LA VERA E LA FALSA FEDE – X-
(P. Gioacchino VENTURA: LE BELLEZZE DELLA FEDE, vol. II. Genova; Ed. Dario Giuseppe Rossi, 1867)
LETTURA VI.
LA CREDENZA DEI MAGI OVVERO LA VERITÀ E LA CERTEZZA DELL’INSEGNAMENTO DELLA FEDE.
PARTE SECONDA.
S I CONFERMA ULTERIORMENTE LA VERITÀ DELLE ESPOSTE DOTTRINE
§ XVIII. – Applicazione delle esposte dottrine alla morale cristiana. Che cosa sono i SANTI; essi nella Chiesa cattolica solo si trovano. I principi del protestantismo diruttori di ogni virtù. Orribile corruzione di costumi ch’essi hanno prodotta. L’abolizione del celibato ecclesiastico vi ha potentemente contribuito. Necessità ed importanza di questa sublime istituzione pel sacramento della confessione. Che cosa è divenuto questo sacramento presso gli scismatici? 1 vizj che regnano fra i cattolici! Effetto della secreta influenza dell’eresie, come un avanzo di probità che si trova presso gli eretici è dovuto all’influenza segreta della cattolica verità, che sola genera la virtù.
Colla fede però e col culto l’eresia ha distrutto ancora e renduta impossibile la santità e la virtù. Uomo veracemente santo vuol dire uomo che quasi più non ritien nulla delle debolezze della corrotta umanità; che per la pratica dell’annegazione continua di tutto sé stesso ha soggiogata interamente la concupiscenza corporea, i sintomi della cupidigia e la febbre dell’orgoglio: che ha dato, dirò così, un nuovo corso, una nuova direzione alle sue inclinazioni carnali e terrestri per non averne altre che celesti e spirituali; ha rifuso interamente se stesso, e per mezzo della carità più disinteressata, più generosa, più pura e più perfetta non vive che in Dio, di Dio e con Dio. Ora questo prodigio, più grande, piò splendido di quello della risurrezione di un morto, giacche è più difficile, è più al disopra di tutte le leggi naturali che un uomo corrotto e terrestre viva una vita tutta spirituale, angelica, celeste e divina, di quello che un cadavere umano ritorni alla vita dell’umanità; questo prodigio, dico. non può essere l’opera delle fredde teoriche della ragione, ma dei sublimi sentimenti della fede; non può essere l’opera del fanatismo, ma della grazia; non può essere l’opera degli sforzi dell’uomo, ma dell’onnipotenza di Dio; giacché solamente il Dio che formò l’uomo può riformarlo, e sulle rovine dell’uomo, vecchio, che si confonde con Adamo peccatore, ristabilir l’uomo nuovo, che si confonde, si identifica e diventa una cosa sola con Gesù Cristo. Ora Iddio non può contraddire a se stesso; non opera perciò e non può operare miracoli se non in conferma della sua religione, della sua parola, né far servire la sua onnipotenza se non in difesa della sua verità. Perciò nella sola Chiesa cattolica si sono perpetuati i miracoli, non solo nell’ordine della natura, ma ancora nell’ordine della grazia, ed in essa sola coi taumaturghi si trovano i santi. Dimodoché, quando anche ogni altro argomento mancasse, dal vedere ch’essa sola forma i veri santi, che i santi in essa sola s trovano, e perciò dal vedere ch’essa sola è santa non pure nel suo capo invisibile e nelle sue leggi, ma ancora in moltissime delle sue membra, questa unica testimonianza basterebbe a dimostrare invincibilmente ch’essa sola è vera. Al contrario dove sono i santi che ha formati il protestantismo? Ci si nominino, ci si mostrino. Sul principio della riforma, turpi discepoli di maestri peggiori non arrossirono! (e di che mai arrossì l’eresia?) d’inserire nelle litanie dei santi i nomi di mostri di libidine, di orgoglio e di crudeltà! e i templi profanati echeggiarono dell’invocazione sacrilega di S. Lutero, S. Calvino, S. Swinglio, S. Arrigo VIII, Santa Elisabetta! Ma non è dato lungamente all’orgoglio d’insultare sì sfacciatamente al pudor pubblico e prendersi, questo segno, scherno del senso comune; oltredichè la commedia era non solo empia, ma ancora ridicola. Si rinunziò dunque a questa invocazione, e non mai più gli eretici delle diverse sette hanno avuta la stolida pretensione di vantarci dei SANTI, contentandosi solo d’indicarci degli ONESTI UOMINI. Noi al contrario mostriamo agli eretici con confidenza l’immenso catalogo de’ santi che fino ai dì nostri ha formati la grazia della vera fede. Noi ne abbandoniamo con .sicurezza la vita all’esame il più rigoroso dei nostri nemici. La considerino pure coll’attenzione di un occhio anatomico, che spiando i più reconditi recessi, le fibre più sottili del corpo umano. Ci additino, se loro riesce, in questi eroi della vera virtù, in questi prodigi della grazia, una sola azione, un sol sentimento, un solo pensiero, un solo affetto che non sia in armonia perfetta colla sublime perfezione del Vangelo. Ma gli eretici si guarderebbero bene di farci la stessa esibizione e la stessa disfida intorno ai loro onesti uomini. Se noi ci mettiamo col Vangelo alla mano, ad esaminarne la vita, troveremo che molti di questi santi della ragione sarebbero stati men degni dell’altare che del capestro. Sono sepolcri imbiancati che, scoperti all’occhio puro della vera fede, non esibiscono che tutta la miseria, l’egoismo, l’orgoglio dell’uomo corrotto, sotto il velo ben trasparente per altro di una probità bugiarda. – Del rimanente. mirate bene come in questa materia l’errore è conseguente, e come dalla sua bocca esce la verità. Citandoci solo onesti uomini, gli eretici si danno per vinti e confessano di non poterci esibire dei santi. Deh! che la santità cristiana non si ritrova che nel terreno della cristiana verità. Essa è un fiore che non germoglia che dalla vera fede; non spunta che colla rugiada della grazia dei sacramenti; non viene a perfezione che all’ombra della cattedra di S. Pietro; non ispiega l’incanto della sua bellezza che sotto il clima del Cattolicismo; non si raccoglie che nell’orto chiuso della vera Chiesa. In quanto poi alle persone notabili dell’eresia, S. Giuda apostolo le ha ben dipinte dicendole « alberi infruttuosi, senza radice, morti due volte, alla verità del credere ed alla santità dell’operare; stelle fatue che non hanno né luce durevole né vivificante calore: Arbores infruttuosæ, bis mortuæ, eradicatæ, sidera errantia (Jud. 12). » Non può fare un intero sacrifizio del cuore alla pratica del bene chi non comincia dal sacrificar l’intelletto alla credenza del vero. La matta indipendenza, l’orgoglio insensato della ragione è un mezzo efficace, come insegna S. Paolo, da corrompere tutto l’uomo anziché santificarlo. La santità non può adunque nascere nel terreno dell’errore che non produce che spine. Umane opinioni non possono produrre virtù divine. Come le credenze degli eretici non si sollevano alla dignità di domini, così non mai all’eroismo della santità s’innalzano le loro azioni. Il filosofismo e l’eresia sono egualmente impotenti a formare un vero credente ed un uomo veramente virtuoso. Essi han formato una volta tutto al più dei savj in apparenza secondo il mondo; non vi è che la vera fede che forma i s|anti secondo Dio. – Ma che dico io mai? La santità? Anche la virtù cristiana la più volgare si è diseccata ed è quasi interamente scomparsa sotto l’aura pestilenziale dello scisma e dell’ eresia. Quando si è scosso il giogo della fede, quello della legge diviene affatto insopportabile ed odioso. Perciò Lutero, mentre con una mano abbatteva i dommi più sacri, fu visto distruggere coll’altra i più gravi precetti, autorizzando il langravio di Assia a sposare altra moglie, vivente ancora la prima, e concedendo licenze ad ogni marito di servirsi ancor dell’ancella; accordando in una parola, non solo il divorzio ma l’adulterio ancora, ma la pluralità delle donne ed introducendo in Europa i costumi dell’Asia. E tutto ciò non ostante che l’unità e l’indissolubilità delle nozze sia stabilita, e l’adulterio chiaramente condannato nella Scrittura, che pure, per Lutero, è l’unica regola di morale e di fede che bisogna seguire. Ma la muta Bibbia, senza un’autorità che la interpreti, come dà luogo a diverse interpretazioni dommatiche, così dà luogo a diverse interpretazioni morali, e rende la regola dei costumi cosi arbitraria ed incerta come quella della fede. Subito che si è ammesso che ognuno deve formarsi da sé il suo simbolo, leggendo la Scrittura; si è dovuto pure ammettere che ognuno, leggendo pure la Scrittura, deve formarsi il suo decalogo, e tutti i nuovi decaloghi devono essere tollerati, come tutti i simboli novelli. La tolleranza di tutti gli errori rende necessaria quella di tutti i vizj. Non si può negar la licenza di tutto fare a chi si è conceduta quella di tutto credere. – Ma siccome ogni principio morale deve in un principio il suo appoggio, così i capi della riforma, come se avessero temuto che la logica delle passioni non sarebbe stata abbastanza forte per dedurre la più intemperante licenza del vivere dalla più sfrenata licenza dell’opinione, vollero dare una garanzia dommatica al vizio. Calvino coll’avere insegnato che la grazia del Battesimo, per qualunque eccesso che si commetta, non si perde giammai, eresse in domma l’indifferenza di tutti i vizj; e Lutero avendo insegnato che la sola fede è più che bastevole, che le opere buone, lungi dall’essere necessarie, sono anzi un ostacolo per conseguire l’eterna salute, fece un articolo di fede che tutti i vizj sona virtù. Val però senza dirlo che i buoni discepoli di sì buoni maestri si affrettarono di levare tatti gli ostacoli dalle opere buone che potevano contrastar loro l’acquisto dell’eterna salate; e si cominciarono a fare scrupolo di viver bene per non indebolire il merito e l’efficacia della fede. Perciò alla voce dell’eresia un torrente di vizj videsi venire appresso ad un torrente di errori. La vera probità cristiana scomparve colla vera fede, e ad eccezione del popolo particolarmente delle campagne, in cui le tradizioni cattoliche, con un avanzo di verità cristiana, mantennero tuttavia un’ombra di cristiana virtù, in generale però, nei paesi tiranneggiati dall’eresie e dallo scisma, la depravazione dei costumi divenne sì profonda e sì universale che in alcuni luoghi parve che la morale di Epicuro e di Petronio fosse sottentrata alla morale di Gesù Cristo. Ma qual meraviglia di ciò? la morale cristiana si mantiene tra i popoli per l’azione, e l’ascendente del clero. Ora quale azione, qual ascendente può mai avere sui popoli il clero eterodosso, i cui membri, prima di prendere una chiesa ossia di avere una sposa spirituale, ne prendono una carnale, e non si fan sacerdoti se non dopo esser divenuti mariti? La consacrazione, di cui si è conservato l’uso in Russia ed in Inghilterra, non obbligando alla continenza, non dà al sacerdote alcun carattere esteriore e visibile che gli concilii la venerazione e il rispetto. Non vi è che la castità, virtù sublime, caratteristica augusta dei cattolico clero, che, sollevando l’uomo al di sopra dell’umanità, lo fa riguardare come un essere angelico e divino, e gli dà quella superiorità di grado, quella forza morale sui cuori, di che gode il sacerdote cattolico. Tolto il celibato, è difficilissimo l’ottenere che il popolo riguardi come divina la parola di colui di cui lo stato del matrimonio rende umana e simile a quella degli altri la persona e la vita. Una toga nera ed un berretto rotondo forma, fuori della vera Chiesa, tutto il distintivo esteriore tra il laico ed il sacerdote. Ma il proverbio dice: Abito non fa il monaco. Ci vuole qualche cosa di più del semplice abito per dare all’uomo l’impero sul cuore umano. Oltre a che, quali sollecitudini può avere per gl’interessi della religione chi pria di tutto è obbligato a fare gl’interessi della sua famiglia? Quale affezione, qual zelo pastorale può avere pel suo gregge chi è posseduto dall’affezioni della consorte e dei figli? – Che diremo poi di quei prebendati ricchissimi dell’eresia che si dicono vescovi anglicani, che, affittando, per mezzo dei pubblici avvisi, al miglior offerente le cure subalterne, consumano immense rendite ecclesiastiche ad ingrassare figli e nipoti, cani e cavalli, e menano nel lusso e nella mollezza. nella dissipazione, nel libertinaggio del mondo, sotto un titolo ecclesiastico, una vita tutta profana? che diremo del popolo greco e del ministro protestante? quegli che dall’altare e dal confessionale, dove ha venduta a tanto a testa l’assoluzione, passa alla bottega o alla bettola ad esercitare per vivere esso e la famiglia, i più vili mestieri, i traffici più vergognosi; questi che. come ha osservato il conte de Maistre, avendo spesso in casa visite di nobili lordi, mentre forse parla in chiesa contro l’adulterio, non arrossisce l’indomani, alla fine di una vergognosa querela, di ricevere per decisione del magistrato il prezzo del suo disonore. Nulla perciò eguaglia la disistima, il disprezzo che circonda un siffatto clero. Nulla l’impotenza e la nullità della sua azione sui costumi dei popoli. Lord Fitz Williams, scrittore protestante, in un’opera famosa pubblicata al principio di questo secolo (Lettere ad Attico) e che fu come un tardo omaggio solenne del protestantismo ai dommi consolatori della Chiesa, che esso ha tentato di distruggere ha dimostrato che è impossibile di stabilire la virtù, la giustizia, la morale fra gli uomini sopra una base alquanto solida, senza il tribunale della Penitenza, come è impossibile lo stabilire il tribunale della Penitenza senza la fede della presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucaristia. Ora la confessione, dice benissimo il citato de Maistre, la confessione domanda il celibato. Non mai un marito, e molto meno una moglie aprirà tutto intero il suo cuore ad un sacerdote ammogliato. O venerabili colleghi nel grande ministero della riconciliazione e del perdono dei peccatori, quando voi con tanta vostra edificazione udite l’uomo, e molto più la donna, svelati profondi austeri di un cuore corrotto, falli che la coscienza appena osò di affidar palpitando alle tenebre, cadute le più umilianti, disegni, intrighi i più tenebrosi, affetti, pensieri i più turpi; quando insomma voi vedete un’anima che si dà a voi ad essere giudicata come Dio la giudicherà, e che perciò, scasa nasconder nulla, senza nulla scusare, si scopre a voi in tutto l’aspetto della sua turpitudine com’è innanzi agli occhi di Dio che tutto penetra e tutto conosce; ricordatevi che ciò che ispira ai penitenti una siffatta sincerità, una siffatta fiducia, cotanto al disopra delle abitudini umane, si è principalmente perché il celibato vi fa riguardare uomini al disopra degli altri uomini. O castità, o virtù sublime, o ornamento magnifico, o giojello prezioso della Chiesa Cattolica, sci tu che ci sollevi, che ci divinizzi, che ci rendi venerabili agli occhi dei popoli, che c’imprimi sulla fronte un segno divino e ci dai quella superiorità in faccia a cui tremano umiliate e si arrendono vinte le passioni. – Per la ragione contraria però la confessione, tra gli scismatici, si riduce ad un affare di pura cerimonia: Ho bestemmiato, ho rubalo, ho fornicato; ed il prete risponde: ego te absolvo; ed ecco tutto. Perciò in poche ore un solo prete greco ascolta la confessione di un intero reggimento. E se qualche centinajo di uomini rimangono non confessati nel tempo che è al sacerdote dalla ordinanza prescritto sotto pena della bastonata, il buon uomo li fa confessare ad alta voce tutti insieme, e tutti insieme li assolve. Ora dov’è in questi confessori il giudice che decide con una perfetta cognizione di causa, il maestro che insegna, il direttore che guida, il medico che suggerisce gli opportuni rimedj a sanare le piaghe del cuore, uffici di cui Gesù Cristo stesso ha incaricato il ministro del sacramento, e che solo si esercitano dai sacerdoti della vera Chiesa? Essi soli perciò riescono a distruggere i peccati, a riformare i peccatori, a guidare le anime nelle vie della più sincera pietà e della più alta perfezione: cose tutte ignote ed, oso dirlo, impossibili ad ottenersi nello scisma e nell’eresia, in cui la più profonda ignoranza delle cose dell’anima, unita alla privazione assoluta dei costumi ecclesiastici, degrada il ministro ed annulla l’azione del ministero. E che sa e che può dire agli altri uomini un uomo che non ha nulla che lo sollevi al di sopra sopra dell’umano? Immerso in tutte le cure della terra, come parlerà il linguaggio dei cieli! Il sacerdote scismatico è dunque una specie di macchina animata dal vapore dell’interesse, destinata ad assolvere, come la macchina di Pascal era stata inventata per fare le quattro operazioni aritmetiche; incapace di correggere i passati eccessi e di garantire l’anima dai nuovi. Nulla perciò vi si richiede di quella scienza della teologia morale, di quella cognizione profonda del cuore umano, di quella prudenza, di quel discernimento, di quel vanto spirituale che nella Chiesa Cattolica si domandano ad un idoneo ministro di sì gran sacramento. Il confessare fuori della vera Chiesa, è un mestiere come tutti gli altri, e che si può esercitare con minori talenti che si ricercano per gli altri: è un’usanza di convenienza, una conferenza puramente umana, che ha perduto ogni carattere, ogni azione ogni effetto divino. Oh amara derisione, oh profanazione sacrilega del più importante dei sacramenti dopo il Battesimo. Quindi fra questi cristiani il cui ministero ecclesiastico è sì impotente, in cui perciò esercita un’azione sì meschina il Cristianesimo, i costumi particolarmente nelle città, sono detestabili. Lo spirito di avarizia, di traffico e di furto nei privati; il libertinaggio nei grandi, la inverecondie e la facilità del divorzio nelle donne, ed i più turpi delitti che, per sentenza di S. Paolo, escludono dal regno di Dio sono divenuti cose affatto indifferenti presso questi popoli, che lo scisma ha sottratti alla vigilanza, all’autorità del supremo gerarca della vera Chiesa, il custode efficace della vera morale, come l’interprete infallibile della vera fede. – Che se tali sono i costumi degli scismatici, dove pure una larva dì confessione e molte pratiche religiose, benché grossolane, sono pur buone a qualche cosa presso popoli naturalmente buoni: quali saranno presso i protestanti, dove Lutero e Calvino, per facilitare la propagazione della loro teologia per meno del rilassamento della morale, abiurarono la sola base solida della virtù della giustizia, la confessione, disapprovati perciò dallo stesso Melantone; che da questa abolizione previde la rovina intera dei costumi? La lettura di un qualche capitolo della Bibbia, che ognuno spiega a suo modo, e la presenza ad un qualche insipido discorso di morale vaga ed inconcludente in cui pochissimi credono, a cui nessuno fa attenzione: ecco i soli soccorsi che il protestante ha lasciato all’uomo per correggere per le sue abitudini, per riformare i suoi vizi, per domare l’impeto delle passioni, per acquistare la giustizia che forma il Cristiano in terra e il candidato dei cieli. Perciò, eccettuate le campagne, dove un avanzo di religione conserva un avanzo di moralità, nelle grandi citta, particolarmente dedite all’industria ed alle manifatture, la plebaglia in materia di morale sembra discesa alla dissolutezza, al cinismo, alla degradazione, alla brutalità dei costumi pagani. I grandi, i ricchi, gl’industriali, intenti a moltiplicare i vantaggi del traffico e tutte le delizie della vita, pare che altro Dio non abbiano che l’oro e il piacere. Li diresti uomini che, avendo perduta l’intelligenza, coltivano ciò che loro rimane, la carne. Il materialismo più abbietto e più inverecondo traspira dalle loro maniere e dalla loro condotta. Hanno diviso il giorno in modo che una terza parte ne danno agli affari, ed il rimanente alla crapula, al sonno, ai giuochi, agli spettacoli, al libertinaggio. Queste cose si avvicendano e si succedono in modo che non lasciano il più piccolo spazio da pensare alla religione, all’anima, all’eternità. Tutto l’essere morale ed intelligente di questi Cristiani degradati rimane interamente assorbito dalle cure temporali e dalle delizie corporee. Così essi riescono ad evitare le noje della vita, a reprimere il rimorso, ad istupidirsi, ad assonnarsi intorno al loro eterno destino, cui vanno intrepidamente incontro dopo una vita che poco ha dell’uomo, nulla del cristiano. O cieche vittime di tutti i vizj e di tutti gli errori, coronate dal demonio di fiori, e che per un sentiero di delizie siete strascinate all’altare della eterna giustizia per esservi in eterno sacrificate! – Ma che? forse che le contrade cattoliche sono incorrotte? forse che l’oblio sistematico abituale di ogni pensiero e di ogni sentimento, non che di ogni pratica religiosa; forse che lo studio di accrescere i godimenti della vita e di procacciarsi l’oro anche per le vie più turpi, perché coll’oro ogni cosa si compra; forse con la smania di tormentare la natura corporea per obbligarla a fornire ai sensi nuove lusinghe e nuove delizie; forse che il furore per gli spettacoli voluttuosi, per li piaceri sensuali, per le oscene letture, pel lusso il più immoderato e il più inverecondo; in una parola, forse che il materialismo, ultima conseguenza dell’errore e primo preludio infallibile della ruina degli stati e delle nazioni, non regna ancora in qualche paese cattolico coll’infame corteggio di tutti i vizj? non vi ha quasi distrutto ogni traccia esteriore di Cattolicismo? non vi si gonfia ogni dì più, non vi si dilata siccome un torrente, minacciando di assorbire nelle fangose sue acque ogni principio di onore, di probità, di fede, e di far retrocedere il popolo cristiano sino alla corruzione idolatra? Tutto ciò è vero pur troppo. Se Africa piange, Roma non ride. I disordini di Gerusalemme eguagliano qualche volta quelli di Samaria; e il fedele Giuda sembra divenuto tanto colpevole! quanto lo scismatico Israello! Si osservi però che questa corruzione di costumi, che si ha pur troppo a deplorare anche in molte contrade cattoliche, vi è venuta da fuori. Essa è cresciuta all’ombra e sotto l’alito dell’eresia, come l’eresia ne prese i germi funesti dalle contrade idolatre; e dai paesi degli eretici, coi loro libri, coi loro costumi. Coi loro usi, colle lor mode, col loro linguaggio si è ita filtrando e si è segretamente propagata in varie cattoliche nazioni. – l.a civiltà è cosa sacra; giacché la civiltà vera è una pianta che non germoglia, non fruttifica che nel terreno della vera religione. Oggi però il sacro vocabolo di civiltà si è profanato e si fa servir di velo al materialismo più abbietto, come si è fatto servire di velo alla più matta anarchia e al dispotismo più crudele il vocabolo di libertà. E non è egli vero che nell’idea, nel linguaggio di certi stupidi economisti, di certi politici da collegio e da caffè, una città passa per incivilita se ha profumieri e modiste, sale di ballo e sale di giuoco, accademie e teatri, romanzi e giornali, la borsa mercantile ed un luogo di prostituzione? Cioè a dire che la civiltà, che consiste nella verità della religione, nella giustizia delle leggi, nella probità e nella mansuetudine dei costumi, si fa oggi consistere in tutto ciò che può depravare i costumi, rendere inique le leggi e nulla la religione; in tutto ciò che serve ad ingentilire e variare il vizio, a procurargli nuovi incentivi ed un’ampia impunità; in tutto ciò, insomma, che tende a ristabilire sulle rovine delle dottrine dello spirito il regno della materia, e l’idolatria del corpo e la religione del piacere sulla speranza del nulla. – Ora questo abuso detestabile di idee e di vocaboli, che ben presto si è riprodotto nei costumi, è venuto esso pure dalle contrade ereticali; ed ecco, fra tante altre, la bella merce di che l’Europa cristiana va debitrice all’eresia! Non dico io già che, prima della riforma luterana, non vi fossero scandali in Europa. Sì, ve ne erano e ben grandi e in quella parte onde si aveva meno motivo d’aspettarli. Fu anzi la depravazione dei costumi di Germania e d’Inghilterra che apri le vie e formò il letto al torrente dell’errore. Ma il vizio allora era vizio; l’eresia luterana ne ha fatto un dovere e lo ha eretto in virtù. Quindi, ove in quei secoli di fede con una lunga penitenza espiava per lo più l’età matura i disordini della gioventù, ed a questo spirito di penitenza si devono i grandi monumenti consacrati alla gloria della religione ed al sollievo dell’umanità che abbelliscono la superficie dell’Europa: oggi poi si vedono uomini che si dicono Cristiani prolungare sino nel gelo della vecchiaja la licenza di corrotti costumi, e lungi dal fondare nuovi stabilimenti di religione e di carità, la civiltà moderna non fa che distruggere gli antichi. Neppure intendo dire che tutti gli eretici siano viziosi e che tutti i Cattolici son santi. Vi hanno fra i protestanti uomini da bene, a ciascuno dei quali potrebbe dirsi: Talis cum sis utinam noster esses! come si trovan dei pessimi uomini fra i Cattolici, di cui siamo obbligati ad arrossire. Vi è però anche qui questa immensa differenza, che l’eresia conducendo per una necessità logica alla estinzione di ogni virtù perché distrugge ogni fede, l’eretico per operar bene bisogna che dimentichi se stesso, che si sollevi al di sopra e si metta in opposizione de’ suoi stessi principj di errore. – Al contrario, la fede cattolica conducendo, pure per una necessità logica, alla vera virtù, il Cattolico, per operar male, bisogna che dimentichi sé medesimo, che si metta al di sotto ed in opposizione della sua religione di verità: e l’una e l’altra cosa accade di frequente; giacché l’uomo non è sempre conseguente a sé stesso. Ma come il Cattolico che conforma esattamente la sua condotta colla sua fede è santo, giacché la santità non è che la verità della fede posta in azione col soccorso della divina carità, così l’eretico che conformasse esattamente la sua vita alla sua dottrina, per esempio luterana o calvinista, diventerebbe un mostro: giacche la perversità non è che l’errore ereticale realizzato nelle opere coll’ajuto dell’ispirazione diabolica. Di più. coloro fra gli eretici che conservano alcun che di cristiana probità lo devono alle tradizioni cattoliche che in molte contrade, in molte famiglie sono rimaste superstiti alle cattoliche istituzioni che vi sono state distrutte. Lo devono al nostro esempio, al nostro tratto, ai nostri scrittori; giacché sappiamo che in molte famiglie protestanti in Inghilterra non si leggono che Bourdaloue e Massillon e i grandi ascetici ed i grandi maestri della morale cattolica. Al contrario, il rilassamento nei costumi, l’indifferenza per la fede, che si scorge in molte contrade cattoliche, vi sono stati trasportati dai lidi protestanti; e tutto questo è il risultato funesto dei loro esempj, del loro tratto, dei loro libri, come accade al presente in Ispagna. Perciò come non si è virtuoso fra gli eretici se non per una partecipazione segreta dello spirito cattolico, e non si è pessimo fra i cattolici se non per l’influenza segreta dello spirito ereticale: così le stesse virtù degli eretici, come gli stessi vizj dei Cattolici servono a provare che è sempre l’errore che fa germogliare il vizio, che la virtù nasce dalla verità, e che la sola Chiesa Cattolica, colla vera luce che forma i credenti, conserva e porge la grazia che forma i santi.