FESTA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE (2020)

FESTA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE (2020)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Doppio di 1a classe. – Paramenti bianchi.

Festa di precetto.

Avendo da tutta l’eternità deciso di fare di Maria la Madre del Verbo Incarnato (Ep.), Dio volle che dal primo istante del suo concepimento Ella schiacciasse la testa del serpente, e la circondò di un ornamento di santità (Intr.) e fece della sua anima, che preservò da ogni macchia, un’abitazione degna del suo figliuolo (Oraz.). La festa dell’Immacolata Concezione si celebrava nel sec. VIII in Oriente il 9 dicembre; nel sec. IX in Irlanda il 3 maggio e nell’XI sec. in Inghilterra l’8 dicembre. I benedettini con S. Anselmo, e i francescani con Duns Scoto (+ 1308) si dimostrarono favorevoli alla festa dell’Immacolata Concezione, celebrata dal 1128 nei monasteri anglo sassoni. Nel sec. XV papa Sisto IV, fece costruire nel Vaticano la cappella Sistina in onore della Concezione della Vergine. E l’8 dic. 1854 Pio IX proclamò ufficialmente questo grande dogma; interpretando la tradizione cristiana, sintetizzata dalle parole dell’Angelo: « Ave Maria, piena di grazia, il Signore è teco ». ( Vang.) « Sei tutta bella, o Maria, e macchia originale non è in te » dice con grande verità il verso alleluiatico. Come l’aurora, messaggera dei giorno, Maria precede l’astro che ben presto illuminerà il mondo delle anime. (Com.). Ella introduce nel mondo suo Figlio e per la prima volta si presenta nel ciclo liturgico. Domandiamo a Dio di « guarirci e di purificarci da tutti i nostri peccati » (Secr..e Post.), affinché siamo resi più degni di accogliere Gesù nei nostri cuori.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Is LXI: 10
Gaudens gaudébo in Dómino, et exsultábit ánima mea in Deo meo: quia índuit me vestiméntis salútis: et induménto justítiæ circúmdedit me, quasi sponsam ornátam monílibus suis.

[Mi rallegrerò nel Signore, e l’ànima mia esulterà nel mio Dio: perché mi ha rivestita di una veste di salvezza e mi ornata del manto della giustizia, come sposa adorna dei suoi gioielli.


Ps XXIX: 2
Exaltábo te, Dómine, quóniam suscepísti me: nec delectásti inimícos meos super me.

[Ti esalterò, o Signore, perché mi hai rialzato: e non hai permesso ai miei nemici di rallegrarsi del mio danno.]


Gaudens gaudébo in Dómino, et exsultábit ánima mea in Deo meo: quia índuit me vestiméntis salútis: et induménto justítiæ circúmdedit me, quasi sponsam ornátam monílibus suis.

[Mi rallegrerò nel Signore, e l’ànima mia esulterà nel mio Dio: perché mi ha rivestita di una veste di salvezza e mi ornata del manto della giustizia, come sposa adorna dei suoi gioielli.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui per immaculátam Vírginis Conceptiónem dignum Fílio tuo habitáculum præparásti: quǽsumus; ut, qui ex morte ejúsdem Filii tui prævísa eam ab omni labe præservásti, nos quoque mundos ejus intercessióne ad te perveníre concédas.

[O Dio, che mediante l’Immacolata Concezione della Vergine preparasti al Figlio tuo una degna dimora: Ti preghiamo: come, in previsione della morte del tuo stesso Figlio, preservasti lei da ogni macchia, cosí concedi anche a noi, per sua intercessione, di giungere a Te purificati.]

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ
Prov VIII: 22-35
Dóminus possedit me in inítio viárum suárum, ántequam quidquam fáceret a princípio. Ab ætérno ordináta sum, et ex antíquis, ántequam terra fíeret. Nondum erant abýssi, et ego jam concépta eram: necdum fontes aquárum erúperant: necdum montes gravi mole constíterant: ante colles ego parturiébar: adhuc terram non fécerat et flúmina et cárdines orbis terræ. Quando præparábat coelos, áderam: quando certa lege et gyro vallábat abýssos: quando æthera firmábat sursum et librábat fontes aquárum: quando circúmdabat mari términum suum et legem ponébat aquis, ne transírent fines suos: quando appendébat fundaménta terræ. Cum eo eram cuncta compónens: et delectábar per síngulos dies, ludens coram eo omni témpore: ludens in orbe terrárum: et delíciæ meæ esse cum filiis hóminum. Nunc ergo, filii, audíte me: Beáti, qui custódiunt vias meas. Audíte disciplínam, et estóte sapiéntes, et nolíte abjícere eam. Beátus homo, qui audit me et qui vígilat ad fores meas quotídie, et obsérvat ad postes óstii mei. Qui me invénerit, invéniet vitam et háuriet salútem a Dómino.

[Il Signore mi possedette dal principio delle sue azioni, prima delle sue opere, fin d’allora. Fui stabilita dall’eternità e fin dalle origini, prima che fosse fatta la terra. Non erano ancora gli abissi e io ero già concepita: non scaturivano ancora le fonti delle acque: i monti non posavano ancora nella loro grave mole; io ero generata prima che le colline: non era ancora fatta la terra, né i fiumi, né i càrdini del mondo. Quando preparava i cieli, io ero presente: quando cingeva con la volta gli abissi: quando in alto dava consistenza alle nubi e in basso dava forza alle sorgenti delle acque: quando fissava i confini dei mari e stabiliva che le acque non superassero i loro limiti: quando gettava le fondamenta della terra. Ero con Lui e mi dilettava ogni giorno e mi ricreavo in sua presenza e mi ricreavo nell’universo: e le mie delizie sono lo stare con i figli degli uomini. Dunque, o figli, ascoltatemi: Beati quelli che battono le mie vie. Udite l’insegnamento, siate saggi e non rigettatelo: Beato l’uomo che mi ascolta e veglia ogni giorno all’ingresso della mia casa, e sta attento sul limitare della mia porta. Chi troverà me, troverà la vita e riceverà la salvezza dal Signore.]

Graduale

Judith XIII: 23
Benedícta es tu. Virgo María, a Dómino, Deo excélso, præ ómnibus muliéribus super terram,
[Benedetta sei tu, o Vergine Maria, dal Signore Iddio Altissimo, piú che tutte le donne della terra].

Judith XV: 10
Tu glória Jerúsalem, tu lætítia Israël, tu honorificéntia pópuli nostri. Allelúja, allelúja
[Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu l’allegrezza di Israele, tu l’onore del nostro popolo. Allelúia, allelúia]

Cant. IV: 7
Tota pulchra es, María: et mácula originális non est in te. Allelúja.
[Sei tutta bella, o Maria: e in te non v’è macchia originale. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam
Luc I: 26-28
In illo témpore: Missus est Angelus Gábriël a Deo in civitátem Galilææ, cui nomen Názareth, ad Vírginem desponsátam viro, cui nomen erat Joseph, de domo David, et nomen Vírginis María. Et ingréssus Angelus ad eam, dixit: Ave, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus.
[In quel tempo: Fu mandato da Dio l’Àngelo Gabriele in una città della Galilea chiamata Nàzaret, ad una Vergine sposata ad un uomo della casa di David, di nome Giuseppe, e la Vergine si chiamava Maria. Ed entrato da lei, l’Àngelo disse: Ave, piena di grazia: il Signore è con te: Benedetta tu fra le donne.]

OMELIA

[G. Perardi, La Vergine Madre di Dio, Libr. del Sacro Cuore, Torino 1908]

L’Immacolata Concezione di Maria [V.]

Erano trascorsi circa quattro mila anni dacché Adamo, commesso il peccato, era stato scacciato dal Paradiso terrestre. Il mondo giaceva nelle più fitte tenebre religiose e morali. L’umanità aveva ormai compiuta la sua prova dolorosa: abbandonata a sé era precipitata nell’abisso di ogni male. Aveva cercato la scienza all’infuori di Dio; ed in luogo della scienza, che non aveva potuto raggiungere, era caduta negli errori più mostruosi. Aveva cercato la grandezza, contro Dio ed invece era precipitata nell’abisso d’ogni più ignominiosa depravazione, nell’abbrutimento d’ogni sozzura. – Contemplate l’umanità nei quaranta secoli dopo la sua uscita dall’Eden demeritato, e riconoscetela ancora, se vi è possibile! Quando uscì dal paradiso terrestre portò con sé un patrimonio prezioso di nozioni religiose e morali… Ed ora tutto è dissipato, tutto è perduto, tutto è sconvolto. Non conosce più Dio, non la sua origine, non il suo ultimo fine… e si deve quasi confessare che non ha più esatta la distinzione del bene dal male. – Rimane ferma la promessa del Liberatore, rimangono le profezie preannunziatrici, rimangono i simboli, le figure, rimane la sentenza fulminata contro il demonio. Ma intanto il demonio trionfa; si direbbe esser egli il padrone, il signore delle anime. – Il demonio! Oh! egli ben conosce le profezie. Sapeva esser ormai giunta l’ora in cui il Messia doveva nascere e nella sua folle superbia, aveva prese le precauzioni per impedirne la venuta. Baldassarre assediato in Babilonia aveva egli pure preso tutte le precauzioni per impedire l’entrata di Ciro liberatore: agguerrite le fortezze, disciplinati gli eserciti, invigilati i nemici, provveduta abbondantemente la città del necessario. Così il demonio aveva preso i suoi provvedimenti. Il Liberatore doveva venire per via di generazione; e questa anche nella discendenza dei Patriarchi era stata insozzata dalle suggestioni di satana. Il Figlio di Dio doveva nascere da una vergine; ma i pianti della figlia di Jefte (Giud. XI) hanno distolto le figlie d’Israele dalla via della verginità. Nessuna vergine per l’Emmanuele. È preannunziato che il Messia sarà un gran Re, che il suo trono sarà splendido come il sole, che il suo regno non avrà fine, ma il demonio è tranquillo: Erode regna in Gerusalemme e la potenza romana lo sostiene. È stato predetto che nascerà dalla stirpe di David; ma da parecchi secoli questa nobile famiglia è decaduta, ed i superstiti lavorano per vivere. La storia ricorda che Ciro penetrò in Babilonia — deviate le acque dell’Eufrate — pel letto del fiume rimasto asciutto. Iddio, per così esprimerci, devia la corrente nefasta del peccato originale, e per mezzo di Maria Immacolata verrà e salverà il genere umano. – L’Immacolata! Argomento bello e dolcissimo che richiama anche oggi la nostra considerazione. È un mistero, ma un mistero pieno di luce, un mistero che rischiara, conforta ed indirizza. Riflettiamo.

I. — I misteri della fede hanno questo di proprio che, incomprensibili nella loro natura, se ben si meditano al lume della ragione e della fede, ci si presentano d’una ragionevolezza che appaga la nostra mente sitibonda del vero. Tale è pure il mistero della Concezione Immacolata di Maria. La mente ed il cuore ci dicono che era cosa convenientissima che Maria fosse Immacolata nella sua Concezione. – Era cosa convenientissima che Maria fosse Immacolata nella Concezione. Poiché, trattando dei misteri di Maria, avremo spesso occasione di accennare a questa ragione di convenienza, giova qui ricordare un pensiero di sant’Agostino, che potremo applicare sempre, ogni qual volta dovremo appellarci a questa ragionevolezza che si manifesta nelle opere di Dio: « Sappi, dice il santo Dottore, che quanto ti avverrà di ritrovare più conforme alla retta ragione, Dio creatore di tutti i beni, lo ha certamente fatto »; ossia: Iddio opera in quel modo che appare più conforme ai dettati della ragione rettamente indirizzata. – Ora la nostra mente, illuminata dalla fede, ci suggerisce molte ragioni che mostrano conveniente la Concezione Immacolata di Maria. Un grande oratore francese, Bossuet, dice che vi sono proposizioni difficili, le quali per essere solidamente dimostrate, richiedono ogni sforzo del ragionamento e tutti gli espedienti dell’eloquenza; altre invece, al solo enunciarle, gettano nell’anima nostra una luce sì viva che sono abbracciate prima che dimostrate (Serm. I per la festa dell’Concezione di Maria). Che la Concezione di Maria sia Immacolata — così già osservava lo stesso Bossuet due secoli innanzi ch’essa fosse definita qual dogma di fede — che il suo diletto Figlio, onnipotente, l’abbia voluta preservare da quella peste comune che corrompe la nostra natura, profana le nostre facoltà, arreca la morte fino alle sorgenti medesime della vita, chi nol crederebbe? Chi mai ad un’asserzione sì plausibile, sì ragionevole, non presterebbe di buon grado il suo assenso?

1° La verità dell’Immacolata Concezione di Maria si collega a tutto il Cristianesimo; le radici e le tracce se ne ritrovano non solo nella tradizione, ma anche in tutto l’ordine e il concatenamento dei nostri più santi misteri; e voi vedrete che non si può rigettarla senza intaccare ciò che la fede ha di più intimo, ciò che il nostro cuore e la nostra mente hanno di più delicato e caro. Dall’eternità Iddio sceglie questa figlia della stirpe umana colpita di maledizione, per introdurre nel mondo il Liberatore; ed in previsione dei gloriosi destini di Lei l’associa al culto anticipato che l’umanità tributa al Figlio nel corso dei secoli precedenti la sua venuta, al culto dei simboli e delle figure ugualmente che al culto delle profezie, come abbiamo altra volta ricordato. Dopo Isaia e Geremia circolano fra i popoli voci misteriose: un nome di donna si unisce alla tradizione della venuta del Redentore sparsa per ogni dove. La Vergine madre riceve gli omaggi non solo del popolo eletto, Israele,  ma altresì delle sibille, dei druidi, dei poeti pagani, come ci attesta la storia dei popoli antichi. Maria dunque « è amata e prescelta da Dio da tutta l’eternità. Ella è preparata nei tempi insieme al suo Figlio e riceve unitamente a Lui il culto anticipato delle figure e degli oracoli. A questo succederà il culto di obbedienza e di amore che lo stesso Figlio di Dio renderà in persona con la propria presenza alla Madre sua; le lodi e le benedizioni dell’umanità cristiana, i cantici eterni degli Angeli e degli eletti. Catena mirabile, dite voi, le cui estremità si confondono entrambe nel seno della divinità! Non correte tanto nell’ammirare, o Signori. Se la Vergine profetizzata deve subire la legge comune, e al pari di ogni nato della stirpe umana, essere colpita dal peccato originale, ecco spezzarsi la catena, e dividersi in due parti disunite, ciascuna delle quali rimarrà collocata in una delle due ère che dividono il tempo, e allora nella economia divina noi non potremo più ravvisare, rispetto a Colei che Dio ha separato dal restante delle creature con tanti privilegi, questo che è il carattere rivelatore della sua perfetta sapienza: voglio dire l’unità. Infatti per quanto Egli sia pronto a purificare l’anima di Maria, riman però sempre vero che per un tempo Ella è contaminata, per un tempo Ella è odiosa al suo Creatore, per un tempo deve cessare ogni omaggio davanti a Lei, per un tempo vi è uno stacco fra l’èra di preparazione e l’èra di grazia » (Monsabré, L’Immacolata Concezione).

2° Maria è la Regina degli Angeli. Se Essa non fosse stata Immacolata nella sua Concezione, ecco quale assurda conseguenza ne verrebbe. Gli Angeli a Dio fedeli avrebbero per Regina non solo una creatura meno pura e perfetta di loro, una creatura sulla cui prima origine avrebbero in certo modo a piangere, ma essi, fedeli a Dio, avrebbero per Regina Colei che fu, sia pure per breve istante, schiava degli angeli ribelli a Dio. La ragione, la mente, il cuore protestano, si ribellano contro la supposizione di una tale possibilità che sarebbe aperta sconvenienza per tutto il cielo; e che perciò Dio non poteva permettere.

3° Maria è Figlia diletta del divin Padre. Quando Dio Padre nei suoi eterni disegni stabilì che il mondo verrebbe salvato per l’Incarnazione del divino Figliuolo, che questo mistero si compirebbe nel seno di una Vergine per l’opera purissima dello Spirito Santo, adottò con adozione singolare e straordinaria a sua Figlia Colei che destinava ad essere prima la Madre venerata del suo Figlio e poi, per una misteriosa estensione, di tutti i figli della Chiesa, ed essere la Sposa del divino Spirito. – Quando Dio Padre destinava Maria a tanta grandezza, a nostro modo di esprimerci, vedeva in Lei qualche cosa di Gesù, un cominciamento di Gesù, e nella carne e nel sangue di questa Vergine la sorgente augusta dove lo Spirito Santo attingerebbe per formare la carne ed il sangue del Salvatore. « L’amore del Padre pel suo Figliuolo, l’eterno ed incomparabile oggetto delle sue compiacenze, si estese perciò da quel momento su Maria come sopra un cominciamento di Gesù Cristo e della santa Umanità del Redentore. La potenza di tale amore, e la liberalità delle sue profusioni dovettero, voi lo intendete, essere senza confini. Da ciò potete giudicare quanto l’adozione della Vergine fu eccellente, poiché procedeva da un amore così grande ed aveva un fine così sublime. Ogni dilazione della grazia avrebbe messa la piaga del peccato in quella santa anima, così pura che preferiva alla stessa maternità divina una verginità che si perde, quantunque senza peccato, nell’innocenza di un santo matrimonio. Maria fu perciò adottata da Dio Padre nell’istante medesimo in cui fu concepita: non vi fu, per Lei, tra la creazione e l’adozione, alcun intervallo. Ma una tale adozione, notatelo, è la grazia santificante, è la santità, è la giustizia che esclude il peccato; perciò l’adozione di Maria fu la Concezione senza macchia, la Concezione Immacolata. – « Inoltre è evidente che Dio Padre dovette compiacersi di far rivivere in Maria tutta la bellezza, tutta la purezza primitiva della sua immagine, disonorata dappertutto pel contagio comune; e che potendolo fare, Egli pose la sua gioia nel preservare Maria dal peccato, e nel crearla nella giustizia affinché tutte le inclinazioni di questa Figlia diletta essendo pure, e non avendo mai alcun germe macchiato l’amabile fiore della sua innocenza perfetta, Egli potesse riposare su Lei i suoi sguardi con amore e contemplarvi con compiacenza, come in uno specchio fedele, tutti i tratti della propria rassomiglianza alterata così profondamente dal peccato nel rimanente degli uomini. E come si riscontrerebbe in Maria questa rassomiglianza quando l’anima di Lei fosse stata macchiata dal peccato? Non vi sarebbe una ripugnanza manifesta? » (Dupanloup, Sull’Immacolata). – Osservate ancora: Dio creando Maria, la creò perché  divenisse Madre di Gesù. Quando Davide annunziò ai primari che Salomone era stato eletto per edificare con grande magnificenza il tempio di Gerusalemme, ricordò loro che si doveva preparare l’abitazione non ad un uomo, ma a Dio (I. Paralip. XXIX, 1). Quanto più dobbiamo credere che l’eterno Padre creando Maria perché fosse un giorno Madre di Gesù, dovette, diremo così, ornarla in modo divino perché aveva ad essere non la madre di una creatura, ma del Creatore! E perciò ben a ragione la Chiesa canta che Dio per la Concezione Immacolata di Maria preparò al suo Unigenito un albergo degno della divinità. — Così pure a nostro modo di esprimerci, Dio Padre associava Maria alla divinità destinandola a Madre di Gesù condividendo con Lei i diritti della Paternità sul Verbo divino. E non vi sarebbe ripugnanza nel pensare che l’anima di Maria non fosse stata sempre bella e pura, sempre santificata dalla grazia, ossia Immacolata?

4° Maria è Madre di Gesù, Madre di Dio. A nessuno dei figli degli uomini è dato scegliersi la madre. Ma se ciò fosse dato ad alcuno, certamente potendo sceglierla nobile, regina, potente, non la sceglierebbe plebea, schiava, meschina. Or il Figliuolo di Dio poté eleggersi, prepararsi la Madre; e non è fargli torto il pensare che, mentre poteva sceglierla tutta bella, tutta pura, tutta santa per la Concezione Immacolata, la volesse invece macchiata nell’anima, della colpa originale? – In questo caso l’umiliazione, l’obbrobrio di Maria, sarebbe stata umiliazione ed obbrobrio di Gesù medesimo. È assioma comune, ed è pure parola dello Spirito Santo, che l’onore e la gloria dei genitori si riflettono nei figliuoli ugualmente che il disonore. E per questo, come la corruzione del corpo di Maria nella tomba sarebbe risalita fino al suo divin Figlio e perciò Dio la volle assunta in cielo in corpo ed anima, egualmente, anzi più ancora, sarebbe ridondata a disonore del divino Figliuolo la corruzione dell’anima di Maria pel peccato originale, quando Dio non l’avesse preservata affatto immune. Potrei ricordare un detto di un gran re, Atalarico, che « vi sono delle condizioni di cose in cui i principi guadagnano quello che essi donano, quanto cioè la generosità torna a loro onore » (CASSIOD., Variar, lib. VIII, epist. XXIII). Tale è veramente il caso che noi studiamo. Se Gesù Cristo onora sua Madre volendola Immacolata, onora se stesso perché la Concezione Immacolata di Maria è più onorifica a Gesù che non a Maria medesima. – Per causa del peccato originale l’anima è in disgrazia di Dio, schiava del demonio. E Dio avrebbe potuto eleggersi per madre una donna in sua disgrazia, o tollerare che anche per un solo istante l’anima di Lei fosse soggetta ad un qualsiasi dominio del demonio? E poi: sapete voi che cosa vuol dire essere Madre di Dio? Essere Madre di Dio vuol dire sorpassare negli onori, nella gloria, nella santità gli Angeli, gli Arcangeli, i Cherubini, i Serafini del Cielo. Essere Madre di Dio significa salire alla più alta dignità, alla più sublime grandezza, ad una grandezza tale che, eccettuatane la grandezza infinita di Dio, non se ne può immaginare alcuna o maggiore o somigliante. Essere Madre di Dio significa essere stretta con Dio, coi vincoli più intimi e più cari, quali son quelli fra un figlio ed una madre, vincoli di autorità, per parte di Maria su Dio stesso. E io non saprei intendere come questo Figlio, infinitamente sapiente, onnipotente, Dio, avrebbe potuto permettere che la propria Madre anche per un solo istante fosse serva del demonio. È assurdo pensare che Dio dovesse, quasi confessando la sua incapacità, dire a Maria sua madre: Fosti in mia disgrazia, fosti soggetta al dominio del mio nemico. – Recatevi in ispirito a Betlemme: « Il Messia è nato, questo Figlio dell’Altissimo, questo Santo dei Santi: sua Madre si è chinata sul suo volto, palpitante di rispetto e di amore. Egli colle sue piccole mani, l’accarezza. Dagli occhi azzurri del Bambino fissi nella fronte materna, partono raggi divini. Quale estasi comune nel possesso di Gesù in Maria, e di Maria in Gesù. Ebbene se la Vergine non è stata Immacolata nella sua Concezione, se in Ella ha circolato qualche cosa della sozzura umana, non fosse che un giorno, un’ora, un solo secondo, vedo il demonio che allo spettacolo della tenerezza tra il Figlio e la Madre, passa nell’ombra, fa intendere un ghigno che è il suo canto di vittoria, e, principe delle tenebre e della bruttezza, getta a Cristo (ne avrebbe il diritto) questo insulto: Tua Madre fu già in mio potere, prima di essere tua io l’ho posseduta nella sozzura. Tale supposizione è intollerabile. Alla larga, o satana » (Lémann, La Vergine Maria, parte I, c. II).

5° Maria è sposa dello Spirito santo. Quando l’Arcangelo Gabriele scende, inviato da Dio, a Nazaret e si presenta a Maria la saluta: Ave gratia plena. Dopo un tale saluto, le annunzia che lo Spirito d’amore, dai cieli, dov’è dai secoli eterni legame di carità che unisce il Padre ed il Figlio, verrà quaggiù nel cuor suo e la virtù dell’Altissimo la coprirà dell’ombra stessa della maestà divina: Spiritus sanctus superveniet in te et virtus Altissimi obumbrabit tibi (Luc. I, 35): per questa misteriosa operazione della potenza e della purezza infinita, Maria diventò la Madre del Verbo fatto carne e portò nelle sue viscere l’Emanuel promesso fin dal paradiso terrestre. – Domando: Potrebbe darsi che in quell’anima che lo Spirito Santo doveva unire a sé coi nodi di una così bella alleanza, con legami così stretti, così dolci, così forti; in quell’anima che Egli doveva investire della santa sua maestà e della sua onnipotente virtù, avesse trionfato prima di tutto il demonio e che il peccato avesse preceduto lo Spirito d’amore nel cuore della sua sposa? Oh! A ragione esclama qui il grande mons. Dupanloup: « Si vorrebbe, dice, che nel cuore di Maria, in quelle viscere verginali che lo Spirito santo doveva, con un prodigio inaudito, fecondare, consacrare, quasi divinizzare, facendo loro concepire un Dio di guisa che Colui che doveva nascere da Maria sarebbe la santità stessa, … quod nascetur ex te sanctum: si vorrebbe dire che in quel cuore il demonio fosse stato primo padrone; pel primo avesse preso con le sue mani impure quel vaso ammirabile, preparato per così grandi meraviglie; pel primo vi avesse trionfato con orgoglio? No, no! Il più semplice buon senso vi ripugna allo stesso modo che la tradizione. A chi infatti si riuscirà a persuadere che i pensieri di Dio siano meno alti, le sue inclinazioni meno benevole, ovvero le sue convenienze meno delicate che quelle dei re della terra, i quali nulla risparmiano per nobilitare ed elevare fino a loro le spose che si scelgono? A chi si farà credere che lo Spirito d’ogni purezza, risoluto dall’eternità di fare di Maria la sua Sposa, abbia potuto lasciarla, anche per un solo istante, nella miseria della nostra comune condizione e nella bassezza del peccato?

6° L’amor di Dio non poteva permettere che la macchia del peccato originale deturpasse l’anima bella di Maria; l’amore di Dio la volle Immacolata. Difatti Iddio ha amato Maria più che non l’abbiano amata tutti gli Angeli e Santi insieme. Quanto hanno amato Maria i Santi! Con quali espressioni tenere ed amorose parlano di Maria! E noi stessi, non è vero che amiamo ardentemente Maria? Non è questo l’affetto più tenero, più ardente del nostro cuore? È possibile vivere senza amare Maria? Oh! non è figlio chi non ama la madre! È un bruto, anzi peggiore del bruto, perché l’animale bruto ama la madre. E non è, no, non è Cristiano chi non ama Maria. Non può aver sentimenti d’amore per Gesù chi non li ha per la Madre sua! Sì, noi amiamo Maria! E perché l’amiamo la vogliamo Immacolata! Se fosse stato in nostro potere, oh! come l’avremmo preservata dalla macchia originale! L’avremmo voluta tutta bella, tutta santa. E Dio che l’ha amata infinitamente più di noi, non avrebbe fatto ciò che avremmo fatto noi se lo avessimo potuto? Dio che è amore infinito, Dio che ama Maria in modo infinito? Bisogna rinnegare la ragione ed il cuore per ammettere — quand’anche la Chiesa non l’avesse definito come dogma di fede — la possibilità che Maria non fosse Immacolata. Oh! l’Immacolata è per noi l’ideale della bellezza spirituale, della santità.

7 ° Devoti cristiani, pensiamo che noi pure abbiamo partecipato in parte al dono di cui fu favorita Maria. Vi abbiamo partecipato quando, bambini forse di poche ore, di pochi giorni, fummo recati alla chiesa e le acque battesimali scorsero sul nostro capo. La grazia di Dio scese allora in noi; e l’anima nostra divenne tutta pura e bella, ed adorna della grazia santificante, figlia di Dio. Oh! ricordiamo con gioia, con riconoscenza, il nostro battesimo! Oh! se avessimo sempre conservato, come Maria, la bellezza spirituale dell’anima nostra! Riacquistiamola, se l’abbiamo perduta, e poi riguardiamola sempre come il più prezioso nostro tesoro, conserviamola con quell’amore con cui riguardiamo Maria Immacolata. Mi sia qui permessa una parola ai genitori. Quando Iddio vi fa dono d’un bambino, deh! non lasciate trascorrere tempo prima di recarlo alla Chiesa pel santo Battesimo! Pensate che si tratta di procurargli la più grande ventura, di renderlo figlio di Dio, di render tutta bella e santa l’anima sua, allontanare da lui il demonio, sottrarlo alla sua schiavitù, renderlo partecipe della bellezza spirituale dell’Immacolata.

II. Un pensiero ancora al privilegio di Maria Immacolata. È un privilegio unico, un privilegio grande, un privilegio divino. Unico. Ogni uomo che nasce in questa terra, porta in se stesso le rovine della colpa; anzi concepito in peccato ne porta dal primo istante di sua esistenza la macchia e la pena. Questa è la legge comune, contro cui non vale chiarezza di sangue, né potenza d’armi, né splendore di gloria. Tutti siamo figli della colpa. L’umanità ci passa dinnanzi come le onde dell’Oceano che di continuo s’incalzano e premono; tutte le generazioni portano in fronte il marchio della colpa originale: passano i patriarchi, i profeti, gli apostoli, i martiri, le vergini, i padri della Chiesa, gli uomini più insigni per santità, e tutti ripetono con Davide: « Io fui concepito nella iniquità, e nei peccati mi ha concepito la madre mia » (Ps. L, 6). Solo Maria è degna dell’inno trionfale della Chiesa: « Tota pulcra es, Maria, et macula originalis non est in te » ; è un privilegio, non raro, ma unico: è il prodigio di Dio santificatore. Grande. Oh! veramente grande è tal prodigio. Par di vedere l’anima di Maria nell’atto della Concezione. Uscita bella, santa e perfetta dalle mani di Dio, spiegava agile il volo per unirsi al corpicciuolo formatosi in seno ad Anna, quando la vide il principe degli abissi. Il superbo che da 40 secoli era avvezzo a trionfi, come prima la guardò già la contava tra le sue prede e quanto più celesti ne scorgeva i lineamenti e l’aspetto, tanto più godendo della nuova conquista, apriva le labbra per annebbiarla col pestifero suo soffio. Stavano intanto spettatori gli Angeli e i demoni, quelli infiorati di gigli pronti a cantare le glorie della bellissima creatura, questi ridendo del riso della superbia pronti a cantare le vittorie dell’inferno. L’anima di Maria intanto che già tutta palpitava di carità mentre stava per congiungersi al corpo si scontrò a faccia a faccia con quell’antico omicida. Senonchè mentre il superbo spalancava le fauci ingorde per appestarla, ella spiccò più lieve il volo, e lasciatasi cadere a piombo sull’empio, schiacciatogli il capo, avvintogli il collo se lo trasse sotto i piedi pesto e vinto. Dio la resse col suo braccio onnipotente, e quando vide il serpente infernale sotto il virgineo piede di Lei, le cinse di stelle il capo, le pose il sole qual veste, le sottomise sgabello ai piedi la luna. Oh! privilegio veramente grande, per cui Maria trionfò del peccato, del demonio! Divino! Sì, veramente divino perché Dio solo poteva operare in Maria e con Maria tale prodigio. Dio è legislatore assoluto, superiore a tutte le leggi: Dio solo aveva potenza di compiere un tale prodigio, e se l’atto era superiore alle forze umane e create era però degno di Dio. – La corruzione originale è come un torrente impetuoso che potenza umana non può arrestare nel suo corso. Ma non vi ha corrente così impetuosa che Dio non possa arrestare. Dio, che al cenno di Giosuè arrestò altra volta il corso delle acque del Giordano, e a sua richiesta fermò il sole, Dio che impedì per mezzo degli Angeli alle fiamme della fornace di Babilonia di offendere i tre fanciulli giudei. Dio medesimo arresta il corso della originale corruzione innanzi all’anima eletta di Maria. E perciò il trionfo di Maria Immacolata è il trionfo di Dio; la gloria dell’Immacolata, è gloria divina.

III. Potrà forse qualcuno osservare che noi diamo troppa importanza al dogma della Concezione Immacolata di Maria. No, o devoti Cristiani, noi non potremo mai dare a questo dogma l’importanza che merita, e ciò per due ragioni: perché è dogma fondamentale della nostra fede, e perché  segna il rimedio al male capitale del secolo nostro. Il razionalismo moderno nega tutto. La Concezione Immacolata di Maria ci ricorda le supreme verità che ci riguardano, la nostra origine, il nostro fine, la caduta dell’uomo in Adamo, la divinità di Gesù Cristo, la redenzione umana. Oh! meditiamo questo dogma così grande; e le verità più importanti della fede splenderanno allora alla nostra mente per illuminarla ed indirizzarla. Il mondo è superbia, e un fremito di ribellione agita le moltitudini insofferenti di autorità. Meditate l’Immacolata e troverete di che umiliarvi, pensando alla sventura originale. Il male ci colpì, ci avvilì prima ancora della nostra nascita. Quasi non eravamo ancora, e già eravamo vinti dal demonio. Piaga gravissima dell’età nostra è il sensualismo più abbietto: godere e non altro che godere; tale è il fine a cui molti mirano ai giorni nostri. Voi contemplate con raccapriccio il dilagare delle sfrenatezze del senso per cui non ci è dato di fare un passo nelle nostre città senza dover chinare la fronte vergognosa degli spettacoli, delle figure che le si presentano innanzi. Il dogma della Concezione Immacolata di Maria ci presenta nella Vergine corredentrice, Madre di Gesù e Madre nostra, il tipo ideale della bellezza spirituale, il trionfo dello spirito sul senso, ci addita il modello che dobbiamo proporci ad imitare nel nostro pellegrinaggio terreno. Ah! comprendiamo come sia stato beneficio speciale della Provvidenza che il dogma dell’Immacolata fosse definito nei tempi moderni, quando appunto di tale verità più abbisognavamo. Siamo pertanto devoti dell’Immacolata onde indirizzare la nostra mente per la via della fede, onde saper mortificare la superbia dello spirito, e mantenerci puri in mezzo al fango del mondo.

ESEMPIO. — La Medaglia miracolosa, che dall’anno 1832 tanto si diffuse fra i fedeli, rappresenta da una parte l’Immacolata Concezione della santa Vergine, e dall’altra la lettera M sormontata da una croce, con i sacri cuori di Gesù e di Maria al disopra. Fu, in una visione, mostrata ad una Figlia della carità, suor Caterina Labouré, consacrata a Dio in una delle comunità di Parigi, e morta il 31 dicembre 1876. Ecco i particolari storici di questa rivelazione secondo una lettera del 17 marzo 1834, scritta dal direttore stesso di questa figlia privilegiata: Verso la fine del 1836, questa pia figlia partecipò al suo direttore spirituale una visione avuta nella sua orazione. Aveva, come in un quadro, veduta la SS. Vergine, come è d’ordinario rappresentata sotto il titolo d’Immacolata Concezione, in piedi, colle braccia stese. Dalle sue mani uscivano raggi che la rapivano, e udì queste parole: Questi raggi sono il simbolo delle grazie che ottengo agli uomini. Attorno alla immagine leggevasi in caratteri d’oro questa breve invocazione: O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi. Considerato questo quadro per alcuni momenti, le fu mostrato il rovescio del quadro stesso e vide la lettera M sormontata da una croce e, al disopra, i sacri cuori di Gesù e di Maria. Allora di nuovo si fece intendere la voce e le disse: Bisogna coniare una medaglia su questo modello, e le persone che la porteranno benedetta e indulgenziata, e con pietà diranno questa breve preghiera, saranno specialmente protette dalla Madre di Dio. Chiese se dovevasi mettere qualche iscrizione dalla parte ove trovavasì la lettera M, la croce ed i due cuori, come si vedeva dall’altra parte: e le fu risposto che no, giacché questi simboli parlavano abbastanza all’anima pia. Il prudente direttore prese questo racconto come illusione d’una pia immaginazione, e si contentò di magnificare in generale la divozione alla Santa Vergine. – Circa tre mesi dopo, la serva di Dio ebbe la medesima visione e dal suo direttore fu trattata nel modo stesso. Finalmente, dopo altri tre mesi, vide ed udì per la terza volta le medesime cose: ma questa volta la voce le disse di più che la Santa Vergine non era contenta che il direttore non si desse punto pensiero di far coniare questa medaglia. Allora il direttore sempre guardingo contro le illusioni, ma temendo d’opporsi ai disegni di Dio, che come a lui piace può esercitare la sua misericordia, andò a trovare l’Arcivescovo di Parigi, gli parlò delle tre visioni e della medaglia che si voleva con tanta insistenza. Il prelato rispose non esservi inconveniente alcuno nel far coniare quella medaglia, poiché era mirabilmente conforme alla fede ed alla pietà verso la Madre di Dio, e non poteva che contribuire a farla onorare. Dietro queste parole del venerabile Arcivescovo, il direttore non esitò più, e la medaglia fu coniata. – Questa medaglia cominciò subito a diffondersi presso le figlie della carità, che ne diedero ad alcuni infermi e moribondi ostinati nel non volersi confessare. Si ottennero guarigioni al tutto sorprendenti e non meno sorprendenti conversioni. Allora da tutte le parti si chiesero di tali medaglie, sicché dopo pochi mesi se ne erano spacciate più di 50 mila: e poco dopo si contavano a parecchi milioni quelle che circolavano soltanto nel Belgio, nella Francia e nell’Italia. Portiamo devotamente la Medaglia miracolosa, quale segno di fede nel dogma dell’Immacolata e di amore verso Maria; e questa Medaglia sarà lo scudo di difesa del nostro cuore, dell’anima nostra contro il demonio, sarà il pegno della protezione e delle benedizioni celesti su di noi.

CREDO …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Luc 1: 28
Ave, María, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, allelúja.

[Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te, tu sei benedetta fra le donne. Allelúia].

Secreta

Salutárem hóstiam, quam in sollemnitáte immaculátæ Conceptiónis beátæ Vírginis Maríæ tibi, Dómine, offérimus, súscipe et præsta: ut, sicut illam tua grátia præveniénte ab omni labe immúnem profitémur; ita ejus intercessióne a culpis ómnibus liberémur.

[Accetta, o Signore, quest’ostia di salvezza che Ti offriamo nella solennità dell’Immacolata Concezione della beata Vergine Maria: e fa che, come la crediamo immune da ogni colpa perché prevenuta dalla tua grazia, cosí, per sua intercessione, siamo liberati da ogni peccato].

Praefatio

de Beata Maria Virgine
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubique grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Conceptióne immaculáta beátæ Maríæ semper Vírginis collaudáre, benedícere et prædicáre. Quæ et Unigénitum tuum Sancti Spíritus obumbratióne concépit: et, virginitátis glória permanénte, lumen ætérnum mundo effúdit, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Coeli coelorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admitti jubeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes: Sanctus …

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Te, nella Conceptióne immaculáta della Beata sempre Vergine Maria, lodiamo, benediciamo ed esaltiamo. La quale concepí il tuo Unigenito per opera dello Spirito Santo e, conservando la gloria della verginità, generò al mondo la luce eterna, Gesú Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui, la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtú celesti e i beati Serafini la célebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo: Santo …]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXXXVI: 3, Luc I: 49
Gloriósa dicta sunt de te, María: quia fecit tibi magna qui potens est.

[Cose gloriose sono dette di te, o Maria: perché grandi cose ti ha fatte Colui che è potente].

Postcommunio

Orémus.
Sacraménta quæ súmpsimus, Dómine, Deus noster: illíus in nobis culpæ vúlnera réparent; a qua immaculátam beátæ Maríæ Conceptiónem singuláriter præservásti.

[I sacramenti ricevuti, o Signore Dio nostro, ripàrino in noi le ferite di quella colpa dalla quale preservasti in modo singolare l’Immacolata Concezione della beata Maria].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (51) LA VERA E LA FALSA FEDE -VI.-

LA VERA E LA FALSA FEDE –V.-

 (P. Gioacchino VENTURA: LE BELLEZZE DELLA FEDE, vol. II. Genova; Ed. Dario Giuseppe Rossi, 1867)

LETTURA VI.

LA CREDENZA DEI MAGI OVVERO LA VERITÀ E LA CERTEZZA DELL’INSEGNAMENTO DELLA FEDE.

§ X. – A somiglianza pure dei Magi, il cattolico, sostenuto dall’insegnamento della Chiesa, manifesta la certezza della sua fede coll’efficacia delle sue opere, e col resistere agli scandali che lo circondano. Felicità e pace di un figlio della vera Chiesa.

Ma la certezza che si ottiene dall’insegnamento cattolico, ancora meglio che da una fede nel suo linguaggio vivissima, si rende fra i Cattolici manifesta da una fede, come quella dei Magi, efficace o generosa nelle sue opere. E che cosa difatti, se non la certezza che abbiamo della verità dei misteri della fede, della forza delle sue grazie, dell’ampiezza delle sue ricompense, persuade tra noi quel disprezzo dei beni temporali e della vita presente, quelle virtù eroiche, quei sacrifici sublimi, quei prodigi di santità che fuori della Chiesa Cattolica si cercherebbero invano, e che l’idolatria, il maomettano, l’eretico nei momenti di un qualche lucido intervallo della loro ragione c’invidiano ed ammirano, senza poterli intendere, molto meno imitare? E una grande e profonda parola quella in cui la sacra Scrittura fa dire a Dio: IL MIO GIUSTO VIVE DI FEDE: Justus autem meus ex fide vivi! (Hebr. X). Imperciocché è appunto la certezza che la fede inspira, unita ai soccorsi soprannaturali che ottiene, che fa vivere sulla terra ad uomini ricoperti di una carne inferma e corrotta una vita angelica, celeste e divina. Essa è che doma le passioni più rivoltose, che contiene i trasporti più violenti, che sana le piaghe più inveterate e più profonde dell’umanità, e persuade la penitenza alla mollezza, l’annegazione all’amor proprio, la carità all’avarizia, la clemenza all’odio, l’umiltà all’orgoglio. Essa è che persuade al sacerdote, al religioso, alla verginella di soggiogare la più violenta delle inclinazioni della natura corrotta, ed immolarsi col sacrifizio continuo della castità più severa, alla gloria di Dio, al bene delle anime, al desiderio di una vita più perfetta in terra e più gloriosa nel cielo. Essa è che spinge il missionario cattolico ad abbandonare patria, parenti, amici, agi, onori, ricchezze; ed a traverso oceani tempestosi ed orridi deserti penetrare nelle contrade più barbare e più crudeli, in cerca di mostri a forme umane, per farli prima uomini e quindi Cristiani, senza altra speranza che quella di coronare una vita di apostolo, una vita di stenti, di privazioni, di croci, di sacrificj di ogni specie, colla morte di un martire. Essa è che anima tante illustri verginelle a fare un sacrificio della loro gioventù, delle loro comodità, della loro bellezza, per dedicarsi all’istruzione delle figlie del povero; ad apprestare nelle prigioni, negli ospedali, nei campi di battaglia, all’umanità inferma, colle lezioni della fede, tutti i soccorsi della carità. Essa è che ispira tante virtù modeste, ma grandi; ignote al mondo, ma note a Dio; virtù che nei paesi cattolici santificano l’interno delle famiglie e vi mantengono colla fede la santità, e coll’ordine la concordia, la pace e la felicità. Essa è infine che incoraggia tanta gente di ogni età, sesso e condizione, a non temere né i sarcasmi degli empj, né il disdegno dei mondani, né la persecuzione dei parenti, né la perdita dei beni, né i pericoli della vita per conservare la fede, per non violare il pudore, per pròfessar la pietà. In somma è questa fede certa che rifonde tutto l’uomo e lo trasforma; fortifica l’anima e la solleva sopra sé stessa e le ispira nobili idee, sublimi sentimenti, sacrificj generosi ed eroici; e riproduce in ogni tempo, in ogni luogo, all’ammirazione del cielo e della terra, lo spettacolo unico e proprio solo della Chiesa Cattolica, lo spettacolo grandioso e stupendo di tanti uomini che, circondati dalla seduzione o dall’ingiustizia di tutte le passioni, son giusti ed in mezzo a tanti esempi di una vita voluttuosa e da bruto, novelli Lot, menano una vita che imita la purezza degli Angioli e manifesta la santità di Dio: Justus autem meus ex fide vìvit. – Che più? simile a quella dei Magi, la certezza che viene dall’insegnamento cattolico si produce ancora per mezzo di una fede costante in faccia ai più grandi scandali capaci di scuoterla e di abbatterla. Vede l’anima veramente cristiana la sua fede combattuta da tanti miscredenti, sfigurata da tanti eretici, disonorata da tanti delitti, oppressa da tanti tiranni. Vede i confidenti non meno che i nemici, i figliuoli stessi non meno che gli estranei, i protettori non meno che i persecutori, con una infernale energia lavorare, dove di nascosto, dove in palese, a metterla in discredito ai dotti, in diffidenza ai governi, in odio al popolo; e disputarsi l’empio vanto di darle l’ultimo crollo o co’ tenebrosi maneggi della loro politica, o col veleno delle loro dottrine, o coll’obbrobrio dei loro costumi. Tutto ciò essa vede, e come si gloria in Dio delle nuove conquiste e della gloria della fede, così geme in silenzio innanzi a Dio e versa lagrime di dolore sulle sue perdite e sui suoi obbrobrj. Ma, al pari degli obbrobri di Gesù Cristo suo capo, che, rivelati a Mosè, come dice S. Paolo, servirono a corroborar la sua fede, invece d’indebolirla, gli obbrobrj e le sconfitte della fede, rattristano ma non iscandalizzano e non fan vacillare la fermezza della credenza dell’anima veramente cattolica. Questa fede, oscurata, annerita dai vapori dell’errore e delle passioni, come la sposa dei Cantici, non le sembra men bella: Nigra sum sed formosa; e quanto la vede più combattuta, tanto le sembra più solida e più verace. Sa essa l’anima fedele, e lo sa di certo che quello che crede è vero al di sopra di tutto ciò che è vero. Come dunque un nuovo vangelo annunziatole dai demonj convertiti in angioli di luce non basterebbe a sedurla, così non bastano a scuoterla, ad intimorirla tutti gli scandali presentatili da uomini convertiti in demonj. Questi scandali, al contrario, facendole sempre meglio conoscere la miseria di chi mal crede e peggio opera ed il vanto di ben credere e di operar bene, le rendono sempre più cara la stessa fede e ve la confermano. Non importa che lo scandalo le venga dalla parte da cui dovrebbe venire l’edificazione e il sostegno: la sua fede rimane costante a fronte delle apostasie degli stessi Cattolici, come quella dei Magi a fronte del disprezzo che mostrarono per Gesù Cristo i suoi stessi Giudei. – Al principio della rivoluzione francese, un ufficiale in Lione essendosi presentato ad un parroco per confessarsi, questo miserabile, che aveva fatto naufragio nella fede, guardando l’ufficiale dall’alto in basso con una sardonica meraviglia, se ne fece beffe, dicendo di non comprendere come mai un graduato e colto militare potesse essere sì pregiudicato e sì cieco da credere ancora alla confessione. « Tutto ciò, ripigliò l’ufficiale, nulla da un tanto scandalo scosso nella sua fede, tutto ciò, signore, non vi riguarda. Ditemi, siete voi sacerdote? avete dal vostro legittimo Vescovo la necessaria facoltà d’assolvere? » E rispondendo il parroco: « Sicuramente, » « Or bene, soggiunse l’ufficiale, compiacetevi di ascoltare la mia confessione e promettetemi da uomo d’onore di assolvermi, se me ne credete capace, coll’intenzione di fare ciò che fanno i ministri della vera Chiesa, e non v’imbarazzate del resto. Se voi lo avete dimenticato, io però ho la sorte di ricordarmi ancora, e so quello che vale l’assoluzione di un legittimo sacerdote, fornito della legittima potestà, qualunque sia per altro la sua opinione e la sua condotta: » Promise il parroco di fare, e fece quanto e come l’ufficiale desiderava. E questi, confessatosi coi sensi della più grande pietà, ritirossi lasciando il parroco non saprebbe dirsi se più confuso della propria miscredenza, o meravigliato di trovare in questo novello centurione una fede sì solida e sì sublime. – Questo bell’esempio di fede, che ci è stato raccontato da un degnissimo ecclesiastico francese il quale lo avea saputo dallo stesso militare, questo esempio, dico, nei tempi di libertinaggio, di apostasia e di errore, ad ogni istante si rinnova. – Ma le anime veramente cattoliche, che in tali tempi, come ha detto S. Paolo, meglio si manifestano, sanno che la vera fede è soggetta a quando a quando a simili vicende per parte dell’errore e delle passioni: ma sanno ancora che, simili al sole che non abbandona un emisfero se non per il luminare un altro, e non tramonta la sera se non per tornare a spuntare il dì appresso, la stella miracolosa della fede, vera luce del mondo, non perde una porzione del suo splendore visibile e della sua esterna testimonianza in certi tempi ed in certi luoghi, se non per tornare in altro tempo e in altro luogo a brillare di un nuovo lustro e riscuotere omaggi novelli, e che, dopo essersi nascosta per qualche tempo da profuga, tornerà a mostrarsi per regnare da regina. Perciò né i libertini che la discreditano, né gl’indifferenti che non la curano, né i rei costumi che la disonorano, né gli antichi fratelli che cadono, né gli stessi ecclesiastici che prevaricano, scuotono punto i veri Cattolici nella loro fede. Deplorano siffatti scandali, ma non li imitano; compiangono tanta cecità, e, lungi dal divenir ciechi essi pure, imparano a vederci anche meglio; studiandosi di mantenere la purezza della lor fede colla purezza della lor anima; per non essere ancor essi strascinati dalla licenza del vivere alla turpe e vergognosa necessità di non credere. Non solo però questi tempi di pubblici scandali, ma i giorni ancora di prova, di tentazioni e di combattimenti privati ai quali Iddio sottopone alle volte le anime di tempra forte e robusta, e dei quali si è poc’anzi fatta parola, questi giorni altresì non duran sempre: passano essi più o meno rapidamente, per dar luogo ai giorni più sereni e più lieti, ai giorni di ricompensa e di conforto, che la divina bontà concede ancora in questa vita alle anime elette, dopo che la tentazione, coll’averne purificata la virtù e provata la fedeltà, le ha fatte trovare degne di Dio. – La stella dei Magi; dopo essersi occultata per provare la fermezza della lor fede ed accrescerla, tornò a brillare più splendida ai loro occhi; così la luce divina, dopo di essersi per qualche tempo ecclissata per provare pure ad accrescere la fede delle anime veramente cristiane, ricomparisce nella lor mente più brillante e più chiara. I venti delle tentazioni cessando di agitare questa preziosa fiammella, essa getta un lume immobile, costante e sicuro. E poiché nelle cose di Dio la mente tanto vede di più quanto il cuore è più puro, avendo detto il Signore: Beati mundo corde quoniam ipsi Deum videbunt (Matth. V.); così dopo che il cuore, per la prova sofferta, è stato purificato da quelle resine carnali da cui si sollevano i vapori delle passioni, la mente, divenuta più sgombra e più chiara, ci vede meglio di prima. E chi può mai intendere, non che spiegare o descrivere con parole lo stato di pace, di quiete, di secreta gioja in cui entrata l’anima, si abbandona a vagheggiare le bellezze della vera fede? Videntes stellam gavisi sunt gaudio magno valde. Anche questo è un gran prodigio, è un gran mistero di fede, che moltissimi fra gli stessi Cattolici intendono poco, e gli eretici e i miscredenti non lo intendono affatto come gli uomini carnali, perduti nelle delizie dei sensi ed intenti a soddisfare il ventre che si hanno eretto in divinità, Quorum Deus venter est (Philip. III), non intendono come mai possa esser felice un cuore che assoggetta tutte le sue inclinazioni all’abnegazione evangelica; così gli eretici e i miscredenti, tutti occupati a ragionare e discutere, e che si sono fatti un idolo della loro ragione, non comprendono, nè possono comprendere come esser possa tranquilla e felice una mente che ha rinunziato ai propri lumi, al proprio giudizio per cattivarlo in ossequio della vera Fede. Ma che questo doppio mistero della grazia e della fede s’intenda, o non s’intenda, ciò nulla importa; il fatto sta che, tra i veri Cattolici, è certo e visibile. Poiché è certo e visibile presso di loro che siccome le anime veramente pure, lungi dall’essere infelici perché si privano degli sfoghi dei sensi, questi sfoghi anzi lor fanno orrore, e il sacrificio stesso della loro carne le consola, e l’incanto della purezza le rapisce e forma parte della loro interna felicità, così le anime veramente fedeli, lungi dal soffrire perché s’interdicono ogni raziocinio, ogni indagine in opposizione alla fede, ogni delirio della ragione, questo stesso sacrifizio della loro mente e del loro giudizio le appaga, le trasporta, e, facendole tranquille, le rende felici. – Imperciocché la felicità della mente consiste nell’ordine e nel riposo dei pensieri, come nell’ordine e nel riposo degli affetti consiste quella del cuore; ed opera della grazia divina si è l’ordinare la credenza, come sua opera è l’ordinare la carità: Ordinavit in me charitatem (Cantic. II) . Perciò la stessa grazia che rende facili i precetti di Dio, ne rende credibili i dommi; la stessa grazia che rende leggiero il peso della legge rende ancora soave e delizioso il giogo della fede. Ora siccome questa grazia ordinatrice non si dispensa che nella Chiesa, così solo nella Chiesa può trovarsi questo doppio ordine, questo doppio riposo, questa doppia felicità. – Solo del popolo della vera Chiesa si adempie la gran profezia: « Il mio popolo si assiderà nelle bellezze della pace, nei tabernacoli della fiducia, in seno ad un ricco ed abbondante riposo: Sedebit populus meus in pulchritudine pacis, in tabernaculis fiduciæ, in requie opulenta (Isa. XXXII). – Mirate quel tenero bambinello che ha preso sonno nelle braccia materne. Oh come è placido il suo respiro, perché  nulla teme il suo cuore! con quale abbandono di sé, con quale fiducia, con quale tranquillità e pace prolunga il suo riposo! oh come è bella la condizione dell’innocenza che dorme in seno all’amore! Or questa non è che un’immagine assai debole della intera sicurezza dell’anima cattolica nella verità della sua fede; dell’immensa fiducia con cui, intorno a ciò che crede, si abbandona nelle braccia della Chiesa, che a nome di Dio le parla de’ misteri di Dio: e vi si riposa con una pace profonda, con una tranquillità perfetta, sapendo che non può ingannarla, perché è sposa di Gesù Cristo, e non vuole ingannarla, perché è madre dei Cristiani; sicché il Cattolico solo può ripetere col Profeta: In pace in idipsam dormiam et requiescam, quoniam tu, Domine, singulariter in spe constituisti me (Psal. IV). – La vera Religione, a ben riflettervi, non è in fondo che amore. La fede è l’amore che docile ascolta, la speranza è l’amore che attende, la contrizione è l’amor che si duole, la preghiera è l’amor che desidera, la pratica del bene è l’amor che s’immola, la pietà e la divozione è l’amore che si trattiene con famigliarità e con confidenza coll’oggetto amato che è Dio, e tutto il culto cattolico non è che l’espressione dell’amore di Dio verso dell’uomo diretta ad eccitare, a mantenere, a cattivare l’amore dell’uomo verso Dio. Perciò il principale effetto della grazia della fede è d’infondere nell’anima una forza segreta, onde la volontà vuole ed ama di credere quello che crede; e domandando all’intelletto il sacrificio di acconsentire a ciò che esso non intende e supera la sua capacità, l’ottiene; e l’intelletto, sotto il peso di questo amore soprannaturale, si piega e si sottomette ai misteri rivelati con maggior fermezza di quello che se li avesse veduti. Perciò S. Paolo non solo il sentimento che ci solleva ad amare Iddio come sommo bene, ma quello pure che ci fa credere e sperare in Lui come somma verità, attribuisce alla secreta operazione dello Spirito Santo mediante la carità divina che, venendo egli in noi pel Battesimo, ha diffusa nei nostri cuori: Habemus accessum per fidem in gratiam istam, et gloriamur in spe gloriæ filiorum Dei..,. Spes autem non confundit: quia charitas Dei diffusa est in cordibus vestris per Spiritum Sanctum qui datus est nobis (Rom. V.). La vera fede adunque è più nel cuore che nell’intelletto; oppure è nell’intelletto insieme e nel cuore: nell’intelletto per farlo credere amando, nel cuore per farlo amare credendo; e se il principio ne è la grazia, la forma e l’alimento ne è l’amore. Una fede siffatta salvò Maddalena: giacché lo stesso dolcissimo Gesù, che la assicurò della sua salute pel merito della sua fede, Fides tua te salvum fecit (Luc. VIII), dichiarò altamente che questa fede sì grande di Maddalena avea preso da un grande e tenerissimo amore la sua forza, il suo abbellimento o la sua perfezione: Dilexit multum (ibid.). Ora dall’amore nasce la fiducia, dalla fiducia il riposo nell’oggetto amato. Egli è adunque perciò ancora che il Cattolico, in cui la fede non è effetto del convincimento di un freddo raziocinio umano, ma del sacro fuoco dell’amore divino, va incontro con vero trasporto alla parola di Dio, all’insegnamento divino manifestatogli per mezzo della Chiesa; lo riceve con una immensa fiducia e vi si adagia e vi si riposa coll’intelletto e colla volontà, colla mente e col cuore, come in un tabernacolo di sicurezza e di pace: Sedebit in tabernaculis fiducia, in pulchritudine pacis. Oh condizione felice! oh sorte avventurosa della coscienza cattolica! Ma per sempre meglio intenderne i vantaggi e il pregio, procuriamo di confrontarla colla condizione infelice, colla sorte deplorabile delle coscienze di coloro che sono fuori della vera Chiesa; giacché, come le tenebre fan meglio risaltare il pregio della luce, così le miserie dell’errore fan meglio apprezzare il vanto di conoscere e di professare la verità.

§ XI. – Si entra a dimostrare che, fuori della Chiesa cattolica, non vi è CERTEZZA alcuna di fede. Da prima perché manca un’autorità divina. L’autorità politica, che fuori della Chiesa dispone della religione, non è altrimenti divina nel decretare i simboli di fede, ma umana o diabolica. Contradizione e castigo degli eretici, obbligati a far dipendere la loro fede dall’autorità secolare, essi che non vogliono riconoscere  l’autorità della Chiesa. Assurdità che vi sarebbe a riconoscere divina l’autorità degli eresiarchi; i loro stessi discepoli l’hanno ripudiata. La stessa Scrittura cessa di essere un’autorità divina pel Cristiano che crede di doverla interpretare a suo modo. – Il vero eretico non riconosce alcuna autorità divina, ma mette la propria ragione al di sopra di Dio stesso. Questo orribile peccato lo ha comune con Lucifero.

Abbiamo veduto che la certezza onde noi Cattolici siamo perfettamente tranquilli e sicuri nella nostra fede sopra tre motivi principalmente si fonda: . sull’autorità divina, interprete infallibile della divina parola; 2.° sull’interno ajuto della grazia della fede; . sull’esterna testimonianza dell’unità delle cattoliche credenze. Ora, poiché nessuno di questi tre motivi si trova nel sistema dell’insegnamento dell’eresia, egli è chiarissimo che l’eretico, veramente tale, non è e non può mai esser certo di quello che crede, e che fuori della cattolica Chiesa non vi è, né può esservi, in materia di religione, né vera certezza, né vera fede. – Non vi è da prima presso gli eretici un’autorità divina, interprete infallibile della divina parola. Accade nell’ordine religioso ciò che accade nell’ordine politico; giacché le stesse ne sono le leggi fondamentali, come lo stesso Dio ne è l’autore. Come la mancanza dell’autorità politica produce l’anarchia dei poteri nello stato, così la mancanza dell’autorità religiosa produce in religione la confusione delle credenze. E come l’anarchia dei poteri distrugge lo stato, così la confusione delle credenze alla lunga finisce col distruggere ogni religione. Come dunque la forza o il dispotismo politico può solamente mantenere un’apparenza di ordine in un popolo caduto nell’anarchia dei poteri, così la sola forza o il dispotismo religioso può, presso di un popolo caduto nella confusione delle credenze, mantenere un’apparenza di religione: Perciò non solo nei paesi maomettani e idolatri, ma ancora ne’ paesi cristiani, ma scismatici o eretici, è la podestà secolare, è la forza, è la spada che domina la religione. – Vi sono, è vero, vescovi ed arcivescovi nella chiesa anglicana, come vi è il santo sinodo nella così detta chiesa ortodossa. Ma quelli riconoscon per pontefice il re, o la regina col suo parlamento, questo l’imperatrice o l’imperatore col suo senato. Le stesse confessioni, gli stessi simboli legali, nei quali l’eresia e lo scisma han ridotto a certe formule l’errore, sebben foggiati da uomini di chiesa, è sempre l’autorità secolare che gli impone a tutti come leggi, che ne reclama l’esecuzione, e che al bisogno gli interpreta a seconda del suo interesse o del suo capriccio. Che anzi negli stessi stati, come la Prussia, l’Olanda, la Svizzera, in cui la supremazia religiosa della podestà politica non è un domma di religione, e perciò non é un diritto, è però ammessa ed esercitata di fatto; poiché infatti è il potere politico che decide nelle materie religiose, come nelle civili: che ordina le preghiere e i digiuni, come le imposte; che dispensa dai precetti del Vangelo, come dalle prescrizioni del codice civile; che regola le coscienze come le dogane, e dirige il culto come la polizia. – Qui due riflessioni si presentano naturalmente alla mente: la prima si è, la contradizione manifesta in cui l’eresia si trova con sé medesima. Poiché qual maggiore contraddizione di questa di rigettare l’autorità della Chiesa universale ed ammettere e sottoporsi all’autorità politica di un governo particolare in materia di religione? e di dire che l’autorità della Chiesa non è necessaria, mentre che l’eresia stessa altro mezzo non trova di perpetuare i suoi scismi e i suoi errori che quello d’insegnarli e d’imporli, coll’autorità sostenuta dalla forza? Qual contradizione più rivoltante di questa, di sostenere che Roma, che la Chiesa universale, riunita, per esempio, in Trento (in cui i più grandi talenti uniti a tutte le virtù fecero di quel Concilio l’assemblea la più santa, la più dotta, la più augusta, la più memorabile di quante mai ne abbia vedute la terra), non ha capito il Cristianesimo e vi si è ingannata: e che hanno ben capito e ci hanno solamente indovinato Costantinopoli, Pietroburgo, Vittemberga, Augusta, Londra, Ginevra ed i conciliaboli ivi raccoltisi sotto la protezione del soldato o del carnefice, e composti di frati apostati, di ecclesiastici incestuosi, d’ingiusti usurpatori, di fanatici sanguinarj, di artigiani falliti, di soldati rivoltosi, di femmine invereconde; in cui tutte le follie unite a tutte le turpitudini, e tutte le assurdità innestate a tutti i vizj, ne fecero le orge le più comiche insieme e le più scandalose di quante ne rammenti la storia delle umane ingiustizie e delle umane stravaganze? La seconda riflessione si è, che il castigo di Dio è visibile sopra questi popoli e sopra queste chiese ereticali o scismatiche, ribelli alla vera Chiesa. L’orgoglio che ha ricusato di sottomettersi al Vescovo dei Vescovi si vede ivi curvato innanzi ad un militare fortunato o alla sovranità religiosa in gonnella, e palparne le passioni e adorarne i capricci e subire dalla loro bocca profana la regola del credere e dell’operare, che ha sdegnato di ricever dalla bocca del Vicario di Gesù Cristo. Non han voluto sapere queste chiese degradate di esser guidate dal pastorale, e sono cadute sotto il regime dello scettro e della spada. La seta della romana tiara è sembrata lor troppo grave, e sono obbligati a gemere sotto il peso di una Corona di ferro. Rigettarono le bolle del Vaticano, ed invece devon piegare la fronte innanzi ai decreti di gabinetto, e ricevere dai parlamenti, invece dei concilj, dai tribunali laicali, invece delle sacre congregazioni, ed invece del concistoro romano, dal consiglio di stato la soluzione dei casi di coscienza e l’interpretazione del Vangelo. Sicché come la fede del Cattolico si riduce in fondo a questo semplice articolo, che comprende tutte le verità: « Io credo tutto ciò che crede la Chiesa; » così la fede del Cristiano, nei paesi in cui lo scisma e l’eresia è la religion dello stato, si riduce a quest’articolo, che comprende tutti gli errori, non escluso l’ateismo: « Io credo a ciò che ordina di credere il re, o l’imperatore. » – Di più, una delle prove più luminose, come si è di già veduto, che l’autorità pontificia insegnante è manifestamente divina si è che gli uomini d’ingegno, d’indole, di nazioni diverse, che per circa duemila anni l’hanno esercitata, appena si sono messi a sedere sulla cattedra di verità, dimenticando tutte le loro idee e le loro passioni, han parlato tutti lo stesso linguaggio. Poiché, senza un’assistenza divina sempre la stessa, era impossibile in tanta diversità di tempi, d’interessi, di opinioni, un accordo si costante, si uniforme, sì contrario alle condizioni dell’umanità e però ancora sì prodigioso. Ma immaginate che i sommi pontefici avessero insegnato il contrario gli uni dagli altri in materia di fede: non potendosi allora decidere chi di loro avesse insegnato il vero e chi il falso, non si potrebbe con sicurezza credere a nessuno. Or con molto più di ragione non si può credere ad alcuna delle autorità civili che si hanno usurpato il diritto di spiegare il Vangelo, e che si vedono interpretare questo Vangelo unico in mille maniere differenti e contrarie; giacché il Cristianesimo di Londra non è quello di Pietroburgo, il Cristianesimo di Berlino è condannato di eresia all’Aja, e quello di Ginevra in Atene è tacciato di empietà … Ma siccome sotto un Dio unico non vi è, né vi può essere che una stessa e medesima fede; una stessa e medesima legge, uno stesso e medesimo modo d’intenderla e di praticarla; e lo stesso Dio non può ispirare interpretazioni sì differenti e sì contrarie della sua stessa parola divina, uniforme ed immutabile: così è chiarissimo che queste autorità civili, che si hanno arrogato la supremazia religiosa, non sono ispirate dal Dio di verità, di pace e di concordia, ma dallo spirito di menzogna, di confusione e di disordine: e che non sono organi divini che insegnano le vie della salute, ma strumenti diabolici che strascinano le anime alla perdizione. – E poi, dopo che si è negato al Sommo Pontefice, capo della Chiesa universale, l’autorità divina di spiegare agli uomini il Vangelo, come è possibile il riconoscere investito di questa stessa autorità divina un fanciullo, od una donnetta, per diritto di nascita o per intrigo di rivoluzione, saliti al trono, o un ribaldo o uno straniero che vi si é fatta strada con una guerra ingiusta, o con una usurpazione felice? Il buon senso più volgare non ripugna di ammettere sì enorme stravaganza? – Credo perciò che quelli stessi cui la ribellione alla Chiesa ha conferito un diritto sì esorbitante e sì assurdo sulla religione dei loro popoli non prendano già in serio questa loro dignità; o che, come degli antichi auguri ci narra Cicerone, che incontrandosi tra via non potevano contenersi dal ridere e volgere essi stessi in burla l’assurdità del loro ministero, così questi pontefici di fabbrica umana non possono non farsi beffe del loro ridicolo pontificato. Checché sia però di loro è certissimo che chi ha fior di senno in capo fra i loro sudditi non crede che essi abbiano autorità in materia di fede, più di quella che un semplice privato ne ha in materia politica, e che l’ima autorità è tanto poco divina quanto l’altra è poco sovrana. Perciò gl’Inglesi protestanti, come vari di loro più sinceri ce lo han confessato, non riconoscono nel loro re-pontefice che la sola esterna rappresentanza della supremazia religiosa, cioè un’autorità puramente politica per mantenere l’esterna unità di una politica religione, qual è la chiesa anglicana, non mai però una vera autorità religiosa, molto meno divina, che abbia diritto di comandare la fede e legar le coscienze. Ciò che, in altri termini, significa che il re d’Inghilterra colla sua prerogativa di capo della religione anglicana e con tutti gli omaggi che a tal titolo riceve, non è più pontefice di quello che sia re un re da teatro; salvo la differenza che un re da teatro fa ridere, e questi pontefici di politica creazione, a cominciar da Nerone che fu pontefice a questo modo, han fatto più di una volta scorrere piogge di lagrime e torrenti di sangue. – Né minor violenza bisognerebbe fare all’intimo senso per riconoscere come inviati di Dio, ripieni del suo spirito e rivestiti di un’autorità divina gli eresiarchi, dalla cui viltà sacrilega i principi secolari han ricevuta la loro religiosa autorità. E mai credibile che Iddio, per illuminar la sua Chiesa e rimetterla sulla strada della verità, da cui gli eretici pretendono che si sia allontanata, tralasciate quelle anime sublimi ed eroiche che in tutti i tempi e precisamente nel secolo XVI suscitò nel Cristianesimo, un S. Gaetano Tiene, un S. Girolamo Emiliani, un S. Ignazio Lojola, un S. Filippo Neri, un S. Carlo Borromeo, un S. Francesco Saverio, un S. Camillo di Lellis, un S. Francesco Carracciolo, un S. Francesco di Sales, un S. Giuseppe Calasanzio, un S. Francesco Borgia, un S. Andrea Avellino, un S. Felice da Cantalice, un S. Pio V, un S. Pietro d’Alcantara, un S. Giovanni della Croce, un Sisto V, un Luigi da Granata, un Bartolomeo de’ Martiri, un Roberto Bellarmino, un Cesare Baronio, un Tomaso Moro, un Pietro Canisio e mille altri santi o venerabili uomini, di un zelo sì disinteressato, di una vita sì pura, di una carità sì eroica, di un ingegno sì vasto, e degnissimi perciò di ricevere in abbondanza lo spirito di Dio e di servire ai disegni della sua misericordia; che, tralasciati, dico, costoro, abbia voluto comunicarsi ad un Fozio l’ipocrita, ad un Giovanni Uss l’indiavolato, ad un Lutero l’incestuoso, ad un Calvino il sodomita, ad un Rotmano il crudele, ad un Arrigo VIII il poligamo, e ad altri uomini di simil tempra, autori di tutti gli scandali, rei di tutti i delitti, ed abbia voluto costituirli apostoli della verità, luce del mondo? In verità che la cosa è troppo assurti per potersi credere, troppo ridicola per potersi affermare. – E poi, se essi stessi questi eresiarchi si sono l’un l’altro scomunicati, anatematizzati, maledetti come apostoli di errore e corruttori della verità, e sì sono a vicenda regalati i titoli di asini, di porci, di diavoli in carne; come si farebbe a decidere chi fra loro ha avuto ragione e chi torto nel parlare cosi, chi è stato da Dio ispirato e chi dal demonio? non avendo potuto a tutti lo stesso Dio ispirare dottrine sì contradittorie da meritar l’una l’anatema dell’altra. Non è dunque più ragionevole e giusto il credere che. Eccettuata la sentenza onde si sono a vicenda condannati siccome eretici, poiché si sono in ciò renduti giustizia e si sono dati il nome che loro spetta, in tutto il resto l’inferno e non il cielo li ha ispirati? – Perciò i loro discendenti si vergognarono ben presto di tali antenati, e per fare obbliare al mondo di avere essi avuto questi mostri per loro guide e maestri, lasciati i nomi delle persone che ricordavano tanti delitti e tante infamie, chiesero alle cose il titolo onde distinguersi, e non si chiamarono più luterani, calvinisti, zwingliani, ma riformati, confessionisti, evangelici, protestanti, ortodossi. E con ciò han dato a conoscere al mondo che nemmeno essi stessi gli eretici riconoscono nei loro turpi patriarchi ombra di spirito di Dio, di missione divina, di divina autorità. – Ma la sacra Scrittura non contiene la parola di Dio? Credendo adunque, come gli eretici dicono credere alla Scrittura, non vengono essi a credere alla parola di Dio e sulla sua autorità? Sì, se col credere alla divina Scrittura credessero essi o potessero credere ad una autorità pure divina che infallibilmente la interpreti. Ma dove trovarla questa autorità fuori di quella della Chiesa Cattolica, che hanno rigettata? La logica dell’errore è così forte come quella della verità. Dopo che si è detto che la Chiesa cattolica o universale si è ingannata, non si può, senza contradizione, ammettere come infallibile l’autorità d’una chiesa particolare. Nessuna chiesa particolare adunque che ha fatto scisma dalla Chiesa universale si può essa stessa imporre come autorità divina ed infallibile ai membri che la compongono; ed è obbligata a lasciare ad ognuno la più ampia latitudine d’intendere la Scrittura come gli pare. Il principio protestante adunque: Che, in materia di religione cristiana, quello si deve ritenere per vero che sembrerà vero ad ognuno leggendo la Scrittura, è la conseguenza legittima, inevitabile, necessaria di ogni eresia che nega l’autorità della Chiesa cattolica, ed in questa conseguenza ogni eresia si risolve. Perciò ogni eresia, come la stessa parola Io indica, non è in fondo che opinione particolare e privata. – Gli eretici veramente tali non hanno dunque fede che nell’infallibilità loro personale, non ammettono altra autorità che la propria ragione. Ed egualmente impudenti e ridicoli che orgogliosi ed empj non arrossiscono di sostenere che può errare il Sommo Pontefice, il testimonio sincero della credenza cattolica, il custode del deposito della rivelazione, il dottore universale, principio e centro della cattolica unità; ma che non erra poi mai l’uomo privato, il zerbino, il militare, il bifolco, la donnicciola: che può ingannarsi colui che Gesù Cristo ha rivestito del ministero d insegnare; ma non s’inganna però mai colui che ha solo l’obbligazione di credere; che può traviare e addormentarsi il pastore, che ha l’incarico di guidare e di pascere; ma che cammina sempre dritta e sicura e che è sempre vigilante sopra sé stessa la pecora, che ha un incessante bisogno di essere guidata e pasciuta: che il maestro alle volte non intende bene la divina parola, ma che bene sempre la intende il discepolo; che è fallibile colui cui è stato detto da Gesù Cristo, la tua fede non fallirà giammai (Luc. XXII); ma è infallibile colui cui il Signore ha detto, bada bene che quello che tu credi un lume in te stesso può benissimo non essere altro che tenebre (ibid. 11). Quanto dire che osano di attribuirsi, ognuno in particolare, quella infallibilità che negano al capo dei fedeli, al corpo dei pastori, alla Chiesa universale, e con una stolida confidenza si appoggiano ad una fragile canna, dopo di avere abbandonata la quercia come non abbastanza solida e sicura. – Pertanto se, ammettendo la divinità delle Scritture riconoscessero la divina autorità che ha la Chiesa d’interpretarla, allora la loro fede, come la nostra, andrebbe a risolversi a terminare in Dio. Ma poiché, rigettata l’autorità della Chiesa, hanno adottato il principio di non ammettere per vero, se non ciò che a ciascuno parrà cero leggendo la Bibbia, come gli antichi filosofi han detto: Quello doversi tener per vero che sembra vero ad ognuno studiando la natura; ognuno di loro si è messo nella disposizione di non credere delle verità primitive o evangeliche né più né meno di quello che gli piacerà e come gli piacerà di crederlo, e di rigettar come falso, o disprezzare come indifferente, tutto ciò che nella rivelazione cristiana rimane al di fuori del circolo delle sue concezioni, de’ suoi giudizj, de’ suoi gusti, dei suoi capricci. In questo orribile sistema adunque, come lo ha benissimo avvertito Tertulliano, sebben l’uomo protesti di credere alla parola di Dio depositata nella Scrittura, pure non è la rivelazione divina che serve di regola alla ragione umana, ma la ragione umana che allarga o restringe, accetta o rigetta, e decide sulla rivelazione divina. Non è l’uomo che si assoggetta alla parola di Dio, ma è la parola di Dio che riman sottoposta al giudizio dell’uomo, Unusquisque arbitratu suo modulatur quod accepit (De præser.). L’ultimo motivo della sua credenza non è già Dio che ha parlato alla Chiesa, ma la propria ragione che ha deciso della parola di Dio, ed ove la fede del Cattolico, nella sua analisi, si risolve in quest’ultimo articolo: Io credo a Dio, la fede dell’eretico finisce in quest’altro: lo credo a me stesso. Quanto dire che l’uomo si erige e si forma un Dio di sé stesso. – L’eretico adunque, coerente a’ suoi principj, non solo non fonda la sua credenza sopra alcuna autorità divina, ma la stabilisce sopra il più grande dei delitti di cui l’umana intelligenza può farsi rea innanzi a Dio, sopra l’idolatria di se stesso. – Quest’orrendo delitto della ragione, che si fa un Dio di se stessa, l’eresia lo ha comune colla filosofia pagana. Degli antichi filosofi Cicerone, in persona di Balbo, afferma che, disprezzando sdegnosamente ogni autorità, tutto pretendevan decidere al tribunale della propria ragione, ed altro oracolo non ammettevano che il proprio giudizio: Tu auctoritates omnes contemnis, ratione pugnas … Suo unicuique utendum est judicio (De nat. deor.). E Seneca pure, alunno ed interprete della stessa scuola, il filosofo, dicea, abbandonato ai proprj pensieri, non acconsente, non crede che a se stesso, Philosophus, cognitionibus suis traditus, acquiescit sibi. Lungi adunque dal credere a Dio, non ammettevano Dio se non come ad ognuno sembrava bene di ammetterlo, o piuttosto se lo creava ciascuno a seconda del proprio capriccio, o delle proprie passioni. E siccome il Creatore è al di sopra della creatura, così questi stolidi e sacrileghi creatori di Dio non mancano di preferirsi a Dio stesso e di costituirsi dii dello stesso Dio. Poiché lo stesso Seneca in più luoghi ha bestemmiato « che il filosofo, pel merito della sua sapienza, è a Dio superiore; » benché, in quanto a lui stesso, per eccesso senza dubbio di modestia, contentossi di dirsi a Dio solamente eguale: Hoc mihi philosophia promittit, ut me Deo parem faciat. E per dirlo qui di passaggio, chi non ravvisa in questa sacrilega parola del pagano filosofo un eco fedele della parola sacrilega che Lucifero pronunziò di se stesso dicendo: « io mi farò somigliante all’altissimo Iddio. Similis ero Altissimo (Isa. XIV) , » e che ripeté quindi all’orecchio dei nostri progenitori, promettendo loro che sarebbero divenuti simili a Dio disubbidendo a Dio, Nequaquam moriemini, sed eritis sicut dii (Gen. II). Ora questa stessa orribile parola che, uscita dal fondo dell’abisso, risuonò prima nell’empireo, poi nell’Eden e infine nel mondo pagano con sì funesto rimbombo, si è ripetuta e si ripete ancora, con non minor danno, in quelle parti del mondo cristiano ove ha dominato e domina ancora l’eresia. Simon Mago, Manete, Montano, Maometto fra gli antichi, Lutero, Martino, Giorgio, Diderot e Rousseau, fra i moderni si sono apertamente attribuita l’ispirazione e l’infallibilità divina e si sono preferiti, lo dirò io?…. al medesimo Gesù Cristo. I loro discendenti non osano più altrettanto colle parole, ma l’osano coi fatti. Giacché che cosa è mai il principio protestante ammesso ed enunciato dai protestanti medesimi: Il protestantismo consiste nel credere come più piace e nel vivere come si crede? se non prendersi scherno di ogni rivelazione divina, opporre il proprio capriccio alla divina parola; è lo stesso che dire: « Che Dio abbia o no parlato, poco m’importa. Se ha parlalo, non ha diritto di impormi la sua parola per regola della mia intelligenza e della mia condotta. Che cosa poi abbia detto, non mi curo saperlo, giacché ho sempre diritto di far dipendere la mia credenza dal mio capriccio e la mia vita dalla mia credenza. « E non è questo un considerarsi eguale, anzi superiore a Dio stesso? È dunque la stessa parola di Lucifero, che collo stesso accento del sacrilegio ripercossa in faccia alla montagna dell’orgoglio ha un eco nel cuor dell’eretico. È Io stesso spirito di superbia luciferina che lo anima, che lo ispira, che lo regge, che lo acceca, che lo perde. Oh misera condizione dell’uomo alla scuola di un tal maestro, sotto il regime di un tal padrone, sotto l’ispirazione di siffatta divinità!