CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (13)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (13)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vie. Gen

III.

CATECHISMO PER GLI ADULTI DESIDEROSI DI APPROFONDIRSI NELLA CONOSCENZA DELLA DOTTRINA CATTOLICA.

Art. 3. — DELL’EUCARISTIA.

D. 371. Che cos’è l’Eucaristia?

R. L’Eucaristia, come chi dicesse buona grazia o azione di grazia, è un divinissimo dono del Redentoree un mistero della fede, nel quale, sotto le specie delpane e del vino, Gesù Cristo è personalmente contenuto,offerto e ricevuto, sacrificio insieme e Sacramento dellanuova Legge (Conc. Lat., II, can. 33; Conc. di Tr., sess. XIII, c. I)

A) Della presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucaristia.

D. 372. Quand’è che Gesù Cristo istituì la santissima Eucaristia?

R. Gesù Cristo istituì la santissima Eucaristia nell’ultima cena, prima di patire, quando, preso il pane, rese grazie, lo distribuì ai suoi discepoli dicendo: « Prendete e mangiate,  questo è il mio corpo »; e preso il calice, lo dette loro dicendo : « Bevete, questo infatti è il mio sangue », aggiungendo: « Questo fate in memoria di me » (Matt., XXVI, 26-28; Marco, XIV, 22-24; Luca, XXII, 19, 20; Paolo: Ia ad Cor., XI, 23-25; Conc. di Tr., 1. c.)

D. 373. Cosa avvenne quando Gesù Cristo ebbe pronunziato sul pane e sul vino le parole della consacrazione?

R. Quando Gesù Cristo ebbe pronunziato sul pane e sul vino le parole della consacrazione, avvenne una mirabile e singolare conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo, e di tutta la sostanza del vino nel sangue di Gesù Cristo, pur rimanendo le specie del pane e del vino.

(Conc. di T r., 1. c., cap. 4; S. Giustino: Apologia, I, 66; – S. Efrem: In hebdomadam sanctam, I V , 4, 6 ; S. Atanasio: Sermo ad baptizatos; S. Cirill. Geros.: Cathech., XXII et XXIII; S. Giov. Cris. : In Matth., LXXXII, 4; S. Giov. Damasceno: De fide ortodoxa, IV, 13).

D. 374. Come si chiama tale conversione?

R. Tale conversione si chiama transustanziazione.

(Conc. Lat., IV: De fide cattolica, c. I ; Conc. di Lione II: Prop, fidei Mich. Pal.; Conc. di Costanza, sess. VIII, prop. l e segg.; Conc. di Tr., 1. c. e can. 2; Bened. XII: Ex libello Jamdudum; Pio VI: Const. Auctorem fidei, prop. 29; Cat. p. parr., p. II, c. IV, n. 38.)

D. 375. Che cosa s’intende per specie del pane e del vino?

R. Per specie del pane e del vino s’intende la quantità, la figura, l’odore, il sapore, il colore e quanto nel pane e nel vino si presenta oggettivamente ai sensi.

D. 376. Che cosa volle Gesù Cristo nell’aggiungere quelle parole: Fate questo in memoria di me?

R. Nell’aggiungere quelle parole: Fate questo in memoria di me, Gesù Cristo volle costituire e costituì isuoi Apostoli sacerdoti del nuovo Testamento, e tantoad essi quanto ai loro successori nel sacerdozio comandòche similmente consacrassero, offrissero, e amministrassero il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane. e del vino (Luca, XXII, 19; Paolo: I ad Cor., XI,24, 25; Conc. di Tr., sess. XXII, c. 1 e can. 2.).

D. 377. Quand’è che i sacerdoti esercitano tale potestà ed eseguiscono tale comandamento?

R. I sacerdoti esercitano tale potestà ed eseguiscono tale comandamento, quando, impersonando Gesù Cristo, celebrano il sacrificio della Messa.

D. 378. Che cosa dunque avviene quando il sacerdote pronunzia nella Messa sul pane e sul vino le parole della consacrazione?

R. Quando il sacerdote pronunzia nella Messa sul pane e sul vino le parole della consacrazione, sotto le specie del pane e del vino si rende realmente e sostanzialmente presente il corpo e il sangue di Nostro Signor Gesù Cristo, in un con la sua anima e la sua divinità.

D. 379. Dopo la consacrazione, sotto la specie del pane c’è solo il corpo di Cristo, e solo il suo sangue sotto la specie del vino?

R. Dopo la consacrazione, sotto la specie del pane non c’è soltanto il corpo di Cristo, né sotto la specie del vino soltanto il suo sangue, ma sotto ciascuna specie, e sotto le singole parti di ciascuna specie, è contenuto tutto e intero Gesù Cristo, Dio e Uomo (Giov., VI, 58; Paolo: I ad Cor., XI, 26, 27; Conc. di Tr., sess. XIII, c. 3, can. 3; Cat. p. parr., p. II, c. IV, n. 36).

D. 380. Gesù Cristo, nell’esistere sotto le specie sacramentali, cessa forse di stare in cielo?

R. Gesù Cristo, nell’esistere sotto le specie sacramentali, non cessa di stare in cielo, ma trovasi simultaneamente in cielo e sotto le specie sacramentali.

D. 381. Fino a quando Gesù Cristo rimane sotto le specie sacramentali?

R. Gesù Cristo rimane sotto le specie sacramentali non solo mentre vien ricevuto, ma fino a quando le specie non sieno corrotte.

D. 382. Qual è la materia adatta per consacrare la Santissima Eucaristia?

R. La materia adatta per consacrare la Santissima Eucaristia è il pane di grano e il vino di vite.

(A norma delle prescrizioni della Chiesa, deve in Occidente adoperarsi l’azimo, il pane fermentato, invece, nella maggior parte delle Chiese orientali; devesi inoltre prima della consacrazione mescolarsi un po’ d’acqua col vino. — Conc. di Fir.: Dec. prò Græcis, e Decr. prò Armenis; Conc. di Tr., sess. XXII, c. 7.).

D. 383. Quali sono le parole necessarie per consacrare l’Eucaristia?

R. Le parole necessarie per consacrare l’Eucaristia sono quelle medesime che Nostro Signor Gesù Cristo pronunziò nell’ultima cena sul pane e sul vino, e che il sacerdote, impersonando Gesù Cristo, ripete nella celebrazione della Messa.

(Conc. di Fir.: Decr. prò Armenis; Cat. p. parr., p. II, c. IV, n. 12 e segg. — Gesù Cristo Signor Nostro — come dice il Vangelo di S. Giovanni, XIII, 1 — nell’ultima cena, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine, cioè, coll’istituire la santissima Eucaristia, dimostrò verso di loro il suo amore infinito. Bene quindi afferma il Concilio Tridentino, sess. XIII, cap. 2, che con l’istituzione della santissima Eucaristia il nostro Redentore « fece straboccare sugli uomini le ricchezze del suo divino amore, creando un ricordo delle sue meraviglie»; poiché, giustamente spiega un pio autore: con tutta la sua onnipotenza, Egli non poté dar di più; con tutta la sua sapienza, non seppe dar di più: con tutta la sua ricchezza, non ebbe a dar di più ». Piamente, dunque, o Cristiano, medita di frequente tanto pegno di divina carità, onde tal pensiero ti inciti a sempre più e meglio riamare Chi tanto amore ti dimostrò né cessa di dimostrarti.).

B) Del sacrificio della Messa.

D. 384. Che cos’è il sacrificio?

R. Il sacrificio è l’offerta di una cosa sensibile, mediante una qualche sua immutazione, fatta a Dio solo, in segno del supremo onore e della suprema riverenza che l’uomo deve a Dio come suo creatore, signore ed ultimo fine (S. Tom., 2a 2æ, q. 85, a. 1, 2, 3, 4).

D. 385. È  la Messa il vero e proprio sacrificio della nuova Legge?

R. La Messa è il vero e proprio sacrificio della nuova Legge, in quanto, mediante il ministero del sacerdote, Gesù Cristo vi offre incruentemente a Dio Padre, con mistica immolazione, il proprio corpo e il proprio sangue sotto le specie del pane e del vino (Sal., CIX, 4; Malach., I, 11; Luca, XXII, 19, 20; Paolo: 1a ad Cor., XI, 24, 25; ad Hebr., XIII, 10; Conc. Later., IV, c. I; Conc. di Tr., sess. XXII, c. I; S. Ireneo: Adversus hereses, IV, 17, 5).

D. 386. Perché Gesù Cristo ha istituito questo mirabile sacrificio?

R. Gesù Cristo ha istituito questo mirabile sacrificio per lasciare alla Chiesa un sacrificio quale la natura umana lo esige, cioè visibile, e tale poi, che non solo rappresentasse quell’altro cruento consumato una volta sulla croce, ma ne mantenesse la memoria sino alla fine dei secoli e ne applicasse infine la salutare virtù per la remissione dei peccati che ogni giorno commettiamo. (Luca, XXII, 19; Paolo: Ia ad Cor., XI, 24-26; Conc. di Tr., 1. e; S. Greg. Magn.: Dialog. IV, 58).

D. 387. In qual maniera la Messa rappresenta il sacrificio della Croce?

R. La Messa rappresenta il sacrificio della Croce in quanto la consacrazione del pane e del vino, fatta separatamente, rappresenta, in forza delle parole stesse, quella reale separazione del corpo dal sangue che Nostro Signor Gesù Cristo ebbe a patire nella morte cruenta della Croce.

(Conc. di Tr., sess. XIII, c. 3; S. Tom., p. 3a, q. 74, a. 1; Cat. p. parr., p. II, c. IV, n. 76. — In altri termini, nella consacrazione del pane, è il corpo di Cristo che si fa presente in virtù delle parole: Questo è il mio corpo, ed è il sangue di Cristo che si fa presente in virtù delle parole: Questo è il calice del mio sangue; senonché, nella consacrazione del pane si fa presente il sangue con l’anima, e il corpo con l’anima nella consacrazione del vino, in forza di quella naturale connessione e concomitanza, per cui le parti di Gesù Cristo Nostro Signore, risuscitato da morte per mai più morire, sono unite l’una con l’altra; quanto poi alla divinità, essa si fa presente in entrambe le consacrazioni a causa della sua mirabile unione ipostatica col corpo e con l’anima. Orbene, questa mistica separazione rappresenta quella separazione reale nella quale consiste lo stesso sacrificio della croce.

D. 388. E’ la Messa una semplice e nuda rappresentazione del sacrificio della Croce?

R. La Messa non è una semplice e nuda rappresentazione del sacrificio della Croce, ma è il sacrificio medesimo della Croce che vien rinnovato; identica infatti è la vittima, identico l’offerente, che oggi si offre per mezzo del ministero sacerdotale, mentre allora sulla Croce offrì se stesso; solo quindi varia il modo dell’offerta (Conc. di Tr., sess. XXII, c. 2; Cat. p. parr. 1. c. n. 76, 7).

D. 389. Come ci vengono applicati mediante il sacrificio della Messa, i frutti del sacrificio della Croce?

R. I frutti del sacrificio della Croce ci vengono applicati mediante il sacrificio della Messa nel senso che Dio, placato da tale immolazione, accorda quelle grazie che Gesù Cristo ci meritò a prezzo del suo sangue (Conc. di Tr., 1. c.; Cat. p. parr., p. II, c IV, n. 34).

D. 390. A qual fine viene offerto il sacrificio della Messa?

R. Il sacrificio della Messa viene offerto al fine:

1° di adorare Iddio, e perciò è latreutico;

2° di rendergli grazie per la grande gloria sua e per i benefizi di cui ci ha colmati, e perciò è eucaristico;

3° di ottenere altri benefizi ancora, e perciò è impetratorio;

4° di rendere Dio propizio, tanto ai vivi, a causa del peccato e delle pene al peccato dovute, quanto alle anime del Purgatorio, e perciò è propiziatorio (S. Cirill. Geros.: Catech. XXIII (myst. V), 10).

D. 391. A chi viene offerto il sacrificio della Messa?

R. Il sacrificio della Messa viene offerto esclusivamente a Dio, atteso che il dominio supremo, quale lo esprime il sacrificio, appartiene a Dio solo.

D. 392. Perché allora la Chiesa suol celebrare il sacrificio della Messa anche in onore e in memoria della beata Vergine Maria e dei Santi?

R. Quantunque la Chiesa soglia celebrare i l sacrificio della Messa anche in onore e in memoria della beata Vergine Maria e dei Santi, pur tuttavia, non a questi offre essa il sacrificio, ma a Dio solo, rendendo grazie per le loro vittorie e implorando il loro patrocinio presso Dio (Conc. di Tr., sess. XXII, can. 5).

D. 393. A beneficio di chi viene applicata la Messa?

R. Ogni e qualsiasi Messa, essendo il sacrificio della Chiesa Cattolica offerto dal pubblico ministro della Chiesa, viene applicata non ad esclusivo beneficio del celebrante, ma a comune beneficio dei fedeli sia vivi che defunti, e di quelli specialmente che il celebrante rammenta nella Messa (Conc. di Tr., sess. XXII, c. 6; Cat. p. parr., p. II, c. IV n. 79.).

D. 394. Può il sacerdote applicar la Messa per una persona particolare o per un fine determinato qualsiasi?

R. Il sacerdote può applicare la Messa per una persona particolare, sia vivente che defunta, o per un fine determinato qualsiasi; dal che segue che la Messa, a parità di condizioni, giova in modo speciale a quella tal persona o a conseguire quel tale fine (Pio VI: Const. Auctorem fidei, prop. 30 inter damnatas).

D. 395. Qual è la maniera migliore di assistere alla Messa?

R. La maniera migliore di assistere alla Messa è, per i fedeli presenti, quella di offrire a Dio la divina Vittima unitamente al sacerdote, di riandar col pensiero al sacrificio della Croce e di unirsi a Gesù Cristo, con la Comunione sacramentale, o per lo meno con quella spirituale (Non c’è nella religione cristiana atto per se stesso più santo, nessun altro che a Dio procuri maggior gloria, nessuno che giovi in misura così abbondante alla salvezza delle anime come questo sacrosanto sacrificio della Messa, in cui, tutto e intero, c’è quel frutto della Redenzione da Cristo compiuta sulla croce. A tale augusto e divino sacrificio assisti, quindi, di frequente, o cristiano, e atteggia allora l’animo tuo a quell’ardente pietà con la quale avresti assistito sul Calvario all’estrema agonia del Crocifisso).

C) Del Sacramento dell’Eucaristia.

D. 396. Che cos’è il sacramento dell’Eucaristia?

R . Il sacramento dell’Eucaristia è un sacramento istituito da Gesù, nel quale, sotto le specie del pane e del vino, Gesù Cristo in persona, autore della grazia, è veramente, realmente e sostanzialmente contenuto per il nutrimento spirituale dalle anime nostre (Giov., VI, 54-58; Cat. p. parr., p. II, c. IV, n. 7).

D. 397. Perché Gesù Cristo istituì il sacramento dell’Eucaristia?

R. Gesù Cristo istituì il sacramento dell’Eucaristia:

1° perché tanto ci amò da voler rimanere presente fra noi, onde poi essere da noi riamato ed onorato;

2° per unirsi a noi mediante la santa Comunione; e ciò per essere all’anima nostra, e celeste alimento, con cui difendere e sostentare la nostra vita spirituale, e nostro viatico per l’eternità alla fine della vita temporale.

(Giov., VI, 50 e segg.; Paolo: 2a ad Cor., X, 16, 17; Conc. di Tr., sess. XIII, c. 2; S. Ignazio M.: Epist. ad Magnesios, 20; S. Ireneo: Adv. haer., V, 2, 3; S. Giovanni Crisost.: In Joannem, XLVI, 3; e in Ia ad Cor., XXIV, 2; S. Tom., p. III q. 79, a. 4 e 6; Cat. p. parr., p. II, n. 70).

D. 398. Come si distingue l’Eucaristia sacramento dall’Eucaristia sacrificio?

R. L’Eucaristia sacramento si distingue dall’Eucaristia sacrificio:

1° in quanto il sacramento si compie con la consacrazione e permane, mentre la natura del sacrificio consiste nell’essere offerto; indi è che l’ostia divina conservata nella pisside o portata ad un ammalato ha carattere di sacramento, non di sacrificio;

2° in quanto il sacramento, a chi si comunica, reca argomento di merito e spirituali giovamenti, mentre il sacrificio non solo merita, ma anche soddisfa (Cat. p. parr.: 1. c., n. 71).

D. 399. Che cosa si richiede per degnamente ricevere l’Eucaristia?

R. Per degnamente ricevere l’Eucaristia, oltre il Battesimo e lo stato di grazia, il primo come in tutti i Sacramenti ricevuti dopo il Battesimo, il secondo come in tutti i Sacramenti dei vivi, si richiede ancora, sotto pena di grave peccato, il digiuno naturale (Paolo: 1a ad Cor., XI, 27-29; S. Giov. Crisost.: In Matth., LXXXII, 5).

D. 400. Che cosa deve fare chi sta per ricevere la santa Comunione e si sa colpevole di un peccato mortale?

R. Chi sta per ricevere la santa Comunione e si sa colpevole di un peccato mortale, per quanto pentito si possa ritenere, deve, prima di accostarsi alla sacra Mensa, fare la confessione sacramentale; che se il caso fosse tale da non tollerare alcun indugio, e non ci fosse confessore cui ricorrere, faccia un atto di contrizione perfetta (Conc. di Tr., sess. XIII, cap. 7; Cod. D. C , can. 856).

D. 401. Che cosa significa digiuno naturale?

R. Digiuno naturale significa nulla prendere per modo di cibo, o bevanda, o anche medicina, dalla mezzanotte fino al momento della Comunione (Cod. D. C., can. 858, § 2; Cat. p. parr., p. II, c. IV, n. 6. — « Chi debba ricevere la santa Comunione…. anche se diverso possa essere il computo in uso nel luogo, può attenersi al tempo del luogo, sia al tempo locale vero o medio, sia a quello legale, tanto regionale quanto ad un altro qualsiasi straordinario ». Cod. D. C , can. 33).

D. 402. Qual peccato commette chi non riceve a digiuno la santa Comunione?

R. Chi non riceve a digiuno la santa Comunione commette un grave peccato di sacrilegio.

D. 403. Quand’è che vien permessa la santa Comunione non osservato il digiuno naturale?

R. La santa Comunione vien permessa non osservato il digiuno naturale, quando urge il pericolo di morte, o necessità d’impedire qualche irriverenza verso il Sacramento (Cod. D. C, 1. c.).

D. 404. A quali infermi vien permessa la santa Comunione, non osservato il digiuno naturale?

R. A quegl’infermi che da un mese giacciono a letto senza certa speranza di prossima convalescenza, previo prudente consiglio del confessore, vien permessa la santa Comunione una o due volte per settimana, anche se in precedenza abbiano preso qualche medicina od altro, per modo di bevanda (Cod. D. C, 1. c., § 2.).

D. 405. Che cosa richiedesi perché la santa Comunione sia ricevuta, oltre che degnamente, anche devotamente?

R. Perché la santa Comunione sia ricevuta, oltre che degnamente, anche devotamente richiedesi che una diligente preparazione la preceda e un congruo ringraziamento la segua, secondo le forze, le condizioni e le incombenze di ognuno (S. Cong. d. Conc: Decr. De quotidiana SS. Eucharistiæ sumptione, 20 dic. 1905).

D. 406. In che cosa consiste la preparazione da farsi prima della santa Comunione?

R. La preparazione da farsi prima della santa Comunione consiste nel meditare attentamente e devotamente durante qualche tempo quanto stiamo per ricevere, e nell’esercitarci di tutto cuore in atti di fede, di speranza, di carità e di contrizione (S. Basil.: Regulæ, interrogano 172; Cat. p. parr., p. II, c. IV, n. 56 e segg.).

D. 407. In che cosa consiste il ringraziamento che segue la santa Comunione?

R. Il ringraziamento che segue la santa Comunione consiste nel meditare attentamente e devotamente durante qualche tempo quanto abbiamo ricevuto, e nell’emettere atti di fede, di speranza, di carità, di fermo proposito, di gratitudine e di domanda.

D. 408. Dopo la Comunione, che cosa dobbiamo principalmente chiedere a Gesù Cristo?

R. Dopo la Comunione dobbiamo chiedere a Gesù Cristo principalmente le grazie necessarie alla salvezza nostra e dei nostri prossimi, soprattutto la grazia della perseveranza finale, la vittoria della Chiesa sui suoi nemici e la pace eterna alle anime dei defunti.

D. 409. Quali effetti produce l’Eucaristia in chi devotamente la riceve?

R. L’Eucaristia, in chi degnamente e devotamente la riceve, produce gli effetti seguenti:

1° aumenta la grazia santificante e il fervore della carità;

2° rimette i peccati veniali;

3° contribuisce assai efficacemente alla finale perseveranza, sia col diminuire la concupiscenza, sia col preservare dai peccati mortali, sia col ringagliardire nell’esercizio delle opere buone (Giov. VI, 48 e segg.; Cat. p. parr., p. II, c. IV, n. 51 e segg.)

D. 410. Oltre il precetto della Comunione pasquale v’è, qualche altro obbligo di ricevere la Comunione?

R. Oltre il precetto della Comunione pasquale v’èl’obbligo di ricevere la Comunione in pericolo di morte, qualunque sia la causa donde tale pericolo possa provenire

(Cod. D. N., can. 864, § 1 e 2. — Chiunque abbia la responsabilità spirituale o corporale degl’infermi, badi a che il santo Viatico non venga loro troppo a lungo differito, e vigili perché gl’infermi, mentre sono ancora in possesso delle proprie facoltà, lo ricevano a conforto della loro anima.).

D. 411. Può, chi ha già ricevuto l’Eucaristia, riceverla una seconda volta lo stesso giorno?

R. Qualora chi ha già ricevuto l’Eucaristia venga a trovarsi in pericolo di vita, può — in forma di Viatico — riceverla una seconda volta lo stesso giorno; lo deve, poi, qualora questo sia l’unico modo d’impedire l’irriverenza al Sacramento (Cod. D. C , can. 857, 858).

D. 412. In qual maniera dobbiamo onorare Gesù Cristo presente nell’Eucaristia?

R. Dobbiamo onorare Gesù Cristo presente nell’Eucaristia:

1° adorandolo con somma riverenza;

2° riamando chi tanto ci amò;

3° pregandolo con ogni fiducia per ottenere le grazie.  

(Ogni qualvolta dunque entri in una Chiesa ove si conserva il santissimo Sacramento, poni attenzione che ti trovi al cospetto di Gesù Cristo medesimo, cioè di quello stesso Dio che gli angioli adorano tremando. Bada quindi a non commettervi la minima irriverenza. Egli giorno e notte vi dimora per amor tuo, come il più amoroso degli amici. Per cui sieno frequenti le tue visite a Lui, e per tanta carità rendigli grazie. Le sue mani sono ricolme di doni celesti, ed egli brama di largirteli; pregalo quindi fiduciosamente.).

Art. 4. — DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA.

D. 413. Che cos’è il sacramento della Penitenza?

R. Il sacramento della Penitenza è il sacramento istituito da Gesù Cristo per i fedeli che devono essere riconciliati con Dio medesimo, ogni volta che, dopo il Battesimo, siano caduti in peccato (Conc. di Tr., sess. XIV, c. I , can. 1).

D. 414. Quand’è che Gesù Cristo istituì questo Sacramento?

R. Gesù Cristo istituì questo Sacramento soprattutto il giorno in cui sui discepoli radunati dopo la risurrezione Egli soffiò, dicendo: «Ricevete lo Spirito Santo; a chiunque avrete rimesso i peccati, son questi rimessi, e a chiunque li avrete ritenuti, son questi ritenuti » (Giov., XX, 22, 23; Matt., XVI, 19; XVIII, 18; Conc. di Tr., sess. XIV, c. I; Pio X: Decr. Lamentabili, 3 lugl. 1907, prop. 42 tra le condannate; S. Giov. Cris.: De sacerdotio, III, 5.)

D. 415. In qual modo Gesù Cristo istituì questo Sacramento?

R. Gesù Cristo istituì questo Sacramento sotto forma di giudizio in cui, mentre il confessore fa da giudice, il penitente medesimo fa da accusatore e da testimone; quanto poi alla materia su cui verte il giudizio, essa consiste nei peccati commessi dopo il Battesimo e che il penitente confessa.

D. 416. Chi è il legittimo ministro del sacramento della Penitenza?

R. Il legittimo ministro del sacramento della Penitenza è il sacerdote debitamente approvato per udire le confessioni; e tutti indistintamente i fedeli sono perfettamente liberi di confessare i propri peccati a chi meglio credono dei confessori legittimamente approvati, fossero pure di rito diverso dal loro (Cod. D. C., can. 905.).

D. 417. Quali sono le parti di questo Sacramento?

R. Le parti di questo Sacramento sono, quasi sua materia, gli atti del penitente, cioè la contrizione, la confessione e la soddisfazione; sua forma poi è l’assoluzione del legittimo ministro (Conc. di Tr., sess. XIV, cap. 3, can. 4; Ritual. Rom.: De Sacram. Pœnit., tit. III, cap. I, n. 1; Cat. p. parr., p. I, c. V, n. 13).

D. 418. In qual modo nei tre atti del penitente vengono inclusi tanto l’esame di coscienza quanto il proposito di non più peccare?

R. Nei tre atti del penitente vengono inclusi tanto l’esame di coscienza quanto il proposito di non più peccare, in quanto l’esame di coscienza deve necessariamente precedere tutti quegli atti, e la contrizione, senza il proposito di non più peccare, non si può nemmeno concepire.

D. 419. Quali peccati sono materia necessaria di questo Sacramento?

R. Materia necessaria di questo Sacramento sono i peccati mortali commessi dopo il Battesimo e mai ancora direttamente rimessi in virtù delle chiavi.

D. 420. Perché tali peccati vengon detti materia necessaria di questo Sacramento?

R . Tali peccati vengon detti materia necessaria di questo Sacramento, perché vi è stretto obbligo di confessarli.

D. 421. Quali peccati costituiscono materia libera e sufficiente di questo Sacramento?

R. Costituiscono materia libera e sufficiente di questo Sacramento, i peccati commessi dopo il Battesimo, sia quelli veniali, sia quelli mortali già confessati dal penitente e direttamente rimessi dall’assoluzione sacramentale.

D. 422. Perché tali peccati vengon detti materia libera e sufficiente di questo Sacramento?

R. Tali peccati vengon detti materia libera e sufficiente di questo Sacramento, perché mentre è lecito, anzi giovevole di portarli al sacro tribunale, pur tuttavia nessuno è tenuto di farlo. (Matt., XVI, 19; XVIII, 18; Giov., XX, 22, 23; Conc.di Tr., sess. XIV, cap. 3, can. 7; Cod. D. C , can. 901, 902.)

A) Degli atti del penitente.

a) – Dell’esame di coscienza.

D. 423. Che cosa deve fare il penitente prima di accostarsi al tribunale della penitenza sacramentale?

R. Prima di accostarsi al tribunale della penitenza sacramentale, il penitente deve fare l’esame di coscienza.

D. 424. Che cos’è l’esame di coscienza?

R. L’esame di coscienza è un’accurata ricerca dei peccati commessi dopo l’ultima confessione debitamente fatta.

D. 425. Come va fatto l’esame di coscienza?

R. L’esame di coscienza va fatto nel modo seguente: il penitente, dopo implorato l’aiuto di Dio, richiami accuratamente alla memoria i peccati da lui commessi con i pensieri, le parole, le opere e le omissioni, contro i comandamenti di Dio e della Chiesa, e contro i doveri del proprio stato.

D. 426. In questo esame di coscienza che cosa dobbiamo più precisamente investigare?

R. In questo esame di coscienza dobbiamo investigare più precisamente il numero dei peccati, la loro specie e le circostanze che tale specie han potuto mutare.

D. 427. Quali circostanze mutano la specie e vanno necessariamente accusate?

R. Mutano le specie e vanno necessariamente accusate quelle circostanze per cui da veniale il peccato diventa mortale (per es.: una bugia gravemente dannosa per il prossimo), o quello già mortale diventa molteplice, (per es.: il furto di cosa sacra, o commesso in luogo sacro) (Cat. p. parr., p. II, c. V, n. 47).

b) – Della contrizione e del proposito.

D. 428. Che cos’è la contrizione dei peccati?

R. La contrizione dei peccati è intimo dolore e detestazione dei peccati commessi, col proposito di non più peccare.

(Salmo L, 3 e segg.; Ger., II, 19-21; Ezech., XVIII, 21-23, 27, 28; XXXIII, 14-16; Gioele, II, 12-18; Giov., V , 14; VIII, 11; Luca, XV, 17-24; Conc. di Tr., sess. XIV, cap. 4: S. Greg. M; in Evang., II, 34, 15; S. Agost.: Serm. 351, 12).

D. 429. Che cos’è il proposito di non più peccare?

R . Il proposito di non più peccare è una ferma volontà di non peccare, e di evitare, per quanto si può, le occasioni prossime di peccato.

D. 430. Quale dev’essere la contrizione dei peccati?

R. La contrizione dei peccati dev’essere interna, soprannaturale, somma, universale.

D. 431. Che cos’è la contrizione interna?

R. La contrizione interna è quella che non si contenta di manifestarsi con le labbra, ma nasce dal cuore.

D. 432. Che cos’è la contrizione soprannaturale?

R. La contrizione soprannaturale è quella che sotto l’influenza della grazia, s’ispira nel prodursi non da motivi umani, ma soprannaturali, vale a dire soprannaturalmente concepiti dalla fede.

D. 433. Che cos’è la contrizione somma?

R . La contrizione somma è quella per cui detestiamo il peccato sopra ogni altro male. (Tale qualità della contrizione si può brevemente chiarire con S. Tommaso, p. 3a , q. 3, a. I, nel modo seguente: La contrizione, ossia il dolore per i peccati commessi, dev’essere somma apprezziativamente, in quanto cioè la detestazione del peccato da parte del penitente è di tal natura che per nulla al m hiondo egli vorrebbe commetterlo, ossia offendere Dio; ma con ciò non si esige che quel dolore sia sommo intensivamente, in quanto cioè la sua veemenza venga a superare ogni altro dolore che possa verificarsi nell’uomo. Né giova istituire un paragone fra la contrizione come dolore del peccato, e gli altri dolori sensibili che si verificano in seguito a mali temporali.

D. 434. Che cos’è la contrizione universale?

R . La contrizione universale è quella che comprende nella detestazione tutti i peccati mortali commessi dopo il Battesimo e non direttamente rimessi mediante la potestà delle chiavi.

D. 435. E se il penitente altro non abbia da accusare se non peccati veniali oppure mortali già direttamente rimessi?

R . Se il penitente altro non abbia da accusare se non peccati veniali oppure mortali già direttamente rimessi, è sufficiente e necessario, che il suo atto di dolore contempli alcuni di quei peccati, o per lo meno uno di essi.

D. 436. Quante specie di contrizioni vi possono essere?

R. Vi possono essere due specie di contrizioni: l’una perfetta, che generalmente vien detta contrizione senz’altro; l’altra imperfetta, che con nome speciale si chiama attrizione (Conc. di T r . , sess. XIV, cap. 4.).

D. 437. Che cos’è la contrizione perfetta?

R. La contrizione perfetta è dolore e detestazione del peccato, concepita per motivo di carità, e precisamente perché viene offeso un Dio che in quanto sommo bene è degno di essere amato al disopra di ogni cosa (Cat. p. parr., p. II, c. V, n. 27).

D. 438. Qual effetto produce la contrizione perfetta?

R. La contrizione perfetta cancella immediatamente i peccati e riconcilia l’uomo con Dio anche fuori dei sacramento della Penitenza, non senza però quel voto del Sacramento, ch’è implicito nella contrizione stessa (Prov., VIII, 17; X, 12; Giov., XIV, 21, 23; la di Pietro, IV, 8; la di Giov., IV, 7; Conc. di Tr., 1. c. ; S. Pietro Crisol.: Sermo 94. — Si abitui il Cristiano ad emettere di frequente l’atto di contrizione perfetta quale lo trova al principio del presente Catechismo; se poi, per sua somma sventura, ha commesso qualche peccato mortale, allora soprattutto, si affretti a cancellarlo senza ritardo con la contrizione perfetta; dopo di che non tardi ad avvicinarsi alla confessione sacramentale. Così facendo, non sarà privo di frutto per l’eternità, quanto egli potrà operar di bene, né avrà da tremare per morte subitanea. Appunto perché lasciano questa vita perfettamente contriti molti conseguono la vita eterna, quelli cioè che la morte rapisce precisamente allora che non possono ricevere i Sacramenti).

D. 439. Che cos’è la contrizione imperfetta?

R . La contrizione imperfetta è quel dolore e detestazione soprannaturale del peccato che sorge comunemente dal considerare la turpitudine del peccato e dal timore dell’inferno e delle sue pene (Matt., X, 28; Luca, III, 7-9; XV, 17; Conc. di Tr., sess. XIV, 1. c. ; Leone X: prop. 6 tra le condann., 14 giug. 1520 ; Pio VI: Bolla Auctorem fidei, prop. 23, 25, 26; S. Greg. Nisseno: In Cant. Canticorum, hom. I).

D. 440. Qual contrizione è sufficiente per validamente ricevere il sacramento della Penitenza?

R. Per validamente ricevere il sacramento della Penitenza è sufficiente la contrizione imperfetta, per quanto sia da desiderarsi quella perfetta.

D. 441. Qual peccato commette chi, scientemente, si accosta senza contrizione alcuna al sacramento della Penitenza?

R. Chi scientemente si accosta al sacramento della Penitenza senza contrizione alcuna, non solo non ottiene la remissione dei peccati che ha confessati, ma commette un grave peccato di sacrilegio.

c) – Della Confessione.

D. 442. Che cos’è la confessione dei peccati?

R. La confessione dei peccati è l’accusa di questi, fatta al sacerdote legittimamente approvato, in vista di conseguire l’assoluzione sacramentale (S. Giov. Cris.: De Lazaro, 4; Omel. Quod frequenter sit conveniendum, 2).

D. 443. Perché Gesù Cristo ha voluto la confessione dei peccati quale mezzo alla loro remissione?

R. Gesù Cristo ha voluto la confessione dei peccati quale mezzo alla loro remissione, affinché il peccatore si umiliasse, e al sacerdote, come a giudice e medico, palesasse i propri mali, per aver da lui imposta la dovuta soddisfazione e additato l’opportuno rimedio (Giov., XX, 23; Matt., X V I , 19; XVIII, 18; Cat. p. parr., p. II, c. V, n. 37).

D. 444. Quale dev’essere la confessione per validamente ricevere il sacramento della Penitenza?

R. Per validamente ricevere il sacramento della Penitenza, la confessione dev’essere vocale, o per lo meno tale da supplire la vocale, e integrale.

D. 445. Quand’è che la confessione è integrale?

R. La confessione è integrale quando il penitente confessa, col numero, specie e circostanze che ne mutano la specie, tutti i peccati mortali non ancora direttamente rimessi, di cui ha coscienza dopo un accurato esame.

(Conc. di Tr., sess. XIII, c. V, can. 7; S. Greg. M.: In Evangelia, II, 26, 4-6; S. Cipriano: De lapsis, 28; S. Gerol.: In Matth., III, ad XVI, 19. — La confessione generale, quella cioè che abbraccia i peccati di tutta la vita, è necessaria, quando consti sicuramente dell’invalidità delle confessioni precedenti; è da consigliarsi, quando della suddetta invalidità si dubiti gravemente; è da permettersi, quando si ritenga che da tale confessione potrà il penitente trarre un notevole beneficio, soprattutto in certe circostanze più gravi della vita, come sarebbe alla fine degli esercizi spirituali, o all’approssimarsi di mortale pericolo….; è da vietarsi, in fine, negli altri casi come inutile e talvolta nociva, per es., quando si tratti di scrupolosi).

D. 446. Che cosa deve fare chi non ricorda il numero dei peccati mortali?

R. Chi non ricorda il numero dei peccati mortali, deve indicare quel numero che gli sembra più prossimo al vero, aggiungendo all’incirca.

D. 447. E se alcuno senza propria colpa omettesse di confessare un peccato mortale?

R. Se senza propria colpa alcuno omettesse di confessare un peccato mortale, il Sacramento è valido e penitente, quando lo ricorderà, è tenuto nella successiva confessione a confessare il peccato omesso (Aless. VII, prop. 11 tra le condann., 24 sett. 1665; Cat. p. parr., p. II, c. V, n. 49).

D. 448. Qual peccato commette chi volontariamente tace in confessione un peccato mortale?

R. Chi volontariamente tace in confessione un peccato mortale, non solo non trae alcun beneficio dalla confessione, ma commette inoltre un grave peccato di sacrilegio.

D. 449. Che cosa deve fare chi colpevolmente ha taciuto in confessione un peccato mortale, oppure ha confessato senza la debita contrizione peccati mortali non ancora rimessi?

R. Chi ha colpevolmente taciuto in confessione un peccato mortale, oppure ha confessato senza la debita contrizione peccati mortali non ancora rimessi, deve dire in quante confessioni ha ciò commesso, quante sacrileghe Comunioni ha fatte, ripetere tutti i peccati mortali sia taciuti sia accusati in quelle confessioni, nonché confessare tutti gli altri peccati mortali che ha potuto commettere in seguito.

D. 450. Quale, inoltre, dev’essere la confessione per lecitamente ricevere il sacramento della Penitenza?

R. Per lecitamente ricevere il sacramento della Penitenza, la confessione deve, inoltre, essere devota ed umile, nel senso che il penitente, con dire breve e chiaro non disgiunto da modestia e alieno da inutili digressioni, confessi umilmente i suoi peccati, senza scusarli, diminuirli od aggravarli, e accolga infine gli ammonimenti del confessore (Cat. p. parr., p. II, c. V, n. 50, 51.).

d) – Della Soddisfazione.

D. 451. Che cos’è la soddisfazione?

R. La soddisfazione è la pena imposta dal confessore al penitente per i peccati rivelati nella confessione; pena che in virtù dei meriti di Gesù Cristo applicati mediante il sacramentale giudizio, possiede una speciale efficacia in ordine alla pena temporale da sodisfare per i peccati.

D. 452. A qual fine il confessore impone la soddisfazione?

R. Il confessore, secondo quanto gli suggeriscono ragione e prudenza e tenuto conto della qualità dei delitti come delle possibilità del penitente, impone una soddisfazione salutare e conveniente, non solo a custodia della nuova vita e a medicina dell’infermità, ma anche a vendetta e castigo dei peccati passati (Conc. di Tr., sess. XIV, cap. 8, 9).

D. 453. Quand’è che il penitente deve eseguire la soddisfazione ingiuntagli dal confessore?

R. A meno che il confessore abbia fissato il tempo di tale esecuzione, abbia cura il penitente di eseguire quanto prima la soddisfazione ingiuntagli dal confessore.

D. 454. Che cosa deve fare il penitente quando non possa assolutamente eseguire la soddisfazione ingiuntagli dal confessore, o non lo possa senza gran difficoltà?

R. Quando il penitente non possa assolutamente eseguire la soddisfazione ingiuntagli dal confessore, o non lo possa senza grave difficoltà, egli deve umilmente informarne il confessore perché la commuti.

B) – Dell’assoluzione sacramentale.

D. 455. Che cos’è l’assoluzione sacramentale?

R. L’assoluzione sacramentale è quell’atto col quale il confessore, in nome di Gesù Cristo e mediante la debita pronunzia della forma, rimette i peccati al penitente debitamente confessato e contrito.

D. 456. Può il confessore rifiutare o differire l’assoluzione sacramentale?

R. Il confessore può, anzi deve, rifiutare l’assoluzione sacramentale solo quando prudentemente giudichi non trovarsi nel penitente le necessarie disposizioni; può d’altra parte, per giusti motivi, differirla talvolta, a tempo determinato, specie se vi acconsenta il penitente stesso allo scopo di sempre meglio disporsi.

(Cod. D. C., can. 886. — Nel Rituale Romano, tit. III, cap. I, n. 23 si legge: « Incapaci di ricevere l’assoluzione sono coloro che non manifestano alcun segno di dolore; coloro che o si rifiutano di deporre gli odi e le inimicizie, o di restituire, pur potendolo, la roba altrui, o di lasciare l’occasione prossima di peccato, o comunque di abbandonare i peccati e di emendare in meglio la loro vita, o che, infine, hanno dato pubblico scandalo, a meno che pubblicamente soddisfino e tolgano di mezzo lo scandalo; il confessore, poi, si guardi di assolvere coloro i cui peccati sono riservati ai superiori ».).

D. 457. Il confessore è tenuto al segreto sacramentale?

R. Il confessore è tenuto all’inviolabile segreto sacramentale; e non solo non può rivelare i peccati uditi in confessione, ma deve inoltre attentamente guardarsi che, o parola, o segno, od altra manifestazione qualsiasi da parte sua, per qualunque causa, possa comunque far individuare il peccatore; di più gli viene interdetto persino l’uso della scienza acquisita in confessione, con gravame del penitente, quand’anche fosse escluso ogni pericolo di rivelazione; né i superiori presentemente in carica, né i confessori che ricevessero in seguito la nomina a superiori, possono in alcun modo servirsi, nel governo esteriore, dell’eventuale conoscenza dei peccati ottenuta a mezzo della confessione.

(Conc. Lat., IV, 21; Cod. D. C. , can. 889, 890. — A salvaguardare la santità di questo Sacramento, la Chiesa commina pene gravissime, fissate nel Codice del D. C., contro la violazione del segreto sacramentale. La storia fa onorevole menzione di alcuni sacerdoti cattolici i quali, a costo di molteplici persecuzioni e persino della vita, seppero mantenere il segreto sacramentale: basti per tutti l’esempio di S. Giovanni Nepomuceno, caduto martire per questa causa medesima nel 1383, e perciò annoverato fra i Santi.)

D. 458. Oltre il confessore, vi sono altri vincolati dall’identico segreto?

R. Oltre il confessore, è vincolato dall’identico segreto chiunque abbia potuto in un modo qualsiasi risapere qualcosa dalla confessione sacramentale (Cod. D. C. , can. 889, 890, § 2).

C) – Dell’effetto del sacramento della Penitenza, e delle indulgenze.

D. 459. Quali sono gli effetti del sacramento della Penitenza, quando il penitente, debitamente disposto, abbia confessato i suoi peccati mortali non rimessi?

R. Quando il penitente, debitamente disposto, abbia confessato i suoi peccati mortali non rimessi, per mezzo di questo sacramento:

1° vien rimessa la colpa e la pena eterna, nonché, per lo meno parzialmente, la pena temporale dovuta ai peccati;

2° i meriti del penitente, resi inefficaci dal peccato mortale, rivivono, vale a dire ricuperano quell’efficacia che prima del peccato possedevano in ordine alla vita eterna (S. Tom., p. III q. 89, a. 5.);

3° vien concessa una grazia speciale per guardarsi dai peccati in avvenire.

D. 460. Quali sono gli effetti del sacramento della Penitenza quando il penitente debitamente disposto abbia confessato solo peccati veniali o mortali già rimessi?

R. Quando il penitente debitamente disposto abbia confessato solo peccati veniali, o mortali già rimessi, il sacramento della Penitenza rimette i peccati veniali, aumenta la grazia santificante, aiuta ad evitare i peccati in avvenire, e più efficacemente scioglie il debito della pena temporale contratto per i peccati.

D. 461. Con l’assoluzione sacramentale e l’eseguita soddisfazione imposta dal confessore, vien sempre rimessa tutta intera la pena temporale dovuta per i peccati?

R. Con l’assoluzione sacramentale e l’eseguita soddisfazione imposta dal confessore, non sempre vien rimessa tutta intera la pena temporale dovuta per i peccati; può tuttavia questa, essere estinta mediante altre soddisfazioni, e specialmente mediante le indulgenze (Conc. di Tr., sess. VI, cap. 14, can. 30; sess. XIV, cap. 8, can. 12).

D. 462. Che cosa s’intende per Indulgenza?

R. S’intende per Indulgenza la remissione, di fronte a Dio, della pena temporale dovuta per i peccati già cancellati nella colpa; e tale remissione la Chiesa concede fuori del sacramento della Penitenza.

 (Matt., XVI, 19; XVIII, 18; Paolo: 2a ad Cor., II, 6, 10; Conc. di Tr., sess. XXV, Decr. de Indul.; Clemente VI: Const. Unigenitus Dei Filius, 25 genn. 1343; Leone X, prop. 7 e segg. tra le condann., 15 giug. 1520; Pio VI: Bolla Auctorem Fidei, prop. 40; Pio XI: Bulla indictionis anni sancti 1925; Cod. D. C., can. 911-924).

D. 463. In qual modo mediante le Indulgenze, rimette la Chiesa la pena temporale dovuta per i peccati?

R. Mediante le Indulgenze, rimette la Chiesa la pena temporale dovuta per i peccati, coll’applicare sia ai vivi per modo di .assoluzione, sia ai defunti per modo di suffragio, le soddisfazioni infinite di Gesù Cristo e quelle sovrabbondanti della beata Maria Vergine e dei Santi, soddisfazioni che costituiscono il tesoro spirituale della Chiesa (Paolo: ad Rom., V, 19-21).

D. 464. Quali persone possono concedere Indulgenze?

R. Possono concedere Indulgenze, il Romano Pontefice, cui da Nostro Signor Gesù Cristo è stata commessa la dispensazione di tutto il tesoro spirituale della Chiesa, e le altre persone a ciò autorizzate sia dal Romano Pontefice, sia dallo stesso diritto, per es. i Vescovi (Cod. D. C , can. 912).

D. 465. Di quante specie è l’Indulgenza?

R. L’Indulgenza è di due specie; plenaria quando per essa tutta viene rimessa la pena temporale dovuta per i peccati; parziale, quando di questa pena temporale vien rimessa solo una parte.

D. 466. In qual senso s’intende concessa l’Indulgenza plenaria?

R. L’Indulgenza plenaria s’intende concessa nel senso che qualora non si potesse lucrare per intero, la si lucra tuttavia parzialmente, a seconda delle disposizioni (Cod. D. C., can. 926).

D. 467. Quali sono i requisiti per lucrare le Indulgenze?

R. I requisiti per lucrare le Indulgenze sono:

1° essere battezzato non colpito da scomunica (Cod. D. C , can. 925);

2° aver intenzione per lo meno generale di lucrarle;

3° eseguire puntualmente le opere comandate;

4° essere in istato di grazia, per lo meno al compiersi delle opere prescritte, e, se si tratta di lucrare per intero un’Indulgenza plenaria, aver la coscienza sgombra da qualunque peccato veniale.

D. 468. Chi acquistò le Indulgenze, a qual persona può applicarla?

R. A meno di una dichiarazione contraria, chi acquista le Indulgenze può applicare alle anime del Purgatorio tutte le Indulgenze concesse dal Romano Pontefice; non può applicarne alcuna alle persone viventi (Cod. D. C., can. 930).