UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. BENEDETTO XIV – “EX OMNIBUS CHRISTIANI”

Con questa breve lettera Enciclica, il Sommo Pontefice Romano Benedetto XIV, si inserisce nelle questioni ancora presenti in Francia in seguito all’azione spiritualmente devastante del Giansenismo. Qui si ribadisce con estrema chiarezza e risoluzione un principio dottrinale, valido allora ed ancor più oggi, secondo il quale si « ….  proibisce di amministrare l’Eucaristica Comunione a qualunque pubblico e notorio peccatore, ancorché egli pubblicamente o privatamente la domandi ». Quindi l’assistere a pubbliche amministrazioni di Sacramenti – benché invalidi ed illeciti dopo il conciliabolo c. d. Vaticano II e le relative riforme protestanti-moderniste – a personaggi notoriamente di idee e comportamenti anticristiani, blasfemi, antiecclesiastici o laici come ipocritamente si dice, (noti aderenti a logge massoniche, artistoidi satanisti e sodomiti dichiarati…) è una ulteriore manifestazione dell’affronto diretto con cui la falsa chiesa dell’uomo, la “spelonca latronum” vaticana, che vive là dove abita satana (Apoc. II), lancia la sua sfida diretta a Dio, al suo Cristo ed alla Chiesa Cattolica Sposa-immacolata di Cristo. Già con il partecipare, o solo con l’assistere approvando i riti blasfemi e sacrileghi, si è in peccato mortale per i numerosi anatemi conciliari e magisteriali ai quali si va incontro, sia quelli sanzionati con pene canoniche ed ancor più quelli ipso facto che, benché invisibili all’uomo, sono ben noti e presenti agli occhi di Dio (c. A.: Auctorem fidei) e conducono direttamente nello stagno di fuoco eterno ove finiranno insieme alla “bestia” ed al “falso profeta” (le pseudo-chiesa falsa conciliare), prima del diavolo che chiuderà la porta degli inferi (Apoc. XXII).

Benedetto XIV
Ex omnibus christiani

1. Essendo a Noi giunta da tutte le parti del Mondo Cristiano (delle quali è stato affidato alla debolezza Nostra il Pastorale Governo) più e più volte la notizia di molte cose, le quali tengono l’animo Nostro altamente agitato e sollecito pel buono stato di tutte, e di ciascuna Chiesa in particolare; a stento ve n’è stata alcun’altra che ci abbia recato maggior turbamento e dolore quanto i gravissimi dispareri e le controversie, dalle quali da qualche anno in qua purtroppo conosciamo essere agitati codesto fiorentissimo Regno e la Cattolica Nazione di Francia. Invero, in queste turbolenti circostanze, non abbiamo mancato di porgere Noi stessi, e di far porgere ad altri ancora, umili preghiere a Dio O. M., e di supplicarlo, perché Egli, ch’è il Dio della pace, si volesse degnare di restituire alle vostre Chiese agitate una vera e stabile tranquillità. Più volte abbiamo scritto al Nostro carissimo Figlio Ludovico, Re Cristianissimo di Francia, implorando la sua mediazione e potenza a difesa e sostegno dell’Ecclesiastica Pace. E rispondendo a tutti coloro che a Noi e all’Apostolica Sede ricorsero per le presenti emergenze, ci siamo sempre espressi di essere pronti ed apparecchiati in tutto il corso di Nostra vita a dare con tutto il piacere una mano per stabilire la Pace della Chiesa Gallicana (che Noi sinceramente e costantemente amiamo) e per intraprendere ed ultimare tutte quelle cose che ci fossero proposte, purché i progetti fossero riconosciuti atti e valevoli ad estirpare la rea semenza dei mali, e la cui esecuzione, accompagnata dalla speranza di felice successo, potesse tendere al fine bramato.

2. La lettera scrittaci dall’Assemblea del Clero Gallicano sotto il dì 31 ottobre dell’anno scorso, Ci ha non poco sollevato dal grave e lungo disturbo, che abbiamo provato fin qui per le cose vostre; leggendola, abbiamo riconosciuto, Venerabili Fratelli, la vostra fermezza e costanza, la vostra perfetta unione nel conservare illibato il deposito della vera e sana Dottrina, come pure ad imitazione dei vostri maggiori il rispetto e la venerazione verso la S. Sede, che è il centro della Cattolica unità. Ed invero abbiamo scoperto non trovarsi tra di voi alcun disparere per ciò che spetta alle canoniche regole e ai principi, ma solamente non convenire voi nell’eleggere, e fissare i mezzi dei quali faccia d’uopo servirsi per mettere in uso gli stessi comuni principi. Quantunque fosse desiderabile che nella vostra adunanza non si avesse codesto disparere, tuttavia non ci reca meraviglia, ben consapevoli essere simili dissensi accaduti altre volte tra Vescovi, riguardevoli per dottrina e santità di costumi, in occasione dell’esame di gravissimi affari. Ad accrescere poi in Noi la concepita consolazione hanno molto contribuito l’eccellente pietà e religione del Re Cristianissimo, accompagnate dal suo ereditario ossequio verso questa Apostolica Sede, il quale a meraviglia è spiccato non solo nell’ultima lettera del 19 dicembre dell’anno scorso, in cui Ci compiegò e trasmise quella del Clero, ma nell’altre tutte a Noi indirizzate. In queste possiamo e dobbiamo attestare aver Noi apertamente scoperto sentimenti tali del suo regio animo, quali grandemente convengono a un Principe Cattolico, pieno di Religione, di pietà, di zelo verso Iddio e la Sede Romana, come pure amantissimo che ritornino e si conservino perpetue nel suo Dominio la pace e la concordia.

3. Certamente tale e tanta è nella Chiesa di Dio l’autorità dell’Apostolica Costituzione Unigenitus, ed esige questa dappertutto venerazione, ossequio ed ubbidienza, che nessun fedele può, senza pericolo di sua eterna salute, sottrarsi dall’accettarla, e in qualsivoglia maniera contraddirla. Quindi ne consegue che in quella controversia ch’è insorta, se si debba o no negare ai refrattari di questa Costituzione il Santissimo Viatico, ch’essi richiedono, si deve francamente rispondere che deve essere loro negato qualora essi siano pubblicamente e notoriamente refrattari alla predetta Costituzione, e ciò in vigore della regola generale, che proibisce di amministrare l’Eucaristica Comunione a qualunque pubblico e notorio peccatore, ancorché egli pubblicamente o privatamente la domandi.

4. Coloro, poi, che sono pubblicamente e notoriamente refrattari in rapporto al caso di cui si tratta; coloro che sono stati dichiarati rei per sentenza di Giudice competente, e a motivo d’essere essi ostinati nel negare la dovuta venerazione, ossequio, ubbidienza alla predetta Costituzione Unigenitus; coloro, ancora, che in giudizio abbiano confessato una medesima contumacia; coloro, pure, che sebbene non siano stati dal Giudice condannati né abbiano confessato in giudizio la propria reità, nientedimeno in congiuntura di ricevere il Viatico, spontaneamente professano la propria disubbidienza e contumacia contro la Costituzione Unigenitus, o si sappia che in passato essi hanno commesso alcuna cosa manifestamente contraria alla venerazione, ossequio e ubbidienza dovuta alla stessa Costituzione, e moralmente perseverano nello stesso impegno (il che sia così comunemente noto, che il pubblico scandalo indi sorto fino allora non sia cessato), in simili casi corre la stessa certezza morale che si ha in quei fatti nei quali il Giudice ha pronunziato sentenza; o almeno si sostituisce un’altra morale certezza simile ed equivalente alla predetta.

5. Nel che si deve avvertire la differenza che passa tra quella notorietà, con la quale viene scoperto qualche mero fatto, il reato del quale consiste nella sola azione esterna (come sarebbe quella di un usuraio e di un concubinario) e un’altra specie di notorietà, con la quale accade d’esser messi in vista quei fatti esterni, il reato dei quali ancora assai più dipende dall’interna disposizione dell’animo, e della quale specie di notorietà presentemente si tratta. Imperocché il primo provar si deve con argomenti gravi; ma con molto più gravi e certi provar si deve il secondo.

6. Non si deve però dire trovarsi negli altri casi quella morale certezza, che di sopra accennammo, nei quali il delitto sta appoggiato a mere congetture, a presunzioni e a discorsi vaghi ed incerti, i quali il più delle volte nascono da uomini di mal talento, che si lasciano trasportare dai pregiudizi per le loro opinioni, e dallo spirito di partito. Se si presta fede ad essi, è abbastanza noto, per l’esperienza sì dei passati, che dei nostri tempi, quanto facilmente accada che gli uomini errino, s’ingannino e camminino a rovescio.

7. Poiché però alcuni Pastori delle anime e ministri della Chiesa, commendabili per la loro pietà e zelo, appoggiando sia simili congetture e presunzioni, allorché sono chiamati ad amministrare a taluni il sacro Viatico stanno dubbiosi e irresoluti nel timore di non poterlo amministrare senza aggravio della propria coscienza, prescriviamo adesso quella regola certa di operare che essi devono seguire.

8. Innanzitutto devono tener presente questo, cioè se colui che chiede l’estremo Viatico sia stato ammesso dal proprio Parroco, specialmente nel tempo di Pasqua, alla sacra Comunione; se a lui non è stata negata giammai in vita, segno sarà che egli è stato scevro da ogni colpa, o almeno non creduto veramente peccatore notorio; dal che seguirà non potersi negare il sacro Viatico a costui che, sull’ultimo di sua vita, pubblicamente lo richiede, quando però tra l’ultima Comunione e il tempo in cui domandai Sacramenti non si scoprisse aver egli commesso alcuna cosa, per cui contratta avesse, secondo abbiamo detto, la taccia di pubblico e notorio peccatore.

9. Quando poi non appaia loro, per questa sorta di fatti, un fondamento certo cui si possano appoggiare, e dall’altra parte non spregevoli presunzioni e gravi e forti indizi militino contro l’ammalato, pei quali non sia loro possibile deporre ragionevolmente lo scrupolo insorto in siffatte circostanze, occorre che essi, licenziati prima gli astanti, parlino all’infermo, e a lui mostrino con tutta la maggiore disponibilità e mansuetudine, non a guisa di chi vuole disputare e convincerlo, quali siano, e di qual sorta, gli indizi, che gli rendono sospetto il tenore di sua vita; pregandolo e scongiurandolo a ravvedersi almeno in quella circostanza di tempo, da cui l’eterna sua sorte dipende; dimostrandogli inoltre che, sebbene apparecchiati siano per conferirgli l’estremo Viatico, e ancora di più che glielo amministrino, non per questo però egli sarà sicuro nel Tribunale di Gesù Cristo; ma che anzi si farà reo d’un nuovo ed orrendo delitto, dopo che avrà mangiato e bevuto la sua condanna; del resto si protestino di non amministrargli il Sacramento del Corpo di Gesù Cristo, se non per ubbidire alla Chiesa, che così comanda. Essa, oltre la premura che ha di prevenire i pubblici scandali, ancora per la sua pietà procura d’impedire l’infamia dell’ammalato, e perciò non lo discaccia dalla sacra mensa, perché sebbene lo giudichi peccatore nel cospetto del Signore, non lo riconosce però per tale pubblico e notorio nel suo Tribunale.

10. Dovete pertanto voi, Venerabili Fratelli, proporre codesta norma di giudicare e di operare, come approvata dal Nostro giudizio e dalla Sede Apostolica, agl’inferiori Pastori e a tutti i Sacerdoti legittimi ministri dei Sacramenti nelle vostre Città e Diocesi, perché la seguano e l’osservino.

Il giudizio da Noi dato intorno alle controversie presenti si appoggia alle regole ecclesiastiche, ai Decreti dei Concili tenuti altre volte in codesti paesi della Francia; è sostenuto pure da gravi Teologi della stessa vostra Nazione. Siccome adunque è stata per voi non piccola lode, seguendo gli esempi dei vostri maggiori, deferire a Noi e alla Sede Apostolica le controversie nate costì e i dubbi insorti, domandando una regola certa per richiamare e conservare la pace delle Chiese Vostre, così adesso vieppiù adempirete alle parti del vostro ministero, e maggior merito acquisterete innanzi a Dio e alla Chiesa se farete di tutto, perché la prescritta regola si osservi onninamente negli occorrenti casi. Il che con tanta maggior fiducia aspettiamo da voi, e ce lo auguriamo, in quanto siamo certi di non aver omesso alcuna diligenza e studio, sia nel considerare ed esaminare gli articoli, che i Vescovi adunati nei predetti comizi del Clero, sebbene non concordemente, Ci proposero, prendendo Noi lume, e ricavando dalla stessa loro discrepanza le nozioni opportune ed atte ad intendere a fondo il punto, e a definirlo con retto giudizio; sia ancora nel leggere e pesare i voti scritti dai nostri Venerabili Fratelli Cardinali di questa S. R. C., i consigli dei quali su questa materia abbiamo Noi richiesti; sia finalmente nell’eseguire e fare quel di più che ci potesse meritare l’assistenza del divin lume, che non abbiamo mai tralasciato d’implorare ardentemente. 11. Né dubitiamo, che il carissimo Nostro Figlio, il Re Cristianissimo, dopo aver non solamente approvato la risoluzione da voi presa, ma ancora, come abbiamo accennato di sopra, nelle lettere a Noi indirizzate, non ha mostrato difficoltà alcuna di promuoverla e spalleggiarla; attesa la sua nota religione e pietà verso Iddio e la S. Chiesa, avrà a cuore di aiutarvi, perché possiate voi, e gli altri inferiori ministri Ecclesiastici nell’amministrazione dei Sacrosanti Misteri, regolarvi a tenore di quanto è stato prescritto. Appoggiati pertanto a questa fiducia non abbiamo giudicato opportuno trattare qui degli altri articoli da voi trasmessici, e concernenti i diritti Episcopali intorno al concedersi, o negarsi, l’uso dei medesimi Sacramenti, e intorno a varie controversie insorte su questo punto; ma abbiamo giudicato piuttosto discuterne in altre lettere col Re Cristianissimo, perché egli, con la grandezza dell’animo suo

DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2020)

DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2020).

Semidoppio.- Paramenti verdi.

Nell’ufficio divino si effettua in questo tempo la lettura delle Parabole o Proverbi di Salomone. « Queste parabole sono utili per conoscere la sapienza e la disciplina, per comprendere le parole della prudenza, per ricevere l’istruzione della dottrina, la giustizia e l’equità affinché sia donato a tutti i piccoli il discernimento e ai giovani la scienza e l’intelligenza. Il savio ascoltando diventerà più savio e l’intelligente possederà i mezzi per governare! (7° Nott.). Salomone non era che la figura di Cristo, che è la Sapienza incarnata come leggiamo nel Vangelo di questo giorno: « Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete, poiché io ve lo dico, molti profeti e re hanno voluto vedere quello che voi vedete e non hanno potuto; e ascoltare quello che voi ascoltate e non hanno inteso ». « Beati, dice S. Beda, gli occhi che possono conoscere i misteri del Signore, dei quali è detto: « Voi li avete rivelati ai piccoli ». Beati gli occhi di questi piccoli, ai quali il Figlio degnò rivelarsi e rivelare il Padre. Ed ecco un dottore della legge che ha pensato di tentare il Signore e l’interroga sulla vita eterna (Vang.). Ma il tranello che tende a Gesù Cristo mostra come era vero quello che il Signore aveva detto rivolgendosi al Padre: « Tu hai nascoste queste cose ai saggi e ai prudenti e le hai rivelate ai piccoli» (2° Nott.). — « Figlio mio, dice Salomone, il timor di Dio è il principio della sapienza. Se i peccatori vogliono attirarti non acconsentir loro. Se essi dicono: Vieni con noi, tendiamo agguati all’innocente, inghiottiamolo vivo e intero com’è inghiottito il morto che scende nella tomba; noi troveremo ogni sorta di beni preziosi, riempiremo le nostre case di bottini; figlio mio, non andare con loro, allontana i tuoi passi dal loro sentiero. Poiché i loro passi sono rivolti al male ed essi si affrettano per versar sangue. E s’impadroniscono dell’anima di coloro che soggiogano » (7» Nott.). — Cosi i demoni agirono col primo uomo, poiché quando Adamo cadde nel peccato, lo spogliarono di tutti i suoi beni e lo coprirono di ferite. Il peccato originale, infatti, priva l’uomo di tutti i doni della grazia e lo colpisce nella sua stessa natura. La tua intelligenza è meno viva e la sua volontà meno ferma, poiché la concupiscenza che regna nelle sue membra lo porta al male. Per fargli comprendere la sua impotenza — poiché, dice S. Paolo, la nostra attitudine a intendere viene da Dio (Ep.) — Jahvé stabilì la legge mosaica che gli dava precetti senza dargli la forza di compierli, ossia senza la grazia divina. Allora, l’uomo comprendendo che gli bisognava l’aiuto di Dio per essere guarito, per volere il bene, per realizzarlo e per perseverare in esso fino alla fine, rivolse il suo sguardo al cielo: « O Dio, gridò, e non deve giammai cessare di gridare: O Dio, vieni in mio aiuto; Signore, affrettati a soccorrermi! Siano confusi coloro che cercano l’anima mia » (Intr.). — « Signore, Dio della mia salute, io ho gridato verso di te tutto il giorno e la notte » (All.). E Dio allora risolse di venire in aiuto dell’uomo e poiché i sacerdoti ed i leviti dell’antica legge non avevano potuto cooperare con lui, mandò Gesù Cristo, che si fece, secondo il pensiero di S. Gregorio, il prossimo dell’uomo, rivestendosi della nostra umanità per guarirla (3° Nott.). Queste è quanto ci dicono l’Epistola e il Vangelo. La legge del Sinai, scolpita in lettere su pietre, spiega S. Paolo, fu un ministero di morte perché, l’abbiamo già visto, non dava la forza di compiere ciò che comandava. Cosi l’Offertorio ci mostra come Mose dovette Intervenire presso Dio per calmare la sua ira provocata dai peccati del suo popolo. La Legge della grazia è Invece un ministero di giustificazione, perché lo Spirito Santo che fu mandato alla Chiesa nel giorno della Pentecoste, giorno in cui la vecchia legge fu abrogata, dava la forza di osservare i precetti del decalogo e quelli della Chiesa. Cosi S. Paolo dice: « La lettera uccide, ma lo Spirito vivifica » (Ep.). E il Vangelo ne fa la dimostrazione nella parabola del buon Samaritano. All’impotente legge mosaica, rappresentata in qualche modo dal sacerdote e dal levita della parabola evangelica, il buon Samaritano che è Gesù, sostituisce una nuova legge estranea all’antica e viene Egli stesso in aiuto dell’uomo. Medico delle nostre anime, versò nelle nostre ferite l’unzione della sua grazia, l’olio dei suoi sacramenti e il vino della sua Eucaristia. Per questo la liturgia canta, in uno stile ricco di immagini, la bontà del Signore, che ha fatto produrre sulla terra il pane che fortifica l’uomo, il vino che rallegra il suo cuore, e l’olio che dona al suo viso un aspetto di gioia (Com.). « Io benedirò, dice il Graduale, il Signore in tutti i tempi: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra ». Noi dobbiamo imitare verso il nostro prossimo quello che Dio ha fatto per noi e quello di cui il Samaritano è l’esempio. « Nessuna cosa è maggiormente prossimo delle membra che il capo, dice S. Beda: amiamo dunque colui che è fratello del Cristo, cioè siamo pronti a rendergli tutti i servizi sia temporali che spirituali dicui potrà aver bisogno » (3° Nott.). Né la legge mosaica, né il Vangelo separano l’amore verso Dio dall’amore di chi dobbiamo ritenere come prossimo: amore soprannaturale nella sua origine, poiché procede dallo Spirito Santo; amore soprannaturale nel soggetto perché è Dio nella persona dei nostri fratelli. Il prossimo di questo uomo ferito non è, come pensavano i Giudei, colui che è legato per vincoli di sangue, ma colui che si china caritatevolmente su di esso per soccorrerlo. L’unione in Cristo, che giunge fino a farci amare quelli che ci odiano e perdonare a quelli che ci hanno fatto del male, perché Dio è in essi, o è chiamato ad essere in essi, è il vero amore del prossimo. Perfezionati dalla grazia, noi dobbiamo imitare il Padre nostro del cielo, che, calmato dalla preghiera di Mosè, figura di Cristo, colmò di beni il popolo che l’aveva offeso (Off., Com.). — Uniti dunque con Cristo, [Questa unità dei Cristiani e del Cristo fa sì che si chiami Gesù il Samaritano, cioè lo straniero, per indicare che i Gentili imiteranno Cristo mentre i Giudei increduli lo disprezzeranno], curviamoci con Lui verso il prossimo che soffre. Questo sarà il miglior modo di diventare, per la misericordia divina, atti a servire Dio onnipotente, degnamente e lodevolmente, e di ottenere che, rialzati dalla grazia, noi corriamo, senza più cadere, verso il cielo promesso (Oraz.) .  «Gesù, dice S. Beda, il Venerabile, mostra in maniera chiarissima che non vi è che un solo amore, il quale deve essere manifestato non solo a parole ma con le buone opere, ed è questo che conduce alla vita eterna ». (3° Nott.).

La gloria dei ministero di Mosè fu assai grande: raggi miracolosi brillavano sul volto del legislatore dell’antica legge, allorché discese dal Sinai. Ma questo ministero era inferiore al ministero evangelico. Il primo era passeggero: il secondo doveva surrogarlo e durare per sempre. Il primo era scritto su tavole di pietra, era il ministero della lettera; il secondo è tutto spirituale, è il ministero dello spirito. Il primo produceva spesso la morte spirituale spingendo alla ribellione con la molteplicità dei suoi precetti difficili ad adempirsi; il secondo è accompagnato dalle grazie dello Spirito d’amore, che gli Apostoli distribuiscono alle anime. L’uno è dunque un ministero che provoca i terribili giudizi di Dio, e l’altro è un ministero che giustifica gli uomini davanti a Dio, perché dona ad essi lo Spirito che vivifica.

« Quest’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico, dice S. Beda, è Adamo che rappresenta il genere umano. Gerusalemme è la città della pace celeste, della beatitudine dalla quale è stato allontanato per il peccato. I ladri sono il demonio e i suoi angeli nelle mani dei quali Adamo è caduto nella sua discesa. Questi lo spogliarono di tutto: gli tolsero la gloria dell’immortalità e la veste dell’innocenza.. Le piaghe che gli fecero, sono i peccati che, intaccando l’integrità dell’umana natura, fecero entrare la morte dalle ferite aperte. Lo lasciarono mezzo morto, perché se lo spogliarono della beatitudine della vita immortale, non riuscirono a togliergli l’uso della ragione colla quale conosceva Dio. Il sacerdote e il levita che, avendo veduto il ferito, passarono oltre, indicano i sacerdoti e i ministri dell’Antico Testamento che potevano solamente, con i decreti della legge, mostrare le ferite del mondo languente, ma non potevano guarirle, perché era loro impossibile – al dire dell’Apostolo – cancellare i peccati col sangue dei buoi e degli agnelli. Il buon Samaritano, parola che significa guardiano, e lo stesso Signore. Fatto uomo, s’è avvicinato a noi con la grande compassione che ci ha mostrata. L’albergo è la Chiesa ove Gesù stesso conduce l’uomo, ponendolo sulla cavalcatura perché nessuno, se non è battezzato, unito al corpo di Cristo, e portato come la pecora sperduta sulle spalle del buon Pastore, può far parte della Chiesa. I due danari sono i due Testamenti sui quali sono impressi il nome e l’effigie del Re eterno. La fine della legge è Cristo. Questi due denari furono dati all’albergatore il giorno dopo, perché Gesù il giorno seguente la sua risurrezione aprì gli occhi dell’intelligenza ai discepoli di Emmaus e ai suoi Apostoli perché comprendessero le sante Scritture. Il giorno seguente, infatti, l’albergatore, ricevette i due danari, come compenso delle sue cure verso il ferito perché lo Spirito Santo, venendo su la Chiesa, insegnò agli Apostoli tutte le verità perché potessero istruire le nazioni e predicare il Vangelo » (Omelia del giorno).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

LXIX: 2-3
Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam.

[O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]

Ps LXIX: 4

Avertántur retrórsum et erubéscant: qui cógitant mihi mala.

[Vadano delusi e scornati coloro che tramano contro di me.]

Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam.

[O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens et miséricors Deus, de cujus múnere venit, ut tibi a fidélibus tuis digne et laudabíliter serviátur: tríbue, quǽsumus, nobis; ut ad promissiónes tuas sine offensióne currámus.

[Onnipotente e misericordioso Iddio, poiché dalla tua grazia proviene che i tuoi fedeli Ti servano degnamente e lodevolmente, concedici, Te ne preghiamo, di correre, senza ostacoli, verso i beni da Te promessi.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios. 2 Cor III: 4-9.

“Fratres: Fidúciam talem habémus per Christum ad Deum: non quod sufficiéntes simus cogitáre áliquid a nobis, quasi ex nobis: sed sufficiéntia nostra ex Deo est: qui et idóneos nos fecit minístros novi testaménti: non líttera, sed spíritu: líttera enim occídit, spíritus autem vivíficat. Quod si ministrátio mortis, lítteris deformáta in lapídibus, fuit in glória; ita ut non possent inténdere fili Israël in fáciem Moysi, propter glóriam vultus ejus, quæ evacuátur: quómodo non magis ministrátio Spíritus erit in glória? Nam si ministrátio damnátionis glória est multo magis abúndat ministérium justítiæ in glória.

[“Fratelli: Tanta fiducia in Dio noi l’abbiamo per Cristo. Non che siamo capaci da noi a pensar qualche cosa, come se venisse da noi; ma la nostra capacità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei a essere ministri della nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito; perché la lettera uccide ma lo spirito dà vita. Ora, se il ministero della morte, scolpito in lettere su pietre, è stato circonfuso di gloria in modo che i figli d’Israele non potevano fissare lo sguardo in faccia a Mosè, tanto era lo splendore passeggero del suo volto; quanto più non sarà circonfuso di gloria il ministero dello Spirito? Invero, se è glorioso il ministero di condanna, molto più è superiore in gloria il ministero di giustizia”].

OMELIA I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia 1921)

Il SACERDOZIO

La severa lettera di San Paolo a quei di Corinto aveva prodotto un salutare effetto. Quella comunità aveva preso ora un andamento più consolante; e, sebbene gli sconvenienti non fossero tutti scomparsi, c’era fondata speranza che l’ulteriore azione di S. Paolo riuscisse al compimento dell’opera incominciata. Non dormivano, è naturale i suoi nemici; anzi lo combattevano più aspramente di prima. Cercavano soprattutto di metterlo in discredito negandogli la dignità e l’autorità di Apostolo e criticando il suo modo di operare. Era in gioco la missione di Apostolo, affidata da Dio a Paolo, e questi crede suo dovere di difendersi dai falsi apostoli, perché non riuscissero a trar dalla loro parte i fedeli, specialmente i neofiti. Ed ecco che dalla Macedonia, pochi mesi dopo la prima, invia a Corinto una seconda lettera, in cui rivendica la sua autorità di Apostolo, e ribatte le calunnie dei suoi avversari. L’epistola di quest’oggi è un passo della lettera dove San Paolo difende il suo ministero. Se egli si presenta come predicatore della fede non lo fa per vana gloria, ben riconoscendo la sua insufficienza. Tutto il suo vanto lo ripone in Dio, per la cui grazia, datagli per mezzo di Gesù Cristo, egli compie il suo ministero tra loro. Dio ha scelto lui e i suoi compagni a essere ministri idonei del nuovo Testamento, in cui non regna più la lettera che uccide come nell’antico, ma lo spirito che dà la vita della grazia. È un ministero superiore all’antico per la gloria di cui è circonfuso. Il ministero della legge che uccide — non dando la forza di praticare ciò che prescrive — fu circondato di gloria, come si vide sul volto di Mosè, che portava questa legge scolpita in tavole di pietra. Questa gloria dev’esser sorpassata da quella che circonda il ministero dello spirito che vivifica. La gloria del ministero che vivifica è, senza confronto, superiore alla gloria del ministero di condanna. Il contenuto dell’Epistola di quest’oggi ci porta a parlare del Sacerdote Cattolico, il quale:

1. È banditore d’una dottrina sublime,

2. È dispensatore dei divini misteri,

3. Merita il nostro rispetto e le nostre premure.

1.

La nostra capacità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei a esser ministri della nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito. L’Apostolo compie il suo ministero per la grazia di Dio. Egli, che lo ha scelto a suo ministro, lo ha reso idoneo a predicare la dottrina del Vangelo, nel quale regna lo spirito, e non più la lettera come nell’antico testamento. Come San Paolo, ogni Sacerdote è scelto da Dio, che lo rende idoneo a predicare la dottrina del Vangelo. Con la dottrina del Vangelo il sacerdote si fa guida agli uomini in questo terreno pellegrinaggio. Satana, il padre della menzogna, fa deviare dal retto sentiero i nostri progenitori nel paradiso terrestre. Fa deviare, dopo di essi, continuamente, i loro discendenti. Ha, in questo, ai suoi ordini una schiera di alleati. Insegnanti, conferenziere, settari, gaudenti, beffardi, libri, riviste, giornali, direttamente o indirettamente, tolgono di vista all’uomo la meta, cui deve arrivare. E l’uomo comincia ad essere indeciso; smarrisce il sentiero e, smarritolo, non ha più la volontà di rifare la via da capo. Il Sacerdote è posto da Dio a illuminare la via che l’uomo deve percorrere. Egli addita i pericoli da schivare, indica la via sicura, e la rischiara con gli insegnamenti di Colui che proclamò:« Io sono la via » (Giov. XIV, 6.). Ismaele va errando nel deserto di Betsabea, tormentato dalla sete. Questa è ormai divenuta insostenibile, e la madre per non vedere il figlio morire, lo abbandona sotto un arbusto. Dio ascolta il grido di Agar e di Ismaele, e manda il suo Angelo a mostrare il pozzo d’acqua ristoratrice (Gen. XXI, 14 segg.). Il Sacerdote è l’Angelo che al viandante diretto alla patria celeste, ormai privo del primo fervore, annoiato dalla lunghezza del cammino, stanco per la sua asprezza, indeciso a continuarlo, solleva lo spirito e infonde nuova forza e coraggio, facendogli porre la fiducia in Colui che dice: «Non si turbi il vostro cuore. Abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me» (Giov. XIV, 1). – La parola del Sacerdote è l’unica che sappia veramente appagare il cuore e l’intelligenza dell’uomo. La sua dottrina «non è cosa umana» (Gal. I, 4) Perciò avvince tutte le intelligenze, fa superar tutte le difficoltà. Le scoperte, il progresso, le migliorate condizioni sociali non possono togliere nulla alla efficacia e alla bellezza della dottrina del Vangelo. La parola di Dio non può scolorire davanti alla parola degli uomini. È una dottrina che non invecchierà Mai, che non avrà mai bisogno d’essere sfrondata o corretta.

2.

L’Apostolo, facendo il confronto tra l’antica alleanza, che si fondava sulla lettera, cioè sulla legge scritta, e la nuova alleanza, che è opera dello Spirito Santo, osserva: la lettera uccide, ma lo spinto dà vita. La lettera, ossia la legge scritta uccide, perché non dando la grazia necessaria a compiere ciò che è comandato e ad evitare ciò che è proibito, era, indirettamente, occasione di peccato, e quindi di morte eterna. Lo spirito dà vita, perché nella nuova legge, lo Spirito Santo dà la grazia, con cui l’uomo può osservare ciò che esternamente viene comandato o proibito. E il Sacerdote, in questa nuova legge, è fatto da Dio l’idoneo dispensatore della grazia. –

3.

L’uomo nasce figlio di questa valle di lagrime, spoglio d’ogni bene soprannaturale. Il Sacerdote versa sul suo capo l’acqua battesimale, ed egli rinasce figlio del cielo, adorno dei beni della grazia. Per il ministero del Sacerdote gli è aperta la porta al regno di Gesù Cristo, la Chiesa, e acquista il diritto a ricevere gli altri Sacramenti con l’abbondanza delle grazie, che li accompagnano. – Ogni uomo è destinato preda alla morte. Chi nasce muore. Quando arriva questo giorno, l’uomo si trova ancora di fianco il Sacerdote. «E’ infermo alcuno tra voi? — è scritto nel Nuovo Testamento — chiami i Sacerdoti della Chiesa e facciano orazione su lui, ungendolo con l’olio nel nome del Signore» (Giac. V, 19). Così si pratica nella Chiesa Cattolica. Presso il morente accorre il Sacerdote, che gli amministra il Sacramento dell’olio Santo, il quale con la sua grazia porta sollievo spirituale e corporale ai Cristiani gravemente infermi. L’uomo ha pur sempre bisogno dei soccorsi della grazia durante la sua vita. La grazia santificante, che ci viene infusa nel Battesimo, generalmente non rimane a lungo. Al primo svegliarsi delle passioni si perde facilmente. E con la perdita della grazia santificante è perduto anche il diritto alla eredità celeste. L’uomo che ha perduto la grazia santificante è un povero figlio diseredato, che ha bisogno di essere riconciliato con il Padre. Anche questa volta è il Sacerdote che avvicina il figlio al Padre. Egli, pronunciando nel tribunale di penitenza le parole dell’assoluzione, apre al figlio pentito la casa del Padre, lo rimette nelle sue grazie, e gli riacquista i diritti perduti. Ma chi aveva strappato il figlio dalla casa del padre, non si dà pace ora che ve lo vede riammesso. È questa per lui una sconfitta insopportabile, che lo spinge alla rivincita. Occorrono forze raddoppiate per resistere ai suoi assalti. Il Sacerdote procurerà queste forze, somministrandogli un pane che è la fonte delle grazie. Nelle vicinanze di Betsaida Gesù Cristo, mosso a compassione delle turbe che da tre giorni l’avevano seguito, pensa a ristorarle, perché nel ritorno alle loro case, sfinite di forze, non abbiano a venir meno per via. Moltiplicati dei pani che gli furono presentati, « li diede ai suoi discepoli, perché li ponessero davanti alle turbe ». (Marc. VIII, 6). Nell’ultima cena dà incarico ai discepoli di distribuire con le loro mani ai fedeli il Pane eucaristico, perché possano fortificarsi nel combattimento spirituale, e non venir meno sotto gli assalti del demonio, del mondo, della carne. Difatti, « mentre mangiavano Gesù prese del pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: — Prendete e mangiate, questo è il mio corpo, (Matt. XXVI, 26) il quale è dato per voi: fate questo in memoria di me » – E i Sacerdoti, seguendo il comando di Gesù Cristo, continuano a rinnovare nella santa Messa la consacrazione eucaristica e a distribuire ai fedeli questo Pane di vita. – Il Beato Giovanni de Brébeuf, martire canadese, si trovava in un villaggio di Uroni, quando all’improvviso giungono gli Irochesi, loro terribili nemici. I capitani presenti fanno uscire dal villaggio le donne e i fanciulli, e pregano il Beato e il suo compagno, padre Gabriele Lalemant a seguire i fuggiaschi. «La vostra presenza — dicono essi — non ci può esser di servizio alcuno. Voi non sapete maneggiare né l’accetta né il fucile». — «C’è qualcosa ch’è più necessaria delle armi, — risponde il de Brébeuf — e sono i Sacramenti che noi soli possiamo amministrare. Il nostro posto è in mezzo a voi». E rimasero infatti ad amministrare i Sacramenti, ricevendo in premio la corona del martirio (Nicola Risi, Gli otto Martiri Canadesi della Compagnia di Gesù. Torino, 1926. p. 63-64). Nessuno può dispensare ai fedeli i tesori spirituali che dispensa il sacerdote. S. Paolo esalta tutta l’importanza del ministero sacerdotale con una semplice frase, chiamandolo ministero circonfuso di gloria. È, dunque, un ministero che merita tutto il nostro rispetto e il nostro interessamento. Ma questo contegno non è, pur troppo, il contegno della maggior parte. Per alcuni il Sacerdote non esiste che per esser bersaglio alle critiche, alle calunnie, alle persecuzioni. I preti, secondo essi, sono la cagione di tutti i malanni che succedono, o che potrebbero succedere. Ci sono i settari, i nemici della Religione, che combattono il Sacerdote per i loro fini. In battaglia si cerca di colpire specialmente gli ufficiali. Tolti di mezzo questi, i battaglioni si disgregano. I nemici della Religione Cattolica cercano di colpire specialmente i Sacerdoti per scristianizzare il popolo. – Altri si interessano del Sacerdote e lo stimano finché fa comodo. Diventa loro insopportabile quando, costretto dal proprio dovere, dà qualche ammonimento o fa qualche osservazione. «Chi vien biasimato o ripreso — nota in proposito il Grisostomo — chiunque egli sia, tralasciando affatto di essere riconoscente, diventa nemico » (In 1 Epist. ad Thess. Hom. 10, 1). E il Cristiano che viene avvisato, ammonito, ripreso dal Sacerdote gli diventa nemico. – Per altri il Sacerdote non esiste. Non gli si fanno critiche, ma neppure si pensa a lui. Lo si lascia stare. È considerato come uno che compie una funzione sociale qualsiasi, e niente di più. Questo non è un tributare l’onore, il rispetto, che s’addicono alla dignità dei ministri del nuovo Testamento. I Sacerdoti siano uomini; avranno anch’essi i loro difetti. Noi dobbiamo, però, considerare la loro dignità e non voler scrutare le loro azioni. «Non mi accada mai — scrive S. Gerolamo — che io dica qualcosa di sfavorevole rispetto a coloro, che, succeduti alla dignità apostolica, con la bocca consacrata ci danno il Corpo di Cristo, e per mezzo dei quali noi siamo Cristiani; e i quali, avendo le chiavi del regno celeste, in certo qual modo giudicano prima del giudizio» (Epist. 14, 8 ad Heliod.). – La nostra deferenza verso i Sacerdoti dobbiamo dimostrala, pure, nell’ascoltar volentieri la parola del Vangelo, da essi predicata, nel mostrarci docili alle loro cure. « Poiché — nota S. Cipriano — le eresie e gli scismi non trassero origine da altro, che dalla disubbidienza al Sacerdote di Dio» (Epist. 13, 5). – Se per mezzo del Sacerdote riceviamo i Sacramenti, partecipiamo ai divini misteri, usufruiamo delle celesti benedizioni, non possiamo disinteressarci di lui. Non basta il rispetto, la docilità alla sua parola. La riconoscenza deve spingerci a pregare per lui. La Chiesa ha stabilito giorni particolari di preghiere e di penitenza pei sacerdoti: le quattro tempora. Il Cristiano, però, non deve limitarsi a pregare pei Sacerdoti che salgono l’altare la prima volta. Deve pregare per i novelli Sacerdoti, deve pregare per quelli che sono incanutiti nel ministero, e deve pregare pei Sacerdoti futuri. Lo comanda Gesù: « La messe è veramente copiosa, ma gli operai sono pochi. Pregate il padrone della messe che mandi gli operai a lavorare nel suo campo (Matt. IX, 37-38). E che gli operai oggi siano pochi lo constatiamo tutti. Concorriamo adunque con la preghiera, e anche con quel contributo materiale che ci è possibile, a mandar nuovi operai nella vigna del Signore. Favorendo le vocazioni al Sacerdozio, faremo opera graditissima a Gesù perché concorreremo a procurargli dei collaboratori; faremo opera di carità squisita al prossimo, concorrendo a procurargli una guida spirituale; faremo il nostro migliore vantaggio perché ci faremo partecipi, in qualche modo, dei meriti che si acquista il Sacerdote nel salvar le anime.

Graduale

Ps XXXIII: 2-3.

Benedícam Dóminum in omni témpore: semper laus ejus in ore meo.

[Benedirò il Signore in ogni tempo: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra.]

V. In Dómino laudábitur ánima mea: áudiant mansuéti, et læténtur.

[La mia anima sarà esaltata nel Signore: lo ascoltino i mansueti e siano rallegrati.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps LXXXVII: 2

Dómine, Deus salútis meæ, in die clamávi et nocte coram te. Allelúja.

[O Signore Iddio, mia salvezza: ho gridato a Te giorno e notte. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Lucam.

Luc. X: 23-37

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Beáti óculi, qui vident quæ vos videtis. Dico enim vobis, quod multi prophétæ et reges voluérunt vidére quæ vos videtis, et non vidérunt: et audire quæ audítis, et non audiérunt. Et ecce, quidam legisperítus surréxit, tentans illum, et dicens: Magister, quid faciéndo vitam ætérnam possidébo? At ille dixit ad eum: In lege quid scriptum est? quómodo legis? Ille respóndens, dixit: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo, et ex tota ánima tua, et ex ómnibus víribus tuis; et ex omni mente tua: et próximum tuum sicut teípsum. Dixítque illi: Recte respondísti: hoc fac, et vives. Ille autem volens justificáre seípsum, dixit ad Jesum: Et quis est meus próximus? Suscípiens autem Jesus, dixit: Homo quidam descendébat ab Jerúsalem in Jéricho, et íncidit in latrónes, qui étiam despoliavérunt eum: et plagis impósitis abiérunt, semivívo relícto. Accidit autem, ut sacerdos quidam descénderet eádem via: et viso illo præterívit. Simíliter et levíta, cum esset secus locum et vidéret eum, pertránsiit. Samaritánus autem quidam iter fáciens, venit secus eum: et videns eum, misericórdia motus est. Et apprópians, alligávit vulnera ejus, infúndens óleum et vinum: et impónens illum in juméntum suum, duxit in stábulum, et curam ejus egit. Et áltera die prótulit duos denários et dedit stabulário, et ait: Curam illíus habe: et quodcúmque supererogáveris, ego cum redíero, reddam tibi. Quis horum trium vidétur tibi próximus fuísse illi, qui íncidit in latrónes? At ille dixit: Qui fecit misericórdiam in illum. Et ait illi Jesus: Vade, et tu fac simíliter.”

[“In quel tempo Gesù disse a’ suoi discepoli: Beati gli occhi che veggono quello che voi vedete. Imperocché vi dico, che molti profeti e regi bramarono di vedere quello che voi vedete, e no videro; e udire quello che voi udite, e non l’udirono. Allora alzatosi un certo dottor di legge per tentarlo, gli disse: Maestro, che debbo io fare per possedere la vita eterna? Ma Egli disse a lui: Che è quello che sta scritto nella legge? come leggi tu? Quegli rispose, e disse: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuor tuo, e con tutta l’anima tua, e con tutte le tue forze, o con tutto il tuo spirito; e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù gli disse: Bene hai risposto: fa questo e vivrai. Ma quegli volendo giustificare se stesso, disse a Gesù: E chi è mio prossimo? E Gesù prese la parola, e disse: Un uomo andava da Gerusalemme a Gerico, e diede negli assassini, i quali ancor lo spogliarono; e avendogli date delle ferite, se n’andarono, lasciandolo mezzo morto. Or avvenne che passò per la stessa strada un sacerdote, il quale vedutolo passò oltre. Similmente anche un levita, arrivato vicino a quel luogo, e veduto colui, tirò innanzi: ma un Samaritano, che faceva suo viaggio, giunse presso lui; e vedutolo, si mosse a compassione. E se gli accostò, e fasciò le ferite di lui, spargendovi sopra olio e vino; e messolo sul suo giumento, lo condusse all’albergo, ed ebbe cura di esso. E il dì seguente tirò fuori due danari, e li diede all’ostiere, e dissegli: Abbi cura di lui: e tutto quello che spenderai di più te lo restituirò al mio ritorno. Chi di questi tre ti pare egli essere stato prossimo per colui che diede negli assassini? E quegli rispose: Colui che usò ad esso misericordia. E Gesù gli disse: Va’, fa’ anche tu allo stesso modo.”]

OMELIA II

Sopra l’amor del prossimo.

“Diliges proximum tuum sicut te ipsum”. Luc. X

Che convien fare per possedere la vita eterna, chiedeva un giorno un dottor della legge al Salvatore del mondo? Cui Gesù Cristo rispose: ch’è scritto e che leggete nella legge? Voi amerete il Signore vostro Dio, ripigliò il dottore, con tutto il vostro cuore, con tutta la vostr’anima, con tutte le vostre forze, con tutto i1 vostro spirito, ed il vostro prossimo come voi medesimo: Diliges, etc. Voi avete risposto benissimo, soggiunse Gesù Cristo; fate questo e vivrete. Ma il dottore, volendo farsi stimare per uomo dabbene, domandò a Gesù Cristo chi fosse il suo prossimo. Il Salvatore, per istruirlo, gliene fece il ritratto in questa parabola. Un uomo disse, che scendeva da Gerusalemme a Gerico, cadde nelle mani degli assassini, che lo spogliarono, e, caricatolo di colpi, lo lasciarono mezzo morto. Alcuni passeggeri videro l’infelice in quel pessimo stato senza dare il minimo segno di compassione; ma un Samaritano, che faceva viaggio, avendolo veduto, venne a lui: mosso da compassione per quell’uomo, gli benda le piaghe, dopo avervi versato dell’olio e del vino, lo conduce ad un’osteria e prende cura di lui; il giorno dopo dà due monete all’oste e gli raccomanda quello sgraziato sino alla sua intera guarigione, promettendo di rendergli al suo ritorno tutto ciò che avrebbe speso di più. Quale, disse Gesù Cristo, è stato il prossimo di quell’uomo? Egli è, rispose il dottore, colui che l’ha con carità assistito. E Gesù Cristo: Andate, gli disse, e fate lo stesso: Vade, et tu fac similiter. Ecco, fratelli miei, il modello che Gesù Cristo ha voluto proporci, come a quel dottore, per apprendere la carità, che dobbiamo avere per il prossimo. Tale è il modo con cui dobbiamo adempiere questo gran precetto, che ci comanda di amare il nostro prossimo come noi medesimi, cioè di fargli tutto il bene che vorremmo fosse fatto a noi medesimi. Diliges proximum tuum sicut te ipsum. Ma ohimè! quanto questo precetto è al giorno d’oggi mal osservato tra noi! Questo bel fuoco, che Gesù Cristo è venuto ad accendere sulla terra, è quasi interamente estinto dagli odi, dalle vendette, dai disordini che regnare si vedono nelle famiglie, nelle città, nelle Provincie e nei regni. Perché non poss’io, fratelli miei, riaccendere in questo giorno nei vostri cuori questo bel fuoco, che fa il carattere dei discepoli di Gesù Cristo? Si è per questo fine, che io voglio farvi vedere l’obbligazione ed il modo di adempierlo. Voi l’amerete come voi medesimi: sicut te ipsum; eccone la regola, ed il mio secondo punto.

I . Punto. Non solamente nella legge di grazia è stato detto: voi amerete il vostro. prossimo: Diliges proxcimum: questa legge è sì antica, quanto il mondo; essa ha cominciato prima di lui; Dio ne impresse il carattere nel cuore dei nostri primi genitori per trasmetterla alla loro posterità. A misura che gli uomini si moltiplicarono, essa ricevette maggior estensione; e fu per perpetuarla che il Signore volle ancora scolpirla sopra tavole di pietra che diede a Mosè per pubblicarla al suo popolo.  Ma siccome questa legge non aveva ancora la sua perfezione, ed era anche di già cancellata nel cuore della maggior parte degli uomini, Gesù Cristo, che era venuto per compire ciò che le marcava, la rinnovò per via del suo divino Spirito, e le diede l’ultima perfezione. Ed è per questo, che la mette nel numero delle prime massime del suo Vangelo, che la chiama suo comandamento speciale: Hoc est præceptum meum,ut diligatis invicem (Jo. XV). Si è un comandamento nuovo, che io vi do: Mandatum novum; Egli vuole che si osservi in una maniera affatto nuova e con maggior perfezione che nell’antica legge, cioè che gli uomini si amino gli uni cogli altri , come Gesù Cristo li ha amati, che amino anche i loro più crudeli nemici: Mandatum novum do vobis, ut diligatis invicem, sicut dilexi vos (Jo. XIII).Tali sono, fratelli miei, le parole della legge che comanda l’amor del prossimo; legge formale e precisa che non soffre verun equivoco; legge indispensabile, contro cui non si può recare alcuna scusa per esentarsene; legge la più giusta e la più ragionevole, che appoggiata sopra i più sodi fondamenti, voglio dire sopra i rapporti, che  uomini hanno con Dio, e sopra quelli, che hanno tra essi. Noi dobbiamo amare il nostro prossimo; e perché? Perché egli è l’opera e l’immagine di Dio, perché egli è stato riscattato col sangue di un Dio: ecco i rapporti ch’egli ha con Dio. Noi dobbiamo amare  nostro prossimo: e perché? In qualità di uomini noi siamo tutti fratelli, e più ancora in qualità di Cristiani: ecco i rapporti, ch’egli ha con noi medesimi. – L’uomo è l’opera e l’immagine di Dio, del che non possiamo noi dubitare. Allorché Dio stabilì di trarlo dal nulla, facciamo – disse – l’uomo a nostra immagine e somiglianza: Faciamus hominem ad imaginem, et similitudinem nostram (Gen. 1). Egli ne formò il corpo d’un po’ di terra, che animò con un soffio di vita d’una sostanza spirituale, che rappresenta nella sua essenza la Divinità medesima, che l’imita nelle sue operazioni, e che essendo immortale partecipa della sua eternità. Questo uomo formato ad immagine di Dio, è ancora il prezzo del sangue d’un Dio, egli è stato redento e salvato con la morte d’un Dio-uomo, ed in questa qualità egli è figliuolo adottivo di Dio, erede del suo regno, l’oggetto del suo amore e della sua vigilanza veramente paterna. Qual forti motivi di amar questo prossimo! Negargli amore non sarebbe egli negarlo a Dio medesimo, che l’ha creato e redento? Mentre se voi non amate il vostro prossimo che vedete, come amerete Dio che non vedete? dice S. Giovanni. Se voi non amate il vostro prossimo, come potete voi dire che amate Dio? Poiché voi trasgredite uno dei primi comandamenti, e si è dall’osservanza de’ suoi comandamenti che Egli conosce coloro che l’amano e se siamo colpevoli di prevaricazione contro tutti i punti della legge, trasgredendone un solo, come dice s. Giacomo, che sarà trasgredirli, per cosi dire, tutti, non osservando il precetto della carità, che è la pienezza della legge? Non evvi dunque salute alcuna a sperare per coloro che non amano il loro prossimo. Invano, fratelli miei, parlereste il linguaggio degli Angeli; invano avreste una fede sì viva da trasferire i monti, come dice S. Paolo; invano passereste tutti i vostri giorni in orazione; invano abbandonereste il vostro corpo a tutti i rigori del digiuno e della mortificazione: se voi non avete la carità, soggiunge lo stesso Apostolo, tutto questo a nulla vi serve: Si charitatem non habuero , nihil mini prodest (1. Cor. XIII). Bisogna praticarla prima d’ogni altra virtù, dice il principe degli Apostoli: Ante omnia in vobis metipsis mutuam charitatem habentes (2 Pet. IV). Ne conta già, che quell’uomo, quella donna che non amate non meriti il vostro amore, che sia un genio bizzarro con cui non si può vivere, che quell’uomo che la legge vi prescrive di amare come voi medesimo sia soggetto a difetti che lo rendono indegno di vostr’amicizia; ch’egli sia indegno di entrare in alcuna società; che vi abbia anche insultato, oltraggiato, e che abbia sempre mal animo contro di voi. Io voglio credere che quella persona con la sua condotta meriti piuttosto il vostro sdegno che la vostra amicizia: che sia anche soggetta a difetti che la rendono oggetto del dispregio e dell’orrore del genere umano: ma quella persona è l’immagine di Dio, ella è il prezzo del suo sangue; ecco ciò che dovete risguardare in essa. Non sono i suoi vizi, i suoi difetti, i suoi disordini, che Dio vi comanda di amare, non è la sua condotta che vi chiede di approvare; si è la sua somiglianza, si è voi medesimo che convien considerare; chiudete gli occhi su tutto il restante: vi basti di sapere che Dio è rappresentato da quell’uomo che vi dispiace, che vi ha pur anche offeso, per non far conto di qualunque altra ragione, perché si è Dio che dovete amare in quell’uomo, e quell’uomo per Dio: diliges proximum. Che l’immagine del re sia scolpita sul piombo o sull’oro, ella è sempre rispettabile; che l’immagine di Dio sia in un uomo vizioso o virtuoso, ella è sempre in questa qualità degna dei vostri rispetti e del vostro amore. Riguardate questa immagine, o piuttosto riguardate Dio, e gli renderete ciò che domanda da voi; riguardate altresì ciò che il prossimo è a voi medesimi, e vi troverete un altro fondamento della carità che dobbiamo avere gli uni per gli altri. – Si può considerare l’uomo o per quel che è in sé stesso, o per quel che è in qualità di Cristiano. Sotto queste due qualità gli uomini hanno dei rapporti, dei legami gli uni cogli altri che debbono serrare i nodi d’una stretta carità. Ogni uomo è prossimo ad un altro uomo, dice s. Agostino; come uomini, noi siamo tutti usciti dalla medesima origine, abbiamo tutti il medesimo Padre. Affinché non abbiamo tutti che un medesimo cuore , dice il Crisostomo, noi siamo tutti composti della medesima natura, d’un corpo e d’un’anima somiglianti. noi abitiamo la medesima terra, noi siamo alimentati con i medesimi beni che essa produce. Non crediate dunque – dice s. Agostino – perché siete ricchi, ed il vostro prossimo è povero, di essere dispensati dall’amarlo. Perché voi siete ricchi, non avete bisogno di lui, io ne convengo; ma quel povero, quell’indigente, è uomo come voi, egli è vostro simile, non dipendeva che da Dio di arricchirlo, d’innalzarlo come voi, e forse meritato più l’ha egli che voi. Che cosa avete voi fatto a Dio di più di lui per avere dei beni ch’egli non ha? Dio non poteva forse ridurvi nel medesimo stato in cui egli è? Riguardate dunque voi medesimi in quell’uomo, che avete dispregiato, aggiunge s. Agostino: attende te ipsum. Egli è vostro fratello, egli è un altro a voi medesimo, e in questa qualità egli è degno del vostro amore; ma quanto non merita ancora in qualità di Cristiano! – Infatti noi siamo tutti fratelli di Gesù Cristo, ed il legame, che il Cristianesimo produce tra gli uomini è ancora più forte di quello dell’umanità. Come Cristiani, noi siamo tutti rigenerati con lo stesso Battesimo, noi abbiamo tutti lo stesso padre, che è Dio, la stessa madre, ch’è la Chiesa, lo stesso cibo, che sono i Sacramenti, la stessa eredità, che è il cielo; noi siamo i membri d’un medesimo corpo, di cui Gesù Cristo è il capo. Poveri e ricchi, grandi e piccoli, nobili e plebei, re e sudditi sapienti ed ignoranti, tutti appartengono al Corpo mistico di Gesù Cristo; tutti per conseguenza debbono esser uniti coi legami di una stessa carità. Mirate l’unione e la corrispondenza che sono tra le membra del corpo umano. Questo è il paragone di cui servesi il grande Apostolo. Vos estis corpus Christi, et membra de membro (1a Cor. XII). Tutti i suoi membri s’interessano l’uno per l’altro, il dolore dell’uno si comunica a tutti gli altri, e non si tosto è guarito, che ne risentono anch’essi alleviamento. Gli occhi conducono i piedi, le mani difendono il capo; nella distribuzione che si fa degli alimenti, ogni membro conserva solo ciò che gli è necessario, e lascia il restante pel nutrimento degli altri. Se qualcheduno di essi è incomodato o debole, gli altri lo soccorrono e lo sostengono; se il piede cammina su d’una spina e ne sia ferito, quantunque elevati sieno gli occhi, essi si abbassano per cercarla, la mano si mette in istato di cavarla; tutti i membri, in una parola, hanno una tal unione gli uni cogli altri, che i beni e i mali loro sono comuni a tutti. – Tali sono gli effetti che la carità deve produrre tra i Cristiani, che sono i membri d’un medesimo corpo. Tutti questi membri debbono essere talmente uniti insieme, che si rendano reciprocamente tutti gli aiuti di cui hanno bisogno, di modo che gli uni facciano la funzione degli occhi, gli altri quella del piede, come la Scrittura dichiara del Santo Giobbe, quando dice, che egli era l’occhio del cielo, il piede dello zoppo Oculus fui cæco, per claudo (Job. XXIX). Quelli che sono al di sopra degli altri per la loro autorità, e che sono come il capo del corpo, debbono scendere nella miseria dei poveri per dare loro soccorso; quelli che sono sani soccorrere gli infermi, i sapienti istruire gli ignoranti, aiutarli col consiglio. E per seguire il paragone di s. Paolo, per rapporto ai membri che sono inferiori agli altri, i piedi del corpo umano, benché molto inferiori al corpo, non portano invidia alcuna; così ì Cristiani che sono nella povertà e nell’abbassamento non debbono invidiare la sorte di coloro che sono più fortunati. Benché un membro sia incurabile, e con i suoi dolori faccia soffrire gli altri, niuno tuttavia si sdegna contro di lui; tutti al contrario lo compatiscono e non sono consentire a separarsi. Così dobbiamo soffrire dagli altri, dai nostri più crudeli nemici, ancora che mettono la nostra pazienza alla prova. Nulla deve estinguere la carità, che deve unir insieme i membri di Gesù Cristo. Chiunque è separato dal suo fratello per inimicizia contro di lui non appartiene a questo Corpo mistico, di cui Gesù Cristo è il capo; egli è un membro guasto, che trovasi in uno stato di morte: Qui non diligit, manet in morte (1 Jo. III); perché egli non ha quello spirito di carità, che è il segno a cui Gesù Cristo ha voluto che si riconoscessero i suoi discepoli: Si quis spirìtum Christi non habet, hic non est eius (Rom. VIII). – Con tutto ciò, fratelli miei, dove si trova questa carità cristiana, che deve tessere il legame dei cuori? Niun si veggono al contrario tra i Cristiani, che inimicizie, che divisioni, che dissapori, che gelosie, che ingiustizie. L’uno cerca di distrugger l’altro con vessazioni o con inganni ed artifici. Questi s’impadronisce ingiustamente d’un bene che non gli appartiene; quegli lacera crudelmente la riputazione del suo fratello: i grandi opprimono i piccoli; i piccoli portano invidia ai grandi; gli uguali non possono soffrirsi; di modo che si può dire, che tra le creature l’uomo non trova alcun più crudele nemico che l’uomo medesimo. Non v’è più fedeltà tra gli amici; non si sa più, dicesi, di chi fidarsi; il commercio degli uomini diventa insopportabile; e non si trova, per cosi dire, tranquillità che nel loro allontanamento; quei medesimi che sono i più prossimi, per i vincoli della carne e del sangue, sono talvolta i più grandi nemici; si trova sovente più di soccorso presso d’uno straniero che presso d’un congiunto. Testimonio quell’uomo dell’odierno Vangelo, che fu abbandonato da’ suoi vicini, e sollevato da un Samaritano, che era straniero alla sua nazione. Spesse volte, dirollo? voi vedrete persone che fanno, professione di pietà, le quali si lasciano trasportare da antipatie, da avversioni contro quelli che hanno la disgrazia di loro dispiacere, che essi non possono mirar di buon occhio, ed a cui danno al più al più alcuni segni esteriori di carità finta, che serve di mantello ad un rancore raffinato, ad una colpevole freddezza; voi le vedete nulladimeno accostarsi ai sacramenti, fare molte buone opere, osservare esattamente certe pratiche di divozione, le quali non essendo animate dallo spirito di carità, non possono essere gradite a Dio né meritar da Lui ricompensa. Oh carità dei primi Cristiani, che li univa sì intimamente che non facevano tutti che un cuore ed un’anima sola, purché non regni tu ancora nello spirito e nel cuore dei Cristiani dei nostri giorni? Possiate, fratelli miei, riaccendere in voi quel bel fuoco che animava il Cristianesimo nascente! Possiamo noi veder rivivere questa carità fraterna, che fa il carattere dei discepoli di Gesù Cristo? Bisogna mostrarvene la pratica: sicut te ipsum.

II. Punto. Allorché Dio ci ha fatto comandamento di amare il nostro prossimo, Egli prevedeva tutti i falsi pretesti, di cui servirebbesi l’amor proprio per eludere la forza di questa legge; Egli proscriveva per conseguenza di già anticipatamente quelle amicizie finte ed apparenti, sterili ed inefficaci, quelle amicizie politiche, le quali finiscono in alcune parole cortesi, in alcune offerte di servigi; amicizia apparente che non è nel cuore, amicizia sterile che è senza effetto. E perciò Dio ci ha comandato di amar il nostro prossimo come noi medesimi: Diliges sicut te ipsum; perché l’amore che abbiamo per noi medesimi è un amor sincero ed efficace. Tal deve essere altresì il nostro amore per il prossimo; deve essere un amor sincero che sia nel cuore, opposto alle amicizie apparenti, le quali non ne hanno che la scorza: deve essere un amor efficace, che si manifesti con le opere, opposto alle amicizie sterili, che sono senza effetto. Ma perché l’amore, che abbiamo per noi medesimi, benché sincero sia ed efficace, non è sempre ben regolato, non è sempre animato da un buon motivo, ed è sovente vizioso, mondano, carnale, interessato, Gesù Cristo ha voluto ancora purificare il nostro amore pel prossimo, proponendoci per modello quel che Egli ha per noi medesimi: Sicut dilexi vos (Jo. III). Laonde, per riassumere tutte le qualità e tutte te regole, che deve avere la carità fraterna, ella deve essere sincera nel suo principio, efficace nelle sue opere, pura nei suoi motivi. Tale fu quella del Samaritano, di cui Gesù Cristo ci propone l’esempio. Sincero. Noi ci amiamo con un amore sincero, e si può dire che in ciò non c’inganniamo; non solamente non ci vogliamo alcun male, ma ci desideriamo ancora tutti i beni, che ci sono necessari, utili e dilettevoli. Osservate dunque, dice s. Agostino, quanto vi amate voi medesimi, per amare nello stesso modo il vostro prossimo: Attende quantum te diligis, sic dilige proximum. Riguardate il vostro prossimo come un altro voi medesimo, per non desiderargli né fargli del male più che a voi medesimi, per desiderargli e fargli tutto il bene che gradireste fatto a voi. Ecco la regola della carità cristiana. Perché  amate voi medesimi, voi non vorreste che altri s’impadronisse ingiustamente dei vostri beni, che denigrasse la vostra riputazione con nere calunnie, che v’insultasse con amari motteggi: perché dunque non vi diportate così a riguardo del vostro prossimo? Perché amate voi medesimi, voi vi desiderate tutto il bene che vi è necessario per preservarvi dai mali della vita; dovete avere i medesimi sentimenti per il vostro prossimo. Non crediate dunque di soddisfare al dovere della carità vivendo in uno stato d’indifferenza a suo riguardo. Il precetto dell’amore domanda il vostro cuore, ricusarglielo si è mancar al precetto. Mirate il Samaritano del Vangelo, che Gesù Cristo vi propone a modello: alla vista di quel povero ferito, che ritrova mezzo morto sulla strada, sente toccarsi il cuore di compassione, misericordia motus; si mette in luogo di quel meschino per rendergli tutti i servigi che la carità gl’inspira. Si è dal cuore, si è da un amor sincero che partono tutti i passi, ch’egli fa per soccorrerlo, misericordia motus. Gran soggetto d’istruzione, fratelli miei, e nello stesso tempo di confusione per quei cuori duri ed insensibili alle miserie del prossimo, i quali sono indifferenti sulle altrui avversità, e si contentano al più di dare alcuni segni esteriori di compassione, ove il cuore non ha alcuna parte! Se voi foste nell’afflizione, oppressi da malattia, da sinistri accidenti, non gradireste voi che gli altri avessero di voi compassione, ed entrassero a parte dei vostri dolori? Invano dunque vi lusingate di amare il vostro prossimo se voi non avete per lui i medesimi sentimenti che vorreste egli avesse per voi medesimi: Diliges etc. – Perché voi vi amate con un amore sincero, volete che si sopportino i vostri difetti, che si abbia dell’indulgenza per voi; e voi sopportate similmente i difetti altrui, abbiate per gli altri la medesima indulgenza, che vorreste si avesse per voi, ed adempirete la legge di Gesù-Cristo: Alter alterius onera portate, et sic adimplebitis legem Christi (Gal. VI). Ecco qui, fratelli miei, un punto notabile per la pratica della carità. Noi abbiamo tutti dei difetti e delle debolezze, che ci espongono ad essere offesi gli uni dagli altri; siamo nulladimeno obbligati a vivere insieme; bisogna dunque, per rendere la società sopportabile, perdonali l’un l’altro, sopportare le nostre debolezze, altrimenti converrebbe rompere ogni commercio cogli uomini; nel che consiste la sapienza ammirabile del nostro Dio, che ci ha comandato di amarci gli uni con gli altri come noi medesimi, perché, amandoci in tal modo, noi vicendevolmente ci perdoniamo. Dio, che comanda a noi di sopportar gli altri, comanda loro di sopportar noi. Se ciascuno adempie al suo dovere, la pace non sarà giammai alterata, come è pur troppo dalle dissensioni, dalle guerre intestine, che desolano le famiglie: quale n’è la cagione? La mancanza di carità a sopportare i difetti del suo prossimo. Quanti ve ne sono che vogliono essere scusati e sopportati in ogni cosa, e nulla sanno sopportar negli altri? Domandano che si abbia dell’indulgenza per essi, mentre trattano gli altri con arroganza, li insultano, li dispregiano a cagione dei loro difetti. Ed è questo forse amar il suo prossimo come se stesso? No, senza dubbio, la carità cristiana segue la stessa regola pel prossimo che per sé. Ma quanto è mai raro ritrovare questa carità che soffre tutto, che perdona tutto, che desidera del bene a tutti! Credono essi di soddisfare al dovere della carità con alcune dimostrazioni di amicizia, che danno al prossimo; ma sotto queste belle apparenze non hanno alcun amore vero e sincero, ne volete la prova? Accada al prossimo qualche sinistro affare, qualche disgrazia, qualche perdita di beni: ne provano un piacere segreto, che hanno cura di nascondere sotto finte proteste di cordoglio che sentono dell’altrui avversità; al contrario si affliggono della sua prosperità, mentre esteriormente sembrano rallegrarsene, prova certissima che non l’amano come se stessi con un amor sincero, perché, per amarlo in tal modo, bisogna entrar a parte delle sue disgrazie e delle sue prosperità, come delle nostre proprie. No, no. fratelli miei, non è già nelle parole che consiste la carità, ma bensì nel cuore; e quando essa è nel cuore, si fa vedere con gli effetti: Non diligamus verbo, sed opere veritate (1. Jo. XIII). – Ma, torno a dire, qual è l’amore, che noi abbiamo per noi medesimi? Non solamente non ci desideriamo del bene, ma usiamo ancora tutti i mezzi di procurarcene e di trovare allievamento nei nostri bisogni. Siamo noi nell’indigenza? Cerchiamo i mezzi di pervenire ad una miglior fortuna. Siamo infermi? ricorriamo ai medici. Siamo nell’afflizione? cerchiamo la consolazione presso di un amico. In una parola, l’amore ingegnoso che abbiamo per noi medesimi, ci fa mettere in uso ogni mezzo per trovare tutto ciò che ci è necessario. Si è in tal modo che un amor sincero ed efficace dee diportarsi verso del suo prossimo. Perciocché contentarsi di semplici desideri senza venirne all’effetto è egli forse, fratelli miei, un adempiere i doveri della carità? Si è imitar quei viandanti, che videro quell’uomo ferito sulla strada di Gerico, e che si contentarono di avere per lui alcuni sentimenti di compassione senza dargli verun soccorso. Perché non imitiamo noi al contrario la condotta del pietoso Samaritano, che, seguendo i movimenti della sua compassione, gli diede tutte le prove d’una carità che previene, senza aspettare che quel povero ferito gli chiedesse aiuto? Egli si accosta a lui, molto diverso da quegli uomini duri, che nulla cotanto temono quanto l’aspetto dei miserabili, e da cui nulla si può ottenere se non a forza d’importunità: egli è premuroso di apportar rimedio ai mali di lui, versa dell’olio e del vino sopra le sue piaghe, lo porta alla vicina osteria, e con generosa carità si obbliga di pagar la spesa, che per quell’uomo farà d’uopo sino alla sua perfetta guarigione. Ecco, dice Gesù Cristo, il modello che dovete seguire: Vade, et tu fac similiter! Per venirne alla pratica fa d’uopo studiare tutti i bisogni del corpo e dell’anima, cui è ridotto il vostro prossimo, per dargli tutti gli aiuti che da noi dipendono. Il vostro fratello è egli nell’indigenza, abbattuto dagli infortuni, dalle miserie dei tempi? Porgetegli una mano pietosa per aiutarlo a rialzarsi col vostro danaro, col vostro credito, con la vostr’opera e con tutti i servigi che dipendono da voi. È egli stimolato dalla fame, divorato dalla sete, mancante di vestimenta? Dategli da mangiare, da bere, e di che vestirsi: prevenite anche i suoi bisogni, senz’aspettare che con sollecitazioni importune egli cavi da voi una limosina, che perde molto pel ritardo o la cattiva grazia con cui vien fatta; prevenitelo ad esempio di Abramo, il quale andava incontro ai pellegrini per indurli ad alloggiare in casa sua. Quell’altro è egli confinato nel letto da malattia o detenuto nelle prigioni per debiti o delitti? Visitatelo; procurate di sollevare quell’infermo, di liberare, o per lo meno soccorrere quel prigioniero; l’uno e l’altro meritano tanto più la vostra carità, quanto che non possono uscire come gli altri indigenti per cercare soccorso alle loro miserie. In una parola, rendete al vostro prossimo miserabile tutti i servigi che vorreste fossero renduti a voi medesimi: Vade, et tu fac similiter. – Ma quanto è mai raro trovare uomini abbastanza sensibili alle altrui miserie, per spargere nel loro cuore la carità benefica! Quanti cuori di bronzo lasciano languir miserabili che mancano di tutto, senza dar loro il minimo soccorso, mentre essi mancar non vogliono di cosa alcuna! Quanti che li trattano con disdegno e dispregi insultanti, aggiungendo nuovo peso alle loro miserie! Se si risolvono a far lor qualche limosina, non è che per liberarsi dalle loro importunità, ed è molto modica e comprata a molto caro prezzo per le maniere scortesi che l’accompagnano. Donde viene dunque, fratelli miei, questa durezza, questa insensibilità, che si ha per le miserie altrui? Da uno spirito d’interesse, che signoreggia la maggior parte degli uomini. La carità, dice s. Paolo, non cerca il suo interesse: Non quærit, quae sua sunt. Ma quasi tutti gli uomini lo ricercano questo interesse, dice il medesimo Apostolo: Omnes quæ sua sunt quærunt. Ecco ciò che distrugge la carità tra essi. La carità ama di comunicarsi; ma lo spirito d’interesse si ristringe in se stesso; egli riferisce tutto a se stesso, come a suo centro, ama solo se stesso e non ha che della durezza per gli altri. Questo spirito d’interesse rende non solamente gli uomini insensibili alle miserie del loro prossimo, egli mette ancora la divisione tra quei medesimi, che dovrebbero essere i più uniti: egli separa gli amici, i parenti, il figliuolo dal padre, il fratello dalla sorella, mette in scompiglio tutta la società. Donde viene che i primi Cristiani non facevano che un cuore ed un’anima sola? Si è perché non avevano alcun interesse a divider fra loro; tutti i loro beni erano comuni, ed essi facevano a gara a beneficarsi l’un l’altro: laddove l’interesse divide i Cristiani d’oggi giorno, e ne fa tanti cuori differenti, quanti sono i soggetti che compongono la società. Bisogna dunque, per essere caritatevole, staccarsi e spogliarsi del suo interesse, far parte agli altri de’ suoi beni, secondo i loro bisogni e la propria facoltà; di modo che chi ha molto dia molto, e chi ha poco dia poco, come diceva Tobia al suo figliuolo. – Ma non ci fermiamo solamente a provarvi che i bisogni del corpo del vostro prossimo debbono esser l’oggetto della carità; vi sono beni più nobili, quelli vale a dire dell’anima. Questa materia chiederebbe una istruzione particolare di cui non faccio che indicarvi in poche parole i capi principali: il vostro prossimo è nell’afflizione? Voi dovete consolarlo: è questo un esercizio di carità, che conviene a tutti, non v’è alcuno che non possa compierlo. Quante occasioni non se ne trovano negli avvenimenti funesti, che attraversano la vita degli uomini? Una parola di consolazione detta a proposito ad un infermo, ad un afflitto, calma l’amarezza dei suoi dolori. Il vostro prossimo è nell’ignoranza, o caduto a qualche disordine? Istruitelo, correggetelo. Quanti poveri ignoranti si trovano, che hanno bisogno d’istruzione, che per mancanza di essa si allontanano dalle vie della salute! Quanti peccatori, che si perdono nelle vie dell’iniquità per mancanza di una correzione salutevole, di un avviso prudente che li farebbe rientrar nel dovere! La più grande carità, che si possa dunque fare, è il faticare alla conversione dei peccatori, cooperare alla salute dell’anima del suo prossimo, sia con ammonizioni fatte a proposito, sia con i buoni esempi, i quali sono ancora più efficaci che le parole. Se voi vedeste una bestia da soma cader in un fosso, voi la rialzereste per carità verso colui cui essa appartiene, voi vedete un vostro fratello che i disordini conducono al precipizio, che è vicino a cader nell’inferno, e non farete alcuno sforzo per rattenerlo? Ov’è la vostra carità’? Ov’è il vostro zelo per la gloria di Dio? Ma qual crudeltà sarebbe la vostra se con malvagi consigli, con esempi perniciosi acceleraste la sua caduta? Iddio vi domanderebbe un conto terribile della perdita dell’anima di lui. – Finiamo. La carità deve essere pura nel suo motivo; ella sarà tale se noi ameremo il nostro prossimo, come Gesù-Cristo ci ha amati. È questo il modello che Egli ci propone: sicut dilexi vos. In qual modo Gesù-Cristo ci ha Egli amati, fratelli miei? Ci ha amati senza alcun merito dal canto nostro e senza alcun interesse dal suo. Egli ci amò fino a sacrificar i suoi beni, il suo riposo, la sua vita per nostra salute. Ecco la regola che propone alla nostra carità, Egli deve esserne il fine. Non è dunque né la nobiltà dell’origine, né  lo splendore delle ricchezze , né le qualità personali del corpo e dello spirito, che fissar devono il nostro amore per il prossimo, molto meno ancora la passione deve esserne il principio. Poiché amarsi per la colpa è un amarsi per l’inferno, dice il Crisostomo; l’amor cieco e profano non deve avere alcun luogo nell’ordine della carità cristiana. Voi potete bensì avere un affetto particolare per i parenti, gli amici, le persone che lo meritano per le loro buone qualità, per i loro benefizi, ma questo affetto deve sempre riferirsi a Dio come a suo primo oggetto. Perciocché, se voi non amate il vostro prossimo che per mire umane, solamente perché vi appartiene pei vincoli del sangue o per qualche attrattiva particolare che vi piace, se non gli rendete servigio che per l’utile che ne sperate, o per una inclinazione puramente naturale, che fate voi di più che i pagani? La vostra carità, non essendo soprannaturale come deve essere, sarà senza ricompensa presso di Dio. L’esempio del Samaritano del Vangelo vi confonderà ancora in questo punto. Che poteva egli sperare da quell’uomo cui gli assassini avevano tolto tutto quel che possedeva? Non era dunque in vista dell’interesse che gli rendette sì buoni uffizi, ma per solo principio della carità, che l’animava. Ah! quanto è rara una carità cosi disinteressata! Si ama, si coltiva l’amicizia di certe persone, o perché  hanno del credito, o per la speranza di certi vantaggi che se ne aspettano: si amano coloro che sono nella prosperità ed in istato di far del bene, ma dacché non si trova più il proprio interesse, dacché la fortuna ha cangiato, non avvi più amicizia. Prova certissima che Dio non n’è il principio ed il fine. Volete voi conoscere, fratelli miei, se la vostra carità viene da Dio e se ella si riferisce a Dio? Lo conoscerete quando essa non cangerà, malgrado i sinistri accidenti del vostro prossimo, malgrado i cattivi servigi che esso vi renderà; perché questa carità, trovando in Dio un motivo sempre costante, non deve giammai variare.

Pratiche. Non considerate che Dio in tutte le cose; amate il vostro prossimo in Dio, per Dio e come Dio vi ha amati, e voi lo amerete cristianamente. Volete voi sapere se avete questa carità? Riconoscetela ai segni che ce ne dà il grande Apostolo, i quali ne contengono la pratica. La carità, dice egli, è paziente e piena di bontà: Charitas patiens est, benigna est; ella è paziente per soffrire dai nostri fratelli gli affronti, le ingiurie, i dispregi; piena di bontà per far loro del bene. Essa non è invidiosa: Non æmulatur; perché, non attaccandosi alle cose di quaggiù, e non desiderando che i beni del cielo, essa non conosce quell’invidia maligna, che si affligge del bene altrui. Essa non si gonfia, non è ambiziosa: Non inflatur, non est ambitiosa; perché non crede meritar cosa alcuna, e, ben lungi dal dispregiar gli altri, non ha che umili sentimenti di sé medesima. Essa non s’irrita, perché non cerca il suo interesse: Non irritatur, non quærit, quæ sua sunt. Ella non pensa né giudica male di alcuno; non si rallegra del male, ma piuttosto del bene e della verità: non cogitat malum, congaudet veritati. Ella crede tutto, soffre tutto, spera tutto: Omnia credit, omnia sperat, omnia sustinet. Faccia il cielo, fratelli miei, che la vostra sia tale, e che, dopo essere stati uniti sopra la terra coi legami di una stretta carità, lo siate un giorno nell’eternità beata. Cosi sia.

CREDO…

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Exod XXXII: 11;13;14

Precátus est Moyses in conspéctu Dómini, Dei sui, et dixit: Quare, Dómine, irascéris in pópulo tuo? Parce iræ ánimæ tuæ: meménto Abraham, Isaac et Jacob, quibus jurásti dare terram fluéntem lac et mel. Et placátus factus est Dóminus de malignitáte, quam dixit fácere pópulo suo. [Mosè pregò in presenza del Signore Dio suo, e disse: Perché, o Signore, sei adirato col tuo popolo? Calma la tua ira, ricordati di Abramo, Isacco e Giacobbe, ai quali hai giurato di dare la terra ove scorre latte e miele. E, placato, il Signore si astenne dai castighi che aveva minacciato al popolo suo.]

Secreta

Hóstias, quǽsumus, Dómine, propítius inténde, quas sacris altáribus exhibémus: ut, nobis indulgéntiam largiéndo, tuo nómini dent honórem. [O Signore, Te ne preghiamo, guarda propizio alle oblazioni che Ti presentiamo sul sacro altare, affinché a noi ottengano il tuo perdono, e al tuo nome diano gloria.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Ps CIII: 13; 14-15

De fructu óperum tuórum, Dómine, satiábitur terra: ut edúcas panem de terra, et vinum lætíficet cor hóminis: ut exhílaret fáciem in oleo, et panis cor hóminis confírmet.

[Mediante la tua potenza, impingua, o Signore, la terra, affinché produca il pane, e il vino che rallegra il cuore dell’uomo: cosí che abbia olio con che ungersi la faccia e pane che sostenti il suo vigore.]

 Postcommunio

Orémus.
Vivíficet nos, quǽsumus, Dómine, hujus participátio sancta mystérii: et páriter nobis expiatiónem tríbuat et múnimen.

[O Signore, Te ne preghiamo, fa che la santa partecipazione di questo mistero ci vivifichi, e al tempo stesso ci perdoni e protegga.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

ESERCIZIO DEVOTO IN ONORE DELLA BEATISSIMA SEMPRE VERGINE MADRE DI DIO: MARIA.

UN ESERCIZIO DEVOTO IN ONORE DELLA BEATISSIMA SEMPRE VERGINE MADRE DI DIO

MARIA

CONCEPITA SENZA PECCATO ORIGINALE DAGLI SCRITTI DI SAN BONAVENTURA

Il seguente pio esercizio in onore della Gloriosa e sempre Vergine Madre di nostro Signore è raccolto in gran parte dalle opere del serafico Dottore, San Bonaventura; e fu stampato a Roma nel I860. Le pie e ferventi aspirazioni che esso contiene sono concepite nello spirito e secondo il modello dei Salmi di Davide che sono il fondamento del Divino Ufficio ed il culto quotidiano della Chiesa Cattolica.

INDULGENZE

Papa Pio IX., in un Breve in data 9 Dic. 1856, ha concesso in eterno le seguenti indulgenze ai fedeli che con cuore contrito recitino nella settimana sotto forma di supplica in onore della sempre Beatissima Vergine, ogni giorno:

1. Sette anni e sette quarantene per ogni giorno.

2. Un’indulgenza plenaria nella festa dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine, oppure entro l’ottava; nella festa di San Giuseppe, in quella di San Bonaventura, il 14 luglio; ed in un giorno del mese di maggio a scelta di ognuno, a chi hanno recitato per un intero mese questa devozione ogni giorno, con Confessione sacramentale e Comunione eucaristica, con visita ad una chiesa o ad pubblico oratorio e preghiera secondo le intenzioni del Sovrano Pontefice. Queste Indulgenze possono essere applicate alle anime del Purgatorio.

Qual grande profitto trarrà chi offrirà ogni giorno questo tributo di preghiere alla sempre Beatissima Vergine, non solo ottenendo queste Indulgenze, ma ancor più se otterrà la grazia desiderabilissima di una vita santa, e di una morte tranquilla e felice in Nostro Signore.

Christe, cum sit hinc exire, Da per Matrem me venire ad palmam victoriæ

.

PRÆPARATIO QUOTIDIANA.

1. Humiliabis te in fide ante conspectum Dei.

[Ti umilierai con fede al cospetto di Dio]

2. Putabis te moribundum in lecto, et habentem ante oculos tuos Jesum Christum Crucifixum in Monte Calvario, et juxta Crucem Ejus SS. Virginem doloris gladio transifixam.

[Ti considererai moribondo nel letto avendo davanti agli occhi Gesù Cristo moribondoCrocifisso sul monte Calvario, e presso la sua Croce la SS. Vergine trapassata dalla spada del dolore].

3. Ante Psalmos sequentes preces recitabis.

[Prima dei Salmi reciterai le seguenti preghiere]

ORATIO.

Domine Jesu Christe Crucifixe, per infinitam tuam misericordiam, ac per merita et intercessionem Beatissimæ V. Matris tuæ, adjuva nos, licet indignos, ut in unione totius Curiæ cœlestis, eandem SS. Virginem,  omnibus diebus vitæ nostræ laudare valeamus, et has preces persolvere, ut sancte vivere, ac feliciter mori in tuo amore mereamur. Amen.

AVE MARIA, etc.

V. Illumina oculos meos, ne unquam obdormiam in morte.

R. Ne quando dicat inimicus meus: prævalui adversus eum.

V. Deus in adjutorium meum intende.

R. Domine, ad adjuvandum me festina.

Gloria, etc.

HYMNUS.

Memento, rerum Conditor,

Nostri quod olim corporis

Sacrata ab alvo Virginis

Nascendo formam sumpseris.

Maria Mater gratiæ,

Dulcis Parens dementia,

Tu nos ab hoste protege,

Et mortis hora suscipe.

Jesu Tibi sit gloria,

Qui natus es de Virgine,

Cum Patre, et almo Spiritu

In sempiterna sæcula. Amen.

DIE DOMINICA.

Ad Plagas Jesu, petes gratiam bene disponendi domui tuæ

et sanctificandi tota vita tua Nomen Patris Cœlestis.

Ant. I Conforta Virgo.

PSALM. I.

Beatus vir, qui diligit nomen tuum, Maria

Virgo: gratia tua animam ejus confortabit.

Tanquam lignum aquarum fontibus irrigatum

uberrime: in eo fructum justitiæ propagabis.

Benedicta tu inter mulieres: propter humilitatem

et credulitaten cordis sancti tui.

Universas enim fœminas vincis pulcritudine

carnis: superas Angelos et Arcangelos

excellentia sanctitatis.

Misericordia tua et gratia ubique predicatur:

Deus operibus manum tuarum benedixit.

Gloria, etc.

Ant. 1. Conforta, Virgo Maria, animam ejus, qui invocat nomen tuum: quia misericordia tua et gratia ubique prædicatur.

Ant. 2. Protegat nos.

PSALM. II.

Quare fremuerunt inimici nostri: et adversum

nos meditati sunt inania?

Protegat nos dextera tua, Mater Dei: ut

acies terribilis confundens, et destruens eos.

Venite ad eam, omnes qui laboratis, et tribulati estis:

et dabit refrigerium animabus vestris.

Accedite ad earn in tentationibus vestris:

et stabiliet vos serenitas vultus ejus.

Benedicite illam in toto corde vestro:

misericordia enim illius plena est terra.

Gloria, etc.

Ant. 2: Protegat nos dextera tua, Mater

Dei: et da refrigerium, et solatium animabus

nostris.

Ant. 3: Deduc me.

PSALM. III.

Domina, quid multiplicati sunt, qui tribulant me?

In potentia tua persequeris, et dissipabis eos.

Dissolve colligationes impietatis nostræ:

tolle fasciculos peccatorum nostrorum.

Miserere mei, Domina, et sana infirmitatem

meam: tolle dolorem, et angustiam cordis mei.

Ne tradas me manibus inimicorum meorum: et in die mortis meæ conforta animam meam.

Deduc me ad portum salutis: et spiritum

meum redde Factori, et Creatori meo.

Gloria, etc.

Ant. 3: Deduc me, Domina, ad portum salutis:

et in die mortis meæ conforta animam meam.

Ant. 4: Ne projicias.

PSALM. XIX.

Exaudias nos, Domina, in die tribulationis:

et precibus nostris converte clementem faciem tuam.

Ne projicias nos in tempore mortis nostræ:

sed succurre animæ, cum deseruerit corpus suum.

Mitte Angelum in occursum ejus: per

quem ab hostibus defendatur.

Ostende ei serenissimum Judicem sæculorum:

qui ob tui gratiam veniam ei largiatur.

Sentiat in pœnis refrigerium tuum: et

concede ei locum inter electos Dei.

Gloria, etc.

Ant. 4: Ne projicias nos, Domina, in tempore

mortis nostræ: sed succurre animæ, cum deseruerit corpus suum.

Ant. V Esto Domina.

PSALM. XXIV.

Ad te, Domina, levavi animam meam:

in judicio Dei tuis precibus non erubescam.

Neque illudant mihi adversarii mei:

et enim in te praesumentes de Te roborantur.

Non pnevaleant adversum me laquei mor

tis : et castra malignantium non impediant

gressus meos.

Collide impetum eorum in virtute tna : et

cum mansuetudine occure animae meae.

Ductrix mea esto ad patriam: et me ccetui

angelorum digheris aggregare. Gloria, etc.

Ant. Esto, Domina, ductrix mea ad patri

am : et in die mortis meae, occurre cum

mansuetudine animas meæ.

PRECES.

V. Maria Mater gratiæ, Mater misericordiæ.

R. Tu nos ab. hoste protege, et hora mortis suscipe.

V. Illumina oculos meos, ne unquam obdormia in morte.

R. Ne quando dicat ihimicus meus, prævalui adversus eum.

V. Salva me ex ore leonis.

R. Et de manu canis unicam meam.

V. Salvum me fac in tua misericordia.

R. Domina, non confundar, quoniam invocavi te.

V. Ora pro nobis peccatoribus.

R. Nunc et in hora mortis nostra.

Amen.

V. – Domina exaudi orationem meam.

R. Et Clamor meus ad te veniat.

OREMUS.

Propter terrores illius commotionis, qua

cor tuum contremuit, Virgo Beatissima, quando

audisti Filium tuum dilectissimum ab

impiis captum, ligatum, et ad supplicia tractum

et traditum ; adjuva nos, ut cor nostrum

nunc pro delictis nostris terreatur et moveatur

ad poenitentiam, ne mortis in hora ad

occursum adversarii paveat, aut ad aspectum

tremendi Judicis, accusante conscientia,

contremiscat, sed potius faciem Ejus videntes

in jubilo delectemur, ineffabiliterque laete

mur. Preestante eodem Domino nostro Jesii

Christo Filio tuo, qui cum Patre, et Spirit!

Sancto vivit et regnat in saecula saeculo

rum. Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus

Christi.

V. Requiescamus in pace. B. Amen.

Canticum S. Bonaventuræ, Te Matrem Dei laudamus, etc.

CANTICUM S. BONAVENTURAE.

Considerabis gloriosum transitum et Assumptionem B. M. V. eamque cum Angelis laudabis, orans, ut cum Jesu et S. Joseph tibi assistat in morte.

Te Matrem Dei laudamus:

Te Mariam Virginem profitemur.

Te Æterni Patris Filiam: omnis terra veneratur.

Tibi omnes Angeli, et Arcangeli: Tibi Throni, et Principatus fideliter deserviunt.

Tibi omnes Potestates, et omnes Virtutes Cœlorum: et universaæ Dominationes obediunt.

Tibi omnes Chori: Tibi Cherubim, et Seraphim exultantes assistunt.

Tibi omnis Angelica creatura: incessabili voce proclamat.

Sancta, Sancta, Sancta: Maria Dei Genitrix, et Mater, et Virgo.

Pleni sunt Coeli, et Terra: Majestatis gloriæ Fructus ventris Tui.

Te gloriosus Apostolorum Chorus: Sui

Creatoris Matrem collaudat.

Te Beatorum Martyrum cœtus Candidatus:

Christi Genetricem glorificat.

Te Gloriosus Confessorum exercitus Trinitatis

Templum appellat.

Te Sanctarum Virginum chorea amabilis:

Virginitatis, et humiliatis exemplum pradicat.

Te tota Cœlestis Curia: Reginam honorat.

Te per universum Orbem: Ecclesia invocando

concelebrat.

Matrem: Divinæ Majestatis.

Venerandam Te veram: Regis Cœlestis puerperam.

Sanctam quoque: dulcem et piam.

Tu Angelorum Domina: Tu Paradisi janua.

Tu Scala Regni Cœlestis et gloriæ.

Tu Thalamus: Tu Arca pietatis, et gratiæ.

Tu vena Misericordias: Tu Sponsa, et

Mater Regis æterni.

Tu templum, et Sacrarium Spiritus Sancti:

totius Beatissimæ Trinitatis nobile triclinium.

Tu mediatrix Dei, et hominum: amatrix

mortalium, Cœlestis illuminatrix.

Tu agonizatrix pugnantium, advocata pauperum:

miseratrix, et refugium peccatorum.

Tu erogatrix munerum; Superatrix, ac

Terror Demonum et superborum.

Tu mundi Domina, Cœli Regina: post

Deum sola Spes nostra.

Tu salus Te invocantium, Portus naufragrantium:

miserorum solatium, pereuntium refugium.

Tu Mater omnium Beatorum, Gaudium

Plenum post Deum: omnium supernorum

Civium Solatium.

Tu Promotrix justorum, Congregatrix errantium:

Promissio Patriarcharum.

Tu Veritas Prophetarum, Præconium, et

Doctrix Apostolorum: Magistra Evangelistarum.

Tu fortitudo Martyrum, Exemplar Confessorum:

Honor, et Festivitas Virginum.

Tu ad liberandum exulem hominem:

Filium Dei sucepisti in uterum.

Per Te, expugnato hoste antiquo: sunt

aperta fidelibus Regna Cœlorum.

Tu cum Filio Tuo sedes:

ad dexteram Patris.

Tu Ipsum pro nobis roga, Virgo Maria:

Quem nos ad judicandum credimus esse venturum.

Te ergo poscimus nobis Tuis famulis subveni:

qui pretioso Sanguine Filii Tui redempti

sumus.

Æterna fac, pia Virgo:

cum Sanctis Tuis nos gloria numerari.

Salvum fac populum Tuum, Domina: ut

simus participes hæreditatis Filii Tui.

Et rege nos: et custodi nos in æternum.

Per singulos dies: O Pia, Te salutamus.

Et laudare Te cupimus:

usque in æternum mente et voce.

Dignare, dulcis Maria: nunc, et semper

nos sine delicto conservare.

Miserere, Pia nobis: miserere nobis.

Fiat misericordia Tua magna nobiscum:

quia in Te, Virgo Maria, confidimus.

In Te, dulcis Maria, speramus:

nos defendas in Æternum.

Te decet laus, Te decet imperium: Tibi

virtus, et gloria in sæcula sæculorum. Amen.

PRECES AD USUM QUOTIDIANUM.

PRO DOMINICA.

Oratio S. Mariae Virgini ex D. Augustino deprompta.

Memorare, O piissima Virgo Maria, non

esse auditum a sæculo, quemquam ad Tua

currentem præsidia, Tua implorantem auxilia.

Tua petentem suffragia a Te esse derelictum,

Ego tali animatus confidentia ad Te, Virgo

Virginum Mater, curro, ad Te venio, coram

Te gemens precator assisto. Noli, Mater

Verbi, verba mea despicere; sed audi propitia,

et exaudi. Amen.

FERIA SECUNDA

Ad Plagas Jesu, petes Regnum Dei in te; et post mortem statim possidere Regnum Cælorum.

[Alle piaghe di Gesù, chiederai il regno di Dio in te, e dopo morte di possedere il Regno dei Cieli]

Præp. quotid. — Ave Maria.

V. Illumina oculos, ut supra.

Ant. 1: In manus Tuas.

SALMO XXX.

In Te, Domina, speravi, non confundar in

æternum: in gratia Tua suscipe me.

Inclina ad me aurem Tuam:

et in mœrore meo lætifica me.

Tu es fortitudo mea, et refugium meum:

consolatio mea, et protectio mea.

Ad Te Domina clamavi,

dum tribularetur cor meum:

et exaudisti me de vertice collium æternorum.

In manus Tuas, Domina, commendo spiritum meum:

totam vitam meam, et die ultimum meum.

Gloria, etc.

Ant.1: In manus Tuas, Domina, commendo spiritum meum; totam vitam meam, et diem ultimum meum.

Ant. 2 :Miserere mei.

PSALM. XXXVIII.

Dixi, custodiam vias meas, O Domina:

cum per Te gratia Christi fuerit mihi data.

Liquore Tuo liquefactum est cor meum:

amore Tuo inflammata sunt viscera mea.

Exaudi orationem meam, Domina,

et contabescant adversarii mei.

Miserere mei de Cœlis, et de altitudine throni Tui:

et ne permittas me in valle miseriæ conturbari.

Custodi pedem meum, ne labatur:

et in fine meo sit præsens gratia Tua.

Gloria, etc.

Ant. 2: Miserere mei de Cœlis, Domina, et

in fine meo sit præsens gratia Tua.

Ant. 3: Sanctæ preces.

PSALM. XLII.

Judica me, Domina, et discerne causam

meam de gente perversa: a Serpente maligno,

et dracone pestifero libera me.

Sancta fæconditas Tua disperdat eum:

beata Virginitas Tua conterat caput ejus.

Sanctas preces tuae corroborent nos contra eum:

sancta merita tua exinaniant virtutem ejus.

Persecutorem animre mere mitte in abyssuni:

puteus infernalis deglutiat eum viventem.

Ego autem, et anima mea in terra captivitatis

mere benedicam nomen Tuum: et glorificabo

Te in sæcula sæculorum.

Gloria, etc.

Ant. 3: Sanctæ preces Tuæ, Domina, corroborent me

contra persecutorem animæ meæ:

et in die mortis meæ a Serpente maligno

libera me.

Ant: 4: Ego autem, Domina.

PSALM. LIV.

Exaudi, Domina, orationem meam:

et ne contemnas deprecationem meam.

Contristatus sum in cogitatione mea: quia

judicia Dei perterruerunt me.

Tenebræ mortis venerunt super me:

et pavor inferni invasit me.

Ego autem in solitudine expecto consolationem Tuam:

et in cubili meo attendo misericordiam tuam.

Glorifica manum, et dexterum brachium

Tuum: ut posternatur a nobis inimici nostri.

Gloria, etc.

Ant. 4: Ego autem, Domina, attendo in cu

bili meo misericordiam Tuam; quia tenebra

mortis venerunt super me.

Ant. 5: Impetra nobis.

PSALM. LXIII.

Exaudi, Domina, orationem meam, cum deprecor:

a pavore crudeli libera animam meam.

Impetra nobis servulis tuis pacem et securitatem:  

in tremendo judicio.

Benedicta Tu super omnes mulieres:

et benedictus fructus ventris Tui.

Illumina Domina, oculos meos: et illustra

cœcitatem meam.

Da mihi in Te confidentiam bonam; et in

vita et in fine meo.

Gloria, etc.

Ant. 5: Impetra nobis, Domina, paceni et

salutem in die novissimo; et da mihi confidentiam

bonam in Te, in vita et in fine meo.

Preces, ut supra.

OREMUS.

Propter gemitus et lacrymas, quibus afficie baris, Virgo dulcissima, quando vidisti Filium tuum dulcissimum judici prasentari, acriter flagellari, variis illusionibus et opprobriis affici; impetra nobis dolorem pro peccatis nostris, et lacrymas salutiferas contritionis; et adjuva nos, ne nobis possit inimicus illudere, neque diversis pro libitu suo tentationibus flagellare, devictosque statuere terribli Judici; sed magis ipsi accusemus, et judicemus nos metipsos de excessibus nostris, et veræ pænitentiæ disciplinis flagellemus, ut veniam et gratiam in tempore necessitatis, tribulationis et angustiæ inveniamus. Præstante eodem Domino nostro Jesu Christo Filio Tuo, etc.

Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

V. Requiescamus in pace. R. Amen.

Canticum S. Bonaventuræ:

Te Matrem Dei laudamus, etc.

PRO FERIA II.

Oratio S. Francisci in Opuscul.fol. 29.

Absorbeat, quæso, Domine mentem meam

ab omnibus, quae sub Cœlo sunt, ignita, et

melliflua vis amoris Tui; ut amore amoris

Tui moriar, qui amore amoris mei dignatus

es mori. Per temetipsum Dei Filium; Qui

cum Patre, etc. Amen.

FERIA TERTIA

Præparibis te ad ultimam Confessionem; et ad plag. Jesu petes donum perfectæ contritionis, et semper faciendi Dei voluntatem.

Præp. quotid. — Ave Maria.

V. Illumina oculos, ut supra.

Ant. 1: Protegat me.

PSALM. LXVI.

Deus misereatur nostri et benedicat nobis:

per illam, quæ Eum genuit.

Miserere nostri, Domina, et ora pro nobis

in sanctam lastitiam converte mæstitiam nostram.

Illumina me, Stella maris: clarifica me

Virgo clarissima.

Extingue ardorem cordis mei:

refrigera me gratia Tua.

Protegat me semper gratia Tua: præsentia

Tua illustret finem meum.

Gloria, etc.

Ant. 1: Protegat me, Domina, gratia Tua semper;

et præsentia Tua illustret finem meum.

Ant. 2: Assiste, Domina.

PSALM. LXXII.

Quam bonus Israel Deus: his, qui Matrem Suam colunt et venerantur.

Ipsa enim est solatium nostrum: in laborious subventio optima.

Obtexit caligine animam meam hostis:

In visceribus meis, Domina, lucem fac oriri.

Avertatur a me ira Dei per Te : placa

Eum meritis, et precibus Tuis.

In Judicio pro me assiste : coram eo suscipe

causam meam, et mea, sis advocata.

Gloria, etc.

Ant. 2:  Assiste, Domina, pro me judicio:

coram Deo est advocata mea, et suscipe causam meam.

Ant. 3: Erige, Domina.

PSALM. LXXVI.

Vocem mea ad Dominam clamavi:

et sua gratia intendit mihi.

Abstulit a corde meo mæstitiam, et mœrorem:

et suavitate sua cor meum dulcoravit.

Formidinem meam erexit in confidentiam bonam:

et suo aspectu mellifluo mentem meam serenavit.

Adjutorio sancto Tuo evasi pericula mor

tis : et de manu crudeli subterfugi.

Gratias Deo, et Tibi, Mater pia, de omni

bus, quae assequutus sum: pietate, et Misericordia Tua.

Gloria, etc.

Ant. 3: Erige, Domina; formidinem meam in

confidentiam bonam: et fac, ut adjutorio

sancto Tuo evadam pericula mortis.

Ant. 4: Expergiscere.

PSALM. LXXIX.

Qui Regis Israel, intende ad me: fac me

digne Matrem Tuam collaudare.

Expergiscere de pulvere, anima mea: perge

in occursum Reginæ Cœli.

Solve vincula colli tui, paupercula anima

mea : et gloriosis laudibus accipc illam.

Odor vitae de ilia progreditur: et omnis

salus de corde illius scaturizat.

Charismatum Suorum fragrantia suavi: animæ

mortuæ suscitantur.

Gloria, etc.

Ant. 4: Expergiscere de pulvere, anima mea;

perge in occursum Reginæ Cœli.

Ant. 5: Ne derelinquas.

PSALM. LXXXIII.

Quam dilecta tabernacula Tua, Domina, virtutum:

quam amabilia tentoria requietionis Tuæ.

Honorate illam, peccatores: et impetrabit

vobis gratiam, et salutem.

Super thus, et balsamum, oratio ejus: incensum

preces Ejus non revertentur vacuæ, nec inanes.

Intercede pro me, Domina, apud Christum

Tuum: nec derelinquas me in vita,

neque in morte.

Benignus est enim spiritus Tuus: gratia

Tua replet orbem terrarum.

Gloria etc.

Ant. 5: Ne derelinquas me, Domina, in vita, neque in morte,

sed intercede pro me apud Christum Tuum.

Preces, ut supra.

OREMUS.

Propter angustias, et cruciatus, quos cor

Tuum sustinuit, Virgo Beatissima, quando

audisti Filium Tuum dilectissimum adjudicatum

morti et Crucis supplicio: succure nobis tempore infirmitatis nostræ,

quando corpus nostrum dolore infirmitatis cruciabitur;

et spiritus noster, hinc propter insidias dæmonum,

illinc propter terrorem districti judicii angustiabitur:

subveni, inquam, nobis, Domina, tunc, ne damnationis æternæ

contra nos proferatur sententia ; aut ne flammis gehennalibus

tradamur æternaliter cruciandi. Præstante

eodem Domino nostro Jesu Christo,

etc. Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

V. Requiescamus in pace. B. Amen.

Canticum S. Bonaventuræ,  Te Matrem Dei laudamus, etc.

PRO FERIA III.

Oratio S. Francisci in Offic. Passionis.

Sancta Maria Virgo, non est Tibi similis

nata in mundo in mulieribus, Filia, et Ancilla

Altissimi Regis Patris Ccelestis ; Mater Sanctissima

Domini nostri Jesu Christi, Sponsa

Spiritus Sancti ; or’a pro nobis cum S. Michæle

Arcangelo et omnibus Sanctis Tuum Sanctissimum

Filium dilectissimum Dominum

nostrum, et Magistrum. Amen.

FERIA QUARTA

Præparabis te ad SS. Viaticum; et ad Plagas Jesu petes hunc Panem quotidianum, nec non fidei, spei et charitatis avgmentum.

[Ti preparerai al SS. Viatico; ed alle piaghe di Gesù chiederai il pane quotidiano non senza un aumento di fede, speranza e carità]

Præp. quotid. — A te Maria.

V. Illumina oculos, ut supra

Ant. 1: Fac, Domina.

PSALM. LXXXVI

Fundamenta vitæ in anima justi: perseverare

in charitate Tua usque in finem.

Gratia Tua relevat pauperem in adversitate:

et invocatio Tui nominis imittit ei confidentiam bonam.

Miserationibus Tuis repletur Paradisus:

et a terrore Tuo hostis confunditur infernalis.

Qui sperat in Te, inveniet thesauros pacis:

et qui Te non invocat in hac vita

non perveniet ad Regnum Dei.

Fac, Domina, ut vivamus in gratia Spiritus Sancti:

et perduc animas nostras ad sanctum finem.

Gloria, etc.

Ant. 1: Fac, Domina, ut vivamus in gratia

Spiritus Sancti; et perduc animas nostras ad

sanctum finem.

Ant. 2: Gratiosus vultus.

PSALM. LXXXVIII

Misericordias Tua Domina: in sempiternum decantabo.

Unguento pietatis Tuæ medere contritis corde:

et oleo misericordiæ Tuæ refove dolores nostras.

Gratiosus vultus Tuus mihi appareat in ex

tremis: et formositas faciei Tua? lætificet

egredientem spiritum meum.

Excita spiritum meum ad amandum bonitatem

Tuam: excita mentam meam ad extollendam

nobilitatem, et pretiositatem Tuam.

Libera me ab omni tribulatione mala: et ab

omni peccato custodi animam meam.

Gloria.

Ant. 2: Gratiosus vultus Tuus mihi appareat

in extremis; et formositas faciei Tua: lætificet

egredientem spiritum meum.

Ant. 3: Qui speraverit.

PSALM. XC.

Qui habitat in adjutorio Matris Dei: in

protectione ipsius commorabitur.

Concursus hostis non nocebit ei:

sagitta volans non tanget eum.

Quoniam liberabit eum de laqueo insidiantis:

et sub pennis suis proteget eum.

Clamate ad illam in periculis vestris:

et flagellum non appropinquabit

tabernaculo vestro.

Fructus gratiæ inveniet, qui speravit in

Illa: porta Paradisi reserabitur ei.

Gloria, etc.

Ant. 3: Qui speraverit in Te, Domina, inveniet fructus gratiæ:

et porta Paradisi reserabitur ei.

Ant. 4: Suscipe.

PSALM. XCIV.

Venite exultemus Dominae nostræ: jubilemus

salutiferæ Mariæ Reginæ nostræ.

Praeocupemus faciem ejus in jubilatione:

et in canticis collaudemus Eam.

Venite adoremus, et procidamus ante Eam:

confiteamur Illi cum fletibus peccata nostra.

Impetra nobis, Domina, indulgentiam plenam

: assiste pro nobis ante Tribunal Dei.

Suscipe, Domina, in fine animas nostras:

et introduc nos in requiem æternam.

Gloria.

Ant. 4: Suscipe, Domina, in fine animas nos

tras ; et introduc nos in requiem feternam.

Ant. 5: Succurre.

PSALM. XCIX.

Jubilate Dominæ nostra, omnes homines

terræ: servite Illi in lætitia, et jucunditate.

In toto animo vestro accedite ad illam:

et in omni virtute vestra conservate vias ejus.

Investigate Illam, et manifestabitur vobis:

estote mundi corde, et apprehendetis Eam.

Quibus auxiliata fueris, Domina, erit refrigerium

pacis : et a quibus averteris vultum

Tuum, non erit spes ad salutem.

Recordare nostri, Domina; et non appre

hendent nos mala: succurre nobis in fine,

ut veniamus ad vitam æternam.

Gloria, etc.

Ant. 5: Succure nobis, Domina, in fine ; et

non apprehendent nos mala, sed inveniemus

vitam æternam.

Preces, ut supra.

OREMUS.

Propter doloris gladium, qui pertransivit

animam Tuam, Virgo dulcissima, quando Filium

Tuum dilectissimum cernebas nudum in

Cruce levatum, clavis perforatum; ac per om

nia laceratum, plagis ac verberibus, nec non

et vulneribus; adjuva nos, ut et cor nostrum

nunc compassionis et compunctionis gladius

per fodiat, divinique amoris lancea vulneret,           

ita ut omnis peccali sanguis effluat a pectore

nostro, et a noxiis vitiis emundemur, virtutum

indumentis decoremur, semperque mente ac

corpore de hac valle miserias levemur ad cœ

lestia, quo tandem cum promissus dies advenerit,

pervenire spiritu et corpore mereamur.

Praestante eodem Domino nostro Jesu Christo

Filio Tuo, etc. Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

V. Requiescamus in pace. R. Amen.

Canticum S. Bonaventuræ, Te Matrem Dei laudamus, etc.

PRO FERIA IV.

Oratio S. D. Bonaventurae in Psalt. B. M. V.

Omnipotens sempiterne Deus, qui pro no

bis de Castissima Virgine Maria nasci dignatus

es ; fac nos Tibi casto corpore servire et humili

mente placare. Qui vivis et regnas, etc.

Amen.

FERIA QUINTA.

Præparabis te ad Extremam Unctionem et Indulgentias; et ad Plagas Jesu petes remissionum omnium debitorum Tuorum, remittendo debitoribus tuis.

Præp. quotid. — Ave Maria.

V. Illumina oculos, ut supra.

Ant. 1: Conforta Domina.

PSALM. C.

Misericordiam, et judicium cantabo Tibi,

Domina: psallam Tibi in exultatione cordis

cum lætificaveris animam meam.

Laudabo Nomen Tuum, et gloriam Tuam:

et præstabis refrigerium animæ meæ.

Zelatus sum amorem, et honorem Tuum:

ideo defendas causam meam

ante Judicem Sæculorum.

Allectus sum gratia, et bonitate Tua: oro

ne frauder a spe, et confidentia bona.

Conforta animam meam in novissimis :

et in came ista fac me conspicere Salvatorem.

Gloria, etc.

Ant. 1: Conforta, Domina, animam meam in

novissimis: et defende causam meam ante

Judicem Sæculorum.

Ant. 2: Da, Domina.

PSALM. CIII

Benedic anima mea Virgini Mariæ: honor

et magnificentia Ejus in perpetuum.

Formositatem, et pulchritudinem induisti:

amicta es, Domina, fulgenti vestimento.

De Te procedit peccatorum medela: et

pacis disciplina ac fervor charitatis.

Imple nos servos Tuos virtutibus Sanctis:

et ira Dei non appropinquet nobis.

Jucunditatem æternam da servis Tuis: et

noli eos oblivisci in certamine mortis.

Gloria, etc.

Ant. 2: Da, Domina, servis Tuis jucundititem

aeternam, et noli eos oblivisci in certamine

mortis.

Ant. 3: Non expavescent.

PSALM. CX.

Confitebor Tibi, Domina, in toto animo

meo: glorificabo Te in tota mente mea.

Opera gratiæ Tuæ commemorabuntur: et

testamentum misericordiæ Tuæ

ante Thronum Dei.

Per Te missa est redemptio a Deo:

populus pœnitens habebit spem salutis.

Intellectus bonus omnibus honorantibus

Te : et sors illorum erit inter Angelos pads.

Gloriosum, et admirabile est Nomen Tuum

: qui illud in corde retinent,

non expavescent in puncto mortis.

Gloria, etc.

Ant. 3: Non expavescent, Domina, in punc

to mortis, qui invocant nomen Tuum: et

sors illorum erit inter Angelos pacis.

Ant. 4:  In exitu.

PSALM. CXIII.

In exitu animæ meæ de hoc mundo:

Occurre illi, Domina, et suscipe eam.

Consolare eam vultu sancto Tuo:

aspectus Dæmonis non conturbet illam.

Esto illi scala ad Regnum Cœlorum: et

iter rectum ad Paradisum Dei.

Impetra ei a Patre indulgentiam pacis; et

sedem lucis inter servos Dei.

Sustine devotos ante Tribunal Christi:

suscipe causam eorum in manibus Tuis.

Gloria, etc.

Ant. 4: In exitu animæ meæ de hoc mundo:

occurre illi, Domina, et suscipe eam.

Ant. 5: Circumdederunt.

PSALM. CXIV

Dilexi Matrem Dei Domini mei: et lux

miserationum Ejus infblsit mihi.

Circumdederunt me dolores mortis:

et visitation Mariæ lætificavit me.

Dolorem et periculum incurri: et recreatus

sum gratia Illius.

Nomen Ejus, et memoriale Illius

sit in medio cordis nostri:

et non nocebit nobis ictus malignantis.

Convertere, anima mea, in laudem ipsius :

et invenies refrigerium in novissimis Tuis.

Gloria, etc.

Ant. 5: Circumdederunt me dolores mortis;

et visitatio Mariæ lætificavit me.

Preces ut supra.

OREMUS.

Propter gravamen, et tormentum quo torquebatur

spiritus Tuus, Virgo sanctissima,

quando juxta Crucem Filium Tuum præ doloribus

voce magna clamantem, Te Matrem

dilectam Joanni commendantem, in manusque

Dei Patris spiritum tradentem attendebas:

succurre nobis in fine vitæ nostræ, et maxime

tunc, quando lingua nostra nequiverit se ad

Te invocandem movere; cum oculi nostri lumine

privabuntur, aures surdescent et obturabuntur,

omnesque vires sensuum nostrorum

deficient. Memento, piisima Domina, tunc,

quod nunc fundimus preces ad aures Tuae

pietatis et clementiæ; et subveni nobis in

ilia hora extremæ necessitatis, ac Filio Tuo

dilectissimo commenda spiritum nostrum, per

Quem Tuo interventu a tormentis, et terroribus

omnibus eruamur, et ad desideratam Cœlestis

patriae requiem perducamur. Præstante

eodem Domino nostro Jesu Christo Filio

Tuo, etc. Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus

Christi.

V. Requiescamus in pace. R. Amen.

Canticum S. Bonaventuræ, Te Matrem Dei laudamus, etc.

PRO FERIA V.

Alia Oratio ejusdem S. D. in eodem loco.

Oramus etiam Te, piissima Virgo Maria,

mundi Regina, et Angelorum Domina, ut iis,

quos in Purgatorio ignis examinat, impetres

refrigerium, peccatoribus indulgentiam, et

justis perseverantiam in bono: nos quoque

fragiles ab omnibus instantibus defende periculis.

Per Christum, etc. Amen.

FERIA SEXTA

Praeparabis te ad commendationem animæ; et ad Plagas Jesu petes semper vigilare et orare, ut vincas omnes tentationes et bonam mortem consequaris.

[Ti preparerai a commendare l’anima; ed alle piaghe di Gesù chiederai di vigilare e pregare sempre per vincere ogni tentazione e conseguire la buona morte]

Præp. quotid. — Ave Mabia.

V. Illumina oculos, ut supra.

Ant. 1: In die mortis.

PSALM. CXIX.

Ad Dominam cum tribularer, clamavi;

et exaudivit me.

Domina, libera nos ab omni malo:

cunctis diebus vitæ nostræ.

Contere caput inimicorum nostrorum:

pede insuperabilis virtutis Tux.

Ut exultavit spiritus Tuus in Deo salutari Tuo:

sic veram digneris infundere

lætitiam corde meo.

Ad Dominum accede rogatura pro nobis:

ut per Te nostra peccata deleantur.

Gloria, etc.

Ant. 1: In die mortis nostras infunde nobis

Domina, veram laetitiam: sicut exultavit

spiritus Tuus in Deo salutari Tuo.

Ant. 2: Impetra nobis.

PSALM. CXXI.

Lætatus sum in Te, Regina Cœli: quia

Te duce, in domum Domini ibimus.

Hierusalem Cælestis civitas: ad Te, Maria

previa, veniamus.

Pacem, et indulgentiam, Virgo, nobis impetra:

et palmam de hostibus ac triumphum.

Conforta, et consolare cor nostrum;

Tuæ dulcedine pietatis.

Sic Domina nobis Tuam infunde clementiam:

ut devote in Domino moriamur.

Gloria, etc.

Ant. 2: Impetra nobis, Domina, pacem, et

indulgentiam, ut devote in Domino moriamur.

Ant. 3: Releva, Domina.

Qui confidunt in Te, Mater Dei:

non timebunt a facie inimici.

Gaudete et exultate omnes, qui diligitis

eam: quia adjuvabit vos in die tribulationis

vestræ.

Reminiscere miserationum Tuarum Domina:

et releva peregrinationem incolatus nostri.

Convene amabilem vultum Tuum super

nos : confunde, et destrue omnes inimicos

nostras.

Benedicta sint omnia opera manum Tuarum,

Domina: benedicta sint omnia sancta

miracula Tua. Gloria, etc.

Ant. 3: Releva, Domina, peregrinationem in

colatus nostri; et adjuva nos

in die tribulationis.

Ant. 4: Fac, Domina.

PSALM. CXXVIII.

Sæpe expugnaverunt me a juventute mea

inimici mei: libera me Domina,

et vindica me ab ipsis.

Ne des illis potestatem in animam meam:

custodi omnia interiora, et exteriora mea.

Obtine nobis veniam peccatorum: et per

Te Sancti Spiritus gratia nobis detur.

Fac nos digne et laudabilliter pcenitere:

ut beato fine ad Deum veniamus.

Placatum tunc, et serenissimum: nobis

ostende gloriosum fructum ventris Tui. Gloria,

Ant. 4: Fac Domina, ut beato fine ad Deum

veniamus; et ostende nobis tunc placatum

gloriosum fructum ventris Tui.

Ant. 5. Deduc me.

PSALM. CXXIX.

De profundis clamavi ad Te Domina:

Domina, exaudi vocem meam.

Fiant aures Tuæ intendentes: in vocem

laudis, et glorificationis Tuæ.

Libera me de manu adversariorum meorum:

confunde ingenia, et conatus eorum

contra me.

Erue me in die mala: et in die mortis ne

obliviscaris animæ meæ.

Deduc me ad portum salutis: et inter

justos scribatur nomen meum.

Gloria, etc.

Ant. 5: Deduc me, Domina, ad portum salutis:

et in die mortis Tie obliviscaris animae

meæ.

Preces, ut supra.

OREMUS.

Propter planctum acerbi ejulatus,

quem profundo pectoris fonte

manantem abscondere non valebas,

Virgo castissima, quando (ut pie creditur)

in amplexus ruebas exanimum

corpus Filii Tui de cruce depositum, cujus

genas ante nitentes, et ora rutilantia mortis

conspiciebas perfundi palloribus, ipsumque

totum concussum cemebas lividum livoribus,

ac concisum vulnere super vulnus; auxilliare

nobis, ut nunc sic nostra plangamus facinora,

et emplastris pœnitentia peccatorum curemus

vulnera, ut dum corpus nostrum morte deformatur,

nostra tunc utilet anima candore innocentiæ;

quatenus digni simus frui mellifluis

osculis, constringamurque amorosis amplexibus

super omnia dulcissimi Filii Tui Domini

nostri Jesu Christi; qui cum Patre, et Spiritu

Sancto vivit, etc. Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus

Christi.

V. Requiescamus in pace. R. Amen.

Canticum S. Bonaventuræ, Te Matrem Dei laudamus, etc.

PRO FERIA VI.

Oratio ex Devotionario B. V.

O Domina mea Sancta Maria, me in

Tuam benedictam fidem, ac singularem custodiam,

et in sinum misericordias Tuae hodie et

quotidie, et hora exitus mei, animam meam

et corpus meum Tibi commendo, omnem

spem meam, et consolationem meam, omnes

angustias et miserias meas, vitam et finem vitæ meæ

Tibi committo: ut per Tuam sanctissimam

intercessionem et per Tua merita,

omnia mea dirigantur, et disponantur opera

secundum Tuam, Tuique Filii voluntatem.

Amen.

SABBATO.

Prœparabis te ad Judicium et Præmium servi boni et fidelis; et ad Plagas Jesu propones taliter vivere usque ad mortem, ac petes esse liber a malo omnis peccati et perditionis æternæ.

Praep. quotid. — Ave Maria.

V. Illumina oculos, ut supra.

Ant. 1 Conforta nos.

PSALM. CXXX

Domina non est exaltatum cor meum: ne

que sublimati sunt oculi mei.

Benedixit Te Dominus in virtute Sua:

qui per Te ad nihilum redegit inimicus nostras.

Benedictus sit qui Te a peccato originali

præservavit: et mundam de Matris utero Te

produxit.

Benedictus sit qui Te obumbravit:

et sua gratia Te fæcundavit.

Benedic nos, Domina, et conforta nos in

gratia Tua: ut per Te ante conspectum

Domini præsentemur.

Gloria, etc.

Ant. 1:  Conforta nos, Domina, indie mortis,

ut per Te ante conspectum Domini præsentemur.

Ant. 2: Respiremus.

PSALM. CXXXIV

Laudate nomen Domini: benedicite nomen

Mariæ Matris Ejus.

Mariæ precamina frequentate:

et suscita

bit vobis voluptates sempiternas.

In anima contrita veniamus ad illam : et

non stimulabit nos cupiditas peccati.

Qui cogitat de Ilia in tranquillitate mentis :

inveniet dulcorem, et requiem pacis.

Respiremus ad Illam in omni actione nostra:

et reserabit nobis atria triumphantium.

Gloria, etc.

Ant. 2: Respiremus ad Mariam in die mortis nostra:

et reserabit nobis atria triumphantium.

Ant. 3: In quacumque.

PSALM. CXXXVII

Confitebor Tibi, Domina, in toto corde meo:

quia per Te expertus sum clementiam Jesu Christi.

Audi, Domina, verba mea, et preces meas:

et in conspectu Angelorum cantabo Tibi

laudes.

In quacumque die invocavero Te, exaudi

me: et multiplica virtutem in anima mea.

Confiteantur Tibi omnes tribus, et linguæ:

quia per Te salus restituta est nobis.

Ab omni perturbatione libera servos Tuos:

et fac eos vivere sub pace, et protection Tua.

Gloria, etc.

Ant. 3: In quacumque die invocavero Te,

Domina, exaudi me; et multiplica

virtutem in anima mea.

Ant. 4: Hostis meus.

PSALM. CXLI.

Voce mea ad Dominam clamavi: Ipsamque

humiliter deprecatus sum.

Effudi in conspectu Ejus lacrymam meam:

dolorem meum Ipsi exposui.

Insidiatur hostis calcaneo meo:

Extendit contra me rete suum.

Adjuva me, Domina, ne corruam coram eo:

fac ut conteratur sub pedibus meis.

Educ de carcere animam meam, et confiteatur

Tibi: et psallat Deo forti in perpetuum.

Gloria, etc.

Ant. 4: Hostis meus insidiatur calcaneo meo :

adjuva me Domina, ne corruam coram eo.

Ant. 5:  Cum exierit.

PSALM. CXLV.

Lauda, anima mea, Dominam: glorificabo

Eam quamdiu vixero.

Nolite cessare a laudibus ejus: et per

singula momenta recogitate Illam.

Cum exierit spiritus meus, Domina,

sit Tibi commendatus: et in terra ignota

præsta illi ducatum.

Non conturbent eum culpæ prius commissi:

nec inquietent ipsum concursus malignantis.

Perduc eum ad portum salutarem: ibi

præstoletur secure adventum Redemptoris.

Gloria, etc.

Ant. 5: Cum exierit, Domina, spiritus meus,

sit Tibi commendatus, et in terra ignota præsta

illi ducatum.

Preces ut supra.

OREMUS.

Propter singultus, et suspira, indicibiliaque

lamenta, quibus affligebantur intima Tua,

Virgo Gloriosissima, quando Filium Tuum

Unigenitum animæ Tuæ solatium Tibi sublatum

et sepultum videbas: ad nos exules filios Evæ

ad Te clamantes,  et suspirantes in hac

valle lacrymarum illos Tuos misericordes oculos

converte, et Jesum benedictum fructum

ventris Tui nobis post hoc exilium ostende,

Tuisque suffragantibus meritis, Ecclesiasticis

fac Sacramentis muniri, et fine beato consumari,

et æterno Judici tandem misericorditer

presentari. Prestante eodem Domino nostra

Jesu Christo Filio Tuo, qui cum Patre, etc.

Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus

Christi.

V. Requiescamus in pace. R. Amen.

CANTICUM S. BONAVENTURÆ

Considerabis gloriosum transitum et Assumptionem B. M. V. eamque cum Angelis laudabis, orans, ut cum Jesu et S. Joseph tibi assistat in morte.

Te Matrem Dei laudamus: Te Mariam

Virginem profitemur.

Te Æterni Patris Filiam: omnis terra veneratur.

Tibi omnes Angeli, et Arcangeli: Tibi

Throni, et Principatus fideliter deserviunt.

Tibi omnes Potestates, et omnes Virtutes

Cœlorum: et universal Dominationes obediunt.

Tibi omnes Chori: Tibi Cherubim, et

Seraphim exultantes assistunt.

Tibi omnis Angelica creatura: incessabili

voce proclamat.

Sancta, Sancta, Sancta : Maria Dei Genitrix,

et Mater, et Virgo.

Pleni sunt Coeli, et Terra: Majestatis

gloriae Fructus ventris Tui.

Te gloriosus Apostolorum Chorus: Sui

Creatoris Matrem collaudat.

Te Beatorum Martyrum ccetus Candidatus:

Christi Genetricem glorificat.

Te Gloriosus Confessorum exercitus Trinitatis

Templum appellat.

Te Sanctarum Virginum chorea amabilis:

Virginitatis, et humiliatis exemplum pradicat.

Te tota Cœlestis Curia: Reginam honorat.

Te per universum Orbem:

Ixclesia invocando concelebrat.

Matrem: Divinæ Majestatis.

Venerandam Te veram:

Regis Cœlestis puerperam.

Sanctam quoque: dulcem et piam.

Tu Angelorum Domina: Tu Paradisi janua.

Tu Scala Regni Cœlestis et gloriæ.

Tu Thalamus: Tu Arca pietatis, et gratiæ.

Tu vena Misericordiæ: Tu Sponsa, et

Mater Regis æterni.

Tu templum, et Sacrarium Spiritus Sancti:

totius Beatissimae Trinitatis nobile triclinium.

Tu mediatrix Dei, et hominum: amatrix

mortalium, Cœlestis illuminatrix.

Tu agonizatrix pugnantium, advocata pauperum

: miseratrix, et refugium peccatorum.

Tu erogatrix munerum; Superatrix, ac

Terror Demonum et superborum.

Tu mundi Domina, Cœli Regina: post

Deum sola Spes nostra.

Tu salus Te invocantium,

Portus naufragrantium:

miserorum solatium, pereuntiumrefugium.

Tu Mater omnium Beatorum, Gaudium

Plenum post Deum: omnium supernorum

Civium Solatium.

Tu Promotrix justorum, Congregatrix errantium:

Promissio Patriarcharum.

Tu Veritas Prophetarum, Praeconium, et

Doctrix Apostolorum: Magistra Evangelistarum.

Tu fortitudo Martyrum,Exemplar Confessorum:

Honor, et Festivitas Virginum.

Tu ad liberandum exulem hominem: Filium

Dei sucepisti in uterum.

Per Te, expugnato hoste antiquo: sunt

aperta fidelibus Regna Cœlorum.

Tu cum Filio Tuo sedes: ad dexteram

Patris.

Tu Ipsum pro nobis roga, Virgo Maria:

Quem nos ad judicandum credimus esse venturum.

Te ergo poscimus nobis Tuis famulis subveni:

qui pretioso Sanguine Filii Tui

redempti sumus.

Æterna fac, pia Virgo: cum Sanctis Tuis

nos gloria numerari.

Salvum fac populum Tuum, Domina: ut

simus participes hæreditatis Filii Tui.

Et rege nos: et custodi nos in æternum.

Per singulos dies: O Pia, Te salutamus.

Et laudare Te cupimus: usque in æternum

mente et voce.

Dignare, dulcis Maria: nunc, et semper

nos sine delicto conservare.

Miserere, Pia nobis: miserere nobis.

Fiat misericordia Tua magna nobiscum:

quia in Te, Virgo Maria, confidimus.

In Te, dulcis Maria, speramus: nos defendas

in Æternum.

Te decet laus, Te decet imperium: Tibi

virtus, et gloria in sæcula sæculorum. Amen.

PRO SABBATO.

Oratio ex eodem Officio.

O Maria Dei Genitrix, et Virgo gratiosa,

omnium desolatorum ad Te clamantium consolatrix

vera, per illud magnum gaudium, quo

consolata es, quando cognovisti Dominum

Jesum die tertia a mortuis impassibilem resurrexisse;

sis consolatrix animae meae, et

apud eundem Tuum, et Dei natum Unigenitum

in die novissimo, quando cum anima et

corpore ero resurrecturus, et de singulis meis

factis rationem redditurus, medigneris juvare,

ut perpetuae damnationis sententiam per Te,

pia Mater et Virgo, valeam evadere, et cum

electis Dei omnibus ad eeterna gaudia feliciter

pervenire. Amen.

* * *

ORATIO S. AUGUSTINI.

Domine Jesu Christe, qui pro redemptione

mundi nasci voluisti, circumcidi, a Judaeis reprobari,

a Juda traditore osculo tradi, vinculis

alligari, sicut agnus innocens ad victimam

duci, atque conspectibus Annas, Caiphæ, Pilati

et Herodis indecenter offerri; a falsis testibus

accusari, flagellis et opprobriis vexari, sputis

conspui. spinis coronorari, colaphis credi,

arundine percuti facie velari, vestibus exui,

Cruci clavis affigi, in Cruce levari, inter latrones

deputari, felle, et aceto potari, et lancea

vulnari. Tu Domine, per has sanctisssmas

poenas Tuas, quas ego indignus recolo, et per

sanctam Crucem, et mortem Tuam, libera

me et omnes animas pretioso Sanguine Tuo

redemptas a poenis inferni: et omnes perducere

digneris quo perduxisti Latronem Tecum

crucifixum. Qui cum Patre, spiritu et Sancto

vivis, et regnas in sæcula sæculorum.

Amen.

Centum dies indulgentiæ quotiescumque sequens oratio

jaculatoria corde contrito devote recitabitur.

Dulcissimum Cor Mariæ sis mihi salus.

Benedicta sit Sancta et Immaculata Conceptio

Beatæ Mariæ Virginis.

V. In Conceptione Tua, Virgo Maria

Immaculata es.

R. Ora pro nobis Deum, cujus Filium

Jesum, conceptum de Spiritu Saneto genuisti.

Ad B. V. Mariam gladio doloris transfixam.

Scribe, Domina, Vulnera Tua in cor meum,

ut in eis legam dolorem et amorem; dolorem

ad sustinendum pro Te omnem dolorem;

amorem ad contendum pro Te omnem

amorem.

Ante SS. Communionem vel pro Communione Spirituali.

O Jesu vivens in Maria

Veni et vive in Famulo Tuo

In spiritus Sanctitatis Tuæ

In plenitudine Virtutis Tuus

In perfectione Viarium Tuarum

Tu veritate Virtutum Tuarum

In communione Mysteriorum Tuorum

Dominare omni adversae potestati in Spiritu

Tuo ad gloriam Patris. Amen.

Post SS. Eucharistiam, e diur. Sac. Ord. Præd.

O Serenissima et Inclyta Mater Domini

nostri Jesu Christi, Virgo Maria, Regina

Mundi, qui eundem creatorem omnium creaturarum

Tuo sanctissimo utero fuisti digna

portare, cujus idem Sacratissimum corpus ct

sanguinem sumpsi, ad ipsum pro me, misero

peccatori intercedere digneris ut quidquid in

hoc ineffabili Sacramento, ignoranter negligenter,

irreverenter et accidentaliter, omisso

vel commisso Tuis precibus sanctissimis milii

indulgere dignetur; Qui vivit et regnat in

sæcula sæculorum. Amen.

Pretiuncula Orationem claudens.

Suscipe, clementissime Deus precibus et

meritis Beatre Marias semper Virginis, et

omnium Sanctorum, officiura servitutis nostras,

et si quid dignum laude egimus, propitius

respice et quod negligenter actum est, clementer

ignosce, qui in Trinitate et unitate

perfecta vivis et regnas in sæcula.

V. Nos cum prole pia,

R. Benedicat Virgo Maria.

Fiant Domine ut complaceant eloquia mea

et meditatio cordis mei in conspectu Tuo semper.

Et Fidelium animæ, per misericordiam Dei

requiescant in pace. Amen.

22 Agosto: FESTA DEL CUORE IMMACOLATO DELLA VERGINE MARIA MADRE DI DIO (2020)

FESTA DEL CUORE IMMACOLATO DELLA VERGINE MARIA (2020)

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

 Hebr IV: 16.
Adeámus cum fidúcia ad thronum grátiæ, ut misericórdiam consequámur, et grátiam inveniámus in auxílio opportúno.
[Accostiamoci al trono delle grazie con piena e sicura fiducia, per avere misericordia e trovare grazia che ci soccorrano al tempo opportuno]

XLIV: 2
Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea regi.
Adeámus cum fidúcia ad thronum grátiæ, ut misericórdiam consequámur, et grátiam inveniámus in auxílio opportúno.

[Vibra nel mio cuore un ispirato pensiero, mentre al Sovrano canto il mio poema].

Adeámus cum fidúcia ad thronum grátiæ, ut misericórdiam consequámur, et grátiam inveniámus in auxílio opportúno.

[Accostiamoci al trono delle grazie con piena e sicura fiducia, per avere misericordia e trovare grazia che ci soccorrano al tempo opportuno]

Oratio

Orémus.

Omnípotens sempitérne Deus, qui in Corde beátæ Maríæ Vírginis dignum Spíritus Sancti habitáculum præparásti: concéde propítius; ut ejúsdem immaculáti Cordis festivitátem devóta mente recoléntes, secúndum cor tuum vívere valeámus.

[O Dio onnipotente ed eterno, che nel cuore della beata Vergine Maria hai preparato una degna dimora allo Spirito Santo: concedi a noi di celebrare con spirito devoto la festa del suo cuore immacolato e di vivere come piace al tuo cuore].

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ.
Eccli 24:23-31
Ego quasi vitis fructificávi suavitátem odóris: et flores mei, fructus honóris et honestátis. Ego mater pulchræ dilectiónis, et timóris, et agnitiónis, et sanctæ spei. In me grátia omnis viæ et veritátis: in me omnis spes vitæ, et virtútis. Transíte ad me omnes qui concupíscitis me, et a generatiónibus meis implémini. Spíritus enim meus super mel dulcis, et heréditas mea super mel et favum. Memória mea in generatiónes sæculórum. Qui edunt me, adhuc esúrient: et qui bibunt me, adhuc sítient. Qui audit me, non confundétur: et qui operántur in me, non peccábunt. Qui elúcidant me, vitam ætérnam habébunt.
[Come una vite, io produssi pàmpini di odore soave, e i miei fiori diedero frutti di gloria e di ricchezza. Io sono la madre del bell’amore, del timore, della conoscenza e della santa speranza. In me si trova ogni grazia di dottrina e di verità, in me ogni speranza di vita e di virtù. Venite a me, voi tutti che mi desiderate, e dei miei frutti saziatevi. Poiché il mio spirito è più dolce del miele, e la mia eredità più dolce di un favo di miele. Il mio ricordo rimarrà per volger di secoli. Chi mangia di me, avrà ancor fame; chi beve di me, avrà ancor sete. Chi mi ascolta, non patirà vergogna; chi agisce con me, non peccherà; chi mi fa conoscere, avrà la vita eterna].

Graduale

Ps XII: 6
Exsultábit cor meum in salutári tuo: cantábo Dómino, qui bona tríbuit mihi: et psallam nómini Dómini altíssimi.

[Il mio cuore esulta nella tua salvezza. Canterò al Signore perché mi ha beneficato,Inneggerò al nome del Signore, l’Altissimo.]

Ps XLIV: 18
Mémores erunt nóminis tui in omni generatióne et generatiónem: proptérea pópuli confitebúntur tibi in ætérnum. Allelúja, allelúja.

[Ricorderanno il tuo nome di generazione in generazione, e i popoli ti loderanno nei secoli per sempre. Alleluia, alleluia].

Luc 1:46; 1:47

Magníficat ánima mea Dóminum: et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo. Allelúja.

[L’anima mia magnifica il Signore, e si allieta il mio spirito in Dio, mio Salvatore. Alleluia].

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joann XIX: 25-27
In illo témpore: Stabant juxta crucem Jesu mater ejus, et soror matris ejus María Cléophæ, et María Magdaléne. Cum vidísset ergo Jesus matrem, et discípulum stantem, quem diligébat, dicit matri suæ: Múlier, ecce fílius tuus. Deinde dicit discípulo: Ecce mater tua. Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua.

[In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa, e Maria Maddalena. Gesù, dunque, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che amava, disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre». E da quell’ora il discepolo la prese con sé.]

OMELIA

[P. V. STOCCHI, S. J.: “DISCORSI SACRI”, Tipogr. Befani, ROMA, 1884]

DISCORSO XXIV.

SANTISSIMO CUORE DI MARIA

Qui me invenerit, inveniet vitam.

PROV. VIII, 35.

Fino da quando da chi mi tiene il luogo di Dio mi fu posto sopra le spalle il carico alla natura poco soave, di predicare la parola di Dio in tanta iniquità di tempi, il mio cuore e i miei occhi si conversero subito alla stella benedetta del mare, alla Madre immacolata di Dio e Madre nostra Maria, e posi incontanente le mie povere fatiche sotto gli auspici e sotto il patrocinio di Lei, alla quale fino dagli anni primi della mia vita ho dedicato tutte le cose mie e me medesimo. Da Lei madre di grazia, di luce, di fortezza e di verità sperai forza e vigore, da Lei grazia e virtù, da Lei efficacia e dono per condurre le anime a Gesù Cristo, da Lei insomma ogni cosa, e se nulla hanno operato le povere mie fatiche, se qualche frutto ha secondato il sudore e il travaglio della parola di Dio seminata da me, tutto il inerito è stato sempre di Maria della quale la misericordia e il patrocinio e nel corpo e nell’anima tocco tutto giorno con mano. Essendo così, è naturale che io ardentemente desideri di fare alcuna cosa che sia cara a questa Vergine gloriosa per attestarle la mia gratitudine; e fra le altre è mio costume di argomentarmi di tirare a Lei i cuori di tutti persuadendo a tutti che trovata Maria, troveranno la vita conforme a quello: qui me invenerit inveniet vitam. E per riuscire in questo intento soavissimo io ho per costume di non lasciare che trascorra alcun corso di predicazione, nella quale io abbia parte, senza favellare del Cuore benedetto di Maria, additandolo a tutti come porto unico e soavissimo di pace, di sicurezza, di misericordia. Tale io ho trovato il Cuore di Maria per me, tale l’ho sempre mostrato agli altri, tale a voi, se mi udirete, lo mostrerò stamattina signori miei. Vi parlerò del cuore di Maria pianamente e devotamente, quanto mi sarà possibile, cercando di innamorarne tutti e specialmente i poveri tribolati, gli afflitti e i peccatori, e beato me se riuscirò nell’intento. Innamorarsi del Cuore di Maria è come far suo quel Cuore benedetto; chi ha fatto suo il cuore di chi che sia è padrone di tutto l’uomo. E che bramerà di vantaggio chi abbia fatto suo il Cuor di Maria?

1. È cosa che si ripete ogni giorno nella santa Chiesa cattolica, e che mille volte ridetta torna sempre gradita come se nuova fosse al popolo cristiano, che nulla è più amabile più soave più salutare del pensiero, del nome, della memoria della Madre di Dio. Maria! Basta pronunziare questo nome perché palpiti ogni cuore, perché sorrida ogni labbro, perché ogni tristezza si dilegui, perché ogni petto si riempia di giubilo. Come, se dando luogo i nembi, la stella del mattino scintilla tremula nell’azzurro del firmamento, o come se dopo la pioggia si colori tra le nubi la variopinta gloria dell’iride, così dice Bernardo, tra le tenebre di questa terra sgombrano le nuvole, riede il sereno, chetano i turbini e fiorisce la pace, quando s’invoca Maria: Maria nella quale tutto innamora, il nome, il grado, la grazia, la gloria, la dignità. Tutto questo è verissimo e io mi glorio di predicarlo, né tacerò le glorie e le misericordie di tanta Madre, finché il cuore nel petto mi palpita, e si snoda alla parola la lingua. Con tutto ciò dilettissimi dopo avere detto Maria, provatevi a dire Cuore di Maria, voi sentite subito di avere detto qualche cosa di più caro, di più tenero, di più soave che dicendo semplicemente Maria. Accade a noi o Madre benedetta quando menzioniamo il tuo Cuore quello che ci accade quando menzioniamo il Cuore del tuo Figliuolo. Io dico Gesù, e il nome di Gesù è miele alle labbra, melodia alle orecchie, giubilo al cuore, ma se dopo avere detto Gesù passo innanzi e dico Cuore di Gesù, sento l’anima mia essere percossa di affetti insoliti verso il mio Redentore e me ne rendo questa ragione. Quando io dico Gesù, mi si rappresenta al pensiero nella pienezza della sua magnificenza della sua potestà il Verbo incarnato. Lo vedo quindi non solamente uomo ma Dio, non solamente amico e fratello, ma Pontefice e Re, non solamente Padre ma Giudice. Non così quando dico Cuore di Gesù. Il cuore è simbolo dell’amore, è sede dell’amore, è organo dell’amore. Chi dice Cuore dice amore, chi vede il cuore vede l’amore, e quando nomino il Cuore di Gesù, sparisce il giudice, il re, l’onnipotente a cui ogni ginocchio si curva in Cielo ed in terra, e vedo solo l’amante delle anime, il Pastor buono, il vero padre ed amico dell’uman genere morto in croce per me. E anche in questo o Madre benedetta voi vi rassomigliate al vostro Figliuolo. Io dico Maria, e nominandovi vedo Voi tutta quanta. Non vedo solamente la più amabile e misericordiosa creatura che abbia fatto il Signore, ma vedo ancora la augusta Regina della terra e del Cielo, l’innalzata al consorzio della Trinità sacrosanta, la piena e soprappiena di santità. E allora sento di amarvi, ma all’amore si mesce la riverenza, e per alta ammirazione la mia fronte si curva davanti a Voi. Eppure noi abbiamo bisogno di accostarci a Maria con fidanza filiale. E però passiamo avanti e diciamo Cuore di Maria. Ed ecco alla menzione del cuore sparisce la grande, la Regina, la sublime, la tutta santa, e altro più non vediamo fuorché la Madre piena di misericordia e di amore. Vengono quindi al dolce richiamo del tuo cuore vengono gli uomini al tuo cospetto o Maria e ti raccontano i loro dolori e ti partecipano le gioie, ti svelano le proprie miserie e ti chiedono le tue ricchezze, i nostri peccati, i nostri peccati medesimi non ci sgomentano vedendo il tuo cuore, e scoprendoli a te, sentiamo rilevarsi l’anima e speriamo la misericordia e il perdono. E questo è il motivo perché in questi miseri tempi Maria ha svelato straordinariamente il suo cuore. Ha voluto alla nostra generazione pervertita dalla empietà offrire un’esca dolcissima e un porto di salute e di pace. E gli uomini hanno inteso quest’arte di amore, e veduto il Cuor di Maria come trovato avessero un centro di attrazione invincibile, a quello sono corsi e in quello hanno trovato vita, salute, grazia, ogni bene: e più facile sarebbe contare le stelle del cielo e le arene del mare che le misericordie e le grazie d’ ogni maniera, che la devozione al suo cuore ha espugnato a Maria. No, quando si fa capo al suo cuore, Maria non resiste.

2. Ma entriamo alquanto più addentro e scandagliamo la ragione intima di tanta forza di attraimento che esercita sugli uomini il Cuore benedetto di Maria e la troveremo, per cosi dire, naturale nell’ordine soprannaturale della grazia. Mi aiuti Maria Perché il concetto della mente esprima adeguatamente la lingua. Uno degli spettacoli più misteriosi e più teneri che la natura appresenti è l’amore dei figliuoli verso la madre, e viceversa l’amore della madre verso i figliuoli. Ferì questo spettacolo la mente e gli occhi del divino Crisostomo, e lo espresse con viva eloquenza così. Mostra a un pargoletto lattante ancora e ignaro di tutto una regina coronata di gemme e vestita di oro dall’una parte, dall’altra mostragli la sua madre avvolta nei cenci e coperta di povertà e di squallore e vedrai. Nulla intende quel piccioletto nulla conosce, ma con tutto ciò non cura la regina, la sprezza, la sdegna, la risospinge, ma non così colla madre. Si ravviva tutto vedendola, brilla, sorride, e protendendo verso di essa con l’animo la persona, si scaglia e quasi si avventa per abbracciarla. Che è mai questa attrattiva, questo impeto e questa foga che rapisce quell’animo inconsapevole verso la madre? Che sia, non domandare che io non lo so, so che è cosa verissima e potentissima ed è un senso, un istinto ideato dalla mente divina e dalla divina mano inserito nell’anima, che stabilisce, corrobora, illeggiadrisce le relazioni naturali tra figlio e madre, tra madre e figlio. Essendo così, qual luogo tiene Maria nell’ordine mirabile della redenzione e della grazia? Tiene il luogo di madre. Mirabil cosa. Gesù Cristo è venuto in terra per stabilire tra gli uomini una famiglia collegata coi vincoli dell’amore e della fede, la quale in terra si inizi, e si consumi e perfezioni nel Cielo. In questa famiglia è un Padre ed è Pio, un primogenito ed è Gesù Cristo, fratelli moltissimi di ogni popolo, d’ogni tribù, di ogni lingua. Ma alla buona economia della casa è richiesto che ogni famiglia abbia una madre, che divida col padre l’autorità, che vegli con occhio amoroso la prole, e sopraintenda agli uffici più intimi e più delicati di casa. Ora Dio non ha voluto che a questa gran famiglia della sua Chiesa una madre mancasse, ed ottima di tutte le madri le ha dato Maria. E Madre la saluta la Chiesa, e il vocabolo col quale ogni Cristiano appella Maria è il dolce nome di Madre. Né questa è squisitezza o esagerazione mistica, ma verissima dottrina cattolica: e i Padri di tutti i secoli con consenso pienissimo insegnano che come Gesù Cristo è il nuovo Adamo miglior dell’antico, capo del genere umano rigenerato, così è Maria l’Eva novella madre per grazia di tutti quelli che Gesù Cristo rigenerò alla salute; e sono celebri i paralleli che tra Eva e Maria tessono Ireneo, Epifanio, Agostino e Bernardo. Voleva quindi ogni ragione che come nell’ordine della natura Dio inserisce nei figli un attraimento arcano verso la madre per cui anche il pargoletto inconsapevole la discerne tra mille e a lei corre e in lei si abbandona; cosi nell’ordine della grazia un affetto arcano, una propensione quasi istintiva fosse inserita verso Maria. E questo affetto questa propensione lo Spirito Santo medesimo inserisce nei petti cristiani sino da allora che nel santo Battesimo muoiono all’antico Adamo e rinascono al nuovo Adamo che è Gesù Cristo. In quelle acque sacrosante nelle quali veniamo rigenerati, insieme colla grazia santificante e cogli abiti delle virtù soprannaturali che ci si infondono, ci si infonde ancora l’abito dell’amore a Maria. E per negare che questo affetto ce lo troviamo quasi inserito nel cuore bisogna chiudere gli occhi alla luce, bisogna negare quello che ci dice ragionando altamente nel nostro cuore l’intimo senso. Pigliare quel pargoletto e quella pargoletta che pendono ancora dal seno materno, mostrate loro la immagine di Maria. Vedrete un’arcana simpatia, una tenerezza, una propensione, un attraimento di quell’anima innocente verso la benedetta fra le donne. Insegnategli a giungere le tenere mani e a balbettare con labbro infantile Maria, e vedrete con quanta facilità con quanto diletto quel dolce nome si stampa in quella memoria e in quel cuore, e dal cuore viene sul labbro, e sarete costretti a dire che lo Spirito Santo diffuso nei loro cuori generi questo affetto, generato lo nutrisca, nutrito lo perfeziona. Quindi è che questo affetto, se il peccato e l’iniquità non lo spengono, insieme colla fede cresce cogli anni e ci appresenta quello spettacolo che tutto giorno e agli altri porgiamo noi stessi, e noi stessi ammiriamo negli altri. Se ci stringe un pericolo, chi invochiamo per soccorso? Maria. Se ci rallegra insolazione chi ringraziamo per gratitudine? Maria. Se un ci preme, chi invochiamo per refrigerio? Maria. Se ci assedia una necessità a chi ci volgiamo per sovvenimento? A Maria. Si vede, o si vede e si tocca con mano in questa gran famiglia cristiana quello che si vede in ogni ben composta famiglia, e come in quella in ogni necessità, in ogni pena, in ogni consolazione, i figli fanno capo alla madre e tratti quasi da una dolce necessità ne la chiamano a parte; così anche in questa. E come nella famiglia un figlio che non ama la madre, che la disconosce e le fa villania si ha in conto di mostro snaturato e maledetto dagli uomini e da Dio; così fra i Cristiani quelli che non amano, che non curano, che hanno alieno e avverso l’animo da Maria, sono pochi perché sono mostri, e i mostri non sono mai un gran numero. Anche fra i Cristiani di vita prodigata e perduta troverete di rado alcuno che non serbi nel petto qualche scintilla di amore a Maria, e questo è pegno di salute e ancora di misericordia, e basta perché non se ne debba disperare la conversione. Ma se qualcuno se ne trova o Dio guai a lui; fa orrore, mette spavento appunto come un mostro, e fra i segni di riprovazione non ce n’è alcuno che sia più terribile di una non so quale alienazione e avversione di animo da Maria. Questa avversione questo allenamento si è sempre visto negli eresiarchi più atroci e più empì, e Lutero diceva, siccome è noto, tutta l’anima mia si ribella e non posso patire in pace che mi si dica che la mia speranza è Maria. Infelice, cui il demonio invasava il petto del veleno e dell’odio che lo consuma contro la sua nemica. Quest’odio vediamo rinnovellato ai dì nostri nei settari che si sono venduti alle congreghe d’inferno, e fanno guerra a Maria ne bestemmiano il nome, ne distruggono il culto e le immagini, anime reprobe e destinate all’inferno. Da questi infuori regna in tutti i cuori cattolici l’amore, la tenerezza e una propensione filiale verso Maria. Ma che dico solo tra i Cattolici? Domandate donde trae suo principio la conversione degli eretici alla Chiesa Cattolica e sentirete che il primo passo fu un pio affetto che sentirono nascersi in petto verso Maria. Interrogate il missionario che si aggira per le barbare spiagge dell’Australia e della Polinesia come fa ad attrarre a sé quei barbari e di bestie farli uomini e di uomini Cristiani? Sotto un padiglione di verzura adorna di veli e di fiori che dà il paese, campeggia una cara immagine di Maria. Il selvaggio dal folto dei macchioni e dal cupo degli antri dove si intana vede quella cara sembianza e si accosta, e attonito domanda chi sia quella matrona sì augusta e sì amabile? Ode che è la Madre di Dio, e tirato e vinto quasi da catena amorosa dal nome di Maria è condotto a Gesù Cristo e alla Chiesa. Non vi faccia meraviglia. L’anima, disse sapientemente Tertulliano, è naturalmente cristiana, e avendo col Cristianesimo proporzione sì grande, non può non avere propensione naturale verso chi è la Madre di Gesù Cristo e del Cristianesimo, delle membra e del capo. Ma se Maria è la Madre universale andate al suo cuore. La madre più che altro si governa col cuore, e se volete espugnarla ragionate poco e date opera di guadagnarle il cuore: guadagnato il cuore è già vinta. Maria è madre andiamo al suo cuore, preghiamola pel suo cuore, espugniamo il suo cuore: la impresa è facile, ed otterremo ogni cosa.

3. Ma Dio tanto amore ha infuso e propensioni affettuose così mirabili nel cuore del popolo cristiano verso Maria, avrà poi lasciato imperfetta l’opera sua, e non avrà acceso una fiamma di amore corrispondente nel cuore di tanta Madre? Voi intendete bene che questa mia domanda significa questo. Se ci ama Maria, e il nostro cuore ha risposto a quest’ora, se ci ama Maria? E non è il medesimo dire Maria e dire la più tenera e amorosa di tutte le madri? Le opere di Dio sono perfette nell’ordine della natura, ma nell’ordine della grazia sono perfette infinitamente di più. Ora la natura con la sua mano innesta nel petto dei figli l’amore verso la madre, ma nel cuore delle madri inserisce un amore molto più veemente molto più tenero, molto più sviscerato e costante. Vedrete quindi moltissimi figli disamorati delle loro madri, ma madri che non amino i figli le troverete rarissime, e appena qualcuna che vi metterà come snaturata sdegno e ribrezzo. Ora volendo Dio dare in Maria al mondo una madre, inserì nel cuore degli uomini un grande amore di Lei, ma nel cuore di Lei accese verso di noi un amore che non ha paragone altro che coll’amore che per noi arde nel cuore di Gesù. E per questo affetto cominciò il signore l’opera sua fino da quando questa futura Madre di Dio e degli uomini fu concetta, e le collocò in petto un cuore somigliante a quello che da Lei preso avrebbe Gesù, perché Maria, dice sapientemente S. Efrem Siro, è un’opera fatta solamente pel Verbo incarnato, di forma tale che se il Verbo non si fosse dovuto incarnare Maria non sarebbe stata nel mondo introdotta. A questo cuore poi lavorato apposta per amare gli uomini, Gesù medesimo che creato lo aveva, dette colla sua mano stessa la perfezione e la tempera, e lo empié del suo amore medesimo e lo scaldò della sua medesima fiamma. E chi ne può dubitare? Gesù prese carne dei sangui purissimi sgorgati dal Cuore di Maria, Gesù albergò nove mesi nel santuario verginale dell’utero di Maria, e quei due cuori palpitarono di un medesimo palpito e vissero di una medesima vita. Che faceva quei nove mesi che tenne compresso il claustro delle viscere materne, che faceva dico, il Cuore di Gesù? Ardeva di amore smisurato ed ineffabile verso i figliuoli degli uomini. Come dunque non doveva accendere il cuore di Maria del suo medesimo ardore e temperarlo alla fucina delle fiamme che consumavano il suo? Ma che sarà stato poi durante quei trentatré anni che Ella dimorò con Gesù pellegrina celeste sopra la terra? Ci dice il Vangelo che questa Verginella prudente teneva sempre gli occhi in quel modello divino e tutto esaminava notava tutto, e quello che Gesù faceva e quel che diceva, e le comunicazioni mirabili col Padre, e le predilezioni verso i figliuoli degli uomini, e le propensioni, e i desideri e gli affetti, e nulla le sfuggiva e faceva tesoro di tutto, e tutto conservava dentro al suo cuore e tutto ponderava, tutto pensava, tutto seco medesima conferiva con diligenza celeste. Conservabat omnia verba hæc in corde suo. (Luc. II, 51) Avete udito? Teneva assiduamente il suo cuore alla scuola del Cuore di Gesù e lo formava su quel modello divino con sollecitudine tenera, gelosa, assidua, squisita. Conservàbat omnia verba hæc in corde suo. E che altro da quel Cuore poteva imparare il tuocuore o Maria fuor che ad amare quantunque immeritevoli, quantunqueingrati i figliuoli degli uomini? Ma che fa mestieri procedereper argomenti a mostrare l’amore di Maria verso gli uomini?Basta aver occhi per vedere com’Ella tutti mirabilmenteforniscegli uffici di ottima madre. A che prove conoscete se unamadre ama veramente i figliuoli? Alle opere. Vedete non vive altroche per la sua famiglia, altro non cerca, di altro non si briga,non pensa ad altro. Ora in ogni famiglia ben ordinata, chi guardibene vedrà che essendoci una madre e un padre sono tra questoquasi domestico magistrato compartiti gli uffici. L’autorità paterna èun’autorità grave e robusta, la materna, amorosa e soave,il padre sopraintende ai negozi che escono fuori delle pareti domestiche,e regola le relazioni esterne della famiglia, la madre èuna autorità casalinga a cui appartengono le cure tenui ed interne.Alle cure grandi e rilevanti attende il padre, la madre dàopera alle incombenze minute. Però la madre si tiene davanti damane a sera la sua famigliuola e vede tutto, tutto procura, nullale sfugge. Al modo medesimo passano le cose in questa gran famigliadella Chiesa, dice Bernardo. Ci è Dio nostro padre e GesùCristo nostro fratello e da loro scende ogni bone. Ma ci è ancheuna madre a cui appartiene il governo e l’economia domestica di questa famiglia ed essa è Maria. Si tiene Ella però davantitutti i figli della santa Chiesa Cattolica, e tutti ci vede, ci conoscetutti, tutti ci custodisca, tutti ci veglia, vede tutte le nostronecessità, indaga i bisogni e atutti e pensa e provvede. E questopovero figlio è peccatore, è peccatrice questa povera figlia: equesto è tribolato, quest’altra èafflitta: e quale è infermo e qualein pericolo: a questo tende insidie il demonio, quest’altro ilmondo lusinga: questa sta per cedere a un seduttore, quell’altroincatenano i lacci di una occasione: vede Maria vede, il cuorematerno incenerisce, l’amore la sollecita e non ha pace. Si volgeal Figlio, si appresenta al trono della Trinità sacrosanta, e supplicae implora a questo la conversione, la salute a quell’altro,a chi la forza e la grazia, a chi la speranza, a chi la consolazione,a chi lo scampo e la vita, a chi la vittoria contro il malignoin vita e in morte. Però è sempre attorno pel Paradiso, ei santi Padri leggiadramente la chiamano del Paradiso la faccendiera.però come nella famiglia i figlioletti chiamano più la madre che i l padre, così nella Chiesa cattolica si chiama Maria continuamente,Maria Maria. Non udite? Maria si grida dal mare seminaccia procella, e se l’onda è tranquilla le si insegna a salutarla stella del mare: Maria si invoca dalla terra o volgono prosperie felici i successi o corrono torbidi e avversi. Dai letti deldolore si chiama Maria, nelle angustie e nelle distrette Maria s’invoca.Ed Ella? Ed Ella come colei che tota suavis est ac plena misericordiae, che tutta è soave e piena di misericordia, omnibus sese exorabilem, dice Bernardo, omnibus clementissimam præbet, omnium necessitatibus amplissimo quodam miseratur affectu. Con quel suo cuore buono, largo, benfatto, generoso, benefico,a tutti si porge esorabile, clementissima a tutti, e conamplissimo affetto s’intenerisce alle necessità di tutti. Però ognitempio, ogni lido, ogni terra, ogni spiaggia è piena dei monumentie dei voti che attestano, che cuore sia quello di Maria, equei monumeni e quei voti gridano in loro linguaggio, Maria haun cuore grande, tenero, gentile, benefico: chi fa capo a quelcuore non patisce ripulsa: omnium necessitatibus amplissimo quodam miseratur affectu.

4. E perché Maria fosse tale Dio volle esercitare e perfezionare col dolore il cuor suo immacolato, verginale, santissimo, innocentissimo. Avrete sentito dire che Maria dal momento che divenne Madre di Dio divenne madre ancor di dolore, e portò sempre infitta nel mezzo al cuore una spada. È verissimo e cosi fu, e così conveniva che fosse. Perché osservate. Una madre buona e degna di questo nome ama tutti egualmente i figliuoli suoi: non ha parzialità per nessuno: sono tutti frutti delle sue viscere, li ama tutti ad un modo. Ma se tra i figli alcuno ne sia pel quale sperimenti più tenerezza qual’è ? È quello per cui ha molto patito. Il cuore di ogni madre è fatto così, il dolore patito genera amore, e il figliuolo delle lacrime e del dolore è il figliuolo prediletto. Essendo così, Dio che ci ha dato per figli a Maria, e ha costituito Lei nostra madre perché tutti ci avesse in grado di prediletti ha voluto che tutti fossimo per Lei figli di dolore. Già fin da quando aperse le sue viscere al Verbo di Dio intese che quel figliuolo destinato ad essere vittima del genere umano sarebbe per lei figliuolo di lacrime: ma lo intese anche meglio poco di poi. Aveva appena da quaranta giorni partorito Gesù e madre fortunata e incomparabile portava al tempio il frutto delle sue viscere, quando torbido e rabbuffato le si fece incontro un vegliardo per nome Simeone e presole di tra le braccia il bambino, questo bambolo, esclamò, è posto in ruina e in resurrezione di molti, e in bersaglio di contradizione: e tu donna preparati perché per conto di Lui una spada ti trapasserà il cuore da parte a parte. Intese allora Maria tutto il mistero e capi che quel figlio all’età di trentatré anni le morirebbe crocifisso. Povero cuore da quel giorno in poi non ebbe più lieta un’ora, e come Gesù dal presepio al calvario ebbe sempre nel cuore la croce, così tu o Maria avesti sempre nel cuore la spada. Cresceva Gesù, crescendo in età sempre diveniva più vezzoso, più giocondo, più bello, lo irraggiava la sapienza, lo infiorava la grazia, Dio e gli uomini si compiacevano in esso, le spose e le madri di Sion ti predicavano beata, e tu tacevi: ma chi ti avesse letto nel cuore avrebbe letto le parole della desolata Noemi: non mi chiamate felice ma amara perché il Signore mi ha ripiena di amaritudine: e il significato di queste parole si sarebbe inteso quel giorno che ti sarebbe conferito il grado di madre degli uomini. Orsù dilettissimi, rispondete: quando e dove Maria veramente ci partorì e diventò madre noi? Nel gran giorno del dolore là sul Calvario. Stabat iuxta crucem Iesu Mater Eius. (Ioan. XIX, 25.) Pendeva Gesù dalla croce sanguinolento olocausto: ai piedi della croce stava Maria. Presso Maria, rappresentante nostro, stava Giovanni. Maria trambasciava di dolore, Gesù la vide, e additandole Giovanni le disse: ecco il tuo figliuolo, e a Giovanni: ecco la madre tua. Allora divenne Maria madre nostra, e in Giovanni tutti quanti ci accettò per figliuoli, e Gesù consumò l’opera gettandole in petto una parte di quella fiamma che nel suo Cuore allora ardeva per noi. Coraggio o carissimi, coraggio: Maria ci ama, siamo suoi figli e non figli in qualunque modo, ma figli del suo dolore, e però prediletti, e quando ci vede ricordandosi quel che ha patito s’intenerisce, il suo cuore non regge più e dimentica tutto e solo sente le voci dell’amore. Tutta la terra è piena delle misericordie di Maria verso i figliuoli degli uomini che si cantano in ogni lingua, si magnificano da ogni labbro. Come mai in tal Regina tanto amore verso una generazione scortese, ingrata, villana? Non vi stupite gli uomini sono figliuoli del suo dolore. Nessuno dunque abbia temenza di accostarsi a Maria. Ogni temenza sarebbe irragionevole. Andate pure e sappiate che quando un figliuolo la supplica, il cuor suo non resiste. Guardatela ha il cuore in mano e par che vi dica son io sì, son io, son vostra madre, accostatevi e vedrete che cuore è questo.

5. E però è che la anta Chiesa tutti invita, tutti sprona a rifuggire al Cuor di Maria: ma di preferenza appresenta quel cuore ai peccatori, che pei peccatori sembra che sia aperto principalmente in questi tempi novissimi, onde la devozione al Cuore di Maria è ordinata principalmente alla conversione dei peccatori. Intendo, intendo. Datemi una madre tenera, sviscerata quanto volete dei suoi figliuoli, datemela a vostro talento imparziale verso tutti i frutti delle sue viscere, vedrete con tutto ciò, che se uno dei suoi figliuoli o le cade infermo e il morbo si aggrava, o geme prigioniero, o vaga tribolato e ramingo sembra che questa madre muti natura. Non sembra più imparziale né eguale con tutti i figli: sembra invece che dimentichi tutti gli altri, che non li curi: tutte le sollecitudini sembrano essere pel figliuolo che tribola e che patisce, sembra che in lui si concentri tutto l’affetto. La vedete quindi o assisa di dì e di notte alla sponda del letto molcere le angosce e alleviare i dolori del caro infermo: o sollecita di sapere le novelle del prigioniero diletto, e dell’amato ramingo, di altro non favella se parla, ad altro non pensa se tace, non ode volentieri che si parli di altri fuorché di loro. Sono tribolati, hanno ragioni sovrane sul cuor materno. Ora chi sono in questa gran famiglia che Dio ha dato a Maria i poveri peccatori? Sono figli prigionieri, sono figli raminghi, son figli infermi. Infermi della pessima malattia del peccato, raminghi ed esuli dalla casa del Padre, prigionieri del diavolo già condannati all’inferno. Li vede Maria e ne sa la miseria incomparabile, e il suo Cuore materno si strugge e si consuma di dolore e di amore. Poveri figli non sanno quello che fanno, sono ciechi, sono travolti da infelicissimo errore: si perdono e non intendono il loro male. Ah! il Cuor di Maria non ha pace, grida mercé al suo Figlio, li cerca, li scuote, li sollecita, li invita, li alletta, e con tenere voci da mane a sera li chiama, e poiché non ascoltano si volge ai figli fedeli, e voi, dice, voi aiutatemi, se mi amate, aggiungete la vostra voce alla mia, e uniti insieme riconduciamo al Padre questi profughi sconsigliati e cari. Peccatori, sentite a quando a quando quelle voci al cuore, quelle grida della coscienza lacerata, quegli impeti, quegli impulsi a tornare al Padre? Sono le voci di Maria che vi chiama, ah! se avete cuore umano nel petto consolate il dolore e rasserenate il cuore di questa Madre. Su rispondete, parlate. Quem fructum habuistis in quibus nunc erubescitis? (Rom. VI, 21) Vi è messo conto a partirvi dalla casa del Padre? A mettervi per le vie tribolate dell’iniquità? A cambiare il giogo di Gesù colla catena del diavolo? O cari anni della vostra innocenza! O giorni felici della coscienza serena! Allora passavano i dì tranquilli, allora correvano placide e dolci le notti, allora guardavate il cielo con lieto sembiante, allora invocavate con dolce affetto i nomi di Gesù e Maria, il presente era giocondo, non vi atterriva il futuro, la pace del cuore si dipingeva nell’occhio sereno e nel volto. E ora? E ora non ci è più pace. Torbidi i giorni, tetre le notti, la coscienza s’indraga siccome un serpe, pochi momenti di briaca voluttà e poi tempesta e fremito nel cuore, e il tumulto e la rabbia del cuore vi si dipinge negli occhi torvi, nel volto arroncigliato, nelle parole rabbiose, nei modi protervi. Su dunque sorgete, poveri assetati di pace, tornate al Padre. Ma vi manca la lena, il giogo del peccato vi grava verso la terra, vi stringe i piedi la catena inveterata di satana. Ecco vi si apre in buon punto il Cuor di Maria. Alzate gli occhi: guardate quella benedetta sembianza, contemplate quegli occhi, quel cuore, quel dolce atto d’invito e poi non confidate se vi riesce. O sì, sì confidiamo, confidiamo tutti o Maria. Il tuo nome infonde fiducia, rincuora la tua sembianza, ma se contempliamo il tuo Cuore, forza è che ci diamo per vinti, perché esercita un’attrattiva che ci trascina. Trahe nosdunque trahe nos Maria. Mostraci mostraci cotesto Cuore. In odorerm curremus unguentorum, (Cant. IV, 10) correremo all’odore dei tuoi profumi, e riconciliati con Dio e salvi con Te e per Te, cominceremo nel Tempo e continueremo nella eternità a cantare o clemens, o dulcis, Virgo Maria.

CREDO…

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Luc. 1: 46; 1: 49
Exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo; quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus.

[L’anima mia esulta perché Dio è mio Salvatore, perché il Potente ha operato per me grandi cose e il Nome di Lui è Santo.]

Secreta

Majestáti tuæ, Dómine, Agnum immaculátum offeréntes, quǽsumus: ut corda nostra ignis ille divínus accéndat, cui Cor beátæ Maríæ Vírginis ineffabíliter inflammávit.

[Offrendo alla tua maestà l’Agnello immacolato, noi ti preghiamo, o Signore: accenda i nostri cuori quel fuoco divino che ha infiammato misteriosamente il cuore della beata Vergine Maria.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Joann XIX: 27
Dixit Jesus matri suæ: Múlier, ecce fílius tuus: deinde dixit discípulo: Ecce mater tua. Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua.

[Gesù disse a sua Madre: «Donna, ecco il Figlio tuo». Poi al discepolo disse: «Ecco la Madre tua». E da quell’ora il discepolo la prese con sé.]

Postcommunio

Orémus.
Divínis refécti munéribus te, Dómine, supplíciter exorámus: ut beátæ Maríæ Vírginis intercessióne, cujus immaculáti Cordis solémnia venerándo égimus, a præséntibus perículis liberáti, ætérnæ vitæ gáudia consequámur.

[Nutriti dai doni divini, ti supplichiamo, o Signore, a noi che abbiamo celebrato devotamente la festa del suo Cuore Immacolato, concedi, per l’intercessione della beata Vergine Maria: di essere liberati dai pericoli di questa vita e di ottenere la gioia della vita eterna.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (3)

R. P. CHAUTARD D . G. B .

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (3)

Traduzione del Sac. GIULIO ALBERA, S. D. B.

8a EDIZIONE

SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALETORINO MILANO GENOVA PADOVA PARMA ROMA NAPOLI BARI CATANIA PALERMO

VISTO: Nulla osta alla stampa.

Torino: 22 giugno 1922.

Can. CARLO FRANCO – Rev. Arciv.

VISTO: Imprimatur.

C. FRANCESCO DUVINA – Provic. gen.

PARTE PRIMA

5.

Risposta a una prima obbiezione: la vita interiore è oziosa?

Questo libro è indirizzato soltanto agli uomini di azione o animati da un desiderio ardente di dedicarsi al bene, ma esposti al pericolo di trascurare i mezzi necessari perché il loro sacrificio riesca fecondo per le anime, senza che sia per loro stessi la perdita della vita interiore. Non è affatto nostro scopo stimolare i pretesi apostoli amanti del riposo, destare le anime illuse dall’egoismo che fa loro vedere nell’ozio un mezzo di favorire la pietà, scuotere l’indifferenza degli indolenti e degli addormentati i quali, con la speranza di vantaggi e di onori accettano di dare il loro nome a qualche opera, purché non ne siano turbati nella loro quiete e nel loro ideale di tranquillità; questo compito richiederebbe un libro a parte.  Perciò, lasciando ad altri la cura di far capire a questa categoria di apatici la responsabilità di un’esistenza che Dio voleva attiva e che il demonio, d’accordo con la natura, rende infeconda per mancanza di attività e di zelo, ritorniamo ai nostri cari e venerati confratelli ai quali specialmente sono dedicate queste pagine. – Nessun termine di confronto ci può rappresentare l’intensità infinita dell’attività che si svolge in seno a Dio: la vita interiore del Padre è tale, che genera una Persona divina; dalla vita interiore del Padre e del Figlio procede lo Spirito Santo.  La vita interiore comunicata agli Apostoli nel Cenacolo accese subito in essi lo zelo. La vita interiore, per qualunque persona istruita che non voglia studiarsi di snaturarla, è un principio di abnegazione. – Quand’anche essa non si rivelasse affatto con manifestazioni esteriori, la vita di orazione, in se stessa e intimamente, è una SORGENTE DI ATTIVITÀ alla quale nessun’altra si può paragonare. Non vi è nulla di più falso che il considerarla come una specie di oasi dove uno si possa rifugiare per trascorrere in pace la vita: basta che essa sia la strada che conduce più direttamente al regno dei cieli, perché le si possa applicare in modo speciale il testo: Regnum cœlorum vim patitur, et violenti rapiunt illud (Il regno dei cieli si acquista con la forza ed è preda di coloro che usano violenza – MATT. XI, 12).  – Don Sebastiano Wyart che aveva provato le fatiche dell’asceta e quelle della vita militare, il lavoro degli studi e le cure inerenti all’uffizio di superiore, soleva ripetere che vi sono tre sorta di lavoro:

1° Il lavoro quasi interamente fisico di coloro che esercitano un mestiere manuale, di operaio, di artigiano, di soldato; questo lavoro, egli diceva, comunque si pensi, è certo il meno duro.

2° Il lavoro intellettuale dello studioso, del pensatore alla ricerca, spesso difficile, della verità, il lavoro dello scrittore, del professore i quali fanno ogni sforzo per far penetrare la verità in altre intelligenze, il lavoro del diplomatico, del negoziante, dell’ingegnere ecc., gli sforzi mentali del generale durante la battaglia per prevedere, dirigere e decidere. Questo lavoro in se stesso è più penoso del primo, come lo conferma il proverbio che LA LAMA LOGORA IL FODERO.

3° Finalmente il lavoro della vita interiore; di tutti e tre, egli non esitava a proclamarlo, questo è il più pesante quando vien preso sul serio (Maior labor est resistere vitiis et passionibus, quam corporalibus insudare laboribus – S. Gregorio). Ma è pure quello che ci offre quaggiù maggiori consolazioni, come pure è anche il più importante, perché esso non forma più la professione dell’uomo, ma forma l’uomo stesso. Quanti si gloriano di essere coraggiosi nei due primi generi di lavoro che portano alla fortuna e alla gloria, e poi sono inerti, pigri e vili quando si tratta di lavorare per la virtù! Sforzarsi di dominare continuamente se stesso e le cose esteriori, per cercare in tutte le cose soltanto la gloria di Dio, è l’ideale dell’uomo risoluto ad acquistare la vita interiore, e perché il suo ideale diventi realtà, egli si sforza di restare unito a Gesù Cristo in ogni circostanza e perciò di tenere fisso lo sguardo al fine che deve raggiungere e di considerare tutte le cose alla luce del Vangelo. Egli ripete con sant’Ignazio: Quo vadam et ad quid? (Dove vado e a che cosa?) In lui dunque tutto dipende da un principio, intelligenza e volontà, memoria, sensibilità, fantasia e sensi. Ma quanto deve affaticarsi per giungere a tale risultato! Sia che si mortifichi o che si conceda qualche onesto piacere, che pensi o che agisca, che lavori o che riposi, che ami il bene oche senta avversione per il male, che desideri o che tema, che accetti la gioia o la tristezza, pieno di speranza o di tristezza, sdegnato o tranquillo, in tutte le cose e sempre egli si sforza di dirigere il suo timone verso il BENEPLACITO DIVINO. Nella preghiera, e soprattutto vicino all’Eucaristia, egli si apparta ancora di più dalle cose visibili per poter trattare con Dio invisibile come se lo vedesse (Invisibilem enim tamquam videns sustinuit – Ebr. XI, 2). Anche in mezzo alle sue fatiche apostoliche egli tende a tradurre in pratica quell’ideale che san Paolo ammirava in Mosè.  – Né avversità della vita, né tempeste delle passioni non lo possono far deviare dalla linea di condotta che si è imposta; se per caso vien meno un momento, subito si rianima e riprende con maggior vigore il suo cammino. Quale lavoro! E come si comprende come Dio ricompensi anche quaggiù con gioie speciali colui che accetta gli sforzi che simile lavoro richiede!  Oziosi, concludeva Don Sebastiano, oziosi i veri religiosi, i Sacerdoti di vita interiore e zelanti! Via! Vengano pure i mondani più affaccendati e verifichino se il loro lavoro si può paragonare al nostro!  Chi non l’ha provato? Qualche volta sarebbero preferibili lunghe ore di un’occupazione faticosa, a una mezz’ora di orazione ben fatta, all’assistenza seria di una Messa, alla recita attenta dell’Ufficio (« Qualunque siano le difficoltà della vita attiva, soltanto gli inesperti osano negare le prove della vita interiore. Molte persone attive, pure sinceramente pie, confessano che molto spesso ciò che a loro costa di più nella loro vita, non è l’azione, ma la parte obbligatoria dell’orazione, e si sentono sollevate quando arriva l’ora dell’azione »(D. Festugière, O. S. B.). 3). Il P. Faber constata con amarezza, che per certuni « il quarto d’ora che segue la Comunione è il quarto d’ora più noioso della giornata ». Se si trattasse di un breve ritiro di tre giorni, quanta ripugnanza ne proverebbero certuni! Appartarsi per tre giorni dalla vita facile, benché molto occupata, e vivere nel soprannaturale e farlo penetrare, durante quel tempo di ritiro, in tutti i particolari della propria vita, sforzare la mente a vedere tutte le cose, per quel breve tempo, alla sola luce della Fede, sforzare il cuore a dimenticare tutto per respirare soltanto Gesù e la sua vita, rimanere a discutere con se stessi e scoprire le proprie infermità e debolezze spirituali, gettare l’anima nel crogiuolo senza sentire pietà alle sue proteste, tutto questo è una prospettiva che fa indietreggiare molte persone che pure sarebbero disposte a qualunque fatica, finché si tratta di spendere un’attività puramente naturale. – Ma se tre giorni di tale occupazione sembrerebbero già tanto penosi, che cosa proverà la natura all’idea di sottoporre gradatamente una vita intera al regime della vita interiore? Certamente in questa vita di spogliamento la grazia ha molta parte e rende soave il giogo e leggero il peso; ma quante occasioni di sforzi vi trova l’anima! È per essa sempre uno sforzo il rimettersi sulla retta via e ritornare al Conversatio nostra in cælis est(La nostra conversazione è nei cieli – Filipp. III, 20). San Tommaso lo spiega molto bene: L’uomo – egli dice – è collocato tra gli oggetti della terra e i beni spirituali nei quali si trova l’eterna felicità; quanto più aderisce agli uni, tanto più si allontana dagli altri (Est homo constitutus inter rea mondi huius et bona spiritualia in quibus æterna beatitudo consistiti, ita quod, quanto plus inhaeret uni eorum, tanto plus recedit ab altero, et e contrario – la 2ae, q. 108, a. 4). Nella bilancia se si abbassa uno dei piatti, l’altro s’innalza altrettanto. – Ora la catastrofe del peccato originale che sconvolse l’economia del nostro essere, ha reso penoso questo doppio movimento di adesione e di allontanamento, e per stabilire e conservare, mediante la vita interiore, l’ordine e l’equilibrio in questo «piccolo mondo» che è l’uomo, si richiede fatica, pena e sacrificio. Si tratta di ricostruire un edificio in rovina e di difenderlo poi da un nuovo crollo. – Strappare continuamente dai pensieri terreni, per mezzo della vigilanza, della rinunzia e della mortificazione, questo onere aggravato da tutto il peso della natura corrotta, gravi corde(Salmo IV), riformare il proprio carattere particolarmente nei punti in cui è più dissimile dalla fisionomia dell’anima di Gesù Cristo, nella dissipazione, nei trasporti d’ira, nella compiacenza in sé e fuori di sé, nelle manifestazioni della superbia o delle miserie della natura, come la durezza, l’egoismo, la mancanza di bontà ecc., resistere alle attrattive del piacere presente e sensibile con la speranza di una felicità spirituale che si avrà soltanto dopo una lunga attesa, staccarsi da tutto ciò che ci può far amare la terra, fare un olocausto completo di tutto, delle creature, dei desideri, delle passioni, delle concupiscenze, dei beni esteriori, della propria volontà e del proprio giudizio… quale lavoro! – Eppure questa è soltanto la parte negativa della vita interiore. Dopo questa lotta a corpo a corpo che faceva gemere san Paolo (Condelector enim legi Dei secundum interiorem hominem: video autem aliam legem in membris mela repugnantem legi mentis meæ et captivantem me in lege peccati, quae est in membris meis. Infelix ego homo; quis me liberabit de corpore mortis huius? – Rom. VII, 22-24), e che il P. Ravignan esprimeva con queste parole: «Mi domandate che cosa ho fatto nel mio noviziato?Eravamo in due; ne buttai uno dalla finestra e sono rimasto solo»; dopo questa lotta senza tregua contro un nemico sempre pronto a rinascere, bisogna proteggere da ogni assalto dello spirito della natura un cuore che, purificato con la penitenza, si strugge dal desiderio di riparare gli oltraggi fatti a Dio, spiegare tutta l’energia per tenerlo attaccato unicamente alle bellezze invisibili delle virtù che si devono acquistare per imitare quelle di Gesù Cristo, sforzarsi di conservare anche nei più minuti particolari della vita un’assoluta confidenza nella Provvidenza; questo è il lato positivo della vita interiore. Chi può immaginare l’immensità di questo campo di lavoro! È un lavoro intimo, assiduo, costante; eppure proprio con tale lavoro l’anima acquista una meravigliosa facilità e rapidità di esecuzione per i lavori apostolici. Soltanto la vita interiore possiede questo segreto. Le opere immense compiute, nonostante una salute precaria, da un Agostino, da un Giovanni Crisostomo, da un Bernardo, da un Tommaso d’Aquino, da un Vincenzo de’ Paoli, ci fanno sbalordire. Ma più ancora ci fa meraviglia il vedere questi uomini, con tutte le loro fatiche quasi ininterrotte, mantenersi nella più costante unione con Dio. Questi Santi che per mezzo della contemplazione si dissetavano di più alla sorgente della vita, ne attingevano più abbondante capacità di lavorare. È questa la verità che un gran Vescovo, sovraccarico di lavoro, esprimeva ad un uomo di Stato, anch’egli oppresso dagli affari, il quale gli domandava il segreto della sua inalterabile serenità e della meravigliosa riuscita delle sue opere: « Caro amico, a tutte le vostre occupazioni aggiungete una mezz’ora di meditazione ogni mattina: non solo sbrigherete i vostri affari, ma troverete anche il tempo per nuove imprese».  – Finalmente noi vediamo il santo re Luigi IX il quale, nelle otto o nove ore che consacrava ogni giorno agli esercizi della vita interiore, trovava il segreto e la forza di applicarsi con tanta sollecitudine agli affari di Stato e al bene dei sudditi, che mai, come confessò un oratore socialista, neppure ai nostri giorni, non si è fatto tanto in favore delle classi operaie, quanto sotto il regno di questo principe.

6.

Risposta ad un’altra obbiezione: la vita interiore è egoistica?

Non parliamo del pigro né del goloso spirituale i quali fanno consistere la vita interiore nelle gioie di un piacevole ozio e cercano assai più le consolazioni di Dio, che non il Dio delle consolazioni: costoro hanno una falsa pietà. Ma colui che leggermente, oppure per partito preso, dice che la vita interiore è egoistica, non la capisce meglio di quegli altri. Già abbiamo detto che questa vita è la sorgente pura e abbondante delle opere più generose della carità verso le anime e della carità che conforta i dolori di quaggiù; esaminiamo ora l’utilità della vita interiore sotto un altro aspetto. Si dirà dunque che fu sterile ed egoistica la vita interiore di Maria e di san Giuseppe! Che bestemmia e che assurdo! Eppure non è loro attribuita nessuna opera esteriore: la sola irradiazione di una intensa vita interiore sul mondo, i meriti delle preghiere e dei sacrifizi applicati all’estensione dei benefizi della Redenzione, bastarono a costituire Maria regina degli Apostoli e Giuseppe patrono della Chiesa universale (In un altro capitolo si vedrà qual è questa vita interiore che dà alle opere la loro fecondità). Soror mea reliquit me solam ministrare(Mia sorella lascia me sola a servire  – Luc. X, 40), dice con le parole di Marta, lo sciocco presuntuoso il quale vede soltanto le sue opere esteriori e i loro risultati.  La sua sciocchezza e la sua poca intelligenza delle vie di Dio non arrivano al punto di fargli supporre che Dio non sappia quasi fare a meno di lui; ma intanto ripete volentieri con Marta, incapace di apprezzare l’eccellenza della contemplazione di Maddalena: Dic illa ut me adiuvet, (Dille dunque che mi aiuti – Luc. X, 40)., e arriva persino a dire: Ut quid perditio hæc (Perché questa perdita? – MATT. XXIV, 8), rimproverando come una perdita dì tempo i momenti che i suoi fratelli di apostolato, che fanno vita interiore più di lui, si riservano per assicurare la loro intima unione con Dio. Io santifico me stessa per loro, AFFINCHÈ essi pure siano santificati nella verità (Pro eis ego sanctifico meipsum ut sint et ipsi sanctificati in veritate – Giov. XVII, 19), risponde l’anima che ha inteso tutta la forza di questa parola del Maestro, AFFINCHÈ, e che conoscendo il valore della preghiera e del sacrifizio, unisce alle lacrime e al sangue del Redentore le lacrime dei suoi occhi e il sangue di un cuore che si va purificando sempre più di giorno in giorno. Con Gesù, l’anima che fa vita interiore, sente la voce dei delitti del mondo salire verso il Cielo e chiedere sui loro autori un castigo del quale essa ritarda la sentenza con l’onnipotenza della supplica capace di fermare la mano di Dio pronta a scagliare i fulmini.  « Coloro che pregano – diceva dopo la sua conversione l’insigne statista Donoso Cortes – fanno per il mondo assai più di quelli che combattono, e se il mondo va di male in peggio, è perché vi sono più battaglie che preghiere».  « Le mani alzate – dice Bossuet – sbaragliano più battaglioni che non le mani che colpiscono ». I solitari della Tebaide in mezzo ai loro deserti avevano spesso in cuore il fuoco che animava san Francesco Saverio. «Sembrava – dice sant’Agostino – che avessero abbandonato il mondo più del bisogno: Tidentur nonnullis res humanas plus qua ni oportet deseruisse: ma non si riflette che le loro preghiere, rese più pure dal loro grande distacco dal mondo, erano più efficaci e più NECESSARIE per questo mondo corrotto». Una breve ma fervida preghiera ordinariamente affretterà una conversione più che le lunghe discussioni e i bei discorsi. Colui che prega, tratta con la CAUSA PRIMA e agisce direttamente su essa. Egli ha pure in sua mano tutte le cause seconde, perché queste ricevono la loro efficacia unicamente da questo principio superiore. Perciò l’effetto desiderato si ottiene allora più sicuramente e più presto. Secondo una rispettabile rivelazione, diecimila eretici furono convertiti da una sola ardente preghiera della serafica santa Teresa la cui anima, infocata per Gesù Cristo, non poteva comprendere una vita contemplativa, una vita interiore la quale non partecipasse alle ardenti sollecitudini del Salvatore, per la salvezza delle anime. « Io accetterei, essa diceva, il purgatorio fino al giorno del Giudizio, per liberare una sola di esse. Che cosa m’importa la lunghezza dei miei patimenti, se così potessi liberare una sola anima, e meglio ancora parecchie anime, per la maggior gloria di Dio!» E alle sue religiose diceva: « Figlie mie, riferite sempre a questo fine tutto apostolico le vostre orazioni, le vostre discipline, i vostri digiuni e i vostri desideri». Così infatti fanno le Carmelitane, le Trappiste, le Clarisse: esse seguono i passi degli Apostoli e li sostengono con la sovrabbondanza delle loro preghiere e delle loro penitenze. Le loro preghiere scendono dall’alto e giungono fin dove cammina la Croce e splende il Vangelo, sulle anime, su queste prede del Signore. O meglio, è il loro amore nascosto, ma attivo, che risveglia dovunque, nel mondo dei peccatori, le voci della misericordia. Nessuno quaggiù conosce il perché di quelle lontane conversioni di pagani, della resistenza eroica di quei Cristiani perseguitati, della gioia celeste di quei missionari martirizzati: tutto questo è invisibilmente legato alla preghiera di quell’umile claustrale. Con le dita sulla tastiera dei perdoni divini, la sua anima silenziosa e solitaria dirige la salvezza delle anime e le conquiste della Chiesa (Lumière et flamme: P. LEON, O. M.). – Monsignor Favier, Vescovo di Pechino, diceva: «Io voglio dei Trappisti in questo Vicariato apostolico; desidero anzi che si astengano da ogni ministero esteriore, affinché nulla li distragga dal lavoro della preghiera, della penitenza e degli studi sacri; perché conosco quanto aiuto darà ai missionari l’esistenza di un monastero fervoroso di contemplativi in mezzo ai nostri poveri Cinesi ». E più tardi diceva: «Siamo finalmente riusciti a penetrare in una regione finora inaccessibile: io attribuisco questo fatto ai nostri cari Trappisti».  Un Vescovo della Cocincina diceva al Governatore di Saigon: «Dieci Carmelitane che pregano, mi daranno aiuto più che venti missionari che predicano». Sacerdoti secolari, religiosi e religiose, dedicati alla vita attiva, ma anche alla vita interiore, hanno sul cuore di Dio la stessa potenza che hanno le anime claustrali. Un Padre Chevrier, un Don Bosco, un Padre Maria Antonio ne sono magnifici esempi. Sant’Anna Maria Taigi, nelle sue funzioni di umile massaia, era un apostolo, come pure san Benedetto Giuseppe Labre che schivava le vie battute. Dupont, il santo di Tours, il colonnello Paqueron ecc., divorati dallo stesso ardore, erano potenti nelle loro opere perché facevano vita interiore; il generale de Sonis, tra una battaglia e l’altra, trovava il segreto del suo apostolato nell’unione con Dio. Chi oserà chiamare egoistica e sterile la vita di un Curato d’Ars? Tale affermazione non meriterebbe risposta. Qualunque mente giudiziosa attribuisce appunto alla sua intimità con Dio, lo zelo e i meravigliosi risultati di questo Sacerdote non ricco d’ingegno ma che, contemplativo come un certosino, sentiva una gran sete di anime, resa inestinguibile dai suoi progressi nella vita interiore, e riceveva da Gesù di cui viveva, una certa partecipazione della potenza divina per convertire i peccatori. Si oserà dire che fu infeconda la sua vita? Ma supponiamo che in ogni diocesi vi fosse un santo Curato d’Ars; in meno di dieci anni l’intera nazione sarebbe rigenerata e assai più  profondamente che non da moltitudini di opere cattoliche non abbastanza fondate sulla vita interiore, e alla cui organizzazione concorressero con i molti mezzi pecuniari, l’ingegno e l’attività di migliaia di apostoli. Noi riteniamo che il motivo principale di sperare bene per la resurrezione della Francia, è che in nessun altro tempo forse non vi furono, come da alcuni anni possiamo constatare, anche tra i semplici fedeli, tante anime così ardentemente desiderose di vivere unite al Cuore di Gesù e di estendere il suo regno, facendo germogliare intorno a sé la vita interiore. Queste anime elette sono un’infima minoranza: sia pure; ma che cosa importa il numero se vi è l’intensità? Il risorgere della Francia dopo la Rivoluzione si deve attribuire a quel gruppo di Sacerdoti maturati nella vita interiore dalla persecuzione; per mezzo loro una corrente di vita divina venne a riscaldare una generazione che l’apostasia e l’indifferenza sembravano aver votato a una morte che nessuno sforzo umano avrebbe potuto scongiurare. Dopo cinquant’anni di libertà d’insegnamento in Francia, dopo questo mezzo secolo che vide fiorire istituzioni innumerevoli e durante il quale noi abbiamo avuto in mano nostra tutta la gioventù del paese e l’appoggio quasi totale dei governanti, come mai, nonostante risultati apparentemente gloriosi, non abbiamo potuto formare nella nazione una maggioranza abbastanza profondamente cristiana che potesse lottare contro la lega dei ministri di satana!  Certamente contribuirono a tale impotenza l’abbandono della vita liturgica e la cessazione del suo irradiare sui fedeli: la nostra spiritualità è divenuta gretta, arida, superficiale, esterna o puramente sentimentale, e non ha più quella penetrazione e quel fascino sulle anime, che suole dare la liturgia, questa grande forza di vitalità cristiana. Ma non vi è forse un’altra causa in questo fatto che, mancando di una intensa vita interiore, noi, Sacerdoti ed educatori, non abbiamo potuto generare altro che anime di una pietà superficiale senza forti ideali, senza sode convinzioni? Come professori, non abbiamo noi rivolto il nostro zelo più al conseguimento delle licenze e al buon nome dell’Istituto, che nell’infondere una soda istruzione religiosa nelle anime! Non abbiamo forse speso l’opera nostra senza avere di mira  soprattutto la formazione della volontà per scolpire l’impronta di Gesù Cristo su caratteri ben formati! E questa mediocrità non è molte volte effetto della meschinità della nostra vita interiore?  A un Sacerdote santo – si dice – corrisponde un popolo fervoroso; a un sacerdote fervoroso, un popolo pio; ad un sacerdote pio, un popolo onesto; ad un sacerdote onesto, un popolo empio: in quelli che sono generati spiritualmente, vi è sempre un grado di vita di meno. – Non accetteremo certamente a occhi chiusi tale affermazione, ma consideriamo che le seguenti parole di sant’Alfonso esprimono abbastanza LA CAUSA a cui bisogna dare la responsabilità della nostra condizione attuale:  « I buoni costumi e la salvezza delle popolazioni dipendono dai buoni pastori; se alla testa di una parrocchia vi è un buon parroco, ben presto si vedrà in essa fiorire la divozione, i Sacramenti frequentati e l’orazione mentale in onore. Di qui il proverbio: Qualis pastor, talis parœcìa, secondo il testo dell’Ecclesiastico (X, 2): Qualis est rector civitatis, tales et inhabitantes in ea» (Homo Apostolicus, VII, 16).

7.

Obbiezione tratta dall’importanza della salvezza delle anime

Ma, dirà l’anima di vita tutta esteriore, in cerca di pretesti contro la vita interiore, come oserò io mettere un limite alle mie opere di zelo! Posso io fare troppo, soprattutto quando si tratta della salvezza delle anime! La mia attività non sostituisce forse, e con vantaggio, tutto il resto, con il sublime esercizio dell’abnegazione! Chi lavora prega, e il sacrifizio vale più che la preghiera. San Gregorio non dice forse che lo zelo è il sacrifizio più gradito che si possa offrire a Dio! Nullum sacrificium est Deo magis acceptum quam zelus animarum– s. GREGORIO, Homilia 12 in Ezech.).  Prima di tutto precisiamo il vero significato del testo di san Gregorio, con le parole del Dottore Angelico. Offrire spiritualmente a Dio un sacrifizio – egli dice – vuol dire offrirgli qualche cosa che lo glorifica; ora, fra tutti i beni, il più gradito che l’uomo possa offrire al Signore, è certamente la salvezza di un’anima. Ma ciascuno deve prima offrire la sua anima, secondo le parole della Scrittura: Se volete piacere a Dio, abbiate pietà dell’anima vostra. Compiuto questo primo sacrifizio, ALLORA ci sarà permesso di procurare anche ad altri la stessa felicità. Quanto più STRETTAMENTE l’uomo unisce a Dio prima la sua anima e poi quella di un altro, tanto più gradito è il suo sacrifizio; ma questa unione intima, generosa e umile, non si può fare SE NON PER MEZZO DELL’ORAZIONE. Applicare se stesso o altri alla vita di orazione, alla contemplazione, piace dunque al Signore PIÙ che il dedicarsi o l’impegnare altri all’azione, alle opere esteriori. Perciò – egli conchiude – quando san Gregorio afferma che il sacrifizio più grato a Dio è la salvezza delle anime, egli non intende di dare alla vita attiva la preferenza sulla contemplazione, ma vuol dire che l’offrire a Dio una sola anima, è per Lui infinitamente più glorioso e per noi assai più meritorio, che l’offrirgli quanto ha la terra di più prezioso (S. TOMM., 2a 2æ, q. 182, a. 2 ad 3.). – La necessità della vita interiore non deve affatto distogliere dalle opere di zelo le anime generose, se la manifesta volontà di Dio vuole questo da loro; che anzi il sottrarsi a tale lavoro o il farlo male, l’abbandonare il campo di battaglia col pretesto di coltivare meglio l’anima propria e di giungere ad una più perfetta unione con Dio, sarebbe una vera illusione e, in certi casi, una sorgente di pericoli. Væ mihi, diceva san Paolo, si non evangelizavero(Guai a me se non annunzio il Vangelo – I Cor. IX, 16). – Ma, fatta questa riserva, diciamo subito che il darsi alla conversione delle anime dimenticando se stessi, produce un’illusione più grave. Dio vuole che noi amiamo il prossimo come noi medesimi, ma non più che noi medesimi, cioè non mai fino al punto di nuocere a noi stessi personalmente, e questo in pratica è lo stesso che esigere una maggior cura dell’anima nostra, che non di quella altrui, perché il nostro zelo dev’essere regolato dalla carità, ed è pur sempre un assioma teologico che Prima sibi charitas(Prima di tutto carità per sé). – « Io amo Gesù Cristo – diceva sant’Alfonso de Liguori – e perciò ardo dal desiderio di dargli delle anime, PRIMA LA MIA, poi moltissime altre ». Questa è la pratica del Tuus esto ubique(Sii dappertutto di te stesso – S. BERNARDO, Hb. II de Consid., cap. III) di san Bernardo: «Non è saggio colui che non appartiene a se stesso».  Il santo Abate di Chiaravalle, vero portento di zelo apostolico, seguiva questa regola, e Goffredo, suo segretario, così lo dipinge: Totus primum sibi et sic totus omnibus(Prima di tutto di se stesso, e così tutto per gli altri – GOFFREDO, Vita S. Bernardi). – Non vi dico già, scrive lo stesso santo al papa Eugenio III, di sottrarvi interamente alle occupazioni secolari; soltanto vi esorto a non abbandonarvi totalmente ad esse. Se siete l’uomo di tutto il mondo, siate dunque anche di voi stesso; altrimenti che cosa vi gioverebbe guadagnare tutti gli altri, se doveste perdere voi stesso? Riserbate dunque qualche cosa anche per voi, e se tutti vengono a bere alla vostra fontana, non dovete astenervi dal bervi anche voi; dovreste dunque voi solo restare assetato!? Cominciate sempre con pensare a voi: INVANO VI DARESTE AD ALTRE CURE, SE VENISTE A TRASCURARE VOI STESSO. Tutte le vostre riflessioni INCOMINCINO DUNQUE CON VOI E FINISCANO CON VOI; siate per voi il primo e l’ultimo e ricordatevi che nell’affare della vostra salute nessuno vi è più prossimo che il figlio unico di vostra madre (S. BERNARDO, Ub. II de Consid., cap. III). – Èmolto eloquente questo appunto di un ritiro spirituale, scritto da Mons. Dupanloup: «Io ho un’attività terribile che mi rovina la salute, disturba la mia pietà e non serve affatto alla mia scienza: bisogna regolarla. Dio mi ha fatto la grazia di riconoscere che ciò che soprattutto si oppone in me, a una vita interiore tranquilla e fruttuosa: è l’attività naturale e la smania delle occupazioni. Inoltre ho riconosciuto che questa MANCANZA DI VITA INTERIORE è la causa di tutte le mie cadute, dei miei disturbi, della mia aridità, dei miei disgusti, della mia cattiva salute. Risolvo dunque di rivolgere tutti i miei sforzi all’acquisto della vita interiore che mi manca, e per questo fine, con la grazia di Dio stabilisco questi punti:

1° Mi prenderò sempre più tempo di quanto è necessario per fare ogni cosa: è questo il mezzo di non essere mai né frettoloso né sopraffatto.

2° Siccome avrò sempre più cose da fare, che non tempo di farle, e siccome questo mi preoccupa e mi trascina, non penserò più alle cose da fare, ma al tempo che devo impiegarvi. Impiegherò il tempo senza perderne nulla, cominciando con le cose più importanti, e non mi inquieterò per quello che non avrò potuto fare ecc. »  – Il gioielliere preferisce a parecchi zaffiri, la più piccola scaglia di diamante: così, secondo l’ordine stabilito da Dio, la nostra intimità con Lui lo glorifica più di tutto il bene possibile da noi procurato a molte anime, ma con danno del nostro progresso. Il Padre nostro celeste il quale si applica di più nel governare un cuore in cui regna, che non nel governo naturale di tutto l’universo e al governo civile di tutti i regni (P. LALLEMANT, Doc. Spirit.), vuole nel nostro zelo quest’armonia. Egli preferisce talora lasciar scomparire un’opera, se la vede diventare un ostacolo allo sviluppo della carità dell’anima che ad essa attende. satana invece non esita a favorirne i risultati superficiali, se può, purché riesca a impedire all’apostolo di progredire nella vita interiore, tanto la sua rabbia sa indovinare dove si trovano i veri tesori per Gesù Cristo: per sopprimere un diamante, volentieri concede qualche zaffiro.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/08/24/lanima-dellapostolato-4/

DA SAN PIETRO A PIO XII (16)

Da SAN PIETRO A PIO XII (16)

[G. Sbuttoni: da san Pietro a Pio XII, Ed. A.B.E.S. Bologna, 1953]

PARTE SECONDA:

DAL 1000 AI NOSTRI GIORNI

CAPO V.

I. LA RIFORMA PROTESTANTE

PREAMBOLO

Prodromi del protestantesimo

Verso la prima metà del sec. XVI, tutto era pronto in Europa per lo scoppio d’un vasto incendio, le cui conseguenze nessuno poteva prevedere. Bastava che qualcuno lasciasse cadere una scintilla nell’immane polveriera. Malauguratamente, questa scintilla fu gettato da Lutero. Le cause principali, che avevano creato un ambiente così infiammabile  si possono ridurre alle seguenti:

« Le condizioni particolari in cui erano venuti a trovarsi la Chiesa romana e il Papato ».

1) La chiesa di Roma aveva ricevuto una grave scossa durante la cattività avignonese e il grande scisma d’Occidente.

2) I Papi, dopo lo scisma, avrebbero dovuto porre mano ad una riforma profonda della Chiesa, per togliere i gravi disordini e il malcontento che ovunque regnava, ma, o per esser troppo assorbiti da attività politiche e terrene, o per difetto di quella autorità che sarebbe stata assolutamente necessaria in quel tempo, le loro intenzioni non approdarono a nulla.

A ciò si aggiunga:

3) Il Rinascimento, il quale, in genere, ebbe un carattere spiccatamente antiecclesiastico e anticlericale. Ben sovente gli Umanisti gettarono il discredito non solo sulla Scolastica, ma altresì sulle dottrine e sulle istituzioni della Chiesa.

ERASMO di ROTTERDAM,

ad esempio, benché insignito degli ordini religiosi, insegnava che vi era più d’un santo fuori del calendario della Chiesa e che sono molti i pagani che hanno raggiunto una virtù non mai sorpassata dalla santità cristiana. Si può dire che prìncipi e letterati, laici e chierici, s’accordassero nell’odio contro la Chiesa di Roma ed erano pronti a salutare con gioia il segnale di qualunque rivolta. Ormai esisteva un desiderio sfrenato di mutamenti, un anelito di libertà e d’indipendenza nel pensiero e nell’azione. Le stesse vecchie eresie, ripullulando ovunque, colpivano di preferenza, come quelle di Wycliff e di Giovuuni Huss, gli scandali veri o presunti dei Papato e del clero e contestavano alla gerarchia ecclesiastica il diritto d’interpretare la S. Scrittura.

4) Si aggiunga inoltre il senso d’ irritazione contro quelle che si definivano ingiuste ingerenze della Curia Romana in molti paesi dell’Europa settentrionale. La Chiesa infatti possedeva in Germania, in Francia, in Inghilterra ricchi benefici, ricevuti per legittima donazione e quasi lutti sfruttati dalla corte pontificia o assegnati in godimento a prelati italiani; ora i prìncipi bramavano impossessarsi di questi beni, conseguendo l’indipendenza assoluta dalla Chiesa e, possibilmente, assorbendo essi medesimi la giurisdizione spirituale. Infine non mancavano coloro che. desiderosi di tornare alla dottrina pura del Vangelo, si dimostravano pronti ad aiutare chiunque lanciasse un’idea di riforma e prestasse fiducia di ridonare al mondo un miglioramento spirituale. A queste cause generali si accompagnarono, in Germania, in Isvizzera, in Inghilterra, altre cause particolari, che si concretarono nella diversa fisionomìa assunta dal movimento di riforma in ciascuno di questi paesi.

1). Che cosa rappresenta la Riforma Protestante.

— Uno dei periodi più tragici della storia della Chiesa.

D. Perché mai?

— Perché:

1) l’unità del Cattolicesimo, salvata dall’energica opera di Gregorio VII al tempo della lotta delle investiture, cade infranta;

2) il prestigio elevato, conseguito allora dall’autorità pontificia, colpito a più ripreseda un seguito di sciagure (quali: a) la Schiavitù avignonese, b) lo scisma d’occidente, c) la dottrina conciliare della superiorità del concilio al Papa, d) lo spirito inondano del Rinascimento) s’indebolisce talmente che, al sopravvenire della bufera luterana, Roma non può arginare l’eresia, e l’unità religiosa europea si spezza, dando origine a mali incalcolabili.

D. Quale poteva essere il miglior rimedio?

— Una vigorosa riforma, « in capite et in romana curia », ma proprio questa mancò.

D. In quale regione il male, poteva dirsi peggiore!

— In Germania, dove

I) le mense vescovili e le prebende canonicali erano retaggio incontrastato dell’aristocrazia:

2 ) la cura d’anime era abbandonata al clero inferióre, ignorante e povero, vera specie di proletariato ecclesiastico:

3) gli Ordini erano conferiti senza tirocinio e senza preparazione di scienza e pietà:

4) i monasteri erano troppo numerosi e troppo ricchi, ed erano diventati il rifugio dei rifiuti dell’aristocrazia, dei cadetti; ed era impossibile riformarli, perché esenti dalla giurisdizione vescovile.

D. Non si era quindi ad ini ritorno dei disordini combattuti da Gregorio VII!

— Sì; solo che mentre quelli eran derivati dalle investiture laiche, questi eran invalsi in gran parte dall’uso di quei tempi di assegnare i vescovadi e i canonicati ai cadetti dell’aristocrazia, e quindi ad elementi senza vocazione, impreparati, premurosi solo di godere le rendite e dediti ad una vita che spesso avrebbe l’atto arrossire anche uno spregiudicato.

D. Era possibile il rispetto: 1) ad una gerarchia cos’i degenere,

2) ad un clero così sfaccendato,

3) a monaci così indegni!

— In nessun modo. Ogni giorno più anzi cresceva contro di essi 1’avversione dei laici, rinfocolata dalle apostrofi degli Umanisti, intenti a gettar lo scredito sulla Scolastica, sul Medio Évo, su tutto. Così fecero Erasmo di Rotterdam, Ulrico di Hutten ed altri, schizzanti veleno contro dottrine e istituzioni della Chiesa cattolica.

D. Che avveniva in tale situazione!

— Avveniva che i buoni invocassero un rigeneratore; gli altri attendessero un segnale di rivolta per sconvolger tutto.

D. Chi sorse purtroppo in tali condizioni !

— Lutero, la malefica scintilla, che incendiò tutta l’Europa settentrionale e la staccò da Roma.

LUTERO

D). Chi è Lutero!

— Un tedesco, nato ad Eisleben nel 1483 ed ivi morto nel 1546, di modesti natali, che, tuttavia, iniziò gli studi ad Eisenach e li continuò ad Erfurt (1500), dove consegui il grado di baccelliere (1505). Divenne frate Agostiniano.

D. Che cosa lo determinò a farsi religioso agostiniano!

— Lo spavento per un fulmine scoppiatogli vicino e quindi probabilmente senza vocazione. Ricevette presto gli ordini fino al sacerdozio (1507), sempre angosciato da lotte interiori.

D. Quale ministero esercitò?

— Chiamato all’Università di Wittenberg, vi insegnò prima dialettica e fìsica aristotelica, poi (1500) sacra Scrittura, senza un’adeguata preparazione filosofica scolastica e di Teologia. Addottoratosi per consiglio del P. Staupitz in Teologia, in teologia, tornò all’insegnamento della s. Scrittura, allontanandosi sempre più dal « sensus Ecclesiæ », specialmente sul punto del peccato originale e della giustificazione.

D. Quando incominciò la sua aperta ribellione?

— Nel 1517, quando apertamente insorse contro la predicazione della indulgenza straordinaria che Leone X aveva concessa a chi facesse offerta di denaro per terminare la costruzione del tempio di San Pietro in Roma ed attaccò alla porta della Chiesa del castello di Wittenberg 95 tesi, in cui impugnava la dottrina cattolica delle indulgenze e sulla potestà e la gerarchia ecclesiastica.

D. Che fece papa Leone X?

— Richiamò Lutero, che attraverso discussioni varie portò in lungo la cosa e si andò sempre più affermando ribelle alla Chiesa. Nel 1520 Leone X con ia Bolla « Exurge, Domine » condannava i gravi errori di Lutero, che invece di sottomettersi, bruciò la bolla pontificia sulla piazza di Wittenberg e, gettata la maschera, passava alla lotta aperta.

D. Chi intervenne a questo punto?

— L’imperatore Carlo V, che, per sedare il fermento popolare, convocò a Worms una dieta di Stati e di principi (1521): vi intervenne Lutero, ma ricusò di ritrattarsi, e, messo al bando dell’impero, fu ospitato dall’elettore di Sassonia.

D. Che avviene intanto in Roma?

— Muore Leone X, responsabile di non aver dato il giusto peso alla insorgente eresia; gli succede Adriano VI, che non prende nuove decisioni.

D. Quale tentativo fece Adriano VI nella dieta di Norimberga?

— Tentò di addivenire a una conciliazione con i riformatori.

D.  Chi fu il successore di Adriano VI?

— Dopo un governo della Chiesa di poco più d’un anno, gli succedette Clemente VII (1523 – 1534). Egli inviò un Legato alla dieta di Spira (1529), allo scopo di raggiungere un compromesso in attesa della convocazione del Concilio ecumenico, richiesto tanto dai cattolici che dai novatori, ma costoro protestarono contro le deliberazioni e si appellarono all’imperatore.

D. Che derivò dal loro atteggiamento ?

— Il nome di PROTESTANTI, rimasto ad indicare i seguaci di Lutero.

D. Che fece l’imperatore Carlo V?

— Carlo accolse l’appello e indisse la dieta d’Augusta (Giugno 1530) alla quale i Protestanti intervennero, fidando che l’imperatore approvasse la loro Confessione Augustana, composta dal discepolo prediletto di Lutero, Filippo Melantone, nella quale, sorvolando i punti fondamentali della controversia, si elencavano gli « abusi felicemente soppressi », e cioè: la confessione auricolare, la comunione sotto una sola specie, la messa privata, il celibato ecclesiastico, i voti religiosi, la giurisdizione episcopale ecc.

D. Approvò Carlo V la Confessione Augustana?

— No, perché lesiva delle verità della Fede e della disciplina ecclesiastica, e ordinava la restituzione ai cattolici di quanto era stato loro ingiustamente tolto.

D. Che aveva fatto frattanto Lutero?

— Nel 1525, gettato l’abito monastico, sposa una smonacata, Caterina Bore; così, come dice Erasmo, « l’affare che si presentava come una tragedia, finì come tutte le commedie in un matrimonio». Stabilitosi a Wittenberg, attese con Melantone a precisare, sviluppare, diffondere la sua dottrina e ad organizzare la sua chiesa in antitesi alla Chiesa Romana, con il favore di principi eretici e di aristocratici avidi di beni ecclesiastici.

— Essa era spezzata dolorosamente; se non esplose subito la guerra civile fu perché l’invasione dei Turchi in Ungheria indusse Carlo V a venire a un compromesso, riconoscendo piena libertà di culto ai protestanti e sospendendo i processi contro i rapinatori di benefici ecclesiastici in attesa della convocazione del Concilio.

IL CONCILIO DI TRENTO

D. Chi convocò il Concilio?

— Paolo III, succeduto a Clemente VII il 12 ottobre 1534, e lo convocò, dopo inaudite difficoltà, a Mantova nel 1537.

D. Vi intervennero i novatori d’Oltralpe?

— No. Lo stesso Lutero, che si era continuamente appellato al Concilio, risponde che di concili non ne ha bisogno; ne ha bisogno la Cristianità per conoscere gli errori nei quali è vissuta sì a lungo.

D. Che avviene allora del Concilio?

— Viene rimandato « sine die », non solo per colpa dei protestanti, ma anche dei sovrani cattolici, che non si trovano d’accordo sul luogo di convocazione.

D. Qual è finalmente l’avvenimento che favorisce la convocazione?

— La pacificazione del re di Francia con l’imperatore; dopo di che Paolo III il 13 dicembre 1545 nel duomo di Trento apre solennemente quel Concilio ecumenico, che sarà l’assise più importante della storia della Chiesa.

D. Perché fu scelta Trento?

— Perché a metà strada fra la Germania e Roma, geograficamente italiana e politicamente tedesca, era sottratta ad ogni ingerenza della Chiesa e poteva garantire la serenità dei lavori.

D. Accettano questa volta ì protestanti?

— Neppur per sogno. Essi vogliono la convocazione di un Concilio che possa decretare senza il Papa e contro il Papa, e nel quale abbiano diritto di voto anche i laici.

D. Che si fa allora?

— Carlo V muove contro di loro e li riduce all’impotenza, ma per sue divergenze con il Papa e la sospensione del Concilio, viene a un « modus vivendi » . Così il protestantesimo trionfa. Lutero muore il 18 febbraio 1546.

D. Viene ripreso il Concilio dì Trento.

— Sì, dopo la momentanea sospensione, dovuta allo scoppio della peste, viene ripreso. In tre tappe, segnate dai pontefici Paolo III, Giulio II e Pio IV: le sue 25 Sessioni — nonostante i maneggi dei protestanti e le interferenze dei principi — chiarirono in modo mirabile la perenne dottrina della Chiesa, specialmente riguardo ai punti attaccati dai novatori, e dettero alla autentica riforma basi tanto sagge che pratiche.

D. Che cosa provocò la rivoluzione religiosa protestante?

— La riscossa della Chiesa, sia con l’opera della santa inquisizione, sia — e più efficacemente — con i mezzi morali, intellettuali e disciplinari.

D. Come si chiamò tale riscossa!

— Si chiamò « Controriforma ».

D. Che casa dimostrò infatti il Concilio di Trento!

— La perenne vitalità della Chiesa e delle sue divine forze di ricupero.

Toccò tutti i gangli della vita della Chiesa con mirabile senso di attualità, precorrendo anche i tempi: dogma e disciplina, pastorale e liturgia, pastori, fedeli e religiosi, sacramenti e benefìci e patrimonio ecclesiastico, indulgenze e pene, vita ascetica e attività sociale per una integrale rinascita cristiana.

D. Come ne usci il protestantesimo?

— Il protestantesimo, causa di tante rovine morali e materiali, venne dal Concilio nettamente condannato.

D. Vennero attuale le disposizioni conciliari!

— Sì, dai tre grandi Papi elle succedettero a Pio IV e dalla schiera di Santi (S. Carlo Borromeo, S. Francesco di Sales, S. Filippo Neri, S. Vincenzo de’ Paoli, ecc.), che curarono con zelo indefesso il ritorno del clero e del popolo a una vita rispondente ai principi del Vangelo.

D. Dove furono raccolte le dottrine approvate dal Concilio?

— Nella « Professio Fidei tridentina » e nel « Catechismo Romano ».

D. Quali altri punti toccò!

— Modificò il tribunale dell’Inquisizione, stabilì la Congregazione dell’Indice per vigilare la stampa e compilare l’elenco dei libri proibiti, furono ordinati i seminari, si prepararono veri ecclesiastici, e si lottò contro i cattivi costumi, gli abusi del clero, il nepotismo e le feste superstiziose.

D. Da chi fu integrata l’opera del Concilio!

— Dagli antichi e nuovi Ordini religiosi. I Francescani ripresero le tradizioni di S. Francesco; la Confraternita della Trinità, i Teatini, i Barnabiti, i Somaschi, i Filippini, le Orsoline, gli Scalzi, e le Suore della Carità, assistendo gli ammalati, istruendo i fanciulli, e curando gli orfani e i poveri, fecero opera veramente degna ed ammirevole che apportò lustro e decoro alla Chiesa.

D. Quale tu l’Ordine più famoso e più potente.’

— Fu la « Compagnia di Gesù » fondata da S. Ignazio di Loyola, che nacque in lspagna e fu guerriero valoroso. Ignazio, ferito in combattimento, all’assedio di Pamplona, ricoverato all’ospedale, si diede alla lettura di libri sacri, tanto per passare il tempo. Il risultato fu che decise, con l’approvazione di Papa Paolo III, egli, che non a torto diceva di essere rimasto soldato, di istituire l’ordine della « Compagnia di Gesù » per combattere i nemici del Cristianesimo.

D. Quali sono gli obblighi del gregario della nuova milizia.’

— Oltre i voti ordinari, esso si obbliga ad un’assoluta obbedienza al « Generale della Compagnia » : dev’essere intelligente, robusto e disciplinato fino al sacrificio.

D. Quale fu il campo d’azione dell’ordine?

— L’educazione del popolo, dei nobili e delle corti.

D. Che gli sopravvenne nel sec. XVIII?

— La (momentanea) soppressione, in seguito all’odio di varie Corti europee.

ATTUAZIONE DEL CONCILIO

D. Chi furono i tre grandi Pupi che attuarono le disposizioni conciliari?

— 1) S . Pio V (1566-1572), che fece accettare le decisioni del Concilio tridentino a quasi tutti i sovrani cattolici, e che costituì la « Lega cristiana ». la cui flotta, al comando dell’arciduca Giovanni d’Austria, nelle acque di Lepanto inflisse una tremenda sconfitta ai Turchi.

2) GREGORIO XIII (1572-1585), revisore del Corpo del Diritto Canonico, riformatore del Calendario, detto poi appunto « gregoriano ».

3) SISTO V (1585-1590), che riassestò lo Stato della Chiesa, liberandolo dal brigantaggio e imprimendo notevole sviluppo all’industria e al commercio. Abbellì Roma. Istituì 15 Congregazioni cardinalizie ( = Ministeri) per il disbrigo dei diversi affari; fissò a 70 i cardinali. Pubblicò il Vecchio Testamento secondo i Settanta e l’edizione della Volgata.

D. Che cosa venne a compensare la Chiesa delle gravi perdite in Europa?

— Vennero le conquiste missionarie, iniziatesi appena scoperta l’America da C. Colombo, ad opera dei Francescani e Domenicani, proseguite ora con nuovo impulso dai Gesuiti, dai Lazzaristi, dai Cappuccini. Nel 1622 Gregorio XV istituisce la Propaganda Fide, per coordinare e incrementare l’attività delle Missioni Estere.

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (2)

R. P. CHAUTARD D . G. B .

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (2)

TRADUZIONE

del Sac. GIULIO ALBERA, S. D. B.

8a EDIZIONE

SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALETORINO MILANO GENOVA PADOVA PARMA ROMA NAPOLI BARI CATANIA PALERMO

VISTO: Nulla osta alla stampa.

Torino: 22 giugno 1922.

Can. CARLO FRANCO – Rev. Arciv.

VISTO: Imprimatur.

C. FRANCESCO DUVINA – Provic. gen.

3.

Che cosa è la vita interiore?

Le espressioni vita di orazione, vita contemplativa, adoperate in questo libro, si riferiscono, come nell’Imitazione di Gesù Cristo, allo stato delle anime le quali si danno sul serio a una vita cristiana non comune, eppure accessibile a tutti e, in sostanza, obbligatoria per tutti (Pure, prescindendo sempre dai fenomeni che accompagnano certi stati straordinari di unione con Dio, siamo persuasi che Dio spesso concede, all’infuori di tali fenomeni, grazie speciali di orazione alle anime generose che bramano di vivere in intimità con Lui). Non è nostra intenzione fermarci qui in uno studio di ascetismo, ma ci limiteremo a ricordare in breve quello che CIASCUNO è obbligato ad accettare come assolutamente certo, per il governo intimo dell’anima sua.

I. VERITÀ. La vita soprannaturale è in me, la Vita di Gesù Cristo medesimo, per mezzo della Fede, della Speranza e della Carità, perché Gesù è la causa meritoria esemplare e finale e, come Verbo, è col Padre e con lo Spirito Santo la causa efficiente della grazia santificante nell’anima nostra.  La presenza di Gesù per mezzo di questa vita soprannaturale non è la presenza reale propria della santa Comunione, ma una presenza di AZIONE VITALE, come l’azione della testa o del cuore sulle altre membra; azione intima che Dio per lo più nasconde all’anima mia, per accrescere il merito della mia fede; dunque azione abitualmente insensibile alle mie facoltà naturali, che soltanto la fede mi obbliga a credere formalmente; azione divina che non distrugge il mio libero arbitrio e che si serve di tutte le cause seconde, fatti, persone e cose, per farmi conoscere la volontà di Dio e per darmi occasione di acquistare o di accrescere la mia partecipazione alla vita divina.  – Questa vita cominciata col Battesimo con lo stato di grazia, perfezionata con la Cresima, ricuperata con la Penitenza, mantenuta e arricchita con l’Eucarestia, è la mia VITA CRISTIANA.

II. VERITÀ. Per mezzo di questa vita, Gesù Cristo mi comunica il suo Spirito; così Egli diventa un principio di attività superiore il quale, se non vi metto ostacolo, mi fa pensare, giudicare, amare, volere, soffrire e lavorare con Lui, in Lui, per mezzo di Lui, come Lui. Le mie azioni esteriori diventano la manifestazione di questa vita di Gesù in me, e così io tendo ad effettuare l’ideale della VITA INTERIORE formulato da san Paolo: Non sono più io che vivo, ma è Gesù che vive in me. – Vita cristiana, Pietà, Vita interiore, Santità non sono cose essenzialmente diverse, ma sono i gradi diversi di un medesimo amore: sono il crepuscolo, l’aurora, la luce, lo splendore di un medesimo sole.  – Quando in questo libro adoperiamo l’espressione Vita interiore, non intendiamo tanto la vita interiore abituale, cioè, se così possiamo esprimerci, « il capitale di vita divina » che possediamo per la grazia santificante, quanto piuttosto la Vita interiore attuale, ossia il buon uso di questo capitale per mezzo dell’attività dell’anima e della fedeltà alle grazie attuali. Possiamo dunque definirla lo stato di attività di unanima che REAGISCE per DOMINARE le sue inclinazioni naturali e si sforza di acquistare L’ABITUDINE di giudicare e di regolarsi IN TUTTO secondo la luce del Vangelo e gli esempi di Gesù Cristo.  Vi sono dunque due movimenti: col primo, l’anima si ritrae da ciò che il creato può avere di contrario alla vita soprannaturale, e cerca di essere sempre presente a se stessa: Aversio a creaturis; col secondo, l’anima si porta verso Dio e si unisce a Lui: Conversio ad Deum.  – Quest’anima vuole perciò essere fedele alla grazia che Nostro Signore le offre in ogni momento; insomma, essa vive unita a Gesù e avvera in se stessa la parola di Lui: Qui manet in Me et Ego in eo Me fert fructum multum – Chi si tiene in me, e in chi io mi tengo, questi porta gran frutto (Giov. XV, 5).

III. VERITÀ. Mi priverei di uno dei mezzi migliori per acquistare questa vita interiore, se non mi sforzassi di avere una fede PRECISA E CERTA di questa presenza attiva di Gesù in me e soprattutto di ottenere che tale presenza sia per me una realtà viva, ANZI VIVISSIMA, la quale penetri sempre più nella cerchia delle mie facoltà. Così, divenendo Gesù la mia luce, il mio ideale, il mio consiglio, il mio appoggio, il mio rifugio, la mia forza, il mio medico, il mio conforto, la mia gioia, il mio amore, insomma la mia vita, io acquisterò tutte le virtù. Soltanto allora potrò recitare con sincerità la bella preghiera di san Bonaventura, che la Chiesa mi propone come ringraziamento dopo la Messa: Transfige, etnicissime Domine Jesu..,

IV.VERITÀ. In proporzione dell’intensità del mio amore per Dio, la mia vita soprannaturale può crescere ogni momento per una nuova infusione della grazia della presenza attiva di Gesù in me, e questa infusione è prodotta:

1° Da ATTI MERITORI (virtù, lavoro, patimenti nelle loro varie forme, privazione di creature, dolore fisico o morale, umiliazione, abnegazione: preghiera, Messa, atti devoti verso Maria santissima ecc.) —

2° Dai SACRAMENTI e soprattutto dall’Eucaristia.

Dunque è cosa certa — e questa conseguenza mi schiaccia con la sua sublimità e con la sua profondità, ma più ancora mi rallegra e m’incoraggia — è dunque cosa certa che in ogni avvenimento, persona o cosa, siete Voi, o Gesù, proprio Voi che vi presentate a me e in ogni minuto! Sotto quelle apparenze Voi nascondete la vostra sapienza e il vostro amore e sollecitate la mia cooperazione, per accrescere in me la vostra vita! – O anima mia, è sempre Gesù che ti si presenta per mezzo della GRAZIA DEL MOMENTO PRESENTE, della preghiera che devi dire, della Messa che devi celebrare o ascoltare, della lettura che devi fare, degli atti di pazienza, di zelo, di rinuncia, di lotta, di confidenza, di amore che devi fare, e tu oseresti voltare la faccia o nasconderti?

V. VERITÀ. La triplice concupiscenza causata dal peccato originale e accresciuta da ciascuno dei miei peccati attuali, produce in me ELEMENTI DI MORTE, opposti alla vita di Gesù. Ora nella stessa misura con cui tali elementi si sviluppano, diminuiscono l’esercizio di tale vita e possono purtroppo anche arrivare a sopprimerla.  Tuttavia né inclinazioni, né sentimenti contrari a tale vita, né tentazioni anche violente e prolungate, non le possono nuocere finché la mia volontà vi si oppone; e in tal caso — oh! verità consolante! — essi contribuiscono anzi ad aumentarla,in proporzione del mio zelo, come qualunque elemento di lotta spirituale.

VI.VERITÀ. Se non faccio uso continuo di certi mezzi, la mia intelligenza si accecherà, e la mia volontà diventerà troppo debole per cooperare con Gesù ad accrescere ed anche a mantenere la sua vita in me; allora avviene una diminuzione progressiva di questa vita in me e io cammino verso la TEPIDEZZA DELLA VOLONTÀ (Questa tepidezza è ben diversa dall’aridità e anche dal disgusto che provano talvolta, loro malgrado, i fervorosi. Le colpe veniali che sfuggono alla fragilità e che sono combattute e subito detestate appena commesse, non rivelano neppur esse la tepidezza della volontà. L’anima che ha questa tepidezza, ha due volontà opposte, una buona e l’altra cattiva; una calda e l’altra fredda. Da una parte vuole la salute e perciò evita i peccati mortali e manifesti; d’altra parte non vuole le esigenze dell’amor di Dio, vuole invece le comodità di una vita libera e facile e perciò si permette peccati veniali deliberati… Quando questa tepidezza non è combattuta, per ciò stesso vi è nell’anima cattiva volontà, non totale, ma parziale; vi è cioè una parte della volontà che dice a Dio: « Su questo o su quel punto, non voglio cessare di dispiacervi » – P. DESURMONT, C. SS. R., Le Retour continuel à Dieu). Per dissipazione, per vigliaccheria, per illusione o per accecamento, vengo a patti col peccato veniale e per conseguenza divento incerto della mia salute, essendo quella una disposizione facile al peccato MORTALE.  – Se avessi la disgrazia di cadere in questa tepidezza, e tanto più se avessi la disgrazia di cadere anche più in basso, dovrei tentare ogni mezzo per uscirne, 1° con ravvivare il mio timor di Dio, rappresentandomi al vivo il mio fine, la morte, i giudizi di Dio, l’inferno, l’eternità, la malizia del peccato ecc.; 2° col ravvivare la mia compunzione per mezzo della scienza amorosa delle vostre Piaghe, o misericordioso Redentore, e portandomi in ispirito al Calvario, mi prostrerò ai vostri piedi santi, affinché il vostro Sangue vivo, scorrendo sulla mia testa e sul mio cuore, dissipi il mio accecamento, sciolga il ghiaccio dell’anima mia e desti dal torpore la mia volontà.

VII. VERITÀ. Devo seriamente temere di non avere il grado di vita interiore che Gesù esige da me:

1° Se tralascio di accrescere in me la SETE di vivere di Gesù, sete che mi dà il desiderio di piacere in ogni cosa a Dio e il timore di dispiacergli in qualche cosa; ora questo avviene necessariamente se non adopero più i mezzi che sono le preghiere del mattino, la Messa, i Sacramenti e l’Uffizio, gli esami particolare e generale, la lettura spirituale; oppure se per colpa mia tali mezzi non hanno effetto.

2° Se non ho almeno il puro necessario del RACCOGLIMENTO che mi permetta, durante le mie occupazioni, di custodire il mio cuore in una purezza e in una generosità sufficienti perché non venga soffocata la voce di Gesù che mi avverte degli elementi di morte che si presentano, e m’invita a combatterli. Ora quel tanto di raccoglimento mi mancherà, se trascuro i mezzi che me lo possono assicurare, cioè Vita liturgica, giaculatorie soprattutto in forma di suppliche, comunioni spirituali, esercizio della presenza di Dio ecc.  – Senza quel raccoglimento, i peccati veniali verranno a pullulare nella mia vita, e io non potrò forse neppure dubitarne; per nasconderli e anche per non lasciarmi vedere uno stato più deplorevole, l’illusione si gioverà dell’apparenza di pietà più speculativa che pratica, di zelo per l’azione ecc. Ma intanto il mio accecamento sarà colpevole, perché ne avrò messa o mantenuta la causa, con la mancanza di quel raccoglimento indispensabile.

 VIII. VERITÀ. La mia vita interiore sarà quale è la mia Custodia del cuore: Omni custodia serva cor tuum, quia ex ipso vita procedit (Prima di tutto custodisci il tuo cuore, perché da esso viene la vita (Prov. IV, 23).  La custodia del cuore altro non è che la sollecitudine ABITUALE o almeno frequente per preservare tutte le mie azioni, man mano che si presentano, da tutto ciò che potrebbe viziarle o nel loro MOTIVO o nella loro ESECUZIONE.  

Sollecitudine calma, tranquilla, senza sforzo, ma però forte, perché fondata sul filiale ricorso a Dio. È questo un lavoro del cuore e della volontà più che della mente la quale deve restare libera per compiere i suoi doveri. La custodia del cuore non solo non disturba l’azione, ma la perfeziona, perché la regola secondo lo spirito di Dio e l’aiuta nei doveri del proprio stato.  – Questo esercizio si può fare ogni momento; è come uno sguardo del cuore sulle azioni presenti a un’attenzione tranquilla sulle diverse parti di un’azione che si sta facendo; è la perfetta osservanza dell’Age quod agis. L’anima come una sentinella attenta esercita la sua vigilanza su tutti i movimenti del cuore, su tutto ciò che avviene nel suo interno, intenzioni, impressioni, passioni, inclinazioni, insomma su tutti i suoi atti interni ed esterni, pensieri, parole e azioni.  Per la custodia del cuore si richiede un certo raccoglimento, e un’anima dissipata non ne è capace. – Con la frequenza di questo esercizio, a poco a poco se ne acquista l’abitudine.

Quo vadam et ad quid? Che cosa farebbe Gesù, come si comporterebbe al mio posto! Che cosa mi consiglierebbe? Che cosa chiede da me in questo momento? Ecco le domande spontanee che vengono all’anima avida di vita interiore.  Per l’anima che va a Gesù per mezzo di Maria, la custodia del cuore prende un carattere ancora più facilmente affettivo, e per il suo cuore diventa un continuo bisogno il ricorrere a questa buona Madre.

IX. VERITÀ. Gesù Cristo regna nell’anima quando questa vuole imitarlo sul serio, in tutto e con affetto. In questa imitazione vi sono due gradi:

1° L’anima si sforza di divenire indifferente alle creature considerate in se stesse, siano esse conformi oppure contrarie ai suoi gusti. Come Gesù, non accetta altra legge che la Volontà di Dio in tutte le cose: Descendi de cœlo non ut faciam voluntatem meam, sed voluntatem eius qui misit me (Sono disceso dal Cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato  – Giov. VI, 38).  —

Christus non sibi placuit (Rom. XV, 3. Il Cristo non ebbe compiacenza per se. ). L’anima tende più volentieri a ciò che è contrario e ripugna alla natura. Essa allora mette in pratica l’Agendo contra di cui parla sant’Ignazio nella sua celebre meditazione del Regno di Gesù Cristo; è l’azione contro la natura per dare la preferenza a ciò che imita la povertà del Salvatore e il suo amore dei patimenti e delle umiliazioni. Allora l’anima, secondo l’espressione di san Paolo, conosce davvero il Cristo: Didicistis Christum (Efes. IV, 20.).

X. VERITÀ. Qualunque sia il mio stato, se  voglio pregare ed essere fedele alla grazia, Gesù mi offre tutti i mezzi per ritornare ad una vita interiore che mi restituisce la sua intimità e mi permette di sviluppare in me la sua vita. Allora, nel suo progredire, l’anima possederà la gioia, anche in mezzo alle prove, e si avvereranno per lei le parole d’Isaia: Allora splenderà la tua luce come l’aurora, e la guarigione presto verrà; la tua giustizia camminerà dinanzi a te; la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai il Signore, ed Egli ti esaudirà; tu griderai, ed Egli dirà: Eccomi… E il Signore sarà la tua guida; sazierà l’anima tua nei luoghi aridi e darà vigore alle tue ossa; tu sarai come un giardino bene irrigato, come una sorgente le cui acque non vengono mai meno (Is. LVIII, 8, 9).

XI. VERITÀ. Se Dio vuole da me che io esplichi la mia attività non soltanto per la mia santificazione, ma anche per le opere di zelo, devo anzitutto formare nell’anima mia questa convinzione ferma: Gesù deve e vuole essere la vita di queste opere. – I miei sforzi da soli non sono nulla, assolutamente nulla: Sine me nihil potesti facete (Senza di me, voi non potete fare nulla  – Giov. XV, 5); non saranno né utili né benedetti da Dio, se non li unisco continuamente all’azione vivificatrice di Gesù, con una vera vita interiore; saranno invece onnipotenti, se così farò: OMNIA possum in eo qui me confortat (Io posso tutto in Colui che mi conforta – Filipp. IV, 13). Ma se derivassero da presunzione orgogliosa, dalla fiducia nella mia capacità, dal desiderio di una bella riuscita, i miei sforzi sarebbero rigettati da Dio: non sarebbe infatti una stoltezza sacrilega la mia, se volessi rubare qualche cosa alla gloria di Dio, per farmene bello? Tale convinzione non solo non mi renderà pusillanime, ma sarà la mia forza. Come mi farà sentire il bisogno della preghiera per ottenere questa umiltà che è tesoro per l’anima mia, assicurazione dell’aiuto di Dio e pegno di buona riuscita per le mie opere! – Ben convinto dell’importanza di questo principio, mi esaminerò seriamente nei giorni di ritiro, per vedere – se la mia convinzione della nullità delle mie azioni quando è sola, e della sua forza quando è unita all’azione di Gesù, non si è indebolita; – se escludo inesorabilmente la compiacenza, la vanità e la personalità nella mia vita di apostolo; – se conservo un’assoluta diffidenza di me stesso; – se prego Dio di dare vita alle opere e di difendermi dall’orgoglio, che è l’ostacolo principale al suo aiuto.  – Questo CREDO della vita interiore, quando è per l’anima la base della sua esistenza, le assicura fino di quaggiù una partecipazione alla felicità del cielo. 

La vita interiore è la vita dei predestinati.

Essa corrisponde al fine propostosi da Dio nel crearci (Ad contemplandum quippe Creatorem suum homo conditus fuerat eius semper speciem quæreret atque in noi idi tate amorfa illius habitaret (S. GREG., Moral. VIII, cap. XII). Essa corrisponde al fine dell’Incarnazione: Filium suum Unigenitum misit Deus in mundum ut vivanvus per eum (Dio mandò il suo Figlio Unigenito nel mondo, affinché noi viriamo per Lui  – I Giov. IV, 9).  È uno stato felice: Finis humanæ creaturæ est adhærere Deo: in hoc enim felicitas eius consistit (Il fine della creatura umana è di unirsi a Dìo; qui sta tutta la felicità (S. Tommaso). All’opposto delle gioie del mondo, se fuori vi sono spine, dentro vi sono rose. Come sono da compiangere i poveri mondani! dice il santo Curato d’Ars; essi portano su le spalle un mantello foderato di spine e non si possono muovere senza pungersi; invece i veri Cristiani portano un martello foderato di pellicce. Crucem vident, unctionem non vident (Si vede la croce, ma non se ne vede l’unzione – S. Bernardo).  – È uno stato celeste: l’anima diventa un cielo vivente (Semper memineris Dei, et cœlum mens tua evadit (S. Efrem). — Mens animæ paradisus est, in qua, dum cœlestia meditatur, quasi in paradiso voluptatis delectatur (Ugo da San Vittore). – Come santa Margherita Maria, essa canta: « Io posseggo in ogni tempo e porto in ogni luogo il Dio del mio cuore e il cuore del mio Dio ». – È il principio della beatitudine: Inchoatio quœdam beatitudinis (S. TOMM., 2a 2æ, q. 180, a. 4): la grazia è il Cielo in germe.

4.

Come è conosciuta male questa vita interiore

San Gregorio Magno, il quale fu esperto amministratore e apostolo zelante e nel tempo stesso un gran contemplativo, con questa semplice espressione Secum vivebat (Egli viveva con se stesso), caratterizza lo stato d’animo di san Benedetto il quale a Subiaco gettava le fondamenta della sua Regola, divenuta poi una delle più potenti leve di apostolato, di cui Dio si sia servito sulla terra. Della maggior parte dei nostri contemporanei bisognainvece dire il contrario; vivere con se stesso, in se stesso, voler governare se stesso e non lasciarsi governare dalle cose esteriori, obbligare la fantasia, la sensibilità, e anche l’intelligenza e la memoria a fare la parte di serve della volontà e conformare sempre la propria volontà a quella di Dio, è un programma che si accetta sempre di meno in questo secolo di agitazione, il quale vide nascere un ideale nuovo, cioè l’amore dell’azione per l’azione.  Per evitare questa disciplina delle facoltà, si prende per buono ogni pretesto; gli affari, le cure della famiglia, l’igiene, la buona fama, lo spirito di corpo, la pretesa gloria di Dio vanno a gara per non lasciarci vivere in noi stessi; questa specie di delirio della vita esteriore arriva anche ad attrarci irresistibilmente.Allora che meraviglia se la vita interiore è mal conosciuta? Dire che è mal conosciuta è anzi troppo poco; essa è spesso disprezzata e messa in ridicolo proprio da quelli che dovrebbero stimarne di più i vantaggi e la necessità. Per protestare contro le funeste conseguenze di un’ammirazione esclusiva per l’azione, ci voleva la memorabile lettera di Leone XIII al Cardinale Gibbons, Arcivescovo di Baltimora.  – L’ecclesiastico, per schivare la fatica della vita interiore, arriva al punto di non riconoscere l’eccellenza della vita con Gesù, in Gesù, per mezzo di Gesù,, di dimenticare che, nel disegno della Redenzione, tutto si fonda sulla vita eucaristica, come tutto è costruito sulla rocca di Pietro. Mettere in second’ordine quello che è ESSENZIALE, è appunto quello a cui tendono inconsciamente i partigiani di quella spiritualità moderna detta AMERICANISMO; per costoro la Chiesa non è ancora un tempio protestante, il santo tabernacolo non è ancora vuoto, ma la vita eucaristica, a loro giudizio, non può adattarsi né, molto meno, bastare alle esigenze della civiltà moderna, e la vita interiore la quale deriva necessariamente dalla vita eucaristica, ha fatto il suo tempo. Per le persone, purtroppo assai numerose, le quali sono imbevute di queste teorie, la Comunione non ha più il vero significato che in essa trovavano i primi Cristiani; esse credono all’Eucaristia, ma non vedono in essa un elemento di vita così necessario, tanto per loro che per le loro opere. Non fa perciò meraviglia che, non esistendo quasi più per loro l’intimità con Gesù, la vita interiore venga considerata come un ricordo del Medioevo.  – Davvero che al sentire questi uomini di azione a parlare delle loro imprese, sembrerebbe che il Creatore, il quale creò i mondi scherzando e per il quale l’universo è polvere e nulla, non possa fare a meno del loro concorso! Molti fedeli, e persino sacerdoti e religiosi, arrivano insensibilmente, con il culto dell’azione, a farsene una specie di dogma che ispira la loro condotta, le loro azioni, e li spinge ad abbandonarsi sfrenatamente alla vita esteriore. La Chiesa, la diocesi, la parrocchia, la congregazione, l’Azione Cattolica hanno bisogno di me; volentieri si vorrebbe poter dire… Io sono molto utile a Dio!… E se non si osa dire simile sciocchezza, stanno però nascoste in fondo al cuore la presunzione, che ne è la base, e la diminuzione di fede, che l’ha prodotta. Spesso si prescrive al nevrastenico di astenersi, talvolta anche per molto tempo, da qualunque lavoro; ma è questo un rimedio per lui insopportabile, perché appunto la sua malattia lo mette in una agitazione febbrile che diventa come una seconda natura e lo spinge a cercare continuamente nuovi sperperi di forze e nuove emozioni che aggravano il suo male.  Lo stesso avviene spesso all’uomo di azione, riguardo alla vita interiore; egli la sdegna, anzi sente di essa tanto maggiore ripugnanza appunto perché nella sua pratica soltanto si trova il rimedio al suo stato morboso; peggio ancora, cercando di stordirsi sempre più in un cumulo di lavori nuovi e non bene diretti, perde ogni possibilità di guarire. La nave corre a tutto vapore; ma mentre chi la guida ne ammira la velocità, Dio giudica che, per mancanza di un saggio pilota, quel bastimento va alla ventura e corre pericolo di perdersi. Dio vuole prima di tutto adoratori in ispirito e verità: l’americanismo invece pensa di dare grande gloria a Dio, mirando principalmente ai risultati esteriori.  Questo modo di pensare ci spiega come ai nostri giorni, se si fa un gran conto delle scuole, dei dispensari per i poveri, delle missioni, degli ospedali, sia invece sempre meno compresa l’abnegazione nella sua forma intima, cioè nella penitenza e nella preghiera. Chi non sa più credere al valore dell’immolazione nascosta, non si accontenta di trattare da vili e da illusi coloro che la praticano nella solitudine del chiostro, senza cederla, nell’ardore per la salute delle anime, ai più infaticabili missionari, ma metterà anche in ridicolo le persone di azione le quali credono cosa indispensabile il rubare qualche momento alle occupazioni più utili, per andare a purificare e a riscaldare il loro zelo dinanzi al Tabernacolo, per ottenere dall’Ospite divino migliori risultati alle loro fatiche.

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DA SAN PIETRO A PIO XII (15)

Da SAN PIETRO A PIO XII (15)

[G. Sbuttoni: da san Pietro a Pio XII, Ed. A.B.E.S. Bologna, 1953]

APPENDICE I.

L’INQUISIZIONE

PREAMBOLO

Collochiamola nella vera luce

Dal tempo della riforma protestante,  l’Inquisizione è generalmente conosciuta dal volgo — e in questo argomento è volto anche gran parte della cosiddetta cultura — come un capo d’accusa contro la Chiesa. Si ignorano le distinzioni, le forme, i procedimenti, le giustificazioni storiche, giuridiche, teologiche degli istituti designati da quella parola polivalente; eppure mentre negli ambienti in cui sorse e funzionò per lunghi secoli non aveva suscitato serie opposizioni né pratiche né teoriche perché si trovava in armonia con la struttura sociale d’allora, dall’epoca luterana solitamente si considera l’Inquisizione come un’infamia. – Il malvezzo ha già un’imponente storia letteraria e artistica: romanzi, drammi, poemi, storie romanzate, articoli di giornale e di rivista, libelli, pitture, sculture, incisioni, pezzi musicali… pullularono copiosamente dal Rinascimento in poi, alimentati originariamente dalla ribellione antichiesastica. Era facile ai falsari della storia eccitare l’immaginazione del credulo lettore e conquistare il suo commosso consenso, dipingendo, dinanzi ai suoi occhi ingenui, balenìi di roghi, orrori di prigioni, carni straziate da barbare torture, sevizie di inquisitori carnefici, innocenze idilliche dì accusati…; e si sa che il lettore sprovveduto, quando vede scorrere il sangue e lampeggiar la fiamma, senza esame dà torto ai giudice e alla giustizia. Fantasie di cattivo gusto, invenzioni abbondantemente menzognere; sia perché nascondono le fortissime ragioni che dinanzi agli spiriti bennati legittimarono in generale l’istituto dell’Inquisizione, sia perché in particolare ne deformano violentemente la natura, mettendole in conto soltanto i rari abusi e rari errori — del resto inevitabili — in cui cadde nella persona di alcuni suoi rappresentanti e in speciali circostanze storiche, dilatando a dismisura gli aspetti della sua azione che non rispondono più alla coscienza moderna, e minimizzando al contrario gli aspetti che farebbero onore al più perfetto tribunale. Cosi avvenne che gli acattolici trassero motivo dall’Inquisizione per dimostrare che la Chiesa Romana, rea di tanta tirannìa, non poteva essere la vera Chiesa del dolcissimo e giustissimo Gesù. Gli anticlericali trovarono nell’Inquisizione il più caro e comodo idolo polemico per la loro forsennata sassaiola contro la Chiesa. I più moderati preferiscono non parlarne per non sentirsi costretti a intrupparsi nella fauna degli anticlericali. Anche alcuni Cattolici sembrano vergognarsi, dell’Inquisizione, come di un’infausta colpa della madre e, per farsela meglio perdonare dagli avversari, non sono i meno severi nel giudicarla. – Oggi nel popolo la carica passionale dell’argomento è di molto precipitata: non forse per resipiscenza o maggior conoscenza, ma forse per ragione della generale indifferenza per le questioni religiose. – Neppure il comunismo sovietico, nella sua lotta cieca e furiosa contro la Chiesa, non manovra l’arma dell’Inquisizione nella misura che si attendeva; forse perché i suoi tribunali di Russia, di Ungheria, di Bulgaria, di Cecoslovacchia, di Jugoslavia devono ancora farsi perdonare dal mondo civile tali infamie che, a patto di esse, i declamati orrori dell’Inquisizione, compresa quella spagnola, sono trastulli innocenti di bimbi. Invece il mondo della cultura, anche, acattolica, s’è fatto più sereno, più saggio, perché più informato: le nuove scoperte e le pubblicazioni degli atti originali dei processi han fatto cadere come sacchi vuoti quasi tutte le antiche calunnie. Sicché, oggi, maneggiare le vecchie frecce avvelenate contro l’Inquisizione è gioco grottesco che può piacere soltanto a chi non teme di far cattiva figura.

* * *

D. Che cos’è l’Inquisizione?

— È un tribunale straordinario che la Chiesa istituì per individuare le eresie, che i sovversivi, nascondendosi sotto il pretesto religioso, diffondevano sovvertendo l’ordine pubblico e commettendo violenze e rapine.

— La ricerca (Inquisitio) e la repressione degli eretici furono sempre un dovere e un diritto dei Vescovi, esercitati solitamente da essi mediante le officiante diocesane, eccezionalmente, dai Legati Pontifici. La recrudescenza dell’ eresìa, manifestatasi in forme sociali imponenti nei sec. XI-XIII, rendendo quel compito ordinario particolarmente urgente, difficile e gravoso, provocò una nutrita legislazione ecclesiastica. – Quando Gregorio IX s’accorse del tentativo dell’ imperatore Federico II di avocare a sé il giudizio e la repressione dell’eresìa per conquistarsi una posizione di privilegio, e il primato sullo stesso potere pontificale, allora con abile mossa rivendicò alla Chiesa le cause di eresia e all’intemperante interessato zelo imperiale oppose un giudice delegato permanente, creando il tribunale straordinario dell’Inquisizione a salvaguardia delle competenze ecclesiastiche, a miglior tutela della fede e a difesa degli stessi, eretici.

D . Aveva diritto la Chiesa di istituire tale tribunale?

— Sì, perché società perfetta, fondata da Gesù Cristo, con il mandato esplicito di custodire il divino deposito delle verità rivelate.

D. Tale diritto lo ha sempre esercitato?

— Sì; ogni società, del resto, ha il diritto di provvedere alla sua conservazione e alla sua difesa. Gli stessi pagani non permettevano la diffusione di dottrine antireligiose ed antisociali.

D. Come lo ha esercitato?

— Da prima con la scomunica, poi con l’apposito tribunale.

D. Chi diede all’Inquisizione la sua forma giuridica?

— Fu papa Gregorio IX (1227 – 1241), il quale, davanti al momento delicatissimo che la Chiesa e la civiltà stavano attraversando, capì che solo mediante una ferrea repressione si poteva combattere l’eresia.

D. Erano poi tanto pericolosi gli eretici?

— Sì, perché nello Stato cristiano ciò che minacciava 1’ordine religioso era pure una minaccia all’ordine sociale. E appunto per questo, prima dell’inquisizione ecclesiastica, funzionava già un’inquisizione laica, come il tribunale costituito da Federico II, il quale considerava il delitto di eresia superiore allo stesso delitto di lesa maestà. E l’aver sottratto ai giudici secolari la punizione degli eretici segnò un progresso, perché furono mitigate le pene.

D. E l’Inquisizione di Spagna?

— Fu introdotta, con Bolla di Sisto IV del 1 Novembre 1478 dal re Ferdinando il Cattolico, date le condizioni particolari di quella nazione.

D. Quali erano queste condizioni particolari?

— Quelle determinate dalla lotta formidabile che questo re ebbe a sostenere, alla fine del sec. XV, contro i « Maranos » ( — ebrei, finti Cristiani) e i « Moriscos »  — i mori», i quali costituivano un serio pericolo non solo per la fede, ina anche per l’unità nazionale.

D. Non furono commessi abusi!

— Purtroppo si; ina l’Inquisizione spagnola fu manovrala dall’autorità civile, giacché era composta di sei laici e di due soli ecclesiastici eletti anch’essi dal re.

D). Che ne dicono gli storici!

— Tutti gli storici, compresi i protestanti, hanno considerato la Inquisizione di Spagna un’istituzione civile, con la quale i sovrani spagnoli si proposero di raggiungere e mantenere l’unità religiosa e civile del loro paese. Se commise degli eccessi, questi non furono né voluti, né tanto meno approvati dalla Chiesa.

D. Quante furono le vittime dell’Inquisizione Spagnola?

— Il Llorente, unica fonte storica, dice 30.000. Ma non è attendibile, perché distrussi» tutti i documenti originali dai quali aveva attinto le sue notizie. Del resto se tale cifra la si confronta con le stragi di milioni di vittime perpetrate dalle polizie segrete degli Stati totalitari d’oggi giorno diventa irrisoria. – Le stesse pretese torture usate allora, paragonate con quelle messe in atto dal fascismo, dal nazismo, dal comunismo (luoghi di confino, campi e forni e camere di eliminazione, i processi tipici sovietici,, come il Mindszentj, ecc., inoltre i processi in Messico e nella Cina di Mao contro il clero cattolico, le suore, i fedeli in genere…) vedono svanire gran parte del decantato orrore.

D. Quante le vittime dell’Inquisizione a Roma?

— Quelle che salirono il patibolo furono tre: Giordano Bruno, Pietro Carnesecchi e Antonio Paleario; numero ben esiguo in confronto delle stragi di Cattolici consumate dal Protestantesimo fino al Comunismo.

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (1)

R. P. CHAUTARD D. G. B.

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (1)

TRADUZIONE del Sac. GIULIO ALBERA, S. D. B. 8a EDIZIONE

SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALETORINO MILANO GENOVA PADOVA PARMA ROMA NAPOLI BARI CATANIA PALERMO

VISTO: Nulla osta alla stampa.

Torino: 22 giugno 1922.

Can. CARLO FRANCO – Rev. Arciv.

VISTO: Imprimatur.

C. FRANCESCO DUVINA – Provic. gen.

PREPAZIONE

Perché la versione di questo libro?

Datomi all’Azione Cattolica fin dai primi anni della mia vita ecclesiastica, notai ben presto che il piò, valido aiuto mi veniva da coloro che, sebbene laicierano stati formati nello spirito da un vecchio Sacerdote, il quale non aveva molta coltura, ma aveva però molta pietà, e passava tutto il suo tempo in una piccola chiesa, ove, con istruzioni sacre in forma molto semplice, e col promuovere la frequenza dei Sacramenti, lavorava con zelo in prò delle anime. Alla scuola di quel pio Sacerdote imparai anch’io la necessità che avevo di ritemprare spesso lo spirito con gli Esercizi Spirituali, e di ricorrere frequentemente air orazione per raccogliere dall’operosità quel frutto che ardentemente bramavo. Capii quindi fin d’allora che l’Azione Cattolica, mentre è commendevole sotto molti rispetti, può tuttavia divenire facilmente per tutti (anche pei Sacerdoti) sorgente di dissipazione, se chi la esercita non attende seriamente a coltivare anzitutto lo spirito in sé e negli altri.  Divenuto poi Vescovo, nel governo della Diocesi questa verità mi apparve sempre più evidente, e deplorai che, per non avere tenuto nel debito conto un principio così essenziale, fossero le tante volte e in tanti luoghi riuscite sterili le fatiche ed inutili i vari mezzi adoperati per dar vita o incremento all’Azione Cattolica. Mi provai quindi a manifestare questa mia convinzione desiderosissimo di rimuovere la causa di sì funesta sterilità, ma mi parve die pochi mi volessero dare ascolto, ed i più avessero invece una specie di compatimento per me, quasi che io non conoscessi le anime moderne e l’azione che deve spiegarsi ai giorni nostri dai cattolici. Avrei desiderato che su tale argomento vi fosse qualche libro per diffonderlo largamente, e dissipare con siffatto  mezzo i pregiudizi che offuscano le menti, ma non ne conoscevo alcuno.  Gesù buono seppe rimediare a tutto, ed un bel giorno, per le mani di uno zelante Religioso della Società di Maria, mi fece capitare il libro che da tanto tempo sospiravo.  Io non sto a lodare il libro presente, perché le cose belle come le cose buone, bisogna gustarle per apprezzarle convenientemente. Dirò soltanto che in Francia è giunto in breve alla settima edizione, e se ne sono già pubblicati 70.000 esemplari, e spero che in Italia sì diffonderà così da emulare anche in questo la Francia cattolica. Per conto mio, faccio voti che vada in mano a tutti i Parroci ed a tutti i Sacerdoti della mia Diocesi, né manchi a nessuno di quelli che fanno parte delle Associazioni Cattoliche della Diocesi di Arezzo.

All’ardente ed umile solitario, che tra i rigori della troppa scrisse, pregando, questo libro, in cui si rispecchia al vivo il suo animo di apostolo, conceda il Maestro Divino copiose benedizioni e quell’approvazione che Egli già fece sentire ad altri, i quali coi loro libri dettero a Lui gloria ed alle anime luce e pascolo salutare.

Arezzo, dall’Episcopato, 7 giugno 1918, festa del Sacro Cuore di Gesù.

GIOVANNI VOLPI, Vescovo d’Arezzo

INTRODUZIONE

Ex quo omnia, per quem omnia, in quo omnia.

O Dio infinitamente grande e buono, le verità che la Fede ci rivela sulla nostra vita intima, sono ammirabili e stupende.  O Padre santo, Voi vi contemplate eternamente nel Verbo, vostra perfetta immagine; il vostro Verbo trasalisce rapito dalla vostra Bellezza; e dalla vostra comune estasi divampa un fuoco di amore, lo Spirito Santo.  O adorabile Trinità, voi sola siete la vita interiore perfetta, sovrabbondante e infinita.  Voi, bontà infinita, volete diffondere fuori di voi la vostra vita intima; Voi parlate, e le vostre opere si slanciano dal nulla, per manifestare le vostre perfezioni, per cantare la vostra gloria.  Tra Voi e la polvere animata dal vostro soffio, corre un abisso che il vostro Spirito di amore vuole colmare: così potrà soddisfare l’immenso suo bisogno di amare e di darsi.  Egli dunque, nel vostro Seno, provoca il Decreto della nostra divinizzazione, e questo fango plasmato dalle vostre mani potrà, o meraviglia!, essere deificato e partecipare alla vostra eterna felicità!  Per compiere quest’opera, si offre il vostro Verbo: Egli si fa carne, affinché noi diventiamo Dèi (Factus est homo, ut homo fieret deus – S. AGOSTINO, Serm. 9 de Nativ.). Voi intanto, o Verbo, non lasciate il Seno di vostro Padre: là è la vostra vita essenziale, e da quella sorgente sgorgheranno le meraviglie del vostro Apostolato.  O Gesù, Emanuele, Voi affidate ai vostri Apostoli il vostro Vangelo, la vostra Croce, la vostra Eucaristia, e date loro la missione di andare a generare figli di adozione al Padre vostro. – Poi risalite al Padre. O Spirito divino, ora tocca a Voi il compito di santificare e dì governare il Corpo mistico dell’Uomo-Dio (Deus cujus Spiritu totum corpus sanctificatnr et regitur… – Liturgia). Perché dal Capo scenda nelle membra la vita divina, Voi vi degnate di scegliere dei collaboratori all’Opera Vostra; accesi del fuoco della Pentecoste, essi andranno per tutto il mondo a seminare nelle intelligenze il verbo che illumina, e nei cuori la grazia che infiamma, e a comunicare cosi agli uomini quella vita divina di cui Voi siete la Pienezza.  O fuoco divino, destate in tutti coloro che partecipano al vostro Apostolato, quegli ardori che trasformarono i felici congregati del Cenacolo: essi saranno allora non più semplici predicatori del dogma e della morale, ma organi viventi della trasfusione del Sangue divino nelle anime.  O Spirito di luce, scolpite a caratteri indelebili nelle loro intelligenze questa verità, che cioè il loro apostolato sarà efficace soltanto in quella misura in cui essi stessi vivranno di quella vita intima soprannaturale di cui Voi siete il primo PRINCIPIO e di cui Gesù Cristo è la SORGENTE.  O Carità infinita, accendete nella loro volontà una sete ardente della vita interiore: penetrate il loro cuore con i vostri soavi e potenti effluvi, fate sentire loro che anche quaggiù non vi è vera felicità fuori di quella vita che è imitazione e partecipazione della vostra e di quella del Cuore di Gesù nel seno del Padre di tutte le misericordie e di tutte le tenerezze. O Maria Immacolata, Regina degli Apostoli, degnatevi di benedire questo modesto libro. A tutti quelli che lo leggeranno, ottenete la grazia di comprendere bene che, se Dio si vuole servire della loro attività come di uno strumento ordinario della Provvidenza, per diffondere nelle anime i suoi beni celesti, tale attività, per dare buoni risultati dovrà partecipare in qualche modo della natura dell’Uomo divino, quale Voi lo contemplavate nel Seno di Dio, quando nelle vostre viscere verginali s’incarnò Colui al quale dobbiamo la fortuna di potervi chiamare nostra Madre.

PARTE PRIMA

Dio vuole le opere e la vita interiore

1.

Le opere, e perciò anche lo zelo sono voluti da Dio

È proprio della natura divina l’essere sommamente liberale. Dio è Bontà infinita, e la bontà tende a diffondersi e a comunicare il bene di cui essa gode.  La vita mortale di Gesù Cristo non fu altro che una continua manifestazione di questa inesauribile liberalità: il Vangelo ci presenta il Redentore che sparge a piene mani i tesori di amore di un Cuore avido di attirare gli uomini alla verità e alla vita.  Gesù Cristo comunicò quella fiamma di Apostolato alla Chiesa che è dono del suo amore, diffusione della sua vita, manifestazione della sua verità, splendore della sua santità; e la Sposa mistica di Gesù, animata dello stesso ardore, continua attraverso i secoli l’opera di apostolato del suo divino Modello.  – È un magnifico disegno, una legge della Provvidenza, che per mezzo dell’uomo, l’uomo debba conoscere la via della salute (Ad communem legem id pertinet qua Deus Providentissimus, ut homines plerumque fere por homines salvandos decrerlt… ut nlmirum, quemadmodum Chrysostomus ait, per homines a Deo discamus – Lettera di LEONE XIII, 22 gennaio 1899, al Card. Gibbons). Soltanto Gesù versò il sangue che redime il mondo, perciò Egli solo ne potrà applicare la virtù e agire direttamente sulle anime, come fa per mezzo dell’Eucarestia. Egli però volle avere dei cooperatori nel distribuire i suoi benefizi; e perché! Certamente cosi voleva la Maestà divina, ma ve lo spingevano anche le sue tenerezze per l’uomo. Se è conveniente per il più grande dei monarchi, che in via ordinaria governi per mezzo di ministri, quale condiscendenza da parte di un Dio, che egli si degni di associare povere creature al suo lavoro e alla sua gloria! La Chiesa, nata sulla Croce, uscita dal fianco ferito del Salvatore, continua col ministero apostolico l’azione benefica e redentrice dell’Uomo-Dio; e tale ministero voluto da Gesù, diventa il fattore essenziale della diffusione della Chiesa in mezzo alle nazioni e lo strumento più ordinario delle sue conquiste.  Per tale apostolato vi è in prima fila il clero, la cui gerarchia forma i quadri dell’esercito di Gesù Cristo; clero illustrato da tanti Vescovi e Sacerdoti santi e pieni di zelo, e onorato gloriosamente dalla recente beatificazione del Curato d’Ars. – Accanto al clero ufficiale, fin dall’origine del Cristianesimo, sorsero compagnie di volontari, veri corpi scelti la cui continua e rigogliosa vegetazione sarà sempre uno dei fenomeni più manifesti della vitalità della Chiesa. Sono anzitutto, nei primi secoli, gli Ordini contemplativi la cui preghiera continua e le dure macerazioni contribuirono tanto alla conversione del mondo pagano. Nel Medioevo sorgono gli Ordini predicatori, gli Ordini mendicanti, gli Ordini militari, gli Ordini dedicati all’eroica missione della redenzione dei prigionieri in potere degli infedeli. Finalmente i tempi moderni vedono nascere una moltitudine di Milizie insegnanti, Istituti, Società di missionari, Congregazioni di ogni specie, la cui missione è quella di diffondere il bene spirituale e corporale sotto tutte le forme. La Chiesa inoltre, in ogni epoca della sua storia, ha trovato preziosi collaboratori nei semplici fedeli, come quei ferventi Cattolici che oggi sono legione, persone di azione — secondo l’espressione di uso — cuori ardenti che sanno unire le loro forze e mettono interamente a servizio della nostra Madre comune, tempo, capacità, averi, sacrificando spesso la loro libertà e talora il loro sangue.  – È davvero uno spettacolo ammirabile e confortante questa provvidenziale fioritura di opere che spuntano a tempo opportuno e così adatte alle circostanze. La storia della Chiesa dimostra che ogni nuovo bisogno, ogni pericolo da scongiurare, vide sempre apparire l’istituzione richiesta dalle necessità del momento. Così vediamo ai nostri giorni opporsi a mali di particolare gravità, una moltitudine di opere che prima appena si conoscevano: Catechismi di preparazione alla prima comunione, Catechismi di perseveranza, Catechismo per i fanciulli abbandonati, Congregazioni, Confraternite, Riunioni e Ritiri per uomini e per giovani, per signore e per fanciulle, Apostolato della Preghiera, Apostolato della carità, Leghe per il riposo festivo, Patronati, Circoli cattolici, Opere di assistenza per i soldati, Scuole private, Buona stampa ecc., forme tutte di apostolato suscitate da quello spirito che infiamma l’anima di un san Paolo: Ego autem libentissime impendam et superimpendar ipse prò animabus vestris(Assai volentieri spenderò il mio e spenderò di più me stesso per le anime vostre – II Cor. XII, 15), e che vuol diffondere dappertutto i benefizi del sangue di Gesù Cristo.  Vadano queste umili pagine ai soldati che, tutto zelo e ardore per la loro nobile missione, si espongono, appunto per la loro attività, al pericolo di non essere prima di tutto uomini di vita interiore e che, se un giorno venissero puniti con insuccessi in apparenza inesplicabili, come pure da gravi danni spirituali, si sentirebbero tentati di abbandonare la lotta e di rientrare scoraggiati sotto la tenda.  I pensieri sviluppati in questo libro hanno aiutato anche me a lottare contro la dissipazione prodotta dalle opere esteriori. Possano essi evitare a qualcuno le delusioni e guidare meglio il loro coraggio, mostrando loro che il Dio delle opere non deve mai essere abbandonato per le opere di Dio e che il Væ mihi si non evangelizavero (Guai a me se non evangelizzerò – 1 Cor. I X , 16). non ci dà il diritto di dimenticare il Quid prodest Uomini si mundum universum lucretur, animæ vero suæ detrimentum patiatur (Che giova all’uomo il guadagnare tutto il mondo, se poi perde l’anima? – MATT. XVI, 26).  – I padri e le madri di famiglia, a cui non sembra ancora un libro troppo vecchio l’Introduzione alla vita divota, gli sposi Cristiani che si credono obbligati vicendevolmente ad un apostolato che essi esercitano nel tempo stesso verso i loro figli per formarli all’amore e all’imitazione del Salvatore, possono anche essi applicare a sé medesimi l’insegnamento di queste modeste pagine. Possano essi meglio comprendere la necessità di una vita non solo pia, ma interiore, per rendere efficace il loro zelo e per imbalsamare la loro casa con lo spirito di Gesù Cristo e con quella pace inalterabile che, nonostante le prove, sarà sempre il retaggio delle famiglie profondamente cristiane.

2.

Dio vuole che Gesù sia la vita delle opere

La scienza, e non a torto, va superba dei suoi immensi risultati; però una cosa le fu fino a oggi e le sarà sempre impossibile, cioè il creare la vita, il far uscire dal laboratorio di un chimico un chicco di grano, una larva. Le clamorose sconfitte dei difensori della generazione spontanea ci dicono qualche cosa su tale pretesa. Dio riserva per sé il potere dì creare la vita. Nel regno vegetale e animale, gli esseri viventi possono crescere e moltiplicarsi, ma la loro fecondità si esplica soltanto nelle condizioni stabilite dal Creatore. Quando però si tratta della vita intellettuale, Dio la riserva a sè, ed è lui che crea direttamente l’anima ragionevole. Vi è tuttavia un dominio di cui è ancora più. geloso, quello della Vita soprannaturale, perché questa è un’emanazione della vita divina comunicata alla Umanità del Verbo incarnato.  L’Incarnazione e la Redenzione stabiliscono Gesù Cria io Sorgente, e Sorgente unica, di quella vita divina alla cui partecipazione sono chiamati tutti gli uomini. Per Dominum nostrum Jesum Christum; Per ipsum, et curri ipso et in ipso (Per mezzo di Nostro Signor Gesù Cristo. — Per mezzo di Lui, con Lui e in Lui – Liturgia). L’azione essenziale della Chiesa consiste nel diffonderla per mezzo dei Sacramenti, della Preghiera, della Predicazione e di tutte le opere che vi si riferiscono.  Dio fa tutte le cose per mezzo di suo Figlio: Omnia per Ipsum facta sunt et sine Ipso factum est nihil – Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e non fu fatto niente senza dì Lui  – Giov. I, 3). Questo è vero nell’ordine naturale, ma quanto più nell’ordine soprannaturale, dove si tratta di comunicare la sua vita intima e di fare gli uomini partecipi della sua natura, per renderli figli di Dio! Veni ut vitam habeant; — In Ipso vita erat;— Ego sum vita (Io sono venuto affinché abbiano la vita (Giov. X, 10). — In Lui era la vita (Giov. I, 4). — Io sono la vita (Giov. XIV» 6). Quanta precisione in queste parole! Quanta luce nella parabola della vite e dei tralci, nella quale il Maestro svolge questa verità! Con quanta insistenza Egli vuole scolpire nella mente dei suoi Apostoli questo principio fondamentale, che Egli solo, Gesù, è la Vita, e questa conseguenza che, per partecipare a tale Vita e per comunicarla agli altri, essi debbono essere innestati su l’Uomo-Dio! – Gli uomini chiamati all’onore di collaborare col Salvatore per trasmettere alle anime questa Vita divina, debbono dunque considerare se stessi come modesti canali incaricati di attingere a questa unica Sorgente.  L’uomo apostolico il quale non riconoscesse questi princìpi e credesse di poter produrre la più lieve traccia di vita spirituale senza attingerla totalmente da Gesù, ci farebbe credere che la sua ignoranza di teologia è uguale alla sua sciocca presunzione. Se pure riconoscendo teoricamente, che il Redentore è la causa prima di ogni vita divina, l’apostolo, nella sua azione, dimenticasse tale verità e, accecato da una stolta presunzione che è ingiuriosa per Gesù Cristo, non facesse assegnamento che sulle sue forze, sarebbe questo un disordine meno grave dell’altro, ma però sempre insopportabile agli occhi di Dio. Il respingere la verità o il fare astrazione da essa nell’azione, è sempre un disordine intellettuale, o dottrinale o pratico; è la negazione di un principio che deve informare la nostra condotta. Il disordine sarà ancora più grave se la verità, invece di risplendere, trova nell’uomo di azione un cuore che per il peccato o per la tepidezza abituale sia in opposizione col Dio della luce.  Ora la condotta pratica di chi si occupa delle opere come se Gesù non fosse il solo principio di vita, è chiamata dal cardinale Mermillod ERESIA DELL’AZIONE. Con tale espressione egli condanna l’aberrazione di un apostolo il quale dimenticando che la parte sua è secondaria e subordinata, attendesse la buona riuscita del suo apostolato unicamente dalla sua attività personale e dalla sua capacità. E non è forse, praticamente, la negazione di una gran parte del Trattato della Grazia? È vero che tale conseguenza a prima vista ripugna, ma se vi si pensa un poco, essa è purtroppo vera.

Eresia dell’Azione! L’attività febbrile che si sostituisce alla azione di Dio; la grazia disconosciuta; l’orgoglio umano che vuole detronizzare Gesù; la vita soprannaturale, la potenza della preghiera, l’Economia della Redenzione collocate, almeno praticamente, nel numero delle astrazioni, sono un caso tutt’altro che immaginario, che lo studio delle anime mostra anzi come assai frequente, benché in gradi diversi, in questo secolo di naturalismo, in cui l’uomo giudica soprattutto dalle apparenze e agisce come se il risultato di un’opera dipendesse principalmente da una buona organizzazione. Anche prescindendo dalla Rivelazione, alla sola luce della sana filosofia, ci farebbe pietà la vista di un uomo fornito di belle doti, il quale non volesse riconoscere Dio come il principio delle buone qualità che si vedono in lui.  Che cosa deve dire un Cattolico istruito nella Religione, alla vista di un apostolo il quale mostrasse, almeno implicitamente, la pretesa di fare a meno di Dio, per comunicare alle anime anche solo il minimo grado di vita divina? Noi chiameremmo insensato l’operaio evangelico che osasse dire: «Mio Dio, non mettete ostacoli alle mie imprese, non venite a intralciarle e io m’incarico di condurle a buon termine! ».  – Il nostro sentimento non sarebbe che un riflesso dell’avversione che prova Dio alla vista di un simile disordine, alla vista di un presuntuoso il quale spinge il suo orgoglio fino alla pretesa di dare la vita soprannaturale, di produrre la fede, di far cessare il peccato, di spingere alla virtù, di infervorare le anime con le sole sue forze e senza attribuire tali effetti all’azione diretta, costante, universale e sovrabbondante del Sangue divino il quale è il prezzo, la causa e il mezzo di ogni grazia e di ogni vita spirituale. – Perciò, per riguardo all’Umanità di suo Figlio, Dio deve confondere questi pseudocristi col paralizzare le loro opere di superbia o col permettere che esse non producano altro che un miraggio effimero.  Eccetto quello che agisce sulle anime ex opere operato, Dio, per riguardo dovuto al Redentore, deve privare l’apostolo presuntuoso delle sue migliori benedizioni, per darle al tralcio che umilmente riconosce di trarre dalla Vite divina ogni suo vigore. Ma se Dio benedicesse con risultati seri e durevoli un’attività infetta dal veleno chiamato Eresia dell’Azione, sembrerebbe incoraggiare quel disordine con permetterne il contagio.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/08/19/lanima-dellapostolato-2/

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. LEONE XIII – “SÆPE NOS”

Ecco come il Santo Padre interviene nella questione irlandese «… di evitare ogni atto contrario all’ordine pubblico e alla carità; di non insistere nel negare a chi di diritto la restituzione di ciò che gli è dovuto; di guardarsi dal far violenza alle persone o ai beni di chicchessia o di opporre la forza alle leggi, o anche a coloro che ricoprono un incarico pubblico; di non aggregarsi in associazioni clandestine o in altre dello stesso genere ». Questo è il compito del “vero” Papa, quello cioè di ricordare nelle situazioni scabrose e difficili, la retta dottrina per guidare ogni azione, sia essa personale, sociale o politica, al fine supremo al quale ogni fedele debba tendere: la salvezza eterna dell’anima. È quello che il Sommo Pontefice fa appunto in questa breve lettera sfidando in modo paterno tutti coloro che fomentavano rivolte e delitti sotto il preteso di giustizia e benessere, o liberazione da soprusi e tirannie. A questo oggi non siamo abituati, anzi i falsi “burattini in talare” orientano, o meglio disorientano, volutamente i presunti ciechi-fedeli (oramai essi stessi non sanno più di chi siano fedeli!)  a comportamenti anticristiani, sotto il pretesto di una tolleranza buonista, che in realtà è tolleranza, o meglio incoraggiamento dell’empietà, del sacrilegio, del peccato e di tutto quanto il loro padre, il diavolo, suggerisce loro.

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Leone XIII
Saepe Nos

Lettera Enciclica

Spesso, dall’atto di questo Apostolico ufficio, Noi abbiamo dedicato attenzioni e riflessioni ai vostri concittadini Cattolici: più di una volta abbiamo espresso il nostro proposito con pubbliche lettere, nelle quali è manifesto ad ognuno, senza alcun dubbio, da quali sentimenti siamo animati verso l’Irlanda. Oltre i decreti che negli anni precedenti la Sacra Congregazione di Propaganda Fide promulgò a nome Nostro sulle questioni irlandesi, parlano abbastanza chiaro le lettere che a più riprese abbiamo inviato al Nostro Venerabile Fratello Cardinale Mac-Cabe, Arcivescovo di Dublino; lo stesso si dica del discorso che abbiamo recentemente rivolto a molti Cattolici della vostra nazione, dai quali abbiamo ricevuto non solo felicitazioni e voti per la Nostra salute, ma anche espressioni di gratitudine per la Nostra buona disposizione verso gli Irlandesi. Anche in questi ultimi mesi, quando si decise di innalzare in questa alma Città un tempio in onore di Patrizio, grande Apostolo degli Irlandesi, Noi abbiamo incoraggiato questo proposito con tutto il fervore dell’anima e ne favoriremo il compimento secondo le Nostre forze. – Ora, mentre perdura in Noi questo stesso paterno affetto, non possiamo tuttavia nascondere la profonda angoscia che Ci proviene dalle recenti vicende di costà. Ci riferiamo a quella inattesa concitazione degli animi, sorta all’improvviso in seguito al decreto del Santo Ufficio che nella lotta contro i nemici della Chiesa proibisce di usare quel metodo che si chiama piano di campagna e boicottaggio a cui molti avevano cominciato a far ricorso . – Ed è ancor più deplorevole il fatto che siano in gran numero coloro che si ostinano a radunare il popolo in tumultuose assemblee nelle quali si diffondono sconsiderate e pericolose opinioni, senza rispetto per l’autorità del decreto che viene travisato con fallaci interpretazioni, molto lontane dal fine cui esso realmente tende. Anzi, negano perfino che da esso derivi l’obbligo dell’obbedienza, come se la missione vera e propria della Chiesa non fosse quella di giudicare della onestà e della malvagità delle azioni umane. Un tal modo di agire si allontana parecchio dalla professione del nome Cristiano, di cui senza dubbio sono compagne le virtù della moderazione, del pudore, dell’obbedienza verso il potere legittimo. Inoltre non conviene, in una buona causa, dare l’impressione di imitare quegli uomini che pretendono di ottenere con le agitazioni ciò che chiedono senza alcun diritto. E ciò è tanto più grave in quanto Noi abbiamo esaminato con cura ogni questione per poter conoscere a fondo e senza errore la vostra situazione e i motivi delle proteste popolari. Abbiamo informatori degni di fede; abbiamo personalmente interrogato voi stessi e inoltre, lo scorso anno, Noi vi abbiamo inviato come Legato un uomo apprezzato e serio con l’incarico di ricercare con la massima diligenza la verità e di riferirla fedelmente a Noi. Per questo nostro zelo il popolo Irlandese volle renderci pubblici ringraziamenti. Non è dunque avventato chi afferma che Noi abbiamo giudicato senza un’adeguata cognizione di causa? Tanto più che abbiamo riprovato azioni che gli uomini onesti concordemente condannano, cioè tutti coloro che non sono coinvolti in codesta vostra contesa e quindi possono esaminare i fatti con più sereno giudizio. – È del pari offensivo il sospetto che la causa dell’Irlanda non Ci stia debitamente a cuore e che non Ci preoccupiamo abbastanza della condizione del vostro popolo. Al contrario, la sorte degli Irlandesi Ci colpisce assai più di chiunque altro, e nulla desideriamo maggiormente che di vederli sereni, dopo aver conseguito la pace e la prosperità dovuta e meritata. Ad essi Noi non abbiamo mai contestato il diritto di battersi per una vita migliore, ma si può sopportare che nella contesa si dia adito ai delitti? Anzi, proprio perché nell’irrompere delle passioni e degli interessi delle fazioni politiche, il lecito e l’illecito si trovano rimescolati nella stessa causa, Noi ci siamo sempre preoccupati di distinguere ciò che è onesto dal disonesto, e di distogliere i Cattolici da tutto ciò che la morale cristiana non approvava. Perciò con tempestivi suggerimenti abbiamo raccomandato agli Irlandesi di ricordare la loro fede cattolica, di non fare mai nulla che contrastasse con la normale onestà e che non fosse consentito dalla legge divina. Pertanto il recente decreto non deve essere giunto inatteso, tanto più che Voi stessi, Venerabili Fratelli, riuniti a Dublino nel 1881, avete raccomandato al Clero e al popolo di evitare ogni atto contrario all’ordine pubblico e alla carità; di non insistere nel negare a chi di diritto la restituzione di ciò che gli è dovuto; di guardarsi dal far violenza alle persone o ai beni di chicchessia o di opporre la forza alle leggi, o anche a coloro che ricoprono un incarico pubblico; di non aggregarsi in associazioni clandestine o in altre dello stesso genere. Queste raccomandazioni, ispirate a giustizia e del tutto opportune, hanno ottenuto i Nostri elogi e la Nostra approvazione. – Tuttavia, dato che il popolo era travolto e sconvolto da inveterato ardore di passioni, né mancavano coloro che ogni giorno suscitavano nuove fiammate, abbiamo compreso che occorreva formulare precetti più definiti di quelli di carattere generale che in precedenza avevamo ricordato a proposito di giustizia e di carità. Il Nostro ufficio ci proibiva di tollerare che tanti Cattolici, la cui salvezza è anzi tutto affidata a Noi, continuassero a percorrere una via lubrica e precipitosa che conduceva alla sovversione più che a un lenimento delle miserie. Occorre dunque la situazione secondo verità: l’Irlanda riconosca in quel decreto il Nostro animo ricolmo d’amore per essa e concorde nel desiderio di prosperità, poiché una causa, per quanto giusta essa sia, non incontra mai tanti ostacoli come quando è difesa con la forza e con gli oltraggi. – L’Irlanda apprenda, grazie al vostro magistero, Venerabili Fratelli, ciò che vi abbiamo scritto. Noi abbiamo fiducia che Voi, uniti, come è necessario, da idee e volontà comuni, e sorretti non solo dalla vostra ma anche dalla Nostra autorità, conseguirete i migliori risultati e specialmente quello di impedire che le tenebre delle passioni offuschino ancora la facoltà di distinguere il vero e soprattutto che i sobillatori del popolo si pentano di aver agito in modo temerario. Siccome sono molti coloro che sembrano cercare pretesti per sfuggire ai doveri, anche i più elementari, fate in modo di non concedere spazio all’ambiguità circa l’efficacia di quel decreto. Comprendano tutti che non è assolutamente lecito adottare una linea di condotta che Noi abbiamo interdetta. Cerchino tutti, onestamente, beni onesti, e soprattutto, come si addice ai Cristiani, serbando intatte la giustizia e l’obbedienza alla Sede Apostolica: in queste virtù l’Irlanda ha trovato in ogni tempo conforto e forza d’animo.

Frattanto, come auspicio di celesti doni e come testimonianza del Nostro affetto, a Voi, Venerabili Fratelli, al Clero e al popolo Irlandese, con grande amore nel Signore impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 24 giugno 1888, nell’anno undicesimo del Nostro Pontificato.