CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (22)
PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA
Brixiæ, die 15 octobris 1931.
IMPRIMATUR
+ AEM. BONGIORNI, Vic. Gen
TESTIMONIANZE DEI CONCILI ECUMENICI DEI ROMANI PONTEFICI, DEI SANTI PADRI E DELLE SACRE CONGREGAZIONI ROMANE CHE SI CITANO NEL CATECHISMO
DOMANDA 85a.
Pio XI, Encicl. Quas primas, 11 dic. 1925:
« Orbene, su qual base riposi questa dignità e potere del Signor nostro, ce n’avverte opportunamente S. Cirillo Alessandrino: « Per dirla in breve, possiede di tutte le creature il dominio, non usurpato, né con altro mezzo procurato, ma per sua essenza e natura » (S. Luca, X). Ossia la sua regalità poggia su quell’unione mirabile, che denominano ipostatica. Ne segue che non soltanto Cristo dev’essere adorato come Dio dagli angeli e dagli uomini, ma pure che al suo dominio come Uomo obbediscano e stiano soggetti angeli e uomini, vale a dire che Cristo ha dominio di tutte quante le creature anche solo a titolo dell’unione ipostatica. Però niente di più gradito, niente di più dolce per noi a pensare che Cristo è nostro Signore non soltanto per diritto di natura, ma anche di conquista, cioè di redenzione. Voglia il Cielo che gli uomini tutti, facili a dimenticare, rammentino quanto siamo costati al nostro Salvatore: Siete stati redenti non a prezzo d’oro o d’argento, cose corruttibili;…. ma col sangue prezioso di Cristo, come di agnello immacolato e incontaminato (I di Pietro, 1, 18-19). Ormai non apparteniamo più a noi stessi, poiché Cristo ci ha comperati a gran prezzo (I ai Cor., VI, 20); i nostri stessi corpi son membra di Cristo » (ib., 15).
(Acta Apostolicae Sedis, XVII, 598).
DOMANDA 89°
S. Efrem, In Hebdom. sanctam, VI, 9 :
« Ebbene, Cristo, unico Verbo di Dio, nel corpo assunto nacque e crebbe, prese forma visibile e nutrimento e, pel fatto della generazione, fu soggetto al tempo e ai limiti. Egli, Figlio di Dio, che s’è fatto uomo, rimane unico e individuo nella divinità e umanità ipostaticamente congiunte, nell’umanità di cui si servì divinamente e umanamente, nel dominio e nella obbedienza, negli atti e nei fatti » .
(Lamy, 1. c., I , 476-8).
DOMANDA 90°
Concilio di Calcedonia (451) contro i Monofisiti, Definizione delle due nature di Cristo:
« Insegniamo unanimi, sulla guida de’ Santi Padri, a professare l’unico e identico Figlio e Signor nostro Gesù Cristo, perfetto nella divinità, perfetto nell’umanità, come Dio vero e vero uomo, in corpo ed anima razionale, consostanziale al Padre secondo la divinità, consostanziale a noi, secondo l’umanità, in tutto simile a noi, tranne il peccato (Agli Ebr., IV, 15); generato dal Padre avanti ogni tempo secondo la divinità, e, generato ne’ tempi recentissimi da Maria vergine Madre di Dio secondo l’umanità, per amor nostro e della nostra salvezza: l’unico e identico Cristo Figlio Signore unigenito, da riconoscersi senza confusione, mutazione, divisione, separazione nelle due nature, senza venir mai meno, per il fatto dell’unione, la differenza delle nature e anzi salva la proprietà dell’una e dell’altra natura nell’unica persona e sussistenza; non ripartito o diviso in due persone, ma unico e identico Figlio e unigenito Dio Verbo Signore Gesù Cristo: come già i Profeti e Gesù Cristo in persona c’insegnarono e ci trasmise il Simbolo de’ Padri ».
(Mansi, VII, 115).
Concilio III di Costantinopoli (680-681) contro i Monoteliti: Definizione circa le due volontà di Cristo:
« Similmente proclamiamo in lui due volontà naturali e due operazioni naturali, senza divisione, o commutazione, o separazione, o confusione, giusta l’insegnamento de’ santi Padri; e le due volontà integrali non opposte, ohibò! come sostennero certi empii eretici, ma docile la sua umana volontà e non resistente o ribelle, anzi sottomessa alla divina e onnipotente volontà di lui. Difatti, dice il sapientissimo Atanasio, bisognava che fosse attiva la volontà umana, ma soggetta alla divina. Poiché alla stessa stregua che la sua carne si dice ed è carne del Verbo di Dio, così la natural volontà della sua carne si dice ed è propria volontà del Verbo di Dio come egli stesso disse: Perché son disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma quella di colui che mi ha mandato, cioè del Padre (Gio., VI, 38): ossia indica come volontà sua propria quella che era l a volontà della sua carne. Difatti anche la carne divenne propria di lui. Orbene, come non andò perduta, divenendo divina, la sua umanità santissima e immacolata, ma perseverò nella sua individua costituzione e ragione, così anche l’umana volontà di lui, fatta divina, non andò perduta, ma piuttosto fu salvata, come dice il teologo Gregorio: « Difatti la volontà di lui, quale s’intende nel Salvatore, non è a Dio contraria, fatta com’è tutta divina ».
(Mansi, XI, 638).
IV Concilio di Laterano (1215), Cap. I , De fide catholica:
« E finalmente l’unigenito Figlio di Dio, Gesù Cristo, incarnato, per concorso di tutta la Trinità; concepito da Maria sempre Vergine, cooperando lo Spirito Santo, divenuto vero uomo, composto d’anima razionale e d’umana carne, unica persona in due nature, additò più apertamente la via della vita. Egli difatti ch’era immortale e impassibile secondo la divinità divenne, secondo l’umanità, mortale e soggetto a soffrire; Egli ancora patì e morì sul legno della croce per la salvezza del genere umano, discese all’inferno, risuscitò dai morti e salì al cielo…. per venire alla fine del tempo a giudicare i vivi e i morti e rendere a ciascuno secondo le proprie azioni, tanto ai reprobi quanto agli eletti; i quali tutti risorgeranno coi loro propri corpi, che ora hanno, per ricevere secondo le proprie opere, buone o cattive, gli uni l’eterno castigo col diavolo, gli altri l’eterna gloria con Cristo ».
(Mansi, XXII, 982).
S. Leone IX (1049-1054), Symbolum fidei:
« Credo anche nello stesso Figlio di Dio Padre, Verbo di Dio nato nella eternità prima d’ogni tempo dal Padre, pari al Padre di sostanza, di onnipotenza e in ogni attributo della divinità; nato nel tempo, per opera dello Spirito Santo, da Maria sempre vergine, con un’anima razionale; che ha due natività: l’una dal Padre, eterna, l’altra dalla madre, temporale; che ha due volontà e due operazioni; Dio vero e vero uomo; proprio e perfetto nell’una e nell’altra natura; non soggetto né a mescolanza né a divisione, non adottivo né fantasma; unico e solo Dio, Figlio di Dio in due nature, ma in unicità di persona; impassibile e immortale in grazia della divinità, ma assoggettatosi nell’umanità a vera sofferenza e seppellito per noi e per la nostra salvezza; e credo ch’è risorto dai morti al terzo giorno di vera risurrezione della carne; e per darne ai discepoli conferma mangiò non per un qualsiasi bisogno di cibo, ma per sua volontà e potestà; che quaranta giorni dopo la risurrezione salì al cielo colla carne, nella quale risuscitò, e coll’anima; che siede alla destra del Padre; che dieci giorni dopo mandò lo Spirito Santo e che di là è per venire, come vi salì, a giudicare vivi e morti e per rendere a ciascuno secondo le opere sue ».
(Mansi, XIX, 662).
DOMANDA 91a
Concilio di Trento : V. D. 74.
S. Epifanio, Ancoratus, 93:
« Difatti la speranza della nostra salvezza non è riposta in un uomo, dal momento che nessuno di tutti gli uomini, discendenti da Adamo, avrebbe potuto recarci la salvezza, ma
Dio soltanto e il Verbo incarnato…. Perciò il Signore prese carne dalla nostra carne e volle esser uomo come noi —. Egli Dio e Verbo — per liberare dal patire col patire e distrugger la morte colla morte ».
(P. G., 43, 186 s.).
DOMANDA 94a.
Leone XIII, Encicl. Divinimi illud munus, maggio 1897:
« Assai bene la Chiesa suol attribuire al Padre quelle opere divine ove rifulge la potenza, al Figlio quelle ove rifulge la sapienza, allo Spirito Santo quelle ove rifulge l’amore…. E anzitutto occorre rivolger lo sguardo a Cristo, fondatore della Chiesa e Redentore del genere umano. Davvero che tra le opere ad extra di Dio primeggia il mistero del Verbo incarnato, perché in esso talmente risplende la luce delle divine perfezioni che non si può pensare qualche cosa di più grande e nient’altro più di esso avrebbe potuto giovare alla salvezza dell’umana natura. Ebbene questa sublime opera fu sì opera di tutta la Trinità, ma come propria è ascritta allo Spirito Santo; sicché i Vangeli proclamano della Vergine: Fu trovata incinta di Spirito Santo e: Il nato di essa è dallo Spirito Santo (Matt., I , 18-20). E giustamente s’attribuisce a colui ch’è l’amore del Padre e del Figlio, perché questo gran sacramento d’amore (I Tim., III, 16) provenne dalla suprema carità di Dio verso gli uomini, come avverte Giovanni: Dio amò il mondo al punto da sacrificare il suo Figlio unigenito (Gio., III, 16)».
(Acta Leonis XIII, XVII, 130-32).
DOMANDA 95a.
Concilio d’Efeso (431), Anatemi di Cirillo, can. I :
« Chi non professa che Dio è davvero l’Emanuele e perciò la Santa Vergine Madre di Dio — generò infatti, secondo la carne, il Verbo di Dio fatto carne — sia scomunicato.
(Mansi, IX, 327).
Concilio II di Costantinopoli (553) I tre Capitoli can. 6:
« Chiunque dichiara la santa gloriosa sempre Vergine Maria impropriamente e non veramente Madre di Dio, oppure in senso relativo, cioè nel senso che da lei sia nato un puro uomo e non incarnatosi e nato il Verbo di Dio, quindi, come dicono gli eretici, da mettersi in relazione la nascita dell’uomo al Dio Verbo perché questi era coll’uomo all’atto del nascere; e chiunque con calunnia fa dire al santo Sinodo di Calcedonia che la Vergine fu madre di Dio in questo empio senso, inventato dal miserabile Teodoro; o chiunque la dichiara madre d’un uomo, o Cristotoca, vale a dire madre di Cristo, come se
Cristo non fosse Dio e quindi non la confessa vera e propria Madre di Dio perché recentemente s’incarnò e nacque da essa il Dio Verbo che prima d’ogni tempo era nato dal Padre; negando che così devotamente l’abbia confessata e proclamata anche il santo Sinodo di Calcedonia: sia scomunicato».
(Mansi, IX, 379).
III. Concilio di Costantinopoli (680-81) contro i Monoteliti
Definizione delle due volontà di Cristo :
« Inoltre anche secondo le lettere sinodali, scritte contro l’empio Nestorio e ai vescovi orientali dal beato Cirillo; anche sulle orme dei santi cinque Concilii universali e de’ santi e autorevoli Padri, determinando unanimi di affermare il Signor nostro Gesù Cristo vero Dio nostro, uno della Trinità santa e consostanziale e fonte di vita, perfetto nella divinità e parimenti nella umanità, veramente Dio e veramente uomo, fornito di anima razionale e di corpo; consostanziale al Padre secondo la divinità e consostanziale a noi secondo l’umanità, a noi simile in tutto, salvo il peccato (Agli Ebr., IV, 15) e, come generato dal Padre, secondo la divinità, prima del tempo, così generato nella pienezza de’ giorni per amor nostro e della nostra salvezza dallo Spirito Santo e da Maria Vergine propriamente e veracemente Madre di Dio secondo l’umanità, unico e identico Cristo Figlio unigenito di Dio da riconoscersi nelle due nature senza confusione, né commutazione, né separazione, né divisione, non venendo meno in nessun punto per il fatto dell’unione la differenza di queste nature e anzi salva la proprietà dell’una e dell’altra natura nell’unica persona e sussistenza; non ripartito o diviso in due persone, ma unico e identico unigenito Figlio di Dio Verbo Signore Gesù Cristo: come già i Profeti e Gesù Cristo in persona c’insegnarono e il Simbolo de’ Padri ci trasmise » .
(Mansi, XI, 635).
S. Gregorio Nazianzeno, Epist. 101:
« Fuori della divina verità è chiunque non crede madre di Dio santa Maria. Ateo del pari chiunque dica che (Cristo) passo per la Vergine come acqua per un canale, ma non fu rinato in essa in modo divino insieme ed umano, divino perché non vi concorse l’uomo; umano perché concepito umanamente. È soggetto a dannazione chiunque afferma che, formato l’uomo, subentrò poi Dio ».
P. G., 37, 178 ss.).
S. Giovanni Damasceno, Orario prima de Virg. Mariæ nativitate, 4:
« Si vergogni Nestorio e si turi la bocca. Questo fanciullo è Dio. Come dunque non sarebbe Madre di Dio quella che generò? Si allontana da Dio chiunque non confessa la madre di Dio. Non sono parole mie; sebbene, sono anche mie: ricevetti questa eredità divinissima dal teologo Padre Gregorio ».
( P . G., 96, 667).
DOMANDA 96a.
Leone XIII, Encicl. Quamquam pluries, 15 ag. 1889:
« Ecco le cause e le ragioni singolari per cui il beato Giuseppe va nominatamente salutato patrono della Chiesa e, dal canto suo, la Chiesa moltissimo si ripromette dalla sua valida protezione: egli fu sposo di Maria e padre putativo di Gesù Cristo. Di qui tutta la sua dignità, grazia, santità, gloria. Certamente la dignità della madre di Dio è tanto in alto che nulla può darsi di più grande. Tuttavia, per quel vincolo coniugale stretto fra Giuseppe e la beatissima Vergine, non c’è dubbio che s’avvicinò egli più d’ogni altro a quell’eccellente dignità, in grazia della quale la Madre di Dio supera di gran lunga tutte le nature create…. Perciò se Dio diede come sposo alla Vergine Giuseppe, certamente glielo diede non soltanto per compagno della vita, testimonio della verginità, custode dell’onore, ma pure come partecipe dell’altissima dignità di Lei, per virtù del contratto matrimoniale. Parimenti unico si distingue per augustissima dignità fra tutti, perché fu custode del Figlio di Dio per divina disposizione, creduto padre nell’opinione degli uomini ».
(Acta Leonis XIII, IX, 177-78).
DOMANDA 97a.
S. Leone Magno, Lettera a Flaviano, Vescovo di Costantinopoli:
« Il medesimo eterno unigenito dell’eterno Padre nacque dallo Spirito Santo e da Maria Vergine…. Infatti fu concepito di Spirito Santo nell’utero della madre vergine, la quale come lo concepì, salva la verginità, così pure, salva la verginità, lo partorì ».
(P. L., 54, 759).
S. Efrem, Preghiera alla Ss. Madre di Dio:
« Ma, o Vergine Signora, immacolata Madre di Dio, Signora mia gloriosissima, mia gran benefattrice, più eccelsa dei cieli, molto più pura degli splendori, de’ raggi, de’ fulgori
solari…. verga germogliarne d’Aronne; tu davvero apparisti verga e fiore fu il Figlio tuo vero Cristo nostro, Dio e mio Creatore; tu generasti, secondo la carne, Dio e il Verbo, conservando la verginità prima del parto, vergine dopo il parto; e siamo stati riconciliati con Dio Cristo tuo figlio ».
(Opera omnia, ed. Romana, III – greco e latino – 545).
Didimo Alessandrino, De Trinitate, III, 4:
« Riguardo alle denominazioni di primogenito e di unigenito, ci viene in testimonio l’Evangelista che narra come Maria rimase vergine finche partorì il suo figliuolo primogenito (Matt., I, 25); difatti, quella sovrana Vergine degna d’onore e gloriosa sopra tutti, a nessuno si sposò né di altri divenne poi madre; ma, dopo il parto, rimase sempre e in ogni tempo vergine immacolata ».
(P. G., 39, 831).
S. Epifanio: Adversus hæreses, Hær. 78, 6:
« In qual tempo ci fu mai uno, il quale osasse fare il nome di Maria Santissima e non aggiungere subito, interrogato, l’epiteto di Vergine?
« In tali collocazioni di vocaboli splendono indizi di virtù…. Maria Santissima è chiamata Vergine e questo appellativo non sarà mai cambiato : Ella rimase infatti perpetuamente incorrotta ».
(P. G., 42, 706 s.).
S. Girolamo, Della perpetua verginità della Beata Maria, contro Elvidio, 19:
« Crediamo che Dio nacque dalla Vergine, perché sta scritto; non crediamo che Maria abbia sposato dopo il parto, perché non sta scritto. E non diciamo questo quasi per condannare il matrimonio, dacché un frutto delle nozze è appunto la verginità…. Tu affermi che Maria non continuò a esser vergine: io invece affermo di più che anche Giuseppe fu vergine in grazia di Maria, affinché dal verginale matrimonio nascesse vergine il figlio ».
(P. L., 23, 213).
DOMANDA 100.
S. Atanasio, Epist. ad Epitteto, 6:
« Colei stessa, che portava il corpo umano del Verbo, rivendicava a sé il Verbo, ch’era congiunto al corpo, perché noi potessimo diventar partecipi della divinità del Verbo. Cosa davvero meravigliosa che il medesimo individuo fosse insieme sofferente e non sofferente: sofferente in quanto sopportava il suo proprio corpo e in quanto nel corpo sofferente esisteva; ma non sofferente, perché il Verbo, essendo Dio per sua natura, non può patire. E proprio l’incorporeo esisteva nel corpo passibile; e il corpo a sua volta possedette l’impassibile Verbo, destinato appunto a distruggere le deficienze del corpo ».
(P. G., 26, 1059 ss.).
DOMANDA 102a.
Innocenzo X, Costit. Cum occasione, del 31 maggio 1653, dove condannò la 5a proposizione di Giansenio:
« È da semipelagiani il dire che Cristo sia morto oppure abbia sparso il sangue proprio per tutti quanti gli uomini ».
(Bullarium Romanum, ed. Torin., XV, 721).
S. Ambrogio, Epist. 41, 7:
« (Il diavolo) aveva ridotto l’uman genere in una perpetua schiavitù col grave carico d’una disastrosa eredità, perché, divenuto debitore, il primo uomo fece trasmissione a’ posteri d’una onerosa successione. Venne il Signore Gesù, offrì la sua morte in luogo della morte di tutti, versò in luogo del sangue di tutti il suo sangue ».
(P. L., 16, 1162).
DOMANDA 103a.
Concilio di Trento, sess. V I , Decretum de justifìcatione,
« Però, benché sia morto egli per tutti, non tutti ricevono il beneficio della sua morte, ma solamente quelli, ai quali è comunicato il merito della di lui passione ».
DOMANDA 104a.
Concilio di Trento, sess. VI, Decretum de fustificatione, cap. 7:
« Meritoria (causa della giustificazione è) il dilettissimo Unigenito suo, Signor nostro, Gesù Cristo, il quale, per l’eccesso del suo amore verso di noi, meritò a noi, che gli eravamo nemici, la giustificazione per mezzo del suo patire sul legno della croce e diede soddisfazione per noi a Dio Padre ».
Leone XIII, Encicl. Tametsi futura, 1 Novembre 1900:
« Davvero, maturato il consiglio divino, l’unigenito Figlio di Dio, fatto uomo, diede soddisfazione sovrabbondante per gli uomini all’offesa maestà del Padre col proprio sangue e fece suo a così gran prezzo il redento genere umano…. Siete stati ricomperati non a prezzo di vile oro od argento, ma col prezioso sangue di Cristo, agnello immacolato e incontaminato
(Ia di Piet., I, 18-19). E così fece suoi una seconda volta, colla redenzione vera e propria, tutti gli uomini già universalmente soggetti alla sua suprema sovranità, perché di tutti quanti Egli è il Creatore e il Conservatore. Non appartenete a voi; poiché a caro prezzo siete stati comprati (I Cor., VI, 19- 20) ».
(Acta Leonis XIII, XX, 298).
S. Ignazio martire, Epist. ad Smyrnæos, 2:
« E patì tutto questo per noi, affinché avessimo salute; e patì realmente come realmente risuscitò; non che abbia patito in apparenza, come affermano certi infedeli che vivono appunto secondo apparenza; e, secondo la bontà o meno della loro dottrina, così saranno premiati o puniti perché seguono le apparenze e le suggestioni diaboliche ».
(P. G., 5, 710).
S. Giovanni Crisostomo, In Epist. ad Hebræos, XVII, 2:
« Così anche Cristo una volta fu offerto in olocausto. Offerto da chi? da se stesso. Qui l’Apostolo lo dice non soltanto sacerdote, ma anche vittima e sacrificio. Poi passa a dire della causa per cui f u offerto: Una volta offerto per distruggere i peccati di molti. Perché di molti e non di tutti? Perché non tutti hanno creduto. Di fatto egli morì per tutti, per salvar tutti, quanto a sé; quella sua morte equivaleva bene alla morte di tutti: ma non distrusse nè tolse i peccati di tutti, perché gli uomini stessi non vollero…. Tolse agli uomini i peccati e fece offerta al Padre non per stabilire contro essi una condanna, ma anzi per rimetterli » .
(P. G., 63, 129).
DOMANDA 106a.
S. Cirillo di Gerusalemme, Catecheses, IV, 11:
« Fu deposto davvero in un sepolcro di roccia come un uomo (Matt., XVII, 60), ma proprio per terrore di lui le pietre si spaccarono (ibid., 51). Discese agl’inferi per cavarne i giusti redenti. Forseché tu vorresti ora, di grazia, che di tal grazia godano sì i viventi, anche se i più tra essi non sono santi; ma coloro, che fin da Adamo per sì lungo tempo erano stati relegati, non ottengano finalmente la libertà? Il profeta Isaia con voce sublime annunziò di Lui moltissime cose: e tu vorresti che il Re, scendendo, non liberasse l’araldo suo? Là erano Davide e Samuele e tutti i profeti; Giovanni stesso, che chiedeva per mezzo de’ suoi messi: Sei tu il Messia, o aspettiamo un altro? (Matt., XI, 3). E tu non vorresti che, scendendo, liberasse que’ santi uomini?
DOMANDA 110a.
IV Concilio di Laterano e S. Leone IX: Vedi D. 90.
S. Leone Magno, Sermo, 73, 4:
« E davvero qual grande e indicibile motivo di gioia quando in vista della sacra turba saliva la natura del genere umano, al di sopra di tutte le gloriose creature celesti, più in alto de’ cori angelici, per essere esaltata più degli arcangeli, con una elevazione senza limiti fino a quando, accolta per sedere alla destra dell’eterno Padre, fu associata in trono alla gloria di Lui, alla natura del quale era congiunta nel Figlio! ».
(P. L., 54, 396).
Il medesimo, Sermo 74, 3-4:
« (Gli Apostoli) avevano infatti rivolta tutta l’attenzione contemplatrice dell’anima alla divinità di Colui che siede a destra del Padre e ormai nessun oggetto di veduta corporea li tratteneva dallo sprofondarsi nella contemplazione di colui che, scendendo, non s’era allontanato dal Padre, né s’era allontanato da’ discepoli ascendendo. Dunque, o carissimi, il Figliuol dell’uomo, Figlio di Dio, apparve in modo eccelso e più sacro quando si raccolse nella gloria della maestà paterna e in misura misteriosa cominciò ad esser tanto più presente nella divinità quanto più lontano si fece nell’umanità ».
(P. L., 54, 398).
S. Ireneo, Adv. hæreses, I , 10, 1 :
« Difatti la Chiesa propagata per tutto il mondo sino ai confini della terra, ricevette sia dagli Apostoli sia dai loro discepoli la fede nella passione e risurrezione dai morti e nella corporea ascensione al Cielo del diletto Gesù Cristo Signor nostro… ».
(P. G., 7, 550).
DOMANDA l l l a .
S. Gregorio di Nazianzo, Oratio, 45:
« Credi…. che tornerà glorioso e luminoso a giudicare i vivi e i morti, non però corporeo e nemmeno scevro di corpo, ma con un corpo più augusto e divino, ch’ei solo sa ».
(P. G., 36, 423).
DOMANDA 112a.
Concilio IV di Laterano e Leone IX: Vedi D . 90;
Benedetto XII: D . 62.
S. Giovanni Crisostomo: In Epist. I ad Corinthios, XLII, 3:
« Perciò vi prego e scongiuro e supplico di tutto cuore che ci lasciamo compungere da quant’ho detto e convertire e render migliori, finché vivremo questa breve vita affinché quando moriremo, non ci accada come a quel ricco, di lamentarci e piangere; che il pianto non ci gioverà. Difatti, anche se avrai un padre, o un figlio, o qualsiasi altra persona in grazia di Dio, nessuno ti salverà, dacché t’accuseranno le tue proprie opere. Tal’è infatti quel giudizio: prende norma solo dalle opere e in nessun altro modo si può allora esser salvi. E dico questo non per sospingere alla disperazione, ma perché non trascuriamo la nostra santificazione, nutrendo vana e insulsa speranza, o fidando in questo e quello. Infatti, se saremo infingardi e negligenti, nessuno né giusto né profeta né apostolo, ci difenderà ».
(P. G., 6 1 , 367 s.).
DOMANDA 116a.
Pio XI, Encicl. Quas primas, lì Dicembre 1925:
« Gesù stesso poi rivendica a sé, come attribuitagli dal Padre, la podestà giudiziaria, contro i Giudei che lo accusavano d’aver violato colla guarigione del paralitico il riposo del sabato: E difatti il Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figliuolo (Gio., V, 22). E in ciò è pur compreso — perché il fatto non può disgiungersi dal giudizio — ch’Egli assegni agli uomini ancor viventi il premio e la pena, di sua autorità. E s’ha pure da aggiudicare a Cristo quel potere ch’è detto esecutivo, perché al suo dominio bisogna che tutti obbediscano; sotto minaccia d’infliggere ai contumaci quelle pene, che nessuno può sfuggire ».
(Acta Apostol. Sedis, XVII, 599).
DOMANDA 119a.
II Concilio di Lione: Vedi D. 39; Leone XIII: D. 94.
S. Agostino, De civitate Dei, XI, 24:
« Essendo spirito tanto il Padre quanto il Figlio e santo il Padre quanto il Figlio, non meno in senso proprio, Egli è detto Spirito Santo, come santità sostanziale e consostanziale d’ambedue ».
(P. L., 41, 338).
DOMANDA 121a.
S. Basilio, Epist. 38, 4:
« Dallo Spirito Santo scaturisce ogni largizione di beni nel creato ».
(P. G., 32, 330).
DOMANDA 122a.
Leone XIII, Encicl. Divinum illud munus, 9 Maggio 1897:
« E basti l’affermazione che, come Cristo è capo della Chiesa, lo Spirito Santo n’è l’anima: Quel ch’è l’anima nel corpo nostro, è lo Spirito Santo nel Corpo di Cristo, che è la Chiesa » (S. Agostino, Sermo, 187, De temp.).
(Acta Leonis XIII, XVII, 135).
DOMANDA 125a.
Concilio Vaticano, Costit. Pastor Æternus, a principio :
« L’eterno pastore e vescovo delle anime nostre, a perpetuare l’opera salutare della redenzione, decretò di edificare la santa Chiesa, per raccogliervi, come nella casa di Dio vivente, i fedeli tutti stretti da un’unica fede e dalla carità. Perciò, prima di esser glorificato, pregò il Padre non per gli Apostoli soltanto, ma pure per quelli che in virtù della loro parola Gli avrebbero creduto, affinché tutti fossero una cosa sola, come lo stesso Figlio e il Padre sono una cosa sola. (Gio., XVII, 20). E come mandò, al modo stesso ch’Egli era stato mandato dal Padre, gli Apostoli, che si era scelti dal mondo, così volle che fino alla consumazione del mondo vi fossero nella sua Chiesa i pastori e i maestri ».
DOMANDA 126a.
Concilio d’Efeso (431), In actione, III:
« Nessuno dubita, anzi è noto a tutte le generazioni, che il santo e beatissimo Pietro, principe e capo degli Apostoli, colonna della fede e fondamento della Chiesa cattolica, ricevette dal Signor nostro Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano, le chiavi del regno e la podestà di assolvere o di ritenere i peccati: egli vive e giudica fino ad ora e per sempre ne’ suoi successori ».
(Mansi, IV, 1295).
Concilio Vaticano, 1. c., cap. I, De apostolici primatus in beato Petro institutione:
« Pertanto insegniamo e dichiariamo, sulla scorta delle testimonianze evangeliche, che al beato Pietro Apostolo fu promesso e conferito da Cristo Signore il primato immediato e diretto su tutta la Chiesa di Dio. Difatti soltanto a Simone, al quale aveva già detto: Tu sarai chiamato Cefa (Gio., I, 42), dopo la di lui esplicita confessione: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo, parlò il Signore con queste solenni parole: Felice te, Simone figlio di Giona: perché né sangue né carne li ha rivelato, ma il Padre mio, ch’è nei cieli. E io dico a te che tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno contro di essa non prevarranno: e darò a te le chiavi del regno de’ cieli. E qualunque cosa
avrai sciolto sulla terra, sarà sciolta anche in cielo (Matt., XVI, 16 ss.). Inoltre soltanto a Simon Pietro Gesù, dopo la sua risurrezione, conferì l’autorità di Sommo Pastore e reggitore su tutto il suo ovile, dicendo: Pasci gli agnelli miei…. pasci le pecore mie (Gio. XXI, 15 s.).
« Chi dunque affermerà che il beato Pietro Apostolo non fu costituito da Cristo Signore principe di tutti gli Apostoli e capo visibile della Chiesa militante; oppure ch’egli ricevette dal medesimo Signor nostro Gesù Cristo direttamente e immediatamente un primato solamente d’onore, ma non di vera e propria giurisdizione: sia scomunicato ».
Innocenzo X , Decretum S. Officii, De primatu Romani Pontifìcis, 24 Gennaio 1647:
« Sua Santità… ha riferito e dichiarato eretica questa proposizione: « S. Pietro e S. Paolo son due capi della Chiesa, che ne formano un solo » oppure « son due corifei e supreme guide della Chiesa cattolica, stretti fra loro di suprema unità » oppure « sono il duplice fastigio della Chiesa universale, che perfettamente si fusero in uno » oppure « sono i due sommi pastori e presidi della Chiesa, che formano un capo solo » , spiegata in modo da porre tra S. Paolo e S. Pietro una perfetta uguaglianza, senza subordinazione e soggezione di S. Paolo a S. Pietro nel supremo potere e governo della Chiesa universale».
(Du Plessy, 1. c, III, 11, 248).
S. Efrem, In Hebdomadam Sanctam, IV, 1:
« Simone, discepolo mio, io t’ho costituito fondamento della santa Chiesa. Già t’ho chiamato pietra, perché tu sosterrai tutti gli edifici; tu sarai soprintendente di coloro, che mi edificheranno in terra la Chiesa: se vorranno edificar qualche cosa riprovevole, tu, fondamento, raffrenali: tu sei polla della fonte, donde s’attinge la mia dottrina, tu sei capo de’ miei discepoli; per mezzo tuo disseterò tutte le genti; tua è quella soavità vivificatrice, di cui fo dono; ti ho eletto a essere, per così dire, il primogenito nella mia istituzione, per farti erede de’ miei tesori; t’ho dato le chiavi del mio regno. Ecco, t’ho costituito principe di tutti i miei tesori ».
(Lamy, 1. c. I, 412).
DOMANDA 127a.
Concilio d’Efeso: Vedi D. 126.
Concilio Vaticano, 1. C., cap. 2, De perpetuitate primatus beati Petri in Romanis Pontificibus:
« Orbene, ciò che Cristo Signore, capo de’ pastori e gran pastore del gregge, istituì nella persona del beato Apostolo Pietro per la salvezza perpetua e a beneficio perenne della Chiesa, deve durar per sempre, grazie al medesimo istitutore, nella Chiesa, che, per esser fondata su ferma pietra, ferma starà sino alla fine de’ secoli. Davvero « nessuno dubita, anzi è noto a tutte le generazioni che il santo e beatissimo Pietro, principe e capo degli Apostoli e colonna della fede e fondamento della Chiesa Cattolica, ricevette dal Signor nostro Gesù Cristo, Salvatore del genere umano e Redentore, le chiavi del regno: ed Egli « vive » ed è a capo e « giudica » fino ad ora e sempre ne’ suoi successori, i Vescovi della santa Romana Sede, fondata da lui stesso e consacrata col sangue (Conc. d’Efeso, an. 431). Perciò qualsiasi successore di Pietro su questa cattedra ottiene, secondo l’istituzione di Cristo in persona, il primato su tutta la Chiesa. « Sta ferma dunque la disposizione di verità e il beato Pietro, persistendo nella ricevuta fortezza di roccia, non abbandona le assunte redini della Chiesa » . (S. Leone Magno, Discorso III). Per questa ragione fu sempre « necessario che ogni Chiesa, vale a dire quelli che sono i fedeli d’ogni parte si raccogliesse « alla Chiesa Romana » in grazia d’una più alta primazia » (S. Ireneo, Adversus hæreses, III, 3), per fondersi, membra unite al capo, come unica compagine di corpo, nella Sede, dalla quale irradiano a tutti « i vincoli legittimi d’una santa comunione » (Concil. d’Aquileja, an. 381).
« Pertanto chi afferma che non è per istituzione di Cristo Signore in persona, ossia di diritto divino, che il beato Pietro abbia perpetui successori nel primato su tutta la Chiesa,
oppure che il Romano Pontefice non sia il successore del beato Pietro nel medesimo primato: sia scomunicato ».
DOMANDA 131a.
II. Concilio di Lione (1274), Professio fidei Michaelis Palæologi:
« La stessa santa Romana Chiesa occupa anche il supremo e pieno primato e principato su tutta quanta la Chiesa cattolica; e con verità e umiltà riconosce di averlo ricevuto colla pienezza del potere dal Signore stesso nella persona del beato Pietro principe ossia capo degli Apostoli, perché di lui il Pontefice Romano è il successore. E come, più d’ogni altro, ha il dovere di difender la verità, così anche se sorgessero questioni di fede devono esser definite dal suo giudizio. Ad essa può appellarsi chiunque sia chiamato a rispondere dinanzi al foro ecclesiastico: e in tutte le cause, spettanti all’esame ecclesiastico, si può aver ricorso al giudizio di essa; e alla medesima sono soggette tutte le chiese, i capi delle quali le prestano obbedienza e riverenza. Ma tal pienezza di potere va intesa in modo da ammettere a partecipare nel governo tutte l’altre chiese, molte delle quali -— e specie le patriarcali — la medesima Romana Chiesa onorò di parecchi privilegi; salva però sempre la sua prerogativa osservata così ne’ Concili generali come in qualche altro » .
(Mansi, XXIV, 71).
Concilio Fiorentino, Decretum prò Græcis:
« Similmente definiamo che la santa Sede Apostolica e il Romano Pontefice occupano il primato in tutto il mondo e che lo stesso Romano Pontefice è il successore del beato Pietro principe degli Apostoli e vero vicario di Cristo e capo di tutta la Chiesa e padre e maestro di tutti i Cristiani: e che a lui proprio fu comunicata, nella persona del beato Pietro, dal Signor nostro Gesù Cristo piena autorità di pascere, reggere e governare la Chiesa universale; come sta scritto anche negli atti de’ Concilii ecumenici e ne’ sacri canoni ».
(Mansi, XXXI, 1031).
Concilio Vaticano, Costit. Pastor Æternus, cap. 3: De vi et ratione primatus Romani Pontifìcis:
«Perciò, appoggiati alle manifeste testimonianze delle sacre Carte e osservando gli eloquenti ed evidenti decreti tanto de’ nostri predecessori, i Romani Pontefici, quanto de’ Concilii generali, rinnoviamo la definizione del Concilio ecumenico fiorentino, in forza della quale tutti i fedeli di Cristo devono credere l a Santa Apostolica Sede… (Cfr. sopra, Concilio Fiorent., Decretum prò Græcis…) sta scritto ne’ sacri canoni ».
« Perciò insegniamo e dichiariamo che la Chiesa Romana, per disposizione del Signore, possiede sopra tutte l’altre il primato d’ordinaria potestà, e che questa potestà di giurisdizione del Romano Pontefice, davvero episcopale, è immediata; e ad essa i pastori e i fedeli, di qualsiasi rito e dignità, tanto singoli e separatamente quanto insieme tutti, sono stretti per dovere di gerarchica subordinazione e vera obbedienza per quanto riguarda non solamente fede e costumi, ma pure la disciplina e il governo della Chiesa diffusa in tutto il mondo; sicché, serbata l’unità sia di comunione sia di professione della medesima fede col Romano Pontefice, la Chiesa di Cristo sia un unico gregge sotto un unico sommo pastore. Quest’è l’insegnamento della verità cattolica: deviar da esso nessuno può, salva la fede e la salute. – « Tanto poi questa potestà del Sommo Pontefice è lontana dal nuocere all’ordinaria e immediata potestà di giurisdizione episcopale, per cui i Vescovi, che posti dallo Spirito Santo (Atti, XX, 28) succedettero agli Apostoli, pascono e reggono singolarmente i singoli greggi a lor affidati, come veri pastori; che anzi essa è dal supremo e universale Pastore asserita, rafforzata, rivendicata, come dice S. Gregorio Magno: « L’onor mio è l’onore della Chiesa universale. L’onore mio è il saldo vigore de’ fratelli miei. Io son davvero onorato allorché a ognuno non è ricusato il dovuto onore » . (Epist. ad Eulogium; P. L.; 77, 933). – Orbene, da quella suprema autorità del Romano Pontefice gli consegue pure il diritto di comunicare liberamente, in questo suo ufficio, con pastori e greggi di tutta la Chiesa, affinché possano proprio da lui essere ammaestrati e guidati sul cammino della salvezza. Perciò condanniamo e riproviamo la sentenza di chi afferma che può essere lecitamente impedita questa comunicazione tra Capo supremo, pastori e greggi, oppure la dichiarano in balìa del poter secolare; sostenendo che, senza beneplacito e conferma del potere secolare, non hanno forza né valore le disposizioni prese dalla Sede Apostolica di Sua autorità nel governo della Chiesa. « E, poiché il Romano Pontefice presiede a tutta la Chiesa per il divin diritto del primato Apostolico, insegniamo pure e dichiariamo ch’Egli è giudice supremo de’ fedeli e che al giudizio di lui si può ricorrere in ogni causa; e che inoltre il giudizio della Sede Apostolica, il più autorevole su tutti, non deve essere ricusato da nessuno, né ad alcuno esser lecito giudicare di quel giudizio. Perciò erra dal retto sentiero di verità chi afferma che dai giudizi dei Romani Pontefici sia lecito appellarsi al Concilio ecumenico, come ad autorità superiore al Romano Pontefice. « Pertanto chi affermerà che il Romano Pontefice ha soltanto incarico di ispezione o di direzione, ma non piena e suprema potestà di giurisdizione su tutta la Chiesa, né soltanto nelle cose che riguardano la fede e i costumi, ma pure nelle cose di disciplina e di governo della Chiesa sparsa per tutto il mondo: oppure ch’egli ha soltanto le parti più importanti, ma non tutta la pienezza di questo supremo potere; oppure che questo suo potere non è ordinario e immediato, tanto su tutte e singole le Chiese quanto su tutti e singoli i pastori e i fedeli: sia scomunicato».
S. Leone IX, Epist. In terra pax hominibus, 2 Settembre 1053, a Michele Cerulario e a Leone d’Acrida, sul primato del R. Pontefice:
Cap. 7. La Santa Chiesa fu edificata sopra la pietra, cioè Cristo, e sopra Pietro, ossia Cefa, figlio di Giovanni, che prima era detto Simone, perché non doveva in nessun modo essere vinta dalle porte dell’inferno, vale a dire dalle dispute degli eretici, che sospingono a morte la gente vana, così promette la Verità in persona, grazie alla quale è vera ogni cosa che è vera: le porte dell’inferno non prevarranno contro essa (Matt., XVI, 18). Il Figlio medesimo attesta di aver implorato dal Padre l’efficacia di questa promessa, quando dice a Pietro: Simone, ecco satana, ecc. (Luc., XXII, 31). C i sarà dunque qualcuno così fuor di senno da osar di considerare in qualche punto inefficace la preghiera di colui di cui il volere è potere? Forse che dalla Sede del principe degli Apostoli, vale a dire dalla Chiesa Romana, sia per mezzo del medesimo Pietro, sia per mezzo de’ suoi successori, non furon riprovati e messi in causa e confutati gli errori di tutti gli eretici e confermato l’animo de’ fratelli nella fede di Pietro, che fin qui non venne meno, né verrà meno sino alla fine?
Cap. 11. Voi, col cagionare danno alla Sede suprema, della quale a nessun uomo è lecito giudicare, avete meritato l’anatema da tutti quanti i Padri di tutti i Santi Concilii.
Cap. 31. Come il cardine, rimanendo immobile, volge e rivolge la porta, così Pietro e i successori di lui possiedono libera giurisdizione di ogni Chiesa; e nessuno deve attentare alla loro stabilità perché la Sede suprema non è giudicata da alcuno ».
(P. L., 143, 748, 751, 765).
Bonifacio VIII, Bolla Unam sanctam, 18 nov. 1302:
« Mossi dalla fede, siamo tenuti a credere ed esser fedeli alla santa Chiesa Cattolica, e apostolica per di più; e noi con fermezza la crediamo e con semplicità la professiamo, e fuor di essa non c’è né salvezza, né remissione de’ peccati… Unico dunque il corpo della sola e unica Chiesa, unico il Capo, non due come in un mostro, vale a dire Cristo e Pietro, il vicario di Cristo e il successor di Pietro, perché il Signore disse a Pietro in persona: pasci le mie pecore (Giov. XXI, 17). Disse mie in generale, non singolarmente queste o quelle; e s’intende perciò che gliele affidò tutte quante. Dunque se i Greci o altri negano di essere stati affidati a Pietro e a’ suoi successori, conviene confessino di non essere del gregge di Cristo, perché nel Vangelo di Giovanni dice il Signore che uno solo è l’ovile e unico il pastore (Giov. X, 46). « Il Vangelo ci insegna che in questa potestà che è potestà Sua stanno due spade, cioè la spirituale e la temporale…. L’una e l’altra dunque sta in poter della Chiesa, vale a dire la spada spirituale e la materiale. Questa dev’essere adoperata in prò’ della Chiesa, l’altra invece dalla Chiesa; l’una in mano del sacerdote, l’altra dei re e de’ soldati, però secondo il cenno e la discrezione del sacerdote. Inoltre bisogna che spada stia sotto spada e la potestà temporale sia soggetta all’autorità spirituale… È necessario che noi tanto più nettamente riconosciamo che la spirituale autorità è superiore a qualsiasi terrena sia per dignità sia per nobiltà, quanto le cose spirituali sono superiori alle temporali… Difatti, per attestazione della Verità, l’autorità spirituale è incaricata di istruire e giudicare quella terrena, se non sarà buona… Dunque se l’autorità terrena erra, sarà giudicata dall’autorità spirituale; se erra invece un’autorità spirituale inferiore, sarà giudicata da quella superiore; se poi la suprema, potrà essere giudicata da Dio soltanto, non da un uomo, come afferma l’Apostolo: l’uomo spirituale giudica tutto, lui stesso però non è giudicato da nessuno (I. ai Cor., II, 15). Orbene questa autorità, quantunque concessa all’uomo ed esercitata dall’uomo, non è umana, ma piuttosto divina, conferita per bocca di Dio a Pietro e confermata tanto per lui quanto pe’
suoi successori nella persona di colui stesso, che pietra sarà stato proclamato, giusta le parole del Signore a Pietro: tutto ciò che avrai legato ecc. (Matt. XVI, 19). Chiunque perciò resiste a quest’autorità così ordinata da Dio, si oppone alla disposizione di Dio… Inoltre dichiariamo affermiamo definiamo e pronunciamo che per ogni creatura umana lo star soggetta al Romano Pontefice è assolutamente necessario per la salvezza » .
(Extr. comm., I , 8, 1).
DOMANDA 132a.
S. Ignazio d’Antiochia, Epist. ad Smyrnæos, VIII, 1:
« Obbedite tutti al Vescovo, come Gesù Cristo al Padre…. Nessuno osi far nulla di ciò che spetta alla Chiesa separatamente dal Vescovo. Sia ritenuta valida l’Eucaristia, che si fa sotto il Vescovo o sotto chi ne è autorizzato da lui. Dov’è il Vescovo ci sia il popolo, come dov’è Cristo c’è la Chiesa cattolica. Non si può né battezzare né celebrar l’agape senza vescovo; ma tutto ciò che è approvato da lui è approvato anche da Dio, dimodoché tutto ciò che si fa è sicuro e valido ».
(Patres Apostolici, ed. Funck, I , 282).
S. Ireneo, Adv. hæreses, III, 1, 1:
« A chiunque desidera conoscer la verità è dato di osservare in ciascuna chiesa la tradizione apostolica chiara in tutto il mondo; e possiamo contare quelli che furono creati Vescovi dagli Apostoli e loro successori fino a noi; orbene questi niente insegnarono e conobbero di ciò che costoro pazzamente dicono ».
(P. G., 7, 848).
DOMANDA 133a
Pio XI, Encicl. Mortalium animos, 6 genn. 1928:
« Cristo Signore poi costituì la sua Chiesa come una società perfetta, per natura esteriore e sensibile, allo scopo di proseguir nel futuro l’opera di restaurare l’uman genere sotto la guida d’un sol capo (Mtt. XVI, 18 s.; Luc. XXII, 32; Gio. XXI, 15-17) col magistero della parola viva (Marc. XVI, 15) e coll’amministrazione de’ Sacramenti, sorgenti della grazia celeste (Gio. III, 5; VI, 48-59; XX, 22 s.; cfr. Mtt. XVI, 18 etc.); per questo, con paragoni, la disse somigliante a un regno (Mtt. XXIII), a una casa (cfr. Mtt. XVI, 18), a un ovile (Gio. X, 16), a un gregge (Gio. XXI, 15-17). Orbene questa Chiesa, così mirabilmente costituita, non poteva, dopo la morte del suo Fondatore e degli Apostoli, condottieri della sua diffusione, non poteva certamente né cessare né spegnersi, dacché aveva incarico di condurre gli uomini tutti all’eterna salute, senza distinzione di tempo e di spazio: dunque andate e insegnate a tutte le genti, (Mtt. XXVIII, 19) …. Ebbene nessuno vive, nessuno continua a vivere in questa Chiesa unica di Cristo, se non riconosce e accoglie, coll’obbedienza, l’autorità e la potestà di Pietro e de’ suoi legittimi successori ».
(Acta Apost. Sedis, XX, 8, 15).
DOMANDA 136a
Concilio IV. di Laterano (1215) Contra Albigenses, C. I,
De fide catholica:
« Unica invero è la Chiesa universale de’ fedeli; e fuor di essa nessuno affatto può salvarsi ».
(Mansi, XXII, 982).
Concilio di Firenze, Decretum prò Jacobitis, e Bolla Cantate Domino, 4 febbr. 1441 :
« La Santa Chiesa Romana fermamente crede, professa e proclama che nessuno può divenir partecipe della vita eterna, se non vive dentro la Chiesa Cattolica, non solo i pagani, ma neanche i giudei, gli eretici e gli scismatici; anzi cadrà nel fuoco eterno, che è stato preparato pel diavolo e i suoi angeli (Mt. XXV, 41) se non sarà, prima di morire, unito alla medesima; che tanto ha valore l’unità del corpo della Chiesa che i Sacramenti di essa profittano a salute soltanto per chi rimane in essa e solo per lui meritano premio eterno tanto i digiuni quanto le elemosine e gli altri esercizi e compiti della pietà cristiana; e che nessuno può salvarsi, se non rimane in seno e nell’unità della Chiesa cattolica, per quante elemosine faccia e anche se, per gloria di Cristo, versa il suo sangue
».
(Mansi, XXXI, 1739).
Innocenzo III, Epist. Ejus exemplo, 18 dic. 1208 all’Arcivescovo di Tarragona, Professione di fede proposta a Durando di Osea e a’ suoi compagni Valdesi:
« Crediamo col cuore e professiamo colla parola un’unica Chiesa, non l’eretica, ma la santa Romana cattolica e apostolica, fuor della quale crediamo che nessuno si salva ».
( P. L., 215, 1511).
Bonifacio VIII: Vedi D. 131.
Pio IX, Allocuz. Singulari quadam, 9 dic. 1854:
« Sappiamo con dolore che un secondo errore, non meno esiziale, ha invaso talune parti del mondo cattolico e si è insediato generalmente nell’animo de’ cattolici, che pensano d’aver bene a sperare per la salvezza di tutti coloro, i quali non vivono affatto nella vera Chiesa di Cristo. Perciò spesso spesso è loro abitudine insistere a chiedere quale mai sarà dopo morte la sorte e lo stato di coloro, che non appartennero mai alla fede cattolica, aspettando alle loro vanissime pretese una risposta, che a tal sentenza sbagliata porga sostegno. Non osiamo per carità! venerabili Fratelli, metter limiti alla misericordia divina, che è infinita, né scrutare gli arcani disegni e giudizi di Dio, che sono un abisso profondo (Salm. XXXV, 7) e impenetrabile all’umano pensiero. Vogliamo invece, com’è del nostro compito apostolico, destare la vostra episcopale premura e, vigilanza nell’intento che con ogni vostro sforzo scacciate dalla mente degli uomini quell’empia quanto funesta opinione, che si possa cioè in qualsiasi religione trovar la via dell’eterna salute. Con quella sollecitudine e dottrina che vi distingue, istruite i popoli affidati alla vostra cura, mostrando che i dogmi della fede cattolica non sono contrari alla misericordia e alla giustizia divina. « Bisogna credere che nessuno può salvarsi, fuori della Chiesa Apostolica Romana, che questa è l’arca unica di salvezza, che morirà nel diluvio chi non vi entra; ma parimenti bisogna tener per certo che davanti a Dio non hanno colpa di sorta quelli che ignorano la vera religione, se l’ignoranza è davvero invincibile. « Orbene chi presumerà designare i limiti di siffatta ignoranza, secondo le varie differenze di popolo, di regione, di ingegno e di molte altre circostanze? Infatti, quando, sciolti da questi vincoli del corpo, vedremo Dio com’è, capiremo di certo quanto siano strettamente e bellamente intrecciate la misericordia e la giustizia divina; però, fino a che viviamo in questo mondo gravati dal peso mortale che inebetisce l’anima, dobbiamo tener per fermo, secondo la dottrina cattolica, che vi è un solo Dio, una sola fede, un solo battesimo (agli Ef., IV, 5 ); andar più innanzi coll’indagine non è lecito».
(Acta Pii IX, I, 1, 625).
Leone XIII, Encicl. Satis cognitum, 29 giugno 1896:
« Orbene, se si guarda al fatto storico, Gesù Cristo fondò e formò la Chiesa non di natura tale che comprendesse più comunità di genere simili, ma distinte, né tra loro collegate da vincoli tali da formare una Chiesa individua e unica; proprio nel modo che noi professiamo nel Simbolo della fede Credo in una sola…. Chiesa…. Davvero Gesù Cristo, parlando di siffatto edificio mistico, non fa menzione se non di un’unica Chiesa, che chiama la sua: edificherò la mia Chiesa (Matt. XVI, 18). Qualunque altra fuor di questa si pensi, non può essere la vera Chiesa di Cristo, perché non fondata da Gesù Cristo…. Sicché deve la Chiesa profondere largamente su tutti gli uomini e propagare a tutte le generazioni la salvezza conquistata da Gesù Cristo e insieme tutti i benefici che ne provengono. Perciò, secondo la volontà del Fondatore, è necessario che sia unica in tutto il mondo, perennemente… È dunque la Chiesa di Cristo unica e perpetua: chiunque se ne stacca abbandona la volontà e il precetto di Cristo Signore e, lasciato il sentiero di salvezza, scivola verso la morte ».
(Acta Leonis XIII, XVI, 163, 165, 168).
S. Cipriano, De unitate Ecclesiæ, 6:
« La sposa di Cristo non può esser adulterata; è incorrotta e pudica. Conosce una sola casa, custodisce con casto pudore la santità di un sol talamo. Essa ci conserva a Dio, essa destina al regno i figli che ha generato. Chiunque, staccatosi dalla Chiesa, si congiunge all’adultera, si separa pure dalle promesse della Chiesa; e non giungerà alla ricompensa di Cristo chi abbandona la Chiesa di Cristo. È uno straniero, è un profano, è un nemico. Non può più avere per padre Dio, chi non ha per madre la Chiesa. Se poté evadere chiunque rimase fuor dall’Arca di Noè, anche chi rimarrà fuor dalla Chiesa consuma un’evasione ».
(P. L., 4, 518 s.).
S. Girolamo, Epist. 15 (Ad Damasum), 2:
« Io, non seguendo altri per primo se non Cristo, sono intimamente unito in comunione alla tua Beatitudine, cioè alla cattedra di Pietro. So che su quella pietra fu edificata la Chiesa. Chiunque mangerà l’agnello fuor di questa casa è un profano. Chi non sarà nell’arca di Noè andrà perduto nella furia del diluvio ».
(P. L., 22, 355).
S. Agostino, Sermo ad Cæsariensis ecclesiæ populum, 6:
« (Salvezza l’uomo) non può trovare se non nella Chiesa cattolica. Fuor della Cattolica Chiesa può trovar tutto, tranne la salvezza. Può aver onori, può aver Sacramenti, può cantare l’Alleluja, può rispondere l’Amen, può tener il Vangelo, può nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo avere e proclamare la fede, mai però fuori della Chiesa cattolica, potrà trovare la salvezza ».
(P. L. 43, 695).
DOMANDA 137a.
Pio XI, Encicl. Rerum Ecclesiæ, 28 febbr. 1926:
« Quelli, che con attenzione studiano i fasti della Chiesa, non possono non rilevare che, fin dai primi tempi della ricuperata salvezza, le sollecitudini e i pensieri de’ Romani Pontefici furono soprattutto rivolti a spargere, senza mai lasciarsi distogliere da difficoltà e ostacoli, la luce della dottrina evangelica e i benefici della civiltà cristiana tra i popoli che sedevano « nelle tenebre e nell’ombra di morte » . E difatti la Chiesa non è destinata ad altro che a rendere partecipi tutti quanti gli uomini della salutare redenzione, col dilatare il regno di Cristo in tutto il mondo; ma chiunque sia, che, per volere di Dio, fa le veci in terra di Gesù Principe de’ pastori, non può contentarsi solamente di proteggere e salvare il gregge del Signore, che ricevette da governare, ma verrebbe meno al suo principale compito se non cercasse con ogni sforzo di guadagnare e congiungere a Cristo gli stranieri e gli estranei ».
(Acta Apost. Sedis, XVIII, 65).
S. Agostino, Contra Epist. Manichæi, 5:
« Nella Chiesa…. cattolica…. molti motivi mi tengono attaccato al suo grembo con piena ragione: il consenso de’ popoli e delle genti; il prestigio, cominciato co’ miracoli, nutrito di speranza, accresciuto dalla carità, confermato dall’antichità; la successione sacerdotale da Pietro Apostolo stesso, cui dopo la risurrezione il Signore affidò da pascere le sue pecore, fino al presente episcopato; finalmente il nome stesso di Cattolica, non senza una ragione riservato, in mezzo a tante eresie, a questa Chiesa soltanto, sicché, mentre gli eretici pretendono tutti d’esser detti cattolici, nessun eretico oserebbe d’indicare la sua basilica o la sua casa, se un forestiero domandasse dove si trova la Chiesa Cattolica ».
(P. L., 42, 175).
Il medesimo, De Symbolo, sermo ad cathecumenos, 14:
« Essa è la Chiesa santa, la Chiesa unica, la Chiesa vera, la Chiesa cattolica, in lotta contro tutte le eresie; può combattere, ma non esser vinta. Uscirono da essa, come sarmenti vani staccati dalla vite, tutte l’eresie; ma essa rimane nella sua radice, nella sua vite, nella sua carità ».
(P. L., 40, 635).
DOMANDA 138a.
S. Cipriano, Epist. V, 40, 5 :
« C’è un Dio solo e un solo Cristo e una sola Chiesa e una sola cattedra fondata per volere di Dio su Pietro. Oltre l’unico altare e l’unico sacerdozio non se ne può costituire un altro nuovo. Chi raccoglierà altrove, disperde ».
(P. L., 4, 345).
S. Ambrogio, In Psalm., 40, 30:
« È proprio Pietro, al quale disse Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa (Mtt. XVI, 18). Dunque ov’è Pietro, ivi non c’è morte, ma vita eterna ».
(P. L., 14, 1134).
DOMANDA 144a.
Adamanzio, Dìalogus de recta in Deum fide, V. 28:
« Proprio della sola verità vive giustamente e santamente e piamente la Chiesa cattolica, e chi ha cambiato strada e s’è allontanato da essa sta lungi dalla verità; e se, a parole, afferma di conoscere la verità, di fatto n’è assai lontano ».
(P. C, 11, 1883).
S. Cipriano, Inter S. Cornelii Epistolas, Epist. 12, 14:
« Osano (gli erètici) venir per mare alla cattedra di Pietro e alla Chiesa principale, dond’ebbe origine l’unità del sacerdozio, e portar lettere da parte degli scismatici e degli estranei; e non riflettono che son Romani quelli, la fede de’ quali fu celebrata dalla parola dell’Apostolo, ai quali non può aver accesso la perfidia? »
(P. L., 3, 844, 3).
S. Pier Crisologo, Epist. ad Eutychen, 2:
« Ti esortiamo con ogni premura, o venerabile fratello, di osservare attentamente le cose che ha scritto il beatissimo Papa di Roma; perché il beato Pietro, che vive e governa nella propria sede, fornisce a chi la cerca la verità della fede. E noi non possiamo, per desiderio di pace e di fede, trattar questioni di fede fuor dal consenso del Vescovo di Roma ».
(P. L., 54, 741 s.).
DOMANDA 147a.
Concilio Vaticano, Costit. Pastor Æternus, cap. 4, De Romani Pontificis infallibili magisterio:
dal principio della fede cristiana, a gloria del Salvatore nostro Dio, per l’esaltazione della religione cattolica e la salvezza de’ popoli cristiani, insegniamo, col consenso del sacro Concilio, e definiamo come rivelato da Dio il dogma che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando definisce, colla suprema sua autorità Apostolica come pastore e maestro di tutti i Cristiani, che una dottrina riguardante la fede o i costumi dev’essere ricevuta da tutta la Chiesa, gode, in virtù dell’assistenza divina promessagli nella persona del beato Pietro, di quell’infallibilità, di cui volle il divin Redentore fornire la sua Chiesa nel determinare l’insegnamento circa la fede o i costumi; e che perciò tali definizioni del Romano Pontefice sono irreformabili di per se stesse, non per consenso della Chiesa.
« Sia scomunicato chiunque (Dio non permetta) presumerà contraddire a questa Nostra definizione ».
DOMANDA 148a.
Concilio Vaticano, Costit. Dei Filius, cap. 3 :
« Orbene bisogna credere con fede divina e cattolica tutto ciò ch’è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata e che viene proposto, come divinamente rivelato, dalla Chiesa, sia con giudizio solenne sia col magistero ordinario e universale ».
DOMANDA 150a.
Concilio Vaticano, Costit. Dei Filius, cap. 4, De fide et ratione :
« Ora la Chiesa, che insieme coll’incarico apostolico di insegnare ricevette il mandato di custodire il deposito della fede, ha da Dio anche il diritto e il dovere di proscrivere la falsa scienza affinché nessuno sia tratto in inganno da una filosofia vana e fallace (Ai Coloss. II, 8). E perciò non soltanto è proibito a tutti i fedeli Cristiani di difendere come legittime conclusioni della scienza le opinioni, che si conoscono contrarie all’insegnamento della fede, specialmente se sono state riprovate dalla Chiesa, ma è fatto obbligo assoluto di considerarle piuttosto come errori, che presentano un’apparenza ingannevole di verità ».
DOMANDA 151a.
Concilio Vaticano: Vedi D. 150.
Alessandro VII, Costit. Regiminis Apostolici, 15 febbr. 1664:
« Io N. mi sottometto alla Costituzione Apostolica del papa Innocenzo X, pubblicata il 31 maggio 1653, e alla Costituzione del papa Alessandro VII, pubblicata il 16 ottobre 1656 e con animo sincero respingo e condanno le cinque proposizioni estratte dal libro, intitolato Augustinus, di Cornelio Giansenio e nel senso inteso dal medesimo autore, come le ha condannate la Sede Apostolica con le predette Costituzioni; e giuro così: m’aiuti Dio e questi Santi vangeli di Dio ».
(Du Plessis, 1. C., III, 11, 315).
Clemente XI, Costit. Vineam Domini Sabaoth, 16 lugl. 1705:
« Affinché in avvenire sia tolta affatto ogni occasion d’errore e tutti i figli della Chiesa cattolica imparino ad ascoltar la Chiesa stessa non solo in silenzio (anche gli empii tacciono nelle tenebre) ma pure con esteriore ossequio, ch’è la vera obbedienza di chi sta nell’ortodossia, decretiamo, dichiariamo, stabiliamo e ordiniamo, per mezzo di questa nostra Costituzione valevole in perpetuo e coll’autorità stessa degli Apostoli, che non si soddisfa per niente affatto con quell’ossequio tacito all’obbedienza ch’è dovuta alle precitate Costituzioni apostoliche; ma che il senso, quale offrono le parole di esse, del libro di Giansenio, condannato nelle cinque predette proposizioni, dev’essere da tutti i fedeli di Cristo rifiutato e condannato come eretico non soltanto colla bocca, ma anche col cuore; e che non si può sottoscrivere lecitamente a detta formola con intenzione, animo o credenza differente, sicché coloro i quali penseranno, riterranno, predicheranno, insegneranno a voce o per iscritto, affermeranno diversamente o contrariamente riguardo a questi punti tutti i singoli, soggiaceranno, come trasgressori delle predette Costituzioni apostoliche, a tutte e singole le censure e pene di esse ».
(Idem, ib. III, 11, 448).
Pio X, Decreto Lamentabili, 3 luglio 1907, 7a delle proposizioni condannate:
« La Chiesa, quando proscrive gli errori, non può esigere dai fedeli assenso interiore di sorta, che accolga i giudizii da essa pronunciati ».
(Acta Apost. Sedis, XL, 471).
DOMANDA 152a.
Pio IX, Epist. Tuas libenter, 22 die. 1863 all’arcivescovo di Monaco e Frisinga :
« Ma quando si tratta della sottomissione, alla quale son obbligati in coscienza tutti quei cattolici, che si dedicano alle scienze speculative per portare coi loro scritti nuovi vantaggi alla Chiesa, in questo caso devono riconoscere i membri della medesima Assemblea che per gli studiosi cattolici non basta che accolgano e rispettino i predetti dogmi della Chiesa, ma occorre anche sottomettersi sia alle decisioni, che in riferimento alla dottrina son pubblicate dalle Congregazioni pontificie, sia a quei punti della dottrina che, per comune e costante consenso de’ Cattolici, son ritenuti come verità teologiche e conclusioni di tal certezza che le opinioni ad essi contrarie, benché non possano dichiararsi eretiche, tuttavia meritino un’altra censura teologica ».
(Acta Pii IX, I, III, 642-43).
Pio X, Decreto Lamentabili, 3 luglio 1907, 8a prop. tra le condannate:
« Son da ritenere esenti da ogni colpa quelli che non tengono alcun conto delle riprovazioni espresse dalla Sacra Congregazione dell’Indice o da altre Sacre Congregazioni Romane ».
(Acta Apost. Sedis, 1. c.).
DOMANDA 158a.
S. Agostino, De fide et Symbolo, 21 :
« Crediamo anche nella santa Chiesa, s’intende, cattolica. Perché anche gli eretici e i scismatici chiaman chiese le loro congregazioni. Ma gli eretici, pensando falsamente di Dio, violano proprio la fede; a lor volta i scismatici con le ingiuste divisioni si staccano dalla carità fraterna, pur credendo a quel che crediamo noi. Perciò né gli eretici appartengono alla Chiesa Cattolica, in quanto essa ama Dio, né i scismatici, in quanto ama il prossimo ».
(P. L., 40, 193).
DOMANDA 162a.
Innocenzo II (1130-1143), Epist. Apostolicam Sedem, al vescovo di Cremona:
« Alla tua domanda rispondiamo così: Affermiamo senza esitazione (sulla scorta de’ santi Padri Agostino e Ambrogio) che il prete, di cui c’informi che morì senza battesimo, fu libero dal peccato originale e raggiunse il gaudio della patria celeste, perché fu perseverante a credere nella Chiesa Cattolica e a professare il nome di Cristo. Leggi l’ottavo libro di Agostino De Civitate Dei, dove tra l’altro si trova: « S’amministra invisibilmente il battesimo, se viene escluso non per disprezzo della religione, ma per forza maggiore ». Sfoglia anche il libro del beato Ambrogio De obitu Valentiniani, che afferma la stessa cosa. Dunque, messe da parte le discussioni, tienti alla sentenza de’ dotti Padri e raccomanda di offrire a Dio nella tua Chiesa perenni preghiere pel nominato prete ».
(P. L., 179, 624).
Pio IX, Encicl. Quanto conficiamur, 10 ag. 1863 ai Vescovi d’Italia:
« E qui, o diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, conviene di nuovo ricordare e riprovare un errore gravissimo, nel quale sono miseramente irretiti taluni cattolici, secondo i quali possono giungere alla vita eterna gli uomini che vivono negli errori e lontani dalla vera fede e dall’unità cattolica. Ciò è affatto contrario alla dottrina cattolica. È noto a Noi e a Voi che chi per disgrazia si trova nell’ignoranza invincibile riguardo alla nostra santissima religione e, osserva diligentemente la legge naturale co’ suoi precetti scolpiti da Dio nel cuore di tutti ed è pronto a obbedire a Dio, conducendo una vita onesta e giusta, può conseguire la vita eterna, in virtù della luce e grazia divina, perché Dio, il quale vede perfettamente, scruta e conosce la mente, l’animo, i pensieri, le abitudini di tutti, non permette, nella sua somma bontà e clemenza, che sia punito colle eterne pene chiunque non abbia commesso colpa volontaria. Ma è notissimo pure il dogma cattolico che nessuno può salvarsi fuor della Chiesa cattolica e che non possono conseguir l’eterna salvezza i ribelli all’autorità e alle definizioni della Chiesa medesima e gli ostinati nella separazione dall’unità della Chiesa stessa e dal successore di Pietro, il Romano Pontefice, al quale fu affidata dal Salvatore la custodia della vigna ».
(Acta Pii IX, I, III, 613).
DOMANDA 163a.
Pio IX: Vedi D. 162.
DOMANDA 166a.
Leone X III, Encicl. Immortale Dei, 1 nov. 1885:
« …. 16. Il Figlio di Dio Unigenito stabilì sopra la terra una società, che si chiama Chiesa, alla quale affidò di proseguire per tutte le generazioni l’alto e divino mandato, che Egli stesso aveva ricevuto dal Padre…. 18. Questa società, benché sia composta di uomini non altrimenti che la società civile, tuttavia per il fine a lei assegnato e per i mezzi di cui si giova al fine, è soprannaturale e spirituale: e perciò si distingue e differenzia dalla società civile : e, ciò che più importa, è una società perfetta per origine e per diritto, dacché possiede in sé e per se stessa, per volontà e benefizio del suo Fondatore, tutti gli ammennicoli necessari alla sua integrità e attività. Come il fine, al quale mira la Chiesa, è di gran lunga il più nobile, così la sua potestà è di tutte la più eccellente, né può ritenersi inferiore al potere civile o ad esso in qualsiasi maniera soggetta. 24 Pertanto Dio divise tra due poteri la cura dell’uman genere, cioè tra l’ecclesiastico e il civile, l’uno preposto alle cose divine, l’altro alle umane. L’uno e l’altro è nel suo genere massimo: l’uno e l’altro ha determinati limiti, entro ai quali è contenuto, e segnati con precisione dalla natura e dalla ragione di ciascuno: sicché si determina per così dire un circolo, dentro al quale con proprio diritto si esercita l’azione di ciascuno. 25 Ma perché il dominio dell’uno e dell’altro è in rapporto ai medesimi sudditi, potendo accadere che una causa unica e medesima, benché per diversi riguardi, ma tuttavia la medesima causa, cada sotto la giurisdizione e il giudizio di entrambi, Dio provvidentissimo deve avere coordinato rettamente il cammino di entrambi, Egli dal quale ambedue furono costituiti. Orbene le cose che son da Dio ordinate (ai Rom. XIII, 1) 26. Pertanto bisogna che tra l’uno e l’altro potere passi un vincolo ordinato, che davvero può essere paragonato giustamente al vincolo, col quale sono uniti nell’uomo anima e corpo. Ma quale e quanto grande sia esso non si può giudicare altrimenti se non riguardando, come abbiam detto, alla natura dell’uno e dell’altro e col tener calcolo della importanza e nobiltà delle cause: difatti all’uno è assegnato più propriamente e soprattutto procurare il vantaggio negli interessi terreni, all’altro procurare i beni celesti ed eterni. Dunque tutto ciò ch’è sacro in qualche modo nel vivere umano, tutto ciò che ha rapporto alla salvezza delle anime e al culto di Dio, tanto se è tale di natura sua, quanto se s’intenda in grazia della causa cui si riferisce, è totalmente in potere ed arbitrio della Chiesa; il resto, che ha carattere civile e politico, è giusto che rimanga soggetto all’autorità civile, secondo il comando di Gesù Cristo che sia dato a Cesare quel ch’è di Cesare e a Dio quel ch’è di Dio. 54 In realtà se la Chiesa giudica illecito che godano dello stesso diritto, di cui gode la vera religione, le varie specie di culto divino, non pertanto condanna que’ capi di Stato, i quali o per conseguire qualche gran bene o scansar qualche gran male, tollerano che in forza dell’abitudine in ciascuno Stato abbiano posto ».
(Acta Leonis XIII, V, 124, 125, 127, 128).
Il medesimo, Encicl. Au milieu, 16 febb. 1892:
« Questo stato di cose nasce…. in certi paesi. Ed è uno stato che cagiona sì parecchi inconvenienti, però anche qualche vantaggio, soprattutto quando il legislatore, per una felice incoerenza, si lascia ispirare dai principii cristiani; e que’ vantaggi, quantunque non valgano a giustificare il falso principio della separazione, né a permetterne la difesa, rendono però meritevole di tolleranza uno stato di cose che, praticamente, non è il peggiore di tutti ».
(Acta Leonis XIII, XII, 39).
Il medesimo, Epist. Longinque Oceani, 6 genn. 1895:
« Da voi, senza opposizione del potere civile, fu concesso alla Chiesa sicura facoltà di vivere e di operare indisturbata, fuor d’ogni vincolo di leggi, difesa contro la violenza dal diritto comune e dalla rettitudine de’ giudizi. È vero: tuttavia bisogna distruggere l’errore che dall’America sia da prendere il modello della miglior situazione della Chiesa: o che, in generale, sia lecito o conveniente che, secondo il costume d’America, siano estranee e staccate le ragioni della vita civile e della vita religiosa ».
(Acta Leonis XIII, XV, 7).
DOMANDA 167a.
Leone XIII, Encicl. Diuturnum illud, 29 giugno 1881 :
« Senza dubbio la Chiesa di Cristo non può essere né sospetta ai principi né invisa ai popoli. Da un lato essa avverte i principi di seguir la giustizia e di non trascurare il loro dovere in nessuna circostanza; ma insieme ne rafforza e conferma con molte ragioni l’autorità. Riconosce e dichiara in loro potere e supremo dominio le mansioni di carattere civile; e nelle questioni che spettano, sia pure per differente rapporto, tanto alla sacra quanto alla civile potestà, vuole che tra le due corra un’intesa, in virtù della quale si evitano contrasti dannosi a entrambe ».
(Acta Leonis XIII, II, 285).
Il medesimo, Encicl. Immortale Dei. Vedi D. 166.
Pio X, Encicl. Vehementer, 11 febb. 1906:
« È certamente falsissima e quanto mai disastrosa sentenza quella che sia conveniente tener separato il vivere civile dal vivere ecclesiastico. Anzitutto fa grave ingiuria a Dio, perché si fonda sul principio che allo Stato non debba star a cuore per niente la religione, e Dio è proprio fondatore e conservatore dell’umana società non meno che de’ singoli uomini, sicché dev’essere onorato non solamente in privato, ma anche ufficialmente. Poi chiaramente afferma che non esiste il soprannaturale. Infatti riduce l’attività civile alla stregua della pura prosperità temporale, ragione particolare questa della civile società; trascura affatto il fine ultimo de’ cittadini, cioè l’eterna felicità assegnata fuor di questa breve vita agli uomini, come estraneo alla vita civile. Al contrario, come quaggiù è in tutto fissato l’ordine delle cose passeggere, così è verissimo che il governo civile, anziché nuocere, deve contribuire al raggiungimento di quel supremo e assoluto bene. Inoltre stravolge l’ordine della vita umana stabilito sapientissimamente da Dio e che senza dubbio esige la concordia delle due società, la religiosa e la civile. Siccome tutt’e due, ciascuna nel suo campo, esercitano sui medesimi sudditi il rispettivo governo, avviene di necessità che si dieno spesse volte questioni, di cui spetta ad entrambe la cognizione e la soluzione. – Ora, se lo Stato non s’accorda colla Chiesa, con facilità nasceranno precisamente da quelle questioni germi di contrasti, perniciosi a entrambe, con rischio di turbare, insieme con gli animi, anche il giudizio della verità. Finalmente cagiona gravissimo danno alla società stessa civile; questa infatti non può fiorire e nemmeno reggersi a lungo, trascurando la religione, suprema guida e maestra per l’uomo nell’osservanza scrupolosa de’ diritti e de’ doveri ».
(Acta Pii X, III, 26 – 27).
DOMANDA 169A.
Pio IX Epist. Gravissimas inter acerbitates, 11 dic. 1864, all’arcivescovo di Monaco e Frisinga:
« Perciò la Chiesa, in virtù dell’autorità conferitagli dal suo divin Fondatore, ha non soltanto diritto, ma dovere di non tollerare, anzi di proscrivere e condannare tutti gli errori, se ciò lo esige l’integrità della fede e la salvezza dell’anime; e ogni filosofo, che vuol esser figlio della Chiesa, anzi la filosofia è obbligata di non contraddire mai all’insegnamento della Chiesa e di ritrattare tutto quanto la Chiesa ne li avverte. Affermiamo e dichiariamo affatto erronea e quanto mai ingiuriosa alla fede stessa e alla Chiesa e alla sua autorità la sentenza che insegna il contrario ».
(Acta Pii IX, I, III, 554-55).
Leone X III, Encicl. Immortale Dei, 1 nov. 1885:
« Però, se si discute di argomenti puramente politici, della migliore forma di governo, di amministrare uno Stato così o colà, si può onestamente aver pareri differenti. Dunque giustizia non tollera di considerar colpa un parere differente circa gli accennati argomenti in coloro, de’ quali è nota del resto la onestà e la disposizione pronta ad accogliere con obbedienza i decreti della Sede Apostolica e peggiore ingiustizia assai è l’incriminarli, come non una volta sola ci duole che sia accaduto, di guasta o sospetta fede cattolica. E insomma i pubblcisti, specialmente se giornalisti, s’attengano a codesto precetto. In questa discussione su argomenti d’importanza gravissima non s’ha da far posto a liti o parzialità, ma tutti quanti devono accordarsi e contribuire a ciò ch’è bene comune per tutti, vale a dire di conservare la religione e lo Stato. I dissidi passati, se ce ne furono, bisogna volonterosamente dimenticarli; avventatezze o torti fatti, di chiunque ne sia la colpa, vanno compensati con reciproco amore e, per così dire, riscattati con profondo unanime omaggio alla Sede Apostolica. – « Su questa strada i Cattolici conseguiranno un duplice importantissimo vantaggio: di prestar aiuto alla Chiesa nel conservare e propagare la sapienza cristiana e di procurare un eccellente beneficio alla società civile, di cui pericola la salvezza per causa delle malvagie dottrine e ambizioni ».
(Acta Leonis XIII, V, 149-50).
DOMANDA 174a.
Concilio di Trento, sess. XXV, Sull’invocazione, la venerazione e le reliquie de’ Santi e sulle sacre immagini:
« Il santo Sinodo incarica tutti i Vescovi e gli altri, che hanno dovere e cura d’insegnare, affinché istruiscano con ogni premura i fedeli circa l’intercessione de’ Santi, l’invocazione, il culto delle reliquie e l’uso legittimo delle immagini, secondo la consuetudine della Chiesa cattolica e Apostolica, già invalsa fin dai primi tempi della religione cristiana, e l’approvazione de’ santi Padri e i decreti de’ sacri Concilii. E insegnino che i Santi, trionfanti ora insieme con Cristo, offrono le loro preghiere a Dio per gli uomini; ch’è cosa buona e utile invocarli supplichevolmente e ricorrere alle loro preghiere, alla loro potenza, al loro patrocinio per ottenere le grazie da Dio in nome del suo Figliuolo Gesù Cristo Signor nostro, ch’è l’unico nostro Redentore e Salvatore…. che son degni di venerazione da parte de’ fedeli anche i corpi santi de’ santi Martiri e degli altri che vivono in Cristo, già membra vive di Cristo e tempio dello Spirito Santo, destinati ad esser risuscitati da lui stesso a vita eterna e glorificati. Per mezzo di essi appunto Dio largisce agli uomini molti beneficii ».
S. Girolamo, Contra Vigilantium, 6:
« Affermi nel tuo libercolo che, mentre siam vivi, possiamo vicendevolmente pregare per noi, ma che, dopo morti, nessuna preghiera dell’uno per l’altro può esser esaudita, specialmente se nemmeno i martiri han potuto ottenere, pregando, la vendetta del loro sangue. Se gli Apostoli e i martiri possono pregare per tutti gli altri, da vivi, cioè quando ancora devono pensare per sé, tanto più non potranno dopo la corona, la vittoria e il trionfo? »
(P. L., 23, 344).
DOMANDA 175a.
S. Cirillo di Gerusalemme, Catecheses, V, 8:
« Poi ricordiamoci anche di quelli che s’addormentarono nel Signore; anzitutto de’ Patriarchi, Profeti, Apostoli, Martiri, affinché Dio accolga la nostra preghiera per le preghiere e l’intercessione loro; poi anche per i defunti santi Padri e Vescovi e in generale per tutti quelli che vissero tra noi, avendo fede che grandissimo aiuto sarà per quell’anime, per le quali è fatta la preghiera, mentre qui giace la vittima santa e terribile » .
(P. G., 33, 1115).
S. Agostino, De Civitate Dei, XX, 9, 2:
« Infatti non si separano le anime pie de’ morti dalla Chiesa, la quale anche ora è il regno di Cristo. Altrimenti non si farebbe memoria di essi all’altare di Dio nella comunione del corpo di Cristo » .
(P. L., 41, 674).
DOMANDA 177a.
Concilio IV d i Laterano (1215) c. I . , De fide catholica, Contra Albigenses:
« E se, dopo ricevuto il battesimo, uno cadrà in peccato, può riabilitarsi sempre per mezzo di una sincera penitenza » .
(Mansi, XXII, 982).
Concilio di Trento; vedi D. 143.
S. Leone IX, Epist. Congratulamur vehementer, 16 apr. 1053, Symbolum fidei:
« Credo che la vera Chiesa è santa, cattolica e apostolica e unica, nella quale si dà un solo battesimo e la vera remissione di tutti i peccati ».
(P. L., 143, 772).
DOMANDA 179a.
Concilio IV di Laterano (1215), c. I , De fide catholica contra Albigenses :
« E finalmente il figlio di Dio Unigenito Gesù Cristo…. che verrà alla fine del mondo per giudicare i vivi e i morti e retribuire a ciascuno secondo le opere sue, tanto ai reprobi quanto agli eletti: ed essi tutti risorgeranno coi propri corpi che ora possiedono, per ricevere secondo le opere loro, tanto se buone quanto se cattive: quelli la pena perpetua col diavolo e questi la gloria eterna con Cristo ».
(Mansi, 1. c.).
S. Leone IX , Epist. Congratulamur vehementer, 16 apr. 1053, Symbolum fidei:
« Credo anche la vera risurrezione della medesima carne, che ora porto, e la vita eterna ».
(P. L., 143, 772).
Innocenzo III, Epist. Eius exemplo, 18 dic. 1208: Professione di fede stabilita ai Valdesi:
« Crediamo col cuore e confessiamo colle labbra la risurrezione di questa carne, che portiamo, e non d’un’altra » .
(P. L., 215, 1512).
S. Cirillo di Alessandria: In Ioann., VIII, 51:
« Tutti rivivranno e ritorneranno ancora in vita, tanto i fedeli quanto gl’infedeli. Difatti la risurrezione non è personale affatto, ma uguale per tutti, in quanto tutti devono rivivere ».
(P. G., 73, 918).
S. Giovanni Crisostomo, Sermones panegyrici, De resurrectìone mortuorum, 8:
« Poiché dunque la risurrezione è comune a tutti, tanto ai pii che agli empi, tanto ai cattivi che ai buoni, non devi per questo credere che si faccia un giudizio ingiusto, né dire tra te stesso: Come mai? Anche l’empio e l’idolatra e chi non conosce Cristo, anch’esso risorge e gode con me di uguale onore?…. Anche i corpi dei peccatori risorgono incorruttibili e immortali; ma questo onore sarà per loro fomite e viatico di pene e di vendetta; difatti risorgono incorruttibili per bruciare in eterno ».
(P. G., 50, 430).
DOMANDA 180a.
S. Giovanni Crisostomo, De resurrectione mortuorum, 7:
« E non obiettarmi in qual modo possa un corpo risorgere e diventar immune da corruzione. Infatti quando agisce la potenza di Dio, quella parola come non c’entra più…. Di grazia, come ha creato le potenze immense, le schiere degli Angeli e degli Arcangeli e i cori più alti di questi? Dimmi, ti prego, come fece Qui non potrei dire altro se non che bastò la sola volontà. Dunque chi formò tanti eserciti incorporei, non potrà rinnovare il corpo corrotto d’un uomo e innalzarlo a più grande dignità? »
(P. G., 50, 429 s.).
DOMANDA 182a.
S. Cirillo di Gerusalemme, Catecheses, XVIII, 18-19:
« Difatti proprio questo corpo risorgerà, non rimanendo, qual è, infermo, ma risorgerà esso medesimo. E rivestito d’incorruttibilità sarà trasformato, come il ferro messo al fuoco si f a fuoco, o piuttosto come sa il Signore, che lo risuscita. Risorgerà dunque proprio questo corpo, ma non rimarrà come ora, bensì durerà in eterno; non avrà più bisogno di cibi quali mangiamo noi per vivere, né di scale per salire; perché diventerà spirituale, una vera meraviglia, quale non siamo in grado d’esprimere per la sua alta dignità…. Dunque risorgeremo, avendo tutti corpi eterni, ma non tutti simili: perché, se uno è giusto, riceverà un corpo celeste per poter vivere degnamente in compagnia degli angeli; se invece uno è peccatore, riceverà un corpo eterno, adatto a patire la pena de’ peccati, per non essere distrutto nel fuoco, pur bruciando eternamente ».
(P. G., 33, 1039).