DELLA CONFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI DIO (11)

DELLA CONFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI DIO [11]

[A. Rodriguez: Esercizio di perfezione e di virtù cristiane; vol. II, ed. VII ster. TORINO, Marietti ed. 1917]

TRATTATO VIII.

CAPO XXV.

Si soddisfa al lamento di coloro che sentono aridità e tristezza nell’orazione.

Primieramente io non dico, che quando Dio visita alcuno, egli non se ne abbia a rallegrare; perché è cosa chiara, che non si può a meno di non sentir allegrezza alla presenza della cosa amata: nè dico, che non abbia a sentir dispiacere della sua assenza quando Egli il castiga con aridità e con tentazioni; che ben veggo io, che non è possibile non sentir di ciò dispiacere: e Cristo medesimo Egli pure sentì l’abbandonamento del suo Padre eterno, quando stando pendente dalla croce disse: Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquisti me (Ps. XXI – Matt, XVII, 43. )? Dio mio, Dio mio, perché m’hai abbandonato? Ma quel che si desidera è che sappiamo cavar frutto da questo travaglio e da questa prova colla quale suole il Signore molte volte provare i suoi eletti, e che ci rivolgiamo con fortezza di spirito a conformarci alla volontà di Dio, dicendo: Verumtamen non sicut ego volo, sed sicut tu (Ibid. XXVI, 39): Non si faccia, Signore, quello che io voglio, ma quello che volete voi; specialmente non consistendo la santità e la perfezione nelle consolazioni e nel far alta ed elevata orazione, né misurandosi con questo il nostro profitto e la nostra perfezione; ma col vero amor di Dio, il quale non consiste in queste cose, ma in una vera unione e intera conformità alla volontà di Dio sì nelle cose amare come nelle dolci; sì nelle avverse come nelle prospere. Sicché abbiamo da pigliar ugualmente dalla mano di Dio la croce e l’abbandonamento spirituale, il favore e la consolazione, ringraziandolo tanto dell’uno, quanto dell’altro. Se volete, o Signore, diceva quel santo Uomo, che io stia in tenebre; siate benedetto: e se volete, che io stia in luce; siate parimente benedetto. Se mi volete consolare, siate benedetto: e se mi volete tribolare, siate ugualmente sempre benedetto (Thomas a Kempis lib. 3, c. 17, n. 2): e così ci consiglia l’apostolo san Paolo che diciamo noi ancora e facciamo :In omnibus  gratias agite; hæc est enim voluntas Dei in Christo Jesu, in omnibus vobis (I. ad Thess. V, 18): In tutte le cose che vi avverranno, rendete grazie a Dio, perché questa è la volontà sua. Se dunque questa è la volontà di Dio, che altro abbiamo noi da desiderare? Se egli vuole indirizzar la mia vita per questo sentiero tenebroso ed oscuro, io non ho da sospirare per alcun altro che sia più luminoso ed agiato. Dio vuole, che colui vada per una strada per cui non gli manchi né luce né gusti; e che io vada per questo deserto arido e secco, senza provarvi una minima consolazione; non cambierei la sterilità mia colla fecondità di quell’altro. Questo è quello che dicono quelli che hanno aperti gli occhi alla verità, e con questo si consolano. Dice molto bene il padre maestro Avila (M. Avil. Audi filia, cap. 26): Oh se il Signore ci aprisse gli occhi, come ci si renderebbe più chiaro che la luce del sole, che tutte le cose della terra e del cielo sono molto basse per desiderarsi e godersi, se si toglie da esse la volontà del Signore, e che non v’è cosa, per piccola e amara che ella sia, che se si congiunge con essa la sua divina volontà, non sia di gran valore. È meglio senza comparazione lo stare in travagli e afflizioni, in aridità e tentazioni, se così Dio vuole, che quanti gusti, consolazioni e contemplazioni si trovano, se vada da essi disgiunta la divina sua volontà. Ma dirà qualcuno: Se io sapessi, che questa è la volontà del Signore, e che Egli si compiacesse e si contentasse più di questo, facilmente mi ci conformerei e starei molto contento, ancorché io passassi tutta la mia vita in questa maniera; perché ben veggo, che non v’è altra cosa da desiderare, che piacere e dar gusto a Dio, né la vita è fatta per altro: ma mi pare, che Dio vorrebbe pure, che io facessi miglior orazione e con maggiore raccoglimento e attenzione, se io mi ci disponessi: e quel che mi dà fastidio è il credere, che per colpa e tiepidità mia, e per non far io quanto è dal mio canto, me ne sto distratto e arido, senza potermi introdurre nell’orazione: che se credessi e restassi persuaso di fare quanto posso per la mia parte, e che non vi fosse colpa per me, non ne sentirei rammarico alcuno. È molto ben appoggiata questa querela: e su questo punto non vi resta a dir altro che possa avere più forza; poiché a questo si vengono a restringere tutte le ragioni di quelli che hanno simili doglianze: onde se soddisfaremo bene a questo, faremo un gran fare, per essere tanto comune e ordinario questo lamento; non essendovi alcuno, per santo e perfetto che siasi, che in alcuni tempi non senta queste aridità e abbandonamento spirituali. Lo leggiamo del beato S. Francesco e di S. Caterina da Siena, con tutto che siano stati tanto accarezzati e favoriti da Dio  e S. Antonio abbate, con tutto che fosse uomo di così alte orazione, che le notti gli parevano un soffio, e si lamentava del sole che si levasse troppo presto, pure alle volte era tanto travagliato e agitato da pensieri cattivi e importuni che gridava e alzava le voci a Dio, dicendo: Signore, io vorrei pur esser buono, e i miei pensieri non mi lasciano esserlo: e S. Bernardo si lamentava di questo stesso, e diceva: Exaruit cor meum, coagulatum est sicut lac, factum est sicut terra sine aqua; nec compungi ad lacrymas queo, tanta est duritia cordis: non sapit Psalmus; non legere libet; non orare deleclat; meditationes solitas non invento. Ubi illa inebriatio spiritus? Ubi mentis serenitas. et pax, gaudium in Spiritu sancto (D. Bern. Serm. 54 sup. Caut.)? 0 Signore, che mi s’è inaridito il cuore, mi s’è ristretto e rappreso come latte; sta come terra senz’acqua, né mi posso compungere né muover a lagrime, tanta è la durezza del mio cuore: non istò bene nel Coro; non gusto della lezione spirituale; non mi piace la meditazione. O Signore, che io non trovo nell’orazione quel che soleva; ove è quei l’inebriarsi l’anima del vostro amore? ove è quella serenità, quella pace e quel gaudio nello Spirito santo? Di maniera che per tutti è necessaria questa dottrina, e confido nel Signore che soddisfaremo a tutti. Cominciamo dunque di qui. Io vi concedo, che la vostra colpa è la cagione della vostra distrazione e aridità, e del non potervi internare nell’orazione: e così è bene che crediate e ne stiate persuasi, e che diciate, che per i vostri peccati passati e per le vostre colpe e negligenze presenti il Signore vi vuol castigare col non ammettervi ad intrinsichezza con lui nell’orazione, col non potere provare raccoglimento, né  quiete, né attenzione in essa, perché non lo meritate, anzi più tosto lo demeritate. Ma non cammina perciò la conseguenza, che ve n’abbiate da lamentare; anzi ne ha da seguire una conformità molto grande alla volontà di Dio in questo. Volete vederlo chiaramente? De ore tuo te judico (Luc. XIX, 25). Dalla vostra medesima bocca e dall’istesso vostro detto vi voglio giudicare. Non conoscete voi e non dite, che per i vostri peccati passati e per le vostre colpe e negligenze presenti meritate gran castigo da Dio? sì al certo: l’inferno ho io meritato molte volte, e così nessun castigo sarà grande per me; ma ogni cosa sarà misericordia e singolare favore al confronto di quello ch’io merito; e il volermi Dio mandare qualche castigo in questa vita sarà preso da me per particolar beneficio; perché lo terrò come per pegno dell’avermi Egli perdonato i miei peccati e di non volermi castigare nell’altra vita, poiché mi castiga in questa. Basta, non fa bisogno d’altro: io mi contento di questo; ma non se ne vada ogni cosa in parole; veniamo ai fatti. Questo è il castigo che Dio vuole che patiate adesso per i vostri peccati: queste tristezze, questi desolamenti, queste distrazioni, queste aridità, quest’abbandonamento spirituale, questo diventarvi il cielo di ferro e la terra di bronzo, questo rinchiudervisi e nascondervisi Dio, e che non troviate introduzione nell’orazione; con questo vuol Dio castigarvi adesso e purgare le vostre colpe. Non vi pare, che i vostri peccati passati e le vostre colpe e negligenze presenti meritino bene questo castigo? Sì certamente: e ora dico, che è molto piccolo rispetto a quello che io merito, e che è molto pieno di giustizia e di misericordia: di giustizia, perché avendo io tante volte serrata a Dio la porta del mio cuore e fattomi sordo quando Egli mi batteva ad esso colle sante sue inspirazioni, ed io tante volte andava loro resistendo; giusta cosa è, che adesso, ancorché io lo chiami, si faccia sordo e non mi risponda, né voglia aprirmi la porta, ma me la serri in faccia. Giustissimo è questo castigo, ma molto piccolo per me, e così è molto pieno di misericordia, perché lo meritava molto maggiore. Conformatevi dunque alla volontà di Dio in questo castigo, e ricevetelo con rendimento di grazie, poiché vi castiga con tanta misericordia, e non proporzionatamente a quello che meritate. Non dite voi, che meritavate l’inferno? come dunque avete ardire di chieder a Dio consolazioni e gusti nell’orazione? ed avere intrinsichezza e famigliarità con Lui in essa, e una pace, quiete e riposo di figliuoli molto amati e accarezzati? Come avete ardire di formar doglianza del contrario? non vedete, che questa è gran presunzione e gran superbia? Contentatevi che Dio vi tenga in casa sua, e vi consenta lo stare alla sua presenza, e stimate, e riconoscete questo per grazia e beneficio molto grande. Se avessimo umiltà nel cuore, non avremmo lingua né bocca per lamentarci, comunque ci trattasse il Signore; e così cesserebbe facilmente questa tentazione.

CAPO XXVI.

Come convertiremo l’aridità e le tristezze e desolazioni interne in molto buona ed utile orazione.

Non solo deve cessar in noi altri questo lamento, ma abbiamo anche da procurare di cavar frutto dalle aridità, dalle tristezze e desolazioni interne, e di convertirle in molto buona orazione. E a quest’effetto aiuterà per la prima cosa quel che dicevamo trattando dell’orazione (Tract. V, c. 19); cioè quando ci vedremo a questo termine, dire: Signore, in quanto questa cosa procede da mia colpa, certo mi dispiace grandemente e mi dolgo della colpa che io ne ho; ma in quanto è volontà vostra, e pena e castigo da me giustamente meritato per i miei peccati, io l’accetto, Signore, di molto buona voglia: e non solamente adesso, o per poco tempo, ma per tutta la vita, ancorché avesse da essere molto lunga, mi offro a questa croce, e sto molto disposto a portarla, anche con rendimento di grazie. Questa pazienza e umiltà, e questa rassegnazione e conformità alla volontà di Dio in questo travaglio, piacciono più alla Divina Maestà Sua, che i lamenti e le soverchie angosce, per non trovare introduzione nell’orazione, o perché si sta ivi con tanti pensieri e con tanta distrazione. Ditemi un poco: chi vi pare, che piacerà più al padre e alla madre, quel figliuolo che si contenta di qualsivoglia cosa che gli diano, o pure quell altro che non si contenta mai di cosa alcuna, ma sempre va borbottando e lamentandosi, per parergli esser poco tutto quello che gli danno, e che gli dovrebbero dare di più, o qualche cosa di meglio? È chiaro, che sarà il primo. Or cosi passa la cosa con Dio. Il figliuolo paziente e muto il quale si contenta e si conforma alla volontà del suo Padre celeste in qualsivoglia cosa che gli mandi, benché aspra ed avversa, e benché sia un osso duro e spolpato, questi è quel desso che piace e dà più gusto a Dio che l’altro il quale è di fastidiosa contentatura, e sempre si va lamentando e borbottando, perché non ha e perché non gli danno. Ma dimmi, chi fa meglio, e chi muoverà più a compassione e misericordia di sé, e a fargli limosina, il povero che si lamenta, perché non gli rispondono presto e perché non gli è dato niente, o pur il povero che continua a stare alla porta del ricco con pazienza e silenzio, e senza alcun lamento; ma dopo aver battuto alla porta, sapendo, che lo hanno inteso, se ne sta aspettando al freddo e all’acqua, senza tornar a battere, e senza sapersi lamentare, e sa il padrone di casa, che sta aspettando con quell’umiltà e pazienza? Chiara cosa è, che questi muove assai; e che quell’altro povero superbo più tosto dà noia e muove a sdegno. Or così passa anche la cosa con Dio. E acciocché si vegga meglio il valore e frutto di questa orazione, e quanto è grata a Dio, domando io: che miglior orazione può far uno, e che maggior frutto può cavar da essa, che molta pazienza ne’ travagli, molta conformità alla volontà di Dio e molto amore verso di Lui? Che altra cosa andiamo a fare nell’orazione, che questa? Or quando il Signore ti manda aridità e tentazioni nell’orazione, conformati alla volontà sua in quel travaglio e abbandonamento spirituale, e farai uno de’ maggiori atti di pazienza e d’amor di Dio che tu possa fare (Supra cap. 3). Dicono, e molto bene, che l’amore si mostra nel soffrire e nel patire travagli per la cosa amata; e che quanto maggiori sono i travagli, tanto maggiormente si mostra l’amore. Or questi sono de’ maggiori travagli e delle maggiori croci e mortificazioni de’ Servi di Dio, e quelle che maggiormente sentono gli uomini spirituali; poiché presso loro i travagli corporali toccanti roba, sanità e beni temporali, non sono di considerazione in paragone di questi. L’arrivar dunque uno ad esser molto conforme alla volontà di Dio in simili travagli, imitando Cristo nostro Redentore in quell’abbandonamento spirituale che patì sulla croce, e l’accettar questa croce spirituale per tutta la vita, quando mai piacesse al Signore di dargliela, solo per dar gusto a Dio, è molto alta e molto utile orazione, e cosa di gran perfezione, dico tanta, che alcuni chiamano questi tali eccellenti Martiri (Lud. Blos, specul. spir. cap. 6). – Domando io inoltre: che cosa vai a fare nell’orazione, se non a cavarne umiltà e cognizione di te stesso? quante volte hai chiesto a Dio, che ti dia a conoscere chi tu sei? Ecco che Dio ha esaudita la tua orazione, e te lo vuol far conoscere in questo modo. Alcuni fondano il conoscimento di sé medesimi nell’avere un gran sentimento de’ propri peccati e in ispargere molte lagrime per essi: e s’ingannano, perché questo è Dio, e non tu. L’esser come un sasso, questo sei tu: e se Dio non percuote il sasso, non uscirà da esso acqua né miele. In questo sta il conoscer se medesimo, che è principio di mille beni: e di questo ne hai un’assai abbondante materia per le mani quando stai nel termine che s’è detto: e se caverai questo dall’orazione, avrai cavato da essa molto gran frutto.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.