IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (15)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (15)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vie. Gen

III.

CATECHISMO PER GLI ADULTI DESIDEROSI DI APPROFONDIRSI NELLA CONOSCENZA DELLA DOTTRINA CATTOLICA.

Delle virtù.

D. 509. Che cos’è la virtù?

R. La virtù è un abito, ossia una disposizione costante che inclina l’uomo a fare il bene e ad evitare il male.

D. 510. Di quante specie è la virtù?

R. La virtù, quanto all’oggetto, è duplice, l’una teologica, l’altra morale.

SEZIONE l a . — Delle virtù teologiche.

Art. 1. — DELLE VIRTÙ TEOLOGICHE IN GENERALE.

D. 511. Che cos’è la virtù teologica?

R. La virtù teologica è una virtù il cui oggetto immediato è Dio in quanto fine soprannaturale, e che a tal fine direttamente ordina l’uomo (S. Tom., la 2æ, q. 62, a. 1, 2).

D. 512. Quante sono le virtù teologiche?

R. Le virtù teologiche sono tre: la fede, la speranza e la carità.

D. 513. Possono le virtù teologiche essere acquistate mediante atti naturali?

R. Le virtù teologiche non possono essere acquistate mediante atti puramente naturali, perché sono per natura loro soprannaturali, e tali perciò che soltanto Dio le può infondere insieme alla grazia santificante (Giov., VI, 44; XV, 5; Paolo: ad Rom., V, 5; 2a ad Cor., III , 5; ad Philipp., I , 29).

D. 514. Quand’è che vengono infuse nell’uomo le virtù teologiche?

R. Le virtù teologiche vengono infuse nell’uomo nell’atto stesso della giustificazione, acquisita in una con la remissione dei peccati, o mediante il sacramento del Battesimo, o mediante l’atto di contrizione col voto del Sacramento (Paolo: ad Rom., V, 2; V i l i , 24; Ia ad Cor., XIII, 13; Ia ad Thess., I, 3; ad Hebr., XI, 6; l a di Giov., IV, 15, 19; Conc. di Tr., sess. VI, c. 7; Clemente V : Const. De summa Trinitate, nel Conc. di Vienna; S. Policarpo. Epist. ad Philippenses, 3; S. Giov. Cris. : In Act. Apost., XL, 2; Cat. p. parr., p. II, c. II, n. 50, 51).

D. 515. Le virtù teologiche sono necessarie alla salvezza?

R. Le virtù teologiche sono assolutamente necessarie alla salvezza perché senza di esse né l’intelletto né la volontà possono rettamente indirizzarsi al fine soprannaturale

(Marco, XVI, 16; Giov., IV, 15-20; Atti, V i l i , 37; X , 43; Paolo: ad Rom., V, 2; VIII, 24; ad Hebr., XI, 6).

D. 516. Qual è fra le virtù teologiche la più eccellente?

R. La più eccellente fra le virtù teologiche è la carità, che è perfezione della legge, e tale che non cessa nemmeno in cielo (Matt., XXII, 35-40; Giov., XIII, 14; XIV, 21, 23; Paolo: ad Rom., XIII, 10; I a ad Cor., XIII, 1-13; ad Coloss., III, 14; Giac, II, 8; Benedetto XII: Const. Benedictus Deus, 29 giug. 1336; S. Clemente Rom.: Epist. ad Cor., I , 49; S. Tom., 2a 2æ, q. 23, a. 6, 7).

D. 517. Quand’è che siamo tenuti a emettere atti di fede, di speranza e di carità?

R. Spesso nella vita siamo tenuti a emettere, per lo meno implicitamente, atti di fede, di speranza e di carità, specie quando, raggiunto l’uso di ragione, si sia pervenuti ad una conoscenza sufficiente della-rivelazione divina, e sopratutto, poi, ogni qualvolta che il dovere da compiere o la tentazione da vincere esigono tali atti, come anche in pericolo di morte (Aless. VII: prop. 1 tra le condann., 24 sett. 1665; Inn. XI: prop, 6, 7, 16, 17 condann., 2 marzo 1679).

Art. 2. — DELLE VIRTÙ TEOLOGICHE IN PARTICOLARE.

A) – Della fede.

D. 518. Che cos’è la fede?

R. La fede è una virtù soprannaturale mediante la quale, con la divina grazia che ispira e aiuta, noi crediamo per vero quanto Dio ha rivelato e ci ha insegnato per mezzo della Chiesa; e ciò, non a motivo dell’intrinseca verità delle cose considerata col naturale lume di ragione, ma a motivo dell’autorità medesima di Dio rivelante, che non può né errare né ingannare (Paolo: Ia ad Cor., II, 5, 7-13; ad Hebr., XI, 1; ad Rom., X, 14-17; Conc. Vat.: Const. Dei Filius, cap. 3; S. Leone M.: Sermo XXVII, 1; S. Giov. Cris.: In Matth., LXXXII, 4).

D. 519. Dobbiamo noi credere tutte le verità rivelate?

R. Dobbiamo credere, per lo meno implicitamente, tutte le verità rivelate, per es. : Credo tutto ciò che Dio ha rivelato e che la Chiesa propone da credere, o più in breve: credo tutto ciò che crede la Santa Madre Chiesa; esplicitamente, poi, dobbiamo credere all’esistenza di Dio e al suo carattere di rimuneratore, come pure ai misteri della santissima Trinità, dell’Incarnazione e della Redenzione,

(Matt., XXVIII, 19; Giov, III, 15, 18, 36; XVII, 3; XX, 31; Paolo: ad Hebr., XI, 6; Inn. XI, prop. 22 e 64 tra le condann., col Dec. d. S. Congr. S. Uffizio, 2 marzo 1679 ; Decr. Del S. Uffizio 25 genn. 1703. — Credere queste verità è alla salvezza necessario di necessità — come suol dirsi — di mezzo, mentre credere le altre verità è necessario di necessità di precetto; ora, dicesi necessaria di necessità di mezzo quella cosa senza la quale, ne fosse pure incolpevole l’omissione, non si può raggiungere il fine; necessaria di necessità di precetto è, invece, quella cosa la cui incolpevole omissione non impedisce di raggiungere il fine. Da questi concetti risulta che quanto è necessario di necessità di mezzo, lo è ugualmente di necessità di precetto.).

D. 520. Può la fede essere contro la ragione?

R. Per quanto la fede sia al disopra della ragione, in nessun modo essa è contro la ragione, né tra fede e ragione può mai darsi un’opposizione vera e propria (Conc. Vat.: Const. Dei Filius).

D. 521. Perché tra fede e ragione non può mai darsi un’opposizione vera e propria?

R. Tra fede e ragione non può mai darsi un’opposizione vera e propria, perché quel Dio che rivela i misteri e infonde la fede, è quello medesimo che all’anima umana detta l’interno lume della ragione; ora Dio non può negare sé stesso, né il vero può mai contradire al vero (Conc. Vat, 1. c.; Pio IX: Encicl. Qui pluribus, 9 nov. 1846).

D. 522. Possono la fede e la ragione aiutarsi a vicenda?

R. La fede e la ragione possono aiutarsi a vicenda in quanto, mentre la retta ragione dimostra i fondamenti della fede, e rischiarata dalla luce di questa, coltiva la scienza delle cose divine; la fede, da parte sua, libera e difende la ragione dagli errori, non senza arricchirla anche di molteplici cognizioni (Conc. Lat., V, sess. VIII; Conc. Vat., 1. c.).

D. 523. Quand’è che dobbiamo esternamente professare la fede?

R. Dobbiamo esternamente professare la fede ogni qual volta il nostro silenzio, il nostro tergiversare o il nostro modo di agire, venissero ad equivalere ad un’implicita negazione della fede, ad un atto di disprezzo della religione, ad un’ingiuria contro Dio o ad uno scandalo per il prossimo (Paolo: ad Rom., X, 20; 2a ad Tim., II, 12; Cod. D. C , can. 1325.).

D. 524. In qual maniera manifestiamo noi la fede?

R. Noi manifestiamo la fede, confessandola con la parola e le opere, e qualora le circostanze lo esigessero, anche col sacrificio della vita (Paolo: ad Rom., X, 9, 10; ad Galat., V, 6; Giac, II, 18, 21.).

D. 525. Come si perde la fede?

R. La fede si perde con l’apostasia o l’eresia, quando, cioè, il battezzato venga a respingere sia tutte, sia alcune verità della fede, o a revocarle in dubbio con atto deliberato.

D. 526. Oltre gli apostati e gli eretici, vi sono altri che peccano contro la fede?

R. Oltre gli apostati e gli eretici peccano contro la fede:

1° il non battezzato che respinga la fede pur sufficientemente proposta al suo intelletto;

2° chiunque trascuri di procurarsi una istruzione religiosa sufficiente, proporzionatamente alla propria età e al proprio stato; »

3° chiunque professi errori dalla Chiesa proscritti e che più o meno si avvicinano all’eretica pravità;

4° chiunque volontariamente si esponga al pericolo di recedere dalla fede, per es. colui che senza la dovuta licenza e cautela legge libri dalla Chiesa proibiti, specie quando abbiano per autori apostati, eretici, scismatici, scritti con lo scopo di propugnare l’apostasia, l’eresia o lo scisma (Cod. D. C., san. 2318, § 1).

B) – Della speranza.

D. 527. Che cos’è la speranza?

R. La speranza è una virtù soprannaturale mediante la quale, in virtù dei meriti di Gesù Cristo, sicuri della bontà, onnipotenza e fedeltà di Dio, noi aspettiamo la vita eterna e quelle grazie necessarie a conseguirla che Dio ha promesso a coloro che compiranno opere buone (Giov, VI, 40; Paolo: ad Rom., V, 2; VIII, 24; 2a ad Cor., V, 2; ad Coloss., I, 23, 27; ad Tit., I, 2; ad Hebr., III, 6; Benedetto XII: Const. Benedictus Deus, 29 giug. 1336; S. Giov. Cris.: In Epist. ad Rom., XIV, 6.).

D. 528. In qual maniera manifestiamo noi la speranza?

R. Noi manifestiamo la speranza non solo con le labbra, ma anche con le opere, quando, intimamente animati dalla fiducia nelle divine promesse, pazientemente sopportiamo le asprezze e i dolori della vita e financo le persecuzioni (Paolo: ad Rom., VIII, 17, 18, 23-25; I a ad Cor., IX, 25; 2a ad Cor., I, 7; IV, 8-18; VII, 1).

D. 529. In qual maniera si perde la speranza?

R. Si perde la speranza sia col peccato di disperazione sia con quello di presunzione, sia con quegli stessi peccati che fanno perdere la fede (Gen., IV, 13; Matt., III, 9; XIX, 25, 26; XXVII, 5; Atti, I , 16-19, 26).

D. 530. Che cos’è la disperazione?

R. La disperazione è la volontaria e deliberata sfiducia di ottenere da Dio l’eterna beatitudine e i mezzi che vi conducono.

D. 531. Che cos’è la presunzione?

R. La presunzione è la temeraria fiducia di poter conseguire l’eterna beatitudine senza la grazia o senza le buone opere.

C) – Della carità.

D. 532. Che cos’è la carità?

R. La carità è una virtù soprannaturale con la quale amiamo al disopra di ogni cosa Dio per se stesso, e per amor di Dio noi medesimi e il prossimo (Matt, XXII, 37-39; l a di Giov, III, 17, 18; IV, 20, 21. — La presente definizione della carità può essere ulteriormente chiarita come segue. La carità vien detta virtù soprannaturale, perché con questa carità noi amiamo Dio in quanto conosciuto non solo mediante le forze naturali, ma mediante aiuti dallo stesso Dio infusi. Con la quale noi amiamo Dio: l’oggetto primario della carità è quindi Dio. Al disopra di ogni cosa: poiché la nostra volontà si porta verso il bene, e Dio essendo il bene al disopra di tutti i beni, al disopra di tutti Egli è amabile. Per se stesso: vale a dire a causa della sua intrinseca bontà; l’oggetto formale, ossia il motivo della carità è, quindi, la stessa infinita bontà di Dio. D’altra parte, dato che amare qualcuno per sé stesso è amore di benevolenza, che Dio a sua volta ci ama di tale amore di benevolenza, e che un mutuo amore di benevolenza è amicizia, ne consegue che la carità è una specie di amicizia dell’uomo con Dio (S. Tom, 2a 2æ, q. 23, a. I). E noi medesimi e il prossimo: quindi siamo noi stessi e il prossimo l’oggetto secondario della carità. Per amor di Dio: e difatti chi ama qualcuno di amore di benevolenza, estende il suo amore a coloro che costui ama; se noi, quindi, amiamo noi medesimi e il prossimo, gli è perché amiamo Dio, e che Dio ama noi e il prossimo; in virtù di quella stessa carità noi desideriamo per noi stessi ed il prossimo ciò che Dio medesimo ci desidera, cioè la grazia in questa vita presente e la gloria del Paradiso in quella futura.

D. 533. In qual maniera dobbiamo innanzi tutto provare il nostro amore a Dio?

R. Dobbiamo innanzi tutto provare il nostro amore a Dio con l’osservare i suoi comandamenti (Giov, XV, 15, 21, 23; l a di Giov, V, 3; S. Greg. M.: In Evangelia, II, 30, 1, 2).

D. 534. In qual maniera possiamo inoltre provare il nostro amore a Dio?

R. Possiamo inoltre provare il nostro amore a Dio con opere non comandate, ma a Dio accette, e chiamate supererogatorie.

D. 535. Come si perde la carità verso Dio?

R. Si perde la carità verso Dio col peccato mortale, qualunque esso sia; ma, perduta in seguito a peccato mortale la grazia, non perciò si vien sempre a perdere la fede e la speranza (Giac, II, 10, 11; l a di Giov, III, 6, 8, 9; Paolo: la ad Cor., XIII, 1-3; Giac, II, 14, 17, 24; la di Giov, III, 15-18: Conc. di Tr, sess. VI, cap. 15, can. 27, 28; S. Tom, 2a 2æ, q. 24. a. 12. ).

D. 536. In qual maniera dobbiamo noi amare noi stessi?

R. Dobbiamo amare noi stessi col cercare in ogni cosa la gloria di Dio e la nostra eterna salvezza.

D. 537. In qual maniera dobbiamo noi amare il prossimo?

R. Dobbiamo amare il prossimo con atti sia interni che esterni, cioè col perdonare le offese, coll’evitare d’inferirgli danno od ingiuria o scandalo, e infine col soccorrerlo secondo le nostre forze nelle sue necessità, soprattutto mediante le opere di misericordia spirituale e corporale (Inn. XI: prop. 10, 11 tra le condann. dalla Congr. d. S. Ufficio, 2 marzo 1679. )

D. 538. Quali sono le opere di misericordia spirituale?

R. Le opere di misericordia spirituale sono:

1° consigliare i dubbiosi;

2° insegnare agl’ignoranti;

3° ammonire i peccatori;

4° consolare gli afflitti;

5° perdonare le offese;

6° sopportare pazientemente le persone moleste;

7° pregare Iddio per i vivi e per i morti (II Macc, XII, 46; Matt, X, 10; Luca, X, 26 e segg.; Paolo: ad Rom., XII, 12-27; ad Galat., VI, 1, 2; ad Eph., IV, 1, 2, 32; VI, 18; ad Coloss., IV, 2; Ia ad Thess., V, 14-17; I a ad Tim., II, 1, 2; Giac, V, 19, 20).

D. 539. Quali sono le opere di misericordia corporale?

R. Le opere di misericordia corporale sono:

1° dar da mangiare agli affamati;

2° dar da bere agli assetati;

3° vestire gl’ignudi;

4° alloggiare i pellegrini;

5° visitare gl’infermi;

6° visitare i carcerati ;

7° seppellire i morti (Toh, IV, 1-12; XII, 12; Eccli, VII, 39; Is, LVIII, 7; Ezech, XVIII, 7, 16; Matt, XXV, 35-45; Paolo: ad Hebr., XIII, 2, 16; Giac, 1,27).

D. 540. La carità con la quale dobbiamo amare il prossimo abbraccia anche i nemici?

R. La carità con la quale dobbiamo amare il prossimo abbraccia anche i nemici, perché essi sono pure prossimi nostri e perché Dio stesso ci ha dato di questo amore e il comandamento e l’esempio (Matt, V, 44; Luca, VI, 27, 35; XXIII, 34; Atti, VII, 59; Paolo: ad Rom., XII, 20; Cat. p. parr, p. III, c. VI, n. 18 e segg.).

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Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.