SUNTO STORICO DELLE ERESIE NEL LORO RAPPORTO COL PANTEISMO E COL SOCIALISMO (5).
[A. NICOLAS: “Del Protestantesimo e di tutte le eresie nel loro rapporto col socialismo”, vol. I – Napoli, tipogr. e libr. Gabr. ARGENIO – 1859]
Eresie del terzo periodo – III –
VIII. — Mentre l’esperienza di questa verità si compieva in grande nella guerra degli albigesi, essa ricominciava nelle cattedre filosofiche di Parigi e riusciva rapidamente alle medesime conseguenze, Amalrico di Chartres professava la logica e l’esegesi all’università di Parigi. Interpretando falsamente questa proposizione di Erigena: « Ogni cosa è di Dio, ogni cosa è manifestazione di Dio » , egli diffuse tra i suoi contemporanei una dottrina strettamente panteistica. Quantunque egli avesse avviluppato il suo errore in un insegnamento in apparenza ortodosso, pur la Chiesa, sentinella vigilante della fede e dell’incivilimento, lo scoprì; la Sorbona di Parigi pronunziò contro di lui una sentenza che il Papa confermò, e che fece morir Amalrico di angoscia e di rabbia. Alla sua morte fu manifesto che egli aveva un certo numero di aderenti, tra i quali Guglielmo di Champeux e Davide di Dinan, pel cui mezzo la peste del panteismo distese i suoi guasti. Da questa fatale proposizione che egli aveva insegnato: « Tutto è uno; e uno è tutto; questo tutto è Dio,—l’idea è la medesima cosa che Dio, « fu veduta uscirne la sovversione di ogni idea morale e sociale. Il dogma della Trinità, donde esce cosi mirabilmente il dogma dell’Incarnazione, il quale mediante i sacramenti va a cogliere l’umanità ne’ suoi diversi stati, e col mezzo del concorso della libertà e della grazia, l’unisce al Cristo per unirla a Dio; quest’ammirabile economia della dottrina cattolica, in cui tutto è distinto e tutto è unito per essere santificato, diventava ciò che vediam qui nell’eresia di questi settarii: « Bisogna intendere pel Padre il periodo reale della storia del mondo, nella quale la vita dei sensi domina come avvenne ne’ tempi dell’antico Testamento; il Figliuolo è il periodo ideale e reale, durante il quale l’uomo entra in sé medesimo, senza però che lo spirito possa ancor trionfare del mondo esteriore e che l’ideale e il reale siano coordinati. Finalmente, lo spirito si manifesta nel periodo puramente ideale e consegue la vittoria. Per conseguenza i sacramenti istituiti dal Cristo il Battesimo, la Penitenza, l’Eucaristia, non hanno più senso: e ciascuno trova la sua salute nell’ispirazione immediata dello Spirito Santo e senza alcuna pratica esteriore. L’ispirazione risulta dal raccoglimento dello spirito in sé. La santificazione non è altro che la coscienza della presenza di Dio, il pensiero dell’uno e del tutto. Il peccato consiste nello stato dell’uomo limitato nel tempo e nello spazio. Chiunque è nello Spirito Santo non può più contaminarsi, anche quando si abbandona alla fornicazione; ciascuno di noi è lo Spirito Santo (Engelhardt, Amalrico di Bene. – Trattato di storia ecclesiastica, n. 3 Conc. di Parigi. Atti) ».
IX. —Davide di Dinan si spogliò di questo viluppo mistico e confessò francamente il paganesimo panteistico, che fa di Dio il principio materiale di tutto. In breve il torrente di questa filosofia perversa andò a confondersi con quello di tutti i sistemi eretici dei catari, dei valdesi e degli albigesi. Movendo dal principio medesimo, cioè dal panteismo, gli uni e gli altri s’incontrano, non ostante la diversità dei loro errori, nel medesimo risultato, che è la barbarie. Da questa scuola, fulminata dalle decisioni del concilio di Parigi nel 1209, derivò la setta in parte montanista, in parte panteista, dei fratelli e delle sorelle del libero spirito, i quali traevano il loro nome dalla dottrina che professavano. Essi consideravano tutto le cose come una emanazione immediata di Dio e applicavano a sé medesimi le parole del Cristo : Io e il mio Padre siamo uno. Chiunque è giunto a questa convinzione, dicevan essi, non appartiene più al mondo dei sensi, non può più esserne contaminato, e non ha per conseguenza più bisogno di sacramenti. Separando assolutamente il corpo dallo spirito, essi pretendevano che gli eccessi della sensualità non hanno alcuna influenza sullo spirito, e perciò alcuni di loro si abbandonavano in tutta sicurezza alle più vergognose disonestà; non ammettendo alcuna differenza tra il vizio e la virtù, negavano l’inferno e la giustizia, e si lasciavano andare agli eccessi più abbominevoli. – Vestiti in guisa strana e talvolta ancora neppur vestiti, andavano qua e là errando in apparenza di mendicanti. Furono chiamati begardi o piccardi in Alemagna, e in Francia turlupini. Questi sanculots del Medio evo portarono il disordine del loro selvaggio comunismo a tal punto che la società e la Chiesa dovettero porre tutto in opera per rintuzzarli (Engelhardt, Storia ecclesiastica, tom. IV, pag. 151.— Alzog, tom. II, pag. 388. — Hurter, Storia d’ Innocenzo III, tom. II, pag. 302.—Moehler, La Simbolica, tom. I, pag. 276).
X. — In questi tempi di pazzi e degradanti traviamenti si lovava sull’orizzonte del mondo cattolico uno de’ più sublimi, più vasti e più puri intelletti che abbiano onorato l’umanità; del quale non è detto quando si vorrebbe neppure applicando ad essa il supremo elogio che la Scrittura fa della natura umana denominandola per alcun poco inferiore agli angeli; Minuisti eum paulo minus ab angelis (Psal. VIII. 6). Io ho nominato l’angelo della teologia, l’aquila della filosofia, il gran san Tommaso. Questo luminoso genio fu suscitato da Dio in questo tempo di aberramento degli spiriti razionalisti e alla vigilia del gran divorzio tra la ragione e la fede mercé il protestantismo, per stringere tra l’una e l’altra la più bella alleanza, per determinare in qualche modo tutta l’altezza alla quale lo spirito umano può toccare, e tutta la possanza, la pienezza, la gravità che la ragione sviluppata sotto la scorta della fede può avere, e così far meglio sentire alla ragione tutta la fiacchezza, tutto l’oscuramento, tutta l’abiezione in cui cade, quando si separa dalla fede. – La gran Somma di san Tomaso pone e risolve tutte le questioni possibili sulla natura e i rapporti del finito e dell’ infinito. Ella sviluppa e determina al tempo stesso tutte le soluzioni con una sicurezza, facilità e rettitudine luminosa, la quale movendo dalla fede come da un centro comune, si spande in raggi intellettuali, che vanno in ogni verso a illuminare il più vasto orizzonte che possa essere aperto all’occhio dell’intelletto. In quest’opera incomparabile non si sente né timidezza, né ardimento, non stanchezza, non sforzo, non insufficienza, né esagerazione; ma un pieno, naturale e sicuro esercizio del pensiero, che bilancia il suo volo colla sua sommissione e riceve dalla fede una specie d’infallibilità intellettuale. Non v’ha questione agitata che san Tomaso non tratti a fondo, e ne eccita altre moltissime che non erano neppur sospettate. Ma dove lo spirito umano non può che suscitare le questioni senza risolverle, san Tomaso è in grado di risolverle prima di eccitarle, e non le eccita in certo qual modo che per la forma e per mostrare il rigore delle sue soluzioni, nessuna delle quali in sostanza forma questione, cotanto vi si fanno sentire la giustezza, l’armonia, la precisione propria della verità. Cosa sopra tutto notevole è che, mentre la ragione degli eresiarchi fin dal primo passo cade nel panteismo, la ragion cattolica di san Tommaso va sull’ orlo de’ precipizii, sino alle estremità più remote della natura e del fine delle cose, non vacillando né fallendo mai, trovando al contrario in queste medesime estremità la giustificazione armonica delle sue vedute e come la sonora ripercussione della verità. Oltre questa grand’opera, questa magnifica piramide della dottrina cattolica, che previene tutti gli errori e li distrugge implicitamente coll’esposizione e colla statica della verità, san Tomaso scrisse specialmente contra quel panteismo satanico ad una o due teste, che, venuto dall’ India e dalla Persia e raccogliendo tutti gli errori analoghi delle scuole talmudiche ed elleniche, aveva creato il primo pericolo all’incivilimento cristiano nelle sette gnostiche e neoplatoniche che lo aveva messo di bel nuovo in pericolo nelle eresie degli albigesi e de’ valdesi, e che respinto dal mezzogiorno dell’Europa, la pigliava ora da un altro lato introducendo il suo veleno in seno alle razze slave e germaniche. Il genio di san Tomaso venne in ajuto dell’incivilimento con due opere speciali: la Somma contra i gentili, nella quale la fede cattolica combatte gagliardamente il manicheismo (SUMMA CONTRA GENTES, in qua, libris quatuor, catholica fides in omnes orthodoxæ ecclesiæ perduelles acerrime propugnutur), e il suo trattato contra gli errori degli Orientali. Nelle quali dilegua le tenebre del panteismo ristabilendo con invincibile chiarezza la vera nozione diun Dio essenzialmente distinto da tutti gli esseri creati; considerando Dio in sé medesimo; poscia Dio per rapporto alle creature; indi lecreature per rapporto a Dio; e improntando queste distinzioni fondamentali e questi rapporti naturali coll’esposizione dell’unione ineffabile di Dio colla natura umana nell’incarnazione del Verbo, e di tutto il destino dell’uomo nel disegno generale del Cristianesimo. – Quando la dottrina cattolica ebbe cosi ricevuto, sotto la penna di questo gran genio identificato colla fede, tutto lo sviluppo della sua esposizione e della sua sintesi, Dio permise all’errore di raccogliere anch’esso per mezzo di poderosi settari tutti gli elementi di falsa filosofia e di teologia errata, da cui l’Occidente era allora ammorbato.Viclefo e Giovanni Hus vennero ad apparecchiar le vie a Lutero.Dire che la loro separazione dalla dottrina cattolica e la loro caduta nel panteismo furono una cosa medesima, è indovinare infallibilmente i fatti, cotanto assoluta è la legge di questo rapporto.L’inglese Giovanni Viclefo si rendette da prima segnalato per la sua opposizione sistematica contro la Chiesa; e della negazione dell’autorità di lei egli, forse pel primo, fece l’oggetto della sua eresia.In breve vi mescolò un attacco contro i dogmi, segnatamentecontra quello della transustanziazione: e mentre abbandonava la Dottrina cattolica, le sostituiva la seguente dottrina: « Ciò che è Dio,secondo l’idea, è Dio medesimo, o l’idea è Dio. Ogni natura èDio, ed ogni essere è Dio. » —Non è cosa che arresti l’eresiarca nelle conseguenze del suo sistema: « Dunque, dice egli, un asinoè Dio (De ideis, cap. 2.) Staudenmaier, Filosofia del cristianesimo.— Alzog, Storia universale della Chiesa, tom. II, pag. 5883). » – Ammesso una volta questo principio dell’identificazione panteistica di Dio coll’idea, tutto il rimanente del sistema conseguitava molto facilmente. Viclefo trascorreva sino a sostenere l’eternità reale delle cose e del tempo; la creazione tutta quanta non era che un’emanazione; il che trae seco il fato e la necessità del male che Wiclefo professa apertamente, non temendo punto di sottoporre a questa necessità Dio medesimo, di distruggere la sua libertà, del paro che quella della creatura, e di soggettare ogni cosa al giogo di questa stupida necessità. A questa dottrina già sì perversa Viclefo ne mescolava un’altra che aveva preso dagli albigesi, contro la proprietà. Gli albigesi avevano attaccato principalmente le proprietà ecclesiastiche; Viclefo generalizzò questo attacco stendendolo ad ogni proprietà, fondato su questo, che, per avere un dritto legittimo di possedere qualche cosa sulla terra, bisogna esser giusto, e che un uomo perdeva ogni diritto ai suoi possedimenti allora che commetteva un peccato mortale; e questa dottrina ei l’applicava ai signori, ai principi ed ai re, delparo che ai papi ed ai vescovi (Plaquet, dizionario delle eresie.).Viclefo vedeva chiaro che apriva col suo sistema la porta a tutti i delitti e alla distruzione d’ogni società. « Ma , soggiungeva egli,« se non mi si danno ragioni migliori di quelle che mi si vengono dicendo, io rimarrò confermato nel mio sentimento senza dirne parola (Bergier, Dizionario di Teologia). »Per mala ventura egli non stette silenzioso, e le sue predicazioni sovversive fecero nascere la setta de’ viclefiti, la quale s’ingrossò di quella de’ lollardi, che veniva dalla Boemia e aveva per autore Lollardo Walter, il quale non aveva fatto che riprodurre gli errori manichei degli albigesi contra i sacramenti e la penitenza, il matrimonio, la giustizia e la proprietà, e che aveva sopra questi tessuto quella dottrina realmente infernale, che i demonii erano stati ingiustamente scacciati dal cielo, che san Michele e gli angeli sarebbero un giorno dannati eternamente, del paro che quelli che non abbracciassero la sua dottrina. (La filiazione di tutte queste eresie è attestata da tutti gli storici: esse si completavano e si spiegavano le une per mezzo delle altre; a tal che per conoscere ciascuna di esse, si vogliono conoscer tutte, e non si fa alcuna ingiustizia dicendo che quella che sembrava la più innocente era solidaria della più colpevole. Era il medesimo veleno, il medesimo virus, ora latente, ora prorompente, e più pericoloso forse nel primo stato che nel secondo, perché si distendeva maggiormente. Bisogna esserne ben convinti che ogni eresia porta nel proprio seno la morte).
XI. — Giovanni Hus fu il discepolo el’erede immediato di Viclefo, egli non poté afferrare tutte le dottrine del teologo inglese; ma non gli sfuggirono i principali risultati, eli seppe difendere con abilità. Egli prese da esso sopra tutto la dottrina della predestinazione assoluta, dividendo gli uomini in eletti ed in riprovati da tutta l’eternità, checché facessero, non considerando che gli eletti come membri della vera Chiesa, e togliendone irremissibilmente gli altri, senza che alcun pentimento, alcuna ammenda potesse farveli rientrare. Egli mosse da questo punto per dire coi lollardi e coi valdesi che le potestà della Chiesa e la virtù dei sacramenti dipendevano dalla santità dei loro ministri e perivano in mani indegne di esercitarli. Estese naturalmente questa dottrina ai re, ai principi, ai signori e a tutte le superiorità sociali. E per conseguenza decise che quelli che sono viziosi sono di pien diritto scaduti dalla loro autorità e spogli del loro diritto, e che il popolo può a grado suo correggere i suoi padroni quando cadono in qualche colpa (Proposizione di Giovanni Hus condannata dal concilio di Costanza nella sua ottava sessione). Si comprende che la distruzione di ogni ordinamento sociale è l‘effetto immediato di una tale dottrina. Ciò non sarà vizioso e nol diventerà sopra tutto agli occhi di coloro che sono interessati a trovarlo tale? Chi è che non cada in qualche colpa?Gesù Cristo non ha eccettuato dalla comune miseria i ministri medesimi delle sue grazie, e fece con ciò due grandi cose: la prima, di far risplendere tanto più vivamente la purezza soprannaturale della dottrina, l’infallibilità del suo insegnamento e la virtù de’ suoi effetti, che si mantengono invariabilmente non ostante tutti gli accidenti umani, ed anche di quelli che ne sono l’organo; la seconda, di sostenere tutta quanta la società al di sopra del caos di questi accidenti, facendo poggiare l’autorità, che a tutti i gradi ne costituisce le basi, sopra un diritto superiore e indipendente. Tutta la società era dunque interessata nella controversia suscitata da Giovanni Hus contra la Chiesa e le sovranità. La santità de’ rappresentanti della Chiesa era del resto oscurata e come eclissata a quella età da una di quelle ombre che la terra getta talvolta sugli astri medesimi che la devono illuminare, e che anche dietro queste ombre sono non pertanto gli apportatori della luce. Non ci è per niun modo grave di confessarlo; nella parte terrestre della sua esistenza, non esente dalla corruzione della nostra natura, la Chiesa appresentava allora uno spettacolo affliggente di rilassatezza e di disordine. Sicuramente essi furono colpevoli e responsabili di molti mali quelli per la cui via giunse lo scandalo; ma non lo furono così da scaricar quelli che si scandalizzarono, e sopra tutto coloro che promossero lo scandalo e se ne giovarono, della responsabilità della rivolta, la quale ha voluto delle violazioni della dottrina accusare la dottrina stessa e abusò del male per far rigettare il rimedio, invece di provare l’infallibilità del rimedio applicandolo al male. Ciò che vi ha di peggio al mondo non sono le cattive azioni, sono le cattive dottrine che le scatenano. Per favorir quelle che egli voleva diffondere, Giovanni Hus, come tutti i settari che lo hanno seguito, esagerava sino alla calunnia il quadro della rilassatezza de’ costumi clericali in quel tempo, a tal punto di essere un giorno interrotto da un grave e onesto uditore, il quale gli disse: « Maestro , io sono andato a Roma, vi ho veduto il Papa e i cardinali; ma in verità essi non sono così cattivi come voi li dipingete. — Ebbene, se il Papa ti piace tanto, ripigliò Hus, corri un’altra volta a Roma e restaci. — No, maestro, replicò il suo interlocutore, io son troppo vecchio per fare il viaggio; ma voi che siete giovane andatevi, e troverete, ve Io ripeto, che le cose non vi sono così cattive come voi dite »
La Chiesa non chiudeva la bocca di quelli che manifestavano gli abusi de’ suoi ministri se non allora che questo appello alla riforma, era un appello alla ribellione, e non era ispirato che dallo spirito di orgoglio e di sovversione. Sempre saggia, anche ne’ rappresentanti che umanamente non erano sempre tali, essa ascoltava, che anzi suscitava de’ veri riformatori nel suo seno e riconosceva in essi con gioja il diritto e il dovere di rianimare la vita comune de’ fedeli, sino a fare dell’esercizio di questo diritto un titolo medesimo ai supremi onori della santità. Cosi furono accolti, incoraggiati e onorati, fra una moltitudine di altri, san Bernardo e santa Brigida, i quali dipinsero sotto i colori più vivi la rilassatezza della disciplina e ne invocarono con tutte le loro forze la riforma. Cosa ammirabile! Brigida fu precisamente canonizzata dal concilio che condannò Giovanni Hus. L’uno e l’altra avevano domandato la riforma; ma Brigida cominciando dal riformar sé medesima, e Giovanni Hus, come dopo di lui Lutero, lasciando libero il freno a tutte le passioni. Queste, scatenate e infiammate da Hus, tramutarono per ben sedici anni tutta l’Alemagna in un campo di stragi spaventevoli, d’incendi, di rapine, di orrori inauditi. La questione per la quale avvennero così gran guai sembra a prima giunta di nessun momento, e la filosofia moderna non mancò di gettar sul secolo che l’agitava e sulla Chiesa che la sosteneva tutti i superbi dileggi della ragione. Si trattava di sapere se il popolo farebbe o no, come il clero, la comunione sotto le due specie. Tale era la questione per la quale il suolo d’Alemagna fu seminato d’ossa umane. – Ma una tale questione, sebbene in apparenza semplice e leggiera, era la più gran questione che fosse stata agitata in seno alla società, o della barbarie o dell’incivilimento, una question di vita o di morte sociale, la question medesima che ci mette oggidì in tanto spavento; il socialismo, il comunismo. Quando le orde barbare degli ussiti si levarono mettendo il grido LA COPPA AL POPOLO! essi domandavano che fosse tolta ogni distinzione tra il clero e i fedeli, e che tutti fossero ammessi a bevere nella medesima coppa. Essi inauguravano sotto la forma più sacra la selvaggia divisa di eguaglianza e di fratellanza che ha insanguinato i nostri ultimi tempi. Essi trasformavano il dogma della carità infinità di Dio, la comunione, in comunismo, non pel fatto in sé medesimo della comunione sotto le due specie, ma per l’intenzione che la faceva loro domandare; intenzione al maggior segno perversa, poiché non credevano alla transustanziazione più che il loro capo Giovanni Hus che l’aveva attaccata, e perché la loro esigenza non era che la formula sacrilega di tutte le selvagge passioni contro la società. Del resto, fedeli eredi de’ gnostici, e precursori pe’ socialisti, al grido LA COPPA AL POPOLO! aggiungevano l’altro: LA PROPRIETÀ’ AL POPOLO! che ne derivava naturalmente; e i socialisti moderni non hanno mancato di salutare in essi con trasporto i loro fratelli ed amici e di stendere ad essi attraverso quattro secoli una mano congiurata contra la società e le sue sante leggi. – Col suo senso di profondo incivilimento e colla sua fermezza inflessibile, la Chiesa sostenne la furia della procella e pose al sicuro un’altra volta ancora, contra l’invasione della barbarie, l’ingrata società che doveva un giorno maledirla. Ma non era questo che il prologo di un più gran dramma, e questo secolo pieno di amarezza, come dice Bossuet, aveva partorito Lutero.