LA GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA -50-
LA VERA E LA FALSA FEDE –IV.-
(P. Gioacchino VENTURA: LE BELLEZZE DELLA FEDE, vol. II. Genova; Ed. Dario Giuseppe Rossi, 1867)
LETTURA VI.
LA CREDENZA DEI MAGI OVVERO LA VERITÀ E LA CERTEZZA DELL’INSEGNAMENTO DELLA FEDE.
§ VII. – Bello spettacolo che presenta la Chiesa cattolica! mantenendo essa sola nella loro purezza tutte le cristiane verità in faccia a tutte le sette degli eretici, che non hanno insegnalo che errori. Fuori della vera Chiesa non si trovano verità pure e semplici. Gli eretici, anche in quelle che han conservate, vi han mescolato l’errore; e colla vera fede han perduto persino il vero linguaggio delle cose divine. Il discepolo della fede è l’allievo della ragione.
A fronte però di queste orribili devastazioni di tutte le verità rivelate, di tutte le credenze dell’umanità, di tutti i sentimenti della natura, che la ragione, gelosa di comandar sola nell’impero dell’intelligenza, ha ammassate da circa due mila anni nel mondo cristiano: a fronte di tanti errori, di tanti delirj, di tante assurdità, di tante stravaganze sognate dall’orgoglio e spacciate con un sì imperturbabile sangue freddo dalle cattedre di pestilenza dell’eresie; a fronte delle dottrine turpi, licenziose, libertine, degradanti, omicide, inventate e predicate dalle passioni per iscancellar dalla terra, coll’ultima traccia del vero, l’ultimo avanzo di giustizia, di probità, di pudore: quanto è bello per noi il mirare il magnifico edificio della verità cattolica ergere immobile e sicura la maestosa sua fronte sulla pietra che lo stesso Gesù Cristo gli ha dato per fondamento nella persona di S. Pietro e de’ suoi successori (Matth. XVI), cui ha commesso il deposito di una fede indefettibile (Luc. XXII); ed ha costituiti maestri ed interpreti infallibili della verità! Quanto è bello, in faccia alle migliaja di sette che si son chiamate o si chiamano cristiane, il mirare la sola Chiesa Cattolica conservare pure ed intatte, senza mescolanza di errore, sine erroris miscela, tutte le verità primitive del genere umano e tutte le verità del Cristianesimo, senza che la malizia umana possa mai corrompere la sorgente divina da cui scorrono nel giardino della Chiesa a rinfrescare le nostre intelligenze, a confortare e ricercare il nostro cuore! Quanto è bello il vederla insegnare con tutte le verità tutte le virtù! poiché come nulla nei suoi dommi sente l’errore, così nulla nelle sue leggi favorisce il vizio: ma come in essa tutto è vero, così tutto è santo e tutto tende a reprimere le passioni, a sollevar levar l’uomo alla virtù più perfetta. Questo pregio singolare ed unico della Chiesa Cattolica è stato finalmente conosciuto, con un sentimento di santa invidia, anche dalla più dotta scuola delle chiese protestanti. Mentre noi andiamo scrivendo queste pagine, risuona altamente per tutta l’Europa l’importante confessione che la forza della verità ha strappata dal cuore dei più famosi professori dell’università protestante di Oxford, il più fermo baluardo della chiesa anglicana, che, per la bocca del dottor Newman, han detto: « la Chiesa romana è la sola che ha conservate intatte le dottrine del Cristianesimo. » Oh bell’omaggio degli stessi maestri dell’errore renduto alla sola Religione di verità, e che mentre è di un augurio prezioso per loro, indicandone il facile e non lontano ritorno, è ancora un argomento di gran consolazione per noi! O anime veramente cattoliche, che sentite il pregio della vera fede, perché in essa solamente si trovan le vere consolazioni del tempo e le legittime speranze dell’eternità, aprite il cuore alla riconoscenza verso Iddio che, avendovi fatto nascere in questa Chiesa, unica depositaria del vero, vi ci ha conservato. Miseri noi! che saremmo noi fuori di questa Chiesa ed estranei al suo insegnamento? Che sapremmo noi di Dio e dell’uomo, se non fossimo cristiani? Che cosa ce ne potrebbe dire di vero, di sicuro la filosofia pagana, se noi non avessimo altra scuola che la sua per sapere che cosa siam noi, a che siam venuti in questo mondo, chi è il Dio che ha diritto alla nostra servitù, al nostro amore? Che cosa ce ne potrebbe dire essa, che, dopo aver impiegati dieci secoli a decifrar questi enimmi, ed aver promesso al mondo di scoprire la vera sapienza, ai tempi di S. Paolo non avea ancora, dopo tante ricerche, trovato che l’errorr, il dubbio e la stoltezza? Sapientiam quærunt, et stulti facti sunt. – Senza la scuola della Chiesa, che sapremmo noi di vero e di sicuro intorno alla Trinità, a Gesù Cripto, alla sua Religione? Quello che ne han saputo gli eretici, che, sdegnando il cattolico insegnamento, hanno coi proprj lumi interpretato la Scrittura. Ma a quale scuola andremmo noi? A quella di Lutero o a quella di Calvino? Consulteremmo i puritani o gli anglicani? i quaccheri o i metodisti? i riformatori o gli evangelici? gli scismatici d’Occidente o le servili sette dell’Oriente? i libertini inglesi o i panteisti francesi? Dove troveremmo noi meschini la verità che è una. che tutte le sette si arrogano, e perciò stesso provano che non è in alcuna di loro? Vi sono è vero delle nozioni di Dio, della Trinità, di Gesù Cristo in tutte le sette che si dicono cristiane. Ma come le più belle piante, trasportate in cattivo terreno e sotto un clima malsano, presto degenerano e si disseccano; così le stesse verità cattoliche, trapiantate, sul terreno limaccioso e palustre, esposte all’alito pestilenziale dell’eresia, si sono presto alterate e corrotte. Sicché quelle stesse verità che gli eretici han rubate a noi, han portato via nel separarsi da noi, non le conservano e non le credono come noi. Tante sono le idee erronee che vi mescolano, le false conseguenze che ne deducono, le detestabili applicazioni che ne fanno! – Come un insetto velenoso, passando sopra d’un vaghissimo fiore, lo appesta, e ne altera l’odore e la natia bellezza; così l’eresia altera e guasta tutte le verità che discute, tutte le virtù che raccomanda. Svolgete i libri dei teologi dell’eresia; considerate come parlano dei dommi, che pur dicono di aver comuni con noi: è impossibile, coll’ajuto di questi libri, il formarsi un’idea chiara e precisa di quello che si deve credere intorno ai più grandi misteri della Religione cristiana. I termini ne sono sì vaghi, le frasi si tortuose, le espressioni si ambigue, i sensi sì varj. le esposizioni sì oscure e sì incoerenti, che la teologia protestante intorno ai misteri sembra fatta per imbrogliare la mente, confonderla o disgustarla della fede nei cristiani misteri. No, un teologo protestante, un eretico, richiesto a rispondere sopra una verità cristiana, non mai ne darà un’idea chiara e precisa che possa farne conoscere 1’errore contrario. Quando Osìandro, vivente ancora Lutero, pubblicò la sua orribile dottrina intorno alla giustificazione, quattordici chiese ereticali, fondate da Lutero medesimo, trattarono Osiandro da eretico. Ma volendo far conoscere in che la dottrina di Osiandro era erronea e stabilire intorno a questo domma la verità cattolica stessa materia: ciò che, lungi dal definire la questione, non servì che ad imbrogliarla di più; il perché le quattordici chiese che pretesero di combattere Osiandro e trattarlo come un eretico, non intendendosi più fra di loro, si divisero tosto in quattordici sette diverse e, trattandosi l’una e l’altra da eretica, presero a combattersi anche fra loro. – Al contrario, appena la vera Chiesa, nel concilio di Trento, parlò su questo stesso argomento, essa lo fece con tanta precisione, con tanta uniformità, con tanta chiarezza, che la verità cattolica intorno al domma della giustificazione brillò di nuova luce agli occhi dei veri fedeli, e tutti gli errori contrarj furono scoperti, confutati e distrutti. Ma non è dato all’errore il parlare il linguaggio schietto, sincero, chiaro e sicuro della verità. Come chi vive lontano dalla propria patria finisce col perderne ancora il natio linguaggio; così gli eretici, coll’essere usciti dalla Chiesa, la vera patria dei fedeli qui in terra, ne han perduto il linguaggio, e non sanno più parlare cattolicamente delle stesse cattoliche verità che han ritenute. Ma, ripetiamolo ancora: in faccia a questa impotenza degli eretici di parlare la verità, quanto è bello il vedere nella Chiesa Cattolica i dotti e i teologi proporre, dimostrare tutti i dommi rivelati con una precisione di linguaggio, con una esattezza di espressione, con una uniformità di senso, che è impossibile il non riconoscervi alla prima lettura la cattolica verità così pura e scevra di errore come fu da Dio stesso rivelata! che anzi è ancora più bello il sentire i laici stessi, le donne, i giovanetti, tanto solo che siano stati istruiti nel catechismo, formati alla scuola della predicazione cattolica e delle cattoliche letture, il sentirli, dico, enunciare idee giuste, chiare, precise intorno alla trinità di Dio, all’incarnazione del Verbo, al numero ed alla efficacia dei sacramenti, all’estensione ed alla forza della legge divina, alla pratica ed ai pregi della vera virtù, all’origine, alla condizione dell’uomo, allo stato dell’anima nella vita presente e nella vita futura! Che cosa diviene la scienza orgogliosa del teologo protestante, a che vale la sua pretesa erudizione biblica, scienza solo negativa, scienza di confusione e d’incertezza, in faccia alla fede umile, ma positiva: chiara, certa, precisa di un vero figlio della Chiesa? Messi a confronto, questi due allievi, l’uno della scuola dell’inquisizione umana, l’altro della rivelazione divina, l’uno non sa che negare, mentre l’altro afferma; l’uno discorre, l’altro crede. E perché il parlare la verità non è dato all’erudizione, ma alla fede; 1’uno, con tutta la sua dottrina, balbetta da fanciullo; l’altro, coll’ajuto della sua fede, parla da uomo; e la vera scienza si trova in fondo dalla parte dov’è la verità.
§ VII – Si passa a discorrere del quarto ed ultimo carattere dell’insegnamento della fede, la sua certezza. I agi, istruiti alla scuola della rivelazione divina, conobbero i più grandi misteri non solo senza errore, ma ancora senza dubbiezza. Prove della fermezza e della costanza della loro fede.
Il quarto ed ultimo carattere dell’insegnamento della vera fede, del quale ci rimane ora a trattare, si è, secondo la dottrina di S. Tomaso, d’ingerire negli animi una somma fiducia ed una somma certezza delle cose che s’imparano a questa scuola divina, e di essere perciò non solo, come si è veduto, esente di errore e veridico, ma ancora fermo e costante da escludere ogni incertezza, ogni dubbio, FIXA CERTAMINE, ABSQUE DUBITATIONE ET ERRORE. – Or questo suo magnifico carattere, questo privilegio meraviglioso, questa efficacia tutta divina spiegò l’insegnamento della fede la prima volta che da Dio stesso fu messo in opera coi gentili nella persona dei Magi. Questi fortunatissimi uomini, perché istruiti appunto per via di rivelazione e di fede, non solo conobbero, non solo crederono nella loro integrità, nella loro purezza, le più grandi verità, i più sublimi misteri, ma ebbero altresì di ciò che crederono e di ciò che conobbero una certezza piena, assoluta e perfetta. Tutto ciò chiaramente deducesi dalla confidenza, dalla vivezza, dalla generosità, dalla costanza e dalla tranquilla sicurezza della lor fede. Qualcosa difatti, se non una persuasione, un convincimento profondo, poté da prima ispirare a tre uomini, di professione filosofi, di condizione monarchi, tanto coraggio e tanta fiducia da abbandonare senza indugio i loro regni, i loro popoli, le loro patrie, le loro famiglie, le loro ricchezze, i loro agi, le loro delizie, ed intraprendere nel cuore dell’inverno, in contrade straniere e nemiche, un difficile e disastroso viaggio, di cui era indefinita la lunghezza, perché ne era il termine ignoto? Imperciocché, veduta appena la stella, docili e pronti alla voce del prodigio e molto più all’interior movimento della grazia, eccoli mettersi in cammino come all’azzardo, giacché sul principio non sapevano se la stella che loro avea fatto da apostolo, lor servirebbe ancora di guida; ma pure con una ferma credenza che era veramente nato il Messia, e con una fiducia inalterabile che lo avrebbero in fine trovato. Ma non abbiamo noi bisogno di argomentare la fermezza della fede de’ Magi, mentre Iddio stesso ce l’ha fatta conoscere, mettendola ad una prova difficile e delicata. Appena essi metton piede nelle contrade della Giudea, ecco tutto ad un tratto scomparire al loro sguardo la stella miracolosa che era stata fino allora guida si fedele e motivo di tanta consolazione nel loro cammino. Ora, altri uomini che i Magi, al vedersi all’improvviso abbandonati dal segno celeste in lontano paese, senza sapere se dovevano battere a destra o volgere a sinistra, se andare innanzi, o ritornare addietro, si sarebbero perduti di animo, si sarebbero stimati illusi, avrebbero accusato sé stessi dicendo: « Oh stoltezza che è stata la nostra! Come mai, re e filosofi, abbiamo potuto con tanta precipitanza cedere ad un’illusione ottica, prendere uno scherzo di luce, un fenomeno naturale per un portento celeste, ed uno scaldamento di fantasia per una rivelazione divina? Che re? che Messia? che Dio è quello di cui ci siamo impegnati di andare in cerca? Eccoci, dopo avere in tredici giorni coi nostri dromedarj percorsa la distanza di mille miglia, e sostenuti i disagi di un penoso cammino a traverso i deserti, eccoci in un paese straniero, nei dominj di un re barbaro, senza scorta, senza guida, senza difesa. Ah! siamo stati troppo insensati e troppo ciechi. Ea trista comparsa che faremo nel ritornare fra i nostri popoli, senza avere raggiunto lo scopo del nostro viaggio, e le secrete beffe dei saggi con cui vi saremo accolti, non ci puniranno mai abbastanza della nostra leggerezza e della nostra imprudenza. » – Cosi avrebbero, senza dubbio, giudicato e parlato uomini in cui la fede nella nascita del Messia non fosse stata fermissima. Ma i Magi non giudicarono, non parlarono così. Col cessare di balenare ai loro occhi la stella, non è un solo istante scossa la loro fede. Non vedono più il segno, ma non perciò credono men di pria il suo significato. Una volta che han conosciuto Gesù Cristo, più nol dimenticano. Quanto più si vedono abbandonati tanto confidan di più; e quanto più si sentono desolati, tanto più amano. Non temono di essersi ingannati sulla natura della stella e sullo scopo della sua apparizione; non dubitano un sol momento che divina fu la luce che aveva illuminata la loro mente, e divine pur le voci che avevano sentite nel loro cuore. Non si accusano di leggerezza nell’aver fatta, senza bastevoli indizj, una mossa sì straordinaria e sì solenne. Non si scoraggiano, non si pentono, non danno addietro, non rimangono un solo istante incerti sul partito da prendere; ma pieni di confidenza entrano in Gerusalemme e pubblicano per tutte le vie come certissima la nascita del Messia, e cercano e chieggono, con una pia importunità a quanti incontrano, il luogo ove poterlo trovare: Venerunt Hierosolymam dicentes: Ubi est qui natus est rex Judæorum? Oh belle parole! oh confessione preziosa, che annunzia una fede non men viva che ferma e immobile! Non dicono già: « Secondo i nostri calcoli ci sembra che dovrebbe esser nato il Messia. La stella che abbiamo veduto ci è parsa esser quella che Balaam nostro antenato ha predetto che doveva spuntar col Messia ed indicarne il nascimento. « Ma coll’accento di una persuasione intera e perfetta dicono: » Il Messia è nato: Natus est rex Judæorum. La stella che abbiamo veduta è certamente la sua, vidimus stellam ejus: e lo scopo della nostra venuta non è già di chiarirci coi proprj occhi della verità del mistero, ma di rendergli omaggio e di adorare il Dio che è nato uomo per la salute degli uomini: Natus est rex Judaorum, et venimus adorare eum. O Giudei, non vi cerchiamo noi adunque se sia o no veramente nato questo Salvatore divino. Noi lo sappiamo di certo. Intorno a ciò la nostra fede non ci ha ingannati. Miracolosa veramente è stata la stella che abbiam veduta, divina veramente è stata la rivelazione che abbiam avuta: Vìdimus stellam ejus, natus est. Ma la stella che ce ne ha manifestata la nascita non ci ha però indicato il luogo dove ritrovarlo.Questo luogo vogliamo solo da voi conoscerlo qual sia. Perciò siamo venuti tra voi. Voi avete tra le mani le Scritture,gli oracoli, le profezie che parlan di lui, non potete ignorare quest’angolo fortunato della terra in cui è nato il Re del cielo. Voi lo sapete con certezza, voi soli potete istruircene; e noi non possiamo conoscerlo se non da voi. Deh ditecelo per pietà, dov’è? dove è esso mai? ubi est? ubi est? Deh. un indizio che cel discopra, una parola che ce lo mostri, un segno che ce lo additi! Noi siamo premurosi, se nol sapete,di offrirgli, coi donativi che gli abbiamo recati, tutti noi stessi. Il cuore ci balza in seno di santa impazienza di darci a Lui per suoi servi e suoi adoratori; « venimus (cum muneribus) adorare eum. ». Ma la fede dei Magi quanto è ferma e viva, tanto è generosa:ed oh il bel coraggio che loro ispira! Imperciocché dove mai levan essi la voce e predicano la nascita del Re de’ Giudei: natus est rex Judæorum? In Gerusalemme, nella metropoli stessa della Giudea, sotto gli occhi di Erode, che perla via degli intrighi i più tenebrosi e dei più grandi delitti si era usurpata col titolo l’autorità di re dei Giudei. Dire dunque, in tal luogo ed in faccia ad un tal re: «Dov’è ilRe dei Giudei che è nato? » poteva sembrare lo stesso che dire:« Colui che qui regna, non è di questo popolo il legittimo re. Noi sappiamo che è nato il Re legittimo dei Giudei, e cerchiamo sapere dov’è, pronti a riconoscerlo ed adorarlo. » Ora ci voleva egli di più per risvegliar le paure, per accendere. il furore della politica usurpatrice dei regni, assai più furibonda e crudele dello stesso fanatismo di religione? Come mai adunque, dice l’Imperfetto, tenere un siffatto linguaggio? Non sanno i Magi chi è Erode che regna in quella contrada?Non intendono che chi ha immolato il proprio fratello all’ambizione del regno non la perdonerebbe ad uomini estranei, nell’impegno di conservarlo? Sono re essi stessi:non conoscono adunque la legge conservatrice della pace e dell’ordine di ogni impero, che chiunque, vivente ancora il re d’uno stato, si mette a proclamare e si protesta prontoa riconoscere un altro re dello stato medesimo è punito dell’ultimo supplizio, come complice e ministro di un tiranno? Sì, uomini in cui il vanto della sapienza è in proporzione della nobiltà della nascita, dell’elevatezza del rango, sanno ed intendono tutto ciò molto bene. Si sono pure accorti che questa novella della nascita di un nuovo re, portata da essi re forestieri, venuti con gran pompa da remote contrade, eda essi pubblicata nella città regina con un tuono di tanta asseveranza e di tanta certezza, ha messo in timore Erode e la città tutta in iscompiglio: Turbatus est Herodes et omnis Hyerosolima cum illo. Veggono bene il pericolo che il coraggio e la franchezza del loro parlare può attirar sopra di loro dalla parte di un monarca geloso e crudele, di un sinedrio invidioso,di una città tumultuante e inquieta. Intendono bene che, stranieri, soli, senza forza, senza eserciti, entrati di già nella città capitale, si sono essi stessi messi a discrezione di un re che nella sua brutalità non conobbe mai discrezione,e che nulla avrebbe potuto garantirli dal furore di colui di cui, colla libertà del loro parlare, parevano accusare l’ingiustizia, l’usurpazione, la tirannia. Ma i Magi intendono altresì che Iddio non per altro gli ha condotti in Gerusalemme se non perché vi pubblichino la nascita del Messia e, gentili che sono, facciano da predicatori ai Giudei. Sentono di avere una missione da Dio. e tutti i pericoli che possono lor venire dagli uomini non li arrestano dal compirla. Intenti a secondare i disegni del Re del cielo, la loro fede dimenticai riguardi suggeriti dalla politica verso un re della terra.Tema e si agiti quanto e come vuole Erode e gli abitanti di Gerosolima. divenuti pei loro vizj un popolo degno di un tal monarca: i Magi non temono né la gelosia del tiranno usurpatore, né la malignità degli scribi, né il furore del popolo.La solitudine in cui si trovano non li disanima, la presenza del pericolo non li conturba, il timor della morte non li arresta; e non cessano di ripetere per le pubbliche vie la nascita del nuovo re de’ Giudei; non ristanno dal chiedere, dall’insistere che lor si dica dove trovarlo, per poterlo riconoscere ed adorare: Dicentes, Ubi est rex Judæorum? venimus adorare. Oh fede generosa, fede magnanima,fede sublime! non hanno ancora veduto questo re Messia, e già lo confessano! non sanno ancora bene di Lui, e son pronti a morire per Lui! non ne sono ancora discepoli, e se ne fanno i primi apostoli, i primi evangelisti; felici se la crudeltà del tiranno vorrà farne altresì i primi martiri! Trionfatrice dei pericoli, la fede dei Magi si tenne ferma all’urto ancora più potente degli scandali. Noi considereremo a parte nella seguente lettura il delitto e l’infame condotta de’ Giudei in questa circostanza solenne. Per ora ci giova osservare che il loro iniquo procedere fu una terribile pietra d’inciampo alla fede dei Magi. Imperciocché, dopo di aver loro indicato il luogo della nascita del Messia, la sinagoga giudaica non si diede alcun pensiero di cercarlo, di rendergli omaggio, come ne aveva il dovere; essa che non esisteva. che per Lui, per prepararne le vie , per sperimentarne la prima i beneficj, come era stata la prima a riceverne le promesse. Quale scandalo adunque per questi poveri gentili l’indifferenza che mostran pel Messia i suoi stessi Giudei! Quale scandalo per questi stranieri la noncuranza che pel Messia mostrò lo stesso suo popolo! Quale scandalo per questi laici il disprezzo che pel Messia mostrarono i suoi sacerdoti! Parea che a tal vista i Magi avessero dovuto dire fra loro: « Come può mai essere veramente il Messia, il rede’ Giudei colui di cui andiamo in cerca, se i Giudei stessi,che da tanti secoli lo attendono, non fanno alcuna attenzione alle parole con cui ne abbiamo, loro annunziato la nascita, e nessun si muove, nessun si dà pensiero di verificarla? Essi ci han detto il luogo in cui il Messia deve nascere secondo le profezie. Come sanno il luogo, così ancora sanno senza dubbio il tempo di questo nascimento. Poiché dunque punto non badano alle nostre parole, bisogna dire ch’essi non credono venuto il tempo in cui il Messia deve nascere, e che quello di cui noi cerchiamo, non è altrimenti il Messia. E poi è possibile che il Messia, il Re de’ Giudei, come si è rivelato a noi stranieri e gentili, non si sia prima rivelato a’ suoi Giudei, cui è stato promesso? Eppure qui nessuno Sa nulla di un nascimento che deve cangiare la condizione di tutto un popolo, ed il primo avviso vi si riceve da noi. Possibile che noi, idolatri, intendiamo i misteri del vero Dio meglio di coloro che ne sono i soli adoratori veraci, che ne hanno in deposito le profezie e gli oracoli, e ne sono legittimi interpreti? Non è più facile il credere che noi ci siamo lasciati illudere dal fenomeno della stella di quello che i Giudei si siano ingannati intorno al mistero del Messia di cui trovami solamente fra loro i veri sacerdoti e i veri profeti?Ma no; i Magi la discorron ben altrimenti, e nel Giudeo che addita loro i l luogo della nascita del Messia senza darsi alcuna premura di ritrovarlo egli stesso, e che resta volontariamente nelle tenebre nel momento che presenta agli altri la luce, in questo Giudeo, dico, i Magi distinguono il sacerdote dall’uomo; il sacerdote depositario della rivelazione divina dall’uomo soggetto alle passioni umane; il sacerdote che parla sotto la ispirazione celeste dall’uomoche opera sotto l’influenza infernale; il sacerdote organo dello Spirito Santo che per la bocca di lui manifesta la verità che illumina, dall’uomo organo del demonio che per la di lui condona presenta uno scandalo che seduce. Ascoltano adunque docili ciò che loro si dice, ma non si lasciano punto scuotere da ciò che alla loro presenza si fa. Praticano ciò che odono, e non badano a quel che vedono. Profittano della preziosa lezione che ascoltano, ma non si fermano all’esempio funesto che ricevono. La parola del Giudeo li illumina, ma la sua condotta non li perverte. Lasciano il Giudeo occupato a leggere curiosamente la Scrittura, e si affrettano di andare a tributare al Dio della Scrittura un’adorazione umile e fedele. E questo scandalo, il maggiore di quanti iMagi ne hanno finora ricevuto, lungi dal render loro sospetta la rivelazione della stella, ve li conferma: lungi dal far vacillare la loro fede bambina, la corrobora; lungi dallo spegnere il loro fervore, lo accende. Oh forza, oh efficacia della certezza che la fede ispira! Finalmente, l’ultimo effetto e l’ultima prova insieme della certezza della fede dei Magi si è la calma, la pace perfetta con cui vi si riposano. Una sola cosa rimaneva loro a sapere: il luogo della nascita del Messia; e questa sola domandano: Ubi est qui natus est? Sul rimanente delle verità sante, dei sublimi misteri che sono stati ben rivelati, la loro mente è perfettamente tranquilla, il loro cuore è sicuro. Perciò non muovono dubbj, non raddoppiano interrogazioni, non intavolano dispute, non istanno ad argomentar coi Giudei, e. discutere con Erode, ma si abbandonano con una immensa fiducia alle manifestazioni ineffabili che Dio si è degnato loro di fare certissimi che tutto ciò che essi sanno, tutto ciò che essi credono, è vero. Ricevuta adunque la sola risposta, il solo oracolo che erano venuti a cercare in Gerosolima, abbandonano senza indugio questa città infedele in preda al suo accecamento ed al suo orgoglio, e si avviano a Betlemme,senza alcuna sollecitudine, senza alcun dubbio sull’esito fortunato del loro viaggio: Qui cum audissent regem abierunt. – Ma se la fede dei Magi non ha più bisogno di ammaestramenti,di lezioni, di guide per ritrovare Gesù Cristo, e perciò essi non le cercano, non le domandano; il loro cuore però puro e retto ben è degno di ricevere dalla bontà di Dio consolazione e conforto. Ecco dunque, usciti appena da Gerusalemme, mostrarsi loro più brillante di pria la stella miracolosa che li avea guidati nella Giudea. Rei vederla, iloro cuori balzarono di una tenerissima gioja. L’espressione dell’evangelista indica un’allegrezza immensa, un trasporto,un eccesso di allegrezza: Videntes stellam gavisi sunt gaudio magno valde. Li precede la stella; ed essi, pieni di sorpresa,di fiducia e di amore, l’ammirano e la lodano, la vagheggiano e la seguono: ed essa li illumina e li consola, li guida e li sostiene, stella antecedebat eos e fa loro sentire che sono presso alla meta del loro cammino, all’oggetto de’ santi loro trasporti. Affrettano adunque il passo, raddoppiano gli sforzi; e tale si è il piacere che si ripromettono di ritrovarsi. nell’abitazione ed alla presenza del Salvatore che son venuti di sì lontano a cercare, tale la gioja di cui questa speranza li colma che quasi più non distinguono tra l’essere di già alla grotta e l’andarvi: Gavisi sunt gaudio magno valde.
§ IX. – Magi crederono con certezza, perché la loro fede ebbe per fondamento: 1.° l’autorità divina; 2.° una rivelazione uniforme; 3.° il soccorso della grazia. Questi stessi tre motivi di credere trova il Cattolico nell’insegnamento della Chiesa, che lo rendono certissimo nella sua fede. Bel prodigio che la grazia della fede opera nel vero cattolico, la cui credenza, a somiglianza di quella dei Magi, è ferma nelle sue prove e vivissima nei suoi trasporti. L’uomo carnale, il freddo razionalista non intendono nulla di questo prodigio. Lo deridono, ma saranno un giorno derisi essi stessi.
Ma non ha nulla di strano tanta certezza nei Magi, che si manifesta con una fede si confidente, sì viva, sì generosa, sì costante, sì tranquilla e sì lieta. I Magi da prima riconobbero la voce e la parola di Dio tanto nella luce della stella che parlò ai loro occhi quanto nel discorso della sinagoga che parlò alle loro orecchie. In tutte e due queste testimonianze, tutte e due miracolose (giacché non era meno miracolosa l’esistenza della sinagoga, sola posseditrice del vero in mezzo alle tenebre degli errori del mondo spirituale, di quello che l’apparizione della stella nella oscurità della notte del mondo corporeo), in tutte e due, dico, queste testimonianze venerarono una autorità divina che a nome di Dio lor parlava di Dio. Credettero adunque a Dio ed alla sua parola; e la parola di Dio, infallibilmente verace, cattiva l’intelletto che illumina, ingerisce una fiducia ed una somma certezza. In secondo luogo essi ricevettero una rivelazione uniforme: giacché come tutti videro egualmente il prodigio della stella ed udirono egualmente l’oracolo della sinagoga, così egualmente intendettero l’uno e l’altro linguaggio, gli diedero il medesimo senso, lo crederono al medesimo modo, presero le stesse risoluzioni, si assoggettarono agli stessi sacrifici, alle stesse pratiche; c sebbene fossero essi filosofi, ed i pastori ignoranti, pure in Betlemme si trovarono a credere le stesse verità, ed in uno stesso luogo si trovarono riuniti nello stesso spirito e nella stessa fede. Or quest’accordo meraviglioso e perfetto, onde i Magi ed i pastori, di patria, di linguaggio, d’ingegno, di costumi e di religione diversi, tutti in un punto si trovarono della stessa opinione e dello stesso sentimento sulle verità che avevano conosciute, toglieva a ciascuno in particolare qualunque dubbio o timore che i suoi sensi, la sua fantasia, o il suo giudizio avesse potuto ingannarlo, e Io rendeva certo che ciò che aveva conosciuto era la verità. Così la fede comune ed uniforme di tutti corroborava la fede di ciascuno in particolare; e ciascuno in particolare si sentiva ancora più forte e credeva ancora colla fede di tutti. Terzo finalmente, come si è più volte notato nel corso di questo libro, i Magi, all’apparire del segno, ne chiesero la spiegazione non alla umana scienza, ma all’illustrazione divina. Lo stesso amoroso Signore, da cui l’umile preghiera è sicura di ottenere ancora più che non chiede non contento di averli per diverse guise illuminati colla sua luce, li rendette ancora certi colla sua grazia; e nel dare alla loro mente la cognizione dei suoi misteri, ne diede loro ancora nel cuore la fede, la fede teologica, la fede divina. – Ora questi stessi Ire motivi che rendettero certi i Magi nella lor fede son quelli che rendono il Cattolico certissimo nella sua. Poiché come il Cattolico ha comune coi Magi la stessa fede, così ne ha con essi comuni i motivi e gli ajutì. E Iddio, nell’avere stabilita la fede dei Magi su questi fondamenti, volle fin d’allora figurare, predire ed indicare le fondamenta della credenza cattolica, dell’insegnamento della vera fede. – Infatti il Cattolico, nel credere che fa alla Chiesa, crede primieramente ad una autorità divina che Dio stesso ha fatta depositaria delle sue dottrine ed ha incaricata d’insegnarle. La Chiesa non foggia altrimenti a suo capriccio i dommi da credere, né i doveri da praticare; ma ci ripete esattamente quello che Dio le ha rivelato. Il Dio che pose la sua divina parola sulla bocca profana e sacrilega di un Balaam, un indovino impostore; che ve la conservò santa e pura, e ne la fece uscire sincera ed intatta; molto più conserva pura e santa la sua parola nella bocca del suo legittimo vicario e nel corpo dei pastori ch’esso ha stabiliti pel governo della sua Chiesa (Act. 22) ed ha rivestiti di un carattere sacro ed augusto, come sono auguste e sante le funzioni cui li destina. – Che cosa infatti, ci attesta mai la storia del cattolico insegnamento? Ci attesta che dalla bocca di uomini d’indole, d’ingegno, di studi, di costumi, di nazione diversi, che per diciannove secoli si sono succeduti sulla cattedra di S. Pietro e sulle sedi delle chiese particolari, e che uniti al lor capo, han parlato ai popoli per istruirli nella scienza di Dio, non è caduta mai alcuna parola profana ed erronea, ma al contrario da essi tutte le verità han ricevuto la loro spiegazione, la loro conferma, tutte le virtù il loro incoraggiamento, tutti gli errori la loro censura, tutti i vizj la loro condanna. Or questo fatto unico, che uomini soggetti ai moti delle passioni, agli allucinamenti della ragione, come tutti gli altri, non abbiano in tanti secoli, in mezzo all’urlo di tante dottrine, insegnalo mai nulla di contrario alla virtù ed alla verità; questo prodigio del Dio redentore, che conserva sempre pura la fede nella sua Chiesa, assai più grande, agli occhi di chi sa comprenderlo, del prodigio onde il Dio creatore conserva sempre viva la luce nell’universo, è una prova visibile e palpabile che l’autorità della Chiesa insegnante è divina. Credere adunque all’insegnamento della Chiesa Cattolica non è credere all’uomo, ma allo stesso Dio, che parla in questa Chiesa, e di cui questa Chiesa non è che l’ineffabile interprete e l’organo fedele. Quel beato fanciullo cristiano adunque di cui parlano le ecclesiastiche istorie, che, nulla spaventato dalle minacce di essere arso vivo nello stesso rogo in cui viva già sotto ai suoi occhi ardeva la sua propria madre, mostrossi come un prodigio di sapienza insieme e di coraggio; poiché confessò costantemente da una parte Gesù Cristo per vero Dio, e dall’altra, interrogato dal tiranno come sapesse che Gesù Cristo era Dio, franco rispose: « Io lo so perché me lo ha detto mia madre, a mia madre lo ha detto la Chiesa, alla Chiesa lo ha detto lo stesso Iddio. » Or ecco dove si risolve in fine la fede cattolica: io credo in Dio e per Iddio: io credo a Dio sulla testimonianze della stessa sua parola infinita, manifestatami per l’organo di una autorità infallibile; e la verità di Dio è l’ultimo motivo della mia fede. – Ora Iddio è verità infinita, e però degno di una fede infinita, come è degno di un infinito amore, essendo bene infinito. Ma finito, come io sono, non essendo capace di cosa alcuna infinita, faccio ciò che mi è possibile; gli rendo ciò che solo è in mia facoltà di rendergli e di che la sua bontà è paga a segno che non esige nulla di più dalla mia debolezza; lo credo al di sopra di tutte le verità, come lo amo al di sopra di tutti i beni. Presto una fede somma alla sua parola; come una somma ubbidienza alla sua legge; cioè una fede che mi fa credere il simbolo al di sopra di tutto ciò che vi è di più certo; ed una ubbidienza che mi fa amare il decalogo al di sopra di tutto ciò che è più degno di amore. In secondo luogo, credere all’insegnamento della Chiesa è credere ad un insegnamento uniforme, costante, invariabile. – Come Cattolico, io so che la mia fede è precisamente la stessa di quella che per quattromila anni fu professata in figura e in aspettazione da tutti i patriarchi, da tutti gli uomini del mondo antico, veri adoratori del Dio vero, da Adamo, cui fu la prima volta rivelata, sino a Gesù Cristo, che questa stessa rivelazione si degnò di rinnovare, di perfezionare, di compiere; che la mia fede è precisamente la stessa di quella che dalla venuta di Gesù Cristo nel mondo, per circa duemila anni, han sempre tenuta e insegnata tutti i pontefici, tutti i concilj, tutti i santissimi Padri, tutti i dottori, tutti i Vescovi, tutti i sacerdoti, tutti i fedeli che sono vissuti e sono morti nel grembo, della vera Chiesa; che se io potessi interrogare le loro ceneri, ed essi mi potessero rispondere, io vedrei attestata e confermata la mia fede da centinaja di migliaja di milioni di testimoni, quanti sono tutti coloro che han professata la fede cattolica e si sono riposati in seno alle sue dolci speranze; ed essi tutti mi assicurerebbero che io non credo né più né meno di quello che han creduto essi stessi, e di quello che per duemila anni si è creduto da tutti, in tutti i tempi e in tutti i luoghi: Quod semper, quod ubique, quod ab omnibus. – E gran cosa! Nessun protestante, come più innanzi vedrassi, è sicuro che quello che esso crede sia da altri allo stesso modo creduto. Ma io, come Cattolico, so ancora che quello che io credo, così appunto come lo credo io, lo credono altresì duecento milioni di Cattolici sparsi sulla superficie del pianeta. Sono essi di patria, di nazione, d’indole, di costumi, d’ingegno e di linguaggio diversi: pure io so di certo che essi, in comune ed in particolare, professano precisamente i medesimi dommi e la medesima legge che professo io stesso. Io so, che nella Chiesa cattolica, quello che insegna un Vescovo lo insegnano ancora tutti i Vescovi; quello che predica un sacerdote lo predicano tutti i sacerdoti: quello che un Cristiano professa di credere lo credono e lo professano al modo istesso tutti gli altri Cristiani, perché tutti hanno studiato alla medesima scuola. Divisi essi in tanti popoli e nazioni diverse, separati da sì enormi distanze di terra e di mare, credon tutti precisamente lo stesso. Dall’orto e dall’occaso, dal settentrione come dal mezzogiorno, da tutti i punti dello spazio come in tutti i momenti del tempo dal seno dell’ immensa comunione CATTOLICA O UNIVERSALE si solleva verso il ciclo lo stesso omaggio degl’intelletti che ripetono in diverse lingue lo stesso simbolo, come si offre da tutti, in diversi riti, lo stesso ed unico sacrificio. Pertanto, portando il mio pensiero nel passato, rivolgendolo al presente, so di certo che quello che credo io è stato sempre così creduto e così ancora si crede. Come il soldato in battaglia è coraggioso e forte non solo per la sua privata forza e pel suo privato coraggio, ma ancora pel coraggio e per la forza dell’esercito di cui fa parte, ossia per la forza del tutto; così come Cattolico, io credo, non solo per la grazia della fede che ho ricevuta io stesso, ma ancora per la grazia della fede sparsa nel cuore di tutti gli altri fedeli. Credo colla fede di tutta la Chiesa di cui sono figliuolo. Ciò è a dire che la fede di sessanta secoli, di moltissime migliaia di milioni di uomini, la fede di tutta la terra, la fede della Chiesa passata e presente cui appartengono li riunisce nella mia mente, e la solleva: nel mio cuore, e lo ingrandisce; aggiunge alla forza della parte quella del tutto; corrobora sempre più il mio assenso, e lo colloca sopra una base di una infinita certezza e lo conferma e lo sostiene e lo nobilita e lo perfeziona. – Finalmente, Dio è fedele, provvido e pietoso; non abbandona alla sua natia miseria l’uomo che cerca di elevarsi a Lui, di unirsi a Lui per mezzo di una fede e di un amore soprannaturale e perfetto. Si piega verso dell’uomo con bontà, gli stende dal cielo una mano amorosa, e come fortifica il nostro cuore disposto ad amarlo, così solleva il nostro intelletto desideroso di riconoscerlo. Grande al certo e sorprendente si è lo sforzo dell’intelligenza umana! che a verità soprannaturali, misteriose, profonde, incomprensibili, che non si vedono, presta un assenso più vigoroso, più intimo, più costante, più perfetto di quello che è possibile di prestare alle verità naturali le più semplici, le più ovvie, le più facili ad intendersi e che si vedono. Ma come può essere altrimenti? subito che l’insegnamento della vera fede, che produce il miracolo di un assenso sì meraviglioso. sì appoggia ad una autorità divina. Dio stesso, si fortifica dall’uniformità dell’assenso della Chiesa universale, e, quello che è più si sostiene per un soccorso, gratuito si. ma soprannaturale e divino. Sicché il prodigio di un intelletto debole che crede alla parola infinita al di sopra di ogni altra verità è l’effetto della grazia e dell’abito della fede divina; come il prodigio di un cuore sì corrotto che ama la infinita bontà al di sopra di tutti i beni è l’effetto della grazia o dell’abito della divina carità, grazie ed abiti che nel Battesimo si ricevono. È dunque Dio, onde l’uomo, secondo una frase del Profeta, si solleva come ad un cuore alto, così ad un’alta intelligenza, sino a Dio stesso; affine che questo Dio, per quest’atto della sua potenza e del suo amore, sia sempre meglio conosciuto e glorificato: Accedet homo ad cor altum, et exaltabitur Deus (Psal. LXIII). E se l’uomo crede con tanta disinvoltura, come fanno i veri fedeli, misteri cotanto superiori all’intelligenza umana; come, se pratica con tanta felicità, alla maniera dei veri giusti, virtù cotanto superiori all’umana debolezza, ciò accade perché è corroborato da una forza tutta divina e perché è forte, direi quasi della stessa forza di Dio ed amante del suo medesimo amore. – Fondata però la certezza cattolica sulle stesse basi di quella dei Magi, eccola produrre i medesimi effetti e manifestarsi per gli stessi prodigi di una fede somma, viva, generosa. costante e tranquilla. – Mirate il vero Cattolico: allevato egli alla scuola della rivelazione, di cui Gesù Cristo è l’autore, e depositaria ed interprete la Chiesa, è più certo della verità di ciò che crede che della verità di ciò che sente, di ciò che tocca, di ciò che vede. La testimonianza della Chiesa non solo esclude ogni dubbio dal suo animo, sine dubitatione, ma vi produce una certezza fermissima, immutabile intorno alle verità rivelate, fixa certitudine; una certezza mille volte più piena, più completa, più perfetta di quella che vi produce la testimonianza dei proprj sensi intorno alle cose sensibili, la testimonianza del proprio intelletto intorno ai primi principj delle cose intellettuali, la testimonianza dell’intimo senso intorno ai fatti interni. Nessun dubbio seriamente tale, che lasci l’anima nella tema che l’opposto di ciò che crede possa esser vero, si solleva mai dal fondo della sua ragione. Il vero Cattolico erede in Dio, come il vero giusto lo ama: con tutto il proposito di un cuore fedele, ex toto corde; con tutta l’energia di un’anima generosa, ex tota anima; con tutta la pienezza di un assenso di un intelletto soggiogato dalla forza dell’evidenza, ex tota mente; con tutte le forze che è possibile riunire per prestare un’adesione somma, intima, profonda e perfetta, ex totis viribus. Direbbesi in certo modo che la fede, per l’anima veramente fedele, perde le sue tenebre misteriose. Quello che crede per effetto della grazia, lo tiene per così certo e reale come quello che potrebbe Dio fargli vedere per un raggio anticipato della sua gloria. – Narrasi di S. Enrico imperatore che, invitato a vagheggiar Gesù apparso in forma di bambino al di sopra di una ostia consacrata, ricusò di andarvi, dicendo che la sua fede non aveva bisogno di questa sensibile testimonianza per credere alla presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucaristia, e che la fede di questo miracolo non avrebbe in lui accresciuta una fede incapace di accrescimento. Or questi sentimenti generosi, queste nobili disposizioni del cuore di sì santo personaggio, esprimono presso a poco i sentimenti e le disposizioni del cuore dei veri figli della Chiesa. Hanno essi tale certezza della verità di ciò che credono che non ne possono avere una maggiore, e che la grazia può bensì accrescere e perfezionare la loro fede, ma gli esterni argomenti non possono aggiungervi nulla di più; e perciò vi prestano tutta l’adesione, lutto l’assenso di che sono capaci: Absque dubitatione, fixa certitudine. Alcune volte Iddio, per accrescere il merito e purificar la virtù degli uomini veramente fedeli, permette che soffrano orribili tentazioni contro la fede. Questa luce divina, come la stella dei Magi e pel medesimo fine, si ecclissa, si nasconde, non brilla più del suo usato splendore nelle loro menti, non appresta l’usato conforto ai loro cuori. In preda a mille dubbi, a mille agitazioni, a mille incertezze, in cui non sanno abbastanza distinguere tra il soffrire la tentazione e l’acconsentirvi, tra il combatterla e il soccombervi, sembra loro di aver poco meno che perduta la fede, di essere stati abbandonati da Dio, come i Magi al vedersi abbandonati dalla stella. Ma queste tentazioni e questi dubbj siccome sono senza colpa, così sono per lo più senza pericolo. La luce della fede si è allora occultata sotto del moggio (Matth. V.), si è riconcentrata nel fondo della loro anima, si è nascosta, ma non si è estinta. Non la veggono essi più, non la sentono; eppure è la sua forza che li sostiene, è il suo calore che li infervora. Gli assalti del tentatore, simili a quelli che un nemico impotente dà agli esterni ridotti di una fortezza, e che lasciano la cittadella in sicuro, gli assalti del tentatore, dico, rimangono al di fuori del recinto del loro cuore: e la pena che sentono nel provarli, e gli sforzi che raddoppiano per respingerli, e la preghiera e l’ajuto celeste che implorano per trionfarne, mentre sono una prova della fermezza della loro fede, l’accrescono, la fortificano e la perfezionano; giacche come lo ha detto Gesù Cristo a S. Paolo, la virtù in mezzo ai pericoli del combattimento si fortifica. si perfeziona e trionfa: Nam virtus in infirmitate perficitur (II Cor. XII). E difatti, oh come allora è più umile lo spirito, il cuore più raccolto, la preghiera più fervente! Ed è una cosa veramente ammirabile per chi ha occasion di osservarla e lume per intenderla il vedere queste anime veramente cristiane, in mezzo alle angustie, alle pene, ai timori del loro cuore, lungi dal cercare nei trastulli del mondo un compenso o un sollievo, distaccarsene ancor di vantaggio; e quanto sono più desolate di spirito, tanto più abborrire le lusinghe della carne, attaccarsi di più alla pratica del bene in un tempo che sembra fatto per disgustamele, e per quella strada, onde parrebbe che dovessero allontanarsi da Dio, stringersi sempre più a Dio, e mostrarsi quanto più desolate, tanto più fervorose e fedeli. La ragione di ciò si è, perché queste anime non desiderano già, ma temono che la fede, che loro è si cara, possa loro divenire sospetta. Paventano adunque perché amano; e le loro grandi paure e le loro grandi agitazioni sono grandi atti di amore; e l’amore di Dio è ciò che solleva ed unisce di più l’anima a Dio. Il filosofo profano, vero animale di gloria, che si applaudisce nel secreto del suo orgoglio di saper tutto, e non sa poi nulla di ciò che più è necessario a sapersi, il freddo razionalista, l’inetto sofista, elle non sa che cosa sia credere e perciò ignora ancora che cosa sia amare; costoro non intendono nemmeno i termini di questo linguaggio di fede: mollo meno intendono il fenomeno, il mistero di un’anima interiore che ama di più la sua fede e vi si fortifica; Dio che ne è l’autore, e vi si abbandona, a misura che vede questa fede più combattuta nella sua mente, e questo Dio più severo e che par che più si allontani dal suo cuore. Non intendono né il prodigio di una fede, tormento insieme e delizia dell’anima in cui risiede: né l’eroismo della stessa anima che questo stato medesimo di tanta ambascia preferisce a tutto ciò che il mondo può offrirle di più piacevole e di più lusinghiero. Ma che cosa la carne ha mai capito e potrà mai capire giammai dei secreti dello spirito, e l’orgoglio delle meraviglie della fede? – Mentre però è fermissimo nella sua adesione e nelle sue prove, la fede dell’anima veramente cristiana è ancora vivissima ne’ suoi trasporti. Quello che crede misterioso e lontano par che lo vegga chiaro e presente, come quello che spera pare che lo possegga. Entrate in una chiesa cattolica nel tempo dell’adorazione delle quarant’ore; mirate la calca di gente di tutte le età, di tutte le condizioni, di tutti i sessi, e perciò sì varia agli occhi degli uomini, e di cui frattanto la professione della medesima fede forma un sol cuore innanzi a Dio. Consideratene la compostezza nel portamento, il raccoglimento profondo, l’atteggiamento devoto; uditene le fervide preci, i colloqui confidenti, le aspirazioni amorose, i santi trasporti: e resterete indeciso se costoro credono al gran mistero che adorano o non piuttosto lo veggano; se essi s’intertengono col Dio nascosto sotto il velo del sacramento, o col Dio svelato nella sua gloria; se questo sia il mistero di fede per eccellenza, o non piuttosto quello della visione; e se questo mistero fa esercitare eroicamente o piuttosto mirabilmente corrobori ed avvivi la loro fede. Certo, che, se Gesù Cristo, invece di essere nell’Eucaristia velato sotto le specie del pane allo sguardo corporeo, e noto solo all’occhio della mente illuminato dalla fede, si trovasse assiso sull’altare in una maniera visibile e manifesta; il raccoglimento ed insieme la famigliarità, la confidenza e il rispetto, l’amore e la tenerezza del suo popolo a stento potrebbero essere maggiori. – La stessa vivezza di fede si scorge nei veri Cattolici rispetto agli altri misteri della religione. Ne parlano non come di cose misteriose, lontane e celesti, ma come di cose chiare, manifeste, visibili e presenti sopra la terra. Quindi quel linguaggio ammirabile proprio dei veri Cattolici, in cui Dio e i suoi attributi, Gesù Cristo e i suoi misteri, la Vergine e i santi, gii angioli e la loro protezione, i dommi del paradiso, del purgatorio, dell’inferno, ritornano in ogni istante: linguaggio in cui chi lo sa intendere ravvisa tradotta e manifestata al di fuori nella sua integrità e nella sua purezza la fede del cuore; ma una fede facile, spontanea, sicura, disinvolta, passata, dirò così, in natura; ma sì viva che s’avvicina gli Oggetti lontani, che toglie quasi il loro velo ai misteri, e considera come presenti, visibili, popolari, comuni, terrestri, i più grandi segreti del cielo. Oh grande, oh prodigioso effetto della certezza della fede Cattolica, degno dell’ammirazione del vero filosofo! Ma in questo ancora gli uomini che pensan col ventre o vivon di orgoglio non intendono nulla. E perché non l’intendono e disperano d’intenderlo, si appigliano all’insensato e comodo partito di deriderlo; chiamano imbecillità, superstizione uno dei più certi miracoli dello spirito di fede; ed attribuiscono alla debolezza dell’uomo ciò che è l’opera della potenza di Dio. Ma che importa a noi ciò che essi dicono? Sappiamo noi ciò che crediamo, e come lo crediamo; ed un giorno la nostra semplicità, al presente derisa, comparirà quello che è veramente, sublime sapienza; ed al contrario, la sapienza orgogliosa dei nostri censori sarà ridotta al silenzio e data all’universo in ispettacolo di obbrobrio; convinta rea di volontaria follia, di profonda impostura, e come tale tremendamente punita!