver dato la luce al mondo. Avvisata dunque dall’Angelo, o Vergine, non presumere di chiamare chi nascerà tuo figlio, ma chiamalo Salvatore; perché la verginità non per sé

partorisce un figlio, ma partorisce un pegno al Creatore e l’integrità porta in seno il suo Signore, non una creatura, dicendo l’Angelo: E lo chiamerai Gesù; che nella nostra lingua vuol dire Salvatore. – Disse Maria all’Angelo: Come avverrà questo? Ecco Maria interroga. E chi interroga, dubita. Perché solo Zaccaria è ritenuto colpevole? Perché il conoscitore dei segreti non esamina le parole, ma osserva il cuore, e giudicò non che cosa avessero detto, ma che cosa sentivano nel loro cuore Maria e Zaccaria. Era infatti diverso il motivo delle due interrogazioni, era distinta la fattispecie. Zaccaria dubitò stando alle leggi della natura; dalla domanda si capisce che egli dichiara che non può avvenire ciò che Dio comanda; Zaccaria malgrado gli esempi antichi non accetta la fede; Maria senza esempio corre alla fede; questa si meraviglia del parto di una vergine, quello disputa di un concepimento coniugale. Giustamente costei parla, perché riconosce e confessa Dio disceso nel suo corpo; quello tacque finché, convinto, dal proprio corpo diede vita à quel Giovanni, che negava. – Come avverrà ciò? Perché? Perché non conosco uomo. O Donna, qual uomo cerchi? Quello che perdesti in paradiso? Restituisci l’uomo o donna, restituisci tu quello che hai perduto. Lascia la legge naturale, riconosci la legge del Creatore. Egli da te prenderà del tuo e farà un uomo; Egli che in principio ti fece e ti assunse dall’uomo. Non cercare l’uomo, cessi l’opera dell’uomo, perché a riparare l’uomo basta l’opera divina. Quindi è che Dio stesso viene a te, perché sei pentita di essere arrivata all’uomo; né carne a carne si avvicinerà, ma lo Spirito Santo discenderà in te. Perché ciò che nasce dalla carne è carne e ciò che nasce dallo Spirito è santo. Quindi chi nasce dallo Spirito, senza controversia è Dio, perché lo Spirito è Dio. – Lo Spirito Santo discenderà in te e la virtù dell’altissimo ti farà ombra. Fa ombra la potenza di Dio, perché la fragilità umana dovendo portare Dio non soccomba. La potenza dell’altissimo ti farà ombra. Il calore del nostro corpo non sa quanto protegga l’ombra della virtù divina; né cerca il segreto della mondana abitazione, colei che si vede circondata dal velo di superno splendore. Perciò l’essere santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio. Nessuno qui prenda il termine « santo » in senso comune, ma in quel significato singolare, col quale si esclama in cielo: Santo, Santo, Santo il Signore Dio degli eserciti (Isaia VI, 5). – Si manda poi Maria da Elisabetta, la Vergine alla sterile, la giovane alla vecchia, affinché con pia gara prendano ambedue e ricevano ugualmente una la fede dalla novità, l’altra la virtù dalla necessità. – Ciò udito rispose Maria: Ecco l’ancella del Signore, si faccia a me secondo la tua volontà. Quella che è chiamata Signora dall’Angelo, si conosce e si confessa ancella. Perché l’anima devota in mezzo ai benefizi cresce in ossequio e in grazia, non in arroganza e superbia. Si faccia a me secondo la tua parola. Credendo alla parola giustamente concepisce il « Verbo ». In principio era il « Verbo » e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. (Giov. 1; 1). A tutto questo mistero giunse accettando il segreto della fede che ha udito. Quanto pecca l’eretico, che dopo le prove ancora non crede, mentre vede che Costei ha creduto tanto prima delle prove!

FESTA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE (2020)

FESTA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE (2020)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Doppio di 1a classe. – Paramenti bianchi.

Festa di precetto.

Avendo da tutta l’eternità deciso di fare di Maria la Madre del Verbo Incarnato (Ep.), Dio volle che dal primo istante del suo concepimento Ella schiacciasse la testa del serpente, e la circondò di un ornamento di santità (Intr.) e fece della sua anima, che preservò da ogni macchia, un’abitazione degna del suo figliuolo (Oraz.). La festa dell’Immacolata Concezione si celebrava nel sec. VIII in Oriente il 9 dicembre; nel sec. IX in Irlanda il 3 maggio e nell’XI sec. in Inghilterra l’8 dicembre. I benedettini con S. Anselmo, e i francescani con Duns Scoto (+ 1308) si dimostrarono favorevoli alla festa dell’Immacolata Concezione, celebrata dal 1128 nei monasteri anglo sassoni. Nel sec. XV papa Sisto IV, fece costruire nel Vaticano la cappella Sistina in onore della Concezione della Vergine. E l’8 dic. 1854 Pio IX proclamò ufficialmente questo grande dogma; interpretando la tradizione cristiana, sintetizzata dalle parole dell’Angelo: « Ave Maria, piena di grazia, il Signore è teco ». ( Vang.) « Sei tutta bella, o Maria, e macchia originale non è in te » dice con grande verità il verso alleluiatico. Come l’aurora, messaggera dei giorno, Maria precede l’astro che ben presto illuminerà il mondo delle anime. (Com.). Ella introduce nel mondo suo Figlio e per la prima volta si presenta nel ciclo liturgico. Domandiamo a Dio di « guarirci e di purificarci da tutti i nostri peccati » (Secr..e Post.), affinché siamo resi più degni di accogliere Gesù nei nostri cuori.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Is LXI: 10
Gaudens gaudébo in Dómino, et exsultábit ánima mea in Deo meo: quia índuit me vestiméntis salútis: et induménto justítiæ circúmdedit me, quasi sponsam ornátam monílibus suis.

[Mi rallegrerò nel Signore, e l’ànima mia esulterà nel mio Dio: perché mi ha rivestita di una veste di salvezza e mi ornata del manto della giustizia, come sposa adorna dei suoi gioielli.


Ps XXIX: 2
Exaltábo te, Dómine, quóniam suscepísti me: nec delectásti inimícos meos super me.

[Ti esalterò, o Signore, perché mi hai rialzato: e non hai permesso ai miei nemici di rallegrarsi del mio danno.]


Gaudens gaudébo in Dómino, et exsultábit ánima mea in Deo meo: quia índuit me vestiméntis salútis: et induménto justítiæ circúmdedit me, quasi sponsam ornátam monílibus suis.

[Mi rallegrerò nel Signore, e l’ànima mia esulterà nel mio Dio: perché mi ha rivestita di una veste di salvezza e mi ornata del manto della giustizia, come sposa adorna dei suoi gioielli.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui per immaculátam Vírginis Conceptiónem dignum Fílio tuo habitáculum præparásti: quǽsumus; ut, qui ex morte ejúsdem Filii tui prævísa eam ab omni labe præservásti, nos quoque mundos ejus intercessióne ad te perveníre concédas.

[O Dio, che mediante l’Immacolata Concezione della Vergine preparasti al Figlio tuo una degna dimora: Ti preghiamo: come, in previsione della morte del tuo stesso Figlio, preservasti lei da ogni macchia, cosí concedi anche a noi, per sua intercessione, di giungere a Te purificati.]

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ
Prov VIII: 22-35
Dóminus possedit me in inítio viárum suárum, ántequam quidquam fáceret a princípio. Ab ætérno ordináta sum, et ex antíquis, ántequam terra fíeret. Nondum erant abýssi, et ego jam concépta eram: necdum fontes aquárum erúperant: necdum montes gravi mole constíterant: ante colles ego parturiébar: adhuc terram non fécerat et flúmina et cárdines orbis terræ. Quando præparábat coelos, áderam: quando certa lege et gyro vallábat abýssos: quando æthera firmábat sursum et librábat fontes aquárum: quando circúmdabat mari términum suum et legem ponébat aquis, ne transírent fines suos: quando appendébat fundaménta terræ. Cum eo eram cuncta compónens: et delectábar per síngulos dies, ludens coram eo omni témpore: ludens in orbe terrárum: et delíciæ meæ esse cum filiis hóminum. Nunc ergo, filii, audíte me: Beáti, qui custódiunt vias meas. Audíte disciplínam, et estóte sapiéntes, et nolíte abjícere eam. Beátus homo, qui audit me et qui vígilat ad fores meas quotídie, et obsérvat ad postes óstii mei. Qui me invénerit, invéniet vitam et háuriet salútem a Dómino.

[Il Signore mi possedette dal principio delle sue azioni, prima delle sue opere, fin d’allora. Fui stabilita dall’eternità e fin dalle origini, prima che fosse fatta la terra. Non erano ancora gli abissi e io ero già concepita: non scaturivano ancora le fonti delle acque: i monti non posavano ancora nella loro grave mole; io ero generata prima che le colline: non era ancora fatta la terra, né i fiumi, né i càrdini del mondo. Quando preparava i cieli, io ero presente: quando cingeva con la volta gli abissi: quando in alto dava consistenza alle nubi e in basso dava forza alle sorgenti delle acque: quando fissava i confini dei mari e stabiliva che le acque non superassero i loro limiti: quando gettava le fondamenta della terra. Ero con Lui e mi dilettava ogni giorno e mi ricreavo in sua presenza e mi ricreavo nell’universo: e le mie delizie sono lo stare con i figli degli uomini. Dunque, o figli, ascoltatemi: Beati quelli che battono le mie vie. Udite l’insegnamento, siate saggi e non rigettatelo: Beato l’uomo che mi ascolta e veglia ogni giorno all’ingresso della mia casa, e sta attento sul limitare della mia porta. Chi troverà me, troverà la vita e riceverà la salvezza dal Signore.]

Graduale

Judith XIII: 23
Benedícta es tu. Virgo María, a Dómino, Deo excélso, præ ómnibus muliéribus super terram,
[Benedetta sei tu, o Vergine Maria, dal Signore Iddio Altissimo, piú che tutte le donne della terra].

Judith XV: 10
Tu glória Jerúsalem, tu lætítia Israël, tu honorificéntia pópuli nostri. Allelúja, allelúja
[Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu l’allegrezza di Israele, tu l’onore del nostro popolo. Allelúia, allelúia]

Cant. IV: 7
Tota pulchra es, María: et mácula originális non est in te. Allelúja.
[Sei tutta bella, o Maria: e in te non v’è macchia originale. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam
Luc I: 26-28
In illo témpore: Missus est Angelus Gábriël a Deo in civitátem Galilææ, cui nomen Názareth, ad Vírginem desponsátam viro, cui nomen erat Joseph, de domo David, et nomen Vírginis María. Et ingréssus Angelus ad eam, dixit: Ave, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus.
[In quel tempo: Fu mandato da Dio l’Àngelo Gabriele in una città della Galilea chiamata Nàzaret, ad una Vergine sposata ad un uomo della casa di David, di nome Giuseppe, e la Vergine si chiamava Maria. Ed entrato da lei, l’Àngelo disse: Ave, piena di grazia: il Signore è con te: Benedetta tu fra le donne.]

OMELIA

[G. Perardi, La Vergine Madre di Dio, Libr. del Sacro Cuore, Torino 1908]

L’Immacolata Concezione di Maria [V.]

Erano trascorsi circa quattro mila anni dacché Adamo, commesso il peccato, era stato scacciato dal Paradiso terrestre. Il mondo giaceva nelle più fitte tenebre religiose e morali. L’umanità aveva ormai compiuta la sua prova dolorosa: abbandonata a sé era precipitata nell’abisso di ogni male. Aveva cercato la scienza all’infuori di Dio; ed in luogo della scienza, che non aveva potuto raggiungere, era caduta negli errori più mostruosi. Aveva cercato la grandezza, contro Dio ed invece era precipitata nell’abisso d’ogni più ignominiosa depravazione, nell’abbrutimento d’ogni sozzura. – Contemplate l’umanità nei quaranta secoli dopo la sua uscita dall’Eden demeritato, e riconoscetela ancora, se vi è possibile! Quando uscì dal paradiso terrestre portò con sé un patrimonio prezioso di nozioni religiose e morali… Ed ora tutto è dissipato, tutto è perduto, tutto è sconvolto. Non conosce più Dio, non la sua origine, non il suo ultimo fine… e si deve quasi confessare che non ha più esatta la distinzione del bene dal male. – Rimane ferma la promessa del Liberatore, rimangono le profezie preannunziatrici, rimangono i simboli, le figure, rimane la sentenza fulminata contro il demonio. Ma intanto il demonio trionfa; si direbbe esser egli il padrone, il signore delle anime. – Il demonio! Oh! egli ben conosce le profezie. Sapeva esser ormai giunta l’ora in cui il Messia doveva nascere e nella sua folle superbia, aveva prese le precauzioni per impedirne la venuta. Baldassarre assediato in Babilonia aveva egli pure preso tutte le precauzioni per impedire l’entrata di Ciro liberatore: agguerrite le fortezze, disciplinati gli eserciti, invigilati i nemici, provveduta abbondantemente la città del necessario. Così il demonio aveva preso i suoi provvedimenti. Il Liberatore doveva venire per via di generazione; e questa anche nella discendenza dei Patriarchi era stata insozzata dalle suggestioni di satana. Il Figlio di Dio doveva nascere da una vergine; ma i pianti della figlia di Jefte (Giud. XI) hanno distolto le figlie d’Israele dalla via della verginità. Nessuna vergine per l’Emmanuele. È preannunziato che il Messia sarà un gran Re, che il suo trono sarà splendido come il sole, che il suo regno non avrà fine, ma il demonio è tranquillo: Erode regna in Gerusalemme e la potenza romana lo sostiene. È stato predetto che nascerà dalla stirpe di David; ma da parecchi secoli questa nobile famiglia è decaduta, ed i superstiti lavorano per vivere. La storia ricorda che Ciro penetrò in Babilonia — deviate le acque dell’Eufrate — pel letto del fiume rimasto asciutto. Iddio, per così esprimerci, devia la corrente nefasta del peccato originale, e per mezzo di Maria Immacolata verrà e salverà il genere umano. – L’Immacolata! Argomento bello e dolcissimo che richiama anche oggi la nostra considerazione. È un mistero, ma un mistero pieno di luce, un mistero che rischiara, conforta ed indirizza. Riflettiamo.

I. — I misteri della fede hanno questo di proprio che, incomprensibili nella loro natura, se ben si meditano al lume della ragione e della fede, ci si presentano d’una ragionevolezza che appaga la nostra mente sitibonda del vero. Tale è pure il mistero della Concezione Immacolata di Maria. La mente ed il cuore ci dicono che era cosa convenientissima che Maria fosse Immacolata nella sua Concezione. – Era cosa convenientissima che Maria fosse Immacolata nella Concezione. Poiché, trattando dei misteri di Maria, avremo spesso occasione di accennare a questa ragione di convenienza, giova qui ricordare un pensiero di sant’Agostino, che potremo applicare sempre, ogni qual volta dovremo appellarci a questa ragionevolezza che si manifesta nelle opere di Dio: « Sappi, dice il santo Dottore, che quanto ti avverrà di ritrovare più conforme alla retta ragione, Dio creatore di tutti i beni, lo ha certamente fatto »; ossia: Iddio opera in quel modo che appare più conforme ai dettati della ragione rettamente indirizzata. – Ora la nostra mente, illuminata dalla fede, ci suggerisce molte ragioni che mostrano conveniente la Concezione Immacolata di Maria. Un grande oratore francese, Bossuet, dice che vi sono proposizioni difficili, le quali per essere solidamente dimostrate, richiedono ogni sforzo del ragionamento e tutti gli espedienti dell’eloquenza; altre invece, al solo enunciarle, gettano nell’anima nostra una luce sì viva che sono abbracciate prima che dimostrate (Serm. I per la festa dell’Concezione di Maria). Che la Concezione di Maria sia Immacolata — così già osservava lo stesso Bossuet due secoli innanzi ch’essa fosse definita qual dogma di fede — che il suo diletto Figlio, onnipotente, l’abbia voluta preservare da quella peste comune che corrompe la nostra natura, profana le nostre facoltà, arreca la morte fino alle sorgenti medesime della vita, chi nol crederebbe? Chi mai ad un’asserzione sì plausibile, sì ragionevole, non presterebbe di buon grado il suo assenso?

1° La verità dell’Immacolata Concezione di Maria si collega a tutto il Cristianesimo; le radici e le tracce se ne ritrovano non solo nella tradizione, ma anche in tutto l’ordine e il concatenamento dei nostri più santi misteri; e voi vedrete che non si può rigettarla senza intaccare ciò che la fede ha di più intimo, ciò che il nostro cuore e la nostra mente hanno di più delicato e caro. Dall’eternità Iddio sceglie questa figlia della stirpe umana colpita di maledizione, per introdurre nel mondo il Liberatore; ed in previsione dei gloriosi destini di Lei l’associa al culto anticipato che l’umanità tributa al Figlio nel corso dei secoli precedenti la sua venuta, al culto dei simboli e delle figure ugualmente che al culto delle profezie, come abbiamo altra volta ricordato. Dopo Isaia e Geremia circolano fra i popoli voci misteriose: un nome di donna si unisce alla tradizione della venuta del Redentore sparsa per ogni dove. La Vergine madre riceve gli omaggi non solo del popolo eletto, Israele,  ma altresì delle sibille, dei druidi, dei poeti pagani, come ci attesta la storia dei popoli antichi. Maria dunque « è amata e prescelta da Dio da tutta l’eternità. Ella è preparata nei tempi insieme al suo Figlio e riceve unitamente a Lui il culto anticipato delle figure e degli oracoli. A questo succederà il culto di obbedienza e di amore che lo stesso Figlio di Dio renderà in persona con la propria presenza alla Madre sua; le lodi e le benedizioni dell’umanità cristiana, i cantici eterni degli Angeli e degli eletti. Catena mirabile, dite voi, le cui estremità si confondono entrambe nel seno della divinità! Non correte tanto nell’ammirare, o Signori. Se la Vergine profetizzata deve subire la legge comune, e al pari di ogni nato della stirpe umana, essere colpita dal peccato originale, ecco spezzarsi la catena, e dividersi in due parti disunite, ciascuna delle quali rimarrà collocata in una delle due ère che dividono il tempo, e allora nella economia divina noi non potremo più ravvisare, rispetto a Colei che Dio ha separato dal restante delle creature con tanti privilegi, questo che è il carattere rivelatore della sua perfetta sapienza: voglio dire l’unità. Infatti per quanto Egli sia pronto a purificare l’anima di Maria, riman però sempre vero che per un tempo Ella è contaminata, per un tempo Ella è odiosa al suo Creatore, per un tempo deve cessare ogni omaggio davanti a Lei, per un tempo vi è uno stacco fra l’èra di preparazione e l’èra di grazia » (Monsabré, L’Immacolata Concezione).

2° Maria è la Regina degli Angeli. Se Essa non fosse stata Immacolata nella sua Concezione, ecco quale assurda conseguenza ne verrebbe. Gli Angeli a Dio fedeli avrebbero per Regina non solo una creatura meno pura e perfetta di loro, una creatura sulla cui prima origine avrebbero in certo modo a piangere, ma essi, fedeli a Dio, avrebbero per Regina Colei che fu, sia pure per breve istante, schiava degli angeli ribelli a Dio. La ragione, la mente, il cuore protestano, si ribellano contro la supposizione di una tale possibilità che sarebbe aperta sconvenienza per tutto il cielo; e che perciò Dio non poteva permettere.

3° Maria è Figlia diletta del divin Padre. Quando Dio Padre nei suoi eterni disegni stabilì che il mondo verrebbe salvato per l’Incarnazione del divino Figliuolo, che questo mistero si compirebbe nel seno di una Vergine per l’opera purissima dello Spirito Santo, adottò con adozione singolare e straordinaria a sua Figlia Colei che destinava ad essere prima la Madre venerata del suo Figlio e poi, per una misteriosa estensione, di tutti i figli della Chiesa, ed essere la Sposa del divino Spirito. – Quando Dio Padre destinava Maria a tanta grandezza, a nostro modo di esprimerci, vedeva in Lei qualche cosa di Gesù, un cominciamento di Gesù, e nella carne e nel sangue di questa Vergine la sorgente augusta dove lo Spirito Santo attingerebbe per formare la carne ed il sangue del Salvatore. « L’amore del Padre pel suo Figliuolo, l’eterno ed incomparabile oggetto delle sue compiacenze, si estese perciò da quel momento su Maria come sopra un cominciamento di Gesù Cristo e della santa Umanità del Redentore. La potenza di tale amore, e la liberalità delle sue profusioni dovettero, voi lo intendete, essere senza confini. Da ciò potete giudicare quanto l’adozione della Vergine fu eccellente, poiché procedeva da un amore così grande ed aveva un fine così sublime. Ogni dilazione della grazia avrebbe messa la piaga del peccato in quella santa anima, così pura che preferiva alla stessa maternità divina una verginità che si perde, quantunque senza peccato, nell’innocenza di un santo matrimonio. Maria fu perciò adottata da Dio Padre nell’istante medesimo in cui fu concepita: non vi fu, per Lei, tra la creazione e l’adozione, alcun intervallo. Ma una tale adozione, notatelo, è la grazia santificante, è la santità, è la giustizia che esclude il peccato; perciò l’adozione di Maria fu la Concezione senza macchia, la Concezione Immacolata. – « Inoltre è evidente che Dio Padre dovette compiacersi di far rivivere in Maria tutta la bellezza, tutta la purezza primitiva della sua immagine, disonorata dappertutto pel contagio comune; e che potendolo fare, Egli pose la sua gioia nel preservare Maria dal peccato, e nel crearla nella giustizia affinché tutte le inclinazioni di questa Figlia diletta essendo pure, e non avendo mai alcun germe macchiato l’amabile fiore della sua innocenza perfetta, Egli potesse riposare su Lei i suoi sguardi con amore e contemplarvi con compiacenza, come in uno specchio fedele, tutti i tratti della propria rassomiglianza alterata così profondamente dal peccato nel rimanente degli uomini. E come si riscontrerebbe in Maria questa rassomiglianza quando l’anima di Lei fosse stata macchiata dal peccato? Non vi sarebbe una ripugnanza manifesta? » (Dupanloup, Sull’Immacolata). – Osservate ancora: Dio creando Maria, la creò perché  divenisse Madre di Gesù. Quando Davide annunziò ai primari che Salomone era stato eletto per edificare con grande magnificenza il tempio di Gerusalemme, ricordò loro che si doveva preparare l’abitazione non ad un uomo, ma a Dio (I. Paralip. XXIX, 1). Quanto più dobbiamo credere che l’eterno Padre creando Maria perché fosse un giorno Madre di Gesù, dovette, diremo così, ornarla in modo divino perché aveva ad essere non la madre di una creatura, ma del Creatore! E perciò ben a ragione la Chiesa canta che Dio per la Concezione Immacolata di Maria preparò al suo Unigenito un albergo degno della divinità. — Così pure a nostro modo di esprimerci, Dio Padre associava Maria alla divinità destinandola a Madre di Gesù condividendo con Lei i diritti della Paternità sul Verbo divino. E non vi sarebbe ripugnanza nel pensare che l’anima di Maria non fosse stata sempre bella e pura, sempre santificata dalla grazia, ossia Immacolata?

4° Maria è Madre di Gesù, Madre di Dio. A nessuno dei figli degli uomini è dato scegliersi la madre. Ma se ciò fosse dato ad alcuno, certamente potendo sceglierla nobile, regina, potente, non la sceglierebbe plebea, schiava, meschina. Or il Figliuolo di Dio poté eleggersi, prepararsi la Madre; e non è fargli torto il pensare che, mentre poteva sceglierla tutta bella, tutta pura, tutta santa per la Concezione Immacolata, la volesse invece macchiata nell’anima, della colpa originale? – In questo caso l’umiliazione, l’obbrobrio di Maria, sarebbe stata umiliazione ed obbrobrio di Gesù medesimo. È assioma comune, ed è pure parola dello Spirito Santo, che l’onore e la gloria dei genitori si riflettono nei figliuoli ugualmente che il disonore. E per questo, come la corruzione del corpo di Maria nella tomba sarebbe risalita fino al suo divin Figlio e perciò Dio la volle assunta in cielo in corpo ed anima, egualmente, anzi più ancora, sarebbe ridondata a disonore del divino Figliuolo la corruzione dell’anima di Maria pel peccato originale, quando Dio non l’avesse preservata affatto immune. Potrei ricordare un detto di un gran re, Atalarico, che « vi sono delle condizioni di cose in cui i principi guadagnano quello che essi donano, quanto cioè la generosità torna a loro onore » (CASSIOD., Variar, lib. VIII, epist. XXIII). Tale è veramente il caso che noi studiamo. Se Gesù Cristo onora sua Madre volendola Immacolata, onora se stesso perché la Concezione Immacolata di Maria è più onorifica a Gesù che non a Maria medesima. – Per causa del peccato originale l’anima è in disgrazia di Dio, schiava del demonio. E Dio avrebbe potuto eleggersi per madre una donna in sua disgrazia, o tollerare che anche per un solo istante l’anima di Lei fosse soggetta ad un qualsiasi dominio del demonio? E poi: sapete voi che cosa vuol dire essere Madre di Dio? Essere Madre di Dio vuol dire sorpassare negli onori, nella gloria, nella santità gli Angeli, gli Arcangeli, i Cherubini, i Serafini del Cielo. Essere Madre di Dio significa salire alla più alta dignità, alla più sublime grandezza, ad una grandezza tale che, eccettuatane la grandezza infinita di Dio, non se ne può immaginare alcuna o maggiore o somigliante. Essere Madre di Dio significa essere stretta con Dio, coi vincoli più intimi e più cari, quali son quelli fra un figlio ed una madre, vincoli di autorità, per parte di Maria su Dio stesso. E io non saprei intendere come questo Figlio, infinitamente sapiente, onnipotente, Dio, avrebbe potuto permettere che la propria Madre anche per un solo istante fosse serva del demonio. È assurdo pensare che Dio dovesse, quasi confessando la sua incapacità, dire a Maria sua madre: Fosti in mia disgrazia, fosti soggetta al dominio del mio nemico. – Recatevi in ispirito a Betlemme: « Il Messia è nato, questo Figlio dell’Altissimo, questo Santo dei Santi: sua Madre si è chinata sul suo volto, palpitante di rispetto e di amore. Egli colle sue piccole mani, l’accarezza. Dagli occhi azzurri del Bambino fissi nella fronte materna, partono raggi divini. Quale estasi comune nel possesso di Gesù in Maria, e di Maria in Gesù. Ebbene se la Vergine non è stata Immacolata nella sua Concezione, se in Ella ha circolato qualche cosa della sozzura umana, non fosse che un giorno, un’ora, un solo secondo, vedo il demonio che allo spettacolo della tenerezza tra il Figlio e la Madre, passa nell’ombra, fa intendere un ghigno che è il suo canto di vittoria, e, principe delle tenebre e della bruttezza, getta a Cristo (ne avrebbe il diritto) questo insulto: Tua Madre fu già in mio potere, prima di essere tua io l’ho posseduta nella sozzura. Tale supposizione è intollerabile. Alla larga, o satana » (Lémann, La Vergine Maria, parte I, c. II).

5° Maria è sposa dello Spirito santo. Quando l’Arcangelo Gabriele scende, inviato da Dio, a Nazaret e si presenta a Maria la saluta: Ave gratia plena. Dopo un tale saluto, le annunzia che lo Spirito d’amore, dai cieli, dov’è dai secoli eterni legame di carità che unisce il Padre ed il Figlio, verrà quaggiù nel cuor suo e la virtù dell’Altissimo la coprirà dell’ombra stessa della maestà divina: Spiritus sanctus superveniet in te et virtus Altissimi obumbrabit tibi (Luc. I, 35): per questa misteriosa operazione della potenza e della purezza infinita, Maria diventò la Madre del Verbo fatto carne e portò nelle sue viscere l’Emanuel promesso fin dal paradiso terrestre. – Domando: Potrebbe darsi che in quell’anima che lo Spirito Santo doveva unire a sé coi nodi di una così bella alleanza, con legami così stretti, così dolci, così forti; in quell’anima che Egli doveva investire della santa sua maestà e della sua onnipotente virtù, avesse trionfato prima di tutto il demonio e che il peccato avesse preceduto lo Spirito d’amore nel cuore della sua sposa? Oh! A ragione esclama qui il grande mons. Dupanloup: « Si vorrebbe, dice, che nel cuore di Maria, in quelle viscere verginali che lo Spirito santo doveva, con un prodigio inaudito, fecondare, consacrare, quasi divinizzare, facendo loro concepire un Dio di guisa che Colui che doveva nascere da Maria sarebbe la santità stessa, … quod nascetur ex te sanctum: si vorrebbe dire che in quel cuore il demonio fosse stato primo padrone; pel primo avesse preso con le sue mani impure quel vaso ammirabile, preparato per così grandi meraviglie; pel primo vi avesse trionfato con orgoglio? No, no! Il più semplice buon senso vi ripugna allo stesso modo che la tradizione. A chi infatti si riuscirà a persuadere che i pensieri di Dio siano meno alti, le sue inclinazioni meno benevole, ovvero le sue convenienze meno delicate che quelle dei re della terra, i quali nulla risparmiano per nobilitare ed elevare fino a loro le spose che si scelgono? A chi si farà credere che lo Spirito d’ogni purezza, risoluto dall’eternità di fare di Maria la sua Sposa, abbia potuto lasciarla, anche per un solo istante, nella miseria della nostra comune condizione e nella bassezza del peccato?

6° L’amor di Dio non poteva permettere che la macchia del peccato originale deturpasse l’anima bella di Maria; l’amore di Dio la volle Immacolata. Difatti Iddio ha amato Maria più che non l’abbiano amata tutti gli Angeli e Santi insieme. Quanto hanno amato Maria i Santi! Con quali espressioni tenere ed amorose parlano di Maria! E noi stessi, non è vero che amiamo ardentemente Maria? Non è questo l’affetto più tenero, più ardente del nostro cuore? È possibile vivere senza amare Maria? Oh! non è figlio chi non ama la madre! È un bruto, anzi peggiore del bruto, perché l’animale bruto ama la madre. E non è, no, non è Cristiano chi non ama Maria. Non può aver sentimenti d’amore per Gesù chi non li ha per la Madre sua! Sì, noi amiamo Maria! E perché l’amiamo la vogliamo Immacolata! Se fosse stato in nostro potere, oh! come l’avremmo preservata dalla macchia originale! L’avremmo voluta tutta bella, tutta santa. E Dio che l’ha amata infinitamente più di noi, non avrebbe fatto ciò che avremmo fatto noi se lo avessimo potuto? Dio che è amore infinito, Dio che ama Maria in modo infinito? Bisogna rinnegare la ragione ed il cuore per ammettere — quand’anche la Chiesa non l’avesse definito come dogma di fede — la possibilità che Maria non fosse Immacolata. Oh! l’Immacolata è per noi l’ideale della bellezza spirituale, della santità.

7 ° Devoti cristiani, pensiamo che noi pure abbiamo partecipato in parte al dono di cui fu favorita Maria. Vi abbiamo partecipato quando, bambini forse di poche ore, di pochi giorni, fummo recati alla chiesa e le acque battesimali scorsero sul nostro capo. La grazia di Dio scese allora in noi; e l’anima nostra divenne tutta pura e bella, ed adorna della grazia santificante, figlia di Dio. Oh! ricordiamo con gioia, con riconoscenza, il nostro battesimo! Oh! se avessimo sempre conservato, come Maria, la bellezza spirituale dell’anima nostra! Riacquistiamola, se l’abbiamo perduta, e poi riguardiamola sempre come il più prezioso nostro tesoro, conserviamola con quell’amore con cui riguardiamo Maria Immacolata. Mi sia qui permessa una parola ai genitori. Quando Iddio vi fa dono d’un bambino, deh! non lasciate trascorrere tempo prima di recarlo alla Chiesa pel santo Battesimo! Pensate che si tratta di procurargli la più grande ventura, di renderlo figlio di Dio, di render tutta bella e santa l’anima sua, allontanare da lui il demonio, sottrarlo alla sua schiavitù, renderlo partecipe della bellezza spirituale dell’Immacolata.

II. Un pensiero ancora al privilegio di Maria Immacolata. È un privilegio unico, un privilegio grande, un privilegio divino. Unico. Ogni uomo che nasce in questa terra, porta in se stesso le rovine della colpa; anzi concepito in peccato ne porta dal primo istante di sua esistenza la macchia e la pena. Questa è la legge comune, contro cui non vale chiarezza di sangue, né potenza d’armi, né splendore di gloria. Tutti siamo figli della colpa. L’umanità ci passa dinnanzi come le onde dell’Oceano che di continuo s’incalzano e premono; tutte le generazioni portano in fronte il marchio della colpa originale: passano i patriarchi, i profeti, gli apostoli, i martiri, le vergini, i padri della Chiesa, gli uomini più insigni per santità, e tutti ripetono con Davide: « Io fui concepito nella iniquità, e nei peccati mi ha concepito la madre mia » (Ps. L, 6). Solo Maria è degna dell’inno trionfale della Chiesa: « Tota pulcra es, Maria, et macula originalis non est in te » ; è un privilegio, non raro, ma unico: è il prodigio di Dio santificatore. Grande. Oh! veramente grande è tal prodigio. Par di vedere l’anima di Maria nell’atto della Concezione. Uscita bella, santa e perfetta dalle mani di Dio, spiegava agile il volo per unirsi al corpicciuolo formatosi in seno ad Anna, quando la vide il principe degli abissi. Il superbo che da 40 secoli era avvezzo a trionfi, come prima la guardò già la contava tra le sue prede e quanto più celesti ne scorgeva i lineamenti e l’aspetto, tanto più godendo della nuova conquista, apriva le labbra per annebbiarla col pestifero suo soffio. Stavano intanto spettatori gli Angeli e i demoni, quelli infiorati di gigli pronti a cantare le glorie della bellissima creatura, questi ridendo del riso della superbia pronti a cantare le vittorie dell’inferno. L’anima di Maria intanto che già tutta palpitava di carità mentre stava per congiungersi al corpo si scontrò a faccia a faccia con quell’antico omicida. Senonchè mentre il superbo spalancava le fauci ingorde per appestarla, ella spiccò più lieve il volo, e lasciatasi cadere a piombo sull’empio, schiacciatogli il capo, avvintogli il collo se lo trasse sotto i piedi pesto e vinto. Dio la resse col suo braccio onnipotente, e quando vide il serpente infernale sotto il virgineo piede di Lei, le cinse di stelle il capo, le pose il sole qual veste, le sottomise sgabello ai piedi la luna. Oh! privilegio veramente grande, per cui Maria trionfò del peccato, del demonio! Divino! Sì, veramente divino perché Dio solo poteva operare in Maria e con Maria tale prodigio. Dio è legislatore assoluto, superiore a tutte le leggi: Dio solo aveva potenza di compiere un tale prodigio, e se l’atto era superiore alle forze umane e create era però degno di Dio. – La corruzione originale è come un torrente impetuoso che potenza umana non può arrestare nel suo corso. Ma non vi ha corrente così impetuosa che Dio non possa arrestare. Dio, che al cenno di Giosuè arrestò altra volta il corso delle acque del Giordano, e a sua richiesta fermò il sole, Dio che impedì per mezzo degli Angeli alle fiamme della fornace di Babilonia di offendere i tre fanciulli giudei. Dio medesimo arresta il corso della originale corruzione innanzi all’anima eletta di Maria. E perciò il trionfo di Maria Immacolata è il trionfo di Dio; la gloria dell’Immacolata, è gloria divina.

III. Potrà forse qualcuno osservare che noi diamo troppa importanza al dogma della Concezione Immacolata di Maria. No, o devoti Cristiani, noi non potremo mai dare a questo dogma l’importanza che merita, e ciò per due ragioni: perché è dogma fondamentale della nostra fede, e perché  segna il rimedio al male capitale del secolo nostro. Il razionalismo moderno nega tutto. La Concezione Immacolata di Maria ci ricorda le supreme verità che ci riguardano, la nostra origine, il nostro fine, la caduta dell’uomo in Adamo, la divinità di Gesù Cristo, la redenzione umana. Oh! meditiamo questo dogma così grande; e le verità più importanti della fede splenderanno allora alla nostra mente per illuminarla ed indirizzarla. Il mondo è superbia, e un fremito di ribellione agita le moltitudini insofferenti di autorità. Meditate l’Immacolata e troverete di che umiliarvi, pensando alla sventura originale. Il male ci colpì, ci avvilì prima ancora della nostra nascita. Quasi non eravamo ancora, e già eravamo vinti dal demonio. Piaga gravissima dell’età nostra è il sensualismo più abbietto: godere e non altro che godere; tale è il fine a cui molti mirano ai giorni nostri. Voi contemplate con raccapriccio il dilagare delle sfrenatezze del senso per cui non ci è dato di fare un passo nelle nostre città senza dover chinare la fronte vergognosa degli spettacoli, delle figure che le si presentano innanzi. Il dogma della Concezione Immacolata di Maria ci presenta nella Vergine corredentrice, Madre di Gesù e Madre nostra, il tipo ideale della bellezza spirituale, il trionfo dello spirito sul senso, ci addita il modello che dobbiamo proporci ad imitare nel nostro pellegrinaggio terreno. Ah! comprendiamo come sia stato beneficio speciale della Provvidenza che il dogma dell’Immacolata fosse definito nei tempi moderni, quando appunto di tale verità più abbisognavamo. Siamo pertanto devoti dell’Immacolata onde indirizzare la nostra mente per la via della fede, onde saper mortificare la superbia dello spirito, e mantenerci puri in mezzo al fango del mondo.

ESEMPIO. — La Medaglia miracolosa, che dall’anno 1832 tanto si diffuse fra i fedeli, rappresenta da una parte l’Immacolata Concezione della santa Vergine, e dall’altra la lettera M sormontata da una croce, con i sacri cuori di Gesù e di Maria al disopra. Fu, in una visione, mostrata ad una Figlia della carità, suor Caterina Labouré, consacrata a Dio in una delle comunità di Parigi, e morta il 31 dicembre 1876. Ecco i particolari storici di questa rivelazione secondo una lettera del 17 marzo 1834, scritta dal direttore stesso di questa figlia privilegiata: Verso la fine del 1836, questa pia figlia partecipò al suo direttore spirituale una visione avuta nella sua orazione. Aveva, come in un quadro, veduta la SS. Vergine, come è d’ordinario rappresentata sotto il titolo d’Immacolata Concezione, in piedi, colle braccia stese. Dalle sue mani uscivano raggi che la rapivano, e udì queste parole: Questi raggi sono il simbolo delle grazie che ottengo agli uomini. Attorno alla immagine leggevasi in caratteri d’oro questa breve invocazione: O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi. Considerato questo quadro per alcuni momenti, le fu mostrato il rovescio del quadro stesso e vide la lettera M sormontata da una croce e, al disopra, i sacri cuori di Gesù e di Maria. Allora di nuovo si fece intendere la voce e le disse: Bisogna coniare una medaglia su questo modello, e le persone che la porteranno benedetta e indulgenziata, e con pietà diranno questa breve preghiera, saranno specialmente protette dalla Madre di Dio. Chiese se dovevasi mettere qualche iscrizione dalla parte ove trovavasì la lettera M, la croce ed i due cuori, come si vedeva dall’altra parte: e le fu risposto che no, giacché questi simboli parlavano abbastanza all’anima pia. Il prudente direttore prese questo racconto come illusione d’una pia immaginazione, e si contentò di magnificare in generale la divozione alla Santa Vergine. – Circa tre mesi dopo, la serva di Dio ebbe la medesima visione e dal suo direttore fu trattata nel modo stesso. Finalmente, dopo altri tre mesi, vide ed udì per la terza volta le medesime cose: ma questa volta la voce le disse di più che la Santa Vergine non era contenta che il direttore non si desse punto pensiero di far coniare questa medaglia. Allora il direttore sempre guardingo contro le illusioni, ma temendo d’opporsi ai disegni di Dio, che come a lui piace può esercitare la sua misericordia, andò a trovare l’Arcivescovo di Parigi, gli parlò delle tre visioni e della medaglia che si voleva con tanta insistenza. Il prelato rispose non esservi inconveniente alcuno nel far coniare quella medaglia, poiché era mirabilmente conforme alla fede ed alla pietà verso la Madre di Dio, e non poteva che contribuire a farla onorare. Dietro queste parole del venerabile Arcivescovo, il direttore non esitò più, e la medaglia fu coniata. – Questa medaglia cominciò subito a diffondersi presso le figlie della carità, che ne diedero ad alcuni infermi e moribondi ostinati nel non volersi confessare. Si ottennero guarigioni al tutto sorprendenti e non meno sorprendenti conversioni. Allora da tutte le parti si chiesero di tali medaglie, sicché dopo pochi mesi se ne erano spacciate più di 50 mila: e poco dopo si contavano a parecchi milioni quelle che circolavano soltanto nel Belgio, nella Francia e nell’Italia. Portiamo devotamente la Medaglia miracolosa, quale segno di fede nel dogma dell’Immacolata e di amore verso Maria; e questa Medaglia sarà lo scudo di difesa del nostro cuore, dell’anima nostra contro il demonio, sarà il pegno della protezione e delle benedizioni celesti su di noi.

CREDO …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Luc 1: 28
Ave, María, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, allelúja.

[Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te, tu sei benedetta fra le donne. Allelúia].

Secreta

Salutárem hóstiam, quam in sollemnitáte immaculátæ Conceptiónis beátæ Vírginis Maríæ tibi, Dómine, offérimus, súscipe et præsta: ut, sicut illam tua grátia præveniénte ab omni labe immúnem profitémur; ita ejus intercessióne a culpis ómnibus liberémur.

[Accetta, o Signore, quest’ostia di salvezza che Ti offriamo nella solennità dell’Immacolata Concezione della beata Vergine Maria: e fa che, come la crediamo immune da ogni colpa perché prevenuta dalla tua grazia, cosí, per sua intercessione, siamo liberati da ogni peccato].

Praefatio

de Beata Maria Virgine
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubique grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Conceptióne immaculáta beátæ Maríæ semper Vírginis collaudáre, benedícere et prædicáre. Quæ et Unigénitum tuum Sancti Spíritus obumbratióne concépit: et, virginitátis glória permanénte, lumen ætérnum mundo effúdit, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Coeli coelorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admitti jubeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes: Sanctus …

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Te, nella Conceptióne immaculáta della Beata sempre Vergine Maria, lodiamo, benediciamo ed esaltiamo. La quale concepí il tuo Unigenito per opera dello Spirito Santo e, conservando la gloria della verginità, generò al mondo la luce eterna, Gesú Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui, la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtú celesti e i beati Serafini la célebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo: Santo …]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXXXVI: 3, Luc I: 49
Gloriósa dicta sunt de te, María: quia fecit tibi magna qui potens est.

[Cose gloriose sono dette di te, o Maria: perché grandi cose ti ha fatte Colui che è potente].

Postcommunio

Orémus.
Sacraménta quæ súmpsimus, Dómine, Deus noster: illíus in nobis culpæ vúlnera réparent; a qua immaculátam beátæ Maríæ Conceptiónem singuláriter præservásti.

[I sacramenti ricevuti, o Signore Dio nostro, ripàrino in noi le ferite di quella colpa dalla quale preservasti in modo singolare l’Immacolata Concezione della beata Maria].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (51) LA VERA E LA FALSA FEDE -VI.-

LA VERA E LA FALSA FEDE –V.-

 (P. Gioacchino VENTURA: LE BELLEZZE DELLA FEDE, vol. II. Genova; Ed. Dario Giuseppe Rossi, 1867)

LETTURA VI.

LA CREDENZA DEI MAGI OVVERO LA VERITÀ E LA CERTEZZA DELL’INSEGNAMENTO DELLA FEDE.

§ X. – A somiglianza pure dei Magi, il cattolico, sostenuto dall’insegnamento della Chiesa, manifesta la certezza della sua fede coll’efficacia delle sue opere, e col resistere agli scandali che lo circondano. Felicità e pace di un figlio della vera Chiesa.

Ma la certezza che si ottiene dall’insegnamento cattolico, ancora meglio che da una fede nel suo linguaggio vivissima, si rende fra i Cattolici manifesta da una fede, come quella dei Magi, efficace o generosa nelle sue opere. E che cosa difatti, se non la certezza che abbiamo della verità dei misteri della fede, della forza delle sue grazie, dell’ampiezza delle sue ricompense, persuade tra noi quel disprezzo dei beni temporali e della vita presente, quelle virtù eroiche, quei sacrifici sublimi, quei prodigi di santità che fuori della Chiesa Cattolica si cercherebbero invano, e che l’idolatria, il maomettano, l’eretico nei momenti di un qualche lucido intervallo della loro ragione c’invidiano ed ammirano, senza poterli intendere, molto meno imitare? E una grande e profonda parola quella in cui la sacra Scrittura fa dire a Dio: IL MIO GIUSTO VIVE DI FEDE: Justus autem meus ex fide vivi! (Hebr. X). Imperciocché è appunto la certezza che la fede inspira, unita ai soccorsi soprannaturali che ottiene, che fa vivere sulla terra ad uomini ricoperti di una carne inferma e corrotta una vita angelica, celeste e divina. Essa è che doma le passioni più rivoltose, che contiene i trasporti più violenti, che sana le piaghe più inveterate e più profonde dell’umanità, e persuade la penitenza alla mollezza, l’annegazione all’amor proprio, la carità all’avarizia, la clemenza all’odio, l’umiltà all’orgoglio. Essa è che persuade al sacerdote, al religioso, alla verginella di soggiogare la più violenta delle inclinazioni della natura corrotta, ed immolarsi col sacrifizio continuo della castità più severa, alla gloria di Dio, al bene delle anime, al desiderio di una vita più perfetta in terra e più gloriosa nel cielo. Essa è che spinge il missionario cattolico ad abbandonare patria, parenti, amici, agi, onori, ricchezze; ed a traverso oceani tempestosi ed orridi deserti penetrare nelle contrade più barbare e più crudeli, in cerca di mostri a forme umane, per farli prima uomini e quindi Cristiani, senza altra speranza che quella di coronare una vita di apostolo, una vita di stenti, di privazioni, di croci, di sacrificj di ogni specie, colla morte di un martire. Essa è che anima tante illustri verginelle a fare un sacrificio della loro gioventù, delle loro comodità, della loro bellezza, per dedicarsi all’istruzione delle figlie del povero; ad apprestare nelle prigioni, negli ospedali, nei campi di battaglia, all’umanità inferma, colle lezioni della fede, tutti i soccorsi della carità. Essa è che ispira tante virtù modeste, ma grandi; ignote al mondo, ma note a Dio; virtù che nei paesi cattolici santificano l’interno delle famiglie e vi mantengono colla fede la santità, e coll’ordine la concordia, la pace e la felicità. Essa è infine che incoraggia tanta gente di ogni età, sesso e condizione, a non temere né i sarcasmi degli empj, né il disdegno dei mondani, né la persecuzione dei parenti, né la perdita dei beni, né i pericoli della vita per conservare la fede, per non violare il pudore, per pròfessar la pietà. In somma è questa fede certa che rifonde tutto l’uomo e lo trasforma; fortifica l’anima e la solleva sopra sé stessa e le ispira nobili idee, sublimi sentimenti, sacrificj generosi ed eroici; e riproduce in ogni tempo, in ogni luogo, all’ammirazione del cielo e della terra, lo spettacolo unico e proprio solo della Chiesa Cattolica, lo spettacolo grandioso e stupendo di tanti uomini che, circondati dalla seduzione o dall’ingiustizia di tutte le passioni, son giusti ed in mezzo a tanti esempi di una vita voluttuosa e da bruto, novelli Lot, menano una vita che imita la purezza degli Angioli e manifesta la santità di Dio: Justus autem meus ex fide vìvit. – Che più? simile a quella dei Magi, la certezza che viene dall’insegnamento cattolico si produce ancora per mezzo di una fede costante in faccia ai più grandi scandali capaci di scuoterla e di abbatterla. Vede l’anima veramente cristiana la sua fede combattuta da tanti miscredenti, sfigurata da tanti eretici, disonorata da tanti delitti, oppressa da tanti tiranni. Vede i confidenti non meno che i nemici, i figliuoli stessi non meno che gli estranei, i protettori non meno che i persecutori, con una infernale energia lavorare, dove di nascosto, dove in palese, a metterla in discredito ai dotti, in diffidenza ai governi, in odio al popolo; e disputarsi l’empio vanto di darle l’ultimo crollo o co’ tenebrosi maneggi della loro politica, o col veleno delle loro dottrine, o coll’obbrobrio dei loro costumi. Tutto ciò essa vede, e come si gloria in Dio delle nuove conquiste e della gloria della fede, così geme in silenzio innanzi a Dio e versa lagrime di dolore sulle sue perdite e sui suoi obbrobrj. Ma, al pari degli obbrobri di Gesù Cristo suo capo, che, rivelati a Mosè, come dice S. Paolo, servirono a corroborar la sua fede, invece d’indebolirla, gli obbrobrj e le sconfitte della fede, rattristano ma non iscandalizzano e non fan vacillare la fermezza della credenza dell’anima veramente cattolica. Questa fede, oscurata, annerita dai vapori dell’errore e delle passioni, come la sposa dei Cantici, non le sembra men bella: Nigra sum sed formosa; e quanto la vede più combattuta, tanto le sembra più solida e più verace. Sa essa l’anima fedele, e lo sa di certo che quello che crede è vero al di sopra di tutto ciò che è vero. Come dunque un nuovo vangelo annunziatole dai demonj convertiti in angioli di luce non basterebbe a sedurla, così non bastano a scuoterla, ad intimorirla tutti gli scandali presentatili da uomini convertiti in demonj. Questi scandali, al contrario, facendole sempre meglio conoscere la miseria di chi mal crede e peggio opera ed il vanto di ben credere e di operar bene, le rendono sempre più cara la stessa fede e ve la confermano. Non importa che lo scandalo le venga dalla parte da cui dovrebbe venire l’edificazione e il sostegno: la sua fede rimane costante a fronte delle apostasie degli stessi Cattolici, come quella dei Magi a fronte del disprezzo che mostrarono per Gesù Cristo i suoi stessi Giudei. – Al principio della rivoluzione francese, un ufficiale in Lione essendosi presentato ad un parroco per confessarsi, questo miserabile, che aveva fatto naufragio nella fede, guardando l’ufficiale dall’alto in basso con una sardonica meraviglia, se ne fece beffe, dicendo di non comprendere come mai un graduato e colto militare potesse essere sì pregiudicato e sì cieco da credere ancora alla confessione. « Tutto ciò, ripigliò l’ufficiale, nulla da un tanto scandalo scosso nella sua fede, tutto ciò, signore, non vi riguarda. Ditemi, siete voi sacerdote? avete dal vostro legittimo Vescovo la necessaria facoltà d’assolvere? » E rispondendo il parroco: « Sicuramente, » « Or bene, soggiunse l’ufficiale, compiacetevi di ascoltare la mia confessione e promettetemi da uomo d’onore di assolvermi, se me ne credete capace, coll’intenzione di fare ciò che fanno i ministri della vera Chiesa, e non v’imbarazzate del resto. Se voi lo avete dimenticato, io però ho la sorte di ricordarmi ancora, e so quello che vale l’assoluzione di un legittimo sacerdote, fornito della legittima potestà, qualunque sia per altro la sua opinione e la sua condotta: » Promise il parroco di fare, e fece quanto e come l’ufficiale desiderava. E questi, confessatosi coi sensi della più grande pietà, ritirossi lasciando il parroco non saprebbe dirsi se più confuso della propria miscredenza, o meravigliato di trovare in questo novello centurione una fede sì solida e sì sublime. – Questo bell’esempio di fede, che ci è stato raccontato da un degnissimo ecclesiastico francese il quale lo avea saputo dallo stesso militare, questo esempio, dico, nei tempi di libertinaggio, di apostasia e di errore, ad ogni istante si rinnova. – Ma le anime veramente cattoliche, che in tali tempi, come ha detto S. Paolo, meglio si manifestano, sanno che la vera fede è soggetta a quando a quando a simili vicende per parte dell’errore e delle passioni: ma sanno ancora che, simili al sole che non abbandona un emisfero se non per il luminare un altro, e non tramonta la sera se non per tornare a spuntare il dì appresso, la stella miracolosa della fede, vera luce del mondo, non perde una porzione del suo splendore visibile e della sua esterna testimonianza in certi tempi ed in certi luoghi, se non per tornare in altro tempo e in altro luogo a brillare di un nuovo lustro e riscuotere omaggi novelli, e che, dopo essersi nascosta per qualche tempo da profuga, tornerà a mostrarsi per regnare da regina. Perciò né i libertini che la discreditano, né gl’indifferenti che non la curano, né i rei costumi che la disonorano, né gli antichi fratelli che cadono, né gli stessi ecclesiastici che prevaricano, scuotono punto i veri Cattolici nella loro fede. Deplorano siffatti scandali, ma non li imitano; compiangono tanta cecità, e, lungi dal divenir ciechi essi pure, imparano a vederci anche meglio; studiandosi di mantenere la purezza della lor fede colla purezza della lor anima; per non essere ancor essi strascinati dalla licenza del vivere alla turpe e vergognosa necessità di non credere. Non solo però questi tempi di pubblici scandali, ma i giorni ancora di prova, di tentazioni e di combattimenti privati ai quali Iddio sottopone alle volte le anime di tempra forte e robusta, e dei quali si è poc’anzi fatta parola, questi giorni altresì non duran sempre: passano essi più o meno rapidamente, per dar luogo ai giorni più sereni e più lieti, ai giorni di ricompensa e di conforto, che la divina bontà concede ancora in questa vita alle anime elette, dopo che la tentazione, coll’averne purificata la virtù e provata la fedeltà, le ha fatte trovare degne di Dio. – La stella dei Magi; dopo essersi occultata per provare la fermezza della lor fede ed accrescerla, tornò a brillare più splendida ai loro occhi; così la luce divina, dopo di essersi per qualche tempo ecclissata per provare pure ad accrescere la fede delle anime veramente cristiane, ricomparisce nella lor mente più brillante e più chiara. I venti delle tentazioni cessando di agitare questa preziosa fiammella, essa getta un lume immobile, costante e sicuro. E poiché nelle cose di Dio la mente tanto vede di più quanto il cuore è più puro, avendo detto il Signore: Beati mundo corde quoniam ipsi Deum videbunt (Matth. V.); così dopo che il cuore, per la prova sofferta, è stato purificato da quelle resine carnali da cui si sollevano i vapori delle passioni, la mente, divenuta più sgombra e più chiara, ci vede meglio di prima. E chi può mai intendere, non che spiegare o descrivere con parole lo stato di pace, di quiete, di secreta gioja in cui entrata l’anima, si abbandona a vagheggiare le bellezze della vera fede? Videntes stellam gavisi sunt gaudio magno valde. Anche questo è un gran prodigio, è un gran mistero di fede, che moltissimi fra gli stessi Cattolici intendono poco, e gli eretici e i miscredenti non lo intendono affatto come gli uomini carnali, perduti nelle delizie dei sensi ed intenti a soddisfare il ventre che si hanno eretto in divinità, Quorum Deus venter est (Philip. III), non intendono come mai possa esser felice un cuore che assoggetta tutte le sue inclinazioni all’abnegazione evangelica; così gli eretici e i miscredenti, tutti occupati a ragionare e discutere, e che si sono fatti un idolo della loro ragione, non comprendono, nè possono comprendere come esser possa tranquilla e felice una mente che ha rinunziato ai propri lumi, al proprio giudizio per cattivarlo in ossequio della vera Fede. Ma che questo doppio mistero della grazia e della fede s’intenda, o non s’intenda, ciò nulla importa; il fatto sta che, tra i veri Cattolici, è certo e visibile. Poiché è certo e visibile presso di loro che siccome le anime veramente pure, lungi dall’essere infelici perché si privano degli sfoghi dei sensi, questi sfoghi anzi lor fanno orrore, e il sacrificio stesso della loro carne le consola, e l’incanto della purezza le rapisce e forma parte della loro interna felicità, così le anime veramente fedeli, lungi dal soffrire perché s’interdicono ogni raziocinio, ogni indagine in opposizione alla fede, ogni delirio della ragione, questo stesso sacrifizio della loro mente e del loro giudizio le appaga, le trasporta, e, facendole tranquille, le rende felici. – Imperciocché la felicità della mente consiste nell’ordine e nel riposo dei pensieri, come nell’ordine e nel riposo degli affetti consiste quella del cuore; ed opera della grazia divina si è l’ordinare la credenza, come sua opera è l’ordinare la carità: Ordinavit in me charitatem (Cantic. II) . Perciò la stessa grazia che rende facili i precetti di Dio, ne rende credibili i dommi; la stessa grazia che rende leggiero il peso della legge rende ancora soave e delizioso il giogo della fede. Ora siccome questa grazia ordinatrice non si dispensa che nella Chiesa, così solo nella Chiesa può trovarsi questo doppio ordine, questo doppio riposo, questa doppia felicità. – Solo del popolo della vera Chiesa si adempie la gran profezia: « Il mio popolo si assiderà nelle bellezze della pace, nei tabernacoli della fiducia, in seno ad un ricco ed abbondante riposo: Sedebit populus meus in pulchritudine pacis, in tabernaculis fiduciæ, in requie opulenta (Isa. XXXII). – Mirate quel tenero bambinello che ha preso sonno nelle braccia materne. Oh come è placido il suo respiro, perché  nulla teme il suo cuore! con quale abbandono di sé, con quale fiducia, con quale tranquillità e pace prolunga il suo riposo! oh come è bella la condizione dell’innocenza che dorme in seno all’amore! Or questa non è che un’immagine assai debole della intera sicurezza dell’anima cattolica nella verità della sua fede; dell’immensa fiducia con cui, intorno a ciò che crede, si abbandona nelle braccia della Chiesa, che a nome di Dio le parla de’ misteri di Dio: e vi si riposa con una pace profonda, con una tranquillità perfetta, sapendo che non può ingannarla, perché è sposa di Gesù Cristo, e non vuole ingannarla, perché è madre dei Cristiani; sicché il Cattolico solo può ripetere col Profeta: In pace in idipsam dormiam et requiescam, quoniam tu, Domine, singulariter in spe constituisti me (Psal. IV). – La vera Religione, a ben riflettervi, non è in fondo che amore. La fede è l’amore che docile ascolta, la speranza è l’amore che attende, la contrizione è l’amor che si duole, la preghiera è l’amor che desidera, la pratica del bene è l’amor che s’immola, la pietà e la divozione è l’amore che si trattiene con famigliarità e con confidenza coll’oggetto amato che è Dio, e tutto il culto cattolico non è che l’espressione dell’amore di Dio verso dell’uomo diretta ad eccitare, a mantenere, a cattivare l’amore dell’uomo verso Dio. Perciò il principale effetto della grazia della fede è d’infondere nell’anima una forza segreta, onde la volontà vuole ed ama di credere quello che crede; e domandando all’intelletto il sacrificio di acconsentire a ciò che esso non intende e supera la sua capacità, l’ottiene; e l’intelletto, sotto il peso di questo amore soprannaturale, si piega e si sottomette ai misteri rivelati con maggior fermezza di quello che se li avesse veduti. Perciò S. Paolo non solo il sentimento che ci solleva ad amare Iddio come sommo bene, ma quello pure che ci fa credere e sperare in Lui come somma verità, attribuisce alla secreta operazione dello Spirito Santo mediante la carità divina che, venendo egli in noi pel Battesimo, ha diffusa nei nostri cuori: Habemus accessum per fidem in gratiam istam, et gloriamur in spe gloriæ filiorum Dei..,. Spes autem non confundit: quia charitas Dei diffusa est in cordibus vestris per Spiritum Sanctum qui datus est nobis (Rom. V.). La vera fede adunque è più nel cuore che nell’intelletto; oppure è nell’intelletto insieme e nel cuore: nell’intelletto per farlo credere amando, nel cuore per farlo amare credendo; e se il principio ne è la grazia, la forma e l’alimento ne è l’amore. Una fede siffatta salvò Maddalena: giacché lo stesso dolcissimo Gesù, che la assicurò della sua salute pel merito della sua fede, Fides tua te salvum fecit (Luc. VIII), dichiarò altamente che questa fede sì grande di Maddalena avea preso da un grande e tenerissimo amore la sua forza, il suo abbellimento o la sua perfezione: Dilexit multum (ibid.). Ora dall’amore nasce la fiducia, dalla fiducia il riposo nell’oggetto amato. Egli è adunque perciò ancora che il Cattolico, in cui la fede non è effetto del convincimento di un freddo raziocinio umano, ma del sacro fuoco dell’amore divino, va incontro con vero trasporto alla parola di Dio, all’insegnamento divino manifestatogli per mezzo della Chiesa; lo riceve con una immensa fiducia e vi si adagia e vi si riposa coll’intelletto e colla volontà, colla mente e col cuore, come in un tabernacolo di sicurezza e di pace: Sedebit in tabernaculis fiducia, in pulchritudine pacis. Oh condizione felice! oh sorte avventurosa della coscienza cattolica! Ma per sempre meglio intenderne i vantaggi e il pregio, procuriamo di confrontarla colla condizione infelice, colla sorte deplorabile delle coscienze di coloro che sono fuori della vera Chiesa; giacché, come le tenebre fan meglio risaltare il pregio della luce, così le miserie dell’errore fan meglio apprezzare il vanto di conoscere e di professare la verità.

§ XI. – Si entra a dimostrare che, fuori della Chiesa cattolica, non vi è CERTEZZA alcuna di fede. Da prima perché manca un’autorità divina. L’autorità politica, che fuori della Chiesa dispone della religione, non è altrimenti divina nel decretare i simboli di fede, ma umana o diabolica. Contradizione e castigo degli eretici, obbligati a far dipendere la loro fede dall’autorità secolare, essi che non vogliono riconoscere  l’autorità della Chiesa. Assurdità che vi sarebbe a riconoscere divina l’autorità degli eresiarchi; i loro stessi discepoli l’hanno ripudiata. La stessa Scrittura cessa di essere un’autorità divina pel Cristiano che crede di doverla interpretare a suo modo. – Il vero eretico non riconosce alcuna autorità divina, ma mette la propria ragione al di sopra di Dio stesso. Questo orribile peccato lo ha comune con Lucifero.

Abbiamo veduto che la certezza onde noi Cattolici siamo perfettamente tranquilli e sicuri nella nostra fede sopra tre motivi principalmente si fonda: . sull’autorità divina, interprete infallibile della divina parola; 2.° sull’interno ajuto della grazia della fede; . sull’esterna testimonianza dell’unità delle cattoliche credenze. Ora, poiché nessuno di questi tre motivi si trova nel sistema dell’insegnamento dell’eresia, egli è chiarissimo che l’eretico, veramente tale, non è e non può mai esser certo di quello che crede, e che fuori della cattolica Chiesa non vi è, né può esservi, in materia di religione, né vera certezza, né vera fede. – Non vi è da prima presso gli eretici un’autorità divina, interprete infallibile della divina parola. Accade nell’ordine religioso ciò che accade nell’ordine politico; giacché le stesse ne sono le leggi fondamentali, come lo stesso Dio ne è l’autore. Come la mancanza dell’autorità politica produce l’anarchia dei poteri nello stato, così la mancanza dell’autorità religiosa produce in religione la confusione delle credenze. E come l’anarchia dei poteri distrugge lo stato, così la confusione delle credenze alla lunga finisce col distruggere ogni religione. Come dunque la forza o il dispotismo politico può solamente mantenere un’apparenza di ordine in un popolo caduto nell’anarchia dei poteri, così la sola forza o il dispotismo religioso può, presso di un popolo caduto nella confusione delle credenze, mantenere un’apparenza di religione: Perciò non solo nei paesi maomettani e idolatri, ma ancora ne’ paesi cristiani, ma scismatici o eretici, è la podestà secolare, è la forza, è la spada che domina la religione. – Vi sono, è vero, vescovi ed arcivescovi nella chiesa anglicana, come vi è il santo sinodo nella così detta chiesa ortodossa. Ma quelli riconoscon per pontefice il re, o la regina col suo parlamento, questo l’imperatrice o l’imperatore col suo senato. Le stesse confessioni, gli stessi simboli legali, nei quali l’eresia e lo scisma han ridotto a certe formule l’errore, sebben foggiati da uomini di chiesa, è sempre l’autorità secolare che gli impone a tutti come leggi, che ne reclama l’esecuzione, e che al bisogno gli interpreta a seconda del suo interesse o del suo capriccio. Che anzi negli stessi stati, come la Prussia, l’Olanda, la Svizzera, in cui la supremazia religiosa della podestà politica non è un domma di religione, e perciò non é un diritto, è però ammessa ed esercitata di fatto; poiché infatti è il potere politico che decide nelle materie religiose, come nelle civili: che ordina le preghiere e i digiuni, come le imposte; che dispensa dai precetti del Vangelo, come dalle prescrizioni del codice civile; che regola le coscienze come le dogane, e dirige il culto come la polizia. – Qui due riflessioni si presentano naturalmente alla mente: la prima si è, la contradizione manifesta in cui l’eresia si trova con sé medesima. Poiché qual maggiore contraddizione di questa di rigettare l’autorità della Chiesa universale ed ammettere e sottoporsi all’autorità politica di un governo particolare in materia di religione? e di dire che l’autorità della Chiesa non è necessaria, mentre che l’eresia stessa altro mezzo non trova di perpetuare i suoi scismi e i suoi errori che quello d’insegnarli e d’imporli, coll’autorità sostenuta dalla forza? Qual contradizione più rivoltante di questa, di sostenere che Roma, che la Chiesa universale, riunita, per esempio, in Trento (in cui i più grandi talenti uniti a tutte le virtù fecero di quel Concilio l’assemblea la più santa, la più dotta, la più augusta, la più memorabile di quante mai ne abbia vedute la terra), non ha capito il Cristianesimo e vi si è ingannata: e che hanno ben capito e ci hanno solamente indovinato Costantinopoli, Pietroburgo, Vittemberga, Augusta, Londra, Ginevra ed i conciliaboli ivi raccoltisi sotto la protezione del soldato o del carnefice, e composti di frati apostati, di ecclesiastici incestuosi, d’ingiusti usurpatori, di fanatici sanguinarj, di artigiani falliti, di soldati rivoltosi, di femmine invereconde; in cui tutte le follie unite a tutte le turpitudini, e tutte le assurdità innestate a tutti i vizj, ne fecero le orge le più comiche insieme e le più scandalose di quante ne rammenti la storia delle umane ingiustizie e delle umane stravaganze? La seconda riflessione si è, che il castigo di Dio è visibile sopra questi popoli e sopra queste chiese ereticali o scismatiche, ribelli alla vera Chiesa. L’orgoglio che ha ricusato di sottomettersi al Vescovo dei Vescovi si vede ivi curvato innanzi ad un militare fortunato o alla sovranità religiosa in gonnella, e palparne le passioni e adorarne i capricci e subire dalla loro bocca profana la regola del credere e dell’operare, che ha sdegnato di ricever dalla bocca del Vicario di Gesù Cristo. Non han voluto sapere queste chiese degradate di esser guidate dal pastorale, e sono cadute sotto il regime dello scettro e della spada. La seta della romana tiara è sembrata lor troppo grave, e sono obbligati a gemere sotto il peso di una Corona di ferro. Rigettarono le bolle del Vaticano, ed invece devon piegare la fronte innanzi ai decreti di gabinetto, e ricevere dai parlamenti, invece dei concilj, dai tribunali laicali, invece delle sacre congregazioni, ed invece del concistoro romano, dal consiglio di stato la soluzione dei casi di coscienza e l’interpretazione del Vangelo. Sicché come la fede del Cattolico si riduce in fondo a questo semplice articolo, che comprende tutte le verità: « Io credo tutto ciò che crede la Chiesa; » così la fede del Cristiano, nei paesi in cui lo scisma e l’eresia è la religion dello stato, si riduce a quest’articolo, che comprende tutti gli errori, non escluso l’ateismo: « Io credo a ciò che ordina di credere il re, o l’imperatore. » – Di più, una delle prove più luminose, come si è di già veduto, che l’autorità pontificia insegnante è manifestamente divina si è che gli uomini d’ingegno, d’indole, di nazioni diverse, che per circa duemila anni l’hanno esercitata, appena si sono messi a sedere sulla cattedra di verità, dimenticando tutte le loro idee e le loro passioni, han parlato tutti lo stesso linguaggio. Poiché, senza un’assistenza divina sempre la stessa, era impossibile in tanta diversità di tempi, d’interessi, di opinioni, un accordo si costante, si uniforme, sì contrario alle condizioni dell’umanità e però ancora sì prodigioso. Ma immaginate che i sommi pontefici avessero insegnato il contrario gli uni dagli altri in materia di fede: non potendosi allora decidere chi di loro avesse insegnato il vero e chi il falso, non si potrebbe con sicurezza credere a nessuno. Or con molto più di ragione non si può credere ad alcuna delle autorità civili che si hanno usurpato il diritto di spiegare il Vangelo, e che si vedono interpretare questo Vangelo unico in mille maniere differenti e contrarie; giacché il Cristianesimo di Londra non è quello di Pietroburgo, il Cristianesimo di Berlino è condannato di eresia all’Aja, e quello di Ginevra in Atene è tacciato di empietà … Ma siccome sotto un Dio unico non vi è, né vi può essere che una stessa e medesima fede; una stessa e medesima legge, uno stesso e medesimo modo d’intenderla e di praticarla; e lo stesso Dio non può ispirare interpretazioni sì differenti e sì contrarie della sua stessa parola divina, uniforme ed immutabile: così è chiarissimo che queste autorità civili, che si hanno arrogato la supremazia religiosa, non sono ispirate dal Dio di verità, di pace e di concordia, ma dallo spirito di menzogna, di confusione e di disordine: e che non sono organi divini che insegnano le vie della salute, ma strumenti diabolici che strascinano le anime alla perdizione. – E poi, dopo che si è negato al Sommo Pontefice, capo della Chiesa universale, l’autorità divina di spiegare agli uomini il Vangelo, come è possibile il riconoscere investito di questa stessa autorità divina un fanciullo, od una donnetta, per diritto di nascita o per intrigo di rivoluzione, saliti al trono, o un ribaldo o uno straniero che vi si é fatta strada con una guerra ingiusta, o con una usurpazione felice? Il buon senso più volgare non ripugna di ammettere sì enorme stravaganza? – Credo perciò che quelli stessi cui la ribellione alla Chiesa ha conferito un diritto sì esorbitante e sì assurdo sulla religione dei loro popoli non prendano già in serio questa loro dignità; o che, come degli antichi auguri ci narra Cicerone, che incontrandosi tra via non potevano contenersi dal ridere e volgere essi stessi in burla l’assurdità del loro ministero, così questi pontefici di fabbrica umana non possono non farsi beffe del loro ridicolo pontificato. Checché sia però di loro è certissimo che chi ha fior di senno in capo fra i loro sudditi non crede che essi abbiano autorità in materia di fede, più di quella che un semplice privato ne ha in materia politica, e che l’ima autorità è tanto poco divina quanto l’altra è poco sovrana. Perciò gl’Inglesi protestanti, come vari di loro più sinceri ce lo han confessato, non riconoscono nel loro re-pontefice che la sola esterna rappresentanza della supremazia religiosa, cioè un’autorità puramente politica per mantenere l’esterna unità di una politica religione, qual è la chiesa anglicana, non mai però una vera autorità religiosa, molto meno divina, che abbia diritto di comandare la fede e legar le coscienze. Ciò che, in altri termini, significa che il re d’Inghilterra colla sua prerogativa di capo della religione anglicana e con tutti gli omaggi che a tal titolo riceve, non è più pontefice di quello che sia re un re da teatro; salvo la differenza che un re da teatro fa ridere, e questi pontefici di politica creazione, a cominciar da Nerone che fu pontefice a questo modo, han fatto più di una volta scorrere piogge di lagrime e torrenti di sangue. – Né minor violenza bisognerebbe fare all’intimo senso per riconoscere come inviati di Dio, ripieni del suo spirito e rivestiti di un’autorità divina gli eresiarchi, dalla cui viltà sacrilega i principi secolari han ricevuta la loro religiosa autorità. E mai credibile che Iddio, per illuminar la sua Chiesa e rimetterla sulla strada della verità, da cui gli eretici pretendono che si sia allontanata, tralasciate quelle anime sublimi ed eroiche che in tutti i tempi e precisamente nel secolo XVI suscitò nel Cristianesimo, un S. Gaetano Tiene, un S. Girolamo Emiliani, un S. Ignazio Lojola, un S. Filippo Neri, un S. Carlo Borromeo, un S. Francesco Saverio, un S. Camillo di Lellis, un S. Francesco Carracciolo, un S. Francesco di Sales, un S. Giuseppe Calasanzio, un S. Francesco Borgia, un S. Andrea Avellino, un S. Felice da Cantalice, un S. Pio V, un S. Pietro d’Alcantara, un S. Giovanni della Croce, un Sisto V, un Luigi da Granata, un Bartolomeo de’ Martiri, un Roberto Bellarmino, un Cesare Baronio, un Tomaso Moro, un Pietro Canisio e mille altri santi o venerabili uomini, di un zelo sì disinteressato, di una vita sì pura, di una carità sì eroica, di un ingegno sì vasto, e degnissimi perciò di ricevere in abbondanza lo spirito di Dio e di servire ai disegni della sua misericordia; che, tralasciati, dico, costoro, abbia voluto comunicarsi ad un Fozio l’ipocrita, ad un Giovanni Uss l’indiavolato, ad un Lutero l’incestuoso, ad un Calvino il sodomita, ad un Rotmano il crudele, ad un Arrigo VIII il poligamo, e ad altri uomini di simil tempra, autori di tutti gli scandali, rei di tutti i delitti, ed abbia voluto costituirli apostoli della verità, luce del mondo? In verità che la cosa è troppo assurti per potersi credere, troppo ridicola per potersi affermare. – E poi, se essi stessi questi eresiarchi si sono l’un l’altro scomunicati, anatematizzati, maledetti come apostoli di errore e corruttori della verità, e sì sono a vicenda regalati i titoli di asini, di porci, di diavoli in carne; come si farebbe a decidere chi fra loro ha avuto ragione e chi torto nel parlare cosi, chi è stato da Dio ispirato e chi dal demonio? non avendo potuto a tutti lo stesso Dio ispirare dottrine sì contradittorie da meritar l’una l’anatema dell’altra. Non è dunque più ragionevole e giusto il credere che. Eccettuata la sentenza onde si sono a vicenda condannati siccome eretici, poiché si sono in ciò renduti giustizia e si sono dati il nome che loro spetta, in tutto il resto l’inferno e non il cielo li ha ispirati? – Perciò i loro discendenti si vergognarono ben presto di tali antenati, e per fare obbliare al mondo di avere essi avuto questi mostri per loro guide e maestri, lasciati i nomi delle persone che ricordavano tanti delitti e tante infamie, chiesero alle cose il titolo onde distinguersi, e non si chiamarono più luterani, calvinisti, zwingliani, ma riformati, confessionisti, evangelici, protestanti, ortodossi. E con ciò han dato a conoscere al mondo che nemmeno essi stessi gli eretici riconoscono nei loro turpi patriarchi ombra di spirito di Dio, di missione divina, di divina autorità. – Ma la sacra Scrittura non contiene la parola di Dio? Credendo adunque, come gli eretici dicono credere alla Scrittura, non vengono essi a credere alla parola di Dio e sulla sua autorità? Sì, se col credere alla divina Scrittura credessero essi o potessero credere ad una autorità pure divina che infallibilmente la interpreti. Ma dove trovarla questa autorità fuori di quella della Chiesa Cattolica, che hanno rigettata? La logica dell’errore è così forte come quella della verità. Dopo che si è detto che la Chiesa cattolica o universale si è ingannata, non si può, senza contradizione, ammettere come infallibile l’autorità d’una chiesa particolare. Nessuna chiesa particolare adunque che ha fatto scisma dalla Chiesa universale si può essa stessa imporre come autorità divina ed infallibile ai membri che la compongono; ed è obbligata a lasciare ad ognuno la più ampia latitudine d’intendere la Scrittura come gli pare. Il principio protestante adunque: Che, in materia di religione cristiana, quello si deve ritenere per vero che sembrerà vero ad ognuno leggendo la Scrittura, è la conseguenza legittima, inevitabile, necessaria di ogni eresia che nega l’autorità della Chiesa cattolica, ed in questa conseguenza ogni eresia si risolve. Perciò ogni eresia, come la stessa parola Io indica, non è in fondo che opinione particolare e privata. – Gli eretici veramente tali non hanno dunque fede che nell’infallibilità loro personale, non ammettono altra autorità che la propria ragione. Ed egualmente impudenti e ridicoli che orgogliosi ed empj non arrossiscono di sostenere che può errare il Sommo Pontefice, il testimonio sincero della credenza cattolica, il custode del deposito della rivelazione, il dottore universale, principio e centro della cattolica unità; ma che non erra poi mai l’uomo privato, il zerbino, il militare, il bifolco, la donnicciola: che può ingannarsi colui che Gesù Cristo ha rivestito del ministero d insegnare; ma non s’inganna però mai colui che ha solo l’obbligazione di credere; che può traviare e addormentarsi il pastore, che ha l’incarico di guidare e di pascere; ma che cammina sempre dritta e sicura e che è sempre vigilante sopra sé stessa la pecora, che ha un incessante bisogno di essere guidata e pasciuta: che il maestro alle volte non intende bene la divina parola, ma che bene sempre la intende il discepolo; che è fallibile colui cui è stato detto da Gesù Cristo, la tua fede non fallirà giammai (Luc. XXII); ma è infallibile colui cui il Signore ha detto, bada bene che quello che tu credi un lume in te stesso può benissimo non essere altro che tenebre (ibid. 11). Quanto dire che osano di attribuirsi, ognuno in particolare, quella infallibilità che negano al capo dei fedeli, al corpo dei pastori, alla Chiesa universale, e con una stolida confidenza si appoggiano ad una fragile canna, dopo di avere abbandonata la quercia come non abbastanza solida e sicura. – Pertanto se, ammettendo la divinità delle Scritture riconoscessero la divina autorità che ha la Chiesa d’interpretarla, allora la loro fede, come la nostra, andrebbe a risolversi a terminare in Dio. Ma poiché, rigettata l’autorità della Chiesa, hanno adottato il principio di non ammettere per vero, se non ciò che a ciascuno parrà cero leggendo la Bibbia, come gli antichi filosofi han detto: Quello doversi tener per vero che sembra vero ad ognuno studiando la natura; ognuno di loro si è messo nella disposizione di non credere delle verità primitive o evangeliche né più né meno di quello che gli piacerà e come gli piacerà di crederlo, e di rigettar come falso, o disprezzare come indifferente, tutto ciò che nella rivelazione cristiana rimane al di fuori del circolo delle sue concezioni, de’ suoi giudizj, de’ suoi gusti, dei suoi capricci. In questo orribile sistema adunque, come lo ha benissimo avvertito Tertulliano, sebben l’uomo protesti di credere alla parola di Dio depositata nella Scrittura, pure non è la rivelazione divina che serve di regola alla ragione umana, ma la ragione umana che allarga o restringe, accetta o rigetta, e decide sulla rivelazione divina. Non è l’uomo che si assoggetta alla parola di Dio, ma è la parola di Dio che riman sottoposta al giudizio dell’uomo, Unusquisque arbitratu suo modulatur quod accepit (De præser.). L’ultimo motivo della sua credenza non è già Dio che ha parlato alla Chiesa, ma la propria ragione che ha deciso della parola di Dio, ed ove la fede del Cattolico, nella sua analisi, si risolve in quest’ultimo articolo: Io credo a Dio, la fede dell’eretico finisce in quest’altro: lo credo a me stesso. Quanto dire che l’uomo si erige e si forma un Dio di sé stesso. – L’eretico adunque, coerente a’ suoi principj, non solo non fonda la sua credenza sopra alcuna autorità divina, ma la stabilisce sopra il più grande dei delitti di cui l’umana intelligenza può farsi rea innanzi a Dio, sopra l’idolatria di se stesso. – Quest’orrendo delitto della ragione, che si fa un Dio di se stessa, l’eresia lo ha comune colla filosofia pagana. Degli antichi filosofi Cicerone, in persona di Balbo, afferma che, disprezzando sdegnosamente ogni autorità, tutto pretendevan decidere al tribunale della propria ragione, ed altro oracolo non ammettevano che il proprio giudizio: Tu auctoritates omnes contemnis, ratione pugnas … Suo unicuique utendum est judicio (De nat. deor.). E Seneca pure, alunno ed interprete della stessa scuola, il filosofo, dicea, abbandonato ai proprj pensieri, non acconsente, non crede che a se stesso, Philosophus, cognitionibus suis traditus, acquiescit sibi. Lungi adunque dal credere a Dio, non ammettevano Dio se non come ad ognuno sembrava bene di ammetterlo, o piuttosto se lo creava ciascuno a seconda del proprio capriccio, o delle proprie passioni. E siccome il Creatore è al di sopra della creatura, così questi stolidi e sacrileghi creatori di Dio non mancano di preferirsi a Dio stesso e di costituirsi dii dello stesso Dio. Poiché lo stesso Seneca in più luoghi ha bestemmiato « che il filosofo, pel merito della sua sapienza, è a Dio superiore; » benché, in quanto a lui stesso, per eccesso senza dubbio di modestia, contentossi di dirsi a Dio solamente eguale: Hoc mihi philosophia promittit, ut me Deo parem faciat. E per dirlo qui di passaggio, chi non ravvisa in questa sacrilega parola del pagano filosofo un eco fedele della parola sacrilega che Lucifero pronunziò di se stesso dicendo: « io mi farò somigliante all’altissimo Iddio. Similis ero Altissimo (Isa. XIV) , » e che ripeté quindi all’orecchio dei nostri progenitori, promettendo loro che sarebbero divenuti simili a Dio disubbidendo a Dio, Nequaquam moriemini, sed eritis sicut dii (Gen. II). Ora questa stessa orribile parola che, uscita dal fondo dell’abisso, risuonò prima nell’empireo, poi nell’Eden e infine nel mondo pagano con sì funesto rimbombo, si è ripetuta e si ripete ancora, con non minor danno, in quelle parti del mondo cristiano ove ha dominato e domina ancora l’eresia. Simon Mago, Manete, Montano, Maometto fra gli antichi, Lutero, Martino, Giorgio, Diderot e Rousseau, fra i moderni si sono apertamente attribuita l’ispirazione e l’infallibilità divina e si sono preferiti, lo dirò io?…. al medesimo Gesù Cristo. I loro discendenti non osano più altrettanto colle parole, ma l’osano coi fatti. Giacché che cosa è mai il principio protestante ammesso ed enunciato dai protestanti medesimi: Il protestantismo consiste nel credere come più piace e nel vivere come si crede? se non prendersi scherno di ogni rivelazione divina, opporre il proprio capriccio alla divina parola; è lo stesso che dire: « Che Dio abbia o no parlato, poco m’importa. Se ha parlalo, non ha diritto di impormi la sua parola per regola della mia intelligenza e della mia condotta. Che cosa poi abbia detto, non mi curo saperlo, giacché ho sempre diritto di far dipendere la mia credenza dal mio capriccio e la mia vita dalla mia credenza. « E non è questo un considerarsi eguale, anzi superiore a Dio stesso? È dunque la stessa parola di Lucifero, che collo stesso accento del sacrilegio ripercossa in faccia alla montagna dell’orgoglio ha un eco nel cuor dell’eretico. È Io stesso spirito di superbia luciferina che lo anima, che lo ispira, che lo regge, che lo acceca, che lo perde. Oh misera condizione dell’uomo alla scuola di un tal maestro, sotto il regime di un tal padrone, sotto l’ispirazione di siffatta divinità!

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “OPTIME NOSCITIS”

Questa breve lettera Enciclica del Santo Padre S. S. Pio IX, ci presenta un documento che fotografa, se così si può dire, una situazione idilliaca scaturita da una collaborazione fruttuosa tra l’Imperatore cristiano Francesco Giuseppe, e la Sede Apostolica, cioè tra governo civile e Chiesa Cattolica, a tutto vantaggio sociale e spirituale dei cittadini – cristiani e non – dell’Impero austro-ungarico. Si tratta di uno degli ultimi esempi di questa stretta benefica collaborazione tra il potere temporale e quello spirituale di una Nazione cristiana, prima del dilagare dell’empietà delle sette di perdizione che doveva poi degenerare in rovinose guerre e rivoluzioni, e peggio ancora, nell’apostasia dal Cristianesimo e l’istituzione di una cultura massonica atea, della separazione e della morte, di cui oggi raccogliamo i marci frutti con una umanità soggetta interamente al vizio, alla corruzione ed alla morte, quella del corpo e poi quella più funesta dell’anima. La soddisfazione del Pontefice si traduce poi nelle raccomandazioni finali rivolte ai Vescovi di quell’Impero cristiano …. « sarà ora vostro compito, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, di consigliarvi fra Voi e di vigilare con molta attenzione affinché nelle vostre Diocesi sia custodito integro e inviolato il deposito della santissima Fede Cattolica, e si provveda con il più alacre e vigile zelo alla retta educazione dei chierici; sia custodita e protetta la disciplina del Clero, e sia ripristinata ove si sia allentata; si assegni l’incarico di parroci e gli altri benefici ecclesiastici soltanto ad idonei e stimati sacerdoti; si provveda alla sana educazione della gioventù; si pasca e si nutra il gregge affidato alla vostra cura con l’annuncio della divina parola, con salutari ammonimenti e con opportuni scritti; si convochino Sinodi … ». – Tutto questo passerà ovviamente totalmente inosservato nella falsa chiesa dell’uomo roncalli-montiniana, ed in quella tragicomica del conciliabolo e postconciliabolo, sostituitasi alla Chiesa Cattolica con l’intento dichiarato di  « … non custodire integro e inviolato il deposito della santissima Fede Cattolica », ma di sostituirlo con l’indefferentismo religioso pseudo-ecumenico e con un panteismo naturalista-ecologista di impianto mondialista e comunista, nel senso della setta protestante-anabattista travestita da fraticelli medievali, gli eretici difesi dal divin copione, il sodomita Dante Alighieri.

Pio IX

Optime noscitis

Voi ben sapete, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, che il carissimo Figlio Nostro in Cristo Francesco Giuseppe, Imperatore d’Austria e Re Apostolico, ha presso Noi e questa Santa Sede molti titoli di merito per l’avita sua fede religiosa e per il vivo interesse verso la realtà cattolica; fin dall’esordio del suo regno, accogliendo con la massima compiacenza i nostri più che giusti desideri, non ha avuto nulla di più caro che dedicare i suoi pensieri e le sue premure alla difesa della libertà della Chiesa Cattolica nei suoi vastissimi territori, allorché Egli mise mano ad un’opera tanto salutare quando pubblicò il decreto del 18 aprile 1850 con somma gloria del suo nome e col più grande compiacimento di tutti i buoni. Da allora lo stesso piissimo Imperatore e Sovrano, assecondando con pietà filiale ogni giorno di più le Nostre richieste e giustamente conoscendo quanto la Chiesa Cattolica e la sua salvifica dottrina assicurino la vera felicità e la pace dei popoli, Ci chiese con insistenza di stipulare con Lui una Convenzione che Ci concedesse facoltà di consultare, con la Nostra Autorità Apostolica, gli ecclesiastici di tutto il suo Impero e di affrontare tutti i problemi di tutti i territori che di esso fanno parte.

Pertanto con grande gioia del Nostro animo, accogliendo assai volentieri i desideri piissimi di quel Sovrano, ritenemmo di dover affrontare con Lui la Convenzione e fummo pervasi da profonda consolazione dal momento che in virtù della stessa Convenzione e con l’aiuto di Dio potemmo rivendicare e proteggere nel migliore dei modi la libertà della Chiesa Cattolica e i suoi venerandi diritti, e potemmo sanare non poche e gravissime questioni ecclesiastiche nei vastissimi territori di quell’Impero. Di conseguenza, mentre Ci congratuliamo dal profondo dell’animo con il carissimo in Cristo Figlio Nostro e gli rivolgiamo meritate e amplissime lodi, poiché si gloria di aver professato e venerato con tanto amore la nostra santissima Religione e, con pari devozione, Noi e questa Cattedra di Pietro, vi scriviamo questa lettera, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, con la quale vivamente sollecitiamo la insigne e provata vostra religiosità e il vostro zelo pastorale, affinché avvertiate il vantaggio di quella maggiore libertà di cui in tutte codeste regioni dell’Impero d’Austria la Chiesa cattolica deve fruire e godere, e vogliate adempiere con somma diligenza, con sommo impegno, con energia, tutti i doveri del vostro ministero per l’incremento, il decoro e la prosperità della stessa Chiesa e per la salute delle anime.

Sarà ora vostro compito, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, di consigliarvi fra Voi e di vigilare con molta attenzione affinché nelle vostre Diocesi sia custodito integro e inviolato il deposito della santissima fede cattolica, e si provveda con il più alacre e vigile zelo alla retta educazione dei chierici; sia custodita e protetta la disciplina del Clero, e sia ripristinata ove si sia allentata; si assegni l’incarico di parroci e gli altri benefici ecclesiastici soltanto ad idonei e stimati sacerdoti; si provveda alla sana educazione della gioventù; si pasca e si nutra il gregge affidato alla vostra cura con l’annuncio della divina parola, con salutari ammonimenti e con opportuni scritti; si convochino Sinodi sia provinciali, sia diocesani, in modo che possiate provvedere ogni giorno di più al maggior bene dei vostri fedeli. In verità, Diletti Figli e Venerabili Fratelli, non riteniamo di dovervi spiegare ciò che principalmente riguarda alcuni articoli della stessa Convenzione che desideriamo siate Voi stessi ad eseguire e ad applicare, in modo da favorire sempre più, tra codesto Impero cattolico, la Chiesa e la Sede Apostolica, quella graditissima concordia da cui ridondano ogni sorta di beni sulla comunità cristiana e civile.

In primo luogo vi avvertiamo che nello stesso tempo in cui diffonderete le vostre lettere pastorali e altri atti, dovrete mandare una copia di essi al Cesareo, Apostolico e Regale Governo, per lo meno a titolo d’informazione; dovrete pure segnalare allo stesso Governo la data di convocazione dei Sinodi; per la stessa ragione dovrete far pervenire al Governo un esemplare degli atti sinodali non appena essi diventino di pubblico diritto allorché saranno divulgati. Per quanto riguarda i Sinodi Diocesani, abbiamo saputo che non pochi del Vostro Ordine Episcopale desiderano vivamente di essere investiti di quella facoltà che da Noi fu concessa al Vescovo Leodiense con il rescritto edito il 4 maggio 1851. Abbiamo intenzione di assecondare i desideri di coloro che a Noi chiederanno tale facoltà e che insieme esporranno attentamente le peculiari condizioni della propria Diocesi, in modo che Noi possiamo prendere quelle decisioni che riterremo più opportune per ciascuna Diocesi. Siccome abbiamo per certo che per codesto Governo cattolico nulla vi sarà di più degno che incoraggiare e favorire lo spirito religioso e la pietà, così, se lo stesso Governo avrà espresso il voto di riservare a sé quanto riguarda la forma e il metodo con cui i libri di religione sono scritti ad uso delle Scuole, così Voi dovrete regolarvi secondo tale desiderio, salvo sempre ed incolume il vostro diritto di giudicare la dottrina contenuta in quei libri. Usate ogni cura affinché agli inizi, ossia nelle Scuole elementari, per insegnare il catechismo siano adottati quei libri dai quali la gioventù impari la sola dottrina della Chiesa Cattolica e affinché in quei libri non avvenga correzione alcuna, salvo non sopraggiunga un grave motivo, e sempre dopo esservi consultati fra Voi. E poiché vi è noto e risaputo quale grande differenza corra tra il sacro e il profano, dopo esservi consultati, proponetevi con ogni cura di formare gli adolescenti chierici, fin dagli anni più teneri, alla pietà, ad ogni virtù e allo spirito sacerdotale; di istruirli seriamente soprattutto nelle lettere e nelle sacre dottrine, del tutto aliene da ogni pericolo di qualsivoglia errore, in modo che nei vostri Seminari sia accurata l’educazione ecclesiastica e prevalga quel metodo di ottimi studi che, valutate le circostanze degli eventi, dei tempi e dei luoghi, possa procurare il maggior profitto alla Chiesa e contemporaneamente il Clero possa risplendere di salutare e solida dottrina. Pertanto nello scegliere i professori o i maestri usate particolare diligenza e vigilanza, e non vogliate in alcun caso affidare il difficile incarico d’insegnare se non a uomini che per religione, pietà, integrità di vita, severità di costumi e per merito di sana dottrina siano in tutto eccellenti. È tuttavia possibile che, per le tristissime e a tutti note vicende, tra gli Ecclesiastici si trovi chi non è gradito alla Cesarea e Apostolica Sua Maestà e perciò, per rimuovere del tutto ogni difficoltà, avrete cura nel conferire i benefici sia nelle parrocchie sia ad altri ecclesiastici, di non scegliere per essi quei sacerdoti che sono meno accetti alla Cesarea e Apostolica Sua Maestà. E ciò potrete capire sia dalla stessa indole e condizione degli ecclesiastici, sia dai precedenti atti del Governo, sia usando altri idonei accorgimenti. Inoltre, per la stessa ragione, prima di scegliere i professori e i maestri del Seminario, è necessario che indaghiate accortamente e siate certi che la stessa Cesarea e Apostolica Maestà non abbia qualche prevenzione verso di essi per ragioni politiche. Infine vi stia sommamente a cuore vigilare continuamente affinché nelle funzioni ecclesiastiche e soprattutto nel sacrosanto sacrificio della Messa, nonché nella somministrazione dei Sacramenti si usino con pia e religiosa attenzione le formule della Chiesa, nella lingua di ogni rito già approvato da questa Sede Apostolica. E cercate assiduamente di evitare che per l’avvenire i Prelati inferiori ai Vescovi, celebrino le sacre funzioni con rito pontificale, salvo che non abbiano ottenuto uno speciale privilegio dalla stessa Santa Sede e a condizione che chi ha conseguito detto privilegio dovrà osservare scrupolosamente quelle disposizioni, che sono contenute sia nel decreto di Alessandro VII, Nostro Predecessore di degna memoria, pubblicato il 27 settembre 1659, sia nella lettera Apostolica di Pio VII, parimenti Nostro Predecessore di felice ricordo, che comincia con Decet Romanos Pontifices e che è stata scritta il 4 luglio 1823. Tenete presenti, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, tutte le questioni che Vi abbiamo sottoposto; per certo non dubitiamo che, grazie alla vostra pietà e alla singolare e provata devozione verso Noi e verso questa Santa Sede, accoglierete con docili orecchie tutti i Nostri consigli e avrete cura di comprendere e di eseguire quanto vi abbiamo detto.

Frattanto non dimentichiamo di chiedere umilmente e insistentemente a Dio Ottimo Massimo che sempre effonda propizio i ricchi doni dalla sua bontà sopra di Voi, e benedica le vostre attività pastorali, le decisioni e gli affanni per cui la nostra santissima Religione e la sua Dottrina possano dilatarsi ogni giorno di più nelle vostre Diocesi e felicemente ovunque prosperino e fioriscano. E come auspicio di tutti i doni celesti e come testimonianza dell’ardente Nostro amore per Voi, impartiamo dal profondo del cuore l’Apostolica Benedizione a ciascuno di Voi, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, e a tutti i Chierici di codeste Chiese e ai Laici fedeli affidati alla vostra cura.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 5 novembre 1855, anno decimo del Nostro Pontificato.

DOMENICA II DI AVVENTO (2020)

DOMENICA II DI AVVENTO (2020)

Stazione a S. Croce in Gerusalemme.

Semid. Dom. privil. Il cl. – Paramenti violacei.

Tutta la liturgia di questo giorno è piena del pensiero di Isaia, (nome che significa: Domini Salus: Salvezza del Signore), che è per eccellenza il profeta che annuncia l’avvento del regno del Cristo Redentore. Egli predice, sette secoli prima, che « una Vergine concepirà e partorirà l’Emanuele »  — che Dio manderà «il suo Angelo, — cioè Giovanni Battista — per preparare la via avanti a sé (Vang.) e che il Messia verrà, rivestito della potenza di Dio stesso, (I e III antif. dei Vespri) per liberare tutti i popoli dalla tirannia di satana. « Il bue — dice ancora il profeta Isaia — riconosce il suo possessore e l’asino la stalla del suo padrone; Israele non m’ha riconosciuto: il mio popolo non m’ha accolto » (I Dom. 1° Lez. ) — « Il germoglio di Jesse — continua — s’innalzerà per regnare sulle nazioni » (Ep.) e « i sordi e i ciechi che sono nelle tenebre (cioè i pagani) comprenderanno le parole del libro e verranno » (Vang.). Allora la vera Gerusalemme (cioè la Chiesa) « trasalirà di gioia » (Com.) perché i popoli santificati da Cristo vi accorreranno (Grad. All). Il Messia — spiega Isaia — « porrà in Sion la salvezza e in Gerusalemme la gloria » — « Sion sarà forte perché il Salvatore sarà sua muraglia e suo parapetto » cioè il suo potente protettore. Così la Stazione è a Roma, nella Chiesa detta di S. Croce in Gerusalemme, perché vi si conservava una grossa parte del legno della Santa Croce, mandata da Gerusalemme a Roma quando fu ritrovata.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

 Introitus

Is XXX: 30.
Pópulus Sion, ecce, Dóminus véniet ad salvándas gentes: et audítam fáciet Dóminus glóriam vocis suæ in lætítia cordis vestri.

[Popolo di Sion, ecco il Signore verrà a salvare tutte le genti: il Signore farà udire la gloria della sua voce inondando di letizia i vostri cuori.]

Ps LXXIX:2
Qui regis Israël, inténde: qui dedúcis, velut ovem, Joseph.

[Ascolta, tu che reggi Israele, tu che guidi Giuseppe come un gregge.]

Pópulus Sion, ecce, Dóminus véniet ad salvándas gentes: et audítam fáciet Dóminus glóriam vocis suæ in lætítia cordis vestri.

[Popolo di Sion, ecco il Signore verrà a salvare tutte le genti: il Signore farà udire la gloria della sua voce inondando di letizia i vostri cuori.]

Oratio

Orémus.
Excita, Dómine, corda nostra ad præparándas Unigéniti tui vias: ut, per ejus advéntum, purificátis tibi méntibus servíre mereámur:
[Eccita, o Signore, i nostri cuori a preparare le vie del tuo Unigenito, affinché, mediante la sua venuta, possiamo servirti con anime purificate:]

Lectio

Lectio Epístolæ beáti Pauli Apostoli ad Romános.
Rom XV:4-13.
Fatres: Quæcúmque scripta sunt, ad nostram doctrínam scripta sunt: ut per patiéntiam et consolatiónem Scripturárum spem habeámus. Deus autem patiéntiæ et solácii det vobis idípsum sápere in altérutrum secúndum Jesum Christum: ut unánimes, uno ore honorificétis Deum et Patrem Dómini nostri Jesu Christi. Propter quod suscípite ínvicem, sicut et Christus suscépit vos in honórem Dei. Dico enim Christum Jesum minístrum fuísse circumcisiónis propter veritátem Dei, ad confirmándas promissiónes patrum: gentes autem super misericórdia honoráre Deum, sicut scriptum est: Proptérea confitébor tibi in géntibus, Dómine, et nómini tuo cantábo. Et íterum dicit: Lætámini, gentes, cum plebe ejus. Et iterum: Laudáte, omnes gentes, Dóminum: et magnificáte eum, omnes pópuli. Et rursus Isaías ait: Erit radix Jesse, et qui exsúrget régere gentes, in eum gentes sperábunt. Deus autem spei répleat vos omni gáudio et pace in credéndo: ut abundétis in spe et virtúte Spíritus Sancti.

 “Tutte le cose che furono già scritte, furono scritte per nostro ammaestramento, affinché per la pazienza e per la consolazione delle Scritture noi manteniamo la  speranza. Il Dio poi della pazienza e della consolazione vi conceda di avere un medesimo sentimento fra voi, secondo Gesù Cristo. Affinché di pari consentimento, con un sol labbro, diate gloria a Dio, Padre del Signor nostro Gesù Cristo. Il perché accoglietevi gli uni gli altri come Gesù Cristo ha accolto voi a gloria di Dio. E veramente io affermo, Gesù Cristo essere stato ministro della circoncisione per la veracità di Dio, per mantenere le promesse fatte ai patriarchi: i gentili poi glorificare Iddio per la misericordia, siccome sta scritto: Per questo io ti celebrerò fra le nazioni e inneggerò al tuo nome. E altrove: Rallegratevi, o genti, col suo popolo. E ancora: “Quante siete nazioni, lodate il Signore, e voi, o popoli tutti, celebratelo. E Isaia dice ancora: Vi sarà il rampollo di Jesse e colui che sorgerà a reggere le nazioni, e le nazioni spereranno in lui. Intanto il Dio della speranza vi ricolmi di ogni allegrezza e pace nel credere, affinché abbondiate nella speranza per la forza dello Spirito santo. ,, (Ai Rom, XV, 4-13). –

L’intenzione di s. Paolo in questa lettera è di far essere certe controversie domestiche, che lo spirito di gelosia aveva suscitate tra i Giudei ed i Gentili convertiti alla fede. Quelli si gloriavano delle promesse che Dio aveva fatto ai lor padri, di dare il Salvatore, che sarebbe della loro nazione; questi rimproveravano ai Giudei la manifesta ingratitudine della quale si eran fatti colpevoli uccidendo il loro Redentore. S. Paolo dimostra agli uni come agli altri che essi devono tutto alla grazia ed alla misericordia del Salvatore.

Perché Dio è chiamato il Dio della pazienza, della consolazione e della speranza?

Perché fa sua longanimità verso i peccatori lo determina ad aspettare la loro conversione con pazienza; perché  da Lui viene questa consolazione interiore che sbandisce ogni pusillanimità; e fa insieme trovar gaudio nelle croci; perché Egli è che ci dà la speranza di pervenire, dopo questa vita a godere Lui stesso.

Aspirazione. O Dio di pazienza, di consolazione e speranza, fate che una perfetta rassegnazione al vostro santo volere versi la gioia e la pace nei nostri cuori, e che la Fede, la Speranza e la Carità ci rechino, con la pratica delle buone opere, al possedimento del bene a cui fummo creati, e che ci attende nell’eternità, se adempiremo fedelmente le condizioni alle quali ci è stato promesso.

Omelia I

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)]

Si deve o no leggere la Bibbia? Non ho bisogno, non dovrebbe esserci il bisogno di spiegarvi che cosa è la Bibbia, il libro religioso, giudaico-cristiano, perché una parte della nostra Bibbia, ci viene dagli Israeliti, il popolo Santo d’una volta e un’altra parte è nostra, proprio nostra, cristiana. Libro diverso dagli altri e agli altri superiore, perché divino in veste umana, divinamente ispirato, come con precisione tecnica, dicono i teologi. Il titolo, libro per eccellenza, dice da solo che cosa è da leggersi. I libri sono fatti apposta per essere letti, e da leggersi da parte di quelli che sono Cristiani. I libri di musica li leggono le anime musicali, il libro sacro devono leggerlo i Cristiani. Bisogna leggere la Bibbia. Ed è l’esortazione di San Paolo, quando dice ai fedeli del suo tempo: tutto ciò che si contiene nella Bibbia è stato scritto per nostra istruzione. Ma badiamo: la parola istruzione non ha sulla penna di San Paolo il valore che ha oggi. Istruire oggi significa parlare all’intelligenza dei lettori o degli uditori per soddisfarne la curiosità — curiosità nobile o frivola, ma curiosità sempre. I libri scientifici, sono il tipo del libro che tende a soddisfare la curiosità nobile, i romanzi, le novelle sono il tipo del libro che vuol soddisfare la curiosità volgare. San Paolo non vuole certo accomunare con questi libri scientifici o romantici il libro divino, Sacro, il libro dei libri della Bibbia. Più che di istruzione, quando siamo colla Bibbia, bisognerebbe parlare di edificazione spirituale. E infatti, continua San Paolo dicendo che la Bibbia è stata scritta per noi, per la nostra istruzione « affinché di pazienza e dì consolazione biblica si nutrano le nostre speranze ». Il che vuol dire che la Bibbia è il libro nutrificatore delle nostre speranze, un libro di consolazione, in mezzo alle tristezze della vita. Occorre però attenersi alle giuste norme prudenziali stabilite dalla Chiesa in questa lettura, affinché la parola divina, fraintesa, non si trasformi in veleno. Tutta la Bibbia è piena da cima a fondo d’una speranza, d’una grande e consolante speranza che sorresse per secoli e millenni quel popolo missionario (come lo chiamò il p. Lacordaire). È la speranza del Messia, del liberatore divino, del suo popolo e non del suo popolo solamente. Verrà fu la parola d’ordine dei Patriarchi, dei Profeti, della piazza e della reggia, del tempio e del foro: verrà. E voleva dire: verrà il Messia, verrà Lui e trasformerà ogni cosa. Spezzerà la catena della schiavitù per la libertà, getterà nelle tenebre il raggio vittorioso della Sua luce. Nei giorni più tristi, in mezzo alle condizioni umanamente disperate, quel popolo ripeteva pieno di fede la grande parola di quella speranza, e si rasserenava. Invece di abbattersi si rialzava; vinto materialmente ma ancora spiritualmente vincitore. Deportato sulle rive del Tigri e dell’Eufrate — fiumi di Babilonia — di un raggio di speranza faceva scintillare le sue lagrime. – Storia utile a rievocare in questa sacra stagione dell’Avvento, perché a quelle grandi speranze della Bibbia antica, risponde la speranza del Vangelo nuovo. Verrà, dissero per millenni gli Israeliti, tornerà, diciamo, da due mila anni e continueremo a dire chi sa per quanto noi Cristiani. Tornerà, ecco l’Avvento nuovo come nel verrà c’è tutto l’avvento antico. Tornerà, è forma di terrore per i nemici di Gesù Cristo e del Suo Vangelo, che, perciò, fanno di tutto per deprecare quel ritorno. Non lo vogliono, non lo credono. Ma noi lo vogliamo, noi Cristiani di tutte le generazioni. Il ritorno di Gesù per noi è il ritorno dell’amico caro al cuore, il ritorno del Giudice caro alla nostra coscienza. Quel ritorno significa la cessazione dei nostri dolori, il trionfo dei nostri ideali, la ricompensa delle nostre fatiche. Il Vangelo è pieno di questa idea, anzi, si riassume in questo annuncio: Gesù, il Messia, tornerà. È  anzi questa la buona novella, il Vangelo per eccellenza. Perché ciò che noi diciamo, tornerà, vuol dire: vive. E non vive lontano; è vicino. « Dominus enim prope est. » Il suo ritorno è sempre imminente. Tornerà colla Sua gloria, è presente con la Sua grazia. Così con questo spirito di fede e d’amore va letta la Bibbia, va meditato il Vangelo: il libro delle grandi e delle non fallaci, non vane speranze. – Per confortarci nella tristezza presente, per non lasciarci travolgere dalle tentazioni, che deprimono, dalle seduzioni che eccitano. Per i nostri separati fratelli protestanti la Bibbia è la maestra della fede, per noi è pure l’animatrice, la confortatrice delle grandi speranze.

Graduale

Ps XLIX: 2-3; 5
Ex Sion species decóris ejus: Deus maniféste véniet,
V. Congregáta illi sanctos ejus, qui ordinavérunt testaméntum ejus super sacrifícia.

[Da Sion, ideale bellezza: appare Iddio raggiante.
V. Radunategli i suoi santi, che sanciscono il suo patto col sacrificio. Alleluia, alleluia.]

Alleluja

Allelúja, allelúja,
Ps CXXI: 1
V. Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus. Allelúja.

[V. Mi sono rallegrato in ciò che mi è stato detto: andremo nella casa del Signore. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.
R. Gloria tibi, Domine!
Matt. XI:2-10

In illo tempore: Cum audísset Joánnes in vínculis ópera Christi, mittens duos de discípulis suis, ait illi: Tu es, qui ventúrus es, an alium exspectámus? Et respóndens Jesus, ait illis: Eúntes renuntiáte Joánni, quæ audístis et vidístis. Cæci vident, claudi ámbulant, leprósi mundántur, surdi áudiunt, mórtui resúrgunt, páuperes evangelizántur: et beátus est, qui non fúerit scandalizátus in me. Illis autem abeúntibus, coepit Jesus dícere ad turbas de Joánne: Quid exístis in desértum vidére? arúndinem vento agitátam? Sed quid exístis videre? hóminem móllibus vestitum? Ecce, qui móllibus vestiúntur, in dómibus regum sunt. Sed quid exístis vidére? Prophetam? Etiam dico vobis, et plus quam Prophétam. Hic est enim, de quo scriptum est: Ecce, ego mitto Angelum meum ante fáciem tuam, qui præparábit viam tuam ante te.  

“In quel tempo avendo Giovanni udito nella prigione le opere di Gesù Cristo, mandò due de’ suoi discepoli a dirgli: Sei tu quegli che sei per venire, ovvero si ha da aspettare un altro? E Gesù rispose loro: Andate, e riferite a Giovanni quel che avete udito e veduto. I ciechi veggono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, si annunzia ai poveri il Vangelo; ed è beato chi non prenderà in me motivo di scandalo. Ma quando quelli furono partiti, cominciò Gesù a parlare di Giovanni alle turbe: Cosa siete voi andati a vedere nel deserto? una canna sbattuta dal vento? Ma pure che siete voi andati a vedere? Un uomo vestito delicatamente? Ecco che coloro che vestono delicatamente, stanno ne’ palazzi dei re. Ma pure cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico io, anche più che profeta. Imperocché questi è colui, del quale sta scritto: Ecco che io spedisco innanzi a te il mio Angelo, il quale preparerà la tua strada davanti a te” .

OMELIA II.

 (Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, Vol. I, Quarta edizione, C. ed. Marietti, Torino-Roma, 1933)

Sul rispetto umano

Beatus qui non fuerit scandalizatus in me.

[Beati coloro che non faranno di me soggetto di scandalo.]

Nulla è più glorioso e più onorevole per un Cristiano che portare il nome sublime di figlio di DIO, di fratello di Gesù-Cristo. Ma all’opposto nulla è più indegno che aver vergogna di manifestarlo nelle tante occasioni che si presentano. No, fratelli miei, non ci stupiamo di vedere degli ipocriti mostrare per quanto possono, un’esteriorità di pietà per attirarsi stima e lode degli uomini, mentre i loro poveri cuori sono divorati dal peccato più infame. Essi vorrebbero, questi ciechi, gioire degli onori che sono inseparabili dalla virtù, senza darsi pena di praticarla. Ma siamo ancor meno meravigliati nel vedere dei buoni Cristiani nascondere, per quanto lo possono, le loro buone opere davanti al mondo, per tema che la vanagloria non scivoli nei loro cuori e che i vani applausi degli uomini non facciano loro perderne il merito e la ricompensa. Ma fratelli miei, ove troveremmo una viltà più colpevole, un abominio più deplorevole della nostra: che, facendo professione di credere in Gesù-Cristo, avendo fatto i più sacri giuramenti di camminare sulle sue orme, sostenere i suoi interessi e la sua gloria, anche a discapito della nostra vita, siamo poi così codardi che alla prima occasione violiamo le promesse che gli abbiamo fatto sul sacro fonte battesimale. Ah! Sciagurati, cosa facciamo? Chi è Colui che rinneghiamo? Ahimè! Noi abbandoniamo il nostro DIO, il nostro Salvatore, per schierarci tra gli schiavi del demonio che ci inganna e che non cerca altro che la nostra perdita e la nostra eterna dannazione. Oh! Maledetto rispetto umano! Quante anime conduci all’inferno! Ma per farvi meglio vederne la viltà, vi mostrerò: 1° Quanto il rispetto umano, cioè la vergogna di operare il bene, oltraggi il buon DIO. 2° Come colui che lo commetta riveli uno spirito debole e limitato.

I. – Noi non parleremo, fratelli miei, di tutti quegli empi della prima classe che consacrano il loro tempo, la loro scienza e la loro povera vita a distruggere la nostra santa Religione, se lo potessero. Questi sciagurati non sembrano che vivere per annientare le sofferenze, i meriti della morte e della passione di Gesù-Cristo. Essi hanno utilizzato gli uni le loro forze, gli altri la loro scienza per infrangere questa pietra sulla quale Gesù-Cristo ha costruito la sua Chiesa. Ma questi insensati andranno a sfracellarsi contro questa pietra della Chiesa, che è la nostra santa Religione, che sussisterà sempre malgrado tutti i loro sforzi. – In effetti, fratelli miei, a cosa è servita tutta la furia dei persecutori della Chiesa, dei Neroni, dei Massimini,   dei Diocleziani e di tanti altri che hanno creduto con la forza delle armi, di giungere a torla di mezzo?  È tutto all’opposto: il sangue di tanti martiri non è servito, come dice Tertulliano, che a far fiorire la Religione più che mai, ed il loro sangue sembrava una semenza che ne producesse cento per uno. Sciagurati! Che vi ha fatto questa bella e santa Religione per perseguitarla tanto, Essa che sola può rendere l’uomo felice sulla terra? Ahimè! Quante lacrime e grida salgono ora dall’inferno ove riconoscono chiaramente che questa Religione, contro la quale si sono scatenati, li avrebbe condotti al cielo. Ma rimpianti inutili e superflui! – Vedete ancora questi altri empi che hanno fatto tutto ciò  che hanno potuto per distruggere la nostra santa Religione con i loro scritti, come un Voltaire, un Jean-Jacques Rousseau, un Diderot, un D’Alambert, un Volney e tanti altri, che non hanno trascorso la loro vita che a vomitare con i loro scritti tutto ciò che il demonio poteva loro inspirare. Ahimè! Essi hanno fatto del male, è vero; essi hanno perso delle anime, ne hanno trascinate con sé tante all’inferno; ma non hanno potuto distruggere la Religione come essi credevano; si sono sgretolati essi contro questa pietra. Ma non hanno infranto la pietra sulla quale Gesù-Cristo ha costruito la sua Chiesa e che dovrà durare fino al chiudersi dei secoli. Dove sono ora questi poveri empi? Ahimè! Nell’inferno, ove piangono la loro infelicità e quella di tutti coloro che hanno trascinato con sé. Nulla diciamo ancora, fratelli miei, di questi ultimi empi che, senza mostrarsi apertamente nemici della Religione, soltanto perché praticano ancora alcuna parte esterna, e che malgrado questo, li ascoltate di tanto in tanto escono in piccole facezie, per causa di esempio, sulla virtù o la pietà di coloro che non hanno il coraggio d’imitare. Ditemi, amico mio, che vi ha fatto questa Religione che avete ricevuto dai vostri avi che l’hanno praticata sì fedelmente sotto i vostri occhi, che tante volte vi hanno detto che essa solo poteva fare la felicità dell’uomo sulla terra e che, abbandonandola non potremmo essere che infelici? E dove pensate, amico mio, che la vostra piccola empietà vi condurrà? Ahimè! Amico mio, all’inferno, per piangere il vostro accecamento. Nulla diciamo ancora di quei Cristiani che non sono Cristiani che di nome; che fanno il loro dovere di Cristiani in un modo sì stomachevole che vi farebbero morire di compassione. Vedetene uno, nel tempo della sua preghiera fatta con noia, dissipazione, senza rispetto. Vedete là in chiesa senza devozione: l’Officio comincia sempre troppo presto e finisce sempre troppo tardi; il sacerdote non ancora è disceso dall’altare che essi sono già fuori. Non bisogna parlar loro della frequenza dei Sacramenti; se talvolta vi si accostano, è con una certa indifferenza che rivela che essi non comprendono affatto quel che fanno. Tutto ciò che ha riferenza con il servizio di Dio è fatto con disgusto spaventoso. DIO mio, quante anime perdute per l’eternità! O DIO mio! Quanto piccolo è il numero di coloro che entreranno nel regno dei cieli, perché ce n’è così pochi che fanno quel che devono per meritarlo. – Ma, voi direte ora: chi sono dunque coloro che si rendono colpevoli di rispetto umano? Fratelli miei, ascoltatemi un istante e lo saprete. Innanzitutto vi dirò con San Bernardo, che da qualsiasi lato consideriamo il rispetto umano, che è la vergogna di compiere i propri doveri di Religione a causa del mondo, tutto ce ne dimostra il disprezzo di Dio e delle sue grazie e l’accecamento dell’anima. Io dico in primo luogo, fratelli miei, che la vergogna di operare il bene, per il timore di essere disprezzati o scherniti da parte di qualche empio sciagurato, o da qualche ignorante, è un disprezzo orribile che facciamo della presenza del buon DIO, davanti al quale noi siamo, e che potrebbe subito gettarci all’inferno. Perché, fratelli miei, questi cattivi Cristiani vi scherniscono e gettano in ridicolo la vostra devozione? Ahimè! Fratelli miei, eccone la vera ragione: è che non avendo la forza di fare ciò che voi fate, vi prendono di mira perché risvegliate i rimorsi della loro coscienza; ma siate ben sicuri che nel cuore, essi non vi disprezzano, all’opposto vi stimano molto. Se essi hanno da prendere un buon consiglio, o domandare una grazia presso il buon DIO, non è a coloro che tengono la loro stessa condotta che faranno ricorso, ma a coloro che hanno schernito, almeno a parole. Voi avete vergogna, amico mio, di servire il buon DIO temendo di essere sprezzato? Ma, amico mio, rimirate dunque Colui che è morto appeso a questa croce, domandategli dunque se Egli ha avuto vergogna di essere disprezzato, e di morire in modo ignominioso su questa croce infame. Ah! ingrati che non siamo altri verso DIO, che sembra trovare la sua gloria nel rendere pubblico di secolo in secolo che Egli ci sceglie come suoi figli. O DIO mio! Quanto l’uomo è cieco e spregevole di temere un miserabile “che cosa si dirà”, e non temere di offendere DIO, sì buono. In secondo luogo, io dico che il rispetto umano ci fa disprezzare tutte le grazie che il buon DIO ci ha meritate con la sua morte e la sua passione. Si, fratelli miei, con il rispetto umano, noi annientiamo tutte le grazie che il buon DIO ci aveva destinate per salvarci. Oh! Maledetto rispetto umano, quante anime precipiti all’inferno! In terzo luogo: io dico che il rispetto umano dimostra il più deplorevole accecamento. Ahimè! non poniamo mente a quello che perdiamo! Fratelli miei, qual disgrazia per noi! Noi perdiamo il nostro DIO, che nulla può tenergli luogo. Noi perdiamo il cielo con tutti i suoi beni ed i suoi piaceri! Ma un’altra disgrazia è che noi prendiamo il demonio per nostro padre, e l’inferno con tutti i suoi tormenti come nostra eredità e nostra ricompensa. Noi cangiamo le nostre dolcezze e le nostre gioie eterne nei patimenti e nelle lacrime. Ah! amico mio, a cosa pensate? Quali non saranno i vostri rimorsi per l’eternità! Ah! mio DIO, vi si può pensare e vivere ancora come schiavi del mondo? – È vero, mi direte voi, che colui che teme il mondo per compiere i suoi doveri di Religione è ben infelice, poiché il buon DIO ci dice che colui che avrà vergogna di servirlo davanti agli uomini, non vorrà Egli riconoscerlo davanti a suo Padre nel giorno del giudizio. – Ma DIO mio, temere il mondo, perché dunque? Poiché noi sappiamo che bisogna assolutamente essere disprezzati dal mondo per piacere a DIO. Se  voi temevate il mondo, non occorreva diventare Cristiano. Voi sapete bene che sulle fonti sacre del Battesimo, avete prestato giuramento alla presenza di Gesù-Cristo medesimo, che rinunziavate al demonio e al mondo; che vi sareste impegnato a seguire Gesù-Cristo portando la sua croce, caricato di obbrobri e disprezzo. Se temevate il mondo ebbene! Rinunciate al vostro Battesimo e datevi a questo mondo che voi tanto temete di dispiacere. – Ma, voi mi direte, quand’è che agiamo per rispetto umano? Amico mio, ascoltatemi bene. È il giorno che siete stato alla fiera, o in una locanda in cui si mangiava carne in un giorno proibito e che vi si pregò di mangiare; voi accontentandovi di abbassare gli occhi e di arrossire, invece di dire che eravate Cristiano, che la Religione vi proibiva di mangiarla, voi ne avete mangiato come gli altri, dicendo: se  non faccio come gli altri, sarò dileggiato. – Sarete dileggiato, amico mio. Ah! certamente è un danno! Ah! mi direte, io farò peggio diventando la causa di tutti i cattivi discorsi che si diranno contro la Religione, che non ne farei mangiando della carne. Ditemi, amico mio, voi commettereste un male più grande? Se i martiri avessero temuto tutte queste bestemmie, tutti questi giuramenti, avrebbero rinunciato tutti alla loro Religione? È tanto peggio per coloro che operano il male. Ahimè!, fratelli miei, diciamo meglio, non è già abbastanza che altri disgraziati abbiano crocifisso Gesù-Cristo con la loro vita cattiva; occorre ancora che voi vi uniate ad essi per far soffrire Gesù-Cristo ancor di più? Voi temete di essere schernito? – Ah! Infelici, guardate Gesù-Cristo sulla croce e vedete ciò che ha fatto per voi. – Voi non sapete quando avete rinnegato Gesù-Cristo? È un giorno in cui, stando con due o tre persone, sembrava che non aveste mani, e che non sapevate fare il segno della croce, e stavate osservando se vi erano occhi su di voi e vi siete contentato di dire il vostro “Benedicite”, o l’Agimus nel vostro cuore, o che vi siete recati in un angolo per dirli. È quando, passando davanti ad una croce, faceste finta di non vederla o diceste che non è per noi che è morto il buon DIO. – Non sapete dunque quando avete avuto il rispetto umano? Fu un giorno in cui, trovandovi in una società, ove si pronunciavano parole turpi contro la santa virtù della purezza, o contro la Religione, voi non osaste riprendere quelle persone, e peggio, per il timore di essere dileggiato, avete sorriso. Ma, voi mi direte, … a ciò si è costretti, altrimenti saremmo fatti segno agli scherni. Voi, amico mio, temete di essere schernito? Fu pure questo timore che portò San Pietro a rinnegare il suo divin Maestro; ma la paura non impedì che commettesse un grave peccato, che egli pianse per tutta la vita. – Voi non sapete quando avete avuto il rispetto umano? È il giorno in cui il buon DIO vi ha dato il pensiero di andarvi a confessare i vostri peccati, sentivate di averne molto bisogno, ma pensaste che si getterebbe il ridicolo sopra di voi, e che sareste stato trattato da devoto. Un’altra volta vi cadde in pensiero di recarvi ad assistere alla santa Messa fra la settimana, e che potevate farlo; voi avete detto in voi stessi che si getterebbe il ridicolo sopra di voi e si direbbe:  È buona cosa per coloro che non hanno nulla da fare, per coloro che hanno con che vivere colle loro rendite. – Quante volte questo maledetto rispetto umano vi ha impedito di assistere al Catechismo, alla preghiera della sera? Quante volte, stando a casa a far qualche preghiera o qualche lettura di pietà, vi siete nascosto vedendo venire qualcuno! Quante volte il rispetto umano vi ha fatto violare la legge del digiuno o dell’astinenza non osando dire che voi digiunavate, o non mangiavate di grasso? Quante volte non avete osato dire il vostro Angelus davanti a tutti, o vi siete accontentati di dirlo nel vostro cuore, o siete usciti a recitarlo in luogo appartato? quante volte non avete fatto le preghiere al mattino o alla sera, perché vi siete trovati con persone che non le recitavano; e tutto questo per timore di essere derisi. Andate, poveri schiavi del mondo, raggiungete l’inferno nel quale sarete precipitati; voi avrete tutti il tempo di rimpiangere il bene che il mondo vi ha impedito di operare. Ah! mio DIO, quale triste vita conduce chi vuol piacere al mondo ed al buon DIO! No, amico mio, voi vi ingannate, oltre che a vivere sempre infelici, voi non giungerete mai al punto di piacere al mondo e al buon DIO; questo vi è impossibile come il mettere fine all’eternità. Ecco il consiglio che voglio darvi e così sarete meno infelici: o vi date tutto a DIO, o tutto al mondo; non cercate, non seguite che un solo maestro, ed una volta al suo seguito, non lo lasciate. Voi non vi ricordate ciò che Gesù-Cristo vi ha detto nel Vangelo? voi non potete servire DIO e il mondo con i suoi piaceri, e Gesù-Cristo con la sua croce. Non è vero che amerete di appartenere ora a DIO, ed ora al mondo? Parliamo più francamente: sarebbe necessario che la vostra coscienza, che il vostro cuore vi permettesse di sedervi al mattino alla santa tavola, e la sera di prender parte alla danza; una parte del giorno passarla in chiesa ed il resto frequentare le bettole e darsi ai giuochi; un momento parlare del buon DIO ed un altro uscire in parole turpi, o in calunnie contro il prossimo; una volta far del bene al vostro vicino, ed in un altro momento recargli ingiuria; in altre parole, che coi buoni opererete il bene, parlerete del buon DIO, con i malvagi, commetterete il male! – Ah! fratelli miei, quanto male ci fa commettere la compagnia dei malvagi! Quanti peccati eviteremmo se avessimo la sorte di fuggire le persone senza Religione. San Agostino scrive, che essendosi trovato diverse volte con dei malvagi, aveva vergogna nel non avere tanta malizia quanto loro, e per non essere biasimato, diceva anche il male che non aveva fatto. (Conf. lib. II, c. II, 7). Poveri ciechi! Quanto siete da compiangere! Qual triste vita!… oh! Maledetto rispetto umano che trascini tante anime nell’inferno. Oh! di quanti e quanti crimini sei la causa. Ah! qual grande disprezzo facciamo delle grazie che il buon DIO vuole concederci per salvarci. Ahimè! quanti che hanno cominciato la loro riprovazione col rispetto umano, perché a grado che hanno disprezzato le grazie che il buon DIO voleva loro concedere, la fede si è estinta in essi, a poco a poco hanno sentito meno la grandezza del peccato, la perdita del cielo, gli oltraggi che facevano a DIO con il peccato. Essi sono finiti per cadere in paralisi, vale a dire che essi non hanno riconosciuto lo stato miserando della loro povera anima; essi restano nel peccato e il maggior numero vi perisce. – Noi leggiamo nel Vangelo che Gesù-Cristo, nelle sue missioni, colmava di ogni sorta di grazie i luoghi pei quali passava. A volte c’era un cieco al quale ridonava la vista; a volte c’erano dei sordi che Egli faceva ascoltare: ora c’è un lebbroso che guarisce, là è un morto al quale rende la vita. Tuttavia vediamo che pochi sono quelli che rendono pubblici i benefici che ricevono, essi lo fanno solo nel momento in cui sono ai piedi di Gesù-Cristo. E donde proviene questo, fratelli miei? Essi temevano i Giudei, perché bisognava essere nemici o dei Giudei, o di Gesù-Cristo; quando stavano dietro a Gesù-Cristo essi lo riconoscevano, e quando erano con i Giudei, sembravano approvarli con il loro silenzio. Ecco precisamente ciò che facciamo noi; quando siamo soli, noi riflettiamo sui benefici ricevuti dal buon DIO, e non possiamo impedirci di testimoniargli la nostra riconoscenza d’essere nati Cristiani, di essere stati confermati; ma quando siamo con i libertini, sembriamo essere dei loro sentimenti applaudendo con i nostri sorrisi o il nostro silenzio, la loro empietà. Oh! Qual indegna preferenza, esclama San Massimo; ah! maledetto rispetto umano quante anime trascini all’inferno! Ahimè! fratelli miei, qual tormento non proverà una persona che vuol piacere e vivere in tal modo, come ne abbiamo un bell’esempio nel Vangelo. Noi vi leggiamo che il re Erode s’era invaghito, per amor profano, di Erodiade. Questa barbara cortigiana aveva una figlia che danzò davanti a lui con tanta grazia, che egli le promise la metà del suo regno. Ma l’infelice si guardò bene dal chiedergliela, ciò non bastava; essendo ella andata da sua madre a prender consiglio su cosa dovesse chiedere al re, la madre, più infame della figlia, le presentò un piatto: « Va, le disse, a chiedere al re che metta su questo piatto la testa di Giovanni Battista affinché tu me la porti; » e questo perché San Giovanni le rimproverava la sua vita cattiva. Il re, a questa domanda, fu preso da spavento, perché da un canto stimava Giovanni-Battista e gli spiaceva la morte di un uomo che era così degno di vivere. Cosa farà egli? Qual partito abbraccerà? Ah! sciagurato rispetto umano, cosa stai per fare? Il re non vorrebbe far morire San Giovanni-Battista; ma d’altro canto, egli teme che si rida di lui, poiché essendo re, non tenga la parola data. Andate, disse questo re infelice ad un carnefice, andate a tagliare la testa di San Giovanni Battista, io preferisco piuttosto lasciar gridare la mia coscienza che lasciar che si rida di me! Ma quale orrore! Quando comparve la testa nella sala, i suoi occhi e la sua bocca, benché chiusi, sembrano rimproverargli il suo crimine, e minacciarlo dei castighi più terribili. A questo spettacolo, egli fremette ed impallidì. Ahimè! quanto è  da compiangere colui che si lascia guidare dal rispetto umano. – È ancor vero che il rispetto umano non ci impedisce sempre di compiere delle buone opere. Ma quante buone opere delle quali il rispetto umano ci fa perdere il merito. Quante buone opere non faremmo se non sperassimo di esserne lodati e stimati dal mondo! Quante persone che non vengono in chiesa se non per rispetto umano, pensando che, dal momento che di una persona che non pratichi più la religione, almeno esternamente, non si ha più confidenza in essa, e si dice: Dove non c’è Religione, non c’è coscienza. Quante madri che sembrano aver cura dei loro figli solo per essere stimate agli occhi del mondo! Quanti si riconciliano con i loro nemici, perché temono che si perda la buona stima che si ha di essi! Quante persone non sarebbero così buone se non sapessero di essere lodate dal mondo. Quanti sono più riservati nelle loro parola e più modesti nella chiesa a causa del mondo! Oh! sciagurato rispetto umano, quante buone opere mandi a male che condurrebbero tanti Cristiani in cielo e che non faranno che spingerle nell’inferno. Ma – voi mi direte – torna molto difficile condursi in modo che il mondo non si immischi in tutto ciò che si fa. Ma, fratelli miei, noi non aspettiamo la nostra ricompensa dal mondo, ma solo da DIO: se siamo lodati, io so bene di non meritarlo, essendo peccatore; se mi si disprezza non c’è nulla di straordinario per un peccatore come noi che abbiamo tante volte disprezzato il buon DIO con i nostri peccati; noi non meritiamo miglior trattamento. Non ci ha forse detto Gesù-Cristo: beati coloro che saranno disprezzati e perseguitati! E tuttavia, chi sono coloro che vi disprezzano? Ahimè! Alcuni poveri peccatori che non hanno il coraggio di fare ciò che voi fate, che per nascondere un poco la loro vergogna, vorrebbero che foste come loro; è un povero cieco che, lungi dal disprezzarvi, dovrebbe trascorrere la sua vita a piangere la propria sventura. I suoi scherni vi dimostrano quanto è da compiangere o degno di compassione. Egli fa come un uomo che ha perduto lo spirito, che corre per le foreste, si rotola a terra, gettandosi nei precipizi e gridando a tutti quelli che lo vedono di imitarlo; egli ha un bel gridare, … lasciatelo fare, e compiangetelo, perché non conosce la sua disgrazia. Ugualmente, fratelli miei, lasciamo questi poveri sventurati gridare e insultare i buoni Cristiani; lasciate gli insensati nella loro demenza; lasciamo i ciechi nelle loro tenebre; ascoltiamo le grida e le urla dei riprovati; ma nulla temiamo; seguiamo la nostra strada; essi si fanno molto male, senza punto farcene, compiangiamoli e non ci curiamo di loro. – Sapete voi perché vi dileggiano? Perché vedono che li temete e che un nulla vi fa arrossire. Non è la vostra pietà che insultano, ma soltanto la vostra incostanza e la vostra viltà nel seguire il vostro Capo. Guardate la gente del mondo: con quale audacia seguono il loro capo; non si fanno gloria di essere libertini, ubriaconi, vendicativi, furbi? Guardate un impudico, teme forse di vomitare le sue parole sconce davanti al mondo? E questo perché? Fratelli miei, è perché sono costretti a seguire il loro maestro che è il mondo; essi non pensano e non cercano che di piacergli; hanno un bel soffrire, nulla li può arrestare. Ecco, fratelli miei, ciò che voi fareste se vorreste condurvi allo stesso modo. Voi non temereste né il mondo né il demonio; voi non cerchereste e non vorreste se non ciò che potrebbe piacere al vostro padrone che è DIO stesso. Convenite con me, che i mondani sono molto più costanti nei loro sacrifici che fanno per compiacere al loro padrone, che è il mondo, di noi nel fare ciò che dobbiamo fare per piacere al nostro padrone, che è il nostro DIO.

II. – Ma, ora, ricominciamo in altro modo. Ditemi, amico mio, perché voi insultate coloro che fanno professione di pietà? O, perché, meglio comprendiate, coloro che fanno preghiere più lunghe delle vostre, che frequentano più spesso i Sacramenti di quanto non lo facciate voi e che fuggono gli applausi del mondo? Di tre cose l’una, fratelli miei, o guardate queste persone come degli ipocriti, o voi insultate la pietà stessa, o infine siete pieni di rabbia per il fatto che essi valgono più di voi.

per trattarli come ipocriti bisogna che voi abbiate letto nel loro cuore, e che non vi siate perfettamente convinti che tutta la loro devozione sia falsa. Eh che! Fratelli miei, non sembra naturale che quando vediamo fare qualche buona opera da qualcuno, noi pensiamo che il loro cuore è buono e sincero? Secondo questo, vedete quanto il vostro linguaggio ed il vostro giudizio siano ridicoli. Voi vedete un buon esterno nel vostro vicino, e dite e pensate che la sua interiorità non valga nulla. Ecco, si dice, del buon frutto; certamente l’albero che lo porta è di buona specie, e voi ben lo giudicate. E se si tratta di giudicare delle persone dabbene, voi direte tutto il contrario: ecco del buon frutto; ma l’albero che lo porta non vale nulla! No, fratelli miei, no, voi non siete né ciechi, né insensati se ragionate in tal modo.

In secondo luogo, noi diciamo che voi schernite la pietà stessa: io non mi inganno; voi non insultate questa persona perché prega più a lungo o più spesso e con rispetto: no, non è per questo, perché anche voi pregate (almeno se non lo fate mancate ad uno dei vostri primi doveri). È forse perché frequenta i Sacramenti? Ma voi non siete venuti fino a questo giorno senza avvicinarvi ai Sacramenti, voi foste veduti al tribunale della penitenza, foste veduti assidervi alla sacra mensa. Voi non disprezzate dunque questa persona perché adempie meglio di voi i suoi doveri di religione; essendo perfettamente convinti del pericolo in cui siamo di perderci, e di conseguenza del bisogno che abbiamo di fare ricorso alla preghiera ed ai Sacramenti per perseverare nella grazia del buon DIO, perché dopo questo mondo non vi è più altro mezzo: bene o male bisognerà restarci per tutta l’eternità.

No, fratelli miei, non è tutto questo che ci molesta nella persona del nostro vicino: il fatto è che, non avendo il coraggio di imitarlo, non vorremmo avere l’onta della nostra viltà, ma vorremmo trascinarlo nei nostri disordini o nella nostra vita indifferente. Quante volte ci diciamo: a che servono tutte queste litanie, a che serve stare tanto in chiesa, andarvi così presto, ed il resto? Ahimè! fratelli miei, il fatto è che la vita delle persone di pietà che sono serie, è la condanna della nostra vita fiacca ed indifferente. È molto facile capire che la loro umiltà ed il disprezzo che hanno di se stesse, condanni la vostra vita orgogliosa, che non vuole soffrire nulla, che vorrebbe che tutti ci amassero e ci lodassero; non c’è dubbio che la loro dolcezza e la loro bontà per tutti, fa onta ai nostri trasporti ed alle nostre collere; è ben vero che la loro modestia, la loro riserva in tutti i loro portamenti condanna la nostra vita mondana e piena di scandali. Non è forse solo questo che ci tormenta nella persona del nostro prossimo? Non è questo che ci ferisce, quando sentiamo dire del bene delle altre persone di cui si narrano le buone azioni? Sì, senza dubbio la loro devozione, il loro rispetto per la Chiesa ci condanna e fa ombra alla nostra vita tutta leggera ed alla nostra indifferenza per la nostra salvezza. Come siamo naturalmente portati a scusare negli altri i difetti che abbiamo noi stessi, ugualmente siamo sempre portati a disapprovare negli altri le virtù che non abbiamo il coraggio di praticare: è quello che vediamo ogni giorno. Un libertino è contento di trovare un libertino che lo applaudirà nei suoi disordini; ben lungi dal distoglierlo, lo incoraggia piuttosto. Un vendicativo si rallegrerà di essere con un altro vendicativo per consultarsi insieme alfine di trovare il mezzo di vendicarsi dei loro nemici. Ma mettete una persona saggia con un libertino, una persona che è sempre pronta a perdonare con un vendicativo: tosto vedrete i malvagi scatenarsi contro i buoni. E questo perché? Fratelli miei, se non perché non avendo la forza di fare ciò che essi fanno, vorrebbero poterli trascinare dalla loro parte, affinché la loro vita santa non sia una censura continua per la loro. Ma se bramaste di comprendere l’accecamento di coloro che dileggiano le persone che meglio di loro adempiono ai doveri del Cristiano, ascoltatemi un istante. – Cosa direste di una persona povera che porta invidia a un ricco, se questo povero non è ricco perché non lo vuole? Non gli direste: amico mio, perché dite male di quella persona perché è ricca? Spetta a voi di esserlo, ed anche straricco se lo bramate. Allo stesso modo, fratelli miei, perché siamo portati a criticare coloro che sono più saggi? Essi non negano a noi di esserlo ed anche di più, se lo desideriamo. Coloro che praticano la religione, e che ci vanno innanzi, non ci impediscono di essere saggi, ed anche più saggi se lo vogliamo. – Io dico dunque che sono coloro che non hanno religione che disprezzano quelli che la professano …; io non mi inganno, non li disprezzano, fanno solamente sembiante di disprezzarli, perché nel fondo del loro cuore essi sono pieni di stima per essi; ne volete una prova? Eccola. Presso chi va una persona, anche senza pietà, per trovare qualche consolazione nelle sue pene, o qualche raddolcimento nei propri dolori o nelle proprie sofferenze? Credete voi che si recherà da un’altra persona senza religione come ella? No, amico mio, no. Ella sa bene che una persona senza religione non può consolarla, né dare buoni consigli. Ma ella andrà pure a trovare persone che un tempo ha dileggiato. Ella è molto ben convinta che non c’è persona saggia e timorosa di DIO, che non possa consolarla e lenire un po’ le sue pene. In effetti, fratelli miei, quanto volte noi, sopraffatti dall’affanno o da qualche altra miseria, ci siamo recati a trovare qualche persona savia, e dopo un quarto ora di conversazione ci siamo sentiti tutti cambiati e ci siamo ritirati dicendo: coloro che amano il buon DIO sono felici come anche coloro che gli sono intorno. Io mi desolavo, non facevo che piangere, mi disperavo. In un istante in cui sono stato con questa persona, mi sono sentito consolato. È vero tutto ciò che mi ha detto, che il buon DIO mi aveva permesso questo per il mio bene, e che tutti i Santi e le Sante avevano sofferto più di me, e che giovava assai più patire in questo mondo che nell’altro. E concludemmo col dire: se avrò qualche pena, presto vi tornerò per consolarmi. Oh! bella Religione, quanto coloro che seriamente vi praticano, sono felici, e quanto le dolcezze e le consolazioni che ci procura sono grandi e preziose! … – Ebbene! Fratelli miei, voi dunque vedete che schernite coloro che non lo meritano; voi dovete invece ringraziare infinitamente il buon DIO di avere tra voi qualche buona anima che sappia placare la collera di DIO, senza di che noi saremmo oppressi dalla sua giustizia. Ma, a ben considerare, ad una persona che fa bene le sue preghiere, che non cerca che di piacere a DIO, che ama rendere servizio al prossimo, che sa dare perfino il suo necessario per aiutarlo, che perdona volentieri a coloro che gli fanno ingiuria, non potete dire che fa del male, al contrario. Ella non è che ben degna di essere lodata e stimata dal mondo. È tuttavia questa persona che voi straziate; forse che non pensavate a ciò che dicevate? È ben vero, voi riflettete in voi medesimo; ella è più felice di noi. Amico mio, ascoltatemi ed io vi dirò ciò che dovrete fare: ben lontano dal colpevolizzarli, voi dovreste fare ogni sforzo per imitarli; unirvi ogni mattino alle loro preghiere ed a tutte le opere che fanno durante la giornata. Ma – direte – per fare ciò che esse fanno, c’è da farsi troppo violenza e troppi sacrifici da imporsi. Non tanti quanto voi dite! … è così malagevole recitare bene le vostre preghiere il mattino e la sera? È tanto difficile ascoltare la parola di DIO con rispetto, chiedendo al buon DIO la grazia di profittarne? È così difficile non uscir fuori durante le istruzioni? Non lavorare il santo giorno della Domenica? Non mangiare la carne nei giorni proibiti? E disprezzare i mondani che vogliono assolutamente perdersi? Se temete che vi manchi il coraggio, portate i vostri sguardi sulla Croce ove Gesù-Cristo è morto, e vedrete che non vi mancherà il coraggio. Vedete queste folle di martiri che hanno sofferto tutto ciò che non potrete mai comprendere, per timore di perdere le loro anime. Sono essi ora spiacenti, fratelli miei, di aver disprezzato il mondo ed i suoi “cosa si dirà”? Concludiamo, fratelli miei, dicendo quanto poche persone ci sono che servono veramente il buon DIO. Gli uni cercano di distruggere la Religione, se potessero, con la forza delle armi, come facevano i re e gli imperatori pagani; gli altri con le loro grida empie vogliono avvilirla e farla perdere se potessero; altri la dileggiano in coloro che la praticano, ed infine altri vorrebbero praticarla, ma hanno paura di farlo davanti al mondo. Ahimè, fratelli miei, quanto piccolo è il numero di quelli che sono fatti per il cielo poiché sono i soli che combattono vigorosamente il demonio e le loro inclinazioni, e che disprezzano il mondo con tutte i suoi scherni! Perché noi, non aspettiamo la nostra ricompensa e la nostra felicità che da DIO solo, perché amare il mondo che noi abbiamo promesso con giuramento di odiare e disprezzare per non seguire che Gesù-Cristo, portando la sua croce tutti i giorni della nostra vita? Avventurato colui, fratelli miei, che non cerca che DIO solo e disprezza tutto il resto! È la felicità che vi auguro … 

CREDO …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXIV: 7-8
Deus, tu convérsus vivificábis nos, et plebs tua lætábitur in te: osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam, et salutáre tuum da nobis.

[O Dio, rivolgendoti a noi ci darai la vita, e il tuo popolo si rallegrerà in Te: mostraci, o Signore, la tua misericordia, e concedici la tua salvezza.]

Secreta

Placáre, quǽsumus, Dómine, humilitátis nostræ précibus et hóstiis: et, ubi nulla suppétunt suffrágia meritórum, tuis nobis succúrre præsídiis.

[O Signore, Te ne preghiamo, sii placato dalle preghiere e dalle offerte della nostra umiltà: e dove non soccorre merito alcuno, soccorra la tua grazia.]

Comunione spirituale: COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Bar V: 5; IV:36
Jerúsalem, surge et sta in excélso, ei vide jucunditátem, quæ véniet tibi a Deo tuo.

[Sorgi, o Gerusalemme, e sta in alto: osserva la felicità che ti viene dal tuo Dio.]

Postcommunio

Orémus.
Repléti cibo spirituális alimóniæ, súpplices te, Dómine, deprecámur: ut, hujus participatióne mystérii, dóceas nos terréna despícere et amáre cœléstia.
[Saziàti dal cibo che ci nutre spiritualmente, súpplici Ti preghiamo, o Signore, affinché, mediante la partecipazione a questo mistero, ci insegni a disprezzare le cose terrene e ad amare le cose celesti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SUL RISPETTO UMANO

(Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, Vol. I, Quarta edizione, C. ed. Marietti, Torino-Roma, 1933)

Sul rispetto umano

Beatus qui non fuerit scandalizatus in me.

[Beati coloro che non faranno di me soggetto di scandalo. (S. Matteo. XI, 6)]

Nulla è più glorioso e più onorevole per un Cristiano che portare il nome sublime di figlio di DIO, di fratello di Gesù-Cristo. Ma all’opposto nulla è più indegno che aver vergogna di manifestarlo nelle tante occasioni che si presentano. No, fratelli miei, non ci stupiamo di vedere degli ipocriti mostrare per quanto possono, un’esteriorità di pietà per attirarsi stima e lode degli uomini, mentre i loro poveri cuori sono divorati dal peccato più infame. Essi vorrebbero, questi ciechi, gioire degli onori che sono inseparabili dalla virtù, senza darsi pena di praticarla. Ma siamo ancor meno meravigliati nel vedere dei buoni Cristiani nascondere, per quanto lo possono, le loro buone opere davanti al mondo, per tema che la vanagloria non scivoli nei loro cuori e che i vani applausi degli uomini non facciano loro perderne il merito e la ricompensa. Ma fratelli miei, ove troveremmo una viltà più colpevole, un abominio più deplorevole della nostra: che, facendo professione di credere in Gesù-Cristo, avendo fatto i più sacri giuramenti di camminare sulle sue orme, sostenere i suoi interessi e la sua gloria, anche a discapito della nostra vita, siamo poi così codardi che alla prima occasione violiamo le promesse che gli abbiamo fatto sul sacro fonte battesimali. Ah! Sciagurati, cosa facciamo? Chi è Colui che rinneghiamo? Ahimè! Noi abbandoniamo il nostro DIO, il nostro Salvatore, per schierarci tra gli schiavi del demonio che ci inganna e che non cerca altro che la nostra perdita e la nostra eterna dannazione. Oh! Maledetto rispetto umano! Quante anime conduci all’inferno! Ma per farvi meglio vederne la viltà, vi mostrerò: 1° Quanto il rispetto umano, cioè la vergogna di operare il bene, oltraggi il buon DIO. 2° Come colui che lo commetta riveli uno spirito debole e limitato.

I. – Noi non parleremo, fratelli miei, di tutti quegli empi della prima classe che consacrano il loro tempo, la loro scienza e la loro povera vita a distruggere la nostra santa Religione, se lo potessero. Questi sciagurati non sembrano che vivere per annientare le sofferenze, i meriti della morte e della passione di Gesù-Cristo. essi hanno utilizzato gli uni le loro forze, gli altri la loro scienza per infrangere questa pietra sulla quale Gesù-Cristo ha costruito la sua Chiesa. Ma questi insensati andranno a sfracellarsi contro questa pietra della Chiesa, che è la nostra santa Religione, che sussisterà sempre malgrado tutti i loro sforzi. – In effetti, fratelli miei, a cosa è servita tutta la furia dei persecutori della Chiesa, dei Neroni, dei Massimini,   dei Diocleziani e di tanti altri che hanno creduto con la forza delle armi, di giungere a torla di mezzo?  È tutto all’opposto: il sangue di tanti martiri non è servito, come dice Tertulliano, che a far fiorire la Religione più che mai, ed il loro sangue sembrava una semenza che ne producesse cento per uno. Sciagurati! Che vi ha fatto questa bella e santa Religione per perseguitarla tanto, Essa che sola può rendere l’uomo felice sulla terra? Ahimè! Quante lacrime e grida salgono ora dall’inferno ove riconoscono chiaramente che questa Religione, contro la quale si sono scatenati, li avrebbe condotti al cielo. Ma rimpianti inutili e superflui! – Vedete ancora questi altri empi che hanno fatto tutto ciò  che hanno potuto per distruggere la nostra santa Religione con i loro scritti, come un Voltaire, un Jean-Jacques Rousseau, un Diderot, un D’Alambert, un Volney e tanti altri, che non hanno trascorso la loro vita che a vomitare con i loro scritti tutto ciò che il demonio poteva loro inspirare. Ahimè! Essi hanno fatto del male, è vero; essi hanno perso delle anime, ne hanno trascinate con sé tante all’inferno; ma non hanno potuto distruggere la Religione come essi credevano; si sono sgretolati essi contro questa pietra. Ma non hanno infranto la pietra sulla quale Gesù-Cristo ha costruito la sua Chiesa e che dovrà durare fino al chiudersi dei secoli. Dove sono ora questi poveri empi? Ahimè! Nell’inferno, ove piangono la loro infelicità e quella di tutti coloro che hanno trascinato con sé. Nulla diciamo ancora, fratelli miei, di questi ultimi empi che, senza mostrarsi apertamente nemici della Religione, soltanto perché praticano ancora alcuna parte esterna, e che malgrado questo, li ascoltate di tanto in tanto escono in piccole facezie, per causa di esempio, sulla virtù e o la pietà di coloro che non hanno il coraggio d’imitare. Ditemi, amico mio, che vi ha fatto questa Religione che avete ricevuto dai vostri avi che l’hanno praticata sì fedelmente sotto i vostri occhi, che tante volte vi hanno detto che essa solo poteva fare la felicità dell’uomo sulla terra e che, abbandonandola non potremmo essere che infelici? E dove pensate, amico mio, che la vostra piccola empietà vi condurrà? Ahimè! Amico mio, all’inferno, per piangere il vostro accecamento. Nulla diciamo ancora di quei Cristiani che non sono Cristiani che di nome; che fanno il loro dovere di Cristiani in un modo sì stomachevole che vi farebbero morire di compassione. Vedetene uno, nel tempo della sua preghiera fatta con noia, dissipazione, senza rispetto. Vedete là in chiesa senza devozione: l’Officio comincia sempre troppo presto e finisce sempre troppo tardi; il sacerdote non ancora è disceso dall’altare che essi sono già fuori. Non bisogna parlar loro della frequenza dei Sacramenti; se talvolta vi si accostano, è con una certa indifferenza che rivela che essi non comprendono affatto quel che fanno. Tutto ciò che ha riferenza con il servizio di Dio è fatto con disgusto spaventoso. DIO mio, quante anime perdute per l’eternità! O DIO mio! Quanto piccolo è il numero di coloro che entreranno nel regno dei cieli, perché ce n’è così pochi che fanno quel che devono per meritarlo. – Ma, voi direte ora: chi sono dunque coloro che si rendono colpevoli di rispetto umano? Fratelli miei, ascoltatemi un istante e lo saprete. Innanzitutto vi dirò con San Bernardo, che da qualsiasi lato consideriamo il rispetto umano, che è la vergogna di compiere i propri doveri di Religione a causa del mondo, tutto ce ne dimostra il disprezzo di Dio e delle sue grazie e l’accecamento dell’anima. Io dico in primo luogo, fratelli miei, che la vergogna di operare il bene, per il timore di essere disprezzati o scherniti da parte di qualche empio sciagurato, o da qualche ignorante, è un disprezzo orribile che facciamo della presenza del buon DIO, davanti al quale noi siamo, e che potrebbe subito gettarci all’inferno. Perché, fratelli miei, questo cattivi Cristiani vi scherniscono e gettano in ridicolo la vostra devozione? Ahimè! Fratelli miei, eccone la vera ragione: è che non avendo la forza di fare ciò che voi fate, vi prendono di mira perché risvegliate i rimorsi della loro coscienza; ma siate ben sicuri che nel cuore, essi non vi disprezzano, all’opposto vi stimano molto. Se essi hanno da prendere un buon consiglio, o domandare una grazia presso il buon DIO, non è a coloro che tengono la loro stessa condotta che faranno ricorso, ma a coloro che hanno schernito, almeno a parole. Voi avete vergogna, amico mio, di servire il buon DIO temendo di essere sprezzato? Ma, amico mio, rimirate dunque Colui che è morto appeso a questa croce, domandategli dunque se Egli ha avuto vergogna di essere disprezzato, e di morire in modo ignominioso su questa croce infame. Ah! ingrati che non siamo altri versi DIO, che sembra trovare la sua gloria nel rendere pubblico di secolo in secolo che Egli ci sceglie come suoi figli. O DIO mio! Quanto l’uomo è cieco e spregevole di temere un miserabile “che cosa si dirà”, e non temere di offendere DIO, sì buono. In secondo luogo, io dico che il rispetto umano ci fa disprezzare tutte le grazie che il buon DIO ci ha meritate con la sua morte e la sua passione. Si, fratelli miei, con il rispetto umano, noi annientiamo tutte le grazie che il buon DIO ci aveva destinate per salvarci. Oh! Maledetto rispetto umano, quante anime precipiti all’inferno! In terzo luogo: io dico che il rispetto umano dimostra il più deplorevole accecamento. Ahimè! non poniamo mente a quello che perdiamo! Fratelli miei, qual disgrazia per noi! Noi perdiamo il nostro DIO, che nulla può tenergli luogo. Noi perdiamo il cielo con tutti i suoi beni ed i suoi piaceri! Ma un’altra disgrazia è che noi prendiamo il demonio per nostro padre, e l’inferno con tutti i suoi tormenti come nostra eredità e nostra ricompensa. Noi cangiamo le nostre dolcezze e le nostre gioie eterne nei patimenti e nelle lacrime. Ah! amico mio, a cosa pensate? Quali non saranno i vostri rimorsi per l’eternità! Ah! mio DIO, vi si può pensare e vivere ancora come schiavi del mondo? – È vero, mi direte voi, che colui che teme il mondo per compiere i suoi doveri di Religione è ben infelice, poiché il buon DIO ci dice che colui che avrà vergogna di servirlo davanti agli uomini, non vorrà Egli riconoscerlo davanti a suo Padre nel giorno del giudizio. – Ma DIO mio, temere il mondo, perché dunque? Poiché noi sappiamo che bisogna assolutamente essere disprezzati dal mondo per piacere a DIO. Se  voi temevate il mondo, non occorreva diventare Cristiano. Voi sapete bene che sulle fonti sacre del Battesimo, avete prestato giuramento alla presenza di Gesù-Cristo medesimo, che rinunciavate al demonio e al mondo; che vi sareste impegnato a seguire Gesù-Cristo portando la sua croce, caricato di obbrobri e disprezzo. Se temevate il mondo ebbene! Rinunciate al vostro Battesimo e datevi a questo mondo che voi tanto temete di dispiacere. – Ma, voi mi direte, quand’è che agiamo per rispetto umano? Amico mio, ascoltatemi bene. È il giorno che siete stato alla fiera, o in una locanda in cui si mangiava carne in un giorno proibito e che vi si pregò di mangiare; voi accontentandovi di abbassare gli occhi e di arrossire, invece di dire che eravate Cristiano, che la Religione vi proibiva di mangiarla, voi ne avete mangiato come gli altri, dicendo: se  non faccio come gli altri, sarò dileggiato. – Sarete dileggiato, amico mio. Ah! certamente è un danno! Ah! mi direte, io farò peggio diventando la causa di tutti i cattivi discorsi che si diranno contro la Religione, che non ne farei mangiando della carne. Ditemi, amico mio, voi commettereste un male più grande? Se i martiri avessero temuto tutte queste bestemmie, tutti questi giuramenti, avrebbero rinunciato tutti alla loro Religione? È tanto peggio per coloro che operano il male. Ahimè!, fratelli miei, diciamo meglio, non è già abbastanza che altri disgraziati abbiano crocifisso Gesù-Cristo con la loro vita cattiva; occorre ancora che voi vi uniate ad essi per far soffrire Gesù-Cristo ancor di più? Voi temete di essere schernito? – Ah! Infelici, guardate Gesù-Cristo sulla croce e vedete ciò che ha fatto per voi. – Voi non sapete quando avete rinnegato Gesù-Cristo? È un giorno in cui, stando con due o tre persone, sembrava che non aveste mani, e che non sapevate fare il segno della croce, e stavate osservando se vi erano occhi su di voi e vi siete contentato di dire il vostro “Benedicite”, o l’Agimus nel vostro cuore, o che vi siete recati in un angolo per dirli. È quando, passando davanti ad una croce, faceste finta di non vederla o diceste che non è per noi che è morto il buon DIO. – Non sapete dunque quando avete avuto il rispetto umano? Fu un giorno in cui, trovandovi in una società, ove si pronunciavano parole turpi contro la santa virtù della purezza, o contro la Religione, voi non osaste riprendere quelle persone, e peggio, per il timore di essere dileggiato, avete sorriso. Ma, voi mi direte, … a ciò si è costretti, altrimenti saremmo fatti segno agli scherni. Voi, amico mio, temete di essere schernito? Fu pure questo timore che portò San Pietro a rinnegare il suo divin Maestro; ma la paura non impedì che commettesse un grave peccato, che egli pianse per tutta la vita. – Voi non sapete quando avete avuto il rispetto umano? È il giorno in cui il buon DIO vi ha dato il pensiero di andarvi a confessare i vostri peccati, sentivate di averne molto bisogno, ma pensaste che si getterebbe il ridicolo sopra di voi, e che sareste stato trattato da devoto. Un’altra volta vi cadde vi cadde in pensiero di recarvi ad assistere alla santa Messa fra la settimana, e che potevate farlo; voi avete detto in voi stessi che si getterebbe il ridicolo sopra di voi e si direbbe:  È buona cosa per coloro che non hanno nulla da fare, per coloro che hanno con che vivere colle loro rendite. – Quante volte questo maledetto rispetto umano vi ha impedito di assistere al Catechismo, alla preghiera della sera? Quante volte, stando a casa a far qualche preghiera o qualche lettura di pietà, vi siete nascosto vedendo venire qualcuno! Quante volte il rispetto umano vi ha fatto violare la legge del digiuno o dell’astinenza non osando dire che voi digiunavate, o non mangiavate di grasso? Quante volte non avete osato dire il vostro Angelus davanti a tutti, o vi siete accontentati i dirlo nel vostro cuore, o siete usciti a recitarlo in luogo appartato? quante volte non avete fatto le preghiere al mattino o alla sera, perché vi siete trovati con persone che non le recitavano; e tutto questo per timore di essere derisi. Andate, poveri schiavi del mondo, raggiungete l’inferno nel quale sarete precipitati; voi avrete tutti il tempo di rimpiangere il bene che il mondo vi ha impedito di operare. Ah! mio DIO, quale triste vita conduce chi vuol piacere al mondo ed al buon DIO! No, amico mio, voi vi ingannate, oltre che a vivere sempre infelici, voi non giungerete mai al punto di piacere al mondo e al buon DIO; questo vi è impossibile come il mettere fine all’eternità. Ecco il consiglio che voglio darvi e così sarete meno infelici: o vi date tutto a DIO, o tutto al mondo; non cercate, non seguite che un solo maestro, ed una volta al suo seguito, non lo lasciate. Voi non vi ricordate ciò che Gesù-Cristo vi ha detto nel Vangelo? voi non potete servire DIO e il mondo con i suoi piaceri, e Gesù-Cristo con la sua croce. Non è vero che amerete di appartenere ora a DIO, ed ora al mondo? Parliamo più francamente: sarebbe necessario che la vostra coscienza, che il vostro cuore vi permettesse di sedervi al mattino alla santa tavola, e la sera di prender parte alla danza; una parte del giorno passarla in chiesa ed il resto frequentare le bettole e darsi ai giuochi; un momento parlare del buon DIO ed un altro uscire in parole turpi, o in calunnie contro il prossimo; una volta far del bene al vostro vicino, ed in un altro momento recargli ingiuria; in altre parole, che coi buoni opererete il bene, parlerete del buon DIO, con i malvagi, commetterete il male! – Ah! fratelli miei, quanto male ci fa commettere la compagnia dei malvagi! Quanti peccati eviteremmo se avessimo la sorte di fuggire le persone senza Religione. San Agostino scrive, che essendosi trovato diverse volte con dei malvagi, aveva vergogna nel non avere tanta malizia quanto loro, e perché non essere biasimato, diceva anche il male che non aveva fatto. (Conf. lib. II, c. II, 7). Poveri ciechi! Quanto siete da compiangere! Qual triste vita!… oh! Maledetto rispetto umano che trascini tante anime nell’inferno. Oh! di quanti e quanti crimini sei la causa. Ah! qual grande disprezzo facciamo delle grazie che il buon DIO vuole concederci per salvarci. Ahimè! quanti che hanno cominciato la loro riprovazione col rispetto umano, perché a grado che hanno disprezzato le grazie che il buon DIO voleva loro concedere, la fede si è estinta in essi, a poco a poco hanno sentito meno la grandezza del peccato, la perdita del cielo, gli oltraggi che facevano a DIO con il peccato. Essi sono finiti per cadere in paralisi, vale a dire che essi non hanno riconosciuto lo stato miserando della loro povera anima; essi restano nel peccato e il maggior numero vi perisce. – Noi leggiamo nel Vangelo che Gesù-Cristo, nelle sue missioni, colmava di ogni sorta di grazie i luoghi pei quali passava. A volte c’era un cieco al quale ridonava la vista; a volte c’erano dei sordi che Egli faceva ascoltare: ora c’è un lebbroso che guarisce, là è un morto al quale rende la vita. tuttavia vediamo che pochi sono quelli che rendono pubblici i benefici che ricevono, essi lo fanno solo nel momento in cui sono ai piedi di Gesù-Cristo. E donde proviene questo, fratelli miei? Essi temevano i Giudei, perché bisognava essere nemici o dei Giudei, o di Gesù-Cristo; quando stavano dietro a Gesù-Cristo essi lo riconoscevano, e quando erano con i Giudei, sembravano approvarli con il loro silenzio. Ecco precisamente ciò che facciamo noi; quando siamo soli, noi riflettiamo sui benefici ricevuti dal buon DIO, e non possiamo impedirci di testimoniargli la nostra riconoscenza d’essere nati Cristiani, di essere stati confermati; ma quando siamo con i libertini, sembriamo essere dei loro sentimenti applaudendo con i nostri sorrisi o il nostro silenzio, la loro empietà. Oh! Qual indegna preferenza, esclama San Massimo; ah! maledetto rispetto umano quante anime trascini all’inferno! Ahimè! fratelli miei, qual tormento non proverà una persona che vuol piacere e vivere in tal modo, come ne abbiamo un bell’esempio nel Vangelo. Noi vi leggiamo che il re Erode s’era invaghito, per amor profano, di Erodiade. Questa barbara cortigiana aveva una figlia che danzò davanti a lui con tanta grazia, che egli le promise la metà del suo regno. Ma l’infelice si guardò bene dal chiedergliela, ciò non bastava; essendo ella andata da sua madre a prender consiglio su cosa dovesse chiedere al re, la madre, più infame della figlia, le presentò un piatto: « Va, le disse, a chiedere al re che metta su questo piatto la testa di Giovanni Battista affinché tu me la porti; » e questo perché San Giovanni le rimproverava la sua vita cattiva. Il re, a questa domanda, fu preso da spavento, perché da un canto stimava Giovanni-Battista e gli spiaceva la morte di un uomo che era così degno di vivere. Cosa farà egli? Qual partito abbraccerà? Ah! sciagurato rispetto umano, cosa stai per fare? Il re non vorrebbe far morire San Giovanni-Battista; ma d’altro canto, egli teme che si rida di lui, poiché essendo re, non tenga la parola data. Andate, disse questo re infelice ad un carnefice, andate a tagliare la testa di San Giovanni Battista, io preferisco piuttosto lasciar gridare la mia coscienza che lasciar che si rida di me! Ma quale orrore! Quando comparve la testa nella sala, i suoi occhi e la sua bocca, benché chiusi, sembrano rimproverargli il suo crimine, e minacciarlo dei castighi più terribili. A questo spettacolo, egli fremette ed impallidì. Ahimè! quanto è  da compiangere colui che si lascia guidare dal rispetto umano. – È ancor vero che il rispetto umano non ci impedisce sempre di compiere delle buone opere. Ma quante buone opere delle quali il rispetto umano ci fa perdere il merito. Quante buone opere non faremmo se non sperassimo di esserne lodati e stimati dal mondo! Quante persone che non vengono in chiesa se non per rispetto umano, pensando che, dal momento che di una persona che non pratichi più la religione, almeno esternamente, non si ha più confidenza in essa, e si dice: Dove non c’è Religione, non c’è coscienza. Quante madri che sembrano aver cura dei loro figli solo per essere stimate agli occhi del mondo! Quanti si riconciliano con i loro nemici perché temono che si perda la buona stima che si ha di essi! Quante persone non sarebbero così buone se non sapessero di essere lodate dal mondo. Quanti sono più riservati nelle loro parola e più modesti nella chiesa a causa del mondo! Oh! sciagurato rispetto umano, quante buone opere mandi a male che condurrebbero tanti Cristiani in cielo e che non faranno che spingerle nell’inferno. Ma – voi mi direte – torna molto difficile condursi in modo che il mondo non si immischi in tutto ciò che si fa. Ma, fratelli miei, noi non aspettiamo la nostra ricompensa dal mondo, ma solo da DIO: se siamo lodati, io so bene di non meritarlo, essendo peccatore; se mi si disprezza non c’è nulla di straordinario per un peccatori come noi che abbiamo tante volte disprezzato il buon DIO con i nostri peccati; noi non meritiamo miglio trattamento. Non ci ha forse detto Gesù-Cristo: beati coloro che saranno disprezzati e perseguitati! E tuttavia, chi sono coloro che vi disprezzano? Ahimè! Alcuni poveri peccatori che non hanno il coraggio di fare ciò he voi fate, che per nascondere un poco la loro vergogna, vorrebbero che foste come loro; è un povero cieco che, lungi dal disprezzarvi, dovrebbe trascorrere la sua vita a piangere la propria sventura. I suoi scherni vi dimostrano quanto è da compiangere o degno di compassione. Egli fa come un uomo che ha perduto lo spirito, che corre per le foreste, si rotola a terra, gettandosi nei precipizi e gridando a tutti quelli che lo vedono di imitarlo; egli ha un bel gridare, … lasciatelo fare, e compiangetelo, perché non conosce la sua disgrazia. Ugualmente, fratelli miei, lasciamo questi poveri sventurati gridare e insultare i buoni Cristiani; lasciate gli insensati nella loro demenza; lasciamo i ciechi nelle loro tenebre; ascoltiamo le grida e le urla dei riprovati; ma nulla temiamo; seguiamo la nostra strada; essi si fanno molto male, senza punto farcene, compiangiamoli e non ci curiamo di loro. – Sapete voi perché vi dileggiano? Perché vedono che li temete e che un nulla vi fa arrossire. Non è la vostra pietà che insultano, ma soltanto la vostra incostanza e la vostra viltà nel seguire il vostro Capo. Guardate la gente del mondo: con quale audacia seguono il loro capo; non si fanno gloria di essere libertini, ubriaconi, vendicativi, furbi? Guardate un impudico, teme forse di vomitare le sue parole sconce davanti al mondo? E questo perché? Fratelli miei, è perché sono costretti a seguire il loro maestro che è il mondo; essi non pensano e non cercano che di piacergli; hanno un bel soffrire, nulla li può arrestare. Ecco, fratelli miei, ciò che voi fareste se vorreste condurvi allo stesso modo. Voi non temereste né il mondo né il demonio; voi non cerchereste e non vorreste se non ciò che potrebbe piacere al vostro padrone che è DIO stesso. Convenite con me, che i mondani sono molto più costanti nei loro sacrifici che fanno per compiacere al loro padrone, che è il mondo, di noi nel fare ciò che dobbiamo fare per piacere al nostro padrone, che è il nostro DIO.

II. – Ma, ora, ricominciamo in altro modo. Ditemi, amico mio, perché voi insultate coloro che fanno professione di pietà? O, perché, meglio comprendiate, coloro che fanno preghiere più lunghe delle vostre, che frequentano più spesso i Sacramenti di quanto non lo facciate voi e che fuggono gli applausi del mondo? Di tre cose l’una, fratelli miei, o guardate queste persone come degli ipocriti, o voi insultate la pietà stessa, o infine siete pieni di rabbia per il fatto che essi valgono più di voi.

per trattarli come ipocriti bisogna che voi abbiate letto nel loro cuore, e che non vi siate perfettamente convinti che tutta la loro devozione sia falsa. Eh che! Fratelli miei, non sembra naturale che quando vediamo fare qualche buona opera da qualcuno, noi pensiamo che il loro cuore è buono e sincero? Secondo questo, vedete quanto il vostro linguaggio ed il vostro giudizio siano ridicoli. Voi vedete un buon esterno nel vostro vicino, e dite e pensate che la sua interiorità non valga nulla. Ecco, si dice, del buon frutto; certamente l’albero che lo porta è di buona specie, e voi ben lo giudicate. E se si tratta di giudicare delle persone dabbene, voi direte tutto il contrario: ecco del buon frutto; ma l’albero che lo porta non vale nulla! No, fratelli miei, no, voi non siete né ciechi, né insensati se ragionate in tal modo.

In secondo luogo, noi diciamo che voi schernite la pietà stessa: io mi inganno; voi non insultate questa persona perché prega più a lungo o più spesso e con rispetto: no, non è per questo, perché anche voi pregate (almeno se non lo fate mancate ad uno dei vostri primi doveri). È forse perché frequenta i Sacramenti? Ma voi non siete venuti fino a questo giorno senza avvicinarvi ai Sacramenti, voi foste veduti al tribunale della penitenza, foste veduti assidervi alla sacra mensa. Voi non disprezzate dunque questa persona perché adempie meglio di voi i suoi doveri di religione; essendo perfettamente convinti del pericolo in cui siamo di perderci, e di conseguenza del bisogno che abbiamo di fare ricorso alla preghiera ed ai Sacramenti per perseverare nella grazia del buon DIO, perché dopo questo mondo non vi è più altro mezzo: bene o male bisognerà restarci per tutta l’eternità.

No, fratelli miei, non è tutto questo che ci molesta nella persona del nostro vicino: il fatto è che, non avendo il coraggio di imitarlo, non vorremmo avere l’onta della nostra viltà, ma vorremmo trascinarlo nei nostri disordini o nella nostra vita indifferente. Quante volte ci diciamo: a che servono tutte queste litanie, a che serve stare tanto in chiesa, andarvi così presto, ed il resto? Ahimè! fratelli miei, il fatto è che la vita delle persone di pietà che sono serie, è la condanna della nostra vita fiacca ed indifferente. È molto facile capire che la loro umiltà ed il disprezzo che hanno di se stesse, condanni la vostra vita orgogliosa, che non vuole soffrire nulla, che vorrebbe che tutti ci amassero e ci lodassero; non c’è dubbio che la loro dolcezza e la loro bontà per tutti, fa onta ai nostri trasporti ed alle nostre collere; è ben vero che la loro modestia, la loro riserva in tutti i loro portamenti condanna la nostra vita mondana e piena di scandali. Non è forse solo questo che ci tormenta nella persona del nostro prossimo? Non è questo che ci ferisce, quando sentiamo dire del bene delle altre persone di cui si narrano le buone azioni? Sì, senza dubbio la loro devozione, il loro rispetto per la Chiesa ci condanna e fa ombra alla nostra vita tutta leggera ed alla nostra indifferenza per la nostra salvezza. Come siamo naturalmente portati a scusare negli altri i difetti che abbiamo noi stessi, ugualmente siamo sempre portati a disapprovare negli altri le virtù che non abbiamo il coraggio di praticare: è quello che vediamo ogni giorno. Un libertino è contento di trovare un libertino che lo applaudirà nei suoi disordini; ben lungi dal distoglierlo, lo incoraggia piuttosto. Un vendicativo si rallegrerà di essere con un altro vendicativo per consultarsi insieme alfine di trovare il mezzo di vendicarsi dei loro nemici. Ma mettete una persona saggia con un libertino, una persona che è sempre pronta a perdonare con un vendicativo: tosto vedrete i malvagi scatenarsi contro i buoni. E questo perché? Fratelli miei, se non perché non avendo la forza di fare ciò che essi fanno, vorrebbero poterli trascinare dalla loro parte, affinché la loro vita santa non sia una censura continua per la loro. Ma se volete bramaste di comprendere l’accecamento di coloro che dileggiano le persone che meglio di loro adempiono ai doveri del Cristiano, ascoltatemi un istante. – Cosa direste di una persona povera che porta invidia a un ricco, se questo povero non è ricco perché non lo vuole? Non gli direste: amico mio, perché dite male di quella persona perché è ricca? Spetta a voi di esserlo, ed anche straricco se lo bramate. Allo stesso modo, fratelli miei, perché siamo portati a criticare coloro che sono più saggi? Essi non negano a noi di esserlo ed anche di più, se lo desideriamo. Coloro che praticano la religione, e che ci vanno innanzi, non ci impediscono di essere saggi, ed anche più saggi se lo vigliamo. – Io dico dunque che sono coloro che non hanno religione che disprezzano quelli che la professano …; io non mi inganno, non li disprezzano, fanno solamente sembiante di disprezzarli, perché nel fondo del loro cuore essi sono pieni di stima per essi; ne volete una prova? Eccola. Presso chi va una persona, anche senza pietà, per trovare qualche consolazione nelle sue pene, o qualche raddolcimento nei propri dolori o nelle proprie sofferenze? Credete voi che si recherà da un’altra persona senza religione come ella? No, amico mio, no. Ella sa bene che una persona senza religione non può consolarla, né dare buoni consigli. Ma ella andrà pure a trovare persone che un tempo ha dileggiato. Ella è molto ben convinta che non c’è persona saggia e timorosa di DIO, che non possa consolarla e lenire un po’ le sue pene. In effetti, fratelli miei, quanto volte noi, sopraffatti dall’affanno o da qualche altra miseria, ci siamo recati a trovare qualche persona savia, e dopo un quarto ora di conversazione ci siamo sentiti tutti cambiati e ci siamo ritirati dicendo: coloro che amano il buon DIO sono felici come anche coloro che gli sono intorno. Io mi desolavo, non facevo che piangere, mi disperavo. In un istante in cui sono stato con questa persona, mi sono sentito consolato. È vero tutto ciò che mi ha detto, che il buon DIO mi aveva permesso questo per il mio bene, e che tutti i Santi e le Sante avevano sofferto più di me, e che giovava assai più patire in questo mondo che nell’altro. E concludemmo col dire: se avrò qualche pena, presto vi tornerò per consolarmi. Oh! bella Religione, quanto coloro che seriamente vi praticano, sono felici, e quanto le dolcezze e le consolazioni che ci procura sono grandi e preziose! … – Ebbene! Fratelli miei, voi dunque vedete che schernite coloro che non lo meritano; voi dovete invece ringraziare infinitamente il buon DIO di avere tra voi qualche buona anima che sappia placare la collera di DIO, senza di che noi saremmo oppressi dalla sua giustizia. Ma, a ben considerare, ad una persona che fa bene le sue preghiere, che non cerca che di piacere a DIO, che ama rendere servizio al prossimo, che sa dare perfino il suo necessario per aiutarlo, che perdona volentieri a coloro che gli fanno ingiuria, non potete dire che fa del male, al contrario. Ella non è che ben degna di essere lodata e stimata dal mondo. È tuttavia questa persona che voi straziate; forse che non pensavate a ciò che dicevate? È ben vero, voi riflettete in voi medesimo; ella è più felice di noi. Amico mio, ascoltatemi ed io vi dirò ciò che dovrete fare: ben lontano dal colpevolizzarli, voi dovreste fare ogni sforzo per imitarli; unirvi ogni mattino alle loro preghiere ed a tutte le opere che fanno durante la giornata. Ma – direte – per fare ciò che esse fanno, c’è da farsi troppo violenza e troppi sacrifici da imporsi. Non tanti quanto voi dite! … è così malagevole recitare bene le vostre preghiere il mattino e la sera? È tanto difficile ascoltare la parola di DIO con rispetto, chiedendo al buon DIO la grazia di profittarne? È così difficile non uscir fuori durante le istruzioni? Non lavorare il santo giorno della Domenica? Non mangiare la carne nei giorni proibiti? E disprezzare i mondani che vogliono assolutamente perdersi? Se temete che vi manchi il coraggio, portate i vostri sguardi sulla Croce ove Gesù-Cristo è morto, e vedrete che non vi mancherà il coraggio. Vedete queste folle di martiri che hanno sofferto tutto ciò che non potrete mai comprendere, per timore di perdere le loro anime. Sono essi ora spiacenti, fratelli miei, di aver disprezzato il mondo ed i suoi “cosa si dirà”? Concludiamo, fratelli miei, dicendo quanto poche persone ci sono che servono veramente il buon DIO. Gli uni cercano di distruggere la Religione, se potessero, con la forza delle armi, come facevano i re e gli imperatori pagani; gli altri con le loro grida empie vogliono avvilirla e farla perdere se potessero; altri la dileggiano in coloro che la praticano,, ed infine altri vorrebbero praticarla, ma hanno paura di farlo davanti al mondo. Ahimè, fratelli miei, quanto piccolo è il numero di quelli che sono fatti per il cielo poiché sono i soli che combattono vigorosamente il demonio e le loro inclinazioni, e che disprezzano il mondo con tutte i suoi scherni! Perché noi, non aspettiamo la nostra ricompensa e la nostra felicità che da DIO solo, perché amare il mondo che noi abbiamo promesso con giuramento di odiare e disprezzare per non seguire che Gesù-Cristo, portando la sua croce tutti i giorni della nostra vita? Avventurato colui, fratelli miei, che non cerca che DIO solo e disprezza tutto il resto! È la felicità che vi auguro …