DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE (2020)

DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE (2020)

Semidoppio – Paramenti verdi.

La Chiesa nella liturgia di questo giorno ci insegna come Dio accordi il suo aiuto divino a tutti quelli che lo domandano con confidenza. Ezechia guarì da una malattia mortale, grazie alla sua preghiera, come pure liberò il suo popolo dai nemici; mercè la sua preghiera sulla croce, Gesù cancella i nostri peccati (Ep.) e risuscita il suo popolo a nuova vita mediante il Battesimo di cui è simbolo la guarigione del sordo muto, dovuta pure alla preghiera di Cristo (Vang.). Così, dato che per la virtù dello Spirito Santo, Gesù caccio il demonio dal sordo muto e che i sacerdoti di Cristo cacciano il demonio dall’anima dei battezzati, si comprende come questa XI Domenica dopo Pentecoste si riferisca al mistero pasquale ove, dopo aver celebrata la risurrezione di Gesù si celebra la discesa dello Spirito Santo sulla Chiesa, e si battezzano i catecumeni nello Spirito Santo e nell’acqua affinché, come insegna S. Paolo seppelliti con Cristo, con Lui resuscitino. – Il regno delle dieci tribù (regno d’Israele) durò 200 anni circa (938-726) e contò 19 re. Quasi tutti furono malvagi al cospetto del Signore e Dio, allora, per castigarli, dette il loro paese ai nemici. Salmanassar, re d’Assiria, assediò Samaria e trascinò Israele schiavo in Assiria nell’anno 722. I pagani, che presero il posto nel paese; non si convertirono totalmente al Dio d’Israele e furono detti samaritani dal nome di Samaria. — Il regno di Giuda durò 350 inni circa (938-586) ed ebbe 20 re. Una sola volta questa stirpe regale fu per perire, ma venne salvata dai sacerdoti che nascosero nel tempio Gioas, al tempo di Atalia. Parecchi di questi re furono malvagi, altri finirono come Salomone nel peccato, ma quattro furono, fino alla fine, grandi servi di Dio. Questi sono Giosafat, Gioathan, Ezechia, Giosia. L’ufficio divino parla in questa settimana di Ezechia, tredicesimo re di Giuda. Egli aveva venticinque anni quando diventò re e regnò in Gerusalemme per ventinove anni. Durante il sesto anno del suo regno Israele infedele fu tratto in schiavitù. « Il re Ezechia, dice la Santa Scrittura, pose la sua confidenza in Jahvè, Dio d’Israele e non vi fu alcuno uguale a lui fra i re che lo precedettero o che lo seguirono; così Jahvè fu con lui ed ogni sua impresa riuscì bene ». Allorché Sennarerib, re d’Assiria, voleva Impadronirsi di Gerusalemme, Ezechia salì al Tempio e innalzò una preghiera a Dio, pura come quelle di David e Salomone. Allora il profeta Isaia disse a Ezechia di non temere nulla poiché Dio avrebbe protetto il suo regno. E l’Angelo di Jahvè colpì di peste centottantacinque mila uomini nel campo degli Assirii. Sennacherib, spaventato, ritornò a marce forzate a Ninive ove morì di spada. Dio accordò più di cento anni di sopravvivenza al regno di Giuda pentito, mentre aveva annientato il regno d’Israele impenitente. — Ma Ezechia cadde gravemente malato e Isaia gli annunciò che sarebbe morto: « Ricordati, o Signore, disse allora il re a Dio, che io ho proceduto avanti a te nella verità e con cuore perfetto, e che ho fatto ciò che a te è gradito » (Antifona del Magnificat). E Isaia fu mandato da Dio ad Ezechia per dirgli: « Ho intesa la tua preghiera e viste le tue lacrime; ed ecco che ti guarisco e fra tre giorni tu salirai al Tempio del Signore ». Ezechia infatti guari e regnò ancora quindici anni. Questa guarigione del re che uscì, per cosi dire, dal regno della morte il terzo giorno, è una figura della risurrezione di Gesù. Così la Chiesa ha scelto oggi l‘Epistola di S. Paolo nella quale l’Apostolo ricorda che il Salvatore è « morto per i nostri peccati, è stato seppellito ed è resuscitato « nel terzo giorno » e che per la fede in questa dottrina noi saremo salvi come l’Apostolo stesso. Per questo stesso motivo è preso per l’Introito il Salmo 67, nel quale lo stesso Apostolo ha visto la profezia dell’Ascensione (Ephes., IV, 8).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXVII: 6-7; 36

Deus in loco sancto suo: Deus qui inhabitáre facit unánimes in domo: ipse dabit virtútem et fortitúdinem plebi suæ.

[Dio abita nel luogo santo: Dio che fa abitare nella sua casa coloro che hanno lo stesso spirito: Egli darà al suo popolo virtú e potenza.]
Ps LXVII: 2
Exsúrgat Deus, et dissipéntur inimíci ejus: et fúgiant, qui odérunt eum, a fácie ejus.

[Sorga Iddio, e siano dispersi i suoi nemici: fuggano dal suo cospetto quanti lo odiano.

Deus in loco sancto suo: Deus qui inhabitáre facit unánimes in domo: ipse dabit virtútem et fortitúdinem plebi suæ.

[Dio abita nel luogo santo: Dio che fa abitare nella sua casa coloro che hanno lo stesso spirito: Egli darà al suo popolo virtú e potenza.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui, abundántia pietátis tuæ, et merita súpplicum excédis et vota: effúnde super nos misericórdiam tuam; ut dimíttas quæ consciéntia metuit, et adjícias quod orátio non præsúmit.

O Dio onnipotente ed eterno che, per l’abbondanza della tua pietà, sopravanzi i meriti e i desideri di coloro che Ti invocano, effondi su di noi la tua misericordia, perdonando ciò che la coscienza teme e concedendo quanto la preghiera non osa sperare.]

Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XV: 1-10
“Fratres: Notum vobis fácio Evangélium, quod prædicávi vobis, quod et accepístis, in quo et statis, per quod et salvámini: qua ratione prædicáverim vobis, si tenétis, nisi frustra credidístis. Trádidi enim vobis in primis, quod et accépi: quóniam Christus mortuus est pro peccátis nostris secúndum Scriptúras: et quia sepúltus est, et quia resurréxit tértia die secúndum Scriptúras: et quia visus est Cephæ, et post hoc úndecim. Deinde visus est plus quam quingéntis frátribus simul, ex quibus multi manent usque adhuc, quidam autem dormiérunt. Deinde visus est Jacóbo, deinde Apóstolis ómnibus: novíssime autem ómnium tamquam abortívo, visus est et mihi. Ego enim sum mínimus Apostolórum, qui non sum dignus vocári Apóstolus, quóniam persecútus sum Ecclésiam Dei. Grátia autem Dei sum id quod sum, et grátia ejus in me vácua non fuit.”

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia,

LA RISURREZIONE DELLA CARNE

“Fratelli: Vi richiamo il Vangelo che vi ho annunziato, e che voi avete accolto, e nel quale siete perseveranti, e mediante il quale sarete salvi, se lo ritenete tal quale io ve l’ho annunciato, tranne che non abbiate creduto invano. Poiché in primo luogo vi ho insegnato quello che anch’io appresi: che Cristo è morto per i nostri peccati, conforme alle Scritture; che fu seppellito, e che risuscitò il terzo giorno, conforme alle Scritture; che apparve a Cefa, e poi agli undici. Dopo apparve e più di cinquecento fratelli in una sol volta, dei quali molti vivono ancora, e alcuni sono morti. Più tardi appare a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. Finalmente, dopo tutti, come a un aborto, appare anche a me. Invero io sono l’ultimo degli Apostoli, indegno di portare il nome d’Apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per la grazia di Dio, però sono quel che sono; e la sua grazia in me non è rimasta infruttuosa.”

L’ultima questione di grande importanza a cui risponde S. Paolo nella prima lettera ai Corinti è quella della risurrezione dei morti. Questo domma, stimato assurdo dai pagani, ripugnava a molti cristiani di Corinto, i quali avevano difficoltà ad ammetterlo. S. Paolo prova la risurrezione dei morti argomentando dalla risurrezione di Gesù Cristo, e dimostrando le assurde conseguenze che verrebbero dalla negazione di questa verità. L’epistola di quest’oggi contiene la prova della risurrezione di Gesù Cristo. Parliamo anche noi della risurrezione dei morti, la quale:

1. È un punto fondamentale della dottrina cattolica,

2.  È basata sulla risurrezione di Gesù Cristo,

3. Avrà conseguenze diverse pei giusti e per i reprobi.

I.

Vi richiamo il Vangelo che vi ho annunziato, e che voi avete accolto, e nel quale siete perseveranti. Parole solenni con le quali S. Paolo si introduce a parlare della resurrezione dei morti. Per mezzo della fede nel Vangelo i Corinti perverranno all’eterna salvezza, se saranno costanti sino alla fine, e se crederanno nel Vangelo tal quale l’Apostolo l’ha predicato, senza togliere o travisare alcuna verità. Quei Corinti che non credono alla verità della risurrezione dei morti, credono invano. Al conseguimento dell’eterna salute a nulla giova credere le altre verità, se negano questa.La fede nella risurrezione dei morti è di grande efficacia nel sostenere il Cristiano in questa vita « Fiducia dei Cristiani è la risurrezione dei morti» (Tertull. De Resurr. carnis). Nella speranza della futura risurrezione i martiri trovano la forza di andar contro ai tormenti e alla morte. Se essi perdono, tanto volentieri. la vita presente, è per la speranza di entrare nella vita futura. S. Ignazio martire che scongiura i Romani a non impedirgli il martirio, esclama: « È bello tramontare al mondo diretti a Dio. per risorgere in Lui!» (ad Rom. 2). Senza l’immortalità dell’anima e la conseguente risurrezione del corpo, sarebbe irragionevole esporsi alla perdita della vita; bisognerebbe anzi cercar di prolungarla il più possibile. Le malattie, le privazioni, le fatiche logorano questo nostro corpo continuamente; gli anni gli tolgono ogni vigore; la morte lo riduce in polvere. Chi può sottrarsi a un senso di grande tristezza e di noia della vita? Chi pensa alla risurrezione. Chi pensa che un giorno Gesù Cristo «trasformerà il nostro miserabile corpo, rendendolo conforme al suo corpo glorioso» (Filipp. III, 21). Chi pensa che questo stesso nostro corpo risorgerà immortale, e non sarà più soggetto alle debolezze e ai dolori. – Una delle più amare circostanze per l’uomo quaggiù è la perdita dei suoi cari. Il dolore in quel momento è troppo giusto e legittimo. È impossibile sottrarsi alle lagrime. S. Ambrogio, parlando delle lagrime che aveva versato per la morte del fratello Satiro, osserva: «Ho pianto anch’io, si, è vero; ma pianse anche il Signore. Egli sopra un estraneo; io sopra un fratello» (De excessu. frat. sui. Sat. Lab. 1, 10). Ma al momentaneo tributo di lagrime, che pagano tutti, succede nei Cristiani un pensiero consolante: I nostri cari, partendosi da questo mondo, non ci lasciano ma ci precedono. «Non vogliamo — scriveva l’Apostolo ai Tessalonicesi — che siate nell’ignoranza intorno a quelli che si sono addormentati, affinché non vi rattristiate come gli altri che non hanno speranza» (1 Tess. IV, 13). Se si sono addormentati, un giorno si sveglieranno. Quando Gesù, entrato nella casa di Giairo, vide gente che piangeva e ululava per la morte della figlia di questi, disse: «Perché v’affannate e piangete? La fanciulla non è morta, ma dorme» (Marc. V, 39). E, dette queste parole, la sveglia da quel breve sonno di morte. Quando s’apre la tomba per qualche persona amata la fede dice a ciascuno di noi: quella persona a te cara non è morta, ma dorme. I nostri parenti, i nostri amici, i nostri benefattori, dovunque abbiano avuto una sepoltura, non sono morti, ma dormono. Catene di monti, distese di mari divideranno i sepolcri d’una stessa famiglia; ma verrà il giorno in cui questi sepolcri si apriranno; i cadaveri riprenderanno nuova vita; e i beati riprenderanno in Dio quell’unione, che la morte non ha potuto troncare che temporaneamente. –

II.

Che cosa aveva insegnato San Paolo ai Corinti? Udiamolo da lui: In primo luogo vi ho insegnato quello che anch’io appresi: che Cristo è morto per i nostri peccati, conforme alle Scritture; che fu seppellireito e che risuscitò il terzo giorno, conforme alle Scritture. Il racconto della Resurrezione di Gesù Cristo, fatto dai Vangeli, contiene quanto è necessario per ottenere fede indiscussa sulla realtà della risurrezione di Lui. Lo stupore e il dolore delle pie donne che trovano vuoto il sepolcro. Il timore là cui erano state prese, tanto da mettersi a fuggire e da non aver parola, sulle prime, per narrare quanto avevano veduto; l’Angelo che mostra il luogo preciso ove giaceva Gesù, il quale non va più cercato tra i morti, perché è risuscitato; l’apparizione a Maria Maddalena, dicono abbastanza perché uno che non sia dominato da preconcetti debba credere alla verità della risurrezione di Gesù Cristo. Ma v’ha di più. Dopo che alla Maddalena Gesù apparve a Cefa, e poi agli undici. Dopo apparve a più di cinquecento fratelli in una sol volta… Più tardi apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. – È da notare che quando le pie donne annunciano agli Apostoli la risurrezione di Gesù Cristo, sono trattate da deliranti. Pietro entra nel sepolcro, vede i lenzuoli per terra, non trova più il corpo del Maestro, ne è meravigliato, ma non si decide ancora a credere alla risurrezione. La Maddalena annunzia agli Apostoli d’averlo visto risuscitato, d’aver parlato con Lui, « ed essi, avendo udito com’egli era vivo, e com’ella l’aveva visto, non credettero » (Marc. XVI, 11). Ènecessario che Gesù appaia a Pietro, appaia agli Apostoli e ai discepoli radunati insieme, e mostri loro le mani e il costato con le cicatrici gloriose, perché ogni dubbio sia tolto da loro. Davanti a prove così numerose e così palmari, anch’essi sono costretti a credere la risurrezione del divin Maestro, che predicheranno poi con una fermezza incrollabile. – Gli Apostoli danno principio alla predicazione insistendo sul fatto della risurrezione di Gesù Cristo. San Pietro rinfaccia ai Giudei: «Gesù di Nazaret… voi lo avete trafitto per mano d’empi, e ucciso… Dio l’ha risuscitato, avendo infranto i legami della morte» (Att. XXII-24) E questo si rinfacciava ai figli d’Israele pochi giorni dopo l’avvenimento; quando era facilissimo interrogare, controllare, vivendo ancora tutti o quasi tutti coloro a cui Gesù Cristo era apparso. E vediamo che i Giudei invece di fare obiezione alle parole di Pietro si compungono nei loro cuori, e gli domandano quel che han da fare. Non sappiamo se si possono desiderare prove più concludenti. Ne consegue che se risuscitò Gesù Cristo, risusciteranno anche i fedeli. Questi formano un sol corpo mistico con Lui. Gesù è il capo; e se il capo è risuscitato, non si spiega perché le membra debbano rimanere nel sepolcro. La risurrezione di Gesù Cristo ha introdotto un nuovo ordine di cose. Con Adamo era entrato nel mondo il dominio della morte. Con la risurrezione di Gesù Cristo questo dominio fu vinto. Egli lo ha vinto per sé e lo ha vinto per noi. E così «la morte del Figlio di Dio, che egli subì nella carne, distrusse in noi la duplice morte, quella dell’anima e quella del corpo, e la risurrezione della sua carne ci apportò la grazia della risurrezione spirituale e corporale » (S. Fulgonio Episcop. 17,16).

III.

S. Paolo aggiunge che Gesù Cristo apparve anche a lui l’ultimo degli Apostoli. Tanto egli poi, l’ultimo degli Apostoli, già persecutore della Chiesa, a cui Gesù apparve sulla via di Damasco, quanto gli altri Apostoli, ai quali Gesù risorto apparve prima di salire al cielo, hanno sempre predicato la stessa cosa: la risurrezione di Gesù Cristo. «Cristo è risuscitato, primizia dei dormienti !» esclama più innanzi S. Paolo, con un grido come di vittoria (I. Cor. XV, 20). – Non si può parlar di primizia senza supporre il seguito della messe. Quando compare la primizia, la messe è garantita. Gesù Cristo risorge pel primo a vita immortale: primo per ordine di tempo, di dignità, di merito. Dopo di Lui, a suo tempo, quando Egli comparirà di nuovo su questa terra. resusciteranno tutti i giusti. – Anche i reprobi resusciteranno? La parola di Gesù Cristo non lascia dubbio alcuno. «Verrà un tempo — dice il Redentore — in cui tutti quelli che sono nei sepolcri udiranno la voce del Figliuolo di Dio, e usciranno fuori quelli che hanno fatto opere buone risorgendo per vivere: quelli poi che avranno fatto opere malvage, risorgendo per essere condannati» (Giov.V, 28-29). « La maniera della resurrezione sarà duplice. La prima è quella dei santi i quali, radunati con distintivo reale, al primo suono della tromba ricevono, con grande trionfo, il regno della beatitudine sotto Cristo, re eterno: la seconda è quella che assegna alla pena eterna gli empi assieme con i peccatori e con tutti gli increduli» (S. Zenone, L. 1, Tract. 16, 11). Il corpo dei giusti fu unito all’anima nel fare il bene; riceva, dunque, con essa il premio eterno. Il corpo dei cattivi cooperò con l’anima a fare il male: riceva con essa il meritato castigo. A ciascuno il suo. La società non è composta né esclusivamente di buoni, né esclusivamente di cattivi. Come in un campo frammischiata al buon grano si trova la zizzania, così, nella società, frammisti ai buoni si trovano i cattivi. E come al tempo della raccolta si lega la zizzania in fastelli per essere bruciata e il grano vien radunato nei granai, così succederà alla fine del mondo. Verranno gli Angeli e separeranno i cattivi dai giusti, «e getteranno quelli nella fornace di fuoco: ivi sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del loro Padre» (Matt. XIII, 42-43). È chiaro che un tal giorno infonda coraggio ai buoni che l’attendono come il giorno del trionfo finale, e rechi sgomento ai peccatori, che lo temono come il giorno della finale rovina. Questo timore sarebbe salutare, se servisse a trattenerli dal peccato, o meglio a farli uscire dallo stato di peccato. S. Agostino narra di sé stesso: « Né altro mi richiamava dal profondo abisso dei piaceri carnali che il timor della morte e del giudizio avvenire: il qual timore,… non si partì mai dal mio petto » (Conf. L. 6, 16,).Se non ci dimenticheremo del giorno della risurrezione della carne, e del giudizio che vi avrà luogo, sarà facile la riforma di noi stessi. Chi teme quel giorno comincia a vegliare sulle proprie passioni, a guardarsi dall’avarizia, dall’impurità, dall’odio. Per vincer gli assalti del demonio comincia a mortificar se stesso con la custodia dei sensi. Le buone opere che prima gli erano pesanti diventeranno una necessità. I doveri del proprio stato gli saranno molto leggeri da compiere, e finirà per desiderare ciò che prima temeva: la seconda venuta di Cristo, nella speranza, di risalire con Lui in cielo a godere nel regno della gloria.

Graduale

Ps XXVII:7 – :1
In Deo sperávit cor meum, et adjútus sum: et reflóruit caro mea, et ex voluntáte mea confitébor illi.

[Il mio cuore confidò in Dio e fui soccorso: e anche il mio corpo lo loda, cosí come ne esulta l’ànima mia.]

V. Ad te, Dómine, clamávi: Deus meus, ne síleas, ne discédas a me. Allelúja, allelúja

[A Te, o Signore, io grido: Dio mio, non rimanere muto: non allontanarti da me.]

Alleluja

Allelúia, allelúia
Ps LXXX:2-3
Exsultáte Deo, adjutóri nostro, jubiláte Deo Jacob: súmite psalmum jucúndum cum cíthara. Allelúja.

[Esultate in Dio, nostro aiuto, innalzate lodi al Dio di Giacobbe: intonate il salmo festoso con la cetra. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.
Marc VII:31-37
In illo témpore: Exiens Jesus de fínibus Tyri, venitper Sidónem ad mare Galilaeæ, inter médios fines Decapóleos. Et addúcunt ei surdum et mutum, et deprecabántur eum, ut impónat illi manum. Et apprehéndens eum de turba seórsum, misit dígitos suos in aurículas ejus: et éxspuens, tétigit linguam ejus: et suspíciens in coelum, ingémuit, et ait illi: Ephphetha, quod est adaperíre. Et statim apértæ sunt aures ejus, et solútum est vínculum linguæ ejus, et loquebátur recte. Et præcépit illis, ne cui dícerent. Quanto autem eis præcipiébat, tanto magis plus prædicábant: et eo ámplius admirabántur, dicéntes: Bene ómnia fecit: et surdos fecit audíre et mutos loqui.

[“In quel tempo Gesù, tornato dai confini di Tiro, andò por Sidone verso il mare di Galilea, traversando il territorio della Decapali. E gli fu presentato un uomo sordo e mutolo, e lo supplicarono a imporgli la mano. Ed egli, trattolo in disparte della folla, gli mise le sua dita nelle orecchie, e collo sputo toccò la sua lingua: e alzati gli occhi verso del cielo, sospirò e dissegli: Effeta, che vuol dire: apritevi. E immediatamente se gli aprirono le orecchie, e si sciolse il nodo della sua lingua, e parlava distintamente. Ed egli ordinò loro di non dir ciò a nessuno. Ma per quanto loro lo comandasse, tanto più lo celebravano, e tanto più ne restavano ammirati, e dicevano: Ha fatto bene tutte lo cose: ha fatto che odano i sordi, e i muti favellino!”


Omelia II

[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed. Napoli, 1840]

Sopra la maldicenza.

Solutum est vinculum linguæ eius, et loquebatur recte.

Che bella sorte per quell’uomo sordo e muto nello stesso tempo, di cui parla il Vangelo, di trovar un medico cosi pietoso e così potente come Gesù Cristo! Ma che avremmo noi detto di quell’uomo se, dopo aver ricevuto un sì gran beneficio, se ne fosse servito per oltraggiare il suo benefattore; se, invece di usar della sua lingua per lodare benedire Colui che gliel’aveva snodata l’avesse impiegata a maledirlo? Sarebbe egli stato ritenuto senza dubbio e si riterrebbe ancora al giorno d’oggi un mostro d’ingratitudine. Or quel che avreste biasimato con giusta ragione in quell’uomo, si è, fratelli miei, ciò che voi fate tutti i giorni. Dio vi ha dato l’uso della parola, egli è un beneficio che voi avete ricevuto dalla sua bontà: e come vi servite voi di questa parola? Qual uso fate voi della vostra lingua? Gli uni se ne servono a bestemmiare il santo nome di Dio; gli altri se ne servono a pronunciare parole oscene; questi a gettare colpi di maldicenza contro il prossimo; quegli a moltiplicare rapporti che lo disonorano; e se si vedono tante riputazioni macchiate, tanti giusti ricoperti d’obbrobrio, tanti odi perpetuarsi nelle famiglie, non ne sono forse cagione queste lingue armate del fiele della maldicenza? Si è dunque a voi, maldicenti, ch’io indirizzo in quest’oggi la parola e a cui vorrei, se fosse possibile, imporre eterno silenzio, poiché voi fate un sì malvagio uso del talento, che Dio vi ha confidato, e attaccando la reputazione del prossimo, che dovreste risparmiare, voi attaccate Dio medesimo, che dovete amare nel vostro prossimo – Ma come posso io sperare di distrugger un male oggidì sì comune, e che fa tante stragi nella società umana? Quanto mi stimerei io fortunato, se potessi almeno correggere qualcheduno di coloro, che vi sono soggetti! Per ciò io dico: niente di più comune della maldicenza, primo punto; niente più difficile a riparare che le conseguenze della maldicenza, secondo punto. Conoscendo la cagione della maldicenza, voi la distruggerete; scoprendo i suoi funesti effetti, la riparerete. Cominciamo.

I . Punto. Ella è una grande obbligazione, che noi abbiamo a Dio per averci dato l’uso della parola. Per mezzo di essa noi possiamo manifestare i nostri sentimenti agli uomini, mantenere con essi una dolce e piacevole società, cercar aiuto nei nostri bisogni, consolazione nelle nostre afflizioni. Ma la fatalità dell’uomo è di far servire alla sua rovina i doni, ch’egli ha ricevuti da Dio per suo vantaggio; e si può dire che il dono della parola è uno di quelli, di cui si fa il più malvagio uso. Il che ha fatto dire all’ apostolo S. Giacomo, che la lingua è un fuoco divorante, un mondo d’iniquità, una sorgente piena di veleno mortale: Lingua ignis est, universitas iniquitatis,malum inquietum, piena veleno mortifero (Jac. 3). Si è principalmente con la maldicenza, che questa velenosa sorgente comunica il suo veleno tanto più rapidamente, quanto che vi sono più maniere di mormorare, si trova più facilità ed occasione di mormorare e quasi niuno s’astiene dal mormorare. Le diverse specie di maldicenze, la facilità delia maldicenza, il gran numero delle persone date alla maldicenza, ecco ciò che prova che questo vizio è molto comune. Che cosa è mai la maldicenza? Ella dice s. Tommaso, è un parlar ingiurioso con cui si denigra l’altrui riputazione; il che si fa in più maniere, dice lo stesso dottore: l’una che si chiama diretta e l’altra indiretta. Si dice male direttamente del suo prossimo. allorché gli si imputa un delitto di cui è innocente; ecco la calunnia;: 2. quando si esagera un mancamento che ha fatto, facendo credere un peccato considerabile ciò che è mancamento leggiero; 3. Quando si rivela un mancamento occulto, che egli ha commesso, o un diletto cui è soggetto; 4. quando; si dà un malvagio colore alle azioni del prossimo o s’interpreta in mala parte il bene, che ha fatto: ecco la maldicenza. Si dice male indirettamente allorché si nega il bene, che taluno ha fatto, o si sminuisce, ovvero si osserva un silenzio ingiurioso, quando si odono gli elogi che gli si danno. Voi vedete di già, fratelli miei, da queste diverse specie di maldicenze, quanto questo peccato sia comune, e forse vi riconoscete di già colpevoli di qualcheduna di queste guise di maldicenza. Quante volte vediamo noi al giorno d’oggi persone innocenti, che la calunnia ha caricate di atroci delitti cui esse non hanno neppur pensato? Calunnia che non ha per l’ordinario altro fondamento che un sospetto ingiurioso, un giudizio temerario che si fa del prossimo. Quell’uomo, quella donna, male intenzionati a riguardo d’un altro, pensano male sulla sua condotta, interpretano in cattiva parte un’azione da sé indifferente, ed anche lodevole nel suo principio e nel suo fine. Avranno essi veduta questa persona entrar in una casa, parlar ad un’altra, le danno subito qualche malvagia intenzione. Avrà taluno fatto qualche perdita di beni, egli sospetterà aver quell’altro commessa quell’ingiustizia; non ardisce esso subito accertare ciò che non prende che per una congettura, ma palesando quei sospetti ingiuriosi, che ha concepiti sull’altrui condotta, producendo quelle congetture, egli dà a credere che le parole dette sono la pura verità. Il che fa che dal sospetto si viene alla persuasione, all’accusa, alla calunnia, che distrugge in un istante la riputazione della persona più innocente. Qual precauzione non si deve prendere, non solo per ritener la lingua, ma per non formare alcun sospetto ingiurioso sulla condotta del prossimo, né ascoltare coloro che temerariamente lo giudicano? Egli è vero che si trovano comunemente calunniatori, che oltrepassano i limiti della equità, sino ad imputar il delitto ad un innocente. Ma quanti ve ne sono che non si fanno alcuno scrupolo d’ingrandire gli altrui vizi, di esagerare una colpa, che han veduta commettere a taluno, di far credere una scelleratezza ciò che non è che un leggero mancamento, o una inavvertenza? Qualche parola poco pesata, sfuggita senza riflessione ad una persona d’un certo grado, qualche convenienza tralasciatali alcune leggerezze, effetto più di fragilità umana, che di malizia, sono tenuti da certuni per grandi delitti. Si spacceranno per tali, si faran nascere le idee più disgustose sopra certi falli, che non erano in verun modo così considerabili come furono immaginati. Si è questa forse una specie di calunnia molto comune nel mondo? Perciocché invece di scusare i mancamenti altrui si fanno alcuni un piacere maligno d’accrescerli e d’ingrandirli. Oh quante volte cangiano di natura per esser pubblicati da lingue, maldicenti! Ma, diranno altri, noi nulla asseriamo, che non sia vero; nulla aggiungiamo al mancamento, che riveliamo. Non è forse permesso, e non è anche un bene, il far conoscere gli uomini quali sono, affinché si badi a cui fidarsi e non si confonda la virtù col vizio, che si deve smascherare e fare conoscere palesemente per non lasciarsi da esso sorprendere? Questo è, fratelli miei, una specie di sotterfugio alla maldicenza per accreditarsi nei suoi passi; sotto il falso pretesto che tutto quel che si dice è vero, si crede sia permesso dire ogni cosa, rivelare indifferentemente i mancamenti del prossimo. Eh! dove è dunque, fratelli miei, quella carità, che deve coprire la moltitudine dei peccati? Charitas operit moltitudinem peccatorum!. (Pet. IV). La carità ci proibisce di far ad altri ciò che non vorremmo che si facesse a noi medesimi, perché dunque vi prendete la libertà di scoprire i mancamenti del vostro prossimo? Invano coprite voi la maldicenza col pretesto della giustizia e del ben pubblico, il quale richiede, a vostro parere, che si conoscano gli uomini per quel che sono. – Finché il mancamento del vostro prossimo è segreto, egli ha diritto alla sua reputazione, ed è un’ingiustizia il rapirgliela: il bene pubblico non chiede neppure che voi facciate conoscere i difetti del vostro fratello. 1. Scoprenti il suo mancamento, voi non lo guarite, ma lo inasprite. 2. Voi somministrate agli altri una occasione di peccato, insegnando loro ciò che non sapeva apprendendo loro il traviamento di persona per cui avevano della stima, e che era commendabile agli occhi loro per altri titoli: con questo, voi autorizzate il vizio nei ribaldi, e le vostre maldicenze divengono pei deboli una pietra d’inciampo. Ma, direte voi , io ho rivelato quel mancamento ad una persona confidente, ho raccomandato il tenerlo segreto. Or io vi domando: con questa precauzione, quasi sempre inutile, fate voi men perdere a quella persona la stima, che essa aveva pel vostro fratello, di cui voi parlate male? D’altra parte, voi le avete confidato sotto segreto ciò che avete detto; voi credete dunque che non era permesso di divulgare quel mancamento; e perché rivelarlo a quella persona? Pensate voi forse, che quella sarà più fedele a custodire il segreto che voi? Oimè!. quante cose confidate sotto segreto, divengono pubbliche in tutto un villaggio, sotto pretesto che ciascuno le ha confidate sotto segreto? – Non è dunque punto permesso di parlare dei mancamenti del suo prossimo, quantunque nulla si dica che non sia vero, fuorché ciò sia per suo bene, come sarebbe di avvertire un padre, una madre, un padrone, un superiore, di correggere i disordini dei figliuoli o di quelli che loro sono soggetti, o per il bene di colui cui si rilevano i mancamenti, che gli cagionerebbero gran danni, se non li conoscesse; ma bisogna in queste occasioni usare molta prudenza e non seguir la passione che ci porta ordinariamente ad eccessi o contro la giustizia o contro la carità. – Veniamo adesso ad altre specie, di maldicenze, che non sono meno frequenti, e che noi chiamiamo maldicenze indirette. Si ha orrore d’imputar a qualcheduno un delitto di cui è innocente, si prova anche una pena a rivelare un mancamento commesso; ma non si teme di spargere sopra le virtù altrui una tinta che ne offusca lo splendore. Si fa l’elogio di qualche azione virtuosa; altri si sforza di toglierne la gloria a chi è dovuta, o negando che abbia egli fatto quell’azione, o dandole un cattivo colore, o attribuendola ad una malvagia intenzione, o diminuendo il merito con qualche circostanza viziosa che si aggiunge. Alcuni Giudei accusavano il Salvatore di scacciare il demonio nel nome di Belzebù, di amar i piaceri della mensa, perché mangiava coi peccatori per trarli a sé. Si vuol investigare sino fondo delle coscienze per iscoprirvi un male, che non vi è. Un uomo caritatevole per i poveri farà delle limosine, dirassi che lo fa per vanità ad ostentazione: un altro avrà renduto un servigio essenziale ad alcuno che ne aveva bisogno, si dirà che per interesse. Quella donna, quella donzella sarà regolata nella sua condotta; questo, dirà taluno, è per ipocrisia, o perché il mondo non sa che farne, o a fine di esser creduta la gloria della pietà cristiana. Quell’uomo paziente, moderato, perdona un’ingiuria e rende bene per male: è stupidità, e bassezza di spirito; quell’altro regola con prudenza i beni che il Signore gli ha dati, egli è un avaro; oppure se fa qualche liberalità, egli è un prodigo: in una parola, non è virtù alcuna che i maldicenti non trovino il segreto di avvelenare. Essi conservano sotto le loro labbra, per servirmi delle parole del profeta, il veleno degli aspidi, e portano dappertutto la contagione dei loro discorsi: Venenum aspidum sub labiis eorum (Ps. XIII). Altri, non meno a temere, renderanno al merito la giustizia, che gli è dovuta, converranno volentieri del valore di quell’azione, del pregio di quella virtù, incominceranno a far l’elogio di coloro che vogliono biasimare. Quell’uomo è caritatevole verso i poveri; ma egli ha un difetto, che non gli si può perdonare, mantiene un commercio con una persona che frequentar non dovrebbe. Quell’altro fa lunghe preghiere, è assiduo ai divini uffizi; ma egli è un usurpatore dei beni altrui. Quella donna è modesta in chiesa, governa bene la sua casa, ma ella è una maldicente, una lingua da temere. Che gran danno di quel giovane, di quella giovane! Hanno eccellenti qualità; ma l’uno è soggetto all’intemperanza, l’altra alla vanità. – L’avreste voi creduto, dirà questi, che quella persona che conoscevate sì virtuosa fosse caduta in quel mancamento? Io ne sono afflitto e per riguardo ad essa e per riguardo della sua famiglia. Quel sacerdote, dirà quell’altro (poiché il maldicente non risparmia alcuno) sì zelante, sì esatto a compiere il suo dovere, sarebbe perfetto, se non fosse cotanto attaccato ai beni della terra. Così, fratelli miei, il maldicente, secondo l’espressione del profeta, tempera i suoi dardi nell’olio, affinché penetrando più addentro, facciano più profonde ferite: Molliti sunt sermones eius super oleum, et ipsi sunt iaculo,. (Ps. LIV). Si lodano le virtù, a fine di meglio persuadere i vizi di coloro di cui si vuole oscurare la riputazione. Se non si osa denigrarli apertamente, si trova il segreto di farlo con certi segni, certi gesti, con cenni d’occhio od anche con un silenzio affettato, o con una tristezza che si mostra ascoltando le lodi altrui, silenzio e tristezza, che dicono sovente più che le parole, perché sono una specie di disapprovazione di quanto si avanza. Io non finirei mai fratelli miei, se volessi rappresentarvi tutte le vie per cui la maldicenza sparge il suo veleno. Ciò che dà ancora una sì grand’estensione a questo vizio, si è la facilità, che evvi di cadervi, e le occasioni che si trovano di commetterlo. Infatti non si può dire di questa passione come delle altre, che sono arrestate dagli ostacoli che esse incontrano. Un ladro non può sempre riuscire nei furti che medita: un impudico non trova sempre l’occasione e gli oggetti per appagare la sua passione: il vendicativo trova resistenza in un nemico che lo perseguita; ma quanto al maldicente, tutto concorre a rendergli facile il suo peccato, facile dal canto di colui, che spaccia la maldicenza, facile dal canto di coloro che l’ascoltano. La maldicenza è facile dal canto di colui che la spaccia. Che cosa si ricerca, infatti, per contentare su di ciò la sua inclinazione? La lingua e la parola sono sempre in disposizione nostra: un segno ci basta per venire a capo del nostro progetto, e portare alla riputazione altrui il colpo più funesto. Negli uni è una precipitazione, un certo prurito di parlare, onde nulla tacer possono di quel che sanno per diffamare il loro prossimo; si è un peso che li opprime, di cui sono impazienti di alleggerirsi alla prima occasione, che troveranno; negli altri è una maligna gelosia della gloria e della prosperità altrui che li rende più attenti a cercarne e a pubblicarne i difetti, che le sue buone qualità; e quante occasioni.non trovano di soddisfarsi sopra questo punto! Occasioni dalla parte di quelle danno materia alla maldicenza poiché chi è quell’uomo sì perfetto che non mostri qualche volta tratti di debolezza, e che non sia esposto alla censura dei maldicenti? Occasioni nel commercio, che si ha col mondo nelle conversazioni  che fanno i legami della società, e che si aggirano per lo più sopra gli altrui difetti: senza questo dicesi, esse languirebbero, convien più metter qualcheduno sulla scena; siamo sempre accolti con piacere in una compagnia quando sappiamo rallegrarla a spese di qualcheduno, che ha dato materia di parlare. Con questo la maldicenza diventa facile per parte di coloro che l’ascoltano. Quantunque si abbia dell’avversione per i maldicenti, si ama la maldicenza, si ascolta con piacere, si è curioso di sapere ciò che il tale ha detto, ha fatto; di conoscere la sua condotta, i suoi costumi, di osservare il suo modo di operare; si vuole penetrare il segreto delle famiglie ed anche dei pensieri; si prova piacere a conoscere le inclinazioni, gli andamenti di quella persona. Per animare il maldicente, si fa applaudire ai suoi discorsi, si lodano i tratti ingegnosi di cui servesi per lanciare i suoi colpi penetranti contro coloro che non sono in istato di avvisarli; si osserva un reo silenzio quando si ode parlar male del prossimo; mentre chi è che ne prende la difesa? Ecco ciò che autorizza, che incoraggia il maldicente. Egli non trova che approvatori della sua malvagità; attacca gli assenti, quando sono fuori di stato di difendersi, e che gli chiuderebbero la bocca se fossero presenti; niuno si ritrova caritatevole abbastanza per prendere le loro parti, al contrario, quelli che ascoltano il maldicente, si uniscono spesse volte a lui per caricare della loro maligna critica coloro in cui esso ha già portato i colpi mortali. Convien forse stupirsi dopo questo, che la maldicenza faccia sì grandi progressi nella società umana, poiché non trova essa alcun ostacolo che le resista, e la maggior parte al contrario si fa un piacere di ascoltarla e di divulgarla? – Imperciocché, chi sono coloro, fratelli miei, che vanno esenti da questo vizio ? Oimè! Quasi tutte le condizioni della vita ne sono infette. Egli regna nella città, come nelle campagne; egli è il vizio dei ricchi come dei poveri, dei grandi come dei piccoli, dei sapienti come degli ignoranti. Si entri nelle case, si ascolti ciò che si dice nelle conversazioni: appena si vedranno due o tre persone insieme che non abbiano messo qualcheduno in giuoco nei loro discorsi. Appena si passa un’ora di tempo, di cui la maldicenza non occupi la maggior parte. Non è questo principalmente il difetto degli oziosi, di quelle persone, che, annoiate di sé medesime, vanno di conversazione in conversazione a spandere il veleno della loro maligna oziosità, alzando dappertutto tribunale, ove condannano senza pietà tutto ciò che loro dispiace ? Voi li vedrete scorrere minutamente tutti gli stati della vita; ora è l’avarizia o la prodigalità d’un ricco; or è l’insolenza d’un povero, che serve di materia alla loro censura. – Senza risparmiare sacro né profano, voi li vedrete scatenarsi senza pietà contro la condotta delle persone consacrate a Dio, la cui riputazione è necessaria al bene pubblico. Qui è un mercante che ne scredita un altro, che egli vede più accreditato di sé nel negozio; là è un artigiano che per mettersi in credito dispregia il lavoro di quelli della sua professione. Non si vedono forse anche persone d’altra parte regolate nella loro condotta, che, per stabilire la loro riputazione sulla rovina di quella degli altri, non hanno difficoltà di vibrare i colpi della loro maligna critica contro quelli la cui virtù fa loro ombra? A udir questi astuti maldicenti, non è già per invidia né per odio che essi divulgano certe debolezze che han vedute nel loro prossimo; ma è per zelo della gloria di Dio e del ben pubblico; e sotto questo pretesto si credono in diritto di rivelare ciò che converrebbe occultare. Non spacceranno, per verità, atroci calunnie, nere maldicenze; ma useranno di certi artifizi per sminuire l’altrui stima. Si è una compassione, che fingono di avere alla loro debolezza; sono sospiri che gli altrui mancamenti cavano dai loro cuori; faranno doglianze su qualche cattivo tratto che altri usa loro, su qualche parola scortese, che ha offeso il loro amor proprio; e sotto pretesto di cercare consolazione del loro dispiacere, non pensano che a soddisfare la loro vendetta, manifestando tutto ciò che riconoscono di difettoso in quelli che hanno avuta la disgrazia di loro dispiacere. Ah! quanto è mai raro di trovare in questo mondo persone irreprensibili su questo punto; ed è con molta ragione che s. Giacomo ha detto, che convien essere molto perfetto per non peccare parlando: Si quis in verbo non offendit, hic perfectus erit (Jac. III). Ma quanto la maldicenza è comune, altrettanto le sue conseguenze sono difficili a riparare.

II. Punto. Egli è un principio incontrastabile nella Religione e nella morale, che, per ottenere il perdono del suo peccato, bisogna farne la penitenza e la riparazione. Se ci siamo impadroniti della roba altrui o se gli abbiamo cagionato qualche danno, non evvi salute alcuna a sperare, sin che non l’abbiamo ristabilito nei suoi diritti. Lo stesso obbligo sussiste per il torto che abbiamo fatto colla maldicenza all’onore, e alla riputazione altrui. Ma quanto questa riparazione non è ella difficile? Difficile dalla parte dell’onore che convien riparare, difficile dalla parte di colui che deve fare questa riparazione. La riputazione consiste nella stima, che alcuno si è acquistata nello spirito degli uomini con le sue buone qualità, con azioni virtuose, che hanno meritato la loro approvazione. Ella è un bene di cui ciascuno è così geloso che sacrificherebbe volentieri tutti gli altri per conservare questo. Mentre a che servono tutti i beni senza l’onore? Non osiamo più comparir nel mondo, vi siamo morti civilmente tosto che siamo denigrati su questo punto. Quindi qual precauzione lo Spirito Santo non ci comanda di prendere per conservarlo? Curam habe de bono nomine (Eccli XLI). Egli è un bene che ci è personale, un bene che è la sorgente di molti altri beni, che ci tien dietro anche dopo la morte. Ma tosto che questa riputazione è oscurata dai neri vapori che una lingua maledica vi ha sparsi, non è possibile di renderle il suo primo splendore; ella è una piaga in certo modo incurabile. Ed in vero, per guarir questa piaga, per riparare il torto fatto alla riputazione, che convien fare? Bisogna ristabilire nei suoi diritti la persona cui abbiamo rapito l’onore, e per ciò cancellare le sinistre idee, che abbiamo impresse sulla sua condotta nello spirito degli altri: or è forse cosa facile cambiare queste malvage impressioni? L’orgoglio che signoreggia gli uomini non ispira loro che buoni sentimenti per se medesimi e dispregio per gli altri. Quindi ne viene che si prova ordinariamente maggior piacere nell’udire biasimare qualcheduno, che negli elogi che gli si danno; amiamo di autorizzarci nei nostri disordini, con l’esempio di coloro che sono sregolati. Ecco perché si ascolta e si crede così facilmente ciò che lusinga le passioni, e cosi difficilmente si depongono le idee che le favoreggiano. Perciò un maldicente avrà bel fare a disingannare coloro cui egli ha parlato male del suo prossimo, ma non gli riuscirà; molti discorsi non basterebbero per rendere alla riputazione il primo lustro, che un sol tratto di lingua le ha tolto. Poiché, o chi ha parlato male ha detto il vero o ha detto il falso: se quel che ha detto è vero, non potendo più disdirsene, tutte le lodi che esso darà al suo prossimo per rifarne la riputazione, non le renderanno giammai il suo primiero splendore; qualunque azione virtuosa egli pubblichi in lode della persona di cui ha parlato male, sarà sempre vero che questa persona è colpevole d’un mancamento che sminuisce la stima che si aveva della sua virtù. Se il male che il maledico ha pubblicato è vero, e se ne disdica, si è forse taluno, perché un confessore l’ha obbligato a farlo, o perché ha qualche ragione particolare d’interesse: forse i cattivi discorsi che si sono tenuti avevano qualche fondamento. Checché ne sia, è forse molto comune che la ritrattazione della maldicenza equivalsi all’ingiuria? Si è ciò che l’esperienza fa vedere pur troppo sensibilmente. Quegli era tenuto per un uomo dabbene nel concetto altrui, era tenuto per uomo giusto e ragionevole: ma un nemico geloso del suo onore e dei suoi successi ha sparso sulla sua condotta il veleno della sua censura; egli l’ha dipinto per un uomo di malvagia fede, e per un impostore, che non cerca che il suo interesse in pregiudizio degli altri. Ecco quell’uomo divenuto tutt’altro che non era nello spirito di coloro che lo stimavano; le sue virtù, i suoi meriti l’hanno abbandonato; non osa più comparire, non è più riguardato che come un uomo pericoloso alla società, qualunque cosa possa fare per sostenere la sua riputazione e qualunque cosa fare possa il maledico per disingannare gli animi, ch’egli ha contro di lui prevenuti. – Quel ministro del Signore, esatto a compiere i suoi doveri, ha voluto correggere alcuni disordini, riprendere un libertino della sua vita licenziosa: questi, per vendicarsi ed autorizzarsi nella sua empietà, l’accuserà ingiustamente di essere soggetto alle medesime debolezze. Sarà egli creduto, malgrado tutto ciò che potrà fare quel ministro del Dio vivente per cancellare con una condotta edificante le impressioni che altri ha concepito contro di lui. Si chiudono gli occhi sopra le sue virtù: venga egli annunciato per un santo quanto si vorrà, il libertino prevenuto non si disinganna più dei suoi pregiudizi, e l’uomo di Dio rimane coperto d’obbrobrio e diventa inutile alle anime che gli sono affidate. – Quella donna, quella fanciulla, regolate nella loro condotta, non avevano giammai dato luogo a parlar mal di sé; ma una lingua maledica ha sparsi malvagi rumori sui loro andamenti, eccole rovinate nella stima; tutto ciò che potranno esse fare non le impedirà di essere sospette d’intrighi peccaminosi, di disordini cui non hanno esse neppure pensato; e checché ne dica il maldicente per ritrattare quanto ha asserito, è stato creduto e lo sarà sempre. – Ah! fratelli miei, quanto i colpi di lingua di un maldicente sono terribili, e quali stragi un uomo di tal fatta cagiona nella società [Terribilis homo linguosus – Eccl. IX]. È un incendio che ha messo il fuoco in una casa, che non si può più estinguere; è una saetta mortale, che ammazza tanto vittime, quante sono le persone cui porta i suoi colpi. Egli è la cagione delle perpetue divisioni e di discordie nelle famiglie, e di perdite di beni cui non rimedierà giammai. Quel marito, quella moglie erano uniti insieme; quei congiunti, quei vicini vivevano in buona armonia; ma l’uomo nemico, che si compiace di seminar la zizzania tra il buon grano, ha fatto cattivi rapporti contro gli uni e gli altri; il marito e la moglie non possono più sopportarsi; i congiunti, i vicini sono divenuti nemici irreconciliabili. I confessori, i predicatori impieghino pure tutto ciò che v’ha di più forte nella Religione per riunirli, non ne potranno venir a capo. Chi è mai la cagione di questi mali? Siete voi, lingue di vipere, che avete cercati i motivi di divisione, o che non avete saputo osservare il silenzio sopra quei segreti a voi affidati. Invano farete degli sforzi per disingannare gli animi divisi; non ne verrete a capo: voi avrete parlato male di quell’uomo, che occupa nel mondo un posto vantaggioso, di quel mercante, di quell’artigiano, di quel servo; il posto di quell’uomo gli diventa inutile; il negozio di quel mercante cade, quell’artigiano perde i suoi avventori, quel servo non può più trovare padrone. Voi avete macchiato l’onore di quel giovane, di quella zitella, che erano sul punto di prendere un collocamento; essi sono al presente frustrati delle loro speranze, non possono più trovar partito. Come riparerete i danni che avete loro cagionati? Eppure voi siete a questo obbligati sotto pena di dannazione; ma troppo vi costerebbe l’adempiere a quest’obbligo; e però voi non lo farete. Ed ecco ciò che rende il vostro peccato in qualche modo irremissibile per una certa impossibilità in cui siete di ripararne i funesti effetti, tanto più ancora che questa riparazione trova in voi medesimi ostacoli quasi insuperabili. – Quando alcuno ha fatto torto al prossimo ne’ beni di fortuna, può ripararlo senza farsi conoscere; egli può servirsi d’una via straniera, come d’un amico fedele, d’un prudente confessore, per le restituzioni a cui è obbligato; può anche ritrovarsi in uno stato d’impossibilità, che lo esenti affatto dalla restituzione; ma non così della riparazione che deve farsi alla riputazione che si è denigrata. Siccome quest’obbligo non può esser adempito che da colui che ha parlato male, bisogna che comparisca in persona, e che si faccia conoscere in questa riparazione; il che non può fare che a danno della sua propria riputazione. Cioè a dire, che deve o farsi credere un impostore, se quel che ha detto non è vero; oppure un indiscreto, un indegno, un invidioso, un temerario, se quel che ha detto è vero: bisogna dunque che ripari l’altrui onore con la perdita dei suoi propri beni. Or è ella cosa facile di sacrificare il suo onore, la sua riputazione, infamarsi, screditarsi nel concetto degli altri, per onorare quelli che si sono diffamati? Ah! quanto mai non costa questo all’amor proprio sempre ingegnoso a evitar l’obbrobrio, e a conservarsi la stima altrui! Un tale sforzo non può essere che l’effetto d’una grazia onnipotente e di un desiderio ardentissimo della sua salute. Ma la prova che questo passo è difficile, si è che non si fa. Si odono moltissimi mormorare, ma se ne vedono forse molti che riparino il torto, che han fatto con la maldicenza? Eppure è un obbligo indispensabile, ove non si può allegare pretesto d’impossibilità, perché siamo sempre padroni di parlare a vantaggio del prossimo, e nulla è maggiormente a nostra disposizione che l’uso della parola. – Ma io suppongo ancora, che il maldicente si faccia violenza per rendere alla riputazione altrui il lustro che le ha tolto: ne potrà egli venir a capo, quando il veleno della sua maldicenza si è sparso si lungi che non è quasi più possibile di arrestarlo? Quando la sua maldicenza è giunta alle orecchie d’un gran numero di persone, come accade ordinariamente, allorché essa è divulgata in un villaggio, in una città, in una provincia; Come mai il maldicente potrà egli riparare l’onore altrui in tutti i luoghi ove è stato macchiato? Ed è forse d’uopo il dirvi, fratelli miei, che, se Dio domandasse questa riparazione per intero, la maldicenza diverrebbe un peccato irremissibile? Eppure se in queste circostanze la riparazione diventa impossibile, il maledico non lascia perciò di essere obbligato di fare tutto ciò che dipende da lui per riparare il male che ha fatto. Or farà egli tutto ciò che è necessario per questo? Prenderà egli tutte le misure convenevoli per scaricarsi dell’obbligo in cui si è impegnato? Lo farete voi? L’avete voi di già fatto, voi che avete questi rimproveri a farvi? Ah! grande e giusto Dio, quanti mali e qual difficoltà per ripararli! Avvertite dunque ben bene, dice lo Spirito Santo, a non peccare con la lingua, per tema che la vostra caduta, divenuta incurabile, non vi dia la morte: Casus insanabilis ad mortem (Eccli. XXVIII).

Pratiche. Mettete dunque un freno alla lingua, e non ve ne servite giammai per intaccare la riputazione altrui. Parlate sempre bene degli assenti; se nulla in loro lode avete a dire, tenetevi in silenzio; poiché diceva un antico, niuno si penti mai tanto di aver taciuto, quanto di aver parlato: Nullum locutum fuisse sæpe poenituit, tacuisse nunquam. Mettetevi in luogo di coloro di cui vorreste censurare la condotta. Sareste voi contenti che taluno vi trattasse nel modo che trattate gli altri? Non vorreste voi forse al contrario, che se qualcheduno parlasse male di voi in un’assemblea, un altro prendesse la vostra difesa? Fate lo stesso a riguardo del vostro prossimo, ed eserciterete la carità, che Dio richiede da voi. Imponetevi per penitenza, osservare il silenzio un certo tempo della giornata, e domandate a Dio ogni mattina la grazia di fare un santo uso della vostra lingua. Se voi avete diffamato il vostro prossimo di qualche delitto che gli abbiate imputato per calunnia, bisogna a qualunque costo disdirvi: se il delitto di cui l’avete accusato è vero, bisogna con tutte lodi che potete dargli, cancellare le malvage impressioni, che la vostra maldicenza ha fatto sopra lo spirito di coloro che vi hanno udito. Siccome la maldicenza viene ordinariamente dalla superbia, e dalla brama che abbiamo d’innalzarci al di sopra degli altri, siate umili ed abbiate bassi sentimenti di voi medesimi, ad esempio del grande Apostolo, che si riguardava come un aborto ed il maggiore dei peccatori: allora voi non parlerete male di alcuno. Ricordatevi ancora dell’avviso che vi dà lo Spirito Santo; di non frequentar né ascoltare i maldicenti: Cum detractoribus ne commisceamini (Prov. XXIV),poiché se voi li ascoltate , vi renderete complici della loro maldicenza per l’occasione che loro darete, Voi sareste ancora molto più colpevoli, se induceste i maldicenti a parlar male, o con i vostri cattivi consigli o con interrogazioni che loro fareste, o con l’approvazione, che loro dareste tenendo un iniquo silenzio. Allorché alla vostra presenza si opprime un innocente, che non dipenderebbe che da voi di giustificare, voi siete obbligati in quell’occasione a prendere la sua difesa e ad opporvi alla calunnia. Se la maldicenza che si spaccia è vera, voi siete sempre colpevoli di prestarle orecchio. Che convien dunque fare quando udiamo parlare male? Se coloro che mormorano sono vostri inferiori, servitevi, della vostra autorità per imporre loro silenzio; se sono vostri uguali, opponetevi alla maldicenza, o volgendo altrove il discorso e scusando coloro di cui si parla male sopra l’intenzione, la debolezza, la fragilità umana o qualche altra circostanza, che una carità ingegnosa sa benissimo ritrovare, o finalmente abbandonando la compagnia, se si può convenevolmente: se sono vostri superiori, coloro che parlano male, dimostrate il vostro dispiacere col silenzio, gemete nel fondo della vostra anima su ciò che udite; mettete, secondo il consiglio dello Spirito Santo, delle spine alle vostre orecchie, affinché il veleno della maldicenza non penetri nel vostro cuore, vale a dire, rendetele inaccessibili alle impressioni che essa fa in un cuore che volentieri vi si arrende, o che non sa difendersene. Finalmente in qualunque occasione il caso o la necessità vi esponga ad udire parlar male, comportatevi in tal modo che il vostro contegno faccia conoscere quanto la maldicenza vi dispiace; poiché siccome, dice la Scrittura, il vento di aquilone dissipa le piogge, così un mesto sembiante arresta la lingua d’un detrattore: Ventus aquilo dissipat pluvias, et facies tristis linguam detrahentem (Prov. XXV). Fatevi una legge non solamente di non fare giammai alcun rapporto contro chicchessia, ma ancora di non ascoltare giammai coloro che ve ne faranno; mentre o colui che vi riferisce qualche fallo che può muovervi a sdegno contro d’un altro è un nemico, o è suo amico. Se è un nemico, egli opera per odio, voi non dovete credergli; se è un amico, egli è un amico falso che non ne merita il nome; riguardatelo come un traditore, un indegno, un infedele, capace di rendere un sì malvagio servizio a voi come ha fatto con altri. Finalmente, fratelli miei, regolate così bene la vostra lingua che non ve ne serviate giammai se non per ben parlare, per glorificar Dio in questo mondo, a fine di glorificarlo nell’altro. Così sia.

 Credo …

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Ps XXIX:2-3
Exaltábo te, Dómine, quóniam suscepísti me, nec delectásti inimícos meos super me: Dómine, clamávi ad te, et sanásti me.

[O Signore, Ti esalterò perché mi hai accolto e non hai permesso che i miei nemici ridessero di me: Ti ho invocato, o Signore, e Tu mi hai guarito.]

Secreta

Réspice, Dómine, quǽsumus, nostram propítius servitútem: ut, quod offérimus, sit tibi munus accéptum, et sit nostræ fragilitátis subsidium.

[O Signore, Te ne preghiamo, guarda benigno al nostro servizio, affinché ciò che offriamo a Te sia gradito, e a noi sia di aiuto nella nostra fragilità.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Prov III: 9-10
Hónora Dóminum de tua substántia, et de prímitus frugum tuárum: et implebúntur hórrea tua saturitáte, et vino torculária redundábunt.

[Onora il Signore con i tuoi beni e con l’offerta delle primizie dei tuoi frutti, allora i tuoi granai si riempiranno abbondantemente e gli strettoi ridonderanno di vino.]

Postcommunio   

Orémus.
Sentiámus, quǽsumus, Dómine, tui perceptióne sacraménti, subsídium mentis et córporis: ut, in utróque salváti, cæléstis remédii plenitúdine gloriémur.

[Fa, o Signore, Te ne preghiamo, che, mediante la partecipazione al tuo sacramento, noi sperimentiamo l’aiuto per l’ànima e per il corpo, affinché, salvi nell’una e nell’altro, ci gloriamo della pienezza del celeste rimedio.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/13/ringraziamento-dopo-la-comunione-1/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.