CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (10)
PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA
Brixiæ, die 15 octobris 1931.
IMPRIMATUR
+ AEM. BONGIORNI, Vic. Gen
III.
CATECHISMO PER GLI ADULTI DESIDEROSI DI APPROFONDIRSI NELLA CONOSCENZA DELLA DOTTRINA CATTOLICA.
CAPO. IV.
Del Decalogo
SEZIONE 2A. — Dei rimanenti comandamenti del Decalogo, che si riferiscono a noi stessi e al prossimo.
Art. 4. — DEL QUARTO COMANDAMENTO DEL DECALOGO.
D. 207. Che cosa comanda Iddio nel quarto comandamento del Decalogo: Onora tuo padre e tua madre?
R . Nel quarto comandamento del Decalogo: Onora tuo padre e tua madre, Dio comanda che ai genitori e a coloro che ne fanno le veci venga reso l’onore dovuto; dal quale onore sono poi inseparabili, l’amore, l’obbedienza e l’ossequio (Esod, XX, 12; Deut, V, 16; XXVIII, 16; Eccli., VII, 29-30; Paolo: ad Eph., VI, 1-3; ad Coloss., III, 20. — Il Catechismo dei parroci, p. III, c. V, n. 7: « Onorare vuol dire aver di qualcuno onorevole concetto, e far grandissimo conto di tutto quanto possa riguardarlo. Da tale onore sono inseparabili questi altri doveri: l’amore, il rispetto, l’obbedienza e l’ossequio »).
D. 208 . Ai nostri genitori dobbiamo noi soltanto rendere onore?
R . Ai nostri genitori noi non dobbiamo soltanto rendere onore, ma dobbiamo ancora aiutarli, specie nelle loro necessità spirituali e temporali.
D. 209. Che sorta di premio promette Iddio ai figli che rendono onore ai genitori?
R . Ai figli che rendono onore ai genitori Dio promette la sua benedizione, e, qualora lo giudichi espediente all’anima, una lunga vita (Deut., V, 16; Eccli, III, 2-18; Paolo: ad Eph., VI, 1-3; Cat. p. parr, p. III, c. V, n. 17-19).
D. 210. Questo comandamento si limita forse a tracciare i doveri dei figli verso i genitori?
R. Questo comandamento non si limita a tracciare i doveri dei figli verso i genitori, ma traccia indirettamente anche quelli dei coniugi, sia mutui che verso i figli, come pure i mutui diritti e doveri tanto dei sudditi e dei superiori, quanto degli operai e dei padroni (Solo la Chiesa di Cristo può mantenere pace e concordia fra le diverse classi in cui gli uomini si dividono; la diversità, infatti, delle classi sociali non mira a renderle nemiche nell’odio, ma strette invece dal vincolo di un mutuo amore e soccorso, come si conviene a fratelli in Cristo. Questi e molti altri principi insegna ed inculca Leone XIII nella sua Encicl. Rerum Novarum, del 15 maggio 1891).
D. 211. Quali sono i doveri dei coniugi fra loro?
R . I doveri dei coniugi fra loro sono: l’amore, l’aiuto, la fedeltà vicendevoli; dovere della moglie verso il marito: l’ubbidienza (Paolo: I. ad Cor., XI, 3; ad Eph., V, 23-33; ad Coloss., III, 18-19; ad Tit., II, 4-5;» di Pietro, III, 1; Cod. Dir. Can., can. 1033, § 28).
D. 212 . Quali sono i doveri dei genitori verso i figli?
R . In forza dello stesso diritto naturale i doveri dei genitori verso i figli sono: prender cura della loro retta educazione, soprattutto religiosa e morale, e similmente provvedere secondo le proprie forze al loro bene temporale (Eccli., VII, 25-27; XXX, 1-3; Paolo: ad Eph., VI, 4; ad Coloss., III, 21; Cod. Dir. Can., can. 1131; Catech. p. parr, p. III, c. V, n. 21. — La disciplina religiosa e morale, venendo per lo più a basarsi sull’istruzione catechistica, ne consegue che strettissimo dovere dei genitori è quello di far debitamente istruire i propri figli nel Catechismo. Più che a tutti ciò spetta alla madre, la quale, fin dai primi passi, deve man mano insegnare ai suoi bambini i primi rudimenti del Catechismo. Che se le circostanze costringessero i genitori a delegare ad altri l’educazione dei figli, ricordino essi il loro dovere santissimo e l’obbligo di scegliere tali istituti e precettori che siano idonei a far le loro veci nell’espletare così nobile missione. Né trascurino di esercitare un diligente controllo sull’educazione religiosa e morale impartita ai loro figli; e qualora la riscontrino manchevole, ne colmino le lacune, e qualora positivamente difettosa, non esitino ad affidare i figli a migliori educatori.).
D . 213. Oltre che ai genitori, a chi compete il diritto e il dovere di prender cura della retta educazione della gioventù?
R . Il diritto e il dovere di prender cura della retta educazione della gioventù, compete, oltre che ai genitori, anche allo Stato, in quanto supplisce per il bene della comunità dove non bastino i genitori; a un titolo ben più alto compete alla Chiesa, in quanto l’incarico affidato dallo stesso Nostro Signore Gesù Cristo le impone di ammaestrare tutte le genti e di guidarle alla santificazione soprannaturale fino alla vita eterna. (Pio XI: Encicl. Divini illius Magistri, 31 dic. 1929).
D. 214 . Quali sono i doveri dei sudditi verso i loro legittimi superiori?
R . Ai loro legittimi superiori, sia ecclesiastici, sia civili, i sudditi debbono riverenza ed ubbidienza con un sentimento analogo a quella pietà che i figli debbono ai genitori (Paolo: ad Rom., XIII, 1-7; I. a ad Tim., II, 1-3; ad Hebr., XIII, 17; 1.» di Pietro, II, 13-18; Leone XIII: Encicl. Immortale Dei, 1 nov. 1885).
D. 215 . Quali sono i superiori ecclesiastici cui è dovuta non solo riverenza, ma anche ubbidienza?
R . I superiori ecclesiastici cui è dovuta non solo riverenza, ma anche ubbidienza a norma dei sacri canoni, sono: il Romano Pontefice, il proprio Vescovo od altro Prelato investito di ecclesiastica giurisdizione, e il proprio parroco nell’esercizio del ministero parrocchiale.
D. 216 . Perché all’autorità civile è dovuta riverenza e ubbidienza?
R . Alla legittima autorità civile, qualunque sia la persona che ne risulti investita, è dovuta riverenza ed ubbidienza, perché, non meno della società, essa si origina dalla natura e, quindi, dallo stesso Dio, autore della natura (Sap, VI, 4; Prov, VIII, 15; Paolo: ad Rom., XIII, 1, 2.: « Non vi è potere se non da Dio : orbene, quei poteri che sono, sono stati ordinati da Dio. Chi dunque resiste al potere, resiste all’ordine di Dio; e quelli che resistono cagionano a se stessi la dannazione ». Leone XIII: cit. Encicl. Immortale Dei, n. 6, 7, 11; S. Giov., Cris, In Epist. ad Rom., XXXIII, 1).
D. 217. A che cosa son tenuti i superiori riguardo ai propri sudditi?
R. I superiori, ognuno secondo la natura delle proprie funzioni, debbono aver cura dei propri sudditi e dar loro in tutto il buon esempio, atteso che ne dovranno render ragione non agli uomini soltanto, ma a Dio medesimo (Paolo: ad Hebr., XIII, 11; ad Tim., I V , 12).
D. 218. A che cosa son tenuti gli operai verso i loro padroni?
R. Verso i loro padroni gli operai son tenuti: a integralmente e fedelmente rendere quanto liberamente ed equamente venne pattuito, a non arrecar danni alle cose, a non offendere la persona dei padroni, ad astenersi dalla violenza quand’anche si trattasse di difendere le proprie ragioni, a non suscitar mai sedizioni e a non immischiarsi con criminali mestatori (Paolo: ad Eph., VI, 5-8; ad Coloss., III, 22-25; ad Tit., II, 9-10; la di Pietro II, 18; Leone XIII: Encicl. Rerum Novarum, 15 mag. 1891; Cat. p. parr, p. III, c. VIII, n. 9).
D. 219. Quali sono i doveri dei padroni verso i loro operai?
R. I padroni debbono cordialmente amare i loro operai, come fratelli in Cristo, debbono retribuirli con la dovuta mercede, aver cura di farli attendere alle pratiche di pietà durante un idoneo spazio di tempo, a nessun patto frastornarli dalla vita domestica e dall’amore dell’economia, infine non imporre loro fatiche che, o nuocciano alla salute o superino le forze, o non si confacciano all’età e al sesso (Paolo: ad Eph., VI, 9; ad Coloss., IV, 1; Giac, V, 4; Cod. D. C , can. 1524. — « Più di un elemento va considerato prima di poter stabilire su basi di equità la misura della mercede; ma in linea generale ricordino i ricchi e padroni che né divino né umano diritto li autorizzano a schiacciare bisognosi e miserabili al fine di procurare il proprio utile, né a realizzar guadagni sfruttando l’altrui povertà. Defraudare, poi, un uomo, chiunque esso sia, della mercede dovutagli, costituisce un delitto gravissimo che chiama a gran voce l’ira e la vendetta del Cielo: La mercede degli operai…. da voi defraudata, ecco che grida; e il grido loro ha colpito l’orecchio del Signore degli eserciti. (Giac, V, 4). I ricchi infine si guardino religiosamente dal danneggiare in checché sia i risparmi dei proletari, insidiandoli con la violenza, l’inganno o le arti usuraie: e tanto più se ne guardino che quei meschini poco e male valgono a difendersi contro le ingiustizie altrui e la propria impotenza, e che la loro sostanza quanto più piccola, tanto più va rispettata »; Leone XIII: cit. Encicl. Rerum novarum).
D. 220. Quand’è che dobbiamo non ubbidire ai genitori e agli altri superiori?
R. Dobbiamo non ubbidire ai genitori e agli altri superiori, quando s’imponga il precetto di un’autorità maggiore della loro, se, per esempio, venissero ad esigere alcunché di contrario ai comandamenti di Dio o della Chiesa (Matt, X, 37; Luca, XIV, 26; Atti, V, 29: «Bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini » ; Leone XIII: Enc. Quod apostolici muneris, 28 dic. 1878; S. Tom, 2a 2æ, q. 104, a. 5).
D. 221. Quand’è che agli stessi possiamo non ubbidire?
R. Agli stessi possiamo non ubbidire quando il loro ordine abbia per oggetto cosa in cui non siamo sudditi, per esempio: un ordine circa la scelta di uno stato nella vita. (Nella scelta del genere di vita è indubbio che sia in potere ed arbitrio dei singoli di scegliere l’una o l’altra di queste due cose: o abbracciare il consiglio di Cristo circa la verginità, o legarsi col vincolo matrimoniale ». Leone XIII: cit. Enc. Rerum Novarum).
Art. 2, — DEL QUINTO COMANDAMENTO DEL DECALOGO.
D . 222 . Che cosa proibisce Dio nel quinto comandamento del Decalogo: Non ammazzare?
R . Nel quinto comandamento del Decalogo: Non ammazzare, Dio proibisce di arrecare al prossimo la morte o altro danno del corpo o dell’anima, come pure di cooperarvi (Esod, XX, 13; Deut, V, 17; Matt, V, 21, 22, 43-47; XVIII, 6-9. — Ne consegue che anche l’aborto procurato vien proibito da questo stesso Comandamento. — Ma tutte le leggi e tutti i codici consentono di respingere la forza con la forza contro un ingiusto aggressore, salva però quella moderazione che deve accompagnare ogni giusta difesa).
D . 223. In qual modo si arreca un danno all’anima?
R. Si arreca un danno all’anima con lo scandalo, vale a dire con parole od azioni meno rette, tali da offrire al prossimo occasione di rovina spirituale (S. Tom, 2a 2æ, q. 43, a. 1.).
D. 224. A che cosa è tenuto chi arrecò un danno alla persona del prossimo?
R. Chi arrecò un danno alla persona del prossimo è tenuto, per quanto può, a riparare il danno arrecato.
D. 225. Con questo comandamento proibisce Dio anche il suicidio?
R. Con questo comandamento Dio proibisce anche il suicidio, atteso che, non meno dell’omicidio, esso va contro la giustizia col ledere i diritti di Dio sulla vita umana, e contro la carità che dobbiamo a noi stessi come agli altri, e toglie al colpevole il tempo stesso di pentirsi (Cod. Dir. Can., can. 1240, § 1, n. 3, e can. 2350, § 2; S. Tom., 2a 2æ, q. 64, a. 5).
D. 226 . Questo comandamento vieta pure il duello?
R. Questo comandamento vieta pure i l duello, per qualunque ragione venga deliberato di privata autorità, perché il duello riveste la malizia e dell’omicidio e del suicidio (Aless. VII: Prop. 2 Inter damnatas, 24 sett. 1665; Leone XIII: Epist. Pastoralis officii, 22 sett. 1891; Cod. Dir. Can., can. 1240, § 1, n. 4, e can.. 2351).
D. 227. Solo queste azioni vengono proibite dal presente comandamento?
R. Dal presente comandamento vengono proibite non solo queste azioni, ma anche le vendette private, le ire, gli odi, le invidie, gli alterchi, gli oltraggi, tutte cose che facilmente provocano le sopradette azioni (Matt., V, 21, 22; la di Giov, III, 15).
Art. 3. — DEL SESTO COMANDAMENTO DEL DECALOGO.
D. 228. Che cosa proibisce Dio nel sesto comandamento del Decalogo: Non fornicare?
R. Nel sesto comandamento del Decalogo: Non fornicare, Dio proibisce, non solo l’infedeltà nel matrimonio, ma anche qualsiasi altro peccato esterno contro la castità, e quanto può indurre al peccato d’impurità (Esod, XX, 14; Deut, V, 18; Matt,, V, 27, 28; Paolo: ad Rom., I , 26, 27; I.a ad Cor., V, 9 e segg.; VI, 9, 10, 13 e segg, ad Eph., V, 3-7; l. a ad Thess., IV, 4; I. a ad Tim., I, 9,10; ad Hebr., XIII, 4. Il peccato contro la castità deriva dall’incontinenza o lussuria, che così si definisce: il disordinato desiderio od uso di una soddisfazione venerea; e direttamente voluta, espressamente cercata e compiuta con piena deliberazione, è sempre peccato mortale. Col sesto comandamento del Decalogo è proibito l’esterno peccato di lussuria; col nono, il peccato interno. H Prov, VII, 5 e segg.; Eccli, IX, 1,13; XIX, 2; XLII, 12; Paolo: I. ad Cor., XV, 33; ad Eph., V, 3, 4, 18; ad Coloss., III, 8; Pio XI: Encicl. Divini illius Magistri, 31 die. 1929. — Dovendo custodire la bellissima virtù della castità, ti è d’uopo, o cristiano, una vigilanza assai maggiore che non per difendere le altre virtù; e la ragione si è che ad insidiare continuamente quel prezioso tesoro non sono soltanto gli esterni allettamenti, ma anche i moti dell’animo e gli appetiti della voluttà, quali nascono e si destano dalla nostra carne medesima. Ma, quanta diligenza possa usarsi, sarà questa priva di qualsiasi effetto se non vien sorretta dall’aiuto divino; aiuto che Dio non rifiuta a nessuno che debitamente lo richieda. Perciò, o cristiano, se non parola per parola, almeno a senso ripeti spesso quella piccola preghiera che il sacerdote recita nel prepararsi alla Messa : « Brucia, o Signore, col fuoco dello Spirito Santo i nostri reni e il nostro cuore, onde possiamo con casto corpo servirti e con mondo cuore piacerti ».
D. 229. Quali sono le cause precipue che inducono al peccato contro la castità e che sono da evitarsi accuratamente?
R. Oltre le suggestioni diaboliche e i moti della concupiscenza, le cause precipue che inducono al peccato contro la castità e che sono da evitarsi accuratamente, sono: l’ozio, l’intemperanza nel mangiar e nel bere, la cattiva società, i discorsi osceni, le cattive letture, i turpi spettacoli, le danze immodeste, le vesti indecenti, le familiarità e le occasioni pericolose ( 1 ).
D. 230. Quali sono per lo più le principali conseguenze del peccato d’incontinenza?
R. Oltre i danni che spesso ne vengono alla salute, le principali conseguenze del peccato d’incontinenza sogliono essere: l’oscurarsi della mente, il dileguarsi dell’amor di Dio, il tedio delle cose divine e della virtù, la durezza del cuore, la perdita della fede, e non di rado l’impenitenza finale (Giobbe, XXXI, 9-12; Prov, XXIII, 27; XXIX, 3; Os, IV, 11, 12; V, 4; Paolo: ad Rom., I , 24 e segg.; L» ad Cor., II, 14; V, 1-5; ad Eph., V, 3, 4; ad Coloss., III, 5-8; l a di Pietro, IV, 3, 4. — S. Tommaso, 2a 2ae, q. 153, a. 5, ove vengono enumerate e spiegate le conseguenze (figlie) della lussuria: la cecità della mente, l’inconsideratezza, la precipitazione, l’incostanza, l’amore di se stesso, l’odio di Dio, l’affetto al mondo presente e l’orrore di quello futuro.
D. 231. Quali sono i mezzi principali per conservare la castità?
R. I mezzi principali per conservare la castità sono: la custodia e la mortificazione dei sensi, la fuga delle cattive occasioni, la temperanza nel mangiare e nel bere, l’orazione, e una tenera pietà verso la beata Vergine Maria, e soprattutto la Confessione e Comunione frequente.
Art. 4. — DEL SETTIMO COMANDAMENTO DEL DECALOGO.
D . 232. Che cosa proibisce Iddio nel settimo comandamento del Decalogo: Non rubare?
R. Nel settimo comandamento del Decalogo: Non rubare, Dio proibisce qualsiasi ingiusta usurpazione o danneggiamento della roba altrui, come qualsiasi cooperazione all’una o all’altra. (Esodo, XX, 15; Deut, V, 19; Paolo: I. ad Cor., VI, 10; Apoc, IX, 21.
D. 233. A che cosa è tenuto chiunque viola questo comandamento?
R. Chiunque viola questo comandamento è tenuto per giustizia e secondo le sue forze a restituire la roba altrui e a riparare il danno.
D. 234. Quand’è che l’obbligo della restituzione e della riparazione è grave?
R. L’obbligo della restituzione e della riparazione è grave quando grave ne sia stata la materia, a giudizio dei più, o in base alla gravità del danno patito dal padrone della roba.
Art. 5. — DELL’OTTAVO COMANDAMENTO DEL DECALOGO.
D . 235. Che cosa proibisce Iddio nell’ottavo comandamento del Decalogo: Non dire falsa testimonianza?
R. Nell’ottavo comandamento del Decalogo: Non dire falsa testimonianza, Dio ci proibisce di proferir menzogne, di giurare il falso, e di arrecare comunque danno al prossimo con le nostre parole (Esodo, XX, 16; Deut, V, 20; Prov, VI, 19; XII, 22; Sap, I, 11; Eccli., VII, 13; XX, 26-28; Paolo: ad Eph., IV, 25; ad Coloss., III, 9).
D. 236. In qual maniera si arreca danno al prossimo con le parole?
R. Si arreca danno al prossimo con le parole, principalmente con la calunnia, la detrazione, la contumelia,
il giudizio temerario espresso, la violazione del segreto (La menzogna, strettamente parlando, è una proposizione scientemente contraria alla verità e atta per sè stessa a indurre il prossimo in errore. La calunnia è la lesione del buon nome altrui mediante la narrazione di un qualche falso crimine; chi, per contro, venisse a ledere senza giusto motivo l’altrui fama col racconto di un crimine vero sì, ma ignorato, commetterebbe una detrazione. La contumelia, per sé stessa, è la lesione dell’onore, arrecata a persona o fisicamente o moralmente presente: in un senso più largo comprende ugualmente la lesione dell’onore arrecata a persona assente, o a voce o per iscritto. Il giudizio temerario vien definito come un giudizio fermamente concepito, senza ragione sufficiente, circa un peccato altrui. La violazione del segreto è la ricerca o la manifestazione ingiusta di una cosa occulta o da occultarsi, come pure l’uso del segreto ingiustamente raggiunto. « Maledetto il sussurrone e l’uomo di lingua doppia; molti infatti ne verranno turbati che ora godono pace », Eccli., XXVIII, 15; Prov, VIII, 13; San Tom, 2a, 2æ, q. 73, a. 2 : « Togliere la fama a qualcuno è grave peccato, in quanto la fama vien considerata fra tutte le cose temporali come la più preziosa; l’esserne infatti privato significa per l’uomo aver preclusa la via a molte buone attività ». Indi è che l’Eccli., XLI dice: « Abbi cura del tuo buon nome: imperocché questo ti rimarrà più che non mille grandi e preziosi tesori. »
D. 237. A che cosa è tenuto chi ha leso con le sue parole la buona riputazione del prossimo?
R. Chi ha leso con le sue parole la buona riputazione del prossimo è tenuto per obbligo di giustizia a risarcirla per quanto è in lui e a compensare il danno arrecato: e tale obbligo è grave, se grave è stato il danno arrecato.
Art. 6. — DEGLI ULTIMI DUE COMANDAMENTI DEL DECALOGO.
D. 238. Che cosa proibisce Iddio nel nono comandamento del Decalogo: Non desiderare la donna d’altri?
R. Nel nono comandamento del Decalogo: Non desiderare la donna d’altri, Dio proibisce non solo questo malvagio desiderio, ma eziandio qualunque peccato interno contro la castità, mentre quello esterno lo proibisce nel sesto comandamento (Esod., XX, 17; Deut, V, 21).
D. 239. Che cosa proibisce Iddio nel decimo comandamento del Decalogo: Non desiderare la roba d’altri?
R. Nel decimo Comandamento del Decalogo: Non desiderare la roba d’altri, Dio proibisce di bramare ingiustamente e disordinatamente i beni degli altri (Esod, XX, 17; Deut, V, 21; Paolo: la ad Tim., VI, 10).
D. 240. Qual’è il riassunto di tutti i comandamenti del Decalogo?
R. Il riassunto di tutti i comandamenti del Decalogo è questo: Amerai i l Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutte le tue forze, e il prossimo tuo come te stesso ((3) Lev, XIX, 18; Deut, VI, 5; Matt, XXII, 37-40; Marc, XII, 30-31; Luc., X, 27; Paolo: ad Rom., XIII, 10; ad Gal. V, 14; Giac, II, 8; S. Leone M.: Serm. IX De jejunio septimis mensis: « Amare il prossimo è amare Dio, il quale, proprio nell’unità di questo duplice amore, ha costituito la pienezza della legge e dei profeti » ; S. Tom, la, 2æ, q. 100, a. 3° ad l.um; Cat. p. parr., p. III, c. I, n. 1).
D. 241. Sono tutti tenuti anche ad osservare i doveri del proprio stato?
R. Tutti sono tenuti anche a diligentemente osservare i doveri del proprio stato, quelli, cioè, cui ognuno è astretto, a ragione della propria condizione e del proprio ufficio.
CAPO V.
Dei Precetti della Chiesa.
D. 242. Quanti sono i precetti della Chiesa?
R. I precetti della Chiesa, tutti da osservarsi dal Cattolico, sono parecchi; per esempio: non leggere né tenere libri proibiti, non ascriversi a setta massonica o ad altre sette del genere, astenersi dalla solenne benedizione delle nozze in tempo chiuso, non cremare i cadaveri dei fedeli, ed altri ancora; ma all’inizio del presente catechismo cattolico, ne sono enumerati cinque soltanto, che hanno maggiore attinenza all’ordinaria vita spirituale di tutti i fedeli.
Art. 1. DEL PRIMO PRECETTO DELLA CHIESA.
D. 243. Che cosa prescrive la Chiesa nel primo precetto: Nelle domeniche ed altre feste di precetto ascoltare la Messa e astenersi dalle opere servili?
R. Nel primo precetto: Nelle domeniche, ecc., la Chiesa prescrive il modo di santificare la domenica e le altre feste di precetto: e ciò si fa innanzi tutto ascoltando la Messa e estenendosi dalle opere servili (Cod. D . C , can. 1248).
D. 244. Non esige forse lo stesso diritto naturale che l’uomo consacri un dato tempo al culto divino?
R. Lo stesso diritto naturale esige che l’uomo consacri un dato tempo al culto divino, astenendosi dagli affari e lavori corporali, onde possa col corpo e con l’anima piamente onorare e venerare quel Dio creatore, dal quale ha ricevuto sommi ed innumerevoli benefici (Cat. p. parr, p. III, c. IV, n. 11).
D. 245. Quali sono le feste di precetto nella Chiesa universale?
R. Sono feste di precetto nella Chiesa universale, all’infuori delle domeniche: la Natività, la Circoncisione, l’Epifania, l’Ascensione e il Corpus Domini, l’Immacolata Concezione e l’Assunzione della beata Vergine Maria, S. Giuseppe suo sposo, i SS. Pietro e Paolo Apostoli e tutti i Santi (Cod. D . C , can. 1247 e segg.).
D. 246. Oltre che ad ascoltare la Messa, a quali opere conviene che il cristiano si applichi le domeniche e le altre feste di precetto?
R. Oltre che ad ascoltare la Messa conviene che le domeniche e le altre feste di precetto il Cristiano si applichi, per quanto sta in lui, ad opere di pietà e di religione, soprattutto assistendo alle sacre funzioni, ascoltando le sacre predicazioni e la spiegazione del catechismo.
D. 247. Quali opere vengati chiamate servili?
R. Vengon chiamate servili le opere compiute per lo più da servi e mercenari, e sono quelle che richiedono uno sforzo prevalentemente fisico, e che hanno per fine precipuo l’utilità corporale.
D. 248. Vi sono alcune opere servili permesse nella domenica e nelle altre feste di precetto?
R. Nelle domeniche ed altre feste di precetto vengon permesse le opere servili che abbiano diretta attinenza sia col culto di Dio, sia con le consuete necessità del servizio pubblico o domestico, quelle richieste dalla carità, e quelle infine che, o non si possono omettere senza grave incomodo, o che sono autorizzate da provata consuetudine.
D. 249. Nelle domeniche ed altre feste di precetto bisogna astenersi soltanto dalle opere servili?
R. Nelle domeniche ed altre feste di precetto bisogna astenersi non soltanto dalle opere servili, ma anche dalle azioni forensi e, salvo che legittime consuetudini o particolari indulti altrimenti permettano, dal pubblico mercato, dalle fiere ed altre pubbliche compere e vendite.
D . 250. Peccano coloro che non osservano le domeniche ed altre feste di precetto, oppure impediscono agli altri di osservarle?
R . Gravemente peccano coloro che senza giusto motivo non osservano le domeniche ed altre feste di precetto, oppure impediscono gli altri di osservarle.
Art. 2. — DEL SECONDO PRECETTO DELLA CHIESA.
D. 251. Che cosa è prescritto nel secondo precetto: Astenersi dal mangiar carne ed osservare il digiuno nei giorni fissati dalla Chiesa?
R. Nel secondo precetto: Astenersi, etc, è prescritto che nei giorni fissati dalla Chiesa noi osserviamo o il solo digiuno, o la sola astinenza, o il digiuno e l’astinenza assieme (Cod. D. C , can. 1250 e segg.).
D. 252. Che cosa ordina la legge del solo digiuno?
R. La legge del solo digiuno ordina che si faccia in giornata un pasto soltanto, ma non vieta di prendere qualche po’ di cibo la mattina e la sera, attenendosi, riguardo alla quantità e qualità di cibi, alla comune consuetudine locale.
D. 253. Che cosa vieta la legge della sola astinenza dalla carne?
R. La legge della sola astinenza dalla carne vieta di mangiar carne e sugo di carne; non vieta, invece, le uova, i latticini e i condimenti di qualsiasi genere anche se c’entri il grasso di animale.
D. 254. In quali giorni obbligano le suddette leggi?
R. A meno che la legittima autorità altrimenti disponga per indulto:
1° la legge della sola astinenza obbliga tutti e singoli i venerdì;
2° la legge dell’astinenza e del digiuno assieme, il mercoledì delle Ceneri, i venerdì e sabbati di Quaresima, i giorni di Quattro Tempora, le vigilie della Pentecoste, dell’Assunta (poi sostituita dall’Immacolata), di tutti i Santi e della Natività del Signore;
3° la legge del solo digiuno, obbliga nei rimanenti giorni di Quaresima, salvo le domeniche.
D. 255. Vi sono certi giorni in cui le leggi suddette non hanno applicazione?
R. Nelle domeniche ed altre feste di precetto, e nel Sabbato Santo dopo mezzogiorno, la legge dell’astinenza, o della astinenza e digiuno, o del digiuno soltanto, non hanno applicazione, salvo che la festa di precetto cada in Quaresima; le vigilie poi non si anticipano (Can. D. C , can. 1252, § 4).
D. 256. Quali persone debbono osservare l’astinenza e il digiuno?
R. A meno di avere una legittima scusa o una dispensa, deve osservare l’astinenza chiunque, in sufficiente possesso della ragione, ha compiuto il settimo anno; tutti poi indistintamente, son tenuti alla legge del digiuno, da vent’anni compiuti a sessanta iniziati.
257. Per qual ragione la Chiesa prescrive l’astinenza e il digiuno?
R. La Chiesa prescrive l’astinenza e il digiuno onde i fedeli facciano penitenza dei peccati commessi, si guardino dai futuri, e così attendano più efficacemente alla preghiera (Tob, XII, 8; Gioel, II, 12, 15; Matt., VI, 16; IX, 15; XVII, 20; Marco, II, 20; Luca, II, 37; V, 35; Paolo: ad Rom., XIII, 13; 2a ad Cor., V I , 5; X I , 27; ad Eph., V, 18; la ad Thess., V,6; ad Tit., II, 2).
Art. 3. — DEL TERZO E QUARTO PRECETTO DELLA CHIESA.
D . 258. Che cosa prescrive la Chiesa nel terzo precetto: Confessare i propri peccati almeno una volta all’anno?
R. Nel terzo precetto: Confessare i propri peccati almeno una volta all’anno, la Chiesa prescrive ai fedeli pervenuti all’età di discrezione di fare almeno una volta nell’anno la confessione dei peccati mortali, non direttamente rimessi nelle confessioni precedenti (Conc. Lat. IV, cap. 21; Conc. di Tr., sess. XIV, de Pœnitentia, c. 5. — Se vuoi custodir l’anima tua immune dai peccati, se vuoi condurre una vita degna di un cristiano, avvicinati di frequente al sacramento della Penitenza, sempre, ben inteso, con una diligente preparazione; prendi, poi, la buona abitudine di confessarti come se dovessi immediatamente e dopo morire. Ricevuta l’assoluzione, rendi grazie a Dio d’essersi mostrato tanto misericordioso verso di te; poscia, se lo puoi, fa subito la tua penitenza.).
D . 259. Che cosa prescrive la Chiesa nel quarto precetto: Ricevere il Sacramento dell’Eucaristia almeno a Pasqua?
R. Nel quarto precetto: Ricevere il Sacramento dell’Eucaristia almeno a Pasqua, la Chiesa prescrive ad ogni fedele che abbia raggiunto l’età di discrezione, di ricevere l’Eucaristia, almeno entro il tempo pasquale (Conc. Lat, IV, 1. e; Conc. di Tr., sess. XIII De Eucaristia, can. 9; Cod. D. C , can. 859, § 1).
D. 260. Debbono i fedeli soddisfare a questo precetto, ognuno nel proprio rito e nella propria parrocchia?
R. Per quanto i fedeli non abbiano al riguardo alcun obbligo stretto, vanno tuttavia consigliati di soddisfare a tale precetto, ognuno nel proprio rito e nella propria parrocchia; chi poi avesse soddisfatto in un rito diverso dal suo o in una parrocchia estranea, abbia cura d’informare il proprio parroco del compiuto precetto (Cod. D. C., 1. c, § 3, e can. 866, § 2. — Nella Chiesa latina la Santa Comunione vien somministrata sotto l’unica specie del pane ; sotto le due specie nella maggior parte delle Chiese orientali).
D. 261. Perché nel terzo e quarto precetto la Chiesa ha aggiunto quella parola: Almeno?
R . Nel terzo e quarto precetto la Chiesa ha aggiunto quella parola: almeno, per insegnarci essere assai utile e conforme ai suoi desideri che i fedeli — pure quelli che hanno soli peccati veniali, ovvero mortali già direttamente rimessi — si confessino spesso e si accostino di frequente, anzi ogni giorno, con pietà alla mensa Eucaristica (S. Congr. d. Conc: Decr. Sacra Trid. Synodus, 20 dic. 1905; S. Congr. d. disc, dei Sacr. : Decr. Quam singulari, 8 ag. 1910, n. VI. — Accostati di frequente alla Santa Comunione, con purezza d’animo e ardor di desiderio. Non v’è tempo più prezioso di quello in cui ti stringi intimamente a te unito l’amantissimo tuo Salvatore. Non ti sia di peso il prolungare alquanto il tempo che trascorri con Lui nel ringraziamento).
D. 262. Qual è l’età di discrezione in cui cominciano ad obbligare ì due precetti della Confessione e della Comunione?
R . L’età di discrezione in cui cominciano ad obbligare i due precetti della Confessione e della Comunione, è quella in cui il bambino comincia a ragionare, ossia verso il settimo anno d’età, sia sopra sia anche sotto (S. Congr. d. discipl. dei Sacr., 1. e, n. I).
D. 263. Quest’obbligo che grava sui bambini, ricade pure su altri?
R . Quest’obbligo che grava sui bambini, ricade pure e principalmente sulle persone che debbono aver cura di essi, quindi sui genitori, sui tutori, sui maestri, sul confessore e sul parroco (S. Congr. d. discipl. dei Sacr, 1. c, n. IV; Cod. D. C., can. 860, 1340).
D. 264. Quale conoscenza della dottrina cristiana è richiesta perchè un bambino possa e debba venir ammesso alla prima comunione?
R. Perché un bambino possa e debba venir ammesso alla prima comunione:
1° in pericolo di morte, basta ch’egli sappia discernere il corpo di Cristo dal cibo comune e riverentemente adorarlo;
2° fuori del pericolo di morte, si esige inoltre ch’egli comprenda, secondo la sua capacità, almeno quei misteri della fede necessari di necessità di mezzo, e distingua il pane Eucaristico da quello comune e corporale, e ciò affinché possa accostarsi all’Eucaristia con tutta la devozione consentita dalla sua età.
(S. Congreg. d. discipl. d. Sacr, 1. c, n. II, III D. C, can. 854; Cat. p. parr, p. II, c. IV, n. 62, 63, e c. V, n. 44. — Le condizioni requisite per degnamente e devotamente ricevere la Santa Comunione vengono esposte nelle DD. 339 e segg.).
D. 265. Fatta la prima comunione, a che cosa son tenuti i bambini?
R . Fatta la prima comunione, i bambini son tenuti ad imparare per intero a grado a grado e nella misura della loro intelligenza, il catechismo espressamente composto per essi. (S. C. d. disc. d. Sacr., 1. e, n. II).
D. 266. Qual è, in materia, il dovere dei genitori e di quanti hanno cura dei bambini?
R. Il dovere dei genitori e di quanti hanno cura dei bambini è, in materia, quello gravissimo di provvedere a che i bambini medesimi vadano ad assistere alle pubbliche lezioni di catechismo; in caso contrario, di supplire in altro modo alla loro istruzione religiosa (S. C. d. disc. d. Sacr., 1. e, n. VI).
D. 267. Da quando decorre il tempo pasquale in ordine alla Comunione da riceversi?
R. Il tempo Pasquale in ordine alla Comunione da riceversi decorre dalla Domenica delle Palme alla Domenica in Albis, salvo che la legittima autorità della Chiesa abbia altrimenti disposto (Cod. D. C , can. 859, § 2).
D . 268. Cessa il precetto della Comunione non soddisfatto durante il tempo pasquale?
R . Il precetto della Comunione non soddisfatto durante il tempo pasquale, non cessa affatto per questo, anzi bisogna compierlo subito appena sia possibile, entro lo stesso anno.
D. 269. Si ottempera al precetto dell’annua Confessione o della Comunione pasquale mediante una Confessione o Comunione sacrilega, oppure una Confessione volontariamente invalida?
R. Né mediante una Confessione o Comunione sacrilega, né mediante una Confessione volontariamente nulla si ottempera al precetto dell’annua Confessione o della Comunione pasquale, anzi in seguito al nuovo peccato il precetto stringe maggiormente (Cod. D. C , can. 97; S. C. del S. Ufficio: Decr. 24 sett. 1665, prop. 14 damn.).
Art. 4. — DEL QUINTO PRECETTO DELLA CHIESA.
D. 270. Che cosa comanda la Chiesa nel quinto precetto: Sovvenire alle necessità della Chiesa e del clero?
R. Nel quinto precetto: Sovvenire alle necessità della Chiesa e del Clero, la Chiesa inculca ai fedeli il divino comandamento di sovvenire alle necessità temporali della Chiesa e del clero, a norma di particolari decisioni
e di lodevoli consuetudini (Deut., XVIII, 1-8; Matt, X, 10; Luca, X, 7; Paolo, 1a ad Cor., IX, 9-14; la ad Tim., V, 18; Cod. D. C., can. 1502; S. Tom, 2a, 2æ, q. 87, a. 1).
D. 271. Perché vien ciò comandato?
R. Ciò vien comandalo perché è giusto che ai ministri del culto che si affaticano per la loro salvezza i fedeli somministrino quanto è necessario a coprire le spese del culto divino e ad un onesto loro sostentamento.
CAPO VI.
Dei consigli evangelici.
D. 272. Oltre i comandamenti di Dio e i precetti della Chiesa vi sono pure dei consigli?
R. Oltre i comandamenti di Dio e i precetti della Chiesa vi sono pure dei consigli, dati per la prima volta nel Vangelo da Nostro Signor Gesù Cristo, e perciò chiamati Consigli evangelici.
D. 273. Che cosa sono i consigli evangelici?
R. I consigli evangelici sono dei mezzi proposti da Gesù Cristo per conseguire con maggior facilità e pienezza la perfezione spirituale.
D. 274. Quali sono i principali consigli evangelici?
R . I principali consigli evangelici sono: la povertà volontaria, la perfetta castità e una speciale obbedienza da prestarsi per amore di Gesù Cristo (Della povertà: Matt, XIX, 21; Marco, X, 21; Luca, XVIII, 22. Della castità: Matt, XIX, 12; Paolo, 1a ad Cor., VII, 25, 32, 34. Dell’obbedienza: Luca, X, 16; Giov., XIII, 20; S. Tom, 2a, 2æ, q. 86, a. q. ad l.um).
D. 275. In qual modo con la pratica di questi consigli acquistasi con maggior facilità e pienezza la perfezione spirituale?
R. Con la pratica di questi consigli si acquista con maggior facilità e pienezza la perfezione spirituale in quanto, col dedicare a Dio la volontà mediante l’ubbidienza, il corpo mediante la castità e i beni esterni mediante la povertà, noi veniamo disposti alla carità perfetta (Pio XI, Encicl. Quas primas, 11 dic. 1925, verso la fine; S. Tom, la, 2æ, q. 108, a. 4).
D. 276. Chi è che deve seguire i consigli evangelici?
R. Deve seguire i consigli evangelici chi ad essi si è liberamente astretto; per esempio i Religiosi, i quali per voto son tenuti ad osservare i tre consigli evangelici secondo la regola del proprio Istituto.
(Coloro tutti che, rispondendo all’appello divino, abbracciano un qualsiasi Istituto di vita religiosa approvato dalla Chiesa, mentre si applicano, come ne hanno il diritto, alla cristiana perfezione secondo i consigli evangelici, nel medesimo tempo si rendono utilissimi alla salvezza del prossimo come alla stessa civile società; e ciò o con l’assidua orazione, o con l’esempio delle virtù, o curando gl’infermi e gl’infelici di ogni sorta, o educando la gioventù, o approfondendosi nelle cose divine e nelle lettere. È quindi giusto che tanto gl’individui, quanto le famiglie e la società li facciano segno di particolari espressioni di riverenza, di ammirazione e di gratitudine. — Leone XIII, Lett. al Card. Gibbons, 22 genn. 1889; e la Lett. al Card. Richard, 23 dic. 1900; Pio XI, Lett. Unigenitus Dei Filius, 19 mar. 1924 ; Cod. D. C., can. 487).
D. 277. Per poter credere, come dobbiamo, quanto è da credersi, per poter osservare i comandamenti di Dio
e i precetti della Chiesa e seguire i consigli evangelici, abbiamo noi bisogno di un qualche aiuto?
R. Per poter credere, come dobbiamo, quanto è da credere, per potere osservare i comandamenti di Dio e i precetti della Chiesa e seguire i consigli evangelici noi abbiamo bisogno della grazia di Dio. (Giov, XV, 5; Paolo, Ia ad Cor., III, 6; IV, 7; 2a ad Cor., III, 5; ad Eph., II, 8-10).