GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (53) – LA VERA E LA FALSA FEDE (VIII.)

LA VERA E LA FALSA FEDE –VIII.

 (P. Gioacchino VENTURA: LE BELLEZZE DELLA FEDE, vol. II. Genova; Ed. Dario Giuseppe Rossi, 1867)

LETTURA VI.

LA CREDENZA DEI MAGI OVVERO LA VERITÀ E LA CERTEZZA DELL’INSEGNAMENTO DELLA FEDE.

PARTE SECONDA.

SI CONFERMA ULTERIORMENTE LA VERITÀ DELLE ESPOSTE DOTTRINE

§ XV. – L’effetto che deve necessariamente produrre la discordia delle opinioni si è di renderle tutte incerte. Osservazione sopra di ciò di Cicerone applicabile a lutti gli eretici. Quale è il loro più ordinario modo di avere una opinione. Senza l’autorità o il consenso non si può esser certo della verità dei proprj raziocinj. Testimonianze di Cicerone sopra questa materia. Col leggere solo la Scrittura, l’eretico si forma opinioni e non credenze intorno alla religione. Perciò tra i protestanti non vi sono dommi, ma sterili e vane opinioni.

Or qual sarà mai l’effetto di questa infinita discrepanza di opinioni, onde fra gli eretici le sette sono ostili alle sette, e gl’individui in guerra cogl’individui? L’incertezza e il dubbio. S. Tomaso lo ha detto: « Quando si vede che diversi fra coloro che si stimano sapienti opinano diversamente fra loro sopra di una cosa stessa, per altro dimostrata come verissima, e diversamente la insegnano, questa stessa cosa diviene dubbiosa ed incerta: Apud multos in dubitatone permanent ea quæ sunt verissime demonstrata, cum videant a diversis, qui sapientes dicuntur, diversa doceri. Cicerone aveva fatto di già tanti secoli prima la stessa osservazione, e citava l’esempio dei filosofi per prova della sua verità. Imperciocché, nel secondo degli accademici, dopo di avere enumerate le diverse opinioni dei filosofi intorno a Dio, e messi in contraddizione fra loro Zenone e Cleante, il maestro e il discepolo; dei quali il primo sosteneva che l’etere è il sommo Dio, e l’altro che il Dio supremo regolatore dell’universo si è il sole: Tullio conchiude appunto così: « Questa dissensione che vediamo regnare tra i capiscuola della filosofia intorno a Dio ci obbliga ad ignorare il Signor nostro; ed ormai non possiamo più saper con certezza se dobbiamo prestare l’omaggio della nostra servitù all’etere, ovvero al sole: ltaque cogimur, dissensione sapientum, dominum nostrum ignorare: quippe qui nesciamus, soli an etheri serviamus. Così pure, dopo aver fatto il quadro delle sentenze contraddittorie dei filosofi, sull’anima umana, dice: « Di queste contrarie sentenze, presentate tutte come vere, quale però sia la vera in realtà, ormai non può altri saperlo fuorché un Dio. In quanto a noi uomini, i filosofi colle loro dissensioni ci lasciano nell’incertezza: e nemmeno ci permettono  di decidere quale sia la vera: Harum sententiarum qua vera sit, Deus aliquis viderit: qua verosimilis, magna quæstio est. » – Ora allo stesso modo è obbligato a discorrerla 1’eretico intorno alle verità cristiane. Le opinioni diverse, i contrari sistemi, che tante migliaia di sette professano intorno a queste medesime verità, devono rendergliele necessariamente dubbiose ed incerte. Ed incerto pure diverrà per lui se il vero Cristianesimo sia fra i ruteni o fra i Greci, fra i luterani o fra i calvinisti, fra i metodisti o fra i quaccheri, fra presbiteriani o fra gli anglicani, fra i sociniani o fra gli anabattisti. Né là testimonianza della sacra Scrittura, in cui queste sette si vantano di aver trovata la loro fede, può rassicurarlo: perché è impossibile che la stessa Scrittura contenga, sopra uno stesso articolo, opinioni cosi contraddittorie come sono quelle onde una setta dall’altra discorda. Immaginate ancora che le sette nate dalla ribellione alla vera Chiesa non siano più di cento (quando si contano per migliaja). L’individuo di una di queste sette, per poco che ragioni, come potrà mai essere certo che la dottrina della sua setta sia la vera quando vede che le altre novantanove la condannano come eretica e come falsa? Con qual dritto dirà che tutte queste sette (che pur assicurano di aver seguite le stesse guide, la Scrittura e la ragione) sono nel falso, e la sua sola setta è nel vero? Sopra qual titolo accorderà il privilegio dell’infallibilità alla setta propria, e lo negherà a tutte le altre? Che sarà poi se, come si è notato, consideri l’infelice settario che anche nella setta propria degl’individui che la compongono non intendono poi allo stesso modo le dottrine che vi si processano? Non può dunque l’eretico appoggiarsi fuori di sé, sopra una fede comune, dove comun fede non vi è. Non può prendere almeno come in imprestito la certezza degli altri, se gli manca la propria; e lungi dal ritrovare fuori sé quell’appoggio possente alla sua credenza che i Cattolici, per sempre meglio confermarsi nella loro, ritrovan nella perfetta conformità del credere di tutta la Chiesa; non trova nella varietà delle opinioni di tante sette contrarie alla sua e degli stessi individui della sua medesima setta che motivi di dubbio e d’incertezza. Privo adunque ad un tempo e del sostegno dell’ autorità della Chiesa, che non riconosce, e del soccorso della grazia della fede, che non implora, e dell’appoggio della conformità delle altrui credenze colle sue, che non ritrova, rimane l’eretico perfettamente isolato dal cielo e dalla terra, dagli uomini e da Dio. Rimane abbandonato unicamente ai suoi lumi individuali e privati, in mano del suo consiglio e del suo giudizio, e non può contare che sopra sé stesso per indovinare la vera religione. Ora è egli facile che un viandante, lasciato solo in un immenso deserto, dove non vi è né sentiero né guida, ritrovi la sua strada per arrivare alla patria? Perciò la maggior parte degli eretici che ragionano, evitano di ragionare per accertarsi della vera religione. Non han coraggio d’intraprendere un lavoro, di cui l’immensa difficoltà è certa, incertissimo il risultato. – Accade dei settarj della religione ciò che Cicerone dice dei settarj della filosofia: nella età ancor tenera, o per compiacenza verso di un parente e di un amico, o abbagliati dall’eloquenza di un maestro da cui hanno ricevute le prime lezioni, pronunziano giudizio di cose che ancora non intendono, e si attaccano tenacemente al primo sistema che loro si è offerto, come chi ha fatto naufragio ed è sbattuto dalla tempesta si afferra al primo sasso che gli viene incontro: firmissimo tempore ætatis, aut obsecuti amico cuidam, aut una alicuius, quam primum audierint, oratione capti de rebus incognitis judicant; et ad quamcumque sunt disciplinam, tamquam tempestate delati, ad eam tamquam ad saxum adhærescunt. Hanno poi un bel dire che hanno  dato a tal sistema la preferenza perché insegnato da un uomo di maggior sapienza e di maggiore dottrina degli altri. Essi  mentiscono a se stessi. E come mai uomini ancora rozzi ed ignoranti potevano da per se stessi sopra ciò formare giudizio? E non si ricerca di fatti una consumata sapienza per decidere chi è più sapiente? Nam quod dicunt, se credere ei quem  indicant fuisse sapientem, probarem si idipsum rudes et indocti indicare potuissent. Statuere enim quis sit sapiens, vel maxime videtur esse sapientis. I più dei filosofi adunque non è già che credan vere le loro dottrine, ne conoscono anzi la falsità e l’errore. Ma siccome, per una incomprensibile frenesia, quest’errore, adottato da essi una volta, è loro amabile e caro; così ostinatamente lo diffondono, amando meglio di errare di quello che ricercare con animo imparziale la verità, che consiste in quello che SEMPRE E DA TUTTI si crede, e sì dice: Sed nescio quomodo plerique errare malunt, eamque sententiam, quam adamaverunt, pugnacissime defendere quam sine pertinacia quid COMSTANTISSIME dicatur exquirere (Àcad., lib. 1). –  Or ecco la storia altresì di quasi tutti gli eretici; sono pure essi pure lontanissimi dal credere, in faccia a tante contrarie testimonianze, che la loro setta o la loro dottrina è certamente la vera. Ma, o perché l’adottarono una volta nell’interesse di qualche passione, o perché vi sono natie cresciuti, vi si ostinano; e preferiscono le stravaganze e le turpitudini di un eresiarca privato alle credenze della Chiesa universale. – Molto più dopo che l’eresia, rivoltasi ad arrestare, per le vie del rispetto umano, le continue conversioni alla fede cattolica. che non può più arrestare per le vie della discussione o della tirannia, è giunta ad accreditare in Europa la massima che un uomo onesto non cambia mai religione: massima orribile., infernale, perché significa o che tutte le religioni sono egualmente buone per salvarsi, ciò che, come qui appresso vedrassi, è un’assurdità ed una bestemmia: o che, non essendovene se non una sola che conduca alla salute, l’uomo onesto che se ne trova fuori non deve abbracciarla, ma sacrificare ad un misero puntiglio Dio. l’anima, l’eternità, ciò che è il cumulo del delirio. Non sono però mancati, né mancano pur tuttavia degli eretici che, colla Scrittura alla mano, che leggono e rileggono di continuo, cercano di formarsi una religione. Infelici però! essi coi privati loro sforzi non arrivano, né possono mai arrivare a nulla di certo e di sicuro. Imperciocché egli è fuor di dubbio che l’uomo isolato e ridotto ai mezzi individuali di conoscere non è certo se non delle verità per sé note e immediatamente evidenti, cioè delle verità di semplice percezione; sia che le conosca immediatamente coll’intelletto (lnlellectus simpliciter percipiens semper est verus, S. Thomas); sia che le riceva per mezzo dei sensi, il cui giudizio, circa le cose di loro particolar competenza, è certo e sicuro (Sensus circa sensibile proprium sempre est vena, idem). E la ragione di ciò si è che, fino a tanto che si tratta di semplici percezioni, sì l’intelletto come il senso è sempre passivo, e quindi, dice lo stesso S. Tomaso, riporta fedelmente l’impronta della verità da cui è stato informato, come la cera riceve e ritiene l’impronta del sigillo che vi si è impresso. Ma quando trattasi di verità, di deduzione e di raziocinio, in cui l’intelletto divide e compone e diviene attivo e vi mette qualche cosa del proprio, nulla di più facile che l’ingannarsi (Error est in intellectu componente rei dividente, idem). E perciò ha detto pure S. Tomaso:« Troppo sovente accade che la ragione umana, camminandoper la via dell’inquisizione privata, incontri l’errore mentre crede di abbracciare la verità; attesa la debolezza del nostro intelletto nel ben giudicar delle cose, e la facilità che vi è da prendere per una verità un’illusione della fantasia (lnvestigationi rationis humanæ plerumque falsitas admiscetur, propter debilitatem intellectus nostri et phantasmatum admixtionem). » E perciò accade che anche le cose di cui la privata ragione è riuscita a persuaderai sulla testimonianza di una dimostrazione ben fatta rimangono incerte per l’uomo isolato; perché non può mai, finché è solo:  assicurarsi di avere tutti evitati i tredici scogli delle fallacie; un solo dei quali in cui s’intoppi basta a distruggere la rettitudine della dimostrazione: Et ideo apud multos indubitazione permanent ea quæ sunt verissime demonstrata dum vim demonstrationis ignorant. Inter multa etiam vera quæ demonstratur, immiscetur aliquando aliquid falsum, quod non demonstratur, sed aliqua probabili vel sophistica ratione asseritur. Se dunque l’autorità di persona che non può e non vuole ingannarlo, o il senso comune dei periti o dei dotti nella materia di che si tratta, non viene ad assicurar l’uomo che ha ragionato della rettitudine dei suoi raziocinj, egli è obbligato a diffidarne, a temer sempre che l’opposto di ciò che gli sembra vero sia falso; e la propria esperienza e quella dei più grandi ingegni che, ingannati da false evidenze, sono caduti in turpissimi errori, non può che confermarlo in questo timore. Quanto dire che l’uomo che conta solo, che solo ragiona, discute, dimostra, e che si fonda sul terreno vacillante della sua privata ragione,non può formarsi che opinioni più o meno probabili, più o meno vaghe, ma non già dommi certi ed immutabili; può giungere ad una certezza provvisoria, che altro non è se non la probabilità; ma non già ad una certezza assoluta,che comandi un’adesione dell’intelletto ferma, intera, costante, immutabile. – La storia della filosofia antica e moderna conferma la verità di questa dottrina. Gli antichi filosofi, con tutti i loro studi, con tutti i loro sforzi, con tutte le loro dispute sulle più importanti verità, sopra Dio e l’anima, non arrivarono a formarsi, come si è veduto, che opinioni più o meno incomplete, incerte, assurde, turpi, inette e ridicole; ma non poterono mai stabilire nulla come assolutamente certo e sicuro.Udiamo per tutti Cicerone idoneo testimonio di tutta la pagana antichità. Nei tre libri Sulla natura degli dei, introducendo egli Vellejo a sostenere la dottrina epicurea, Balbo la stoica, Cotta l’accademica intorno a Dio; nell’esame profondo che fa di queste tre dottrine delle tre scuole o sette principali della filosofia, passa in rivista, mette a fronte e pesa con pari eloquenza ed erudizione tutte le opinioni. dei filosofi sopra Dio. Or ecco come conchiude egli questo lungo ed interessante trattato sopra la prima e la più importante di tutte le verità: «Dopo questa discussione ci separammo, ritenendo presso a poco ciascuno la sua antica opinione, giacché a Vellejo parve più vera l’argomentazione di Cotta; a me poi parve più verosimile quella diBalbo: Hac cum essent dicta, ita discessimus ut Vellejo Cottæ disputatio verior, mihi Balbi, ad veritatis similitudinem, videretur esse propinquior. »Oh parole! oh confessione! Chi non si sente stringere il cuore?chi non arrossisce della debolezza della ragione umana al vedere un ingegno sì grande, anzi i più grandi ingegni dell’antichità altro frutto non ritrarre da sì lunghe discussioni che quello di concetti vaghi, di opinioni più o meno probabili, più o meno incerte intorno a Dio? oh miseria! disputare tanto per ottenere sì poco! Né meno debole, vacillante ed incerta era l’opinione di Tullio sull’immortalità dell’anima: verità la più importante dopo quella dell’esistenza di Dio, colla quale è legata e dalla quale discende. È vero che in diversi luoghi delle sue opere dichiara di ammetterla e volerla sempre ritenere, ma senza esserne né certo né sicuro; e il suo linguaggio problematico sopra questa materia indica più la sua inclinazione e il suo gusto di quello che il suo convincimento di essere immortale. Poiché dice: « Se erro nel credere all’immortalità dell’anima, erro volentieri; e finché vivo, non soffro che nessuno mi levi dalla mente questo errore che tanto mi piace. Se poi, come poveri e meschini filosofi opinano, la mia anima morrà col corpo, non ho a temere che le anime di questi filosofi, che periranno come la mia, mi befferanno per questo mio errore: Quod si in hoc erro, libenter erro, nec mihi hunc errorem, quo delector, extorqueri volo. Sin mortuus, ut quidam minuti philosophi censent, nihil sentiam; non rereor ne hunc errorem meum philosophi mortui irrideant. » Altrove poi, avendo esortato il suo uditore a leggere il celebre libro di Platone, in cui Tullio dice trovarsi ciò che può desiderarsi di più eloquente e di più solido in favore dell’immortalità, introduce lo stesso uditore a fare una dolentissima confessione intorno all’insufficienza dei raziocinj degli uomini più grandi per far credere con ferma certezza una qualunque verità. Poiché gli fa dire: « ho fatto più volte, tel giuro, ciò che mi suggerisci (di leggere il citato libro di Platone): ma, non so come, mentre leggo un tal libro mi pare di rimanere convinto; quando poi lo chiudo e comincio a ripensar meco stesso sull’immortalità, tutta la mia persuasione svanisce, e mi trovo incerto siccome pria: MARC. Num eloquentia Platonem superare possumus? Evolve diligentur ejus librum de animo. Amplius quod desideres nihil erit. AUDIT. Feci mehercule sæpius; sed nescio quomodo, dum lego, assentior: cum posui librum et mecum ipse de immortalitate cœpi cogitare, assentio omnis illa dilabitur. » – Or, se ciò accade delle verità primitive, cui pur la ragione può giungere; che sarà mai delle verità cristiane, che di sì gran lunga superano la ragione? Se l’uomo isolato non può generalmente elevarsi che a concetti più o meno probabili nelle cose che può a sé stesso dimostrare ed intendere; come può mai innalzarsi a dommi certi ed indubitabili di cose che non può né intendere né dimostrare? Il  simbolo adunque che l’eretico, usando del principio del libero esame e del giudizio privato, è ito accozzandosi con sommo stento leggendo  la Scrittura, non sarà che una faragine rozza e sconnessa d’incerte nozioni, di vaghe congetture, dì mal fondati giudizj sulla religione cristiana: parto mostruoso sovente più che della ragione, dell’immaginazione, della passione, del capriccio, e che non avendo infatti altra autorità, altra forza che quella della ragione che se li ha formati. Non potranno trasformarsi in verità certe che riscuotano un’adesione completa dell’intelletto e comandin la fede. Potrà opinare più o meno leggermente, ma non già credere nel senso che noi Cattolici attribuiamo a questa parola. – Egli è perciò che questi infelici. Che l’eresia ha trascinati si lungi dalle vie della certezza della fede, non si odono mai parlar di dommi, ma di opinioni. E di opinioni religiose, e non già di domini parlano i genitori nelle famiglie, i maestri nelle scuole, e perfino i teologi nelle cattedre e i predicanti nei templi. Ora il linguaggio è l’interprete fedele dei giudizj e delle idee di un popolo. Come dunque noi Cattolici colle parole dommi sacri, articoli di fede, che abbiamo sempre in bocca nel nostro linguaggio religioso, diamo chiaramente a conoscere che per la conoscenza cattolica, il Cristianesimo è un affare di damma e di certezza; così gli eretici colle parole opinione propria, opinione religiosa, che pare ripetano ad ogni istante nei loro discorsi e nei loro scritti quando trattasi di religione, danno evidentemente a vedere, loro malgrado  che nelle loro menti il Cristianesimo è un affare di probabilità e di opinione. – Badino perciò certi Cattolici che, come ho avuto occasione di notarlo io stesso, chiamano la religione l’opinione religiosa. Sebbene questa espressione, che ripetono con aria di grande pretensione e di grande importanza, come per farsi credere all’altezza del linguaggio del tempo, l’abbiano imparata da qualche libro anticristiano e la ripetano senza intenderla: badino però, io lo ripeto, che potrebbero farsi prendere, così parlando, per empj, quando i poverini non sono più che leggieri, stolidi e ridicoli. Poiché questa espressione, « opinione religiosa,» che, trattandosi del Cristianesimo quale il protestantismo lo ha ridotto, e sotto una penna ed in una bocca protestante, ha un senso rigorosamente filosofico e vero, nella bocca però di un Cattolico, trattandosi della cattolica Religione dommaticamente ed immutabilmente certa e sicura, è insieme un’assurdità ed una bestemmia. – Ritornando però al proposito, osserviamo che solamente il domma (parola greca che vuol dire decreto) può riscuotere l’assenso della mente e imporre e comandare alle affezioni del cuore: poiché esso solo si annunzia come necessario e circondato della forza, della certezza e dell’autorità. Ma in quanto all’opinione, non essendo nulla più che un concepimento vago, indeterminato, ed incerto della privata ragione, non può ottenere alcun assenso fermo ed immutabile, molto meno può esigere il menomo sacrificio dalle passioni. L’individuo perciò, come la società, si dirige co’ dommi e non già colle opinioni; e le opinioni allora comandano l’azione quando sono passati in dommi, o in certe ed importanti credenze. Ogni religione che non può presentarsi come dommatica, ma sol come opinabile, non può riscuotere che un’adesione momentanea, incostante, interessata, ovvero una completa indifferenza. E le opinioni religiose, appunto perché opinioni, non giovano per la vita presente e non presentano alcuna sicurezza per la vita presente, e non presentano alcuna sicurezza per la vita avvenire, non hanno maggiore importanza di quello che le opinioni di filosofia, di politica e di letteratura. Quando perciò nello scorso secolo il protestante Neker, ministro dell’infelice Luigi XVI, intitolò un suo libro: dell’importanza delle opinioni religiose, fu come se avesse detto: dell’ importanza delle cose che non importano né all’individuo ne alla società; perciò il libro sull’Importanza delle opinioni religiose non fece il minimo senso nella opinione e non produsse il menomo vantaggio alla religione. – Lo stesso è accaduto di tutti i libri apologetici del Cristianesimo scritti contro gli increduli da penne protestanti. Simili a chi per combattere non ha che armi logore, senza punta e senza taglio nelle mani, ed un terreno vacillante sotto dei piedi, e che, lungi dall’offendere il suo avversario, non deve sudar poco per difendersi e tenersi fermo in piedi esso stesso; simil, dico, a questo misero guerriero, gli eretici apologisti del Cristianesimo, incertissimi essi stessi di ciò che difendono, non potendo opporre che opinioni ad opinioni, non fanno il minimo timore ai loro avversarj, non recano il minimo danno al vizio o all’errore; e il più sovente non ne riscuotono che risa, disprezzo ed urti terribili che li fanno vacillare nella trista posizione in cui si trovano collocati. Il dottor protestante Beatty combattè il materialismo di Lokio. I grandi atei inglesi Hume, Bollinbroke, Collins, Gibbon trovarono dei confutatori in molti devoti dottori dello scisma anglicano. Ma chi fece mai attenzione a siffatte confutazioni? Gli scrittori contro di cui erano dirette se ne fecero beffe; il pubblico vi rimase così indifferente come se si fosse trattato di una controversia grammaticale: ed esse non impedirono che la storia di Hume in particolare, che contiene una chiara confessione di ateismo, non fosse dedicata al re d’Inghilterra, che pure porta ancora il titolo di difensor della fede. Perciò è un pezzo che questi inermi combattenti han deposto ogni pensiero di combattere l’incredulità ed han preso il saggio partito di lasciare in pace il deismo, l’idealismo, il materialismo, l’ateismo stesso che rompe ai loro fiaschi da tutte le parti: affinché queste opinioni filosofiche li lascino in pace nelle loro opinioni cristiane si comode e sopra tatto sì lucrose! – Deh che non è dato all’eresia il combattere l’incredulità con successo. I ribelli del senso comune della Chiesa universale non faranno mai paura ai ribelli del senso comune degli uomini, ma. rei del medesimo delitto, sono obbligati a perdonarselo a vicenda. Quindi la sì vantata tolleranza degli eretici per tutti gli errori non è se non l’effetto e l’indizio insieme della perdita intera di ogni fede e di ogni verità. Non è adunque fuori del nostro proposito che ne diciamo qui due parole.

§ XVI. – Digressione sulla tolleranza. Nessuno eretico ha diritto di accusare gli altri di eresia. La sola Chiesa cattolica può e deve condannare tutti gli errori, perché essa è verità; e compatisce gli erranti, perché  è carità. La tolleranza che gli eretici vantano di avere per tutte le altrui opinioni è una conseguenza necessaria dell’incertezza in cui sono della verità delle proprie. Questa tolleranza sono costretti ad estenderla persino all’ateismo. Uniti tutti coloro che sono fuori della Chiesa, qualunque religione professino, sono figli dello stesso padre, il demonio; formano una stessa famiglia; e l’istinto che hanno di ciò, li porla a tollerarsi a vicenda e ad essere intolleranti pei soli Cattolici. Questa coalizione di tutti gli erranti contro la Chiesa Cattolica è una bella prova che essa sola è vera e divina.

Ammesso una volta il principio del libero esame e del giudizio privato in materia di religione, ognuno rimane affatto indipendente in faccia all’altro nella sua religiosa opinione. Nessuno ha il diritto di dire all’altro: « La vostra opinione è falsa: la mia è la vera. » Nessuno ha autorità di obbligar l’altro ad opinare come esso opina, ad operare come esso opera. Chi osasse di arrogarsi una tale autorità e un  tale diritto, sarebbe giustamente reo in faccia alla ragione protestante, di usurpazione e di tirannia; sarebbe anzi il più iniquo degli usurpatori, il più odioso dei tiranni, poiché di tutte le usurpazioni e di tutte le tirannie la più ingiusta e la più oppressiva è quella che si esercita sulle coscienze e che dispone a capriccio della religione. Perciò il protestante è dai suoi stessi principj condotto a rispettare in tutti gli altri non solo il diritto di formarsi ciascuno la propria opinione, ma ancora l’opinione stessa che si è formata. E per quanto questa opinione sia evidentemente sconcia ed assurda, nessuno può farne ragionevolmente un rimprovero, subito che a questi così ne pare; ed ognuno ha egual diritto di ammettere ciò che gli pare e come gli pare. Perciò se un protestante dicesse all’altro: «Voi errate; voi siete eretico ammettendo tal e tal altra opinione, negando per esempio, la divinità di Gesù Cristo, questi potrà benissimo rispondere, come presso Cicerone Cotta rispondeva a Balbo che lo accusava di negare Dio : « Amico mio, ricordatevi che voi, al par di me, avete rigettata ogni specie di autorità, e che avete fissato per principio che ognuno deve appoggiarsi sulla propria ragione. Non abbiate dunque a male ch’io opponga la mia ragione alla vostra, e che usi dello stesso diritto che reclamate per voi stesso, di ritenere per vero ciò che alla mia ragione sembra vero: Tu auctoritate omnes contemnis, ratione pugnas. Patere igitur rationem meam cum tua conferre (De nat. Deor.). Non vi è che il domma o decreto che, supponendo un’autorità legittima che lo pubblica è obbligatorio. In quanto all’opinione privata di uno, esso non ha diritto che all’esame e non si può imporre alla credenza degli altri. Ora dovunque non vi è un’autorità comune, che ha diritto all’udienza comune, e perciò non vi sono dommi comuni, ma private opinioni; ognuno come ha diritto di tenere e di aver perdonata la propria, così ha un dovere di perdonare, di rispettare quella degli altri. – Da ciò si scorge quanto è assurdo ed ingiusto il rimprovero che gli eretici fanno a noi Cattolici di essere intolleranti verso di loro. Ingiusto, perché i Cattolici, generalmente parlando, compiangendo la miseria e la cecità degli eretici e degli infedeli non hanno alcun odio contro le loro persone. E difatti ove i Cattolici, soggetti politicamente ai protestanti o agli scismatici, sono più o meno palesemente tiranneggiati ed oppressi; al contrario gli eretici e gl’infedeli, soggetti politicamente pure ai Cattolici, godono di tutte le libertà che loro assicura la legge politica degli stati, e non soffrono alcuna oppressione. Di più la Chiesa cattolica, lungi dal nutrire odio per le vittime infelici dell’errore, spedisce ogni giorno i più generosi dei suoi figli, perché a costo ancora della propria vita del corpo, assicurino loro la vita dell’anima, portando loro la grazia colla verità. – Aggiungo che il rimprovero d’intolleranza che si fa alla Chiesa Cattolica è assurdo: perché l’errore può e deve essere tollerante per l’errore, ma non può e non deve essere tollerante la verità. Ora la Religione Cattolica è verità, è sola verità. è certa di essere tutta la verità. Come dunque la luce non può accomunarsi colle tenebre, né Gesù Cristo con Belial, non può la Cattolica Religione e non deve affratellarsi coll’errore, né vederne con occhio freddamente tranquillo gli orribili guasti che cagiona fra i popoli, e le tante anime che acceca nel tempo e perde per l’eternità. Se essa imitasse in ciò la condotta dell’eresia e si mostrasse indifferente per le dottrine che le son contrarie, darebbe a credere che errore è essa pure e che non è certa della sua verità. Tutta compassione per gli eretici e per gli infedeli, non può aver che odio e orrore per le dottrine dell’eresia e dell’infedeltà. E come l’odio infinito di Dio verso il peccato è una necessaria conseguenza ed una prova insieme che esso è santità, così quest’odio implacabile, quest’orrore costante della Chiesa Cattolica verso ogni sorta di errore, è una conseguenza necessaria ed insieme uno de’ più splendidi argomenti estrinseci che essa è verità, e che la verità in essa sola si ritrova, mentre è la sola che condanna tutti gli errori. La divisa dunque della Chiesa Cattolica è in queste belle parole di S. Agostino: «Guerra a morte all’errore, e perdono e carità verso gli erranti: Diligite homines, interficite errores. » Cioè a dire che la Chiesa Cattolica è e deve essere teologicamente intollerante verso le false dottrine; ma è tollerantissima verso gl’infelici che ne sono le vittime. Non così però l’eresia. Siccome la diversità delle opinioni religiose nuoce agl’interessi della sua politica; quando ne ha il potere, perseguita ed opprime politicamente gli uomini che le professano. Ma siccome non può decidere con certezza quale sia la vera religione, teologicamente è obbligata a scusarle e tollerarle tutte: cioè a dire che, intollerante per le persone, è, e deve essere tollerantissima per tutti gli errori; e questa tolleranza teologica di tutti gli errori è una legge, dalla quale l’eresia, non può sottrarsi senza smentirsi, senza contraddirsi, senza distruggersi. – Ecco dunque il fondamento, la ragione, la necessità logica della tolleranza reciproca dei protestanti, della quale essi menano sì gran vanto, e di cui invece dovrebbero arrossire e confondersi: giacché essa è la conseguenza e la prova insieme dell’assenza di ogni certezza, di ogni fede, di ogni religione fra loro. Siccome però il principio protestante, Che non bisogna riconoscere altra autorità che la Scrittura interpretata dalla ragione, non ammette restrizione e non può ammetterne alcuna, così non solo questa tolleranza si deve estendere e si estende difatti a tutti gli eretici, ma a quelli ancora fra gli eretici che negano la Trinità, la divinità di Gesù Cristo, l’eternità delle pene; perché essi ancora appoggiano queste negazioni sulla Scrittura, Si deve estendere e si estende difatti a tutti i maomettani, a tutti gl’idolatri fra i quali si è dai protestanti disseminata la Scrittura perché ognuno se la spieghi a suo modo, ed ai quali però non si può fare alcun rimprovero, se non vi trovano nemmeno un solo dei dommi cristiani che l’eretico dice loro di avervi trovati. Si deve estendere e si estende difatti a tutti i deisti, i quali, affermando che la ragione non ha loro dimostrata con bastevole chiarezza l’ispirazione divina delle Scritture si credono in diritto di negarla, e con essa di negare tutto il Cristianesimo. – Si deve estendere infine anche agli atei; giacché anche l’ateo dice di usare della sua ragione per negare Dio, che la sua ragione non comprende. E poiché la ragione, stabilita come unico giudice della Scrittura, diviene, come si è veduto, l’ultimo fondamento della credenza religiosa; sarebbe, dice un autore tristamente celebre non meno pe’ suoi talenti che per la sua caduta. sarebbe assurdo, contraddittorio, empio, l’obbligarlo a credere ciò che ripugna alla sua ragione. L’ateo ha in comune coll’eretico il principio di non riconoscere alcuna autorità, di non ammettere che ciò che sembra ammissibile alla propria ragione, rigettando tutto il rimanente. Or con lo stesso diritto onde il luterano rigetta le buone opere, il zwingliano la presenza reale, il calvinista il purgatorio, il sociniano la Trinità, il deista la rivelazione tutta intera, perché questi misteri sembrano inammissibili alla loro ragione, l’ateo potrà in faccia al protestante negare Dio stesso, affermando che l’esistenza di un Dio, puro spirito, immenso, eterno, immutabile, Creatore del tutto, è il più impenetrabile dei misteri, è il più inammissibile alla sua ragione. Si dirà che esso abusa della sua ragione? Verissimo: ma non è l’eretico che ha diritto di fargli un tal rimprovero. Subito che per esso pure tutto si riduce alla ragione, si deve ammettere come egualmente legittimo ogni parto della ragione. – Non può dunque l’eretico negare all’ateo la tolleranza. Sicché la tolleranza degli eretici non è che la confessione, il riconoscimento di tutti gli errori, fondato sopra la distruzione di tutte le verità. – Una sola eccezione iniqua fanno gli eretici dalla legge della tolleranza che estendono a tutti gli uomini di tutte le sette e di tutte le religioni, e questa eccezione è contro i figli della Chiesa Cattolica. In oriente i greci scismatici, i nestoriani, gli eutichiani tollerano e la perfidia giudaica e il sensualismo maomettano, e la superstizione idolatra. In occidente i luterani, i calvinisti, gli anglicani, tollerano anch’essi il socinianismo che non riconosce la Trinità, il deismo che rigetta ogni rivelazione, e perfino l’ateismo che nega ogni divinità. Chi mai oggi più tra gli eretici alza una voce, muove un dito, per impugnare questi errori che perdono le anime e degradano l’umana società? Solo contro i Cattolici si armano di uno zelo diabolico, invocano una crociata infernale, riuniscono i loro sforzi, il loro odio, il loro furore: e declamano e scrivono ed intrigano. Solo contro i Cattolici l’impostura e la calunnia, l’ingiustizia e l’oppressione, l’anarchia e il dispotismo, tutte le vie insomma sono buone, tutti i mezzi sono legittimi, tutti i delitti sono permessi. Che anzi non arrossiscono di far causa comune coi più dichiarati nemici del Cristianesimo per abbattere e distruggere dappertutto il Cattolicismo. Così questi generosi filantropi, che si perdonano fra loro e perdonano a tutti gli altri settari le opinioni le più empie, le più assurde e più scandalose, non perdonano al Cattolico la sua fede sì costante, sì ragionevole, sì santa e sì pia. Mentre riconoscono in ognuno il diritto funesto di delirare, seguendo le dottrine di qualunque impostore o le stravaganze della propria ragione ispirata dalle passioni: puniscono, come un delitto, il diritto che il Cattolico crede d’avere e d’esercitare, di umiliare, cioè, la propria ragione e di credere al Cristianesimo come lo intende e lo insegna la Chiesa; segno manifesto che la verità nella sola Chiesa Cattolica si trova, e che fuori di essa, sotto forme variate all’infinito, vi è l’errore più o meno esplicito, più o meno esteso, più o meno assurdo: giacché la religione contro la quale si coalizzano in una fratellanza, in un odio comune tutti gli errori, non può essere che verità.

GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (54) LA VERA E LA FALSA FEDE -IX.-