DA SAN PIETRO A PIO XII (5)

[G. Sbuttoni: Da Pietro a Pio XII, Edit. A. B. E. S. Bologna, 1953; nihil ob. et imprim. Dic. 1952]

CAPO V .

LE ERESIE

PREAMBOLO

Gli eretici

All’opposizione brutale dei persecutori romani, si aggiunse l’opposizione dissimulata, che questa volta si sviluppa in seno alla Chiesa. Gesù Cristo non si accontentò di affermare l’Unità di Dio; introdusse i discepoli nella felice intimità delle Tre Persone divine e presentò Se stesso come vero Dio e vero Uomo. Quale ricchezza dottrinale!

Purtroppo dei Cristiani più o meno sinceri tentano di alterarne la purezza facendo un amalgama delle verità cristiane con alcune concezioni pagane. Intelligentissimi, costituiscono un temibile pericolo per la conservazione della dottrina di Nostro Signore. E ne nascono le eresìe.

Il nome « eresìa » viene da un verbo greco, che vuol dire « separo », «stacco». E anche oggi si indicano con il nome di «eretici» coloro che contraddicono all’insegnamento della Chiesa, per seguire una dottrina particolare e contraria alla stessa, dalla quale perciò si separano, si staccano.

Anche l’eresìa si può dire che nascesse con la Chiesa, perché quando comincia,  l’eresìa ha sempre l’aspetto e la parvenza della verità; è anzi la verità stessa o storpiata o contratta o alterata. Un ramo risecchito è sempre un ramo.

1. – LE ERESIE

D. Cessate le persecuzioni ebbe più a lottare la Chiesa?

— Ebbe una lotta ancor più fatale, quella contro le eresìe.

D. Che cosa sono le eresìe?

— Errori nelle dottrine della Fede. Errori che o svisano la dottrina di Cristo, o la negano, o le contrappongono una dottrina opposta; in questo modo attentano alla stessa esistenza della Chiesa, che vive della dottrina di Gesù Cristo.

D. La Chiesa può tollerare l’eresia o venire a patti con essa?

— No, nel modo più assoluto. La luce non può tollerare le tenebre, né venire a patti con esse; e neppure la verità con l’errore.

D. Quali vie allora restano all’eretico?

— Due vie: o ritrattare i suoi spropositi, o andarsene. Nella Chiesa l’eretico, chiunque egli sia, non ha posto. Perciò viene invitato a correggersi delle sue idee, uniformandole al Vangelo, o alla dottrina della Chiesa; se resiste ostinato, viene eliminato con la scomunica.

D. Di chi furono opera le eresìe ?

— Di certi spiriti colti e inquieti, che, non paghi della Rivelazione cristiana, e, d’altronde, incapaci di sottrarsi al suo fascino, ne deturparono la purezza, tentando di conciliare fra di loro diverse ed anche opposte concezioni.

2. – LE PRINCIPALI ERESIE

D. Quale fu una delle prime eresìe?

— Lo GNOSTICISMO (dal greco « gnosis » = conoscenza), che pretendeva di avere la perfetta conoscenza dei misteri divini; era invece un miscuglio di elementi filosofico-religiosi orientali e cristiani.

D. E’ facile darne un concetto?

— No, perché tale eresìa fu sempre in continua evoluzione, cioè in continuo sviluppo.

D. I diversi sistemi gnostici hanno un punto in comune ?

— Sì, ed è il concetto che fra Dio, bontà infinita, e la materia, esiste una serie di esseri intermedi, che rendono possibile all’uomo di risalire fino a Dio.

D. Come si chiamano gli esseri intermedi?

— «Eoni». La loro perfezione si misura dalla loro vicinanza a Dio.

D. Furono tutti buoni gli « eoni » ?

— No; uno prevaricò; si chiama « Demiurgo ». Dopo aver prodotto una serie di Eoni, malvagi come lui, finalmente creò il mondo materiale e l’uomo.

D. L’uomo dunque è tutto male ?

— No, perché un Eone superiore ha staccato dal mondo spirituale una scintilla divina e l’ha posta nella materia. A misura della presenza di questa scintilla divina, gli uomini si distinguono in:

a) uomini spirituali, nei quali lo spirito supera la materia. Sono gli gnostici.

b) uomini psichici, nei quali lo spirito è uguale alla materia. Sono i Cristiani.

c) uomini materiali, nei quali la materia è superiore allo spirito. Sono i pagani.

D. Qual è lo scopo della Redenzione secondo gli Gnostici?

— Quello di liberare l’elemento divino imprigionato nella materia.

D. Chi è il Redentore?

— Gesù Cristo, il quale, secondo gli gnostici, è uno degli eoni più sublimi, che, assumendo un corpo apparente, redense l’umanità.

D. Quale fine assegnano al mondo?

— Compiuta la liberazione dell’ elemento divino dalla materia, il mondo sarà distrutto e con esso gli uomini che non meritano la salvezza.

D. Quali concezioni morali portò questa dottrina?

— Ne portò due formalmente opposte; una che insegnava la pratica della mortificazione e della penitenza; l’altra che liberava il freno ad una immoralità spaventosa, come risulta dal quadro delle scostumatezze degli gnostici, che ci fa S. Ireneo.

D. Che fece la Chiesa contro questa eresia?

— Per mezzo di molti Padri del tempo la sgominò. Tra tutti si distinse S. Ireneo con il suo celebre volume « Adversus Hæreses».

D. Quale argomento porta S. Ireneo nel suo « Adversus Hæreses »?

— Il seguente: la dottrina di Gesù Cristo fu, per suo ordine, insegnata dagli Apostoli a tutto il mondo; ora presso le singole chiese, che hanno origine apostolica, non esiste nessuna traccia di gnosticismo, anzi esse hanno sempre creduto einsegnato il contrario; perciò il Vangelo non ha nulla a che fare con le aberrazioni gnostiche.

3. – IL MANICHEISMO

D. Tramontato lo gnosticismo, quale altra eresìa si ebbe?

— Il MANICHEISMO, che prese nome dal suo autore, MANI.

D. Che cosa insegna?

— Che vi sono due regni eterni, quello della luce e quello delle tenebre. Satana esce dalle tenebre e muove guerra a Dio, re della luce. L’uomo, creato da Dio, è fatto prigioniero da Satana, che depone in lui elementi tenebrosi. Di qui la lotta continua che deve svolgere l’uomo, per liberarsi dalle tenebre e riacquistare la luce.

D. Come si compie la liberazione dell’uomo?

— Mediante una vita d’austerità, che comprende tre sigilli e mortificazioni:

a) il sigillo della bocca (divieto di parlare osceno);

b) i l sigillo della mano (divieto di distruggere animali e piante);

c) il sigillo del petto (obbligo di osservare la castità e di astenersi dal matrimonio).

D. In quante classi si distinguevano le persone?

— In due: gli eletti (monaci) e gli uditori (semplici fedeli).

D. Ebbe diffusione questa dottrina?

— Sì, e guadagnò anche uomini di grande cultura. Agostino, prima di essere il Santo che è, passò anche tra l’esperienza manichea.

D. Fu combattuta?

— Sì, dai Padri e dagl’imperatori per i danni che recava alla Chiesa e allo Stato.

D. Ebbe delle riprese?

— Sì, nel sec. XI con la dottrina «albigese», che nel Medioevo costituì uno dei più gravi pericoli per la Chiesa e la società civile.

4. – L’ARIANESIMO

D. Quale fu l’eresìa che sconvolse per molti anni la cristianità ì

— L’ARIANESIMO, che ebbe origine da ARIO, sacerdote di Alessandria, vissuto nel secolo IV.

che sconvolse per molti anni la cristianità ì

— L’ARIANESIMO, che ebbe origine da ARIO, sacerdote di

Alessandria, vissuto nel secolo IV.

D. Come nacque tale efesia?

—- Era sorta una disputa sull’unità di Dio. Per sostenere l’unità di Dio, si adoperò eccessiva intemperanza, sicché si cadde nell’errore opposto, il « subordinazionismo », con cui le tre divine Persone sarebbero tanto distinte tra loro da non essere uguali, ma da avere il Figlio inferiore al Padre e lo Spirito Santo inferiore al Padre e al Figlio. Da questo secondo errore germogliò l’arianesimo.

D. Qual è il pensiero di Ario?

— Secondo Ario il Figlio di Dio, il Verbo, non è generato dalla sostanza del Padre, ma è una creatura che ha avuto origine dal nulla, benché prima di ogni altra creatura e superiore agli stessi Angeli e di cui Dio si è servito per creare tutto il rimanente. Il Verbo non sarebbe Dio per natura, ma per grazia e adozione. Lo Spirito Santo sarebbe la seconda creatura di Dio.

D. Che cosa colpiva questa eresìa?

— Colpiva in pieno la dottrina cristiana. Infatti se la Seconda Persona della SS. Trinità non è Dio per natura, la Redenzione perde tutto il suo effettivo valore, in quanto GesùCristo, semplice creatura, benché la più eccellente, non avrebbe avuto la virtù di redimerci. Con la Redenzione era anche colpita la Rivelazione.

D. Quale fu la reazione della Chiesa?

— Pari alla gravità del pericolo. Un’eletta schiera di Vescovi, 300, si adunò a NICEA, sotto la presidenza di papa Silvestro, nel 325 discusse ampiamente nel Concilio le idee di Ario e alla fine le condannò, scomunicando l’eresiarca.

D. Che cosa fu definito a Nicea?

— Fu definito che la natura del Padre è un’entità sola con la natura del Figlio e si usò per questo la formula: « IL FIGLIO È CONSUSTANZIALE (in greco “omoùsios ” ) AL PADRE » .

D. Si convinse Ario del proprio errore?

— La sua superbia non glielo permise; continuò invece segretamente a lavorare per la sua causa, prendendosela con la parola « consustanziale » dicendola pericolosa, perché, se da un lato asseriva la unità di Dio, dall’altro faceva sospettare che si negasse la distinzione reale fra le tre Persone divine. Sicché la questione riarse con maggior veemenza, e molti Vescovi caddero in buona fede nell’inganno, e, benché di idee cattoliche, ebbero paura della parola « consustanziale » .

D. Che s’aggiunse poi a questa sciagura?

— L’inizio del «CESAROPAPISMO», cioè l’ingerenza del potere civile in materia religiosa, soprattutto con l’imperatore COSTANZO, succeduto a Costantino. Anche gl’imperatori si dettero a imporre le loro opinioni teologiche, ad adunare concili, a far firmare formule dogmatiche composte a loro modo, e ad esiliare e perfino ad uccidere

vescovi.

D. Come morì Ario?

— Morì improvvisamente, mentre i suoi amici gli preparavano un grande trionfo, nel 335.

S. ATANASIO

D. Chi suscitò la Provvidenza per debellare la peste ariana?

— S. Atanasio, vescovo di Alessandria, nato nel 295, discepolo del famoso abate S. Antonio. Attirò l’attenzione di tutti per lo zelo nel combattere l’arianesimo già nel Concilio di Nicea, a cui prese parte quale segretario e consigliere del Vescovo di Alessandria. Nel 328, divenuto vescovo di Alessandria, cominciò ad emergere fino a divenire il nemico più formidabile dell’eresia, il « martello dell’arianesimo ». Dei 35 anni di episcopato alessandrino, solo 5 poté passarne in sede; tutti gli altri li passò in esilio e cercato a morte dagli eretici; finché nel 373, alla vigilia del trionfo della Chiesa sul nefasto errore, morì.

D. Sopravvisse l’arianesimo?

— Purtroppo, perché, bandito dall’impero romano, fu propagato fra i barbari, nei quali si trascinò per qualche secolo.

5. – IL NESTORIANESIMO

D. Che cos’è il NESTORIANESIMO?

— È l’eresia propugnata dal patriarca di Costantinopoli, NESTORIO, uomo di poco ingegno e di poca cultura, vissuto nel V secolo secondo il quale in Gesù Cristo esistono due persone distinte: la divina e l’umana, unite solo moralmente, cosicché il Verbo abita in Gesù uomo come in un tempio. Il Verbo quindi non è nato dalla Beata Vergine, e Maria non può dirsi Madre di Dio, ma solo madre dell’uomo Cristo; e nell’Eucarestia non si riceve che Gesù-uomo.

D. Chi controbattè fortemente questo errore?

— S. Cirillo di Alessandria, che nel Concilio di Efeso del 431 affrontò vigorosamente Nestorio e ne provocò la condanna e la deposizione.

D. Qual è il pensiero del Concilio?

— Questo: la Vergine ha dato a Gesù la sola natura umana, ma questa non possiede propria personalità, in quanto in Cristo sussiste un’unica Persona, quella del Verbo. Ma, siccome le attribuzioni si riferiscono alla Persona, così Maria, madre di Gesù, è giustamente chiamata anche Madre del Verbo, ossia di Dio.

D. L’eresìa scomparve completamente?

— No; in alcune parti d’Oriente vive tuttora.

6. – IL MONOFISISMO

D. Che accadde nella lotta contro Nestorio?

— Si cadde nell’errore opposto; fu per opera di EUTICHE, archimandrita di un monastero di Costantinopoli, che ammise in Gesù-Cristo una sola Persona, ma anche una sola natura, che, nell’Incarnazione, la natura umana sarebbe stata assorbita dalla natura divina.

D. Che nome prese la nuova eresia?

— MONOFISISMO, che significa un’unica natura.

D. Come fu stroncata?

— Dal Concilio di Calcedonia, nel 451, al quale papa s. Leone Magno spedì una lettera dove era esposta con chiarezza la vera dottrina. L’eresia vive ancora in alcune regioni in Egitto e in Etiopia.

7. – IL PELAGIANESIMO

D. Che cos’è il Pelagìanesìmo?

— L’errore di Pelagio secondo cui l’uomo non abbisogna della grazia.

D. Quale fu il pensiero di Pelagio?

— Questo: l’uomo può tutto, se vuole, con la semplice forza della sua libera volontà. Quindi niente debolezze e fragilità nella natura umana. Se per operare il bene fosse necessaria la grazia di Dio, si pregiudicherebbe il libero arbitrio. In breve, secondo Pelagio, l’uomo è sempre in grado di compiere da solo il bene. Il peccato originale non esiste. Il male fatto da Adamo con il suo peccato si risolve solo nell’aver dato cattivo esempio. Il battesimo non è necessario per la vita eterna, ma solo come documento per entrare in cielo. La grazia santificante del pari non è necessaria che come ornamento spirituale per l’anima. Così la Redenzione non è che un’elevazione ad una vita più spirituale.

D. Dove venne condannato questo errore?

— Nei concili di Cartagine e di Milevi, confermata poi subito dopo la condanna da Innocenzo I, rinnovata ad Efeso nel 431.

D. Chi fu il più grande lottatore contro il Pelagianesimo ?

— S. Agostino, contro il quale scrisse ben 15 opere.

D. Come difese S. Agostino la grazia divina?

— Insegnando che l’uomo, ferito dal demonio nel giardino delle delizie, era restato nel mezzo della strada che conduce a Dio, come il viandante sulla via di Gerico « semivivo ». Da solo non si poteva alzare e non avrebbe camminato. Era necessario che Gesù lo rialzasse, come fece il Samaritano al viandante, caricandolo sopra la sua cavalcatura. La grazia di Cristo ci risana, si rafforza, ci conforta. La nostra volontà consente e coopera con Dio che compie in noi la nostra salvazione.

D. Dove nacque Agostino?

— A Tagaste in Africa (Numidia), il 13 novembre 354, da Patrizio, pagano, che si convertì al Cristianesimo poco prima di morire, e da Monica, vero modello di sposa e di madre cristiana.

D. Che vita condusse?

— Studiò fino a vent’anni; poi insegnò grammatica a Tagaste e retorica a Cartagine, dove cadde nel Manicheismo e visse dissolutamente. Passato a Roma e a Milano a insegnarvi retorica, quivi frequentò le lezioni del grande Vescovo S. Ambrogio e la luce del Cristianesimo si fece strada nel suo animo. La conversione ebbe luogo nel 387. Ritornato in Africa, nel 391 fu ordinato sacerdote e nel 394 Vescovo di Ippona, dove rimase per 35 anni, morendovi il 28 agosto del 430, a 76 anni. È chiamato il « dottore della grazia ».

LA CATENA D’ORO DEI SALMI: NOTE INTRODUTTIVE (4)

LA CATENA D’ORO DEI SALMI: NOTE INTRODUTTIVE (4)

La catena d’oro dei SALMI

o I SALMI TRADOTTI, ANALIZZATI, INTERPRETATI E MEDITATI CON L’AIUTO DI SPIEGAZIONI E RELATIVE CONSIDERAZIONI, RICAVATE TESTUALMENTE DAI SANTI PADRI, DAGLI ORATORI E SCRITTORI CATTOLICI PIU’ RINOMATI.

Da M. l’Abbate J.-M. PÉRONNE,

CANONICO TITOLARE DELLA CHIESA “DE SOISSONS” ,

Professore emerito di sacra Scrittura e di Eloquenza sacra.

TOMO PRIMO.

Capitolo VI

Distribuzione logica dei Salmi secondo il loro oggetto

Se ci fosse stato dimostrato con segni certi ed evidenti che l’ordine nei quali sono disposti i salmi nella Bibbia sia o ragionato, o fondato su qualche mistero, non avremmo bisogno di cercarne un altro, ed ogni nostro studio sarebbe quello di penetrare le ragioni di quest’ordine. Ma benché l’ordine attuale dei Salmi sia sembrato a Sant’Agostino racchiudere il segreto di qualche grande mistero: “Ordine psalmorum mihi magni sacramenti videtur continere secretum”, il santo Dottore conclude semplicemente che quest’ordine non gli è stato ancora rivelato: “quamvis non dum (ordo iste) mihi fuerit revelatus”. Noi non abbiamo ancora potuto penetrare, continua, tutta la profondità dell’intero ordine di questi santi cantici: “ totius ordinis eorum altitudinem adhuc acie mentis non penetravimus”. Ora siamo noi più avanti di S. Agostino su questo punto? Ci è permesso di dubitarne quando si esaminano da vicino i tentativi fatti in seguito per arrivare a scoprire le ragioni dell’ordine dei Salmi. In effetti certi autori, partendo da questo principio, come da una verità incontestabile, che sia lo Spirito Santo, che è l’Autore dell’ordine e che dispone tutto con ordine, ad aver disposto necessariamente la sequenza dei Salmi, ma si trovano poi impediti nel primo passo e non possono realizzare quest’ordine secondo il primitivo senso dei Salmi, vale a dire il senso letterale ed immediato che ha per oggetto Davide ed il popolo di Israele, per cui sono obbligati a concludere che in questo senso (che pertanto è quello che lo Spirito Santo ha avuto primariamente in vista), non occorre cercare alcun ordine nella compilazione dei santi cantici. Quelli che possono interessare Davide sono mischiati – essi dicono – con quelli che interessano Israele; quelli che possono riguardare la persecuzione che Davide subì da parte di Saul, sono a volte posti dopo quelli che potrebbero riguardare ciò che ha dovuto subire sulla fine del suo regno da parte di Assalonne … In una parola sembra tutto confuso.

1) – È dunque nel senso spirituale che bisogna cercare l’ordine ragionato dei Salmi. Rimarchiamo innanzitutto che sia un pregiudizio favorevole a quest’ordine preteso essere obbligati ad accettarne formalmente il senso primario e principale, il senso letterale dei Salmi. Rimarchiamo poi che in una folla di Salmi, essendo soggetto a discussioni il senso spirituale, sia presunto che vero, voler motivare in questo senso l’ordine attuale della collezione dei Salmi, è come imbastire ipotesi su ipotesi, è come costruire un edificio che non avrà più solidità delle fondamenta. Ammettiamo per un istante questa ipotesi. Quali sono i mezzi adottati dagli autori per scoprire quest’ordine misterioso dei Salmi? Sono soprattutto, essi dicono, dei grandi fasci di luce, che sono come tanti segnali propri utili a dirigere con sicurezza il loro progredire. Alla luce di questi grandi fasci di luce che essi dividono innanzitutto la collezione dei Salmi in ventidue sezioni. Se voi domandate loro perché questo numero di ventidue sezioni, vi danno certe ragioni, se ce ne sono ragioni misteriose, per cui questo numero di ventidue sarebbe in rapporto con le ventidue lettere dell’alfabeto ebraico. Sembra abbastanza inutile dilungarci su un sistema così arbitrario nei dettagli e nel suo principio. Tuttavia per dimostrare ampiamente che non sia possibile ricondurre l’ordine attuale dei Salmi nel senso spirituale più che letterale, diamo un’idea di questa divisione di Salmi in ventidue sezioni secondo questi stessi autori. Due ragioni spingono a limitare la 1^ sezione ai primi sei Salmi:

-1) alla fine del salmo VI si trovano queste parole: “discedite a me omnes qui operamini iniquitatem”, parole che conducono naturalmente lo spirito all’ultimo giudizio;

-2) il salmo VII, secondi i santi Padri e secondo i migliori interpreti è in rapporto a Gesù-Cristo accusato, calunniato davanti ai suoi giudici; quindi è l’inizio di una seconda sezione, e con essa siamo condotti al salmo XIV, ove ci viene mostrata l’eterna felicità. Ecco i grandi fasci di luce che aiutano a fissare in modo preciso i limiti di ogni sezione. La sequenza dei Salmi in ogni sezione non è meno curiosa: ad esempio, nella prima, che fra tutte è la meno priva di verosimiglianze, il salmo I: Beatus vis racchiude l’elogio di Gesù-Cristo e di tutti i giusti uniti a Lui; il salmo II: Quare fremuerunt lo stabilirsi del suo regno malgrado gli sforzi del paganesimo; il salmo III: Domine quid multiplicati sunt l’estensione dei mali causati dalle grandi eresie; il salmo IV: Cum invocarem, il soccorso che Dio da alla sua Chiesa in questi mali; il salmo V: Verba mea, gli scismi che fanno giungere al colmo questi mali; il salmo VI: i grandi flagelli che succedono a queste prevaricazioni, l’invasione dei barbari e l’anatema degli ultimi giorni. Il susseguirsi dei Salmi nelle altre sezioni è di dubbia soddisfazione. Seguendo sempre i tratti luminosi, gli autori di questo sistema ci conducono alternativamente dal primo avvento di Gesù-Cristo, al suo secondo avvento, poi ci riconducono dal secondo al primo, ci fanno passare dai primi secoli della Chiesa fino agli ultimi, per ricondurci dagli ultimi ai primi, fini all’estinzione delle ventidue sezioni che riposano, come visto, su di un fondamento granitico, e cioè sulle ventidue lettere dell’alfabeto. Si può dunque, senza temerarietà, costringersi all’ordine numerico dei salmi se ci sono buone ragioni per derogarvi. Si possono poi concepire altre disposizioni dei Salmi, che possano facilitarcene la comprensione: .-1) si possono classificare secondo l’ordine degli avvenimenti e delle circostanze alle quali sembrano riferirsi senza aver riguardo per la numerazione stabilita; è, se si vuole, un ordine cronologico che prenda come punto di partenza gli inizi della storia di Davide, la percorre tutta intera e comprende, con i principali avvenimenti della sua vita, altri fatti importanti della storia pubblica degli Ebrei. Quest’ordine sarebbe indubbiamente il migliore di tutti per la comprensione del senso letterale, se solo si potessero determinare in modo certo; ma la maggior parte dei tempi non si hanno che congetture sull’origine storica dei Salmi e ci si riduce, ad esempio, a dire uniformemente e senza alcuna prova che in tutti i Salmi in cui Davide invoca il Signore contro i suoi nemici, sono stati composti durante la persecuzione di Saul ed Assalonne. Occorre aggiungere che quest’ordine restringe un po’ troppo l’oggetto dei Salmi, che spesso sono completamente intellegibili, se non ci si sbarazza di un orizzonte più stretto di quello della vita e del regno di Davide.

2) resta una seconda maniera di classificare i Salmi secondo il loro oggetto generale. Quest’ordine ci sembra preferibile: .-1 perché è meno arbitrario, poiché l’esame attento di un salmo è sufficiente a conoscerne l’oggetto principale, astrazion fatta per le circostanze storiche alle quali si fa allusione; .-2 perché pone in una stessa categoria tutti i Salmi evidentemente profetici, morali, di supplica, etc., e li sottomette più facilmente ad uno stesso sistema di interpretazione; .-3 perché indica più chiaramente l’uso che ciascuno possa fare dei Salmi per la sua utilità particolare. Secondo questo principio si possono suddividere i Salmi in sette classi differenti. Mettiamo al primo posto i Salmi profetici, cioè quelli che in senso morale unico o secondario hanno per oggetto Gesù-Cristo o la sua Chiesa, che più ci interessa di ben conoscere. Una folla di altri Salmi sono profetici nel senso spirituale. Le quattro classi che seguono i Salmi profetici comprendono dei salmi che si rapportano evidentemente ai quattro grandi doveri della religione che David ha personificato nella sua persona, vale a dire i Salmi di adorazione e di lode, i Salmi eucaristici o di azione di grazia, i Salmi di penitenza, i Salmi impetratori. La sesta classe comprende tutti i Salmi didattici o morali, che hanno soprattutto per oggetto l’esortazione alla fuga dal male ed alla pratica del bene. La settima classe composta da Salmi esclusivamente storici, cioè da quelli che non contengono, accanto a poche altre cose, che una semplice narrazione di avvenimenti, perché se diamo il nome di storici a Salmi composti in occasione di qualche avvenimento del regno di David, la maggior parte di quelli posti nelle classi precedenti dovrebbero far parte dei Salmi storici, contro la natura del loro oggetto. Si concepisce del resto che, per il gran numero dei Salmi, è facile determinare se essi appartengano ai Salmi di azione di grazia, di supplica, morali, etc.; per qualche altro il cui carattere è meno netto, e che offrono il miscuglio di due generi diversi, questa classificazione offre più difficoltà. La regola da seguire in questo caso, è di tener conto di questi due generi, e se si vuole, di collocare questi Salmi in due classi differenti.

TAVOLA ANALITICA DEI SALMI SECONDO IL LORO OGGETTO

1″ CLASSE. — Salmi profetici.

SALMI

II. Quare fremuerunt.…………………………………… Trionfo del Messia.

VIII. Domine Dominus noster. ……………………… Dignità di G.- C. riparatore dell’umanità.

XV. Conserva me ………………………… Resurrezione di Gesù-Cristo.

XXI . Deus, Deus meus ………………………. Passione di Gesù-Cristo.

XXXIX . Expectans expectavi…………………………….Passione di G.-C. considerata come sacrificio

XLIV. Eructavit…………………………… Unione di Gesù-Cristo con la sua Chiesa.

LXVIII. Salvum me fac ……………………… Passione di Gesù-Cristo.

LXXI. Deus judicium tuum …………………………… Regno del Messia.

LXXXVIII. Misericordias Domine ………..Promesse a Davide a riguardo del Messia

XCV Cantate Domino ………………….Regno del vero Dio su tutte le nazioni

XCVI Dominus regnavit ……………………… Trionfo e regno glorioso del Signore

XCVII Cantate Domino ………………… Avvento del Messia, vocazione dei Gentili

CVIII Deus laudem meam ………………… Punizione di Giuda e dei Giudei deicidi

CIX Dixit Dominus Domino meo …………… Generazione eterna, potenza del Verbo

CXVI Laudate Dominum omnes….………..………………….Vocazione dei Gentili

CXVII Confitemini Domino ……………… Unione dei Giudei e dei Gentili in G.-C.

CXXXI Mémento Domine ………………………Promesse del Messia fatte a David

2^ CLASSE. — Salmi di adorazione e di lode

XVIII. Cœli enarrant ……………..…Gloria di Dio attestata dai cieli e dalla legge

XXVIII. Afferte …………………Invito a rendere omaggio a Dio per la sua potenza

XXXII. Exultate justi……………….Invito a rendere grazie a Dio per la sua potenza e per la sua provvidenza

XXXIII. Benedicam Dominum ..….… Invito a rendere grazie a Dio per la sua ammirevole Provvidenza su coloro che Lo temono

XLI. Quemadmodum ……………………………… Desiderio del santo Tabernacolo

XLII. Judica me Deus …….……………………………………….. identico soggetto

XLVI. Omnes gentes …………….. Invito a rendere omaggio a Dio per la sua potenza

XLIX. Deus Deorum …………………………………… Il vero culto di Dio

LXII. Deus, Deus meus ……………… Amore di Dio in terra d’esilio

LXXX. Exultate justi ……… Esortazione motivata al culto di Dio

LXXXIII. Quam dilecta ……………… Amore dei santi Tabernacoli

XCII. Dominus regnavit …………….…. Grandezza e Potenza di Dio nelle sue opere

XCIV. Venite exul …………………..…… Inno di lode e di adorazione

XCVIII. Dominus regnavit…………………………………………. Invito al culto del Signore

XCIX. Jubilate Deo …………………………… Esortazione al culto del vero Dio

CIII. Benedicum Dominus ……………. Inno a Dio alla vista delle meraviglie della creazione

CXII. Laudate, pueri ……………… Invito a lodare Dio per la sua grandezza e per la sua bontà

CXXXIII. Ecce nunc ……………………………. Esortazione a benedire il Signore

CXXXIV. Laudate ………… Invito a benedire Dio per la sua bontà e la sua potenza

CXLIV. Exaltabo te …………… Encomio ai divini attributi di Dio

CXLVIII. Laudate Dominum ……….. Invito a tutti gli esseri a lodare il loro autore

CXLIX. Cantate Domino ……………..…… Invito analogo fatto al popolo di Dio

CL. Laudate Dominum in. ……………………….. Lode universale.

3^ CLASSE. – Salmi di azioni di grazia

IX. Confitebor Domini.…………………………………… Cantico di azioni di grazia

XVII. Diligam ……………………………………. Id. Id. Dopo una grande sventura

XX. Domine in virtute.………………. Azioni di grazia del popolo dopo la vittoria del re

XXII. Dominus régit me………….. Azioni di grazia per ringraziare Dio per la tenera affezione ai suoi

XXIX. Exaltabo te…..……… Azioni di grazia davanti ad una sciagura imminente

XLVII. Magnus Dominus …………….. Azioni di grazia a causa dei favori segnalati che Sion ha ricevuto dal Signore

LXV. Jubilate ……………….…………… Azioni di grazia per le meraviglie operate per la liberazione del popolo di Dio

LXXV. Notus in Judœa………… Azioni di grazia per la pace resa al popolo di Dio

XCI. Bonum est . ..…………. Azioni di grazia per la potenza e la provvidenza di Dio

CII. Benedicat anima ………………. Azioni di grazia per la tenerezza paterna di Dio per gli uomini

CVI. Confitemini …………… Azioni di grazia per l’ammirabile protezione di Dio su tutti quelli che Lo invocano

CVII. Paratum ……………………..… Slancio di riconoscenza per grandi vittorie

CX. Confitebor tibi …………………….Azioni di grazia per quanto Dio ha fatto per     il suo popolo

CXIV. Dilexi ……………………………… Azioni di grazia dopo grandi tribolazioni

CXV. Credidi ……………………………………………Id. Id.

CXXIII. Nisi quia Dominus….. Az. di grazia dei prigionieri dopo la loro liberazione

CXXV. In convertendo …………………………………Id. Id.

CXXVIII. Sæpe expugnaverunt. ………………………Id. Id.

CXXXVIII. Confitebor ………………..Id. per la gloria ed i benefici del Signore

CXLIII. Benedictus Dominus………………………..… Id. di un eroe pio

CXLVI. Laudate Dominum ……………Id. per i benefici della Provvidenza

CXLVII. Lauda Jérusalem ……………………………..Id. Id.

4^ CLASSE. — Salmi penitenziali

VI. Domine ne in ……………………………………..Dolore, speranza del peccatore

XXIV. Ad te Domine, levavi. …………………….Il peccatore si riconosce colpevole e chiede grazia

XXXI. Beati quorum …………….Tormenti di una coscienza colpevole;  felici effetti del ritorno a Dio.

XXXVII. Domine ne in furore…….. Il peccatore geme e si umilia sotto la mano di Dio

L. Miserere mei …………………… Motivi di pentimento e di perdono

CI. Domine exaudi ……….. Gemiti del peccatore prigioniero nell’attesa del liberatore

CXXIX. De profundis …………………….……….. Appello alla misericordia divina

CXLII. Domine exaudi…………Il peccatore implorante il soccorso di Dio contro le conseguenze del peccato

5^ CLASSE — Salmi supplicatori (o di impetrazione, compresa la fiducia in Dio.)

III. Domine quid multi………... Fiducia in Dio, richiesta di soccorso che si implora.

V. Verba mea …………………………………… Preghiera del giusto al suo risveglio

VII. Domine Deus meus ……………….. L’innocente si appella alla giustizia sovrana

X (ebr.) Ut quid Domine …………………………... Esposizione dei mali dai quali si chiede a Dio di essere liberato

XI. Salvum me fac ……………. Preghiera contro la perfidia degli uomini del secolo

XII. Usquequo Domine ……………… Id. Quando Dio sembra abbandonarci

XVI. Exaudi Domine just. ……… Id. nelle persecuzioni, contro dei nemici potenti

XIX** Exaudiat te Dominas ……………..……. Invocazioni del popolo per il suo re

*XXV. Judica me Domine …………………… Grido dell’innocente verso il Signore

*XXVI Dominus illuminatio …………….……. Pio desiderio di un’anima che mette tutta la sua fiducia in Dio

XXVII Ad te Domine clam………………………. Preghiera per non essere coinvolti nella punizione dei reprobi

XXX. In te Domine speravi ………………………………… Fiducia motivata in Dio

XXXIV. Judica Domine ….………… Preghiera del giusto contro la violenza e la perfidia.

XXXVIII. Dixi: custodiam …………………L’uomo afflitto dalle cose di questa vita domanda a Dio perdono per i suoi peccati

XLIII. Deus auribus ………………….Preghiera a Dio fondata sul ricordo delle sue antiche misericordie

LIII. Deus in nomine ……………….……. Preghiera nell’afflizione con la promessa di azioni di grazia

LIV. Exaudi Deus orat ……………Preghiera motivata da un pericolo incombente

LV. Miserere mei ………………………………. Id. Id.

LVI. Miserere… quotiam ………………………. Id. Id.

LVIII. Eripe me …………………………………. Id. Id.

LIX. Deus repulisti nos…………………………. Id. pieno di fiducia

LX. Exaudi Deus depr…….…………. Preghiera per domandare a Dio dei nuovi favori

LXIV. Te decet …….…… Preghiera a Dio di affrettare la liberazione del suo popolo

LXVI. Deus misereatur…………….. Preghiera a Dio di spandere la luce di salvezza

LXIX. Deus in audjutorium …………………………. Il giusto invoca Dio a suo aiuto

LXX. In te Domine, speravi ………………………….. Preghiera a Dio di non essere abbandonato in vecchiaia

LXXIII. Ut quid Deus ………………..…… Preghiera del popolo durante una grande persecuzione

LXXVIII. Deus venerunt ………………… Preghiera del popolo durante una grande persecuzione

LXXIX. Qui regis Israel ……………………. Canto nel pianto delle tribù in cattività

LXXXII. Deus quis similis………………………. Contro la lega dei nemici d’Israele

LXXXIV. Benedixisti, Domine ……………Per chiedere una liberazione completa e la venuta del Messia promesso

LXXXV. Inclina Domine ……………………….. Preghiera del debole   nell’afflizione

LXXXVII. Domine Deus salutis ……………….………. Preghiera e pianto toccante

CXIX. Ad Dominum ………………………………………..… Preghiera dell’esiliato

CXX. Levavi oculos …………………………………..…… Preghiera piena di fiducia

CXXI. Lætatus sum ………………… Invocazioni per la prosperità di Gerusalemme

CXXII. Ad te levavi …………………………………………….Momento di preghiera

CXXXVI. Super flumina ………………….Per chiedere a Dio la fine della cattività

CXXXIX. Eripe me, Domine ………………………... Preghiera del debole oppresso

CXL. Domine clamavi ………………….Per domandare a Dio il riserbo nelle parole

CXLI. Voce mea …………………………Preghiera del giusto solo e senza soccorso

6^ CLASSE — Salmi morali

I. Beatus vir ………………………………….. felicità dei giusti, infelicità dei malvagi

IV. Cum invocarem …………………………………… Esortazione al servizio di Dio

X. In Domino confido ………………………………….……….. Sicurezza del giusto

XIII. Dixit insipiens …………………………… Perversità degli empi, loro punizione

XIV. Domine quis ……………………………………….. Carattere degli eletti di Dio

XXIII. Domini est terra……………………………………………. Id. Id.

XXXV. Dixit intustus ……………………..……… Malizia e corruzione dei malvagi opposta alla bontà di Dio

XXXVI. Noli æmulari ……. Quanto poco la prosperità dei malvagi è degna d’invidia

XL. Beatus qui intelligit. ………………… Felicità di quelli che compatiscono i mali degli afflitti

XLV. Deus noster refugium. …………………… Sicurezza inalterabile inspirata alla protezione di Dio

XLVIII. Audite hæc ………………… Impotenza delle ricchezze nell’ora della morte

LII. Dixit insipiens ……………………………………… Stesso soggetto del sal. XIII

LVII. Si vere utique ……………………………………. Giustizia vendicativa di Dio

LXI. Nonne Deo ……….…………. Fiducia in Dio solo in tutti i pericoli, motivi….

LXIII. Exaudi Deus ……………….. Delitto e punizione della calunnia e dell’intrigo

LXXII. Quam bonus ……………………………Ragioni della prosperità dei  Malvagi e delle avversità dei giusti

LXXIV. Confitebimur …………………I malvagi minacciati dalla vendetta divina

LXXVI. Voce mea …………………………..Consolazioni ricevute al servizio di Dio

LXXXI. Deum stetit in …………………… Dovere dei grandi e dei giudici riguardo alla condizione dei poveri

LXXXIX. Domine refugium …………………………..Miseria e brevità della vita umana

XC. Qui habitat in …………………………………… Esortazione alla fiducia in Dio

XCIII. Deus ultionem ………………….…….Vendetta divina annonciata ai malvagi

C. Misericordiam …………………… Il giusto nella vita privata e nella vita pubblica

CXI. Beatus vir qui ……………………………………………….. Felicità del giusto

CXVIII. Beati immacolati …………………… Felici effetti dell’amore della legge di Dio

CXXIV. Qui confidunt …………… Protezione di Dio su quelli che confidano in Lui

CXXVI. Nisi Dominus ædificat ………... Necessità e felici effetti del soccorso dal  cielo

CXXVII. Beati omnes ……………………..….. Benedizioni legate al servizio di Dio

CXXX. Domine non est exal. ………………………………..Umiltà e fiducia in Dio

CXXXII. Ecce quam bonum …………………………Dolcezza dell’unione fraterna

CXXXVIII. Domine probasti me ………..….Scienza infusa da Dio. Effetti di questa sapienza in rapporto agli uomini

CXLV. Lauda anima mea ………………………….Fiducia in Dio e non nell’uomo

7^ CLASSE. — Salmi storici.

LXVII. Exurgat Deus ….……… Canto di trionfo in occasione del trasporto dell’Arca

LXXVII. Attendite ………………………….. Bontà e giustizia di Dio sul suo popolo

LXXXVI. Fundamenta …………………………………….. Elogio di Gerusalemme

CIV. Confitemini… etc……………………. Benefici di cui Dio ha ricolmato il suo popolo

CV. Confitemini.. quotiamo ……….…………………….Id. Id.

CXIII. In exîtu Israël ………………………………………………Uscita dall’Egitto

CXXXV. Confitemini..quoniam …………… Condotta ammirabile della Provvidenza verso gli Israelit

SALMI BIBLICI: “BEATUS VIR QUI NON…” (I)

SALMI BIBLICI: “QUARE FREMUERUNT GENTES …” (II)

SALMI BIBLICI: “QUID MULTIPLICATI SUNT…” (III)

SALMI BIBLICI: “CUM INVOCARENT” (IV)

SALMI BIBLICI: “VERBA MEA AURIBUS”(V)

SALMI BIBLICI: “DOMINE NE IN FURORE TUO” (VI)

SALMI BIBLICI: “DOMINE DEUS MEUS” (VII)

SALMI BIBLICI: “DOMINE, DOMINUS NOSTER” (VIII)

SALMI BIBLICI “CONFITEBOR TIBI DOMINE” (IX)

SALMI BIBLICI: “IN DOMINO CONFIDO” (X)

SALMI BIBLICI: “SALVUM ME FAC, DOMINE” (XI)

SALMI BIBLICI: “USQUEQUO DOMINE” (XII)

SALMI BIBLICI: “DIXIT INSIPIENS IN CORDE SUO” (XIII)

SALMI BIBLICI: “DOMINE QUIS HABITAVIT” (XIV)

SALMI BIBLICI: “CONSERVA ME DOMINE” (XV)

SALMI BIBLICI “EXAUDI, DOMINE JUSTITIAM MEAM” (XVI)

SALMI BIBLICI “DILIGAM TE, DOMINE” (XVII)

SALMI BIBLICI: “CÆLI ENARRANT GLORIA DEI” (XVIII)

SALMI BIBLICI: “EXAUDIAT TE, DOMINUS, IN DIE TRIBULATIONIS” (XIX)

SALMI BIBLICI: “DOMINE IN VIRTUTE TUA LÆTABITUR REX” (XX)

SALMI BIBLICI: “DEUS DEUS MEUS, RESPICE IN ME” (XXI)

SALMI BIBLICI: “DOMINUS REGIT ME, ET NIHIL MIHI DEERIT” (XXII)

SALMI BIBLICI: “DOMINI EST TERRA, ET PLENITUDO EJUS” (XXIII)

SALMI BIBLICI: “AD TE, DOMINI, LEVAVI ANIMAM MEAM” (XXIV)

SALMI BIBLICI: “JUDICA ME, DOMINE, QUONIAM EGO” (XXV)

SALMI BIBLICI: “DOMINUS ILLUMINATIO MEA ET SALUS” (XXVI)

SALMI BIBLICI: “AD TE, DOMINE, CLAMABO; Deus meus…” (XXVII)

SALMI BIBLICI: “AFFERTE DOMINE, FILII DEI” (XXVIII)

SALMI BIBLICI: “EXALTABO TE, DOMINE, QUONIAM SUSCEPISTI ME” (XXIX)

SALMI BIBLICI: “IN TE DOMINE, SPERAVI… INCLINA” (XXX)

SALMI BIBLICI: “BEATI QUORUM REMISSÆ SUNT INIQUITATES”

(XXXI)

SALMI BIBLICI: “EXSULTATE, JUSTI, IN DOMINO” (XXXII)

SALMI BIBLICI: “BENEDICAM DOMINUM IN OMNI TEMPORA” (XXXIII)

SALMI BIBLICI: “JUDICA DOMINE, NOCENTES ME” (XXXIV)

SALMI BIBLICI: “DIXIT INIUSTUS UT DELINQUAT IN SEMETIPSO” (XXXV)

SALMI BIBLICI: “NOLI ÆMULARI IN MALIGNANTIBUS” (XXXVI)

SALMI BIBLICI: “DOMINE, NE IN FURORE TUO ARGUAS ME” (XXXVII)

SALMI BIBLICI “DIXI CUSTODIAM VIAS MEAS” (XXXVIII)

SALMI BIBLICI: EXSPECTANS EXSPECTAVI DOMINUM” (XXXIX)

SALMI BIBLICI: “BEATUS QUI INTELLEGIT SUPER EGENUM” (XL)

SALMI BIBLICI: “QUEMADMODUM DESIDERAT CERVUS” (XLI)

SALMI BIBLICI: “JUDICA ME, DEUS, ET DISCERNE CAUSAM” (XLII)

SALMI BIBLICI: “DEUS, AURIBUS NOSTRIS AUDIVIMUS” (XLIII)

SALMI BIBLICI: “ERUCTAVIT COR MEUM VERBUM BONUM” (XLIV)

SALMI BIBLICI: “DEUS NOSTER REFUGIUM ET VIRTUS” (XLV)

SALMI BIBLICI: “OMNES GENTES, PLAUDITE MANIBUS” (XLVI)

SALMI BIBLICI: “MAGNUS DOMINUS, ET LAUDABILIS NIMIS” (XLVII)

SALMI BIBLICI. “AUDITE HÆC, OMNES GENTES” (XLVIII)

SALMI BIBLICI: “DEUS DEORUM, DOMINUS LOCUTUS EST” (XLIX)

SALMI BIBLICI: “MISERERE MEI, DEUS, SECUNDUM MAGNUM” (L)

SALMI BIBLICI: “QUID GLORIARIS IN MALITIA” (LI)

SALMI BIBLICI: “DIXIT INSIPIENS IN CORDE SUO, DEUS …” (LII)

SALMI BIBLICI: “DEUS, IN NOMINE TUO SALVUM ME FAC” (LIII)

SALMI BIBLICI: “EXAUDI, DEUS, ORATIONEM MEAM, ET NE DESPEXERIS” (LIV)

SALMI BIBLICI: “MISERERE MEI, DEUS, QUONIAM CONCULCAVIT” (LV)

SALMI BIBLICI: “MISERERE MEI, DEUS, MISERERE MEI (LVI)

SALMI BIBLICI: “SI VERE UTIQUE JUSTITIAM LOQUIMINI (LVII)

SALMI BIBLICI: “ERIPE ME DE INIMICIS MEI, DEUS MEUS” (LVIII)

SALMI BIBLICI: “DEUS REPULISTI NOS ET destruxisti nos” (LIX)

SALMI BIBLICI: “EXAUDI DEUS, DEPRECATIONEM MEAM” (LX)

SALMI BIBLICI: “NONNE MEA SUBIECTA ANIMA MEA (LXI)

SALMI BIBLICI: “DEUS, DEUS MEUS, AD TE LUCE VIGILO” (LXII)

SALMI BIBLICI: “EXAUDI, DEUS, ORATIONEM MEAM CUM DEPRECOR” (LXIII)

SALMI BIBLICI: “TE DECET, DEUS, HYMNUS IN SION” (LXIV)

SALMI BIBLICI: “JUBILATE DEO, OMNIS TERRA” (LXV)

SALMI BIBLICI: “DEUS, MISEREATUR NOSTRI, ET BENEDICAT NOS” (LXVI)

SALMI BIBLICI: “EXSURGAT DEUS, ET DISSIPENTUR INIMICI EJUS” (LXVII)

SALMI BIBLICI: “SALVUM ME FAC, DEUS, QUONIAM INTRAVERUNT” (LXVIII)

SALMI BIBLICI: “DEUS IN ADJUTORIUM MEUM INTENDE” (LXIX)

SALMI BIBLICI: “IN TE, DOMINE, SPERAVI … ET ERIPE ME” (LXX)

SALMI BIBLICI: “DEUS, JUDICIUM TUUM REGIS DA” (LXXI)

SALMI BIBLICI: “QUAM BONUS ISRAEL DEUS” (LXXII)

SALMI BIBLICI: “UT QUID, DEUS, REPULISTI IN FINEM” (LXXIII)

SALMI BIBLICI: “CONFITEBIMUR TIBI, DEUS” (LXXIV)

SALMI BIBLICI: ” NOTUS IN JUDEA, DEUS” (LXXV)

SALMI BIBLICI: “VOCE … Voce MEA AD DEUM, ET INTENDI” (LXXVI)

SALMI BIBLICI: “ATTENDITE, POPULE MEUS, LEGEM MEAM”(LXXVII)

SALMI BIBLICI: “DEUS, VENERUNT GENTES” (LXXVIII)

SALMI BIBLICI: “QUI REGIS ISRAEL, INTENDE” (LXXIX)

SALMI BIBLICI: “EXSULTATE DEO, ADJUTORI NOSTRO, JUBILATE DEO JACOB” (LXXX)

SALMI BIBLICI: DEUS STETIT IN SYNAGOGA DEORUM (LXXXI)

SALMI BIBLICI: “DEUS, QUIS SIMILIS ERIT TIBI?” (LXXXII)

SALMI BIBLICI: “QUAM DILECTA TABERNACULA TUA” (LXXXIII)

SALMI BIBLICI: “BENEDIXISTI, DOMINE, TERRAM TUAM” (LXXXIV)

SALMI BIBLICI: “INCLINA, DOMINE, AUREM TUAM” (LXXXV)

SALMI BIBLICI: “FUMDAMENTA EJUS IN MONTIBUS SANCTIS” (LXXXVI)

SALMI BIBLICI: “DOMINE, DEUS SALUTIS MEÆ” (LXXXVII)

SALMI BIBLICI: “MISERICORDIAS DOMINI, IN ÆTERNUM CANTABO” (LXXXVIII)

SALMI BIBLICI: “DOMINE, REFUGIUM FACTUS ES NOBIS” (LXXXIX)

SALMI BIBLICI: “QUI HABITAT IN ADJUTORIO ALTISSIMI” (XC)

SALMI BIBLICI: “BONUM EST CONFITERI DOMINO” (XCI)

SALMI BIBLICI: “DOMINUS REGNAVIT, DECOREM INDUTUS EST”(XCII)

SALMI BIBLICI: “DEUS ULTIONUM DOMINUS” (XCIII)

SALMI BIBLICI: “VENITE, EXSULTEMUS DOMINO” (XCIV)

SALMI BIBLICI: “CANTATE DOMINO CANTICUM NOVUM” (XCV)

SALMI BIBLICI: “DOMINUS REGNAVIT; EXSULTET TERRA” (XCVI)

SALMI BIBLICI: “CANTATE DOMINO, CANTICUM NOVUM, QUIA” (XCVII)

SALMI BIBLICI: “DOMINUS REGNAVIT: IRASCANTUR POPULI” (XCVIII)

SALMI BIBLICI: “JUBILATE DEO, OMNIS TERRA; SERVITE DOMINO”(XCIX)

SALMI BIBLICI: “MISERICORDIAM ET JUDICIUM CANTABO TIBI” – (C)

SALMI BIBLICI: “DOMINE EXAUDI ORATIONEM MEAM, ET CLAMOR MEUS” – (CI)

SALMI BIBLICI: ” BENEDIC, ANIMA MEA, DOMINO, … ET OMNIA” (CII)

SALMI BIBLICI: “BENEDIC, ANIMA MEA, DOMINO: DOMINE” (CIII)

SALMI BIBLICI: “CONFITEMINI DOMINO, ET INVOCATE NOMEN EJUS” (CIV)

SALMI BIBLICI: “CONFITEMINI, DOMINO … QUIS LOQUETUR” (CV)

SALMI BIBLICI: “CONFITEMINI DOMINO, QUONIAM BONUS … DICANT QUI REDEMPTI” (CVI)

SALMI BIBLICI: “PARATUM COR MEUM, DEUS” (CVII)

SALMI BIBLICI: “DEUS, LAUDEM MEAM, NE TACUERIS” (CVIII)

SALMI BIBLICI: “DIXIT DOMINUS, DOMINO MEO” (CIX)

SALMI BIBLICI: “CONFITEBOR TIBI, DOMINE…IN CONSILIO” (CX)

SALMI BIBLICI: “BEATUS VIR QUI TIMET DOMINUM” (CXI)

SALMI BIBLICI: “LAUDATE, PUERI, DOMINUM” (CXII)

SALMI BIBLICI: “IN EXITU ISRAEL DE ÆGYPTO” (CXIII)

SALMI BIBLICI: “DILEXI, QUONIAM EXAUDIET DOMINUS” (CXIV)

SALMI BIBLICI: “CREDIDI, PROPTER QUOD LOCUTUS SUM” (CXV)

SALMI BIBLICI: “LAUDATE DOMINUM, OMNES GENTES” (CXVI)

SALMI BIBLICI: “CONFITEMINI DOMINO … DICAT NUNC ISRAEL” (CXVII)

SALMI BIBLICI: “BEATI IMMACULATI IN VIA” (CXVIII – 1)

SALMI BIBLICI: “AD DOMINUM CUM TRIBULARER” (CXIX)

SALMI BIBLICI: “LEVAVI OCULOS MEOS IN MONTES” (CXX)

SALMI BIBLICI: “LÆTATUS SUM IN HIS QUÆ DICTA SUNT MIHI” (CXXI)

SALMI BIBLICI: “AD TE LEVAVI OCULOS MEOS” (CXXII)

SALMI BIBLICI: “NISI QUIA DOMINUS ERAT IN NOBIS” (CXXIII)

SALMI BIBLICI: “QUI CONFIDUNT IN DOMINO, SICUT MONS SION” (CXXIV)

SALMI BIBLICI: “IN CONVERTENDO DOMINUS CAPTIVITATEM SION” (CXXV)

SALMI BIBLICI: “NISI DOMINUS ÆDIFICAVERIT DOMUM” (CXXVI)

SALMI BIBLICI: “BEATI OMNES QUI TIMENT DOMINUM” (CXXVII)

SALMI BIBLICI: “SÆPE EXPUGNAVERUNT ME” (CXXVIII)

SALMI BIBLICI: “DE PROFUNDIS” (CXXIX)

SALMI BIBLICI: “DOMINE, NON EST EXALTATUM COR MEUM” (CXXX)

SALMI BIBLICI: “MEMENTO, DOMINE, DAVID, et” (CXXXI)

SALMI BIBLICI: “ECCE QUAM BONUM ET QUAM JUCUNDUM” (CXXXII)

SALMI BIBLICI: “ECCE NUNC BENEDICITE DOMINUM” (CXXXIII)

SALMI BIBLICI: “LAUDATE NOMEN DOMINI” (CXXXIV)

SALMI BIBLICI: ” CONFITEMINI, DOMINO … CONFITEMINI ” (CXXXV)

SALMI BIBLICI: “SUPER FLUMINA BABYLONIS” (CXXXVI)

SALMI BIBLICI: “CONFITEBOR TIBI, DOMINE, … QUONIAM AUDISTI (CXXXVII)

SALMI BIBLICI: “DOMINE, PROBASTI ME ET COGNOVISTI ME” (CXXXVIII)

SALMI BIBLICI: “ERIPE ME, DOMINE, AB HOMINE MALO” (CXXXIX)

SALMI BIBLIBI: “DOMINE, CLAMAVI AD TE, EXAUDI ME” (CXL)

SALMI BIBLICI: “VOCE MEA, … VOCE MEA, AD DOMINUM” (CXLI)

SALMI BIBLICI. “DOMINE, EXAUDI ORATIONEM MEAM; AURIBUS” (CXLII)

SALMI BIBLICI: “BENEDICTUS DOMINUS, DEUS MEUS” (CXLIII)

SALMI BIBLICI: “EXALTABO TE, DEUS MEUS, REX” (CXLIV)

SALMI BIBLICI: “LAUDA, ANIMA MEA DOMINUM” (CXLV)

SALMI BIBLICI: “LAUDATE DOMINUM, QUAM BONUS” (CXLVI)

SALMI BIBLICI: “LAUDA JERUSALEM, DOMINUM” (CXLVII)

SALMI BIBLICI: “LAUDATE DOMINUM DE CÆLIS ” (CXLVIII)

SALMI BIBLICI: “CANTATE DOMINO, CANTICUM NOVUM; LAUS … ” (CXLIX)

SALMI BIBLICI: “LAUDATE DOMINUM IN SANCTIS EJUS” (CL)

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO. S. S. PIO XI – “NON ABBIAMO BISOGNO”

“Non abbiamo bisogno” è una lunga lettera Enciclica in lingua italiana, che il Sommo Pontefice Pio XI, scrisse, nella tristissima epoca dell’italica dittatura fascista, per difendere le inermi Associazioni Cattoliche contro la ignobile e falsa propaganda messa in atto dal regime che deteneva il potere politico, regime che, pur cambiando nome, immagini, vessilli, gagliardetti e opuscoletti vari, in realtà era un tentacolo della stessa piovra, la bestia satanica, ora travestita da socialismo, ora da comunismo, poi da massonismo frastagliato, liberismo e materialismo filosofico, come accenna di passaggio anche Papa Ratti … « … Non possiamo invece Noi, Chiesa, Religione, fedeli Cattolici (e non soltanto noi) essere grati a chi dopo aver messo fuori socialismo e massoneria, nemici nostri (e non nostri soltanto) dichiarati, li ha così largamente riammessi, come tutti vedono e deplorano (tutti i gerarchi fascisti appartenevano a logge apparentemente condannate – ndr.-), e fatti tanto più forti e pericolosi e nocivi quanto più dissimulati e insieme favoriti dalla nuova divisa ». Cambia la divisa, ma la bestia trasformista è sempre la medesima, oggi pure in salsa “clargyman”, la bestia della terra che abita là, dove satana ha il suo trono … e son parole dell’Apostolo Giovanni che vedeva (Apoc. II,13 lettera alla chiesa di Pergamo) con 2000 anni di anticipo il rappresentante della bestia e del suo anticristo, seduto sul trono usurpato al Vicario di Cristo! All’epoca c’era un Santo Padre che comunque poteva protestare con gran veemenza contro blasfeme, malvagie, sacrileghe “camicie nere”, mentre oggi nessuno può più protestare, perché impedito, contro colletti “scudocrociati” “falcemartellati”, “penta stellati”, “camice verdi”, “piduisti”, assurti alle leve del comando italico, anzi incoraggiati da chierici compagni tutti di loggia o conventicola. Ognuno può ben vedere quindi, che la situazione di quell’epoca fascista, che tanti mali portò alla nobile popolazione italica, sia un’inezia davanti alla dittatura anticristiana ed ultrapagana odierna ben più feroce, mascherata da terrorismo finanziario e da un irreale “debito pubblico” che impone sacrifici ai soliti poveri a vantaggio dei soliti potenti, da difesa dal terrorismo e dalla droga, opportunamente favoriti, ed oggi perfino da un vile e falso terrorismo sanitario. E nessuno umanamente ci difende, fosse pure con una semplice lettera di protesta. Ma la speranza del Cattolico del pusillus grex non cede neppure oggi, anzi è ancor più sostenuto dalla fede irresoluta nelle parole del divin Redentore … portæ inferi non prævalebunt, e nell’azione della Vergine Madre di Dio … et Ipsa conteret caput tuum! lasciamoli fare, poveri illusi barcollanti sull’orlo dello stagno di fuoco … et qui habitat in cœlis irridebit eos … in attesa di un falò eterno che farà giustizia di ogni iniquità.  

LETTERA ENCICLICA
NON ABBIAMO BISOGNO

DEL SOMMO PONTEFICE
PIO XI
SULL’AZIONE CATTOLICA ITALIANA

Ai Venerabili Fratelli Patriarchi,
Primati, Arcivescovi,
Vescovi e altri Ordinari
aventi pace e comunione con la Sede Apostolica.

Venerabili Fratelli, salute ed Apostolica Benedizione.

Non abbiamo bisogno di annunciare a voi, Venerabili Fratelli, gli avvenimenti che in questi ultimi tempi hanno avuto luogo in questa Nostra Sede Episcopale Romana e in tutta Italia, che è dire nella Nostra propria dizione Primaziale, avvenimenti che hanno avuto così larga e profonda ripercussione in tutto il mondo, e più sentitamente in tutte e singole le diocesi dell’Italia e del mondo cattolico. Si riassumono in poche e tristi parole: si è tentato di colpire a morte quanto vi era e sarà sempre di più caro al Nostro cuore di Padre e Pastore di anime … e possiamo bene, dobbiamo anzi soggiungere: « e il modo ancor m’offende ».

È in presenza e sotto la pressione di questi avvenimenti che Noi sentiamo il bisogno e il dovere di rivolgerCi e quasi venire in ispirito a ciascuno di voi, Venerabili Fratelli, innanzi tutto per compiere un grave ed ormai urgente dovere di fraterna riconoscenza; in secondo luogo per soddisfare ad un non meno grave ed urgente dovere di difesa verso la verità e la giustizia, in materia che, riguardando vitali interessi e diritti della Santa Chiesa, riguarda pure voi tutti e singoli, dovunque lo Spirito Santo vi ha posto a reggerla insieme con Noi; vogliamo in terzo luogo esporvi quelle conclusioni e riflessioni che gli avvenimenti Ci sembrano imporre; in quarto luogo vogliamo confidarvi le Nostre preoccupazioni per l’avvenire: e finalmente vi inviteremo a dividere le Nostre speranze ed a pregare con Noi e coll’Orbe cattolico per il loro compimento.

I.

L’interna pace, quella che viene dalla piena e chiara consapevolezza di essere dalla parte della verità e della giustizia, e di combattere e soffrire per esse, quella pace che solo il Re divino sa dare e che il mondo, come non sa dare, così non può togliere, questa pace benedetta e benefica, grazie alla divina Bontà e Misericordia, non Ci ha mai abbandonato e mai, ne abbiamo piena fiducia, Ci abbandonerà, qualunque cosa avvenga; ma questa pace, come già nel cuore di Gesù appassionato, così nel cuore dei suoi fedeli servitori lascia libero accesso (voi lo sapete troppo bene, Venerabili Fratelli), a tutte le amarezze più amare, e anche Noi abbiamo sperimentato la verità di quella misteriosa parola: « Ecce in pace amaritudo mea amarissima » [1]. Il vostro pronto, largo, affettuoso intervento, che ancora non cessa, Venerabili Fratelli, i fraterni e filiali sentimenti, e soprattutto quel senso di alta soprannaturale solidarietà e intima unione di pensieri e di sentimenti, di intelligenze e di volontà spiranti dalle vostre amorevoli comunicazioni, Ci hanno riempito l’anima di indicibili consolazioni e Ci hanno spesse volte chiamate dal cuore sulle labbra le parole del Salmo [2]: « Secundum multitudinem dolorum meorum in corde meo, consolationes tuæ laetificaverunt animam meam ». Di tutte queste consolazioni, dopo Dio, voi di tutto cuore ringraziamo, Venerabili Fratelli, voi, ai quali possiamo anche Noi dire come Gesù ai vostri antecessori, agli Apostoli: «Vos qui permansistis mecum in tentationibus meis » [3].  Sentiamo pure e vogliamo pur compiere il dovere dolcissimo al cuore paterno di ringraziare con voi, Venerabili Fratelli, i tanti buoni e degni figli vostri, che individualmente e collettivamente, singoli e delle svariate organizzazioni ed associazioni di bene e più largamente delle Associazioni di Azione Cattolica e di Gioventù Cattolica, Ci hanno inviato tante e così filialmente affettuose espressioni di condoglianza, di devozione e di generosa e fattiva conformità alle Nostre direttive, ai Nostri desideri. È stato per Noi singolarmente bello e consolante vedere le « Azioni Cattoliche » di tutti i Paesi, dai più vicini ai più lontani, trovarsi a convegno presso il Padre comune, animate e come portate da un unico spirito di fede, di pietà filiale, di generosi propositi, esprimendo tutti la penosa sorpresa di vedere perseguitata e colpita l’Azione Cattolica là, al Centro dell’Apostolato Gerarchico, dove essa ha maggior ragione di essere, essa che in Italia, come in tutte le parti del mondo, secondo l’autentica ed essenziale sua definizione e secondo le assidue e vigilanti Nostre direttive, da Voi, Venerabili Fratelli, tanto generosamente secondate, non vuole né può essere se non la partecipazione e collaborazione del laicato all’Apostolato Gerarchico.  – Voi, Venerabili Fratelli, porterete l’espressione della Nostra paterna riconoscenza a tutti i vostri e Nostri figli in Gesù Cristo, che si sono mostrati così bene cresciuti alla vostra scuola e così buoni e pii verso il Padre comune, così da farci dire: « superabundo gaudio in tribulatione nostra » [4].  – A voi, Vescovi di tutte e singole le diocesi di questa cara Italia, a voi non dobbiamo soltanto l’espressione della Nostra riconoscenza per le consolazioni delle quali in nobile e santa gara Ci siete stati larghi colle vostre lettere in tutto il trascorso mese e particolarmente in questo stesso giorno dei SS. Apostoli coi vostri affettuosi ed eloquenti telegrammi; ma vi dobbiamo pure un contraccambio di condoglianze per quello che ciascuno di voi ha sofferto, vedendo improvvisamente abbattersi la bufera devastatrice sulle aiuole più riccamente fiorite e promettenti dei giardini spirituali, che lo Spirito Santo ha affidato alle vostre cure, e che voi con tanta diligenza venivate coltivando e con tanto bene delle anime. Il vostro cuore, Venerabili Fratelli, si è subito rivolto al Nostro per compatire alla Nostra pena, nella quale sentivate convergere come a centro, incontrarsi e moltiplicarsi tutte le vostre: è quello che voi Ci avete mostrato con le più chiare ed affettuose testimonianze, e Noi ve ne ringraziamo di tutto cuore. Particolarmente grati vi siamo della unanime e davvero imponente testimonianza da voi resa alla Azione Cattolica Italiana e segnatamente alle Associazioni Giovanili, d’esser rimaste docili e fedeli alle Nostre e vostre direttive escludenti ogni attività politica o di partito. Ed insieme con Voi ringraziamo pure tutti i vostri Sacerdoti e fedeli, religiosi e religiose, che a voi si unirono con tanto slancio di fede e di pietà filiale. In particolar modo ringraziamo le vostre associazioni di Azione Cattolica, e prime le Giovanili per tutti i gradi fino alle più piccole Beniamine ed ai più piccoli Fanciulli, tanto più cari quanto più piccoli, nelle preghiere dei quali e delle quali particolarmente confidiamo e speriamo.  – Voi avete sentito, Venerabili Fratelli, che il Nostro cuore era ed è con voi, con ciascuno di voi, con voi soffrendo, per voi e con voi pregando, che Iddio nella sua infinita Misericordia Ci venga in aiuto ed anche da questo gran male, che l’antico nemico del Bene ha scatenato, tragga nuova fioritura di bene e di gran bene.

II.

Soddisfatto al debito della riconoscenza per i conforti ricevuti in tanto dolore, dobbiamo soddisfare a quello onde l’apostolico ministero Ci fa debitori verso la verità e la giustizia. – Già a più riprese, Venerabili Fratelli, nel modo più esplicito ed assumendo tutta la responsabilità di quanto dicevamo, Ci siamo Noi espressi ed abbiamo protestato contro la campagna di false ed ingiuste accuse, che precedette lo scioglimento delle Associazioni Giovanili ed Universitarie della Azione Cattolica. Scioglimento eseguito per vie di fatto e con procedimenti che dettero l’impressione che si procedesse contro una vasta e pericolosa associazione a delinquere; trattavasi di gioventù e fanciullezze certamente delle migliori fra le buone, ed alle quali siamo lieti e paternamente fieri di potere ancora una volta rendere tale testimonianza. Si direbbe che gli stessi esecutori (non tutti di gran lunga, ma molti di essi) di tali procedimenti ebbero un tal senso e mostrarono di averlo, mettendo nell’opera loro esecutoria espressioni e cortesie, con le quali sembravano chiedere scusa e volersi far perdonare quello che erano necessitati di fare: Noi ne abbiamo tenuto conto riserbando loro particolari benedizioni.  – Ma, quasi a dolorosa compensazione, quante durezze e violenze fino alle percosse ed al sangue, e irriverenze di stampa, di parola e di fatti, contro le cose e le persone, non esclusa la Nostra, precedettero, accompagnarono e susseguirono l’esecuzione dell’improvvisa poliziesca misura, che bene spesso ignoranza o malevolo zelo estendeva ad associazioni ed enti neanche colpiti dai superiori ordini, fino agli oratorii dei piccoli ed alle pie congregazioni di Figlie di Maria! – E tutto questo triste contorno di irriverenze e di violenze doveva essere con tale intervento di elementi e di divise di partito, con tale unisono da un capo all’altro d’Italia, e con tale acquiescenza delle Autorità e forze di pubblica sicurezza da far necessariamente pensare a disposizioni venute dall’alto: Ci è molto facile ammettere, ed era altrettanto facile prevedere, che queste potessero, anzi dovessero, quasi necessariamente venire oltrepassate. Abbiamo dovuto ricordare queste antipatiche e penose cose, perché non è mancato il tentativo di far credere al gran pubblico ed al mondo che il deplorato scioglimento delle Associazioni, a Noi tanto care, si era compiuto senza incidenti e quasi come una cosa normale.  – Ma si è in ben altra e più vasta misura attentato alla verità ed alla giustizia. Se non tutte, certamente le principali falsità e vere calunnie sparse dalla avversa stampa di partito — la sola libera, e spesso comandata, o quasi, a tutto dire ed osare — vennero raccolte in un messaggio, sia pure non ufficiale (cauta qualifica), e somministrate al gran pubblico coi più potenti mezzi di diffusione che l’ora presente conosce. La storia dei documenti redatti non in servizio, ma in offesa della verità e della giustizia, è una lunga e triste storia; ma dobbiamo dire con la più profonda amarezza che, pur nei molti anni di vita e di operosità bibliotecaria, raramente Ci siamo incontrati in un documento tanto tendenzioso e tanto contrario a verità e giustizia, in ordine a questa Santa Sede, alla Azione Cattolica Italiana e più particolarmente alle Associazioni così duramente colpite. Se tacessimo, se lasciassimo passare, che è dire se lasciassimo credere, Noi saremmo troppo più indegni, che già non siamo, di occupare questa augusta Sede Apostolica, indegni della filiale e generosa devozione onde Ci hanno sempre consolati ed ora più che mai Ci consolano i Nostri cari figli dell’Azione Cattolica, e più particolarmente quei figli e quelle figlie Nostre, grazie a Dio tanto numerose, che, per la religiosa fedeltà alle Nostre chiamate e direttive, hanno tanto sofferto e soffrono, tanto più altamente onorando la scuola alla quale sono cresciuti, e il Divino Maestro e il suo indegno Vicario, quanto più luminosamente hanno mostrato col loro cristiano contegno, anche di fronte alle minacce ed alle violenze, da qual parte si trovino la vera dignità del carattere, la vera fortezza d’animo, il vero coraggio, la stessa civiltà. – Ci studieremo di essere molto brevi, rettificando le facili affermazioni del ricordato messaggio, facili diciamo per non dire audaci, e che sapevano di poter contare sulla quasi impossibilità di ogni controllo da parte del gran pubblico. Saremo brevi, anche perché già più volte, massime in questi ultimi tempi, abbiamo parlato sugli argomenti che ora ritornano, e la Nostra parola, Venerabili Fratelli, è potuta giungere fino a voi, e per voi ai vostri e Nostri cari figli in Gesù Cristo, come auguriamo anche alla presente lettera.  – Diceva fra l’altro il ricordato messaggio che le rivelazioni dell’avversa stampa di partito sarebbero state nella quasi totalità confermate almeno nella sostanza e proprio dall’Osservatore Romano. La verità è che l’Osservatore Romano ha di volta in volta dimostrato che le così dette rivelazioni erano altrettante invenzioni, o in tutto e per tutto, od almeno nell’interpretazione data ai fatti. Basta leggere senza malafede e con la più modesta capacità d’intendere. – Diceva ancora il messaggio essere tentativo ridicolo quello di far passare la Santa Sede come vittima in un paese dove migliaia di viaggiatori possono rendere testimonianza al rispetto dimostrato verso Sacerdoti, Prelati, Chiesa e funzioni religiose. Sì, Venerabili Fratelli, purtroppo il tentativo sarebbe ridicolo, come quello di chi tentasse sfondare una porta aperta; perché purtroppo le migliaia di visitatori stranieri, che non mancano mai all’Italia ed a Roma, hanno potuto constatare di presenza le irriverenze spesso empie e blasfeme, le violenze, gli sfregi, i vandalismi commessi contro luoghi, cose e persone, in tutto il Paese ed in questa medesima Nostra Sede Episcopale e da Noi ripetutamente deplorati dietro sicure e precise informazioni.  – Il messaggio denuncia la « nera ingratitudine » dei Sacerdoti, che si mettono contro il partito, che è stato (dice) per tutta l’Italia la garanzia della libertà religiosa. Il Clero, l’Episcopato, e questa medesima Santa Sede non hanno mai disconosciuto quanto in tutti questi anni è stato fatto con beneficio e vantaggio della Religione; ne hanno anzi spesse volte espresso viva e sincera riconoscenza. Ma e Noi e l’Episcopato e il Clero e tutti i buoni fedeli, anzi tutti i cittadini amanti dell’ordine e della pace si sono messi e si mettono in pena ed in preoccupazione di fronte ai troppo presto incominciati sistematici attentati contro le più sane e preziose libertà della Religione e delle coscienze, quanti furono gli attentati contro l’Azione Cattolica, le sue diverse Associazioni, massime le giovanili, attentati che culminavano nelle poliziesche misure contro di loro consumate e nei modi già accennati: attentati e misure che fanno seriamente dubitare se gli atteggiamenti prima benevoli e benèfici provenissero soltanto da sincero amore e zelo di Religione. Ché se di ingratitudine si vuol parlare, essa fu e rimane quella usata verso la Santa Sede da un partito e da un regime che, a giudizio del mondo intero, trasse dagli amichevoli rapporti con la Santa Sede, in paese e fuori, un aumento di prestigio e di credito, che ad alcuni in Italia ed all’estero parvero eccessivi, come troppo largo il favore e troppo larga la fiducia da parte Nostra. – Consumata la poliziesca misura e consumata con quell’accompagnamento e con quel seguito di violenze, di irriverenze e connivenze delle autorità di pubblica sicurezza, Noi abbiamo sospeso, come l’invio di un Nostro Cardinale Legato alle centenarie celebrazioni di Padova, così le festive processioni in Roma ed in Italia. La disposizione era di Nostra evidente competenza, e ne vedevamo così gravi ed urgenti i motivi da farcene un dovere, per quanto sapessimo di imporre con essa gravi sacrifici ai buoni fedeli, forse più che ad ogni altro a Noi stessi incresciosa. Come infatti avrebbero avuto l’usato corso liete e festive solennità in tanto lutto e cordoglio che era piombato sul cuore del Padre comune di tutti i fedeli, e sul materno cuore della Santa Madre Chiesa in Roma, in Italia, anzi in tutto il mondo cattolico, come la universale e veramente mondiale partecipazione con voi alla testa, Venerabili Fratelli, venne subito a dimostrare? O come potevamo non temere per il rispetto e l’incolumità stessa delle persone e delle cose più sacre, dato il contegno delle pubbliche autorità e forze in presenza di tante irriverenze e violenze? – Dovunque le Nostre disposizioni poterono arrivare, i buoni sacerdoti ed i buoni fedeli ebbero le stesse impressioni e gli stessi sentimenti, e dove non furono intimiditi, minacciati e peggio, ne diedero magnifiche e per Noi consolantissime prove sostituendo le festive celebrazioni con ore di preghiere, di adorazione e di riparazione, in unione di pena e di intenzione col Santo Padre, e con non più veduti concorsi di popolo. – Sappiamo come le cose si svolsero dove le Nostre disposizioni non poterono arrivare in tempo, con intervento di autorità che il messaggio rileva, quelle stesse autorità di governo e di partito che già avevano o tra poco avrebbero assistito mute e inoperose al compimento di gesta prettamente anticattoliche e antireligiose; ciò che il messaggio non dice. Dice invece che vi furono autorità ecclesiastiche locali che si credettero in grado « di non prendere atto » del Nostro divieto. Noi non conosciamo una sola autorità ecclesiastica locale che siasi meritato l’affronto e l’offesa contenuta in tali parole. Sappiamo bensì e vivamente deploriamo le imposizioni, spesso minacciose e violente, fatte e lasciate fare alle locali autorità ecclesiastiche; sappiamo di empie parodie di cantici sacri e di sacri cortei, il tutto lasciato fare con profondo cordoglio di tutti i buoni fedeli e con vero sgomento di tutti i cittadini amanti di pace e di ordine, vedendo l’una e l’altro indifesi e peggio, proprio da quelli che di difenderli hanno e gravissimo dovere e insieme vitale interesse. – Il messaggio richiama il tante volte addotto confronto fra l’Italia ed altri Stati, nei quali la Chiesa è realmente perseguitata e contro i quali non si sono sentite parole come quelle pronunciate contro l’Italia, dove (dice) la Religione è stata restaurata. Abbiamo già detto che serbiamo e serberemo e memoria e riconoscenza perenne per quanto venne fatto in Italia con beneficio della Religione, anche se con contemporaneo non minore, e forse maggiore, beneficio del partito e del regime. Abbiamo pur detto e ripetuto che non è necessario (spesso sarebbe assai nocivo agli scopi intesi) che sia da tutti sentito e saputo quello che Noi e questa Santa Sede, per mezzo dei Nostri rappresentanti, dei Nostri Fratelli di Episcopato, veniamo dicendo e rimostrando dovunque gli interessi della Religione lo richiedono, e nella misura che giudichiamo richiedersi, massime dove la Chiesa è realmente perseguitata. – È con dolore indicibile che vedemmo una vera e reale persecuzione scatenarsi in questa Nostra Italia ed in questa Nostra medesima Roma contro quello che la Chiesa ed il suo Capo hanno di più prezioso e più caro in fatto di libertà e diritti, libertà e diritti che sono pure quelli delle anime, e più particolarmente delle anime giovanili, a loro più particolarmente affidate dal divino Creatore e Redentore. – Come è notorio, Noi abbiamo ripetutamente e solennemente affermato e protestato che l’Azione Cattolica, sia per la sua stessa natura ed essenza (partecipazione e collaborazione del laicato all’apostolato gerarchico) che per le Nostre precise e categoriche direttive e disposizioni, è al di fuori e al di sopra di ogni politica di partito. Abbiamo insieme affermato e protestato che Ci constava le Nostre direttive e disposizioni essere state in Italia fedelmente ubbidite e secondate. Il messaggio sentenzia che l’affermazione che l’Azione Cattolica non ebbe un vero carattere politico è completamente falsa. Non vogliamo rilevare tutto quello che vi è di irriguardoso in tale sentenza, anche perché la motivazione che il messaggio ne dà, ne dimostra tutta la falsità e la leggerezza, che diremmo davvero ridicola, se il caso non fosse tanto lacrimevole. – Aveva in realtà, dice, stendardi, distintivi, tessere e tutte le altre forme esteriori di un partito politico. Come se stendardi, distintivi, tessere e simili forme esteriori non siano oggigiorno comuni, in tutti i paesi del mondo, alle più svariate associazioni e attività che nulla hanno e vogliono avere di comune colla politica: sportive e professionali, civili e militari, commerciali e industriali, scolastiche di prima fanciullezza, religiose della religiosità più pia e devota e quasi infantile, come i Crociatini del Sacramento. – Il messaggio ha sentito tutta la debolezza e la vanità dell’addotto motivo, e quasi correndo ai ripari ne soggiunge altri tre.  Il primo vuol essere, che i capi dell’Azione Cattolica erano quasi completamente membri oppure capi del partito popolare, il quale è stato (dice) uno dei più forti avversari del fascismo. Questa accusa è stata più di una volta lanciata contro l’Azione Cattolica Italiana, ma sempre genericamente e senza far nomi. Ogni volta Noi abbiamo invitato a precisare e nominare, ma invano. Solo poco prima delle misure inflitte all’Azione Cattolica ed in evidente preparazione alle stesse, la stampa avversa, con non meno evidente ricorso a rapporti di polizia, ha pubblicato alcune serie di fatti e di nomi; e ciò son le pretese rivelazioni alle quali accenna il messaggio nel suo inizio, e che l’Osservatore Romano ha debitamente smentite e rettificate, non già confermate, come, traendo in inganno il gran pubblico, il messaggio stesso afferma.  Quanto a Noi, Venerabili Fratelli, alle informazioni già da tempo raccolte ed alle indagini personali già prima fatte, abbiamo stimato dover Nostro di procurarCi nuove informazioni e nuove indagini fare, ed eccone, Venerabili Fratelli, i positivi risultati. Innanzi tutto abbiamo constatato che, stante ancora il partito popolare e non ancora affermatosi il nuovo partito, per disposizioni emanate nel 1919, chi avesse occupato cariche direttive nel partito popolare non poteva occupare contemporaneamente uffici direttivi nella Azione Cattolica. – Abbiamo inoltre constatato, Venerabili Fratelli, che i casi di ex-dirigenti locali laici del partito popolare divenuti poi dirigenti locali della Azione Cattolica, tra quelli segnalati, come sopra abbiam detto, dalla stampa avversa, si riducono a quattro, diciamo quattro, e questo così esiguo numero con 250 Giunte diocesane, 4000 Sezioni di uomini cattolici, e oltre 5000 Circoli di Gioventù Cattolica maschile. E dobbiamo aggiungere che nei quattro detti casi si tratta sempre di individui che non dettero mai luogo a difficoltà; alcuni poi addirittura simpatizzanti e benevisi al regime ed al partito. – E non vogliamo omettere quell’altra garanzia di religiosità apolitica della Azione Cattolica che voi bene conoscete, Venerabili Fratelli, Vescovi in Italia, che stette, sta e starà sempre nella dipendenza della Azione Cattolica dall’Episcopato, da voi, dai quali sempre proveniva l’assegnazione dei sacerdoti « assistenti », e la nomina dei « presidenti delle Giunte diocesane »; onde chiaro è che, rimettendo e raccomandando a Voi, Venerabili Fratelli, le Associazioni colpite, nulla di sostanzialmente nuovo abbiamo ordinato e disposto. Disciolto e cessato il partito popolare, quelli che già appartenevano alla Azione Cattolica continuarono ad appartenervi, sottomettendosi però con perfetta disciplina alla legge fondamentale della Azione Cattolica, cioè astenendosi da ogni attività politica, e così fecero quelli che allora chiesero di appartenervi. – I quali tutti con quale giustizia e carità si sarebbero espulsi o non ammessi, quando, forniti delle qualità richieste, si sottomettevano a quella legge? Il regime ed il partito, che sembrano attribuire una così temibile e temuta forza agli appartenenti al partito popolare sul terreno politico, dovevano mostrarsi grati alla Azione Cattolica, che appunto da quel terreno li ha levati e con formale impegno di non spiegare azione politica, ma soltanto religiosa. – Non possiamo invece Noi, Chiesa, Religione, fedeli Cattolici (e non soltanto noi) essere grati a chi dopo aver messo fuori socialismo e massoneria, nemici nostri (e non nostri soltanto) dichiarati, li ha così largamente riammessi, come tutti vedono e deplorano, e fatti tanto più forti e pericolosi e nocivi quanto più dissimulati e insieme favoriti dalla nuova divisa. – Di infrazioni al preso impegno Ci si è non rare volte parlato; abbiamo sempre chiesto nomi e fatti concreti, sempre pronti a intervenire e provvedere; non si è mai risposto a tale Nostra domanda. – Il messaggio denuncia che una parte considerevole di atti di carattere organizzativo era particolarmente di natura politica e che aveva niente a fare con « l’educazione religiosa e la propagazione della fede ». A parte la maniera imperita e confusa onde sembrano accennarsi i compiti della Azione Cattolica, tutti quelli che conoscono e vivono la vita d’oggi sanno che non vi è iniziativa e attività — dalle più spirituali e scientifiche fino alle più materiali e meccaniche — che non abbia bisogno di organizzazione e di atti organizzativi, e che questi come quella non si identificano con le finalità delle diverse iniziative ed attività, ma non sono che mezzi per meglio raggiungere i fini che ciascuna si propone. – Però (continua il messaggio) l’argomento più forte che può essere adoperato come una giustificazione della distruzione dei circoli cattolici dei giovani è la difesa dello Stato, la quale è più di un semplice dovere di qualunque governo. Nessun dubbio sulla solennità e sulla importanza vitale di un tal dovere e di un tal diritto, aggiungiamo Noi, perché riteniamo e vogliamo ad ogni costo praticare, con tutti gli onesti e sensati, che il primo diritto è quello di fare il proprio dovere. Ma tutti i ricevitori e lettori del messaggio avrebbero sorriso di incredulità o fatte le alte meraviglie, se il messaggio avesse aggiunto che dei Circoli Cattolici giovanili colpiti 10.000 erano, anzi sono, di gioventù femminile, con un totale di quasi 500.000 giovani donne e fanciulle, dove, chi può vedere un serio pericolo e una minaccia reale per la sicurezza dello Stato? E devesi considerare che solo 220.000 sono iscritte « effettive », più di 100.000 piccole « aspiranti », più di 150.000 ancora più piccole « Beniamine ». – Restano i circoli di gioventù cattolica maschile, quella stessa Gioventù Cattolica che nelle pubblicazioni giovanili del partito e nei discorsi e nelle circolari dei così detti gerarchi sono rappresentati ed indicati al vilipendio ed allo scherno (con qual senso di responsabilità pedagogica, per dir solo di questa, ognun lo vede) come una accozzaglia di conigli e di buoni soltanto a portar candele e recitar rosari nelle sacre processioni, e che forse per questo sono stati in questi ultimi tempi tante volte e con così poco nobile coraggio assaliti e maltrattati fino al sangue, lasciati indifesi da chi poteva e doveva proteggerli e difenderli, se non altro perché inermi e pacifici assaliti da violenti e spesso armati. – Se qui sta l’argomento più forte della attentata « distruzione » (la parola non lascia davvero dubbi sulle intenzioni) delle nostre care ed eroiche associazioni giovanili di Azione Cattolica, voi vedete, Venerabili Fratelli, che Noi potremmo e dovremmo rallegrarCi, tanto chiaramente appare l’argomento di per se stesso incredibile ed insussistente. Ma purtroppo dobbiamo ripetere, che « mentita est iniquitas sibi » [5], e che l’« argomento più forte » della voluta « distruzione » va cercato su altro terreno: la battaglia che ora si combatte non è politica, ma morale e religiosa: squisitamente morale e religiosa. – Bisogna chiudere gli occhi a questa verità e vedere, anzi inventare politica dove non è che Religione e Morale per conchiudere, come fa il messaggio, che si era creata la situazione assurda di una forte organizzazione agli ordini di un potere « estero », il « Vaticano », cosa che nessun governo di questo mondo avrebbe permesso. – Si sono sequestrati in massa i documenti in tutte le sedi della Azione Cattolica Italiana, si continua (anche questo si fa) a intercettare e sequestrare ogni corrispondenza che possa sospettarsi in qualche rapporto colle Associazioni colpite, anzi anche con quelle non colpite: gli oratorii. — Si dica dunque a Noi, al Paese, al mondo, quali e quanti sono i documenti della politica, agitata e tramata dalla Azione Cattolica con pericolo dello Stato. Osiamo dire che non se ne troveranno, a meno di leggere e interpretare secondo idee preconcette, ingiuste e in pieno contrasto coi fatti e con l’evidenza di senza numero prove e testimonianze. Quando se ne trovino di genuini e degni di considerazione, saremo Noi i primi a riconoscerli e a tenerne conto. Ma chi vorrà, per esempio, incriminare di politica, e politica pericolosa allo Stato, qualche segnalazione e deplorazione degli odiosi trattamenti già anche prima degli ultimi fatti, tante volte e in tanti luoghi inflitti alla Azione Cattolica? O chi fondarsi sopra dichiarazioni imposte od estorte, come Ci consta essere in qualche luogo avvenuto? – Invece, proprio senza numero si troveranno tra i sequestrati documenti le prove e le testimonianze della profonda e costante religiosità e religiosa attività come di tutta l’Azione Cattolica così particolarmente delle Associazioni giovanili ed universitarie. Basterà saper leggere ed apprezzare, come Noi stessi abbiamo innumerevoli volte fatto, i programmi, i resoconti, i verbali di congressi, di settimane di studi religiosi e di preghiera, di ritiri spirituali, di praticata e promossa frequenza ai Sacramenti, di conferenze apologetiche, di studi ed attività catechistiche, di cooperazione ad iniziative di vera e pura carità cristiana nelle Conferenze di San Vincenzo ed in altri modi, di attività e cooperazione missionaria.  – È in presenza di tali fatti e di tale documentazione, dunque coll’occhio e la mano sulla realtà, che Noi abbiamo sempre detto ed ancora diciamo che accusare l’Azione Cattolica Italiana di fare della politica era ed è vero e proprio calunniare. I fatti hanno dimostrato a che cosa con questo si mirasse, che cosa si preparasse: rare volte si è in così grandi proporzioni avverata la favola del lupo e dell’agnello, e la storia non potrà non ricordarsene. – Noi, certi fino alla evidenza, di essere e di mantenerci sul terreno religioso, non abbiamo mai creduto che potessimo essere considerati come un « potere estero », massime da Cattolici e da Cattolici italiani. – È in grazia della potestà apostolica a Noi indegnissimi da Dio affidata, che i buoni Cattolici di tutto il mondo (voi lo sapete molto bene, Venerabili Fratelli) considerano Roma come la seconda patria di tutti e di ciascuno di loro. Non è ancora troppo lontano il giorno nel quale un uomo di Stato, che rimarrà certamente fra i più celebri, non cattolico né amico del Cattolicesimo, in piena assemblea politica disse che non poteva considerare come un potere estero quello al quale ubbidivano venti milioni di tedeschi.  Per dire poi che nessun governo del mondo avrebbe lasciato sussistere la situazione creata in Italia dalla Azione Cattolica, bisogna assolutamente ignorare o dimenticare che in tutti gli Stati del mondo, fino alla Cina, sussiste e vive ed opera la Azione Cattolica, bene spesso imitante nell’assieme e fino ai particolari l’Azione Cattolica Italiana, spesso ancora con forme e particolari organizzativi anche più spiccatamente tali che in Italia. In nessuno Stato del mondo mai l’Azione Cattolica è stata considerata come un pericolo dello Stato; in nessuno Stato del mondo l’Azione Cattolica è stata così odiosamente perseguitata (non vediamo quale altra parola risponda alla realtà e alla verità dei fatti) come in questa Nostra Italia, e in questa medesima Nostra Sede Episcopale Romana: e questa è veramente una situazione assurda, non da Noi sebbene contro di Noi creata. – Ci siamo imposto, Venerabili Fratelli, un grave ed increscioso lavoro; Ci è sembrato un preciso dovere di carità e giustizia paterna, e in questo spirito lo abbiamo compiuto al fine di rimettere nella giusta luce fatti e verità, che alcuni figli Nostri hanno, forse non del tutto consapevolmente, messo in luce falsa a danno di altri figli Nostri.

III

Ed ora una prima riflessione e conclusione: da quanto siamo venuti esponendo e più ancora dagli avvenimenti stessi come si sono svolti, la attività politica della Azione Cattolica, la palese o larvata ostilità di taluni suoi settori contro il regime ed il partito, come anche l’eventuale rifugio e la protezione di residuata e fin qui risparmiata ostilità al partito sotto le bandiere della Azione Cattolica (cfr. Comunicato del Direttorio, 4 Giugno 1931), tutto questo non è che pretesto o un cumulo di pretesti: è un pretesto, osiamo dire, la stessa Azione Cattolica; ciò che si voleva e che si attentò di fare, fu strappare alla Azione Cattolica, e per essa alla Chiesa, la gioventù, tutta la gioventù. Tanto è ciò vero, che dopo aver tanto parlato di Azione Cattolica, si mirò alle Associazioni Giovanili, né si stette alle Associazioni Giovanili di Azione Cattolica, ma si allungò tumultuariamente la mano anche ad associazioni e ad opere di pura pietà e di prima istruzione religiosa, come le Congregazioni di Figlie di Maria e gli Oratorii; tanto tumultuariamente da dover spesso riconoscere il grossolano errore. – Questo punto essenziale è largamente confermato anche d’altronde. È confermato innanzitutto dalle molte antecedenti affermazioni di elementi più o meno responsabili ed anche dagli elementi più rappresentativi del regime e del partito e che ebbero il loro pieno commentario e la definitiva conferma dagli ultimi avvenimenti.

La conferma è stata anche più esplicita e categorica, stavamo per dire solenne insieme e violenta, da parte di chi non solo tutto rappresenta, ma tutto può, in pubblicazione ufficiale o quasi, dedicata alla gioventù, in colloqui destinati alla pubblicità, alla pubblicità estera prima ancora che a quella del paese, ed anche all’ultima ora in messaggi ed in comunicazioni a rappresentanti della stampa.- Un’altra riflessione e conclusione subito ed inevitabilmente si impone. Non si è dunque tenuto nessun conto delle ripetute assicurazioni e proteste Nostre, non si è tenuto conto alcuno delle proteste ed assicurazioni vostre, Venerabili Fratelli Vescovi d’Italia, sulla natura e sulla attività vera e reale dell’Azione Cattolica e sui diritti sacrosanti ed inviolabili delle anime e della Chiesa in essa rappresentati e impersonati. – Diciamo, Venerabili Fratelli, i sacrosanti ed inviolabili diritti delle anime e della Chiesa, ed è questa la riflessione e conclusione che più di ogni altra si impone, come è di ogni altra la più grave. Già più e più volte, come è notorio, Noi abbiamo espresso il pensiero Nostro, o meglio, della Chiesa Santa su così importanti ed essenziali argomenti, e non è a voi, Venerabili Fratelli, fedeli maestri in Israele, che occorra dire di più; ma non possiamo non aggiungere qualche cosa per questi cari popoli che stanno intorno a voi, che voi pascete e governate per divino mandato e che ormai quasi solo per mezzo vostro possono conoscere il pensiero del Padre comune delle anime loro. – Dicevamo i sacrosanti ed inviolabili diritti delle anime e della Chiesa. Si tratta del diritto delle anime di procurarsi, il maggior bene spirituale sotto il magistero e l’opera formatrice della Chiesa, di tale magistero e di tale opera unica mandataria, divinamente costituita in quest’ordine soprannaturale fondato nel Sangue di Dio Redentore, necessario ed obbligatorio a tutti per partecipare alla divina Redenzione. Si tratta del diritto delle anime così formate di partecipare i tesori della Redenzione ad altre anime collaborando alla attività dell’Apostolato Gerarchico. – È in considerazione di questo duplice diritto delle anime, che Ci dicevamo testé lieti e fieri di combattere la buona battaglia per la libertà delle coscienze, non già (come qualcuno forse inavvertitamente Ci ha fatto dire) per la libertà di coscienza, maniera di dire equivoca e troppo spesso abusata a significare la assoluta indipendenza della coscienza, cosa assurda in anima da Dio creata e redenta. – Si tratta inoltre del diritto non meno inviolabile della Chiesa di adempiere l’imperativo divino Mandato, di cui la investiva il divino Fondatore, di portare alle anime, a tutte le anime, tutti i tesori di verità e di bene, dottrinali e pratici, ch’Egli stesso aveva recato al mondo. « Euntes docete omnes gentes… docentes eos servare omnia quæcumque mandavi vobis » Andate ed istruite tutte le genti, insegnando loro ad osservare tutto quello che vi ho commesso [6]. E qual posto dovessero tenere la prima età e la giovinezza in questa assoluta universalità e totalità di mandato, lo mostra Egli stesso il divino Maestro, Creatore e Redentore delle anime, col suo esempio e con quelle parole particolarmente memorabili ed anche particolarmente formidabili: « Lasciate che i pargoli vengano a me e non vogliate impedirmeli »… «Questi piccoli che (quasi per un divino istinto) credono in Me; ai quali è riserbato il regno dei cieli; dei quali gli Angeli tutelari e difensori vedono sempre la faccia del Padre celeste; guai all’uomo che avrà scandalizzato uno di questi piccoli ». « Sinite parvulos venire ad me et nolite prohibere eos… qui in me credunt… istorum est enim regnum caelorum; quorum Angeli semper vident faciem Patris qui in cælis est; Væ! homini illi per quem unus ex pusillis istis scandalizatus fuerit » [7]. Or eccoci in presenza di tutto un insieme di autentiche affermazioni e di fatti non meno autentici, che mettono fuori di ogni dubbio il proposito — già in tanta parte eseguito — di monopolizzare interamente la gioventù, dalla primissima fanciullezza fino all’età adulta, a tutto ed esclusivo vantaggio di un partito, di un regime, sulla base di una ideologia che dichiaratamente si risolve in una vera e propria statolatria pagana non meno in pieno contrasto coi diritti naturali della famiglia che coi diritti soprannaturali della Chiesa. Proporsi e promuovere un tale monopolio, perseguitare in tale intento, come si veniva facendo da qualche tempo più o meno palesemente o copertamente, l’Azione Cattolica; colpire a tale scopo, come ultimamente si è fatto, le sue Associazioni giovanili equivale ad un vero e proprio impedire che la gioventù vada a Gesù Cristo, dacché è impedire che vada alla Chiesa, perché dov’è la Chiesa ivi è Gesù Cristo. E si arrivò fino a strapparla, con gesto violento dal seno dell’una e dell’Altro. – La Chiesa di Gesù Cristo non ha mai contestato i diritti e i doveri dello Stato circa l’educazione dei cittadini e Noi stessi li abbiamo ricordati e proclamati nella recente Nostra Lettera Enciclica sulla educazione cristiana della gioventù; diritti e doveri incontestabili finché rimangono nei confini delle competenze proprie dello Stato; competenze che sono alla loro volta chiaramente fissate dalle finalità dello Stato; finalità certamente non soltanto corporee e materiali, ma di per se stesse necessariamente contenute nei limiti del naturale, del terreno, del temporaneo. Il divino universale Mandato, del quale la Chiesa di Gesù Cristo è stata da Gesù Cristo stesso incomunicabilmente ed insurrogabilmente investita, si estende invece all’eterno, al celeste, al soprannaturale, quest’ordine di cose il quale da una parte è strettamente obbligatorio per ogni creatura consapevole, ed al quale dall’altra parte deve di natura sua subordinarsi e coordinarsi tutto il rimanente. – La Chiesa di Gesù Cristo è certamente nei termini del suo mandato, non solo quando depone nelle anime i primi indispensabili princìpi ed elementi della vita soprannaturale, ma anche quando questa vita promuove e sviluppa secondo le opportunità e le capacità, e coi modi e mezzi da lei giudicati idonei, anche nell’intento di preparare illuminate e valide cooperazioni all’apostolato gerarchico. È di Gesù Cristo la solenne dichiarazione che Egli è venuto precisamente al fine che le anime abbiano non soltanto qualche inizio od elemento della vita soprannaturale, ma affinché l’abbiano nella maggiore abbondanza: « Ego veni ut vitam habeant et abundantius habeant » [8]. E Gesù stesso ha posto i primi inizi dell’Azione Cattolica, Egli stesso scegliendo ed educando negli Apostoli e nei discepoli i collaboratori del suo divino apostolato, esempio immediatamente imitato dai primi santi Apostoli, come il sacro testo ne fa fede. – È per conseguenza pretesa ingiustificabile ed inconciliabile col nome e colla professione di Cattolici quella di semplici fedeli che vengono ad insegnare alla Chiesa ed al suo Capo ciò che basta e che deve bastare per la educazione e formazione cristiana dello anime e per salvare, promuovere nella società, principalmente nella gioventù, i princìpi della Fede e la loro piena efficienza nella vita. – Alla ingiustificabile pretesa si associa la chiarissima rivelazione della assoluta incompetenza e della completa ignoranza delle materie in questione. Gli ultimi avvenimenti devono aver aperto a tutti gli occhi, mentre hanno dimostrato fino all’evidenza quello che in pochi anni si è venuto, non già salvando, ma disfacendo e distruggendo in fatto di religiosità vera, di educazione cristiana e civile. Voi sapete, Venerabili Fratelli, Vescovi d’Italia, per vostra esperienza pastorale che gravissimo ed esiziale errore sia il credere e far credere che l’opera della Chiesa svolta nell’Azione Cattolica sia surrogata e resa superflua dall’istruzione religiosa nelle scuole e dalla ecclesiastica assistenza alle associazioni giovanili del partito e del regime. L’una e l’altra sono certissimamente necessarie; senza di esse la scuola e le dette associazioni diventerebbero inevitabilmente e ben presto, per fatale necessità logica e psicologica, cose pagane. Necessarie adunque, ma non sufficienti: infatti con quella istruzione religiosa e con quella assistenza ecclesiastica la Chiesa di Gesù Cristo non può esplicare che un minimum della sua efficienza spirituale e soprannaturale, e questo in un terreno e in un ambiente non da essa dipendenti, preoccupati da molte altre materie di insegnamento e da tutt’altri esercizi, soggetti ad immediate autorità spesso poco o punto favorevoli e non rare volte esercitanti contrarie influenze con la parola e con l’esempio della vita. – Dicevamo che gli ultimi avvenimenti hanno finito di mostrare senza lasciare possibilità di dubbio quello che in pochi anni si è potuto non già salvare, ma perdere e distruggere in fatto di religiosità vera e di educazione, non diciamo cristiana, ma anche solo morale e civile.

Abbiamo infatti vista in azione una religiosità che si ribella alle disposizioni della superiore Autorità Religiosa e ne impone o ne incoraggia la inosservanza; una religiosità che diventa persecuzione e tentata distruzione di quello che il Supremo Capo della Religione notoriamente più apprezza ed ha a cuore; una religiosità che trascende e lascia trascendere ad insulti di parola e di fatto contro la Persona del Padre di tutti i fedeli fino a gridarlo abbasso ed a morte; veri imparaticci di parricidio. Simigliante religiosità non può in nessun modo conciliarsi con la dottrina e con la pratica cattolica, ma è piuttosto quanto può pensarsi di più contrario all’una ed all’altra. – La contrarietà è più grave in se stessa e più esiziale nei suoi effetti, quando non è soltanto quella di fatti esteriormente perpetrati e consumati, ma anche quella di princìpi e di massime proclamate come programmatiche e fondamentali. – Una concezione dello Stato che gli fa appartenere le giovani generazioni interamente e senza eccezione dalla prima età fino all’età adulta, non è conciliabile per un cattolico colla dottrina cattolica, e neanche è conciliabile col diritto naturale della famiglia. Non è per un Cattolico conciliabile con la Cattolica Dottrina pretendere che la Chiesa, il Papa, devono limitarsi alle pratiche esterne di religione (Messa e Sacramenti), e che il resto della educazione appartiene totalmente allo Stato.  – Le erronee e false dottrine e massime che siamo venuti fin qua segnalando e deplorando, già più volte Ci si presentarono nel corso di questi ultimi anni, e, come è notorio, non siamo mai, coll’aiuto di Dio, venuti meno al Nostro apostolico dovere di rilevarle e di contrapporvi i giusti richiami alle genuine dottrine cattoliche ed agli inviolabili diritti della Chiesa di Gesù Cristo e delle anime nel Suo divino sangue redente. – Ma, nonostante i giudizi e le aspettative e le suggestioni che da diverse parti anche molto ragguardevoli a Noi pervenivano, Ci siamo sempre trattenuti da formali ed esplicite condanne, anzi siamo andati fino a credere possibili e favorire da parte Nostra compatibilità e cooperazioni che ad altri sembrarono inammissibili. Così abbiamo fatto perché pensavamo e piuttosto desideravamo che rimanesse la possibilità di almeno dubitare che avessimo a fare con affermazioni ed azioni esagerate, sporadiche, di elementi non abbastanza rappresentativi, insomma ad affermazioni ed azioni risalenti, nelle parti censurabili, piuttosto alle persone ed alle circostanze che veramente e propriamente programmatiche. – Gli ultimi avvenimenti e le affermazioni che li prepararono, li accompagnarono e li commentarono Ci tolgono la desiderata possibilità, e dobbiamo dire, diciamo che non si è cattolici se non per il battesimo e per il nome — in contraddizione con le esigenze del nome e con gli stessi impegni battesimali — adottando e svolgendo un programma che fa sue dottrine e massime tanto contrarie ai diritti della Chiesa di Gesù Cristo e delle anime, che misconosce, combatte e perseguita l’Azione Cattolica, che è dire quanto la Chiesa ed il suo Capo hanno notoriamente di più caro e prezioso. A questo punto Voi Ci richiedete, Venerabili Fratelli, che rimane a pensare ed a giudicare, alla luce di quanto precede, circa una formula di giuramento che anche a fanciulli e fanciulle impone di eseguire senza discutere ordini che, l’abbiamo veduto e vissuto, possono comandare contro ogni verità e giustizia la manomissione dei diritti della Chiesa e delle anime, già per se stessi sacri ed inviolabili; e di servire con tutte le forze, fino al sangue, la causa di una rivoluzione che strappa alla Chiesa ed a Gesù Cristo la gioventù, e che educa le sue giovani forze all’odio, alla violenza, alla irriverenza, non esclusa la persona stessa del Papa, come gli ultimi fatti hanno più compiutamente dimostrato. – Quando la domanda deve porsi in tali termini, la risposta dal punto di vista cattolico, ed anche puramente umano, è inevitabilmente una sola, e Noi, Venerabili Fratelli, non facciamo che confermare la risposta che già vi siete data: un tale giuramento, così come sta, non è lecito.

IV.

Ed eccoci alle Nostre preoccupazioni, gravissime preoccupazioni, che, lo sentiamo, sono anche le vostre, Venerabili Fratelli, di voi specialmente, Vescovi d’Italia. Ci preoccupiamo subito innanzi tutto dei tanti e tanti figli Nostri, anche giovanetti e giovanette, iscritti e tesserati con quel giuramento. Commiseriamo profondamente le tante coscienze tormentate da dubbi (tormenti e dubbi di cui arrivano a Noi certissime testimonianze) appunto in grazia di quel giuramento, com’è concepito, specialmente dopo i fatti avvenuti. – Conoscendo le difficoltà molteplici dell’ora presente e sapendo come tessera e giuramento sono per moltissimi condizione per la carriera, per il pane, per la vita, abbiamo cercato mezzo che ridoni tranquillità alle coscienze riducendo al minimo possibile le difficoltà esteriori. E Ci sembra potrebbe essere tal mezzo per i già tesserati fare essi davanti a Dio ed alla propria coscienza la riserva: « salve le leggi di Dio e della Chiesa » oppure « salvi i doveri di buon Cristiano », col fermo proposito di dichiarare anche esternamente una tale riserva, quando ne venisse il bisogno. – Là poi donde partono le disposizioni e gli ordini vorremmo arrivasse la Nostra preghiera, la preghiera di un Padre che vuole provvedere alle coscienze di tanti suoi figli in Gesù Cristo; che cioè la medesima riserva sia introdotta nella forma del giuramento, quando non si voglia far meglio, molto meglio, e cioè omettere il giuramento, che è per sé un atto di religione, e non è certamente al posto che più gli conviene in una tessera di partito. – Abbiamo procurato di parlare come con calma e serenità, così con tutta chiarezza; pur non possiamo non preoccuparCi di essere bene intesi, non diciamo da voi, Venerabili Fratelli, sempre ed ora più che mai a Noi così uniti di pensieri e di sentimenti, ma da tutti quanti. E per questo aggiungiamo che con tutto quello che siamo venuti finora dicendo Noi non abbiamo voluto condannare il partito ed il regime come tale. – Abbiamo inteso segnalare e condannare quanto nel programma e nell’azione di essi abbiamo veduto e constatato contrario alla dottrina ed alla pratica cattolica, e quindi inconciliabile col nome e con la professione di cattolici. E con questo abbiamo adempiuto un preciso dovere dell’Apostolico Ministero verso tutti i figli Nostri che al partito appartengono, perché possano provvedere alla propria coscienza di Cattolici. – Crediamo poi di avere contemporaneamente fatto buona opera al partito stesso ed al regime. Perché quale interesse ed utilità possono essi avere mantenendo in programma, in un paese cattolico come l’Italia, idee, massime e pratiche inconciliabili con la coscienza cattolica? La coscienza dei popoli, come quella degli individui, finisce sempre per ritornare sopra se stessa e ricercare le vie per un momento più o meno lungo perdute di vista o abbandonate. – Né si dica che l’Italia è cattolica, ma anticlericale, intendiamo anche solo in una misura degna di particolari riguardi. Voi, Venerabili Fratelli, che nelle grandi e piccole diocesi d’Italia vivete in continuo contatto con le buone popolazioni di tutto il Paese, voi sapete e vedete ogni giorno come esse, non sobillate né fuorviate, siano aliene da ogni anticlericalismo. È noto a quanti conoscono un poco intimamente la storia del Paese, che l’anticlericalismo ha avuto in Italia l’importanza e la forza che gli conferirono la massoneria e il liberalismo che lo generavano. Ai nostri giorni poi il concorde entusiasmo che unì e trasportò come non mai tutto il Paese ai giorni delle Convenzioni Laterane non gli avrebbe lasciato modo di riaffermarsi, se non lo si fosse evocato ed incoraggiato all’indomani delle Convenzioni stesse. Negli ultimi avvenimenti, poi, disposizioni ed ordini lo hanno fatto entrare in azione e lo hanno fatto cessare, come tutti hanno potuto vedere e constatare. È pertanto fuor di dubbio che sarebbe bastata e basterà sempre a tenerlo al posto dovuto, la centesima e millesima parte delle misure lungamente inflitte all’Azione Cattolica e testé culminate in quello che ormai tutto il mondo sa.- Altre e ben gravi preoccupazioni Ci ispira il prossimo avvenire. Si è protestato, e ciò in sede quant’altra mai ufficiale e solenne, e subito dopo gli ultimi per Noi e per i Cattolici di tutta l’Italia e di tutto il mondo dolorosissimi fatti a danno dell’Azione Cattolica: « rispetto immutato verso la Religione Cattolica, il suo Sommo Capo » ecc. Rispetto « immutato »: dunque quello stesso rispetto, senza mutazione, che abbiamo sperimentato; dunque quel rispetto che si esprimeva in altrettanto vaste che odiose misure poliziesche, preparate in alto silenzio come non amica sorpresa, e fulmineamente applicate proprio alla vigilia del Nostro genetliaco, occasione di tante gentilezze e bontà da parte del mondo cattolico, ed anche non cattolico; dunque quello stesso rispetto che trascendeva a violenze e irriverenze lasciate indisturbatamente perpetrarsi. Che cosa possiamo dunque sperare; o meglio che cosa non dobbiamo aspettarCi? Non è mancato chi si domandava, se a così strana maniera di parlare, di scrivere, in tali circostanze, in tanta vicinanza di tali fatti, sia stata del tutto aliena l’ironia, una ben triste ironia, che da parte Nostra amiamo escludere affatto. – Nel medesimo contesto ed in immediato rapporto con l’« immutato rispetto » (dunque coi medesimi indirizzi) si insinuavano « rifugi e protezioni » concesse a residui oppositori del partito, e si « ordinava ai dirigenti dei novemila fasci d’Italia » di ispirare la loro azione a queste direttive. Più d’uno di voi, Venerabili Fratelli, Vescovi d’Italia, ha già sperimentato, dandocene anche dolenti notizie, l’effetto di tali insinuazioni e di tali ordini, in una ripresa di odiose sorveglianze, di delazioni, di intimidazioni e vessazioni. Che cosa Ci prepara dunque l’avvenire? Che cosa non possiamo e dobbiamo aspettarCi (non diciamo temere, perché il timore di Dio espelle quello degli uomini), se, come abbiamo motivi a credere, il proposito è di non permettere che i Nostri Giovani Cattolici si adunino neppure silenziosamente, minacciate aspre pene ai dirigenti? Che cosa dunque, di nuovo Ci domandiamo, Ci prepara o minaccia l’avvenire?

V.

È proprio a questo estremo di dubbi e di previsioni al quale gli uomini Ci hanno ridotti, che ogni preoccupazione, Venerabili Fratelli, svanisce, scompare, e il Nostro spirito si apre alle più fiduciose consolanti speranze; perché l’avvenire è nelle mani di Dio, e Dio è con noi, e … « si Deus nobiscum, quis contra nos? » [9].  Un segno ed una prova sensibile dell’assistenza e del favore divino Noi già la vediamo e gustiamo nella vostra assistenza e cooperazione, Venerabili Fratelli. Se siamo bene informati, si è detto recentemente che ora l’Azione Cattolica è in mano dei Vescovi e non vi è più nulla a temere. E fin qui sta bene, molto bene, salvo quel « più nulla », come se prima qualche cosa si avesse a temere, e salvo quell’« ora », come se prima e fin dal principio l’Azione Cattolica non sia sempre stata essenzialmente diocesana e dipendente dai Vescovi (come anche sopra abbiamo accennato) ed anche per questo, principalmente per questo, abbiamo sempre nutrito la più certa fiducia che le Nostre direttive erano seguite e secondate. Per questo, dopo che per il promesso, immanchevole aiuto divino, Noi rimaniamo e rimarremo nella più fiduciosa tranquillità, anche se la tribolazione — diciamo la parola esatta, la persecuzione — dovrà continuare e intensificarsi. Noi sappiamo che voi siete, e voi sapete di essere, i Nostri Fratelli nell’Episcopato e nell’Apostolato; Noi sappiamo e sapete voi, Venerabili Fratelli, che siete i Successori di quegli Apostoli che San Paolo chiamava con parole di vertiginosa sublimità « gloria Christi » [10]; voi sapete che, non un uomo mortale, sia pure Capo di Stato o di Governo, ma lo Spirito Santo vi ha posto, nelle parti che Pietro assegna, a reggere la Chiesa di Dio. Queste e tante altre sante e sublimi cose che vi riguardano, Venerabili Fratelli, evidentemente ignora o dimentica chi vi pensa e chiama, voi Vescovi d’Italia, « ufficiali dello Stato »; dai quali così chiaramente vi distingue e separa la stessa formula del giuramento che vi occorra prestare al Monarca, mentre dice e premette espressamente: « come si conviene a Vescovo Cattolico ». – Grande poi e veramente smisurato motivo a bene sperare Ci è pure l’immenso coro di preghiere che la Chiesa di Gesù Cristo da tutte le parti del mondo solleva al divino Fondatore ed alla Sua SS. Madre per il suo Capo visibile, il Successore di Pietro, proprio come quando, or sono venti secoli, la persecuzione colpiva di Pietro stesso la persona: preghiere di sacri pastori e di popoli, di cleri e di fedeli, di religiosi e di religiose, di adulti e di giovani, di bambini e di bambine; preghiere nelle forme più squisite ed efficaci di santi sacrifici e comunioni eucaristiche, di supplicazioni, di adorazioni e di riparazioni, di spontanee immolazioni e di sofferenze cristianamente sofferte; preghiere, delle quali in tutti questi giorni e subito dopo i tristi eventi Ci giungeva da ogni parte la eco consolantissima, mai così forte e così consolante come in questo giorno sacro e solenne alla memoria dei Prìncipi degli Apostoli e nel quale disponeva la divina bontà che potessimo por fine a questa Nostra Lettera Enciclica. – Alla preghiera tutto è divinamente promesso: se non sarà il sereno e la tranquillità dell’ordine ristabilito, sarà in tutti la cristiana pazienza, il santo coraggio, la gioia ineffabile di patire qualche cosa con Gesù e per Gesù, con la gioventù e per la gioventù a Lui tanto prediletta, e ciò fino all’ora nascosta nel mistero del Cuore divino, infallibilmente la più opportuna alla causa della verità e del bene. – E poiché da tante preghiere tutto dobbiamo sperare, e poiché tutto è possibile a quel Dio che alla preghiera tutto ha promesso, abbiamo fiduciosa speranza ch’Egli voglia illuminare le menti al vero e volgere le volontà al bene, così che alla Chiesa di Dio, che nulla contende allo Stato di quello che allo Stato compete, si cessi di contendere ciò che a Lei compete, la educazione e formazione cristiana della gioventù, non per umano placito ma per divino mandato, e che pertanto essa deve sempre richiedere e sempre richiederà, con una insistenza ed una intransigenza che non può cessare né flettersi, perché non proviene da placito o calcolo umano o da umane ideologie mutevoli nei diversi tempi e luoghi, ma da divina ed inviolabile disposizione. – E Ci ispira pure fiducia e speranza il bene che indubitabilmente proverrebbe dal riconoscimento di tale verità e di tal diritto. Padre di tutti i redenti, il Vicario di quel Redentore che, dopo aver insegnato e comandato a tutti l’amore dei nemici, moriva perdonando ai suoi crocifissori, non è e non sarà mai nemico di alcuno e così faranno tutti i buoni e veri figli suoi, i cattolici che vogliano serbarsi degni di tanto nome; ma essi non potranno mai condividere, adottare o favorire massime e norme di pensiero e di azione contrarie ai diritti della Chiesa ed al bene delle anime e perciò stesso contrarie ai diritti di Dio. – Quanto preferibile a questa irriducibile divisione delle menti e delle volontà, la pacifica e tranquilla unione dei pensieri e dei sentimenti, che per felice necessità non potrebbe non tradursi in feconda cooperazione di tutti per il vero bene a tutti comune; e ciò col plauso simpatico dei cattolici di tutto il mondo, invece che col loro universale biasimo e malcontento, come ora avviene! Preghiamo il Dio di tutte le misericordie, per la intercessione della sua SS. Madre che testé ci arrideva di plurisecolari splendori, e dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, che Ci conceda a tutti di vedere quello che conviene fare e a tutti dia la forza di eseguirlo. – La Benedizione Nostra Apostolica, auspice e pegno di tutte le Benedizioni divine, discenda sopra di voi, Venerabili Fratelli, sui vostri Cleri, sui vostri popoli, e vi rimanga sempre.

Roma, dal Vaticano, nella Solennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 1931.

PIUS PP. XI 

[1] Is., XXXVIII, 17.

[2] Psalm. XCIII, 19.

[3] Luc., XXII, 28.

[4] I Cor., VII, 4.

[5] Psalm. XXVI, 12.

[6] Matth., XXVIII, 19-20.

[7] Matth., XIX, 13 seqq. XVIII, 1 seqq.

[8] Io., X, 10.

[9] Rom., VIII, 31.

[10] 2 Cor., VIII, 23.

DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE (2020)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Un solo pensiero domina tutta la liturgia di questo giorno: bisogna distruggere in noi il peccato con profondo pentimento e chiedere a Dio di darci la forza per non ricadervi. Il Battesimo ci ha fatto morire al peccato e l’Eucarestia ci dà la forza divina necessaria per perseverare nel cammino della virtù. La Chiesa, ancora tutta compenetrata del ricordo di questi due Sacramenti che ha conferito a Pasqua e a Pentecoste, ama parlarne anche « nel Tempo dopo Pentecoste ».

Le lezioni del 7° Notturno, quali si leggono nel Breviario, raccontano, sotto la forma di apologo, la gravità della colpa commessa da David. Per quanto pio egli fosse, questo grande Re aveva lasciato entrare il peccato nel suo cuore. Volendo sposare una giovane donna di grande bellezza, di nome Bethsabea, aveva ordinato di mandare il marito di lei Uria, nel più forte del combattimento contro gli Ammoniti, affinché restasse ucciso. Così sbarazzatosi in questo modo di lui, sposò Bethsabea che da lui già aveva concepito un figlio. Il Signore mandò il profeta Nathan a dirgli: « Vi erano due uomini nella città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva pecore e buoi in gran numero, il povero non aveva assolutamente nulla fuori di una piccola pecorella, che aveva acquistata e allevata, e che era cresciuta presso di lui insieme con i suoi figli, mangiando il suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno: essa era per lui come una figlia. Ma essendo venuto un forestiero dal ricco, questi, non volendo sacrificare nemmeno una pecora del suo gregge per imbandire un banchetto al suo ospite, rapi’ la pecora del povero e la fece servire a tavola ». David sdegnatosi, esclamò: « Come è vero che il Signore è vivo, questo uomo merita la morte ». Allora Nathan disse: « Quest’uomo sei tu, poiché hai preso la moglie di Uria per farla tua sposa, mentre potevi sceglierti una sposa fra le giovani figlie d’Israele. Pertanto, dice il Signore, io susciterò dalla tua stessa famiglia (Assalonne) una disgrazia contro di te ». David, allora, pentitosi, disse: Nathan: « Ho peccato contro il Signore ». Nathan riprese: « Poiché sei pentito il Signore ti perdona; tu non morrai. Ma ecco il castigo: il figlio che ti è nato, morrà ». Qualche tempo dopo infatti il fanciullo morì. E David umiliato e pentito andò a prostrarsi nella casa del Signore e cantò cantici di penitenza (Com.). « David, questo re cosi grande e potente, dice S. Ambrogio, non può mantenere in sé neppure per breve tempo il peccato che pesa sulla sua coscienza: ma con una pronta confessione, e con immenso rimorso, confessa il suo peccato al Signore. Così il Signore, dinanzi a tanto dolore, gli perdonò. Invece gli uomini, quando i Sacerdoti hanno occasione di rimproverarli, aggravano il loro peccato cercando di negarlo o di scusarlo; e commettono una colpa più grave, proprio là dove avrebbero dovuto rialzarsi. Ma i Santi del Signore, che ardono dal desiderio di continuare il santo combattimento e di terminare santamente la vita, se per caso peccano, più per la fragilità della carne che per deliberazione di peccato, si rialzano più ardenti alla corsa e, stimolati dalla vergogna della caduta la riparano coi più rudi combattimenti; cosicché la loro caduta invece d’essere stata causa di ritardo non ha fatto altro che spronarli e farli avanzare più celermente» (2° Nott.). Da ciò si comprende la scelta dell’Epistola nella quale S. Paolo parla della nostra morte al peccato. Nel Battesimo siamo stati seppelliti con Cristo, la nostra vecchia umanità è stata crocifissa con lui perché noi morissimo al peccato. E come Gesù dopo la risurrezione è uscito dalla tomba, così noi dobbiamo camminare per una nuova via, vivere per Dio in Gesù Cristo (Ep.). E qualora avessimo la disgrazia di ricadere nel peccato, bisogna domandare a Dio la grazia di esserci propizio e di liberarcene (V. dell’Intr., Crad., All., Secr.), ridonandoci la grazia dello Spirito Santo, poiché da Lui parte ogni dono perfetto (Oraz.). Poi bisogna accostarci all’altare (Com.) per ricevervi l’Eucaristia la cui virtù divina ci fortificherà contro i nostri nemici (Postcom.) e ci manterrà nel fervore della pietà (Oraz.), poiché il Signore è la forza del suo popolo che lo condurrà per sempre (Intr.). Per questo la Chiesa ha scelto per Vangelo la narrazione della moltiplicazione dei pani, figura dell’Eucaristia, che è il nostro viatico. La Comunione, identificandosi con la vittima del Calvario, non solamente perfeziona in noi gli effetti del Battesimo, facendoci morire con Gesù al peccato, ma ci fa trovare a santo banchetto la forza che ci è necessaria per non ricadere nel peccato e per « consolidare i nostri passi nei sentieri del Signore » (Offert.). E in questo senso S. Ambrogio, commenta questo Vangelo. Cristo disse: « Io non voglio rimandarli digiuni per paura che essi muoiano per via. Il Signore pieno di bontà sostiene le forze; se qualcuno soccomberà non sarà per causa del Signore Gesù, ma per causa di se stesso. Il Signore pone in noi elementi fortificanti; il suo alimento è la forza, il suo alimento è il vigore. Così, se per vostra negligenza, avete voi perduta la forza che avete ricevuta, non dovete incolpare gli alimenti celesti che non .mancano, ma voi stessi. Infatti Elia, quando stava per soccombere, non camminò per quaranta giorni ancora, avendo ricevuto il cibo da un Angelo? Se voi avete conservato il cibo ricevuto, camminerete per quarant’anni e uscirete dalla terra d’Egitto per giungere alla terra immensa che Dio ha promesso ai nostri Padri.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVII: 8-9 Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum.

[Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Ps XXVII: 1 Ad te, Dómine, clamábo, Deus meus, ne síleas a me: ne quando táceas a me, et assimilábor descendéntibus in lacum.

[O Signore, Te invoco, o mio Dio: non startene muto con me, perché col tuo silenzio io non assomigli a coloro che discendono nella tomba.]

Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum.

[Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Oratio

Orémus.

Deus virtútum, cujus est totum quod est óptimum: ínsere pectóribus nostris amórem tui nóminis, et præsta in nobis religiónis augméntum; ut, quæ sunt bona, nútrias, ac pietátis stúdio, quæ sunt nutríta, custódias.

[O Dio onnipotente, cui appartiene tutto quanto è ottimo: infondi nei nostri cuori l’amore del tuo nome, e accresci in noi la virtú della religione; affinché quanto di buono è in noi Tu lo nutra e, con la pratica della pietà, conservi quanto hai nutrito.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom. VI: 3-11

“Fratres: Quicúmque baptizáti sumus in Christo Jesu, in morte ipsíus baptizáti sumus. Consepúlti enim sumus cum illo per baptísmum in mortem: ut, quómodo Christus surréxit a mórtuis per glóriam Patris, ita et nos in novitáte vitæ ambulémus. Si enim complantáti facti sumus similitúdini mortis ejus: simul et resurrectiónis érimus. Hoc sciéntes, quia vetus homo noster simul crucifíxus est: ut destruátur corpus peccáti, et ultra non serviámus peccáto. Qui enim mórtuus est, justificátus est a peccáto. Si autem mórtui sumus cum Christo: crédimus, quia simul étiam vivémus cum Christo: sciéntes, quod Christus resurgens ex mórtuis, jam non móritur, mors illi ultra non dominábitur. Quod enim mórtuus est peccáto, mórtuus est semel: quod autem vivit, vivit Deo. Ita et vos existimáte, vos mórtuos quidem esse peccáto, vivéntes autem Deo, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1929]

IL BATTESIMO

“Fratelli,  quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella morte di Lui. Per il battesimo siamo stati, dunque, sepolti con Lui nella morte; affinché a quel modo che Gesù Cristo risuscitò dalla morte, mediante la gloria del Padre, così, anche noi viviamo una nuova vita. Infatti, se siamo stati innestati a Lui per la somiglianza della sua morte, lo saremo anche per quella della resurrezione; ben sapendo che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso in Lui, affinché il corpo del peccato fosse distrutto, sicché non serviamo più al peccato. Ora, se siamo morti con Cristo crediamo che vivremo pure con Cristo; perché sappiamo che Cristo risuscitato da morte non muore più: la morte non ha più dominio su di Lui. La sua morte fu una morte al peccato una volta per sempre; e la sua vita la vive a Dio. Alla stessa guisa, anche voi consideratevi morti al peccato e viventi a Dio in Cristo Gesù Signor nostro”.

Nell’Epistola di quest’oggi, che è tolta dalla lettera ai Romani, sono messe in relazione col Battesimo la morte, la sepoltura e la risurrezione di Gesù Cristo. Il Battesimo, mediante il quale l’uomo diventa membro del mistico corpo del Redentore, significa tanto la morte, la sepoltura e la risurrezione di Gesù Cristo, quanto la morte dell’uomo al peccato e la sua risurrezione alla vita della grazia. L’uomo, morto al peccato, non deve più farsene schiavo. Gesù Cristo dalla tomba, risorse alla vita nuova per la, gloria del Padre. Il Cristiano, dal fonte battesimale, risorge con Gesù Cristo a una vita nuova, tutta consacrata a Dio. Il cristiano deve pensare frequentemente al Battesimo, che ci ricorda:

1. Che siamo morti al peccato e liberati dalla schiavitù di satana,

2. Che siamo risorti alla vita della grazia,

3. Nella quale dobbiamo perseverare.

1.

Quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella morte di Lui. Queste parole alludonoalla maniera con cui veniva amministrato il Battesimo nei primi tempi della Chiesa. Il battezzando veniva immerso nell’acqua, e subito ne usciva. L’immersione nell’acqua rappresentava la morte e la sepoltura del Redentore;e vi era pure significata la morte mistica del neofito; la sepoltura del vecchio uomo con i suoi peccati. Infatti, nel Battesimo, per virtù dello Spirito Santo, vengono pienamente cancellati tutti i peccati. Cancellati i peccati, anche il dominio di satana cessa. L’anima che era schiava diventa libera; «Poiché il demonio non può dominare che per mezzo dei peccati» (S. Agostino. En. In Ps. LXXII, 5).Coloro che nel Battesimo sono liberati dal peccato «lasciano oppresso nell’acqua il demonio, antico dominatore» (Tertulliano. De Baptismo. 9. 2). – Dell’importanza di questa liberazione dal giogo di satana è tutta piena la liturgia del Battesimo. Subito, in principio della cerimonia, il sacerdote, dopo che ha ammonito il battezzando sull’osservanza dei comandamenti e sull’amor di Dio, si rivolge allo spirito delle tenebre, e gli intima: «Esci da lui, o spirito immondo, e cedi il luogo allo Spirito Santo Consolatore». Segnato con un duplice segno di croce, il battezzando si rivolge ancora allo spirito delle tenebre e gli fa sentire l’ingiunzione da parte di Dio. «Ti esorcizzo, spirito immondo, nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, perché t’allontani da questo servo di Dio. Te lo comanda, dannato maledetto, colui che camminò sul mare, e porse la destra a Pietro che stava per sommergersi». Introdotto il battezzando in chiesa, dopo altre cerimonie, prima che venga battezzato, il sacerdote gli domanda: «Rinunci a satana… e a tutte le sue opere… e a tutte le sue pompe?». Dopo la triplice dichiarazione di rinuncia al demonio, alle sue opere, alle sue pompe si procede ad altri riti, e finalmente al Battesimo. – I primi Cristiani, innanzi di ricevere il Battesimo venivano a lungo istruiti sull’importanza di queste cerimonie. Così si fa ancora di regola generale, anche oggi nei paesi infedeli. Da noi, specialmente per assicurare la salvezza dell’anima contro le sorprese della morte, il Battesimo si amministra, in via ordinaria, ai bambini. Ma questa circostanza non ci sottrae all’obbligo di stare alle rinunce fatte per noi dai padrini. Ogni promessa è debito, sia essa fatta da noi, sia fatta da altri per noi. Neppure ci sottrae all’obbligo di istruirci sugli effetti del Battesimo. II Cristiano non ringrazierà mai abbastanza Dio, che nel Battesimo gli ha tolto la macchia del peccato che deturpava l’anima sua, che ha spezzato i vincoli che lo tenevano legato a satana, liberandolo dal suo dominio. Il Cristiano non farà mai troppo per restar fedele alle promesse e alle rinunce fatte nel Battesimo, se non vuol essere un Cristiano solamente di nome.

2.

Per il Battesimo siamo stati, dunque, sepolti con Lui nella morte; affinché a quel modo che Gesù Cristo risuscitò da morte, mediante la gloria del Padre, così, anche noi viviamo una nuova vita. Il Battesimo che ci unisce a Gesù nella morte e nella sepoltura, ci unisce pure con Lui nella risurrezione. Per la gloriosa potenza del Padre, Gesù Cristo è risuscitato da morte a vita immortale: e noi partecipiamo alla sua risurrezione, risorgendo dalle acque del Battesimo a una vita nuova. Se nel Battesimo non risorgiamo a una vita nuova, tutta diversa dalla vita passata a che ci gioverebbe esser stati sepolti in esso con Gesù Cristo?Il Battesimo trasforma l’uomo. Se ci fosse concesso di vedere un’anima qual era prima del Battesimo e qual è dopo, non la riconosceremmo più. Prima del Battesimo indossava la veste di Adamo, la veste del peccato. Dopo il Battesimo indossa la veste candida della grazia, la veste di Gesù Cristo, al quale il battezzato è stato incorporato. «Tutti voi che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo», ricorda S. Paolo ai Galati (III, 27). Salomone, parlando della sapienza che egli aveva chiesto a Dio, dice: «E insieme con essa vennero a me tutti i beni, e per le mani di lei un’infinita ricchezza» (Sap. VII, 11). Lo stesso può ripetere ciascuno che ha ricevuto la veste della grazia nel Battesimo. L’uomo con il peccato aveva offeso Dio; e l’offesa fattagli non avrebbe mai potuto riparare. Aveva contratto un debito che nessuno, al mondo, avrebbe potuto estinguere. Con il Battesimo l’offesa è riparata, il debito è estinto. L’uomo da nemico di Dio diventa sua amico, anzi figlio adottivo. «Siete stati mondati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signor nostro Gesù Cristo, e mediante lo Spirito del nostro Dio» (I Cor. VI, 11), dichiara l’Apostolo ai Corinti. Esule dal Paradiso l’uomo non poteva aspirare a mettervi il piede, se fosse dipeso dalle sue forze. Era una condanna, che non si sarebbe potuta scontare col tempo, e che nessun uomo poteva togliere. Nel Battesimo la condanna è tolta. «Nessuna condanna, dunque, ora per coloro che sono incorporati in Cristo» (Rom. VIII, 1). Divenuto nel Battesimo membro della Chiesa, l’uomo può usare dei mezzi della grazia, che essa somministra per la santificazione dei suoi figli; e progredire, così, sempre più nella santità cui è chiamato. S. Gerolamo, parlando del Battesimo, dichiara: «Mi mancherebbe il tempo, se volessi esporre quanto si contiene nella Sacra Scrittura su l’efficacia del Battesimo». (Epist. 69 7, ad Ocean.) A noi basti considerare che, prima del Battesimo, l’uomo è tempio del demonio, e, dopo, è tempio di Dio; che nel Battesimo egli è generato a una vita nuova, la vita della grazia.

3.

Gesù Cristo aveva preso sopra di sé i peccati di tutti gli uomini, e morì come rappresentante dei peccatori. Morì, però, una volta per sempre. Ed espiati i peccati una volta per sempre, mediante la sua morte, non ha più che fare con il peccato. La vita che vive dopo la sua risurrezione, la vive a onore e gloria di Dio. Alla stessa guisa — dice S. Paolo — anche voi consideratevi morti al peccato e viventi a Dio in Cristo Gesù Signor nostro ». Cioè, ad esempio di Gesù Cristo, dobbiamo considerarci morti per sempre al peccato, e condurre a onore e gloria di Dio la vita, che Egli ci serba dopo il Battesimo. – Il popolo d’Israele s’era sottratto alla schiavitù dell’Egitto, attraverso il Mar Rosso. Da questo mare Israele esce salvo; ma i suoi nemici vi trovano la morte, sepolti nelle onde. Sentiamo una bella osservazione di S. Agostino. «Muoiono nel Mar Rosso tutti i nemici di quel popolo, muoiono nel Battesimo tutti i nostri peccati. Osservate fratelli: dopo quel Mar Rosso non vien data subito la patria, né il trionfo è completamente sicuro, come se non esistessero più nemici; poiché rimane ancora la solitudine del deserto; rimangono ancora i nemici che insidiano il cammino. Così, anche dopo il Battesimo, la vita cristiana è soggetta alla tentazione», (En. In Ps. LXXII, 5) Dal Battesimo il Cristiano è risorto a nuova vita con Gesù Cristo, ma la concupiscenza, ch’è rimasta anche dopo la morte al peccato, non gliela lascia godere con completa sicurezza. Di qui la necessità, per il Cristiano, di lottare continuamente contro la concupiscenza per non lasciarsi trascinare da essa, alla vita di peccato di prima. Sarebbe un inganno dormir tranquilli, perché nel Battesimo e più tardi nella Confessione, i nostri peccati furono seppelliti. Un giardiniere apparecchia con tutta cura l’aiuola. Con la vanga volta, sminuzza il terreno e lo monda dalle erbe inutili e nocive. Ma quanti germi vi son rimasti, sfuggiti al suo sguardo, o vi sono continuamente portati. Senza ulteriori, continue cure, quell’aiuola si ricoprirà ben presto dell’erbacce di prima. Senza continua vigilanza e premura, i peccati che furono sepolti nel Battesimo, e più tardi nella Penitenza, torneranno ben presto a dominare. Quando il missionario versa sul capo dei neofiti, da lui preparati, l’acqua del Battesimo, si sente l’animo ripieno di giubilo al pensiero che la Chiesa acquista un nuovo figlio, e il Cielo un nuovo erede. Ma questo giubilo è ben spesso turbato da un dubbio: Si manterrà costante nella fede? Continuerà nella buona via? Date le circostanze, i pericoli in cui vengono a trovarsi quei novelli convertiti, l’esperienza dimostra che questo dubbio non è fuor di posto. Questa domanda facciamocela schiettamente noi: Abbiam continuato nella buona via? Non siamo più ritornati al peccato al quale eravamo morti nel Battesimo? Domanda molto opportuna, anzi, necessaria, poiché «per il solo Battesimo non si consegue la vita eterna, se dopo averlo ricevuto si vive malamente » (S. Fulgenzio De Reg. verae Fidei. 44). Dopo il Battesimo abbiamo un altro Sacramento, nel quale vengono seppelliti i nostri peccati; ma anche questo Sacramento, come il Battesimo, va ricevuto con il fermo proposito di risorgere a vita nuova e di non ritornare più al peccato. C’è sempre questa disposizione nel continuo alternarsi di grazia e di peccato, di morte e di vita dell’anima? A confermare il nostro proposito di esser morti per sempre al peccato e di progredire nella vita della grazia, giova grandemente la considerazione della dignità, da noi conseguita nel Battesimo, e degli obblighi che ne derivano. Tanti usano notare su apposito memoriale le date più importanti della vita. I cristiani fervorosi non trascurano di porre, tra queste date, quello del Battesimo, della Cresima, della 1. Comunione. Un santo e zelante missionario, il gesuita P. Vittorio Delpech, per tenersele in mente più facilmente e in modo più vivo, le scrisse sopra un cranio, che volle aver sempre con sé. La data della nascita era scritta sulla fronte, accompagnata da questi due. versetti: «Ricorda il tuo Battesimo ed esulterai in eterno. — Ricorda i novissimi e non peccherai in eterno». Se vogliamo pervenire all’esultanza a cui il Battesimo ci dà diritto, ricordiamolo spesso, e non smentiamolo mai.

Graduale

Ps LXXXIX: 13; LXXXIX: 1 Convértere, Dómine, aliquántulum, et deprecáre super servos tuos.

V. Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne et progénie. Allelúja, allelúja.

[Vòlgiti un po’ a noi, o Signore, e plàcati con i tuoi servi.

V. Signore, Tu sei il nostro rifugio, di generazione in generazione. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XXX: 2-3 In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: in justítia tua líbera me et éripe me: inclína ad me aurem tuam, accélera, ut erípias me. Allelúja.

[Te, o Signore, ho sperato, ch’io non sia confuso in eterno: nella tua giustizia líberami e allontanami dal male: porgi a me il tuo orecchio, affrettati a liberarmi Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.

Marc. VIII: 1-9 In illo témpore: Cum turba multa esset cum Jesu, nec haberent, quod manducárent, convocatis discípulis, ait illis: Miséreor super turbam: quia ecce jam tríduo sústinent me, nec habent quod mandúcent: et si dimísero eos jejúnos in domum suam, defícient in via: quidam enim ex eis de longe venérunt. Et respondérunt ei discípuli sui: Unde illos quis póterit hic saturáre pánibus in solitúdine? Et interrogávit eos: Quot panes habétis? Qui dixérunt: Septem. Et præcépit turbæ discúmbere super terram. Et accípiens septem panes, grátias agens fregit, et dabat discípulis suis, ut appónerent, et apposuérunt turbæ. Et habébant piscículos paucos: et ipsos benedíxit, et jussit appóni. Et manducavérunt, et saturáti sunt, et sustulérunt quod superáverat de fragméntis, septem sportas. Erant autem qui manducáverant, quasi quatuor mília: et dimísit eos.

(In quel tempo: Radunatasi molta folla attorno a Gesú, e non avendo da mangiare, egli, chiamati i discepoli, disse loro: Ho compassione di costoro, perché già da tre giorni sono con me e non hanno da mangiare; e se li rimanderò alle loro case digiuni, cadranno lungo la via, perché alcuni di essi sono venuti da lontano. E gli risposero i suoi discepoli: Come potremo saziarli di pane in questo deserto? E chiese loro: Quanti pani avete? E risposero: Sette. E comandò alla folla di sedersi a terra. E presi i sette pani, rese grazie e li spezzò e li diede ai suoi discepoli per distribuirli, ed essi li distribuirono alla folla. Ed avevano alcuni pesciolini, e benedisse anche quelli e comandò di distribuirli. E mangiarono, e si saziarono, e con i resti riempirono sette ceste. Ora, quelli che avevano mangiato erano circa quattro mila: e li congedò).

Omelia II

[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed. Napoli, 1840]

Sopra la provvidenza di Dio.

Misereor super turbam, quia ecce iam triduo sustinent me, nec habent quod manducent.

[Marc. VIII].

Quanto ammirabili sono le attenzioni della divina provvidenza per gli uomini, fratelli miei, e quanto sono fortunati coloro che alla sua condotta rimettonsi! L’odierno Vangelo ce ne somministra una prova sensibile, assai convincente. Già da tre giorni una moltitudine di popolo seguiva Gesù Cristo con tanto affetto che si dimenticava sino dei bisogni della vita; più premurosi questi di nutrire l’anima del pane celeste che il corpo di un pane materiale, nulla avevano serbato onde cibarsi nel viaggio. Ma Gesù Cristo, che mai non dimentica i suoi seguaci, fu mosso a compassione dei bisogni d’un popolo che gli dava una sì grande riprova del suo attaccamento. Chiede Egli ai suoi Apostoli quanti pani abbian seco portato. Sette, rispondono essi; ma come con sì poca provvisione cibare tante persone? Ciò che è impossibile all’uomo, non è impossibile a Dio. Gesù Cristo farà spiccare la sua potenza egualmente che la sua bontà nel sovvenire ai bisogni di tutti. Prende Egli dunque i sette pani, li benedice e li moltiplica in copia tale, che avvenne onde nutrire quattromila persone, senza contare le donne e i fanciulli, e degli avanzi ancora riempiere sette sporte. Non fu già, fratelli miei, in questa sola occasione che Gesù Cristo diede contrassegni della paterna sua provvidenza verso coloro che lo seguivano; il Vangelo riferisce ancora un altro miracolo di questa sorte per mezzo del quale Egli nutrì e satollò cinquemila persone con cinque pani d’orzo e due pesci. In questa guisa la provvidenza di Dio previene e i necessari aiuti ci porge. Ah! quanto saremmo noi felici, se interamente abbandonandoci nelle mani di questa divina provvidenza, e fedeli mantenendoci nel suo servizio, sapessimo meritare i suoi favori! Non si vedrebbero certamente tante persone languire nella miseria, o per lo meno esse non ne risentirebbero cotanto le amarezze, la sopporterebbero con pazienza maggiore. – Per indurvi adunque a questo perfetto abbandono alla provvidenza di Dio, voglio rappresentarvi la cura ch’ella ha di voi ed istruirvi nello stesso tempo di ciò che dovete fare per corrispondervi. Quel che la provvidenza di Dio fa per gli uomini: primo punto. Quel che gli uomini far debbono per corrispondere alle cure della divina provvidenza: secondo punto.

I. Punto. Che siavi una provvidenza in Dio che presieda a tutto, che il tutto governi e che provveda ai bisogni di tutti, ella è una verità, fratelli miei, che la sola ragione, indipendentemente anche dalla fede, ci dimostra in una maniera sì sensibile che converrebbe chiuder gli occhi alla luce per rivocarla in dubbio. Che c’insegna infatti la ragione? Che evvi un Dio, infinitamente saggio, buono e potente, che ha creato tutte le cose nel bell’ordine che noi vediamo e le conserva nel medesimo stato; altrimenti rientrerebbero ben presto nel nulla. Mentre la creatura tanto dipende da Dio per la conservazione, quanto per la sua riproduzione, o piuttosto la sua conservazione, è una produzione continua, per cui Dio rinnova ad ogni istante l’esistenza della creatura, non essendovi che Egli solo, il quale esista indipendentemente da ogni altro. Si è dunque Dio che con la sua sapienza ed onnipotenza, conserva e governa questo vasto universo; Egli è che dà il moto agli astri, la fertilità alla terra, la salubrità all’aria. Da Lui dipende la regolarità delle stagioni, che succedonsi le une alle altre; la vicissitudine dei giorni e delle notti, che c’invitano alternativamente al lavoro e al riposo; in una parola tutta l’armonia che vediamo regnare nella natura, ella è un effetto della divina Provvidenza. Basta di dare uno sguardo alle opere di Dio per riconoscervi i tratti d’una sapienza infinita ed esclamare col profeta: quanto ammirabili sono le vostre opere, o Signore! La vostra sapienza risplende in tutto ciò che avete fatto; la terra ripiena dei vostri beni spiega ai nostri occhi la vostra magnificenza; tutta la natura ci annunzia una provvidenza che la regola: che la sostiene nel bell’ordine che vi ammiriamo. – Or se la provvidenza di Dio si manifesta in una maniera sensibile nel governo dell’universo, ai bisogni dell’uomo, che è la più bella delle sue opere, essa estende principalmente le paterne sue cure; poiché dire che Dio ha creato l’uomo per abbandonarlo a se stesso, sarebbe voler dire che un padre ha messo al mondo dei figliuoli per non prenderne alcuna cura: che un re savio e giusto non si mette punto in pena di ciò che accade nel suo regno; ciò che non si può supporre in una creatura ragionevole, a più forte ragione in un Dio Creatore, il migliore dei padri, il più savio ed il più giusto dei re. Ma quanto grandi sono le cure che la provvidenza di Dio prende delle creature ragionevoli, quale è la sua attenzione, quale la vigilanza in provvedere ai loro bisogni! Ah! Cristiani, riconoscete qui le vostre obbligazioni a suo riguardo ed istruitevi dei motivi che debbono indurvi a renderle i vostri omaggi e ad abbandonarvi alla sua condotta. – Questa divina provvidenza conosce i vostri bisogni, ella vi provvede con mezzi tanto più efficaci, quanto che dispone d’ogni cosa con altrettanto di forza che di sapienza e dolcezza: Attingìt a fine usque ad finem fortiter, et disponit omnia suaviter (Sap. VIII). Con quanto di ragione dobbiamo mettere in essa ogni nostra confidenza! Sì, fratelli miei. Dio sa tutti i vostri bisogni e li ha conosciuti sin dall’eternità, come li vede ogni giorno; a Lui è stato ognora presente tutto ciò che accade nel mondo e tutto ciò che deve accadere sino al fine dei secoli; di modo che tutti gli avvenimenti che gli uomini riguardano come un effetto del caso, sono stati preveduti, determinati o permessi nei decreti eterni della divina Provvidenza. Qual motivo di consolazione per voi, che gemete sotto il peso della croce, che siete ridotti in uno stato di miseria, oppressi da malattie, da sinistri accidenti, di sapere che Dio conosce tutti i vostri mali, non già con una cognizione sterile, come i felici del secolo conoscono le miserie dei poveri senza esserne commossi e senza dar loro soccorso; ma che la cognizione che Dio ha delle nostre miserie, eccita in Lui i sentimenti della più tenera compassione! – Noi ne abbiamo la prova nel Vangelo: Gesù Cristo vedendo al suo seguito una folla di popolo che non ha onde sussistere: io ho pietà di questo popolo, dice ai suoi Apostoli: Misereor super turbam. Temo che se io li rimando digiuni in casa loro, non isvengano per strada: Ne defìciant in via. Ecco come la Provvidenza di Dio s’intenerisce sopra i bisogni di quelli che in essa confidano; ella riunisce tutte le circostanze che possono renderla sensibile ai loro mali per dar loro i necessari aiuti. Ma questa divina Provvidenza non si ferma in sentimenti sterili di compassione; essa previene i nostri desideri, e provvede abbondantemente a tutti i nostri bisogni. Fa d’uopo per questo che impieghi la sua possanza? Nulla evvi ch’essa non faccia, verun prodigio che non operi per sovvenire alle necessità del suo popolo. Oltre il miracolo dell’odierno Vangelo, quanti altri esempi potrei io citarvi che provano la vigilanza della provvidenza sopra gli uomini? Qui io vedo un popolo numeroso miracolosamente nutrito per lo spazio di quarant’anni in un deserto orribile, ove Dio fa piovere una manna squisita che ogni desiderevole sapore in sé contiene. Là veggo quel medesimo popolo vincitore dei suoi nemici, per il solo sostegno che trova nella Provvidenza del suo Dio. Più lungi scorgo un profeta affaticato da un penoso viaggio, cui il Signore dà forza di continuarlo con un pane miracoloso che un corvo gli reca sera e mattina: egli è il profeta Elia. In un altro luogo Daniele è miracolosamente preservato dalla voracità dei leoni, tra i quali è stato rinchiuso perché ne fosse divorato. Tre giovani camminano in una fornace ardente, dove sono stati gettati, senza ricevere alcuna lesione dal fuoco. Tobia è condotto in un lungo e penoso viaggio da un Angelo tutelare, mandatogli dalla Provvidenza. Non sono forse questi dei tratti che evidentemente dimostrano le attenzioni della provvidenza di Dio verso gli uomini? – Ritorniamo ancora al Vangelo, per ascoltar Gesù Cristo spiegarsi su questo soggetto in maniera a non lasciarne alcun dubbio. Considerate, ci dice questo divin Salvatore, gli uccelli dell’aria che vivono senza mietere e senza racchiudere nulla ne’ granai, i gigli del campo che crescono senza filare e senza lavorare. Se dunque conchiude il Salvatore, il vostro Padre che è nel cielo, nutrisce sì bene gli uccelli, benché non sia che Signor loro, con quanto più forte ragione nutrirà Egli voi altri che siete suoi figliuoli e che siete da più di tutti gli animali della terra? Non vi mettete dunque in pena donde prenderete il vostro cibo, il vostro vestimento; il vostro Padre celeste sa che voi avete bisogno di tutte queste cose; ciò basta per calmare tutte le vostre inquietudini: Scit Pater vester quia his omnibus indigetis (Matth. VI). Giudicate del suo amore da quello che voi avete per li vostri figliuoli. Quando essi vi chiedono del pane, lo ricusate voi forse loro o date loro forse una pietra o uno scorpione? Se dunque voi, benché malvagi, sapete così ben provvedere ai bisogni dei vostri figliuoli, quanto maggiormente il Padre celeste, che vi ha formati a sua immagine e somiglianza, avrà egli cura di voi? Non provate forse voi medesimi con l’esperienza la verità di questi oracoli? Mentre potete voi forse non far attenzione a ciò che accade tutti i giorni sotto i vostri occhi e che non merita meno la vostra ammirazione, perché accade ordinariamente? Al vedere tutto ciò che accade nella natura; non vi persuadete che tutte le cure della provvidenza sono, per così dire, riunite per l’uomo, che per lui solo Dio ha fatto tutto ciò che ha creato, che tutte le creature sono destinate al suo uso, che tutti gli elementi, tutte le stagioni non lavorano che per lui? Lo riscalda il fuoco, l’aria lo rinfresca, l’acqua il purifica, la terra lo nutrisce. Dio, per rendere la terra fertile, fa nascere ogni giorno il sole per comunicarle il calor necessario a produrre frutti; e siccome il troppo grande calore annienterebbe la virtù delle sementi, non vedete altresì come la Provvidenza ha cura di temperarlo con le piogge, che fa cadere sopra la terra per dar loro l’accrescimento? Ma quale accrescimento, fratelli miei! Il miracolo della moltiplicazione dei pani, di cui fa menzione il Vangelo, si rinnova ogni anno sotto i vostri occhi: per alcuni grani di semente che gettate in terra quale abbondanza non ne raccogliete? Non è questa forse una meraviglia della Provvidenza degna di tutta la vostra attenzione? Mentre invano lavorereste, seminereste invano, se Dio medesimo non desse l’accrescimento, se non aprisse la sua mano liberale per darvi la sua benedizione, i vostri lavori sarebbero senza frutto: Aperis manum tuam, et imples omne animal benedictione (Psal. CXLIV). Osservate ancora un effetto della bontà e della saviezza di questa divina provvidenza, che ha fissati ad ogni stagione dell’anno i frutti diversi che dovete raccogliere, per risparmiarvi le fatiche che avreste a sopportare se una sola li producesse tutti in uno stesso tempo. La primavera vi presenta la bellezza dei suoi fiori, l’estate l’abbondanza delle sue messi, l’autunno la squisitezza dei suoi frutti: Tu das illis escam in tempore opportuno. Aggiungete a tutto questo i soccorsi che la Provvidenza vi somministra in tutti gli animali ch’ella ha sottomessi al vostro impero, gli uni per alimentarvi, gli altri per vestirvi o servirvi od alleggerirvi dei vostri lavori; pensate anche ai rimedi che la natura vi fornisce per ristabilire e conservare la vostra sanità. – Richiamatevi alla mente tutti i pericoli da cui la provvidenza vi ha preservati, tutti i benefizi di cui essa vi ha ricolmi e che non cessa di spargere su di voi quotidianamente; di modo che non evvi un momento solo di vostra vita che non sia contrassegnato da qualcheduno dei suoi favori. Voi potete dunque dire con ragione, come il re profeta, che nulla vi manca sotto l’amabile condotta della provvidenza: Dominus regit me, et nihil mihi deerit (Psal. XXII). Essa vi conduce come un buon pastore nei buoni, nei fertili pascoli: in loco pascuæ ibi me collocavit. Quando camminavate in mezzo alle ombre della morte , ella vi ha sostenuti, vi ha difesi contro i nemici che cercavano la vostra rovina: si ambulavero in medio umbræ mortis, non timebo mala, quoniam tu mecum es. Sino all’ultimo momento di vostra vita, ella vi farà provare gli effetti della sua paterna bontà: Et misericordia tua subsequetur me omnibus diebus vitæ meæ. – Ma mi sembra qui intendere la voce della natura, che vorrebbe una Provvidenza sempre favorevole ai suoi disegni e che si lamenta dei mali con cui ella affligge gli uomini. Sembra, dice essa, che non si dovrebbero provare che dolcezze sotto la condotta d’una provvidenza così amabile come voi la rappresentate: perché dunque ci fa ella sentir alcuna volta il suo rigore? Come conciliare con le attenzioni della Provvidenza per gli uomini tante disgrazie che li affliggono, tante malattie che li opprimono, tante creature che loro sono nocevoli, tanti avvenimenti contrari ai loro desideri? Perché gli uni sono più ricchi degli altri? Donde viene anche, come domandava altre volte il santo Giobbe, che i giusti, i quali dovrebbero, a quel che pare, avere maggior parte ai favori della provvidenza, sono nelle tribolazioni, mentre gli empi prosperano e sono nell’allegrezza? Donde viene, dite voi, questa mescolanza di beni e di mali di cui la Provvidenza permette che la vita degli uomini sia ripiena? Perché amareggia le sue dolcezze coi rigori delle afflizioni che manda? – A tutto questo, fratelli miei, io non avrei che una risposta a fare: l’uomo ha peccato; ciò basta per giustificare la condotta della Provvidenza nei mali con cui l’affligge; in qualunque stato d’afflizione le piaccia di ridurci, niuno evvi che non debba convenire che lo ha meritato: Merito hæc patimur (Gen. XLII). Ma ho qualche cosa di più consolante a dirvi: la provvidenza di Dio percuote gli uomini, anche quelli che sono i più giusti, col flagello delle tribolazione. Ah! Cristiani, appunto in questo noi dobbiamo riconoscere la sua sapienza e la sua bontà, principalmente a riguardo dei giusti. Se la vita degli uomini non fosse attraversata da qualche avversità, essi non riguarderebbero più il mondo come un luogo d’esilio, vi attaccherebbero il loro cuore e dimenticherebbero totalmente del loro ultimo fine; non penserebbero ad alcun’altra felicità che a quella di quaggiù; e perciò Iddio sparge sopra la prosperità di cui godono salutevoli amarezze che li staccano dalla vita: si serve dell’avversità per trarre a Lui i peccatori e per provare la virtù dei giusti: Disponit omnia suaviter. Se i giusti sono nell’afflizione, mentre i peccatori sono nella prosperità e nell’allegrezza, ecco precisamente ciò che prova esservi un altro premio che quello di quaggiù. Ecco, o giusti, ciò che deve consolarvi delle vostre tribolazioni, ciò che deve farvi riconoscere una provvidenza piena di bontà che vuol condurci per una strada sicura al porto della salute. Qual motivo fortissimo di sottomettervi agli ordini di questa divina provvidenza! Vediamo quali sono i nostri doveri a suo riguardo.

II. Punto. Noi possiamo considerare la provvidenza di Dio per rapporto ai beni che ne riceviamo e  che ne possiamo ricevere, o per rapporto ai mali con cui ella ci affligge. Noi le dobbiamo essere grati per i favori che ci comparte, e fidarci a quella interamente per riguardo a quelli che può compartirci. Noi dobbiamo altresì sottometterci alle sue disposizioni per ricevere con rassegnazione i mali con cui ella ci affligge. Tali sono i nostri doveri verso la divina Provvidenza. La gratitudine è un dovere che la natura ispira alle nazioni più barbare, agli animali ancora, benché sforniti di ragione. L’amore che abbiamo per noi medesimi ci fa amare coloro che ci fanno del bene, e la speranza di ricevere ancora c’impegna a dimostrare loro la nostra riconoscenza. Noi abbiamo ricevuto ogni cosa da Dio, noi siamo debitori alla sua divina provvidenza di tutti i beni che possediamo; noi proviamo ad ogni istante la sua bontà, la sua cura, la sua vigilanza: che cosa più giusta che dimostrargli una riconoscenza universale, una riconoscenza continua! Riconoscenza universale che si estenda a tutti quei beni che riceviamo; riconoscenza continua che non sia giammai interrotta, ma duri sino all’ultimo respiro della nostra vita. – Infatti la riconoscenza deve esser proporzionata ai benefizi. Noi dobbiamo alla Provvidenza di Dio la vita, la nostra conservazione, la sanità, i talenti, o le forze, tutti i beni del corpo e dell’anima. Richiamiamo alla nostra memoria tutti i felici momenti, in cui abbiamo provata la sua tenerezza paterna. Alla vista di tanti benefizi, non dobbiamo noi forse essere penetrati dai medesimi sentimenti, che il reale profeta, allorché diceva: Anima mia, benedici il Signore tuo Dio, tutto ciò che è in me glorifichi il suo santo Nome; non perder giammai di vista i favori immensi, di cui ti ricolmò: Benedic, anima mea, Domino, et omnia quæ intra me sunt nomini sancto eius (Psal. CII). Tale deve essere, fratelli miei, la degna occupazione d’un’anima grata e riconoscente. Siccome i fiumi, dice s. Bernardo, ritornano all’origine donde vengono, così la riconoscenza rimanda i beni a Dio, che n’è l’Autore; e per un ammirabile flusso e riflusso fa scorrere su di noi nuovi torrenti, di favori; laddove l’ingratitudine ne arresta il corso e ne dissecca la sorgente. – Ma quanto è raro, che gli uomini ricolmi dei beni della Provvidenza le paghino il tributo, della giusta gratitudine che le debbono: essi s’indirizzano a Dio nei loro bisogni, nelle calamità che gli affliggono; formano voti per lo stabilimento della loro sanità, per ottenere stagioni favorevoli ai beni della terra. Dio si rende Egli propizio alle loro brame? Ingrati che sono, non pensano a ringraziarlo; essi ricevono i beni da Dio come se fossero loro dovuti; attribuiscono alla propria industria la buona riuscita dei loro affari, alla virtù dei rimedi il ristabilimento della sanità, l’abbondanza dei beni ai loro lavori, e dimenticano colui che n’è l’autore. Ditemi, di grazia, chi è tra di voi che abbia pensato a ringraziare Dio quando è uscito da quel cattivo affare che gli era stato suscitato, quando ha ricuperata la sanità, quando, la terra è stata per lui feconda? Voi non pensate al contrario per la maggior parte che a raccogliere con avidità i doni del Signore; sempre piegati verso la terra, voi non innalzate giammai gli occhi al cielo, donde vi vengono tutte le grazie etutti i beni che possedete. Che dico? Non vi servite voi dei benefizi del Signore per rendervi a Lui maggiormente ingrati, per appagare le vostre passioni malvagie? Ciò è un rivolgere i beni dativi da Dio contro Lui medesimo. Meritate voi dopo questo ch’Egli continui a beneficarvi? O piuttosto non meritate ch’Egli allontani da voi i suoi sguardi favorevoli, e che invece di farvi provare le ineffabili dolcezze della sua provvidenza, ve ne faccia sentire i rigori? Se a questo s’induce, voi ne siete la cagione, non vi lamentate della severità con cui vi tratterà, sono i vostri disordini che cagionano le vostre disgrazie. Voi volete che coloro che da voi sono beneficati abbiano per voi della riconoscenza; non è egli giusto che voi pure ne abbiate a riguardo di Dio? E se in vece di questa riconoscenza che gli dovete, pagate i suoi benefizi con ingratitudine dovete voi forse esser sorpresi che, invece di quella tenerezza paterna di cui vi ha date tante prove, provare vi faccia il suo sdegno? Badate dunque meglio ai vostri interessi, procurandovi con la riconoscenza le attenzioni favorevoli di un Dio pronto a farvi del bene; ma questa si manifesti principalmente col buon uso che voi farete dei doni di Dio, servendovi dei vostri beni per soccorrere i poveri della sanità, dei talenti per glorificare colui che ve li ha dati. La vostra riconoscenza sia non solamente universale, ma continua per ringraziare il Signore, in ogni tempo, in ogni luogo, dicendo col reale profeta: Io vi benedirò, o Signore, in ogni occasione; le vostre lodi saranno sempre nella mia bocca, e giorno e notte in campagna, in casa, nel vostro santo tempio: io non cesserò finché vivo di annunziare la vostra bontà per me: Benedicam Dominum in omni tempore  (Ps. XXXIII). Oh quanto sareste voi felici, fratelli miei, se foste sempre ripieni di questi sentimenti, e se alla riconoscenza che dovete a Dio per i beni che ne avete ricevuti aggiungeste ancora un’intera fiducia per quelli di cui avete bisogno!Potreste voi non mettere tutta la vostra fiducia nell’amorosa provvidenzadel nostro Dio, se consideraste in essaun padre che vi ama teneramente, una madre che vi porta nel suo seno? Questi sono i paragoni di cui Dio medesimo si serve per eccitare la vostra confidenza. Una madre, dice egli, può forse dimenticare il suo figliuolo? E quand’anche essa lo dimenticasse, ionon vi dimenticherò giammai. Evvi cosa più valevole per allontanare quelle inquietudini cui si abbandonano i piùdegli uomini per i bisogni della vita, che sono sempre in ambascia di ciò che diverranno nell’avvenire, che vivono inuna continua apprensione di mancare delle cose necessarie al loro sostentamento e a quello della loro famiglia? Uomini di poca fede, posso io loro qui dire dopo Gesù Cristo, pensate voi all’ingiuria che fate alla divina Provvidenza con una diffidenza così colpevole? Mentre questa diffidenza non può venire se non se dal credere voi o che Dio non conosce i vostri bisogni, o che Egli non vuole o che non può darvi gli aiuti che vi sono necessari. Or credere che Dio non conosca i vostri bisogni, che Egli non voglia o non possa alleggerirli, sarebbe far oltraggio alla sua sapienza che conosce tutto, alla sua bontà che vi ama, alla sua possanza che può tutto. Se voi aveste a fare con gli Dei delle nazioni pagane, che hanno orecchie e non odono, mani e non operano, avreste motivo di nulla aspettarne; ma servendo ad un Dio che conosce tutto, che vi ama e che può tutto quel che vuole, potreste voi mancar di confidenza nella sua bontà e nel suo potere? Abbandonatevi dunque interamente alla sua divina provvidenza,e proverete che non invano si mette in essa la propria fiducia: Jacta super Dominum curam tuam, et ipse te enutriet (Ps. XLIV). Mirate i popoli del nostro Vangelo, con qual confidenza seguono Gesù Cristo; benché molestation dalla fame, non gli chiedono neppure di somministrar loro di che sussistere,perché sanno benissimo che hanno a fare con un Dio, la cui bontà eguaglia la possanza, sperano che nonli rimanderà senza dar loro qualche alimento; perciò sperimentarono il meraviglioso effetto della loro confidenza nella sua bontà. Abbiate, fratelli miei, i medesimi sentimenti, a riguardo della Provvidenza di Dio, e non mancherete di provarne gli effetti. Se sino adesso voi avete sofferti urgenti bisogni, credete che avete mancato di confidenza.Ma, direte voi, io mi sono abbandonato alla Provvidenza di Dio; con ciò languisco sempre nella miseria, mentre ne vedo altri, cui ogni cosa riesce,cui la Provvidenza sembra prodigalizzare i suoi favori. A questo, fratelli miei, ecco quel che ho da rispondere:voi non avete provati, dite voi, gli effetti di questa viva confidenza che avete posta in Dio; conviene dunque, o chela vostra confidenza non sia stata ferma ed intera, o che non sia accompagnata da quella santità di vita che trae sui giusti le attenzioni favorevoli della provvidenza; o finalmente che le cose che avete domandate non vi siano necessarie o siano anche di pregiudizio alla vostra salute. Se la vostra confidenza non è stata ferma ed intera, se voi non avete fatto ricorso a Dio che dopo aver provata la debolezza dei soccorsi umani, bisogna forse meravigliarsi che Dio vi abbia rigettati e vi abbia rimandati agli dei stranieri, su cui vi siete appoggiati? Dii, in quibus habebant fiduciam …. surgant et opitulentur vobis (Deut. XXXII). Bisogna ancora che la vostra confidenza non sia stata sostenuta da una vita santa, che sola meritai favori della Provvidenza; mentre non si è mai veduto, dice il profeta,il giusto abbandonato da Dio né i suoi figliuoli cercare pane: Non vidi iustum derelictum nec semen eius quærens panem (Ps. XXXVI). Per quanto vi crediate giusti, potete voi accertarvi che non abbiate irritata l’ira di Dio con qualche mancamento che debba essere espiato col fuoco della tribolazione? Se finalmente la vostra confidenza non è ricompensata da una prosperità temporale conforme ai vostri desideri, credete, fratelli miei, che essa non vi è necessaria, che sarebbe eziandio funesta alla vostra salute. Iddio sa meglio di voi quel che vi fa di mestieri: lasciate operare la provvidenza, e nulla vi mancherà di ciò che vi sarà necessario: Dominus regit me , et nihil mihi deerit (Psal. XXII). Altrimenti converrebbe dire che Dio mancasse alla sua parola, il che non sarà giammai; ma ricordatevi altresì di agire dal canto vostro per cooperare alle cure della sua provvidenza, mentre non pretende essa favoreggiare una confidenza oziosa che non mettesse la mano all’operare per secondare i suoi disegni. Dio vuole che ci appoggiamo sopra di Lui per quello che non dipende da noi, ma vuole altresì che operiamo secondo il nostro potere;vuole che la nostra confidenza scacchi ogni sollecitudine sopra i bisogni della vita, ma non biasima, anzi esige dal canto nostro una diligenza ragionevole, un lavoro moderato per la riuscita degli affari temporali; ed è forse per troppa ansietà e per vostra negligenza che avete arrestato il corso dei suoi lavori.Ma finalmente, fratelli miei, io voglio che ad una intera fiducia nella Provvidenza di Dio, sostenuta dalla santità della vita, voi aggiungiate dal canto vostro le attenzioni ed il lavoro che la prudenza cristiana richiede da voi, e che tuttavia le vostre fatiche non siano soddisfatte, che gemiate al contrario sotto il peso delle afflizioni. Che dovete voi fare? Il vostro dovere è di sottomettersi ai decreti della divina provvidenza. Io non vi richiamerò già i motivi di questa sottomissione che vi ho proposti nel primo punto, allorché vi ho detto che il Signore dispensa come gli piace i beni e di mali della vita, che solo per nostro bene Egli ci affligge e che sa volgere a nostro vantaggio le afflizioni che ci manda. Il migliore partito è dunque di sottomettervi e di adorare la mano che vi percuote; mentre, che cosa guadagnereste voi con l’abbandonarvi all’impazienza e ai lamenti? Non fareste che rendervi più colpevoli o più infelici. Qualunque cosa far possiate, non impedirete al Signore di fare quello che gli piace. Voi non potete, dice Gesù Cristo, con tutti i vostri sforzi aggiungere un cubito, neppure un pollice,alla vostra statura: invano dunque vi tormentereste per uscire dallo stato in cui siete ed innalzarvi ad uno stato più distinto: la Provvidenza che vi ha collocati in questo stato, vuole che vi dimoriate; ella innalza ed abbassa, mortifica e vivifica coloro che le piace: Dominus mortificat et vivifìcat, pauperem facit et ditat (1 Reg. 2) Egli è il padrone, non tocca a noi di chiedergli conto della sua condotta; se vuole che voi siate nella indigenza e nell’umiliazione, dovete essere contenti della vostra sorte. Dio, che vuole la vostra salute, che sa che vi perdereste in un altro stato, non vuole ad esso innalzarvi.Se fosse necessario per esser salvi avere beni e sanità, Dio non mancherebbe di darveli; giacché non veli dà,voi dovete dunque credere che ve ne priva per vostro bene: allorché Egli vi affligge con malattie, con sinistri accidenti, con le calamità dei tempi, voi non conoscete allora perché Dio vi tratti con severità; ma lo conoscerete in appresso, lo conoscerete al giudizio di Dio, lo conoscerete nella eternità beata, ove riceverete la ricompensa dei vostri travagli; Scies autem postea. Sottomettetevi dunque, torno a dire, alle disposizioni della divina Provvidenza, ricevete dalla sua mano, ad esempio del santo Giobbe, i mali ugualmente che i beni: Si bona suscepimus de manu Domini, mala quare non suscipiamus ( Job II)? Così nell’avversità, come nella prosperità, benedite incessantemente il santo Nome del Signore, sull’esempio del reale profeta: Benedicam Dominum in omni tempore. Voi troverete in questa sottomissione la pace dell’anima ed un pegno sicuro della felicità eterna. Così sia.

Credo …

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Offertorium

Orémus

Ps XVI: 5; XVI: 6-7 Pérfice gressus meos in sémitis tuis, ut non moveántur vestígia mea: inclína aurem tuam, et exáudi verba mea: mirífica misericórdias tuas, qui salvos facis sperántes in te, Dómine.

[Rendi fermi i miei passi sui tuoi sentieri, affinché i miei piedi non vacillino: porgi l’orecchio ed esaudisci la mia preghiera: fa rispleyndere le tue misericordie, o Signore, Tu che salvi quelli che sperano in Te.]

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris, et has pópuli tui oblatiónes benígnus assúme: et, ut nullíus sit írritum votum, nullíus vácua postulátio, præsta; ut, quod fidéliter pétimus, efficáciter consequámur.

[Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche, e accogli benigno queste oblazioni del tuo popolo; e, affinché di nessuno siano inutili i voti e vane le preghiere, concedi che quanto fiduciosamente domandiamo realmente lo conseguiamo.]

Comunione spirituale:

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Communio

Ps XXVI: 6 Circuíbo et immolábo in tabernáculo ejus hóstiam jubilatiónis: cantábo et psalmum dicam Dómino. [Circonderò, e immolerò sul suo tabernacolo un sacrificio di giubilo: canterò e inneggerò al Signore].

Postcommunio

Orémus.

Repléti sumus, Dómine, munéribus tuis: tríbue, quæsumus; ut eórum et mundémur efféctu et muniámur auxílio.

[Colmàti, o Signore, dei tuoi doni, concédici, Te ne preghiamo, che siamo mondati per opera loro e siamo difesi per il loro aiuto.]

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LO SCUDO DELLA FEDE (119)

Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA

Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884

PARTE PRIMA

CAPO XXXI.

Si mostra che se l’anima non fosse immortale, la virtù sarebbe vizio, il vizio virtù.

I. Fu già tempo, che il mondo mal noto fino a se stesso, non sapeva d’essere, se non secondo la metà sola di sé. Quindi è, che gli antipodi furono lungamente tenuti non pur dal volgo, ma ancora da’ gran maestri, per popoli favolosi (Tract. inst. 1. 3. c. 34): quasiché gli abitatori di un paese opposto, nel pianeta mondiale, ai pie nostri, dovessero per necessità stabilire capovolti: gli alberi dovessero quivi tener le radiche, dove anderebbero le cime; e le rugiade e le piogge e le procelle e le grandini strepitose non dovessero colà portarsi all’ingiù (quando volevano beneficare le campagne, o spiantarle), ma portarsi all’insù, come fanno le esalazioni; ho dovessero scendere, ma salire. Tanto dilungasi dal sentiero della verità ne’ discorsi chi prende per sua guida la fantasia, più che la ragione; non riflettendo che il giù e il su sono termini relativi, che non hanno la loro denominazione, se non dal centro che è situato fra gli antipodi e noi. Ma vaglia il vero, quanto andava già errata tal conseguenza di stravolgimento ridicoloso, (come appunto ridicola è la teoria eliocentrica e la forma sferica della terra – ndr-) posti gli antipodi, tanto or sarebbe accertata, posto che l’anima dovesse anch’ella sortire i suoi funerali come i giumenti. Conciossiachè rimarrebbe allora stravolto nell’universo tutto il sistema, non fisico, ma morale, che è un disordine molto più luttuoso: mentre la virtù verrebbe a tenere il grado del vizio, e il vizio a tenere il grado della virtù: anzi non solo si confonderebbero i posti, ma si cambierebbero ancora l’essenze loro, tanto che la virtù diverrebbe vizio, il vizio virtù. Mostriamolo con chiarezza: giacché questo argomento è così robusto, che solo vale ad abbattere ogni intelletto non pervicace.

I.

II. Tutte le genti, benché sì diverse d’istinti e d’istituzioni, si sono continuamente accordate in ciò di fare una stima somma della fortezza. Un guerrier prode da chi non è riverito? Vien posto a conto, per dir così, di un esercito: e sembra che ciascuno in vederlo gli dia quel vanto che ricevette in Roma un leon famoso per le gran prove fatte colà da lui nell’anfiteatro, pugnando coll’altre fiere: Quis non esse gregem crederet? Unus erat (Mart. 1. 8. epig. 32). Ora questa virtù così luminosa, la quale ha per oggetto suo principale il disprezzare i pericoli, e massimamente i pericoli più tremendi, quali sono quei della morte (Ethic. 6. 1. 3): questa virtù, dico, non sarebbe oro, ma scoria, qualunque volta l’anima fosso caduca (S. Th. 2. 2. q. 123. art. 4). Ve lo dimostro. La virtù non è altro che una disposizione a conseguire il suo fine, mediante l’opera che ella imprende. Virtus est dispositio perfecti ad optimum (Arist. 1. 7. phys. toxt. 17. et 18): e si dice ad optimum: perciocché l’ottimo ad ogni natura si è quello ch’ella ha per fine, siccome il pessimo è quello che più si oppone all’ultimo fine dell’istessa natura (S. Th. 1. 2. q. 110. a. 3. in c. et 2. 2. q. 23. a. 7. in c); come scorgerà chiaramente tra se medesimo chiunque ha fior di discernimento. Pertanto, se l’anima fosse mortale, il suo fine ultimo sarebbe al certo il durare più che le fosse possibile unita al corpo, senza di cui perduto avrebbe ogni bene. Onde l’operazione più perfetta della fortezza, che è il morire per difender l’amico, il padrone, la patria, la Religione, si opporrebbe allor per diametro all’ultimo fine dell’uomo: e posto ciò, una tal operazion virtuosa, per verità non sarebbe virtù, ma vizio, e sulle bilance d’una retta ragione non passerebbe por moneta legittima, ma falsata (Gregor. de Valent. in 1. p. dis. 6. q. 1. p. 3 § 2. prob.).

III. Direte subito che dovendo il ben pubblico preponderare al privato, non sarebbe in tal caso all’uomo disconvenevole non curare il suo fine, per sacrificarlo alla pubblica utilità. Ma non vi apponete. Conciossiachè, essendo l’uomo fatto in grazia di se medesimo, e non d’altrui, come sono fatte le bestie, non poteva dalla virtù venire obbligato ad amare il proprio disfacimento, né ad incontrarlo, in grazia di verun altro simile a lui, mentre ciò sarebbe stato obbligarlo ad amare il suo prossimo più di sé, contro di ciò che vuole ogni legge: Amicabilia enim, quæ sunt ad alterum, veniunt ex amicabilibus. quæ sunt ad se ipsum, come il filosofo insegna (Arist. 1. 9. eth. c. 8): infino a tanto, che presuppongasi l’anima non perire insieme col corpo, cammina bene: perché restando ella immortale, una morte onesta del corpo non è per lei funerale odioso, ma nascita a miglior

vita. E cosi, quando al presente noi moriamo per altri, niun altro amiamo in tal atto, se guardasi intimamente, più di noi stessi; mercecché con un tal atto ad altrui vogliamo un bene caduco, qual è la difesa delle loro sostanze, o proli, o persone, ed a noi ne vogliamo un eterno, qual è quel che ci viene dalla virtù, mezzo unico a farci diventare beati per tutti i secoli. Ma non così quando perisse l’anima in un col corpo. Allora ella non avrebbe più che sperare per tutta l’eternità. E però, come può stare, che la virtù la quale è il bene sommo dell’uomo, abbia a divenire per lui la somma miseria, privandolo d’ogni bene? Non sarebbe allor la virtù una perfezione nella natura umana, a tutti amorevole, ne sarebbe un di struggimento; e così non sarebbe virtù, ma vizio.

IV. Ne vale il ripigliare che l’uomo forte potrebbe allora per nobile ricompensa del suo morire sperar la gloria, che è un’altra spezie di vita, per cui sopravanzerebbe alle proprie ceneri, nell’immortalità della fama. Bellissime vanità! Se alla virtù volesse darsi per mercede la gloria, sarebbe un voler pagarla, o piuttosto beffarla col suon dell’oro.

V. Primieramente la gloria che si dà all’uomo non è altro che un segno della virtù la quale lo adorna. Conviene adunque che ella sia un bene inferiore al significato. Ma se è bene inferiore della virtù, come dunque può essere tutto il premio?

VI. Di più la gloria viene talora attribuita largamente anche al vizio; onde se ella è segno di virtù, non è segno certo; non discernendo il popolo così bene la via di mezzo, ma confondendo il temerario col prode, come confonde il prodigo col liberale, il timido col sensato, il tetro col serio, il giusto col rigoroso. Adunque non può la gloria dirsi mai la corona della virtù, mentre bene spesso si vede in fronte anche al vizio, che n’è sì indegno.

VII. Senza Dio l’operare per gloria umana non perfeziona giammai l’atto virtuoso, ma lo distrugge, e con lasciargli l’apparenza di bello gli toglie la realtà. Onde è che un atto di fortezza anche sommo, il qual procedesse, non da motivo di onestà, ma di vanto, sarebbe quasi un cadavere di virtù, tanto sarebbe insensato. Si aggiunge, che la virtù più consiste negli atti interni, i quali perfezionano l’uomo quasi un tesoro nascosto, che negli esterni (Arist. eth. 1. 4. c. 8 ) . Onde come può ella mai dalla gloria riportar premio compito di sé? Al più lo può riportare di quella poca parte di sé che apparisce agli occhi de’ riguardanti, or lividi, or loschi.

VIII. E se è così, qual bene è mai questa gloria, che l’uomo forte abbiala da comperar volentieri a sì grave costo, quale è quello del proprio annichilamento? Sicuramente, annichilato che fosse, non potrebbe egli ascoltar già quelle lodi che a lui si dessero dai posteri ammiratori del suo coraggio. E però qual frutto il meschino ne ritrarrebbe, morto al piacer dell’immortal suo nome? Non si potrebbe neppure dir che riposasse all’ombra dell’umana felicità (quando anche di tal nome vogliamo onorar la gloria), non che dir, che gustassene un puro saggio: Quœ post fata venit gloria, sera venit (Mart.). Dal che, per concludere, finalmente avverrebbe, che il supremo atto della fortezza, virtù di eroi, non solamente fosse incapace di premio, ma recasse in dote al virtuoso il sommo de’ mali, che è farlo ricader nell’antico nulla. E una virtù cosi barbara, potrebbesi allora dir che fosse virtù? Virtù allora sarebbe piuttosto i1 vizio: che è l’altra proposizion che io dovea provare, ed or ve la proverò.

II.

IX. Un intemperante a gran ragione vien riputato tra gli uomini quasi un porco. Ma se all’intemperanza si congiunga in lui la ingiustizia, sarà un cignale, non solo deforme in sé, ma dannoso ad altri, disertatore d’ogni giardino più bello che trovi aperto. Tuttavia se l’anima avesse i limiti del viver suo non più ampli, che gli abbia il corpo, l’intemperanza e l’ingiustizia sarebbero non più colpa nell’uomo, ma abbellimento, siccome quelle che non dovrebbero partorirgli più biasimo, ma splendore.

X. E quanto alla intemperanza, è manifesto, che se l’anima dovesse restare oppressa dalle rovine delle sue membra, il sommo bene che a lei fosse possibile, sarebbe tenerle in piedi, e il sommo male dar loro occasione alcuna di cedere, di crollare, di indebolirsi. E però siccome la più laudevol cosa che sia nell’uomo è cercare il suo bene sommo: così allora la più laudevole cosa che fosse in lui sarebbe nutrir bene il suo corpo vile, ingrassarlo, invigorirlo e saziarlo di tutti quei godimenti che fosser atti a tenerlo più consolato. Sicché quell’epitaffio brutale, che già Sardanapalo fé incidere alla sua tomba: Hæc habui, quæ edi, quæque exsaturata voluptas hausit; laddoveè una iscrizione degna di porsi alla sepolturad’un asino, sarebbe allora quasi un compendio di arcana filosofia. E diffatto per qual ragioneè degna di lode la temperanza, se non perché fa ubbidire il corpo allo spirito, noncurante di ciò che passa, per meritarsi quel ben che non passa mai?Ma se, mancando il corpo, mancasse ancora lo spirito, dovrebbe lo spirito, tutto da lui dipendente, ubbidire al corpo, senza cui nulla avrebbe mai che sperare di utilità. Adunque la temperanza non sarebbe allora laudevole, ma viziosa. È lode forse a un cavallo proposto in vendita, dir che egli è un cavallo astinente? Anzi è il suo biasimo sommo. La maggior lode che sulla fiera a lui porgasi, è dire che ha buona bocca;mercecchè non essendo quella bestia capacedi fin più alto, che di vivere un pezzo gaia e gagliarda, sarebbe vizio per lei quella continenzala qual si oppone a un tal fine, ed havirtù quella voracità che più che altro la aiutaad esso, volendo che ella non resti d’empire il ventre fintantoché il calor naturale, mal soddisfatto, le dice, mangia.

XI. All’istessa maniera sarebbe virtù nell’uomo anche l’ingiustizia. Figuratevi un uomo, che non conosca altra regola che il suo senno, né altra ragione che la sua spada. Un uomo, che non si stimi venuto al mondo, senonchè solo, qual luccio in acqua, per nuocere a quanti può. Un uomo, il quale per pompa di maggioranza vanti le soverchierie da lui fatte ad ogni suo prossimo, e ne derida con egual fasto le accuse e le approvazioni; questi dico (se il corpo avesse un dì a divenir sepolcro dell’anima, come ora n’è abitazione), questi è colui che si dovrebbe riputare il più degno di dominare su tutti gli uomini, come il più virtuoso che tra lor fosse: questi più d’ogni altro sarebbesi incamminato per via diritta all’ultimo fine, che sarebbe allora di farsi apprezzar da tutti; e questi parimente darebbe allor più nel segno di conservarsi, di contentarsi, di vivere a modo suo. In un tal caso sarebbe lecito il rompere ogni amicizia, il mentire, il malignare, il negare la fede data, quando tutto ciò fosse mezzo il più compendioso ad evitare la morte, o a migliorare la condizione di quella vita mortale che sarebbe allora il sostegno di ogni altro bene. Che stare allora a vantar più quell’onorato Demetrio, che tentato da Cesare a tradir la giustizia, colla promessa di magnificentissimo donativo, rispose acceso di sdegno, che l’imperio tutto di Roma non era prezzo bastevole a subornarlo: Si tentare me Cæsar constituerat, toto illi fui experiendus imperio. Invano Seneca si aiuterebbe allora tanto a esaltare fino alle stelle una tal risposta; mentre, quanto più savio è quell’elefante il quale, a salvar la vita, getta a’ cacciatori l’avorio che tiene in bocca, tanto più stolto sarebbe allor quel Demetrio che non accettasse ogni acquisto, ogni avanzamento, ma stimasse più la parola, che la disgrazia di Cesare, provocato da quel contegno. Che parola? che lealtà? che giustizia? che gratitudine? che costanza, se muore l’anima? Niun bene dee più stimarsi del sommo bene. Niun male dee più scansarsi del sommo male. Ora, se l’anima fosse mortale anch’essa, il suo sommo bene sarebbe vivere lungamente, il suo sommo male il morire. E però ogni ragione vorrebbe allora, che l’uomo, per allungare la vita, o per migliorarla, desse da sé bando espresso ad ogni altro affetto: né sarebbe in tal atto più biasimevole di ciò che sia quel mercante, il quale, a salvar la nave, getta in mare ogni cassa, che già non gli è nella tempesta più d’utile, ma di danno.

III.

XII. Ed eccovi come nello sconvolgimento morale di cui trattiamo la virtù sarebbe vizio, il vizio virtù. E vi par questo disordine da passarsi per tollerabile? Se fosse ciò, dunque ne seguirebbe, che in questo mondo Iddio trattasse da famigliari e domestici i suoi nemici, e da nemici i suoi famigliari e domestici. Uno degli effetti propri dell’amicizia è la manifestazione dei segreti. Ora questo sì grande arcano, che colla morte finisca il tutto, finiscano tutte le pene, finiscano tutti i premi, sarebbe nascostissimo a tutti i buoni, che con tanto lor costo vanno dietro le insegne della onestà; e per l’opposito sarebbe noto a quegli empi, che più dissolutamente si danno al male. Onde gli empi sarebbero quei domestici ammessi nel gabinetto a sapore il vero; e i buoni sarebbero gli stranieri tenuti all’uscio.

XIII. Anzi di vantaggio, il mezzo per arrivare a questa familiarità sì stretta con Dio sarebbe lo strapazzarlo solennemente; mentre vediamo, che quanto uno diventa nel suo vivere più sacrilego, o più sfrenato, tanto più facilmente egli inclina sempre a persuadersi, che l’anima sia mortale. Onde, come avviene colla pianta del balsamo, così avverrebbe parimente con Dio. Chi più attendesse a ferirlo, più ne spremerebbe di sugo di verità.

XIV. Che so lo sparviere, quando è pasciuto troppo, non sa volare bene in alto a raggiungere la sua preda, nel caso nostro succederebbe il contrario. La mente umana non si solleverebbe mai più speditamente ad arrivare queste verità sublimissime, e ad arrestarle, che quand’ella fosse gravata più d’ogni laida scelleratezza. E la coscienza di un empio così perduto sarebbe quella che dovesse posar più pacatamente: mentre a lei sarebbe toccato in sorte d’apporsi nei suoi giudizi, allora che si propose voler di qua tutta la felicità immaginabile, lasciando a chi la volesse quella che si potrebbe sognar di là.

XV. Sapete voi pertanto mai figurarvi stravolgimento di cose più sregolate? Questo sì che sarebbe un vero tenere i piedi dove va il capo, e un vero tenere il capo ove vanno i piedi: mentre questo sarebbe un camminare al rovescio di quanto detta, non la fantasia solamente, ma la ragione. E a voi piace seguir opinion si bella? Oh che stolidezza! Fate ciò che volete. Il vostro intelletto conviene che provi spasimi intollerabili, quando abbia da inchinarsi a tali spropositi, e dirvi: Sì. i buoni in questo mondo hanno ad essere ingannati? Gli scellerati hanno ad essere gli intendenti? – Nol dirà mai.

LA CATENA D’ORO DEI SALMI: NOTE INTRODUTTIVE (3)

LA CATENA D’ORO DEI SALMI: NOTE INTRODUTTIVE (3)

La catena d’oro dei SALMI

o I SALMI TRADOTTI, ANALIZZATI, INTERPRETATI

E MEDITATI CON L’AIUTO DI SPIEGAZIONI E RELATIVE CONSIDERAZIONI, RICAVATE TESTUALMENTE DAI SANTI PADRI, DAGLI ORATORI E SCRITTORI CATTOLICI PIU’ RINOMATI.

Da M. l’Abbate J.-M. PÉRONNE,

CANONICO TITOLARE DELLA CHIESA “DE SOISSONS” , Professore emerito di sacra Scrittura e di Eloquenza sacra.

TOMO PRIMO.

Capitolo V

Difficoltà generali dei Salmi e regole generali e particolari per la perfetta comprensione dei Salmi

– Quali sono le principali cause delle difficoltà che si incontrano nei Salmi?

Il libro dei Salmi è uno dei nostri Libri santi più fecondi in difficoltà, che sono di ogni genere.

I lavori dei Santi Padri, le sapienti ricerche degli interpreti antichi e moderni ne hanno fatto indubbiamente superare un certo numero, ma ne restano ancora molte sulle quali ci si è ridotti a dare delle spiegazioni più o meno probabili. Far conoscere le cause di queste difficoltà, significa segnalare gli scogli contro i quali numerosi interpreti si sono infranti, ed indicare nello stesso tempo i mezzi per evitarli. Ora, tra le cause di oscurità, alcune sono comuni ai Salmi ed ai libri ispirati, le altre sono peculiari a questi inni sacri.

I. I Salmi hanno in comune con gli altri libri santi:

la profondità della parola di Dio. La profondità del senso che accompagna sempre la parola di Dio, e che lo spirito dell’uomo non può sempre penetrare; questa profondità che appartiene a tutti i Salmi, non è un segreto da chiedere al commentatore, ma la si ottiene per la pietà ed il fervore con i quali si meditano.

2° L’oggetto dei Salmi. Quest’oggetto è o profetico o storico. Nel primo caso, la profondità naturale della parola divina è ancora aumentata dal carattere della profezia, « lo spirito (profetico), penetrando tutto – dice San Paolo – ed anche ciò che è più nascosto nelle profondità di Dio, e svelando l’avvenire con delle aperture che si scoprono con un serio esame e mediante analogia.

– Se l’oggetto dei Salmi è storico, non lo si può intendere senza la conoscenza perfetta degli avvenimenti riportati. Ora, la storia santa non ci fa conoscere nulla – ad esempio – di tutte le circostanze della vita del Re-Profeta, ed ugualmente degli usi e dei costumi ai quali i Salmi fanno allusioni frequenti, ed anche delle espressioni proverbiali usate ai tempi di David; senza possedere queste conoscenze, un gran numero di passaggi sono difficili da comprendere.

II. Le cause di oscurità peculiari ai Salmi sono:

1° Il genere di composizione dell’ode sacra. – Il genere di composizione o, per parlare con Bossuet, « l’entusiasmo poetico, la sublimità dei sensi, la veemenza dei movimenti, la concisione dello stile e questi getti di luce, rapidi come lampi che abbagliano la vista comune; infine, questo tono particolare all’ode sacra che sfugge, si trasporta via, si slancia nelle regioni più elevate, passa bruscamente da una cosa all’altra senza indicare la sua marcia precipitosa. I nostri poeti quando fanno parlare il Signore, non si fanno remore nel prevenire il lettore con queste parole: “così parla il Signore”, il più delle volte con queste formule, non certo per rallentare la rapidità del loro corso, essi vogliono un’attenzione sostenuta capace da se stessa di gustare e sentire le cose » (Bossuet, Dissertaz.). – Questa soppressione frequente delle idee intermedie e delle legature, congiunta allo stilo poetico dei profeti e al carattere dell’ode sacra è causa frequente di oscurità, e non volendo gli interpreti
quasi mai sostituire qualcosa, possiamo immaginare quanto dovesse rimanere
nebuloso il testo che ha sostituito al testo ebraico delle poesie sacre. Ciononostante guardiamoci dal fare di questo peculiare carattere dei Salmi un pretesto per dispensarci dal penetrare in certe difficoltà che si vorrebbero rispettare come misteriose oscurità; guardiamoci soprattutto dall’alleggerire gratuitamente l’entusiasmo poetico credendo di incontrare un difetto di armonia nel contesto di un salmo. L’esame dettagliato che faremo di ogni singolo salmo e l’analisi logica che ne daremo, ci convinceranno che lo Spirito Santo ha saputo aggiungere all’entusiasmo poetico, un ordine molto rigoroso nelle idee, e che sono dovute alla temerarietà di certi spiriti le deviazioni della loro immaginazione che vorrebbero far passare come entusiasmo dello Spirito Santo.

2° Il genio della lingua ebraica. – Un altro elemento di difficoltà concerne la brevità della lingua ebraica. – « l’ebreo, l’arabo ed altri abitanti delle contrade ove il sole emette i suoi dardi brucianti – dice ancora Bossuet – esprimono il loro pensiero con il calore dei gesti e dei movimenti, più che con le parole soltanto, e con frequenti ellissi. Ecco pertanto nel libro di Giobbe e nei nostri Salmi l’oscurità che ne rende la lettura così imbarazzante, difetto che non deve essere messo in conto della lingua stessa, che essendo la più antica del mondo, e non essendo più parlata da oltre venti secoli, è divenuta di difficile comprensione, visto che sfugge ad una folla di sensi che l’uso abituale rendeva invece familiare, e visto che l’eccezione propria di un gran numero di termini che la compongono ed i significati dei particolari, così importanti nei discorsi, non sono più conosciuti con precisione, gettando nella frase dei momenti sconnessi ed imbarazzanti. La grande antichità di questa lingua originale non le permette di arricchirsi di nuovi perfezionamenti che illuminano e rendano lucidi gli idiomi moderni rispetto a quelli antichi » (Dissert. XXIII).

Aggiungiamo ancora le seguenti considerazioni:

1°) nessun dizionario disponibile fu fatto nei tempi in cui si parlava questa lingua;

2°) le nostre versioni più antiche sono state fatte in un epoca in cui l’ebraico era divenuta una lingua da sapienti;

3°) gli interpreti non sempre la comprendevano perfettamente;

4°) non esisteva che un solo libro in ebraico e di conseguenza i punti di comparazione e di analogie erano difficili da stabilire;

5°) il genio della lingua ebraica è tanto diverso da quello da lingue quali il greco ed il latino, per cui è divenuto impossibile ai traduttori rendere sempre il senso ugualmente intellegibile nel rendere poi scrupolosamente le espressioni del testo ebraico.

3° La difficoltà della distinzione dei sensi e dei versetti. – un’ultima causa di oscurità viene dalla difficoltà di ben distinguere, in un salmo, ciò che è letterale da ciò che è figurato, e cioè di determinare in un certo modo gli ambiti nei quali parla Dio, distinguendoli da quelli in cui parla il salmista, o gli ambiti in cui c’è dialogo.

ARTICOLO 1°

Regole generali comuni a tutti i Salmi.

Le regole che diamo qui si rapportano all’attitudine generale che occorre seguire per lo studio di ciascun salmo, per l’intelligenza del salmo sotto i suoi differenti rapporti, ciò che comprende la conoscenza dell’oggetto preciso del salmo, del suo insieme e dei suoi dettagli; la conoscenza del vero significato dei tempi dei verbi, degli ebraismi più frequenti nei salmi, delle principali locuzioni ambigue impiegate dalla Vulgata, e del soccorso che si può ricavare dal parallelismo per la perfetta comprensione dei Salmi.

-1. Regole relative alla conoscenza dell’oggetto e dell’insieme dei Salmi.

Occorre dunque innanzitutto, cercare di comprendere il vero soggetto del salmo che si voglia studiare, soggetto che si conosce ordinariamente dal titolo, dalla sua origine storica, dal suo autore, e meglio ancora dall’analisi del salmo. Una volta diretta l’attenzione sul vero argomento di un salmo, non è sufficiente spulciarlo, per così dire, laboriosamente, versetto per versetto; è l’insieme e lo spirito generale che occorre cogliere, e questo si ottiene coordinando le diverse parti tra di loro, e spiegandone le difficoltà che si incontrano piuttosto nell’insieme del salmo, più che dai principi di soluzione particolare per ogni versetto.

2° Regole relative al vero significato dei verbi.

« Nel testo ebraico della Bibbia – dice M. Bondil (Art. II, osservazioni importanti sui verbi) – si incontrano sovente dei futuri nel racconto di avvenimenti passati, e dei preteriti là dove sono annunciati avvenimenti futuri; a volte i preteriti ed i futuri sono mischiati ed impiegati, si direbbe, quasi a caso per esprimere tutte le differenze temporali. Gli antichi traduttori, pieni di un giusto rispetto per i testi originali, hanno riprodotto la lettera e le forme finché hanno potuto e spesso senza uno sguardo al contesto né al soggetto e senza tener conto del carattere particolare di questa lingua. Ne è risultato che dopo aver seguito esattamente la lettera, almeno in apparenza, essi hanno oscurato e mischiato il retto senso dei passaggi. Alcuni commentatori hanno voluto comunque spiegare certe versioni e dimostrarne dei sensi ragionevoli. Allora è scaturita una chiosa banale: che i profeti vedono le cose future come se fossero già passate, e che quindi essi possono annunciare con dei preteriti. Questa ragione non è da disprezzare, ma c’è una spiegazione più naturale e che si trae dal fondo stesso della lingua, e cioè che i tempi ed i modi in ebraico hanno un valore meno fisso e determinato che in una lingua europea. Due tempi, il passato ed il futuro, ed ancora una sola sorta di passato e futuro, un imperativo, due participi ed un infinito: ecco tutta la coniugazione dei verbi ebraici che del resto hanno più voci. »

Così per convincerci in ciò che occorre sapere su questa importante materia, il preterito ebraico equivale a tutti i nostri tempi passati e a tutto ciò che nella nostra grammatica si chiama imperfetto, perfetto e piuccheperfetto, sia all’indicativo che al congiuntivo; spesso esprime anche il presente ed il futuro. – Il futuro, d’altra parte, oltre al valore dei differenti futuri, esprime l’ottativo, il congiuntivo, l’imperativo, l’abitudine, la durata o la ripetizione frequente dell’azione espressa dal verbo, sia che si tratti di un’azione passata e compiuta, sia che l’azione duri ancora, in modo che la si possa rendere in italiano, sia con l’imperfetto, sia con il presente. – L’imperativo serve a comandare, a pregare, ad esortare, a permettere. – Il participio e l’infinito si prestano a tutti i tempi secondo le circostanze. Spesso si impiega quest’ultimo anche come sostantivo, e unito alle preposizioni, rimpiazza il gerundio latino.

Se ci si domanda come si possa intendere un tale sistema di coniugazione, noi rispondiamo che in ebraico, come in arabo, sono il senso della frase ed il contesto, e l’intenzione dell’autore, che faranno distinguere i tempi. Così, nei comandamenti e nelle preghiere, i futuri equivalgono agli imperativi o ottativi. I tempi che precedono, il cui significato è chiaro, aiutano così a fissare il vero significato di quelli che seguono, così come i luoghi paralleli e l’analogia della dottrina. Il grande principio, è che quando si tratti di avvenimenti avvenire, si deve cambiare ordinariamente il preterito in futuro; quando si tratta di avvenimenti passati, i futuri devono essere resi come dei preteriti, e quando l’autore sacro parla di cose presenti, i preteriti ed i futuri equivalgono a dei presenti. Il contesto e l’oggetto del salmo è sufficiente ad indicare questi cambiamenti. – occorre notare anche che la preposizione ebraica “vau”, tradotta ordinariamente con “e”, non è sempre semplicemente congiuntiva, ma spesso conversiva, vale a dire che, posta davanti ad un preterito, dà un valore di futuro, e viceversa.

Questi principi generali, essendo una conseguenza necessaria della natura della lingua ebraica, non possono essere ignorati dai “Settanta”, che ne hanno fatto un uso ampio, e la Vulgata li ha seguiti. Non è necessario darne delle prove, ma è necessario rettificare qualche omissione, rettificazione necessaria per ottenere il vero senso di certi passaggi.

Così i “settanta” avranno potuto sostituire, con più ragione che in altri distretti, nei passaggi seguenti: “Ecce enim veritatem dilectisti” (Ps. L)

-1° il presente al preterito: “Ecce enim veritatem dilexisti” (L);

Dilexi quoniam exaudiet Dominus” (CXIV); “Benediximus vobis de domo Domini” (CXIII); “Quomodo dilexi legem tuam Domine” (CXVIII); “Cognovi quia faciet Dominus judicium inopis” (CXXXIX).

-2° Il presente al futuro: “In lege ejus meditabitur die ac nocte” (Ps. I); “In labore hominum non sunt et cum ho minibus non flagellabuntur” (LXXII); “Mane sicut herba transeat, mane floreat et transeat” (LXXXIX); “Potabunt omnes bestiæ agri” (CIII); “Os habent et non loquentur” (CXIII); ed in una folla di altri passaggi.

-3° Il presente in participio: “Quoniam multi bellantes adversum me” (LV), etc.

-4° Il futuro all’ottativo ed al congiuntivo: “Conservantur peccatores in infernum” (IX); “Gladius eorum intret in corda ipsorum”(XXXVI).

-5° Il futuro all’imperativo: “Spera in Domino et fac bonitatem et inhabita terram et pasceris …. Declina a malo et fac bonum et inhabita in sæculum” (XXXVI); “Constitue super eum peccatorem” (CVIII); “Dominare in medio inimicorum” (CIX), etc.

-3° Regole relative agli ebraismi più notevoli della Vulgata.

È sufficiente far conoscere ciò che più frequentemente rappresentano.

1° La parte per il tutto, l’anima per l’individuo. Parlando di Giuseppe: “Ferrum pertransiit animam ejus”, il suo corpo, tutta la sua persona (CIV), ferro per spada, etc.

2° L’impiego di due verbi, di cui uno in aumentativo, o qualificativo, e l’altro da tradurre come un avverbio: “Abundavit ut averteret iram suam” (LXXXVII); come se fosse “abunde avertit”;

-“Conversi sunt et tentaverunt Deum” (ibid.); come : “rursum tentaverunt”;

-“Magnificavit facere cum illis” (CXXV); come: “Magnifica fecit, etc”.

3° La costruzione di più verbi con preposizioni da sopprimere per la perfetta comprensione del testo: : “Nos autem in nomine Domini Dei nostri invocabimus” per: “nomen Domini Dei nostri invocabimus (XIX); “Non intellexerunt in opera manuum ejus” (XXVII), per: non intellexerunt opera; .. “Replebimur in bonis” (LXIV); “Ad videndum in bonitate” (CV); “Operuit super congregationem” (CV).

4° Qualche volta, al contrario, il testo, e di conseguenza i “Settanta” e la “Vulgata”, omettono la preposizione, non solo nella composizione delle parole, ma nel corpo della frase: “Averte mala inimicis meis” (LIII), invece di :”ad versus inimicos meos.

5° Lebraico impiega il femminile per il neutro. Così: hæc me consolata est; hæc facta est mihi” (CXVIII); “Unam petii a Domino” (XXVI), stanno per : hoc, unum …

Cercheremo di far conoscere qualche altro ebraismo non meno importante, spiegando nella regola seguente, il significato di qualche termine ambiguo della Vulgata.

– 4° Regole relative alla spiegazione di qualche termine della Vulgata che frequentemente ricorre nei salmi. [per spiegazioni più ampie si consulti il “Lexicon liiblicum” di Writoimuer.]

Anima ha quattro significati particolari nei Salmi:

1) anima: “ad Te levavi animam meam” (XXIV); “Quemadmodum desiderat anima mea” (XLI);

2) Vita “Accipere animam meam consiliati sunt”(XXX); “Confundentur … querentes animam meam” (XXXIV).

3) Persona. “Multi dicunt animæ meæ per : me (III,3); “Quomodo dicitis animae meae” per: “dicits mihi” (X); qualche volta pure Anima è usata per “corpo” come abbiamo visto più in alto: “Ferrum pertransiit animam ejus;” “Non derelinquas animam meam in inferno”(XV).

4) desiderio, volontà. “Ne tradideris me in animas tribulantium me” (XXVL); “Non tradat eum in animam inimicorum ejus” (XL).

Confessio e confiteri” hanno due significati distinti: 1) il più frequente: rendere onore, rendere grazie, lodare, celebrare, significato che deriva da fare una confessione in onore di qualcuno: “in voce exultationis et confessionis” (XLI); “In inferno quis confitebitur tibi” (VI). .2) Talvolta confessare ciò che si è fatto: “Dixi confiteor adversum me injustitiam meam Domino”(XXXI).

Corrigere, Dirigere”, non hanno il senso ristretto della lingua latina; la parola ebraica alla quale corrispondono “Khoun” significa: preparare, raddrizzare, stabilire. Affermare, rendere stabile. È il senso che gli ha dato la Vulgata, dopo i Settanta, traducendolo spesso con “parare”, preparare (VII, 13; IX, 8; XX, 13; XXIII, 2) Constituere (CVI,36); fundare (VIII, 4); fabricari (LXXIII, 10); plasmare (CXVIII, 73); firmare (XCII). In quasi tutti i casi in cui questa parola è resa con “dirigere, corrigere”, bisogna dargli uno dei significati precedenti; raramente significa “rectum facere”: “Et statuit super petram pedes meos et direxit gressus meos” (XXXIX); “Apud Dominum grossus hominis dirigentur” (XXXVI); “ Vir linguosus non dirigetur in terra” (CXXXVIII); etc. “Corroxit orbem terræ qui non commovebitur.” (XCV) “Justitia et judicium correctio sedis ejus”(XCVI).

Ecclesia. Non c’è bisogno di ricordare, per l’uso della Scrittura, che questa parola non ha nei Salmi nessuno dei due sensi che gli diamo nel linguaggio ecclesiastico. Il vero significato è quello che i Settanta e la Vulgata hanno dato alla parola presente in diversi libri della santa Scrittura e talvolta nel Salmi: “Cœtus”, “multitudo populi”, “consilium”.

Exerceri, Exercitari”, nei Salmi, corrisponde a “schouk”, parlare col cuore o la bocca, e significa quasi sempre meditare, parlare, intrattenersi: “In adiventionibus tuis exercebor” (LXXVI); “in mandatis tuis exercebor (CXVIII e passim); “ Et meditatus sum nocte … et exercitabar” (LXXVI).

Exitus” significa tanto “uscita” :In exitu Israel de Aegypto” (CXIII), sia porte ed estremità: “Exitus matutini et vespere delectabis” (LXIV), sia liberazione: “Dominus exitus mortis”(LXVII), sia infine, sorgente, ruscelli: “Posuit … exitus aquarum in sitim et terram sine aqua in exitus aquarum”(CVI); “Exitus aquarum deduxerunt oculi mei” (CXVIII).

Exultare” nei Salmi, corrisponde a “ranan” avere crisi di gioia, di lode, di dolore, celebrare con canti; ha diversi significati, con un regime diretto o con un regime indiretto. Si vede da questo come sia stato facile ai “Settanta” e nella “vulgata”, farci grazia del loro “kekrapaileos” “crapulatus a vino”, e la parola ebraica mithonen significa letteralmente: cantante, esultante per il vino o per l’ebrezza (LXVII).

Facies a facie” significa sia “contro”: “Protege me a facie impiorum” (XII), sia “a causa”: “Non est sanitas in carne mea a facie iræ tuæ” (XXXVII), sia “davanti”: “Sicut fluit cera a facie ignis sic pereant peccatores a facie Dei”(LXVII).

Forsitan” si trova al salmo LIV: “Abscondissam me forsitan ab eo”, al salmo LXXX “Pro nihilo forsitan inimicos eorum humiliassem”, al CXXIII “forsitan aqua absorbuisset nos”, al CXXVIII “Forsitan tenebræ conculcabunt me”. Siccome si può essere sorpresi nell’incontrare questa locuzione dubitativa al salmo LXXX, ove è Dio che parla, è bene sapere che nel salmo LXXX l’ebraico non ha nulla che corrisponde a forsitan, non più che al salmo LIV. Nel salmo CXXIII l’ebraico porta “aza”, allora, e nel salmo CXXVIII ak, ma, certamente.

In” alle accezioni più ordinarie di questa preposizione, bisogna aggiungerne qualche altra che si incontra nei salmi, di cui le principali sono:

1) Con: “Servite Domino in timore et exultate ei cum tremore” (II); “Introibo in domum tuam in holocaustis” (LXV).

2) Dopo “In omnibus his peccaverunt adhuc” (LXXVII).

3) Durante: “Cantabo Domino in vita mea” (CIII), etc.

4) Per, a causa: “Ego aulem in moltitudine misericordiæ tuæ intrabo etc.” (V).”Preparans montes in virtute tua” (LXIV); “Delectasti me in factura tua” (XCI); “Laudate eum in virtutibus ejus”(CL);

-5) Per mezzo: “Deduxit eos in nube diei et tota nocte in illuminazione ignis” (LXXVII), etc.

-6 Per: Exurge Domine in præcepto quod mandasti” (VII); “Accepisti dona in hominibus” (LXVII).

-7) Su: “In tympano et psalterio psallite ei”(CXLIX).

Pauper”, nei salmi, corrisponde alla parola ebraica “anah”, che significa povero, ma più spesso afflitto, oppresso, umile. Sarebbe dunque mal tradurre dandogli il significato di indigente, anche nei punti in cui la “Vulgata” lo traduce con mendicus, egenus, inops.

Puer” significa quasi dappertutto “servitore”. In quasi tutti i casi in cui si trova la parola ebraica “obed”, servitore, la Vulgata traduce con “servus”.

Quia, Quoniam”, l’ebraico “Khi”, perché, poiché, allorché, ché, etc. Queste due particelle sono lungi dall’essere sempre causativo, come in latino o in francese. In diversi casi la “Vulgata” ha reso a ragione la particella ebraica con: – “enim”, XXIV,11; XLIII,4; etc. – quod (CXXXIV,5); – propter quod (CXV, 10); – quem (XXI,32); – quæ (LXXXIX,4); – sed (XLIII,4); -(CXVII,17). Ma in molti altri casi ha tradotto questa particella con “quia”, “quoniam”, in modo da lasciare il senso di “perché”. Spesso occorre dare il senso di “che”: “Cognovi quia faciet Dominus judicium inopis, etc.;” – “vacate et videte quotiamo ego sum Deus” (XLV). Talvolta il senso di “propterea”: “Quoniam cogitatio hominis confitebitur tibi” (LXXV); “Posuisti iniquitates quotiamo omnes dies nostri defecerunt” (LXXXIX); atre volte occorre dare a quia o quoniam il senso di “cum” o “quamvis”. Questo versetto inintellegibile letteralmente: “Et omnes vias meas proevedisti quia non est sermo in lingua mea” (CXXXVIII) si spiega facilmente in questo modo, dice Bossuet: “Tu quidem Deus, omnes cogitationes meas prospexisti, cum ne verbum quidem proferens ullum.” Ugualmente in questo altro passaggio: “Quoniam videbo cœlos tuos” (VIII). – nel salmo LXXVI,12, quia deve tradursi con quin e serve da transizione. – Infine nel salmo CXVII,12, quia è una semplice particella esplicativa: “Et in nomine Domini quia ultus sum in eos”.

Reverentia” ha quasi sempre il senso di “ignominia”, “confusio”, “opprobrium”, “rubor”, che traducono la stessa parola ebraica.

Salutare Dei” dice Bossuet, deve intendersi costantemente “pro salute quæ a Deo sit”.

Santificatio”, significa:

-1) Santità, cosa santa, consacrata a Dio: “Induxit eos in montem sanctificationis suæ” (LXXVII); “Confitemini memoriæ sanctificationis ejus” (XCVI); “Facta est Judæa sanctificatio ejus” (CXIII);

-2) Santuario: “Confessio et pulchritudo in conspectu ejus, santimonia et magnificentia in sanctificatione ejus” (XCV, 6);

-3) Forza: « Surge… tu et arca sanctificationis tuæ » (CXXX,8), ebraico “oz”, forza.

-4) Diadema, corona: “Super ipsum autem efflorebit sanctificatio mea” (ibidem 18); ebraico nizero, corona. Bisogna intendere allo stesso modo la parola “sanctuarium” in questo versetto: “Profanasti in terra sanctuarium ejus” (LCCCVIII);

Sanctus”

-1) corrisponde ad una parola ebraica Kasid, che significa misericordioso, pio, benefattore ed anche che è l’oggetto della bontà e della misericordia di Dio. Si trova utilizzato una ventina di volte con questo significato. Così, per citare qualche esempio, quando il salmista dice (LXXXV): “Custodi animam meam quoniam sanctus sum”, come se dicesse probus, o benignus, o beneficus, o misericors, o studiosus boni bene faciendi sum. È il contesto che ne determina il significato migliore.

-2) Sanctus risponde alla parola ebraica, “kadosch” che significa:

-1) essenzialmente puro, spesso perfetto, parlando di Dio: “Sanctum Israel exacerbaverunt (LXXVII); .

-2) degno di grandissima venerazione, parlando del suo nome: “confiteantur nomini tuo magno quotiamo terribile et sanctum est” (XCVIII);

-3) che vive secondo le leggi di Dio; parlando degli uomini, “Sanctis qui sunt in terra ejus mirificavit omnes voluntates meas in eis” (XV);

-4) che è consacrato a Dio, parlando dei luoghi e delle cose: “Sanctum est templum tuum, mirabile in aequitate” (LXIV).

Spiritus” significa:

-1) vento: “Spiritus procellarum pars calicis eorum” (X); “in spiritu vehementi conteres naves Tharsis” (LXIV);

-2) soffio: “Ab increpatione tua Domine, ab inspiratione spiritus iræ tueæ”(XVII); “Recordatus est quia caro sunt, spiritus vadens et non rediens”(LXXVII);

-3) anima: “In manus tuas commendo spiritum meum”(XXX); “nec es in spiritus ejus dolus”(LXXVII);

-4) Spirito: “Cor mundum crea in me Deus, et spiritum rectum”, come nei versetti seguenti (L): “Meditatus sum nocte cum corde meo … et scopebam spiritum meum” (LXXVIII). In quasi tutti questi passaggi, questo senso è determinato dall’opposizione tra “cor” e “spiritus”, eccetto quando si tratti dello Spirito di Dio: “ Spiritus tuus bonus deducet me in terram rectam” (CXLII). In tutti gli altri casi, la parola ebraica tradotta qui da “spiritus” è tradotta con “ventus”.

Synagoga” corrisponde alla parola ebraica “edah”, assemblea.

Vas” significa:

-1) vaso: “Tamquam vas finguli confringos eos” (II);

-2) strumento: “Confitebor tibi in vasis psalmi” (LXX);

-3) tiro, freccia: “Arcum suum tetendit … et in eo paravit vasa mortis”(VII).

Verbum”, oltre al significato di “eloquium sermo, res, negotium”, è usato frequentemente come aumentativo: “verba iniquo rum”, per “iniquitates”; – “verba delictorum” o “verba rugitus”, per delitto o ruggito; – “verba malitium o malum.

Virtus” corrisponde a:

-1) potenza: “Præparans montes in virtute tua” (LXIV);

-2) forza: “Aruit tamquam testa virtus mea” (XXI);

-3) fortia o cose forti: “In Deo faciemus virtutem” (LIX);

-4) ricchezze: “Qui confidunt in virtute sua et in moltitudine divitiarum sua rum gloriantur” (XLVIII);

-5) armata: “Et escussi Pharaonem et virtutem ejus in mari rubro” (CXXX);

-6) bastione: “Narrate in turribus ejus … Ponite corda vestra in virtute ejus” (XLVII); “Fiat pax in virtute tua, etc,” (CXXI).

Qui al contrario di ciò che abbiamo visto, l’ebraico è più vario del greco e del latino, ed offre sei parole tradotte spesso con “virtus”, benché siano talvolta tradotte con una delle parole precedenti. Si sa che questa locuzione, frequente nei Salmi: “Dominus Deus virtutum”, equivale a “Dominus Deus exercitum”.

In questa nomenclatura abbiamo inserito le parole il cui significato è più frequentemente equivoco.

-5° Regole relative ai soccorsi che si possono trarre dal parallelismo per la perfetta intelligenza dei Salmi.

Il parallelismo delle parti di uno stesso versetto può, in molti casi, essere di grande aiuto, sia per fissare il senso dei termini e dei passaggi oscuri od equivoci, sia per scegliere tra le versioni o lezioni diverse. Come in precedenza mostreremo qualche esempio chiarificatore.

-1) così in virtù del parallelismo: “infernus” deve avere un senso analogo a “mors” in: “Dolores inferni circumdederunt me. Preoccupaverunt me laquei mortis” (XVII), così come al salmo CXIV, 3. E al contrario la stessa parola ha il senso di tomba in: “Domine eduxisti ab inferno animam meam, Salvasti me a descendentibus in lacum” (XXIX).”In idipsum” è determinato nel senso di simul, una per mecum.Magnificate Dominum mecum, et exaltemus nomen ejus in idipsum” (XXXIII).

pulchritudo agri” deve intendersi per gli animali che popolano i campi, in: “Cognovi omnia volatilia cœli. Et pulchritudo agri mecum est” (XLIX). “Vellus” sta per tonsam herba in “Descendet sicut pluvia in vellus. Et sicut stillicidia super terram” (LXXII).

-2) col parallelismo si vede ugualmente che il senso dell’ebraico sia preferibile nei passaggi seguenti, come in molti altri:

Ebraico -Vulgata                                           

(Ebraico) Mollius est butyro os eorum, sed bella gerit cor eorum.

(Vulgata) Divisi sunt ab ira vultus ejus, et appropinquavit cor illius.

.           .

(Ebraico) Leniora verba illorum oleo, sed ipsa gladii districti.

(Vulgata) Molliti sunt sermones ejus super oleum, et ipsi sunt jacula (LIX).

(Ebraico) Horripilant præ timore tuo caro mea, Et a judiciis tuis timui.

(Vulgata) Confige timore tuo carnes meas, Ajudiciis enim tuis timui (CXVIII).

-3) il parallelismo esige ancora che si legga “Fructus” al nominativo e non al genitivo in: “Ecce hæreditas Domini, filii, Merces, fructus ventris” (CXXVI).

Regole particolari seguendo la natura dei Salmi.

§ I. Regole per i Salmi profetici

-I^ regola – Per determinare se il senso letterale di un salmo si rapporti a Gesù Cristo o alla sua Chiesa, bisogna studiare tutti i caratteri del personaggio in questione, ed in seguito non solo se essi convengano a Gesù Cristo ma, se pur in un certo numero, se essi non convengano che solo a Lui. In quest’ultimo caso, l’armonia del testo intero esige, secondo il parere di quasi tutti gli interpreti, che le parti del salmo si rapportino letteralmente a Gesù-Cristo o alla sua Chiesa, benché possano convenire assolutamente, per qualche rapporto, ad un altro personaggio. Allora si avranno, se si vuole, due sensi letterali per una parte del salmo, ed un solo senso letterale per i punti che non convengano che a Gesù-Cristo.

-2^ regola – Se ci sono dei caratteri che si applicano letteralmente e direttamente a David e che, secondo la storia, sono stati con evidenza compiuti nella sua persona, e che ci siano pure altri punti di maggior grandezza, più magnifici, e che gli convengono meno perfettamente, si può concludere che il salmo, applicabile nel senso letterale a Davide, debba applicarsi nel senso spirituale a Gesù-Cristo anche per le parti che convengono propriamente e letteralmente a Davide, figura di Gesù-Cristo.

È in tal senso che gli Apostoli hanno applicato a Gesù-Cristo e alla sua Chiesa certi passaggi applicabili nel senso letterale a David o agli avvenimenti del suo tempo. Gli interpreti, in virtù del rapporto di analogia, intendono anche l’uso di questo senso spirituale ai Salmi il cui oggetto non esiga affatto questa applicazione al Messia.

§ II. — Regole per i Salmi storici

Questi Salmi si riferiscono o a fatti passati o ad avvenimenti presenti della vita o dei tempi di Davide.

– 1^ regole per i fatti passati.

Una conoscenza esatta dei libri storici può solo gettar luce sulla recita poetica e concisa che i Salmi fanno di questi avvenimenti ai quali essi si contentano anche talvolta di fare semplicemente allusione come vedremo a suo tempo.

-2^ regola per gli avvenimenti della vita o dei tempi di Davide.

Oltre al nome dell’autore, o l’origine storica del salmo racchiuso nell’iscrizione, ci sono altri caratteri che indicano chiaramente che certi salmi hanno per oggetto gli avvenimenti della vita di Davide. Le sue persecuzioni, le sue guerre, il furore dei suoi nemici, i pericoli che ha corso, i ricordi frequenti del suo peccato, del suo perdono, il suo amore per Dio, la sua fiducia in Dio, di cui rinnova spesso la sua rassicurazione, i suoi sospiri davanti al Tabernacolo e all’arca santa della quale descrive il trasporto, sono tante caratteristiche che, secondo la maggioranza dei Padri e degli interpreti, debbano farci prendere la storia di Davide come la vera chiave di interpretazione di questi Salmi.

§ III. — Regole per i Salmi morali e didattici

-1^ regola – non bisogna cercare nei Salmi una morale assolutamente perfetta come quella del Vangelo. Dio ha rivelato la sua dottrina per gradi, Egli ha comunicato “con misura”, le sue luci  agli uomini della rivelazione mosaica, e ne ha riservato la pienezza alla nuova Legge del Vangelo.

-2^ regola – Alcune delle sentenze racchiuse nei Salmi possono essere vere sotto la legge antica, la cui osservanza era ricompensata con delle felicità temporali, e non avere più lo stesso carattere di verità sotto la Legge nuova, che riconosce una diversa sanzione, di cui la prima è solo una figurazione. La sanzione temporale della legge di Mosè riguardava senza dubbio principalmente il corpo della nazione; ma spesso Davide si riferiva agli individui, cosa ben lungi dall’essere vero sotto il regno del Vangelo.

-3^ regola.– Nelle sentenze enunciate nei Salmi sapienziali, non bisogna esigere che esse siano vere per tutti i casi, ma solamente per i casi più ordinari e sicuramente per quelli di cui parla il salmista. Qui come altrove, l’universalità morale è sufficiente, e non è necessaria una universalità metafisica. Accade anche che alcune non siano vere che per Davide e possano essere limitate alla sua esperienza individuale: “Non vidi justum derelictum, nec semen ejus quærens panem.”

https://www.exsurgatdeus.org/2020/07/13/la-catena-doro-dei-salmi-note-introduttive-4/

DA SAN PIETRO A PIO XII (4)

DA SAN PIETRO A PIO XII (4)

[G. Sbuttoni: Da Pietro a Pio XII, Edit. A. B. E. S. Bologna, 1953; nihil ob. et imprim. Dic. 1952]

CAPO IV.

CRISTIANIZZAZIONE DELLA SOCIETÀ’

PREAMBOLO

Aiuti umani

Anche l’Impero Romano aveva preparato il terreno al Cristianesimo. Aveva resa presente e frequente negli spiriti l’idea di una umanità unica; unica e di pari diritto dinanzi alla legge. E questa idea di un’unica famiglia si era poi incarnata, con a capo l’Imperatore (Pontifex Maximus) in una organizzazione religiosa e politica, intellettuale e amministrativa che offrirà i quadri già stabiliti alla Gerarchia cattolica, in un sistema dì basiliche e di scuole, di strade e di comunicazioni che, partendo da Roma, portavano la civiltà, la cultura e la legge in tutti i paesi del mondo conosciuto. Anche la retorica aiutò la diffusione dei Cristianesimo. L’arte di ben parlare, l’arte di «persuadere », era stata una forza, non soltanto della politica, sulle labbra di Cesare, non soltanto una forza della giustizia nei tribunali e in bocca agli avvocati; ma soprattutto una forza della verità e della bontà in filosofi quali Socrate e Platone. – Il Cristianesimo s’impadronì subito di questa forza. Pose nell’arte vecchia della retorica il vin nuovo della Grazia, il principio della vita nuova. S. Paolo poté affermare la predicazione, cioè la parola parlata da uno a molti, essere il solo veicolo della Fede. Non disse il libro, non disse i monumenti; disse: la predicazione. E la Chiesa, che è un organismo vivo, parla; affida la verità alla parola viva trasmessa di bocca in bocca. La Chiesa ha sempre dato, attraverso i secoli, maggior valore alla « tradizione orale ». Le stesse S. Scritture sono affidate al Magistero Ecclesiastico. Contro coloro che riconoscevano soltanto i documenti scritti e i monumenti storici, la Chiesa Cattolica ha sempre difesa la Tradizione orale. Il Cristianesimo ha una voce che valica lo spazio e percorre i secoli. Il suo insegnamento parla con mille voci. Se stesse in un solo libro, basterebbe una biblioteca a contenerlo; anzi basterebbe uno scrigno. Non sarebbe necessaria la Chiesa viva, parlante ancora, cioè predicante. Sopra tutto il Cristianesimo veniva aiutato dalla filosofia greca e greco- romana, in quel che essa aveva dì più profondo e umano. Socrate non era morto invano, e il suo pensiero era luce intellettuale dell’anima. L’anima, che dal greco ànemos significa vento; alito, respiro, anche se riposta nell’ intelligenza cominciava a tralucere e a scoprirsi. E non soltanto si scoperse nel pensiero, l’anima, ma si cercò di educarla. Chi la diceva nata al piacere, chi nata al dolore; ma il fatto importante era questo: si capiva che l’anima aveva un fine superiore al corpo. – Il Cristianesimo rivelò qual fosse questo fine e quali i mezzi per raggiungerlo. Tutto ciò aiutava il Cristianesimo, non lo formava; lo

favoriva e lo diffondeva, non lo creava. C’è stato chi ha creduto di poter spiegare il Cristianesimo mettendo insieme questi elementi: ebraismo, misteriosofia, romanità, retorica, filosofia. – Sarebbe come voler spiegare la vita, facendo l’analisi del corpo

umano. Un corpo vivente si appropria elementi che lo possono sostenere, aria, acqua, calore… ma questi elementi entrano nella vita, non possono infondere la vita.

La vita cristiana l’aveva infusa Gesù. Il Cristianesimo si spiegava soltanto con Lui e per Lui. Tutto il resto non era che accessorio, magari utile, magari benefico.

1 . – LA PENETRAZIONE CRISTIANA

D. Come penetrò il Cristianesimo nelle masse?

— Con il solo mezzo della convinzione.

D. Gli Apostoli e i primi Evangelizzatori dove svolsero la loro attività?

— Nelle grandi metropoli, come Damasco, Antiochia, Efeso, Tessalonica, Atene, Corinto, Alessandria, Roma.

D. A chi rivolsero essi la loro parola?

— A tutti indistintamente. L a conversione di famiglie ragguardevoli e di persone eminenti per autorità e prestigio giovò poi a raggiungere intere masse..

2. – LA VITA DEI CRISTIANI

D. Come dovevano vivere i Cristiani?

— L o precisava bene S. Pietro nella sua prima lettera agli Asiatici.

D. Che dice in essa?

— « Carissimi, io vi scongiuro che vi guardiate dai desideri carnali, che guastano l’anima, vivendo bene tra le genti; affinché laddove sparlano di voi come malfattori, vedendo le vostre opere buone, glorifichino Dio. Siate dunque soggetti, per riguardo a Dio, ad ogni autorità; tanto al re, quanto ai presidi, perché tale è la volontà di Dio. Onorate tutti; amate i fratelli; temete Dio; rendete onore al re. – Servi, siate soggetti con ogni timore ai padroni, anche soffrendo ingiustamente; le donne siano soggette ai loro mariti; siate tutti una anima sola, compassionevoli, misericordiosi, modesti, uniti, non rendendo male per male, ma, al contrario, benedicendo ».

3. – CITTADINI MODELLO

D. Erano proprio cittadini modello i Cristiani di quei secoli?

— Sì, come ne fa fede lo stesso proconsole dell’Asia Minore, Plinio il Giovane, nella lettera indirizzata all’imperatore Traiano.

D. Che aveva ordinato l’imperatore?

— L a persecuzione contro i Cristiani.

D . Che risponde Plinio?

— « La loro colpa, egli dice, si riduceva a questo : — che in un dì stabilito (la domenica) solevano adunarsi prima che fosse giorno e cantavano a Cristo, come a Dio; e si obbligavano con giuramento non a commettere qualche delitto, ma a non commettere furto o latrocinio, o adulterio; a non tradire la fede data, e non rifiutarsi di restituire il deposito quand’erano invitati a farlo. Fatto ciò, avevano per costume di separarsi e riunirsi di nuovo per prendere insieme un pasto ordinario, e innocente. (Cioè le àgapi, alla fine delle quali si accostavano alla s. Comunione eucaristica). Perciò ho differito l’inchiesta e, sono ricorso a te, per consiglio ».

D. E quanti erano!

— Lo dice Plinio: « Mi è sembrato che ci fosse motivo di consultarti,, specialmente per il numero di quelli che sono in pericolo. Infatti molti di ogni età, d’ogni classe sociale, e anche d’ambo i sessi, sono e saranno chiamati a giudizio. E non solo per le città, ma anche per i villaggi e le campagne si è diffuso il contagio di questa superstizione ».

4. – GLI APOLOGISTI E L E SCUOLE CRISTIANE

D. Quali accuse venivano lanciate contro i Cristiani?

Venivano calunniosamente accusati di ateismo, di empietà, di atti crudeli.

D. Che avvenne di tali accuse?

— Vennero sfatate dai fatti. Osservatori imparziali, come Plinio, finirono per ammirare i Cristiani, particolarmente per l’affetto che si portavano a vicenda e per l’aiuto che si prestavano a vicenda; senza differenza di classe: nobili e plebei, padroni e schiavi.

D. Che giovò ancora a sfatarle?

— Le così dette « APOLOGIE » o difese della Fede cristiana, che uomini illustri per sapere presentavano agl’imperatori o al senato di Roma.

D. Quali le più celebri?

— Quella del sacerdote cartaginese TERTULLIANO, presentata all’imperatore Alessandro Severo, e quella di ORIGENE in risposta alle calunnie del filosofo pagano Celso.

D. I Cristiani erano nemici della scienza?

— Tutt’altro, come lo dimostrano le molte scuole e i molti letterati sorti fin dai primi secoli. La scuola superiore di Alessandria di Egitto e quella di Antiochia di Siria ebbero insegnanti e scrittori di grande fama, veri luminari della Chiesa antica.

5. – LA CRISTIANIZZAZIONE DELLO STATO

D. Chi si propose di dare allo Stato un’impronta cristiana?

— Costantino, il quale concesse al Cristianesimo favori di ogni genere.

NOTA. – Infatti costruì le magnifiche basiliche del Laterano, di San Pietro e S. Paolo; introdusse nelle città l’obbligo del riposo domenicale; mise in onore la Croce, proibendo che si adoperasse come strumento di condanna; proibì il maltrattamento degli schiavi, vietando che ai fuggitivi si imprimesse il marchio sulla fronte; chiuse i templi pagani; proibì ai suoi governatori di presenziare ufficialmente ai riti pagani; assunse Cristiani negli uffici pubblici; donò a Papa Silvestro il palazzo Laterano e l’annessa basilica del Salvatore, che divenne sede ufficiale del Capo della Chiesa.

D. In qual modo inoltre Costantino concorse a dar prestigio alla Chiesa?

— Trasferendo la Corte imperiale a Bisanzio, che da lui prese il nome di Costantinopoli. Così concorse a dare al Papa e alla Chiesa quella indipendenza, libertà e sovranità di Roma, senza la quale il Papa non avrebbe potuto esercitare sul mondo di allora, così agitato, quell’influenza religiosa e morale per la quale Cristo aveva istituito il Papato.

6. – ULTIMI BAGLIORI DEL PAGANESIMO

D. Chi tentò di risuscitare il paganesimo?

— Giuliano, nipote di Costantino, sul cui animo seppero tanto influire gl’insegnanti e filosofi pagani di Atene e Costantinopoli dove studiò, da fargli perdere la Fede cristiana e da farne un apostata. Nei 20 mesi che imperò, perseguitò molto la Chiesa. Poco dopo però Teodosio dichiarò il Cristianesimo Religione dello Stato. Fu la morte del paganesimo.

LA CATENA D’ORO DEI SALMI: NOTE INTRODUTTIVE (2)

LA CATENA D’ORO DEI SALMI: NOTE INTRODUTTIVE (2)

La catena d’oro dei SALMI

o I SALMI TRADOTTI, ANALIZZATI, INTERPRETATI E MEDITATI CON L’AIUTO DI SPIEGAZIONI E RELATIVE CONSIDERAZIONI, RICAVATE TESTUALMENTE DAI SANTI PADRI, DAGLI ORATORI E SCRITTORI CATTOLICI PIU’ RINOMATI.

Da M. l’Abbate J.-M. PÉRONNE,

CANONICO TITOLARE DELLA CHIESA “DE SOISSONS” , Professore emerito di sacra Scrittura e di Eloquenza sacra.

TOMO PRIMO.

Capitolo III.

I. TITOLI DEI SALMI

-I- Sembra assai inutile, a prima vista, occuparsi in dettaglio di questa parte dei Salmi, in apparenza così poco certa nella sua autenticità ed oscura nel suo significato. Supponiamo comunque che l’autenticità ed il significato della maggior parte di questi titoli possa essere sufficientemente provata per conoscere immediatamente gli autori e gli argomenti dei Salmi, giustificando così questo capitolo. Ora la maggior parte dei santi Dottori hanno sempre rispettato i titoli dei Salmi e li hanno considerati molto importanti per acquisire la conoscenza dell’oggetto dei Salmi, dello scrittore e della sua intenzione. San Girolamo li definisce la chiave dei Salmi (quid est titolus nisi clavis?(pæf. Comm. Psal.). second Sant’Agostino essi ne sono come l’annunzio: Præco psalmi est titulus psalmi. È dal titolo – dice il santo Dottore – che dipende tutto il contesto del salmo. Colui che conosce ciò che è scritto sul frontespizio di una casa, può entrarvi senza nulla temere, e quando sarà entrato non si smarrirà perché ha visto già dall’entrata cosa occorre fare per non smarrirsi al suo interno. (Ps. LIII e passim). S. Crisostomo insegna espressamente che i titoli dei Salmi sono stati dettati dallo Spirito Santo, e li compara alle statue che i re elevano a coloro che hanno ottenuto le vittorie (in tert. Psalm.). vediamo quindi cosa pensare di questa questione i cui risultati possono essere preziosi per la perfetta intelligenza dei Salmi. Le risorse della critica moderna ci danno il diritto di essere più severi degli antichi, sull’autenticità ed il significato dei titoli dei Salmi, ma non di disdegnarli con il pretesto che qualche titolo sia evidentemente sopraggiunto o intellegibile (si veda il sommario di P. Bethier sul salmo III).

II. — AUTENTICITA’ DEI TITOLI.

Le regole di una sana espressione critica ci consigliano qui di tenerci lontano dalle due opinioni estreme sull’autenticità dei titoli dei Salmi; l’una pretende che tutti i titoli siano autentici nel tenore stesso della loro espressione, senza eccettuare anche i titoli particolari che si trovano nei “Settanta”, la Vulgata e la versione siriaca; l’altra rigetta tutti i titoli senza eccezione e sostiene che essi non sono che aggiunte fatte in tempi posteriori. L’unica opinione che abbia una fondata ragione è quella che ammette, in principio, tutti i titoli che si trovano sia nel testo ebraico che nei “Settanta”. Questa opinione ha dalla sua parte: 1°- L’autorità della sinagoga e della Chiesa cristiana, sebbene la Chiesa cristiana non li ritenga come facenti parte dei salmi; 2°- L’autorità dei Padri greci e latini che hanno rispettato questi titoli come autentici; 3°- L’autorità del Bossuet che dopo aver citato su questo punto il Teodoreto aggiunge: « tali espressioni testimoniano molto bene quanto sia venerabile tutto ciò che questi antichi interpreti abbiano tradotto dall’ebraico e che non c’è meno autorità nei titoli rispetto ai salmi stessi. È potuto succedere che qualche copista zelante abbia trasportato qualche nota ai margini nel corpo dell’opera, ma questo non nuoce alla questione del titolo. Nessuno tra gli antichi Dottori ha mai posto un problema di autorità in quello che si trovava nei libri originali ». (Diss. c. VIII P XXIII.).

4°- La vetustà di questi titoli, vetustà fondata sia sull’accordo generale dell’ebraico con i “Settanta”, sia sul modo inesatto in cui l’hanno tradotto talvolta i “Settanta”, poiché questa tradizione inesatta prova che i Settanta” non comprendevano questi titoli e che di conseguenza essi erano ben più antichi di loro.

Ciononostante, queste autorità e queste ragioni così forti non sono sufficienti a dimostrare che si debbano ammettere come autentici, senza eccezioni e nel tenore rigoroso della loro espressione, tutti i titoli che si trovano nei testi ebraici e nei “Settanta”. In effetti la Chiesa non ha mai definito l’autenticità dei titoli, perché il Concilio di Trento, che ha dichiarato canonici tutti i libri contenuti nel canone, mette nel suo decreto un correttivo: “Tali come si leggono nella Chiesa”. Ora la Chiesa non legge né canta i titoli dei Salmi. Pertanto se il decreto comprendeva i titoli, occorreva dire che esso comprendeva tutti quelli della Vulgata, di cui molti non si leggono più in ebraico e portano il marchio dei tempi posteriori. Ora possiamo dire che i motivi che hanno determinato il Santo Concilio di Trento a dichiarare la Vulgata autentica, senza far menzione dei titoli che non ha preteso né approvare né rigettare assolutamente, sono apparentemente da un lato la certezza o almeno la grande probabilità che nei Salmi esistano dei titoli canonici, e dall’altro canto, l’impossibilità di distinguerli sempre dagli apocrifi.

Così la Chiesa ha lasciato una grande libertà di omettere, di cambiare questi titoli o di introdurne di nuovi o variati dalle antiche versioni. 2°- i Padri della Chiesa non ammettono tutti questi titoli senza eccezioni. Sant’Agostino, S. Ilario ritengono che alcuni titoli che si leggono sia nel testo ebraico che nei “Settanta” e nella Vulgata siano contrari all’oggetto letterale del salmo (S. Ilario Ps. LIX, LXIII – S. Agos. Ps. LXIX, LXXXIX). Essi cercano di spiegarli nel senso spirituale, ma senza essere soddisfacenti. 3°- Abili teologi non hanno difficoltà a rigettarne un gran numero. 4°- Dal punto di vista di una sana critica, è molto difficile sostenere che tutti i titoli ebraici nella forma in cui li leggiamo siano l’opera di autori sacri e questo per le seguenti ragioni:

a) ci sono dei titoli che attribuiscono alcuni salmi ad autori che difficilmente possono averli composti, visto che le circostanze storiche del salmo, lo stile che vi domina, indicano un’epoca posteriore rispetto ai supposti autori.

b) Alcune di queste iscrizioni comprendono titoli onorifici che gli autori non hanno potuto attribuirsi verosimilmente da se stessi (Moyses vir Dei; David servus Jehova).

c) Le parole che sembrano designare i diversi generi di poesia lirica, si trovano applicati a dei salmi ai quali non convengono, e talvolta associati nello stesso salmo che porta quindi due titoli diversi.

d) Vi sono titoli tanto caricati di parole che è chiaro come queste addizioni siano state imposte da aggiunte estranee. (Ps. LXXXVII.). e) Non è verosimile che le parti delle iscrizioni concernenti gli strumenti, risalgano tutte ai tempi della composizione del cantico sacro. Vari Salmi possono essere stati composti prima di essere adattati all’uso del tempio, epoca nella quale ha dovuto essere prescritta la designazione degli strumenti. È ciò che sembrano provare i Salmi XIII e LII che non differiscono affatto se non nell’iscrizione.

Sono queste le ragioni principali che ci conducono a non ammettere tutti i titoli del testo ebraico riprodotto nei “Settanta” se non quando questi titoli non siano opposti né all’argomento del Salmo, né alla persona alla quale il titolo l’attribuisca, né alle circostanze storiche enunciate dal salmo, e che non portino il marchio di una qualsiasi sovrapposizione di tempi posteriori.

III. — SIGNIFICATO DEI TITOLI

Sarebbe troppo lungo e fastidioso riportare tutte le spiegazioni sia letterarie che spirituali che i Padri, gli interpreti ed i rabbini hanno dato ai titoli dei Salmi. Diverse sono ridicole e sono veri mostri di interpretazione. Un gran numero sono completamente mancanti di prove e di verosimiglianza. In una materia così oscura e controversa, ecco che ci sembra più soddisfacente per spiriti che, senza essere curiosi all’accesso, vogliono comunque avere una visione molto chiara delle iscrizioni poste all’inizio dei Salmi. Tutti i titoli dei Salmi possono ridursi a nove capi ed in generale si può dire che sono l’espressione o dell’autore del salmo, o il soggetto di cui tratta, o l’occasione del salmo, o il tempo della sua composizione o la determinazione che ne viene fatta per certi usi, o il maestro del canto, il prefetto della musica, il capo del coro dal quale deve essere eseguito o gli strumenti particolari di musica, a corde o a fiato che devono accompagnare il canto o l’aria del salmo o il genere di poesia al quale appartiene il salmo.

#1- Come si può giungere a trovare il vero significato dei titoli?

Tutte le difficoltà vengono da: 1) dal valore delle preposizioni ebraiche che precedono le parole; 2) dal vero senso delle stesse parole; ecco qualche principio che estrapoliamo dalle osservazioni sugli autori ed i titoli dei Salmi dell’abate Bondit (Tit. des Ps.,t.1). Questi principi ci dispenseranno dal tornare, nella spiegazione deiSalmi, sul significato dei titoli particolari.

#Proposizioni: 1° la particella che designa in ebraico il genitivo, quando è messa davanti al nome proprio, designa sempre l’autore del salmo. Così, psalmus Davidis o semplicemente Davidis, psalmus David, nella Vulgata, o anche ipsi Davidi, indicano sempre che David è l’autore del salmo. 2° La particella che indica il dativo (che è la stessa per il genitivo, e le altre parti del testo la designano come dativo), messa davanti al nome proprio, indica colui al quale è stata affidata l’esecuzione del salmo (Pæcentori), o il gruppo musicale che deve eseguirlo (Filiis Core), l’oggetto del salmo (Salomoni, ps. LXXII, tradotto secondo l’ebraico). 3° Le particelle in e ad (be ed esh)designano sempre gli strumenti musicali sui quali il salmo debba essere eseguito. Si può dire la stessa cosa della particella super (al). Quest’ultima particella si antepone alle aree sulle quali il salmo deve essere cantato.

# Significato delle parole: i nomi propri degli autori che devono eseguire il salmo, non offrono alcuna difficoltà. Diamo, in poche parole, il significato probabile di certe espressioni più oscure:

-1) Abbiamo detto ciò che significa la parola psalmus che si trova in 75 titoli, canticum, psalmus cantici (Ps. XXIX, LXVI, LVII, LXXXVI, XCI) canticum psalmi (Ps. XLVII, LXV, LXXII, LXXXVII, CVII).

-2) la parola ebraica Lamnatseak che si trova nei titoli di 54 Salmi, è stata tradotta con eis telos dai “Settanta” e con in finem nella Vulgata. Se si adotta questa traduzione basata su un gran numero di autori, questo titolo significherà che questi salmi devono essere cantati molto frequentemente in tutta la posterità, o che essi contengono delle verità che sussisteranno sempre, o ancora che nella sinagoga erano cantati alla fine del sabbat e degli altri sei giorni di festa; o infine che questi Salmi annunziano la fine dei tempi, e cioè il regno del Messia. Ma, senza criticare i Settanta e la Vulgata per essersi fermati al significato: in finem, noi crediamo, con gli interpreti moderni, che questo senso non convenga né all’etimologia della radice Natsah, che significa in particolare: distinguersi, precedere, vincere, superare; né all’oggetto dei Salmi in cui si trova questa espressione. Di conseguenza noi traduciamo questa parola, con S. Girolamo, con: Victori, Præcentori, præposito cantorum, che significa che questi Salmi devono essere inviati al cantore più abile, o al maestro del coro, a colui che dirige il canto, significato, questo, conforme al contesto, riferendosi a questioni musico-strumentali, ed alla composizione della maggior parte di questi canti che iniziano con parole che il corifeo recitava da solo invitando il popolo ed i cantori ad unirsi a lui.

-3) Canticum graduum, in ebraico scir hammaaloth, nella Vulgata è una espressione comune a 15 Salmi dal CIX al CXIII. Qualche rabbino, seguito da un gran numero di commentatori, hanno preteso di dover tradurre “cantico di elevazione o delle salite”, perché questi 15 Salmi si cantavano in tono molto alto, opinione che trae qualche probabilità dal fatto che nei Paralipomeni, cap. XX-19, i leviti cantavano le lodi del Signore “voce magna in excelsum”. Senza parlare di altre interpretazioni arbitrarie che si possono catalogare come vane e frivole congetture, noi crediamo con la maggioranza che si possa tradurre cantico dei gradi o delle salite, che significao che questi Salmi fossero cantati nelle tre grandi feste dell’anno, a Pasqua, a Pentecoste, nella festa dei Tabernacoli, perché allora, in tutte le contrade della Terra Santa, si andava o, secondo lo stile della Scrittura, si saliva a Gerusalemme; o i leviti cantavano questi Salmi sui gradini del tempio; o infine, secondo una opinione generalmente molto accettata, che questi canti fossero eseguiti sulla fine della cattività, quando i Giudei avevano la speranza di un prossimo ritorno, o anche nell’epoca in cui si misero in marcia per tornare a Gerusalemme. Il contenuto di alcuni di questi Salmi merita l’appoggio di quest’ultima opinione. Questi Salmi graduali sono salmi di gioia, di riconoscenza e di dolore.

-4) Intellectus, ad intellectum et intelligentiae della Vulgata, in ebraico Maskil, si trova nei titoli di 13 Salmi: XXXI, XLI, XLIII, LI, LII, LIII, LIV, LXXIII, LXXVII, LXXXVII, LXXXVIII, CXLI. Queste espressioni ed altre simili si ritrovano tutte nei Salmi istruttivi. « Questo titolo – dice Bossuet – ci invita ad elevare il nostro spirito e cercare nel salmo qualche verità importante per modificare i nostri comportamenti ». Si è sottolineato – dice il P. Berthier – che i Salmi che trattano di prove, persecuzioni, in una parola sono oggetto di tristezza, portano il titolo di Intellectus, come per far capire che bisogna leggerli e cantarli in vista di imparare a sopportare le traversie, a rivolgersi a Dio per invocarne il soccorso (Ps. LIV). Il termine letama, ad docendum, o, secondo i “Settanta”, “eis diaken” in doctrinam, che si legge nel titolo del Salmo LIV, può servire a fissare il senso della parola maskil.

-5) Bineghinoth è tradotto in tre modi nella Vulgata, cioè nei Salmi IV, VI, LIII, LIV con in carminibus; nei Salmi LX, LXVI con in hymnis; nel Salmo LXXV con in laudibus. La radice nagan significa suonare uno strumento a corde, il derivato può significare l’azione di suonare uno strumento a corde, o il suono che ne deriva, o ciò che si canta su questo strumento, o lo strumento stesso o ciò che si suona. Così questa iscrizione: Lamnatseak beneghinoth può tradursi con: a colui che canta degli inni su strumenti a corde, o al maestro della musica sui suonatori di strumenti.

-6) Sei Salmi, XVI, LVI, LVII, LVIII, LIX, LX, portano come titolo ebraico la parola “michtam” dorato, o di oro molto puro, sempre congiunto con il nome di David. Letteralmente in ebraico è come se si dicesse: Aureum carmen, senso che i Settanta rendono con “etelegraphia”, iscrizione su una colonna, e gli autori della Vulgata con “Tituli inscriptio ipsi David”, o: “in tituli inscriptionem” , cioè Salmo degno di essere inciso in perpetuosu un ceppo, una colonna o, secondo Bossuet, “Psalmus monumento æterno inculpendus”, senso che non contraddice affatto l’ebraico. Tuttavia noi preferiamo la spiegazione che lascia alla parola mitchtam il suo significato proprio senza costringerci a ricorre ad un senso figurato, che è la risorsa di vari interpreti, e preferiamo tradurre questo titolo con “Salmo dorato”, così chiamato sia perché questo salmo veniva scritto con lettere d’oro, sia per la stima che se ne aveva. È così che gli arabi, molto tempo prima di Maometto, sospendevano alla volta del tempio della Mecca dei poemi scritti sui papiri egiziani a caratteri d’oro. Ora si conosce la grande analogia che esisteva tra gli usi degli antichi arabi e quelli dei Giudei. Ciò che riferisce Burdor dei costumi degli scrittori orientali conferma questo significato. « Secondo d’Herbelot – scrive questo autore nel tomo I dei suoi “Costumi orientali” – le opere dei sette migliori poeti arabi erano chiamate almodhaebat, che significa “dorate”, perché erano scritte a lettere d’oro, su un papiro egiziano. I sei Salmi che sono così distinti, non potrebbero aver ricevuto questo nome perché in qualche occasione non siano stati scritti a caratteri d’oro o appesi nel santuario? Un tal titolo sarebbe di gusto orientale, e d’Herbelt parla di un libro intitolato il “braccialetto d’oro” ». In Oriente si continua a scrivere con lettere d’oro (Maillet, Lettre XIII, 189). Jahn ci fa sapere nella sua “Archeologia biblica” che gli orientali davano spesso ai loro libri dei titoli allegorici come Bocciolo di rose, giardino di anemoni, leone della foresta, stella brillante. Questo uso è arrivato fino a noi e vari libri antichi che comprendono varie preghiere si chiamano “Specchio dell’animo”, “chiave del cielo”, “giardino dell’anima cristiana”. Questi titoli ci fanno risalire ai costumi antichi dell’Oriente che possono quindi servire a spiegare il titolo oscuro di qualche Salmo.

-7) Quattro Salmi (XLIV, LIV, LXIII, LXXXIX) hanno nel loro titolo, secondo la Vulgata, l’espressione: “pro iis qui commulabuntur”, tradotta dall’ebraico “al schosckannim, cioè, secondo gli interpreti “coloro che saranno mutati da gentili in credenti”. Si poteva dire più letteralmente con il P. Berthier “pro iis qui variantes sunt”, o con Bellenger “pro iis qui diversis alternantibus cœchoris canunt”. Questo primo senso è fondato sulla presunta etimologia della parola ebraica “schoschannin” che può venire da chana, mutari, variari, ma questa parola può derivare anche verosimilmente da schouschan, lys, o da schesch, “sei” e significare o uno strumento a sei corde o pro lilli (S. Girolamo), che sarebbe quindi uno dei titoli allegorici di cui sopra. I Salmi LIX e LXVIII, a motivo della forma di questa parola ebraica, non sono suscettibili del senso dei Settanta e della Vulgata “pro iis qui commutabuntur” e devono ricevere uno dei due ultimi significati.

-8) Il titolo ne disperdas” o “ne corrumpas” si trova in capo ai Salmi LVI, LVII, LVIII, LXIV; è tradotto letteralmente dall’ebraico thaschket. La maggior parte considera questa parola come una preghiera che fa il salmista: “non mi stermina”; altri lo considerano un avviso dell’autore: « guardatevi dall’alterare questo cantico! » noi crediamo che più probabilmente queste parole indichino che il Salmo debba essere cantato sull’aria “non mi stermina”.

-9) “Pro torcularibus”, “per i torchi”, si trova all’inizio dei Salmi VIII, LXXX, e LXXXIII. È tradotto dall’ebraico al hagghithith. Ci appare inverosimile, per non dire ridicolo, che questi tre Salmi fossero cantati principalmente nella festa dei Tabernacoli, dopo aver portato i frutti della vendemmia ai torchi, e noi pensiamo, secondo i principi sul significato delle particelle propositive riportate nei titoli, che questo titolo significhi che questi tre Salmi vadano cantati sull’aria dei Torchi, oppure su uno strumento che veniva suonato nel tempo in cui si portavano i grappoli d’uva ai torchi.

-10) Ai titoli dei Salmi LII e LXXXVII si trova aggiunto, nei Settanta e nella Vulgata: pro Maheleth, riproduzione della parola ebraica “ al makalath”. S. Girolamo traduce questa parola con: “Per chorum”. Alcuni credono che questa parola indichi il nome generico di tutti gli strumenti a fiato; Rosenmuller pensa che si tratti di una specie di flauto, e Genesio di una sorta di chitarra.

-11) Il titolo “Pro octava”, o secondo S. Girolamo, “Super octava”, “al scheminith”, che si legge nel titolo dei Salmi VI e XI e che gratuitamente viene considerato come ottava di qualche grande festa, o come l’indicazione di un tono superiore o inferiore degli otto gradi (Roediger, Thes. Ges. p. 1439), significa, secondo l’opinione più verosimile e la più generalmente accettata, una chitarra ad otto corde.

-12) Il titolo del Salmo LXXIX porta nella Vulgata: “pro iis qui commutabuntur testimonium” ed in ebraico “edouth”, da cui viene “Testimonium” si trova aggiunto alle stesse parole nel titolo del Salmo LIX, cosa che induce a concludere che “schouschan edouth” si riferisca ad un’aria di canzone volgare o al nome di uno strumento; non si può letteralmente dire infatti, secondo Berthier, che questo Salmo richiuda la testimonianza della fede e di fiducia dei prigionieri.

-13) All’inizio del salmo V si leggono queste parole: “pro ea quæ haereditatem consequintur, alhanekiloth, che i santi Padri hanno applicato alla Chiesa che ha ereditato delle promesse. Ora non si può affatto rigettare questa interpretazione, che è quella di diversi dottori giudei e che è molto fondata sulla radice della parola ebraica nakal, “eredità”; tuttavia noi crediamo che occorra intendere la parola ebraica nekilozth in rapporto a strumenti a fiato, giocando sulla radice “killel”, “suonare il flauto”.

-14) Si leggono nel titolo del Salmo IX queste parole: “in finem, pro occultis filii”, tradotte dall’ebraico “al mouth labben” con cui non hanno alcun rapporto, e che quindi non hanno un senso compiuto. S. Girolamo: “pro morte dilii”(David), è una congettura che poco si concilia con il dolore che David prova per la morte di Assalonne. È meglio quindi tradurre con D. Galmet: Psaume de David a Ben, o Bananias, presidente della 7ˆ banda composta da giovani musicisti, (secondo Paralip. 1, XV, 18-20), maestro di musica della banda dei ragazzi. – Il titolo del Salmo XLV recita: “pro arcanis”, tradotto con la medesima parola ebraica “pro occultis”; noi gli diamo lo stesso senso.

-15) Il Salmo XXI ha come titolo in ebraico “al aieleth haschakar” che la Vulgata traduce dai “Settanta” con: “pro susceptione matutina”, per implorare il soccorso di Dio al mattino. San Girolamo nel suo Salterio secondo l’ebraico, traduce con: “pro cervo matutino” o “cerva diluculi” (Dunkp, 276), cervo o cerbiatta del mattino che potrebbe designare il Messia perseguitato e cacciato dai Giudei come una biscia da una muta di cani. Ma è meglio vedere in questo titolo un gruppo di musicisti chiamati la biscia del mattino, o l’inizio di un’aria volgare sulla quale cantare questo Salmo.

-16) Il titolo del Salmo LV può dividersi in due parti. La prima: “pro populo qui a sanctis longe factus est” non ha gran ché rapporto con l’ebraico “al iounath alam rakoqim” che gli ebraizzanti traducono con “canto della colomba gabbiano in lontananza” termine enigmatico che potrebbe applicarsi a David rifugiato presso il re Achis, o significare semplicemente l’inizio di una canzone popolare.

I° E’ inutile ricordare tutte le opinioni più o meno probabili riferite alla parola ebraica “selah” (Danko 277) ripetuta 70 volte nel libro dei Salmi. La Vulgata non l’ha tradotta, i “Settanta” la rendono con “diapsalma”, cambiamento di ritmo, pausa. M. Stolberg crede che sia evidentemente l’indicazione di una pausa, oppure – egli dice – che i cantori ricevano così l’avvertimento di tacere (S. Girolamo, Ep. XXVIII ad Marcel.; Calm. diss. sulla parola “sela” ; Smits. Psalt. Eluc. Prol. I art. 2, p. 52; Genesius in Thes. p. 956) mentre gli strumenti continuavano da soli a farsi sentire, o che strumenti e voce dovessero fermarsi a questo segno.

Sembra strano che il Salterio della Vulgata, nella traduzione dei titoli, offra tante differenze con le traduzioni fatte sull’ebraico. Occorre allora ricordare che la versione dei Salmi che si legge nelle nostre Bibbie, è stata fatta da S. Girolamo non dal testo ebraico, ma da quello greco dei “Settanta”, che era il più stimato, per cui si è conservato il testo latino della prima versione fatta dai “Settanta”. Successivamente, poiché il testo dei “Settanta” non si accordava sempre con l’ebraico, S. Girolamo tradusse nuovamente tutto il Salterio dal testo originale. Se questa versione non è stata ricevuta come quella degli altri libri dell’Antico Testamento, è senza dubbio perché fu difficile disabituare il popolo da un Salterio ai quali erano avvezzi fin dall’infanzia; l’inesattezza può però servire da modello! Così la Chiesa, lungi dal rigettare o negligere gli originali, ne ha costantemente raccomandato o incoraggiato lo studio. Occorre dunque, come un tempo ebbero a dire i sapienti dottori, leggere i Salmi come si fa nella Chiesa, senza pertanto ignorare ciò che contiene la verità ebraica, e far differenza tra ciò che bisogna cantare nella Chiesa rispettando l’uso antico, e ciò che bisogna conoscere per avere l’intelligenza della scrittura (Epist. ad Suniam et ad Fratellam.).

-II- Quali sono i Salmi i cui titoli sono autentici secondo le regole precedenti?

1°- Dei 154 Salmi: due sono anepigrafi o senza titolo nella Vulgata ed in ebraico, e sono l’1 e l’11 – ventitrè solo nell’ebraico, e cioè i Salmi XXIII, XLII, LXX, XC, XCIII, XCIV, XCV, XCVI, XCVII, XCVIII, CIII, CIV, CVI, CXIII, CXIV, CXV, CXVI, CXVII, CXVIII, CXIX, CXXXV, CXXXVI, CXLVII. I rabbini per tale motivo li chiamavano i “Salmi orfani”.

-2° Quattordici Salmi portano nel titolo le addizioni anche considerevoli fatte ai titoli ebraici, addizioni che non hanno conseguentemente alcuna autenticità, e sono i Salmi XXIII, XXIV, XXVIII, L, LXIV, LXV, XCXVII, CXI, CXLII, CXLIII, CXLV.

-3° Tutti gli altri titoli dei Salmi o sono tradotti letteralmente dall’ebraico, o non offrono che lievi differenze, o possono essere ricondotti al loro significato più probabile, secondo le spiegazioni particolari date nell’articolo I. Questi titoli sono dunque i soli verosimilmente autentici, salvo le eccezioni che abbiamo indicato alla fine dell’articolo II.

IV- REGOLE DA SEGUIRSI PER SCOPRIRE I DIVERSI AUTORI DEI SALMI

O i Salmi hanno titoli autentici, o sono anepigrafi.

– Regole per i Salmi che hanno titoli.

Bisogna generalmente considerare, come autori dei Salmi, coloro i cui nomi si trovano nel titolo, a meno che non vi sia nel salmo qualcosa che non possa conciliarsi con questo titolo, perché infatti è meglio sacrificare un’iscrizione che contraddire formalmente il contenuto di un Salmo. Secondo questa regola: 1°) noi consideriamo Davide come l’autore della maggior parte dei Salmi che portano il suo nome, senza essere impediti da queste parole che si leggono dopo il salmo LXXI: “Defecerunt laudes David filii Jesse”, atteso che i Salmi non siano stati enumerati secondo l’ordine dei tempi, per cui effettivamente il salmo LXXI può essere stato realmente composto per ultimo; o forse perché questo salmo conclude una prima raccolta fatta da David stesso, e che poi in seguito il Re-santo abbia composto altri salmi, una nuova raccolta fatta dopo la sua morte senza che abbia eliminato l’epilogo che chiudeva la prima raccolta. Si vedono in effetti dei Salmi, come il CIX ed altri sicuramente di David benché si trovino dopo il LXXI. 2°) bisogna pure considerare Asaf come l’autore della maggior parte dei Salmi che portano il suo nome, per le ragioni indicate sopra. 3°) diversi Salmi portano il nome dei figli di Core, di Idithun. Ora noi crediamo di poter dire che questi nomi indichino non gli autori dei salmi, bensì i musicisti a cui David affidava il canto dei suoi inni. La ragione è: 1- per i figli di Core, l’iscrizione al plurale designa più particolarmente i cantanti piuttosto che l’autore, poiché un pezzo ispirato non poteva avere vari autori; il loro ufficio di cantori inoltre è ben chiaramente annotato nel libro II dei Paralipomeni (XX, 19); ed ancora il loro nome è unito ad un altro, che sembra essere quello dell’autore (ps. LXXXVII). – 2- per Idithun, è il titolo che da il III libro dei Paralipomeni, (cap. XV-10,17 e XXV-1,6)al capo della musica religiosa, nonché la circostanza che nei tre salmi che potrebbero essere suoi, il suo nome si trovi affiancato a quello di Asaf e di Davide. Bisogna non di meno convenire con D. Galmet che, poiché la scrittura associa Idithun ad Asaf ed Héman, ai quali da il titolo di veggenti, egli avrebbe potuto anche comporre dei Salmi. 4°) Il salmo LXXXVII porta nel titolo Héman Esraita, ed il salmo LXXXVIII Ethan Esraita. Questo Héman sembra essere lo stesso dei III Libro dei Re (IV, 31) di cui non si ha conoscenza, forse uno tra i quattro fratelli di Salomone, dei quali uno si chiamava pure Ethan Esraita. Ora il salmo LXXXVII potrebbe venire da questo Héman Esraita, ma il LXXXVIII può avere difficilmente come autore suo fratello Ethan, poiché viveva sotto David e Salomone, e questo salmo sembra datarsi 400 anni dopo, e cioè all’inizio della cattività babilonese, cosa che ci porta a credere che esso sia stato composto in questa epoca da uno dei suoi discendenti, poiché gli interpreti sono dell’avviso che gli autori dei sacri cantici hanno più volte sostituito al loro nome quello di autori antichi. – 5°) ° I salmi che recano il nome di Salomone non possono appartenergli, ma essergli indirizzati; benché questo principe abbia scritto un gran numero di cantici, non sarebbe inverosimile che ne sia stato inserito qualcuno tra i salmi. – 6°) Il salmo LXXXIX porta il nome di Mosè ma non può essere messo in conto al celebre legislatore. In effetti indipendentemente da altre ragioni, come Mosè avrebbe potuto dire che la durata della sua vita umana sia di 70 o 80 anni al più, egli che visse fino all’età di 120 anni e che vedeva intorno a lui vegliardi ultracentenari? Non parliamo nemmeno di Aggeo, Zaccaria i cui nomi non si leggono nell’ebraico. Pertanto è una contraddizione aggiungere Geremia ed Ezechiele a David, come fa la Vulgata al salmo LXIV.

– Regole per i Salmi che non hanno titoli. San Girolamo e Sant’Ilario, come i rabbini, danno come regola, quando i Salmi sono anepigrafi, attribuirli agli autori i cui nomi sono indicati nei Salmi precedenti. Ora questa regola non è fondata, perché innanzitutto il Salmo n. anepigrafo si dovrebbe attribuire all’autore del primo, ma il primo è anch’esso anepigrafo, e la regola non può osservarsi. Inoltre, supponendo che il Salmo LXXXIX venga da Mosè, evidentemente i dieci Salmi anepigrafi che seguono, non sono suoi, attesa la questione di Samuele nel XCVIII. Diciamo allora che per i Salmi che sono senza iscrizioni, ci sono spesso gravi ragioni, estrapolate sia dall’autorità, sia dalla natura trattata in questi cantici, sia dallo stile che autorizzano ad attribuirli a David o ad altri scrittori sacri, qualunque sia l’autore designato nei Salmi precedenti. Sostenendo che tutti i Salmi non vengano da David, noi siamo ben lontani dall’opinione prevalente nei critici tedeschi, opinione completamente inammissibile:

-1° Perché in questa opinione, la maggior parte dei Salmi non sarebbero del Re profeta, cosa contraria al sentimento delle chiese giudaiche e cristiane, che hanno sempre creduto che David fosse il principale autore del Salterio.

-2° perché questi critici tolgono, senza motivazioni sufficienti, agli autori designati nei titoli, parecchi dei loro Salmi. È per loro sufficiente la circostanza dei tempi futuri per rinviare la composizione di questi inni sacri ad un’epoca molto antecedente. Così Asaph, Eman, Ethan secondo loro non avrebbero composto alcun salmo della nostra collezione, cosa opposta al sentimento dei Giudei, così come l’autenticità dei titoli che essi fanno comunque professione di rispettare.

-3° Perché pur ammettendo che qualche salmo sia stato composto durante la cattività (cosa che a motivo della loro forma, sembrano troppo distanti dal genere profetico), noi non crediamo che si sia in diritto di negare a David e ai profeti contemporanei tutto ciò che si riconduca alla cattività e dubitare che Dio abbia potuto rivelare a David questo grande avvenimento.

-4° Perché la supposizione che vari Salmi non risalgono se non ai tempi dei Maccabei (Bertkoldt nella sua introduzione) è insostenibile. Questa asserzione, falsa e temeraria è contraddetta da autori la cui autorevolezza in materia di critica è ben nota: Jahn, Eichorn, de Wette, Gesenius, Hassler, assicurano che il canone delle Scritture dovevano essere all’epoca già chiuso. Pertanto, non solo la tradizione è in opposizione formale con una tale opinione, ma ancora tutti i caratteri intrinseci di questi Salmi che si voglio ricondurre al secolo dei Maccabei, e che si denominano pertanto Salmi Maccabeici, mostrano fino all’evidenza, agli occhi dei critici senza prevenzione, che essi appartengano ad epoche molto anteriori.

Capitolo IV

Cori dei Salmi

Noi rinviamo alle opere specializzate ogni questione inerente alla misura del canto dei Salmi e agli strumenti musicali di cui ci si serviva. Qui ci accontentiamo di offrire qualche nozione sui cori del Salmi, potendo, queste nozioni, servire alla perfetta comprensione di questi canti sacri.

-I) I cori per il canto dei Salmi, erano alternati presso gli Ebrei come nei Cristiani? – Numerosi passaggi mostrano chiaramente, dice Lowth, che era un costume consoli-dato negli Ebrei cantare questi inni sacri a cori alterni. Il dottore anglicano aggiunge che nei primi secoli, la Chiesa cristiana apprese dalla religione giudaica l’uso dei canti alternati (Lez. XIX°). Comunque non bisogna prendere alla lettera queste parole, perché ne seguirebbe che la maniera in cui noi cantiamo i Salmi, è esattamente quella che seguivano gli ebrei, cosa completamente falsa, perché noi distribuiamo questi cantici in un certo numero di versetti che si cantano alternativamente e secondo un numero invariabile, per ciascuno dei due cori. Ma non era così presso gli Ebrei, poiché secondo lo stesso Lowth, si era stabilito l’uso « ut sacros hymnos sæpe alterius choris invicem cantarent ». In effetti la distribuzione dei salmi, ed in generale di tutta la Sacra Scrittura, in versetti, non è molto antica, e vediamo che alcune parole, che non sono altro che un titolo o un’indicazione indirizzata ad un corifeo, sono marcate nel testo ebraico sotto il n° 1, mentre il cantico non comincia che veramente al versetto secondo, cosa che deriva senza dubbio dal fatto di essere classificati sotto una cifra le differenti parti di ciascun salmo, ignorando che le prime parole di qualche versetto non erano che un titolo o un’indicazione.

– 2° Inoltre nella divisione adottata dalla Vulgata, sembra che ci si sia curati meno di conformarsi al senso, piuttosto che di stabilire dei versetti composti, finché possibile, da un numero piccolo e quasi simile di parole. Ora questo non sembra essere stato il metodo degli Ebrei, e sembra più probabile: 1°) che ogni coro ebraico terminasse il periodo che aveva iniziato; 2°) che uno recitava rispondendo all’altro un maggior numero di parole di quelle comprese in un nostro versetto, e che pertanto un solo versetto dovesse al contrario essere attribuito ai due cori dei quali ognuno recitava una parte.

« Ammettiamo, in effetti per un momento, dice qui l’autore della distinzione primitiva dei Salmi (da cui noi siamo ben lontani dall’adottare tutte le opinioni), che i cantici del santo re, fossero suddivisi, ai tempi degli antichi Ebrei, come tra i moderni o tra noi, in versetti di estensione quasi uniforme, senza avere a volte riguardi per il senso della frase; ammettiamo che il loro canto non fosse tra essi, come tra i Cristiani, che la ripetizione dell’intonazione del primo versetto; sarebbe necessario a questi discepoli fare apprendere almeno centocinquanta intonazioni. Occorrevano quindi tanti anni, tanti allievi e tanti istitutori (11 anni, 4.000 allievi, 288 maestri) per una scienza così strutturata, senza contare anche gli anni per la costruzione del tempio? Ammettiamo al contrario che la costituzione primordiale dei Salmi fosse diversa dalla nostra e da quella degli Ebrei moderni; che la composizione e l’esecuzione musicale di questi cantici non avesse nulla in comune con i nostri due cori costantemente alternativi; che i loro canti non fossero meno variati in uno stesso salmo, mentre nei nostri è monotono ed invariabile; ammettiamo ancora che la sola loro intonazione fosse insufficiente per dirigere i leviti; ben lontani dall’essere sorpresi da tutte le disposizione del Re-profeta, nei suoi ultimi momenti, per la formazione dei canti da eseguire nel tempio futuro, noi concepiremo una grande e giusta idea della sua alta saggezza ». Possiamo qui citare diversi Salmi come prova diretta di quanto sosteniamo, ma non ci contenteremo qui che di citarne uno dei più brevi, il CXXXIII: “Ecce nunc benedicite Dominum”, ove si vede nei primi versetti una voce sola che si indirizza ad una pluralità, ai fedeli rappresentati dal coro dei leviti, nell’ultimo versetto, ad una voce sola dopo aver terminato l’invito a benedire l’Onnipotente. Ora è certo che questa distribuzione renda il salmo più intellegibile e più animato della coppia dei versetti della Vulgata, che confonde tutto facendo cantare a più voci riunite e successive ciò che non appartiene che ad una voce isolata. Quando il dottor Lowth dice che la Chiesa cristiana ha preso dagli Ebrei l’uso che essa segue nel canto di questi cantici, forse egli ha voluto parlare degli Ebrei dei tempi più moderni, e degli usi osservati nelle sinagoghe che avevano abbandonato i costumi antichi, ai quali allora era impossibile conformarsi esattamente come nei riti primitivi.

II) Come si può presumere il modo in cui i Salmi fossero cantati? Si può ammettere come certuni, secondo quanto i libri santi ed i costumi degli Ebrei ci fanno conoscere sull’esecuzione dei loro canti sacri, che i loro cantici fossero cantati sia da una voce sola, sia da più voci riunite sotto l’intervento del coro dei cantori, ciò che si potrebbero chiamare “monologhi completi”; sia con l’introduzione di uno o più cori, cosa che ne fa un monologo incompleto, sia che il cantico fosse dialogato a più voci isolate e quasi sempre con l’intervento dei cori. Così il salmo L è un monologo completo; i salmi XXXIII e XL possono passare per monologhi incompleti ed il salmo LXVII può essere considerato come un dialogo a più voci come dimostreremo a suo tempo. L’intervento dei cori è chiaramente designato in diversi Salmi. Per citarne uno qui, nel CVI secondo la Vulgata, è facile vedere che i primi trentadue versetti sono divisi in quattro parti, con la ripetizione di uno stesso versetto che non è cantato se non da cori. Tutti gli interpreti sono d’accordo a questo riguardo.

III) Segni distintivi dell’interruzione e del non intervento dei cori nel canto dei Salmi. Ecco alcuni segni attraverso i quali si possono distinguere i salmi “monologo”, da quelli in cui l’intervento dei cori esiste benché non sia sempre manifesto.

Un salmo può ricevere la denominazione di monologo quando utilizza nel suo insieme la prima persona singolare, eccetto quando la sua composizione, decelando più voci, obblighi a porli nella classe dei dialoghi. Si può dire che i Salmi nei quali Davide si esprime a suo nome, o che parli per lui solo, o che parli per il Messia, sono di questo genere (Salmo XXXIX, Ps. XL all’ultimo versetto, Ps. XLI). un salmo è monologo incompleto quando l’autore si esprime nella prima persona singolare, e vi si scopre comunque l’uso di un ritornello o l’intervento dei cori. Quando nessun passaggio dei Salmi si riporti alla prima persona singolare, si tratta di dialoghi; questo principio non ha eccezioni, qualunque ne sia la brevità o la lunghezza. In assenza di qualsiasi riferimento positivo a questo riguardo, noi pensiamo di poter dire in generale, che c’è l’intervento del corifeo o di uno dei cori o di due cori riuniti, 1°) quando c’è ripetizione di uno stesso pensiero espresso spesso in parole poco dissimili (Ps. XVIII, Ps. XX); 2°) parla cambiando la direzione del discorso, che improvvisamente sembra essere indirizzato al personaggio che fin là aveva parlato; 3°) quando c’è l’intervento di uno o più versetti (Ps. LXIX) che comprendono una preghiera o una riflessione il cui soggetto era preciso; 4°) quando si incontra la parola Selah, che non compare nel testo se non quando il senso indica un riposo o la successione di un’idea ad un’altra.

DA SAN PIETRO A PIO XII (3)

DA SAN PIETRO A PIO XII (3)

CATECHISMO DI STORIA DELLA CHIESA (3)

[G. Sbuttoni: Da Pietro a Pio XII, Edit. A. B. E. S. Bologna, 1953; nihil ob. et imprim. Dic. 1952]

CAPO III.

LE PERSECUZIONI NELL’IMPERO ROMANO

PREAMBOLO

Le causali

Il pretore Ponzio Pilato, autorità romana a Gerusalemme, conobbe Gesù lo stesso giorno nel quale doveva mandarlo a morte. L’autorità romana a Roma s’accorse dei seguaci di Gesù, tra il luglio e l’agosto dell’anno 64. E, anche questa volta, se ne accorse per condannarli a morte. I Cristiani vivevano a Roma e in ogni parte dell’Impero, ma non si sapeva bene qual fosse la loro dottrina, quale la loro credenza. Da molti venivano confusi con gl’Israeliti. Gl’Israeliti o, come li si chiamava nell’Impero, i Giudei, formavano a Roma e altrove una comunità non soltanto etnica, ma anche politica. Erano perciò riconosciuti come un popolo trasmigrato, che manteneva il suo costume rituale e mentale anche in mezzo all’Impero; sfera d’olio che non si scioglieva, ma si centuplicava dentro quell’oceano in mille goccioline, alla prima agitazione.

I Giudei mantenevano in seno al popolo romano dei « privilegi » e persino delle prerogative; il loro culto era consentito e, dalla gente di miglior condizione, rispettato. Contavano protettori e protettrici alla corte imperiale.

I Cristiani al contrario vivevano sparsi fra tutte le classi e contavano seguaci tra tutti i popoli. Il Cristianesimo non si presentava come una religione nazionale o razziale; era invece religione di tutti gli uomini di tutti i paesi: religione universale, o, come si sarebbe detto universalmente con termine greco, cattolica. I pagani consideravano sacrileghi i Cristiani, perché non adottavano né gli Dei nazionali di ciascun popolo, né gli Dei dell’Impero. Nemmeno gl’israeliti riconoscevano le divinità pagane; adoravano un solo Dio; ma il loro culto appariva ai gentili come culto d’un Dio nazionale, e perciò essi erano tollerati. I Cristiani non riscuotevano maggior tenerezza dai Giudei, che vedevano in loro i ladri dell’Arca Santa, i trànsfughi della loro nazione. Agli occhi dei Giudei, i Cristiani erano colpevoli di aver spezzato la compattezza del popolo eletto, e d’ aver dato i tesori della Rivelazione agl’indegni. Eretici, dunque, per i Giudei; atei per i pagani. O prima o poi su di loro sarebbe caduta l’ira congiunta dei Gentili e dei Giudei.

1. – « NON TEMETE: IO VINSI IL MONDO!»

D. Chi tentò con tutti i mezzi di sbarrare il passo alla Chiesa di Cristo?

— L’Impero Romano, che, dopo le Sinagoghe ebree dei vari paesi, per 300 anni la combatté con tutti i mezzi possenti di cui di sponeva.

D. Chi alzò mai la voce a difenderla?

— Nessuno. Solo la protezione divina promessa da Gesù con le parole: « Non temete: Io vinsi il mondo! » e « Io sarò con voi sino alla fine dei secoli » e ancora « Le potenze dell’inferno non avranno ragione contro la mia Chiesa ».

D. Che fu del fortissimo Impero Romano?

— Tramontò, mentre la Chiesa continuò e continua la sua strada. Segno evidente della sua divinità.

2. – I PERCHE

D. Perché s’ebbero sì atroci persecuzioni contro, la Chiesa Cattolica?:

— Per varie cause, secondo i tempi e le. persone che le organizzarono; ma il motivo che tutte le riassume è la lotta dèi male contro il bene, delle tenebre contro la luce, come aveva avvertito Gesù: « Vi mando come pecore in mezzo ai lupi » . . . . «Sarete in odio a tutti in causa del mio nome. » « Chi vi ucciderà, crederà di rendere onore a Dio ». ~

«— « Perché — son sempre parole di Gesù — non siete del mondo, per questo il mondo vi odia ».

D . Si avverarono le predizioni di Gesù?

— Alla lettera, nelle persecuzioni. Il paganesimo idolatra e vizioso non poté che odiare la Religione di Cristo, che predicava la verità e là virtù; e così scoppiarono le persecuzioni.

D . Da questo male ne venne del bene per la Chiesa?

— Sì, in quanto nella lotta risplendette fulgidamente 1’origine divina della Chiesa di Cristo; il sangue dei martiri (Tertulliano) fu seme di nuovi Cristiani; ai giorni della prova seguirono quelli del trionfo.

3. – LA FISIONOMIA DEL MARTIRE

D. Come si presentò la fisionomia del martire?

— Come la cosa più sublime che possa immaginarsi quaggiù e che più avvicina alle perfezioni divine.

D . Dove sta infatti la nobiltà dell’uomo e la sua naturale somiglianza con Dio?

— Sta nella sua spiritualità, per cui si solleva su tutto il mondo sensibile ed emerge dalla materia e ne domina la forza bruta.

D . Risalta tutto questo nel martire ?

— Pienamente, infatti nello stesso momento in cui usa eroicamente la propria libertà, non si commuove di fronte alle minacce e agl’impeti più brutali, nè si piega a rinunciare al suo generoso proposito per conservare o procacciarsi un bene offertogli dalla natura inferiore.

D. Che cosa contribuisce ancora ad accrescere la nobiltà, dell’uomo?

— Il conservare la propria libertà e indipendenza di fronte agli altri.

D . Il martire la salva questa libertà?

— Ne è il campione, perchè al tiranno, che tenta forzare il santuario della sua coscienza per cacciarne l’amore e il culto di Cristo, oppone — quale impenetrabile baluardo — la sua fermezza; sicché il tiranno con i torménti e con la morte avrà in balìa il corpo di lui, ma l’anima intemerata ne sfuggirà gli artigli.

D. Che cosa ancora conferisce vera grandezza all’uomo ?

— L a virtù, che, più è perfetta, più imprime in lui la somiglianza con Dio.

D . Vi è nel martire il culto della virtù ?

— In sommo grado, infatti sacrifica per lei sostanze ed affetti, onori e vita, con prezioso olocausto tutto profumato di fede e d’amore, di perdono, di rassegnazione, di religiosità, di fortezza.

D. Quale virtù ha particolare risalto nel martirio ?

— La fortezza. Di essa diedero ardue prove non solo gli atleti, i soldati, i gladiatori, ma anche i deboli — fanciulli, giovinette, vecchi. — E non è solamente l’energia fisica, ma anche e soprattutto quella spirituale che si manifesta splendidamente, dominando tutte le debolezze e le ripugnanze della natura.

D. Chi è all’avanguardia in questo campo?

— La gioventù. Tarcisio giovinetto, Pancrazio, Sebastiano sonogli atleti di Cristo più celebrati; Agnese, Cecilia, Lucia, Agata sono le più venerate Vergini vittoriose. Il loro numero è incalcolabile.

4. – LE PENE

D. Com’erano considerati i Cristiani?

— Come attentatori alla religione dello Stato. I Romani infatti adoravano una moltitudine di dei; i Cristiani invece proclamano la esistenza di un solo Dio e rovesciano gl’idoli, il cui culto è presieduto dall’imperatore. Quindi impossibile per i Romani sopportare simili rivoluzionari.

D. Quali pene vi erano contro gli attentatori della religione dello stato?

— L’esilio, la confisca dei beni, il carcere, la decapitazione, il patibolo, la condanna alle belve, il rogo. Inoltre le torture escogitate dall’arbitrio e dalla ferocia dei magistrati.

D . Toccarono tali pene ai Cristiani?

— Tutte. Per es. Nerone li straziò, cospargendoli di materie infiammabili e facendoli ardere come torce ardenti durante i pubblici divertimenti nei suoi giardini, ecc.

5. – L E CATACOMBE

D . La Chiesa e i suoi fedeli che fecero per sottrarsi ai persecutori nella celebrazione dei Sacri Misteri?

— Per tre secoli dovettero ritirarsi o fra pareti di palazzi dei ricchi convertiti, o giù sotterra, nei cimiteri, detti Catacombe. Là celebravano, di notte, i divini misteri e si preparavano alla lotta.

6. – I PERSECUTORI E I MARTIRI

D . Quanto durarono le persecuzioni?

— Circa 300 anni, ad intervalli più o meno lunghi.

D . Quante furono le persecuzioni?

— Le più gravi furono 10. La prima fu quella di Nerone, che sacrificò Pietro e Paolo; la seconda di Domiziano; poi Traiano e Marc’Aurelio; Settimio Severo, Massimino Trace, Decio, Valeriano, Aureliano e infine Diocleziano.

7. – IL TRIONFO

D . Di chi fu il trionfo?

— Della Chiesa. Il mondo pagano assiste sorpreso alla comparsa di un amore di Dio e di Cristo più forte della violenza dei persecutori, più perspicace dello spirito acuto di certi pensatori. La legione dei martiri ripete, in altri termini, le parole di S . Paolo: « Per me vivere è Cristo » .

D . Quando avvenne il trionfo ?

— Nel 313 con il famoso « EDITTO di MILANO » , con cui Costantino concedeva ai Cristiani piena libertà di professare la loro Fede e alle chiese cristiane restituiva le proprietà confiscate.

8. – IL MOVENTE

D. Come spiegarsi questo voltafaccia?

— Per la visione della Croce e della scritta : « Con questo segno vincerai! » .

https://www.exsurgatdeus.org/2020/07/09/da-san-pietro-a-pio-xii-4/

LA CATENA D’ORO DEI SALMI: NOTE INTRODUTTIVE (1)

LA CATENA D’ORO DEI SALMI: NOTE INTRODUTTIVE (1)

La catena d’oro dei SALMI o I SALMI TRADOTTI, ANALIZZATI, INTERPRETATI E MEDITATI CON L’AIUTO DI SPIEGAZIONI E RELATIVE CONSIDERAZIONI, RICAVATE TESTUALMENTE DAI SANTI PADRI, DAGLI ORATORI E SCRITTORI CATTOLICI PIU’ RINOMATI.

Da M. l’Abbate J.-M. PÉRONNE,

CANONICO TITOLARE DELLA CHIESA “DE SOISSONS” ,

Professore emerito di sacra Scrittura e di Eloquenza sacra.

TOMO PRIMO.

INTRODUZIONE

Capitolo I

Importanza dello studio dettagliato dei Salmi

Cercheremo qui di esporre, più che dimostrare, l’importanza di questo studio fondato su due ragioni; a) l’universalità dei Salmi in rapporto alla dottrina, ai sentimenti, ai luoghi e ai tempi, e b) l’utilità pratica di questi studi dal triplice punto di vista del progresso nella virtù e nella vita cristiana, dello spirito di preghiera e di orazione, e delle risorse immense che i Salmi offrono al sacro oratore; doppia proposizione che appoggeremo sulle testimonianze delle voci più autorevoli.

 I – Universalità dei Salmi

1- In effetti, mentre le sacre scritture contengono una parte storica, una parte morale ed una parte profetica, ed ognuno dei libri ispirati ha un oggetto particolare, i Salmi abbracciano tutto: storia, morale, profezie, tutte le parti tanto dell’Antico che del Nuovo Testamento. È un magnifico riassunto della Scrittura, che ricorda le meraviglie disseminate nei libri santi e li fa brillare ai nostri occhi in un magnifico splendore. Il libro dei Salmi contiene in compendio tutta la Religione; Dio, la sua natura e tutti i suoi attributi, la sua potenza, la sua santità, la sua saggezza, la sua misericordia e la sua giustizia; Gesù Cristo, la sua vita, i suoi misteri, la sua Chiesa, tutta la storia del mondo, dalla sua creazione alla sua consumazione degli eletti in cielo. Per questo motivo sant’Agostino ci rappresenta questo libro come un tesoro inesauribile di ricchezze spirituali: « Communis quidem bonæ doctrinæ est apte singulis necessaria subministrans,» (Prefazione in Psalm.), e Cassiodoro chiama questo libro una “bibliteca generale” dove si trova tutto ciò che si cerca « In hoc libro spiritualis bibliotheca instructa est ».

2- « E’ l’effetto di un’arte consumata – ha detto Bossuet – quello di ridurre in piccolo tutta una grande opera »: lo Spirito Santo è come se avesse riassunto, nello stretto riquadro del libro dei Salmi, tutta la vita umana, le sue avversità e le sue prosperità, e questo nella persona di un solo uomo che ha riunito in sé tutte le estremità della buona e della cattiva fortuna. Mediante una sequenza necessaria, nell’unica persona di David, si riuniscono tutte le affezioni del cuore, analoghe alle situazioni moltiplicate dell’uomo sulla terra. Egli parla nei Salmi per tutti gli uomini e per tutte le condizioni. Egli ha conosciuto le gioie e le miserie della vita, e tutto ciò che dice sembra essere stato ispirato da tutto ciò a cui siamo sottomessi nelle medesime vicissitudini. Ciascuno vi trova la sua storia personale, i suoi segreti, le sue gioie, le sue tristezze, i suoi timori e le sue speranze, l’espressione dei propri bisogni, dei desideri, delle proprie voci. « Tutti i gemiti del cuore umano – dice Lamartine – in una sua opera (Voyage en Orient, Jérusalem) hanno trovato le loro voci e le loro note sulle labbra e sull’arpa di quest’uomo; in particolare, se si considera poi l’epoca in cui essi furono composti, epoca nella quale la poesia lirica delle nazioni più coltivate non cantava se non del vino, dell’amore, del sangue, delle vittorie delle muse o dei corridori dei giochi di Elide, si resta profondamente stupefatti agli accenti mistici del Re-Profeta, e non gli si può attribuire se non una ispirazione giammai data ad altro uomo. Leggete Orazio o Pindaro dopo un Salmo: personalmente, io non posso farlo più! ». – Ma a Dio non piace che noi ci riduciamo a considerare David nei suoi Salmi come l’emulo vittorioso degli antichi poeti lirici. Egli è per noi innanzitutto, il Profeta ispirato dal Signore, il sacro storico dei giorni antichi, il poeta divino suscitato da Dio per cantare la sua gloria, celebrare le sue grandezze, manifestare la sua misericordia e la sua giustizia, e per essere l’interprete di tutti i sentimenti che si affollano e si succedono in sì breve intervallo nel cuore del vero fedele. « Non c’è nella vita dell’uomo, un pericolo, una gioia, una mortificazione, una sconfitta, una nuvola o un sole che non siano in David, e che la sua arpa non colga per farne un dono di Dio e un soffio di immortalità! » (Lacordaire, 2 M ° Lettre à un jeune homme sur la vie chrétienne). – Non esitiamo a dire che anche il doppio crimine commesso da David sia stato nei disegni di Dio, che si serve degli errori degli uomini non solo a sua gloria, ma pure per la perfezione dei suoi eletti, come principio e fonte di una espiazione che ha fatto di questa illustre coppia la personificazione più perfetta della dottrina della vera penitenza e dei sentimenti che essa ispira. « Questa non è la confessione particolare che egli fa, dice Mgr. Gerbe, (Mgr Gerbe, Dogme catholique de la pénitence, Cap. IV.) bensì la confessione di tutto un popolo alle generazioni future, a tutti i luoghi, a tutti i secoli. Egli non la mormora a bassa voce e non parla, ma canta per farla sentire quanto più a lungo nella memoria degli uomini. Quale ammirabile energia di linguaggio e quale potenza e virtù di sentimenti! Come egli percorre tutti i “gradi di ascensione” di un’anima che dal fondo dell’abisso, risale verso Dio! Come la sua voce, dopo aver “ruggito i gemiti del suo cuore”, sospira un dolore più calmo; poi si risolleva, si dilata nella confidenza e finisce per espandersi, radioso e trionfante, nei canti estatici dell’amore! Questo sublime testamento di penitenza, egli lo ha legato a tutte le anime che transitano su questa terra: ai peccatori renitenti per ispirare loro confidenza, ai criminali incalliti per ammorbidirli, ai giusti per edificarli. Le anime hanno risposto al suo appello; esse hanno risposto ben al di la di ciò che umanamente si poteva prevedere. Colui che sa quanti flutti ci siano nel mare e quante lacrime nel cuore dell’uomo; colui che vede i sospiri del cuore quando ancora non ci sono e che li intende ancora quando non ci sono più; solo costui potrebbe dire quanti pii movimenti, quante vibrazioni celesti abbia prodotto e produrrà nelle anime l’impatto di questi meravigliosi accordi, di questi cantici predestinati, letti, meditati, cantati in tutte le ore del giorno e della notte su tutti i punti della “valle di lacrime”. Questi Salmi di David sono come un’arpa mistica sospesa ai muri della vera Sion! Sotto il soffio dello Spirito di Dio, essa rende i gemiti infiniti che rimbalzano da eco in eco, da anima in anima, producendo in ciascuna di essa un suono che si unisce al canto sacro, si espande, si prolunga e si eleva come universale voce del pentimento.”

3- Aggiungiamo che l’oggetto di questi inni sacri non è diretto né ad un solo tempo, né ad un solo popolo. “Pindaro, dice M. de Maistre (Serate di S. Pietroburgo), non ha nulla in comune con David, il primo ha avuto cura di farci apprendere che egli parlava solo ai sapienti e non si preoccupava molto di essere compreso dalle folle e dai contemporanei, presso i quali non gli importava l’avere molti interpreti. Ma quando giungerete a comprendere perfettamente questo poeta, come si può ai giorni nostri, sarete poco interessati. Le odi di Pindaro sono una specie di cadavere dal quale lo spirito si è ritirato per sempre. Cosa ci interessano i “cavalli di Ieron o i muli di Agesias? Quale interesse sorge per le nobiltà delle città e dei loro fondatori, dei miracoli degli dei, delle imprese degli eroi, degli amori delle ninfe? Il fascino, la seduzione riguardava i tempi e i luoghi di allora, ma non ha alcun effetto sulla nostra immaginazione né può farla rinascere. Non c’è più Olimpo, né Elide, né Alpheo, e chi si affannerebbe a trovare il Peloponneso in Perù sarebbe non meno ridicolo di colui che lo cercasse nella Morea. David al contrario, va oltre il tempo e lo spazio, perché non è collegato ai luoghi o alle circostanze: egli non ha cantato se non Dio e la verità, immortale come Lui. Gerusalemme per noi non è sparita, si trova dove siamo noi! È David soprattutto che ce la rende presente! Ecco perché i Salmi del Re-Profeta, dopo essere stati cantati nei paesi lontani e nei secoli egualmente lontani da noi, per mille generazioni, sotto le volte del tempio di Gerusalemme, sono passati sui libri dei Cristiani in ogni parte del mondo; dopo 18 secoli sono oggetto di studio e di ammirazione dei geni più sublimi, sono stati non solo tradotti, ma anche commentati, spiegati, annotati da migliaia di interpreti e da un gran numero di autorità! Ecco perché ancora oggi il ricco ed il povero, il sapiente e l’ignorante, vengono ad abbeverarsi al torrente delle preghiere che sgorga dal cielo, espressione della fede, del pentimento, della speranza e dell’amore divino.

II – Utilità pratica dei Salmi

 1- Per il progresso dell’anima nella virtù …

I Salmi contengono il succo e la sostanza di tutte le Sacre Scritture, gli esempi di una vera e sublime santità per tutte le occasioni della vita, ed inoltre l’espressione di tutte le affezioni più pure e più ardenti.

I Salmi non somigliano affatto a quelle brillanti produzioni del genio poetico che sfavillano di bellezze, ma non rendono alcuno migliore; essi respirano in ogni pagina l’amore di Dio e della giustizia, l’orrore del male ed il timore del giudizio di Dio. Essi pongono sempre l’uomo davanti a Dio o davanti a se stesso; essi gli mostrano la scoperta della sua debolezza e del suo niente; umiliano il suo orgoglio, reprimono i suoi desideri terrestri, purificano le passioni, mobilizzano i suoi pensieri. Il salterio – dice S. Agostino – è il cantico sublime e perfetto con il quale Dio ci insegna a rendergli il culto che Gli dobbiamo, culto di fede, di speranza e di carità. La fede cristiana è una adesione ferma e pia alle verità rivelate, e questi due caratteri della fede brillano meravigliosamente nei Salmi. Benché David fosse certo di non errare nei riguardi dell’ispirazione divina che gli apriva i santuari più profondi delle verità eterne e gli rivelava i segreti dei tempi futuri, tuttavia prende come base della sua fede e della nostra i libri di Mosè, e con questa attenzione adatta la sua fede a quella dei profeti più antichi, e pure mediante le numerose profezie che contengono i Salmi, il cui compimento avverrà nella legge nuova, egli conferma la nostra fede. La pietà della sua fede non è meno grande della sua fermezza. La fede divina è un fuoco celeste che rischiara con la sua luce e riscalda con i suoi ardori. Ora gli ardori di un’anima, nello stato presente della fragilità umana, si infiammano particolarmente con il ricordo delle buone opere. Ecco – dice il D’Audisio – con quale mezzo David, con l’aiuto della storia e della poesia, parlando alla ragione ed all’immaginazione, scuote, agita, trasporta tutte le potenze della nostra anima verso questo fine sublime che è Dio, Creatore magnifico, prodigo dei suoi doni, fedele alle sue promesse, generoso nel perdono, scudo e riparo nella tribolazione, sempre clemente, sempre padre, in una sola parola, sempre Dio. Tutti questi motivi danno alla sua fede questo candore, questa vivacità, questo energico e sublime entusiasmo che ammiriamo in tutti i Salmi, e che si legano potentemente all’anima del lettore, lo costringono per così dire a meravigliarsi per i benefici che ne ha ottenuto, un cantico di fede, di ammirazione, di azione di grazia. Dio e la sua legge sono sempre pregnanti nella sua anima, nel suo cuore, in tutte le potenze del proprio essere. La sua speranza non è meno viva. Il disprezzo assoluto di tutte le grandezze della vita, queste aspirazioni continue verso i beni della vita eterna, ci mostrano che la più cara delle speranze era quella di cambiare il diadema terrestre con l’incorruttibile corona dei Santi. In mezzo ai più gravi pericoli, ogni sua speranza è in Dio che egli non cessa di chiamare sua forza, suo rifugio, suo liberatore. Benché indignato della felicità degli empi, egli si proclama beato per la fiducia che gli è stata promessa di gustare un giorno la beatitudine della gloria eterna; così come un cervo affannato e assetato si precipita verso le acque, egli sospira ardentemente le delizie dell’eternità, ed in questa speranza sopporta con rassegnazione le tribolazioni e le angosce che la Provvidenza gli manda. – Infine i Salmi ci offrono la sostanza più pura e le formule più ardenti della carità evangelica, ricavando sempre i motivi della carità divina dalla natura di Dio stesso, come l’unica risorsa che la possa rendere santa, feconda, continua. E poiché la carità non ha alcun valore senza gli atti, senza gli effetti, David li descrive in se stessi, per farci comprendere che essi devono essere nel cuore di tutti i giusti.

2- Per la preghiera.

Gli altri libri delle Scritture ci insegnano generalmente e solamente ad amare Dio, a pregarlo, a chiedere la sua giustizia, a compiangere i nostri peccati, a farne penitenza; qui abbiamo il metodo e le formule per pregarlo in tutti gli stati di grazia, sia data, sia persa, sia recuperata. « I Salmi – dice il Conte De Maistre – sono una vera preparazione evangelica, perché in alcuna parte lo spirito di preghiera, che è quello di Dio, è più visibile … Il primo carattere di questi inni è che essi pregano sempre. Anche se il soggetto di un salmo sembra assolutamente accidentale e relativo solo a qualche avvenimento della vita del Re-Profeta, il suo genio incorre sempre in questo cerchio ristretto, sempre generalizza; come si vede dappertutto, nell’immensa unità di spirito che l’ispira, tutti i suoi pensieri e tutti i suoi sentimenti si volgono in preghiera. » – « David – dice dal suo canto P. Lacordaire (“Lettera sulla vita cristiana”) – non è soltanto profeta, egli è il principe della preghiera ed il teologo dell’Antico Testamento. È con i suoi Salmi che la Chiesa universale prega, ed in questa preghiera trova sempre, oltre alla tenerezza del cuore e la magnificenza della poesia, gli insegnamenti di una fede che ha conosciuto tutto del Dio della creazione, e previsto tutto del Dio della Redenzione. Il salterio era il manuale della pietà dei nostri padri, lo si vedeva sulla tavola del povero come sul pregadio dei re. Esso è ancora oggi nella mani del Sacerdote, il tesoro ove pone le ispirazioni che lo conducono all’altare, l’arca che l’accompagna nei pericoli del mondo e nei deserti della meditazione. Null’altro di ciò che David ha pregato al meglio, null’altro che non sia preparato per i malori e per la gloria, per le varie vicissitudini e per la pace, nulla ha cantato meglio la fede di tutte le età, e pianto meglio i peccati di tutti gli uomini. Egli è il padre dell’armonia soprannaturale, il musicista dell’eternità nelle tristezze dei tempi, e la sua voce si presta, per chi vuole, per gemere, per invocare, per intercedere, per lodare, per adorare. » C’è dunque da desiderare che questo libro sacro, il libro dei libri, il libro per eccellenza, divenga il codice della preghiera, soprattutto per coloro che sono chiamati a conversare spesso con Dio nel santo affare dell’orazione! L’uso dei Santi di tutti i tempi e di tutti i luoghi ci prova compiutamente il merito dei Salmi sotto questo aspetto. Questi uomini di fede fanno dei Salmi le loro delizie; essi si intrattengono giorno e notte con Dio, recitandoli o meditando questi sacri colloqui. Se dunque noi vogliamo, sul loro esempio, essere iniziati ai segreti di questa arte divina che mette l’intelligenza creata in comunicazione con l’Intelligenza infinita, lasciamo da parte, nella preghiera, ogni linguaggio umano: « impadroniamoci di questa voce che la Chiesa ha fatto sua e che, dopo tremila anni, porta agli angeli i sospiri e la vita dei santi », e impariamo a parlare, quando conversiamo con Dio, il linguaggio dello Spirito Santo che Dio comprende ed esaudisce sempre. « Perché noi non sappiamo neppure cosa chiedere nella preghiera; ma lo Spirito Santo stesso domanda per noi con gemiti inesprimibili; e Colui che scruta i cuori conosce i desideri dello Spirito, perché Egli chiede per i santi ciò che è secondo Dio. » (Rom. VIII-26,27). Questa importanza dello studio dei Salmi dal punto di vista della preghiera, è anche per il Sacerdote una conseguenza naturale dell’obbligo che egli ha di recitare tutti i giorni questi inni sacri. Benché egli possa soddisfare il suo dovere della preghiera pubblica senza comprendere il senso delle formule delle preghiere, resta tuttavia vero che uno dei mezzi più efficaci di soddisfare a questo dovere è quello di entrare nello spirito del profeta, cosa che non può farsi affatto se non con l’intelligenza di ciò che egli ha voluto dire. È ai sacerdoti soprattutto che si indirizza questo invito del Re-Profeta: “Psallite sapienter” – (cantate con intelligenza), e sarebbe vergognoso che dopo svariati anni di recita dell’Ufficio divino, si ponga loro questa domanda: “pensate di capire ciò che voi dite”? ora, una recitazione frequente non è sufficiente per penetrare tutte le misteriose profondità dei Salmi. Per molti sembra che ad una prima vista si raggiunga il fondo di questi cantici sacri. Si dice che il succo nascosto nelle vene della Scrittura non si assapori subito; questo è vero soprattutto per gli inni di David. Più li si medita, più essi svelano ricchezze; man mano che si avanza i loro limiti si allargano e viene un’epoca nella vita – dice S. Giovanni Crisostomo – nella quale ci si stupisce di scoprire sotto la più piccola delle sillabe, l’immensità di un abisso!

3-Per la predicazione

Il Sacerdote non è solo uomo di orazione, ma è pure ministro della parola santa ed interprete della legge: : « Nos vero orationi et ministerio verbi instantes erimus. » (Act. VI-4.). ora, quale miniera più feconda del Libro dei Salmi, per l’eloquenza cristiana che deve nutrirsi, come il sangue proprio, del succo delle sante Scritture, e presentare a tutti gli stati dei modelli di santità in rapporto ai loro doveri, elevare sopra la terra tutte le affezioni dell’anima, purificarle e fortificarle, fissarle nel centro supremo ed unico dell’amore infinito. Ma questi frutti di eloquenza non possono uscire che da un cuore nutrito e fecondato da una mano lunga mediante lo studio assiduo, una meditazione profonda del Libro dei Salmi, studio, meditazione, che soli possono bastare al pulpito cristiano, con le magnificenze tutte divine del più bello dei libri dell’Antico Testamento, tutto ciò che deve rendere la predicazione brillante e nello stesso tempo forte, sostanziale e penetrante.

Capitolo II

Definizione, divisione, collezione, diversi generi di salmi, autori dei Salmi.

I- Il libro dei Salmi, che è uno dei principali libri delle Sacre Scritture, è il poema per eccellenza dovuto all’ispirazione dello Spirito Santo, ed è chiamato dai Giudei il libro degli encomi, perché è composto per la maggior parte da inni che cantano gli antichi Giudei, per celebrare la potenza e le opere dell’Eterno, per esaltarne le perfezioni, implorare la sua misericordia ed il suo appoggio. I Greci gli danno il nome di “Psalterion”, perché questi inni erano ordinariamente cantati col suono di uno strumento musicale che si sfiorava con le dita e che si chiamava psalterion.

II- questo libro contiene centocinquanta salmi che i Giudei dividono in cinque libri, divisione che i santi Padri, e la maggior parte degli scrittori cattolici hanno seguito come molto antica. I salmi che oltrepassano i centocinquanta non sono considerati canonici.

III- Chi è l’autore dell’attuale collezione dei Salmi? È una domanda difficile sulla quale non tutti sono d’accordo. I Giudei, in una testimonianza di Eusebio, attribuiscono nella loro tradizione, questa collezione ad Esdra. Noi pensiamo però, dice a questo proposito Danko ( “llist. revel. div.” v. 6, 275), che questa collezione non sia stata fatta da un solo autore, né in un tempo unico. Noi siamo autorizzati a credere che gran parte di questo lavoro sia stato eseguito ai tempi di Ezechia (II Paral. XXIX, 35). Sembra certo che Geremia abbia fatto un gran numero di citazioni dei Salmi (Ger. IX,8; X,24; XI,20; XVII,10; XX,12; etc.). Nehemia ha contribuito egualmente a questo lavoro, così come il pio Giuda Maccabeo (II Maccab. II, 13). Quali siano stati gli autori di questa collezione, è certo che essi siano stati ispirati dallo Spirito Santo, per scrivere e raccogliere questi santi cantici con fedeltà, e separare il divino dal profano. Quanto all’ispirazione divina dei Salmi, essa risulta tutta insieme dalle verità, dai misteri, dalle rivelazioni che essi contengono, dal loro perfetto accordo con gli altri libri della santa Scrittura, dall’avverarsi delle profezie che si trovano affidate ai Salmi, dalle testimonianze dell’Antico e del Nuovo Testamento ed infine dall’autorità della Chiesa Cattolica.

IV- Benché i Salmi si rapportino alla gloria di Dio, e meritino il titolo di inni sacri, tuttavia sono differenti quanto al loro oggetto, quanto al genere, quanto alla loro destinazione particolare nella liturgia.

– 1 Quanto all’oggetto, si possono distinguere gli inni propriamente detti che contengono le lodi di Dio, i Salmi eucaristici, i Salmi di supplica, i Salmi morali, i Salmi penitenziali, i Salmi storici relativi agli avvenimenti passati o ai fatti della vita di David, i Salmi profetici.

– 2 Quanto al genere, li si può dividere in odi, elegie, Salmi didattici.

– 3 Quanto alla loro destinazione particolare, ve n’erano alcuni destinati a coloro che venivano a visitare il tempio, e che cantavano nel salire i gradini: li si chiamava appunto Salmi Graduali. Altri che racchiudevano lezioni morali e dovevano essere imparati a memoria: sono i Salmi alfabetici: se ne contano sei, i Salmi XXIV, XXXIII, CX, CXI, CXVIII. Berthold vi aggiunge anche il salmo XC, secondo la Vulgata. Altri erano destinati ad essere cantati in coro, essi sono composti di canti alternati e prevedono dei cori propriamente detti. Vi sono dei Salmi che dovevano essere cantati semplicemente (canticum), altri che dovevano essere cantati con l’accompagnamento (Psalmus), in altri la voce doveva precedere (canticum Psalmi), ed infine in altri in cui gli strumenti dovevano precedere la voce (Psalmus cantici).

V- Tra i Padri della Chiesa, un gran numero considera David come l’autore unico dei Salmi. In particolare questa è l’opinione di S. Crisostomo, di S. Ambrogio, di S, Agostino, di Teodoreto, di Cassiodoro, di Filastro. Di Eutymio, del venerabile Tiedo e della maggior parte degli antichi. Anche il Bellarmino considera questa opinione come la più probabile, a motivo del gran numero di quelli che l’hanno sostenuta. – Tuttavia non tutti i Padri sono unanimi su questo punto, poiché un certo numero di essi sostiene che non tutti i Salmi vengano unicamente da David. È quanto sostengono Origene, la Sinopsi attribuita a S. Atanasio, S. Ippolito, S. Ilario, Eusebio di Cesareo, e S. Girolamo non esita a dire: « è un grave errore pensare che tutti i Salmi abbiano per autore Davide perché ce ne sono alcuni che ne portano il nome (Epi. Cypr. CXL). A questi nomi importanti e critici, bisogna aggiungere la maggior parte dei rabbini e dei nuovi commentatori ed esegeti di tutte le comunioni, che attribuiscono i Salmi a diversi autori, tra i quali David però mantiene sempre il primo posto. In particolare questa è l’opinione di Bossuet, indicata ma non provata. – I moderni critici tedeschi, e bisognava aspettarselo, hanno dato prova della loro ardita costumanza, poiché sembrano rivaleggiare tra coloro che non vogliono attribuire, e senza motivo, vari Salmi agli autori designati nei titoli. Così secondo Berthold, sono non più di 70 i Salmi veramente di David, e dei 12 che portano il nome di Asaf, sei tutt’al più sarebbero di questo profeta. De Wette non ne ammette neanche questo gran numero e presume che la maggior parte dei Salmi non siano che delle imitazioni di David. Richorn è ancora meno generoso e lascia a David solo il Salmo L di sua proprietà. Hitzig, Olhausen, Lengerke rimandano la composizione della maggior parte dei Salmi, o di un gran numero di essi, ai tempi dei Maccabei (Bengel Dissert. Ad introd. In l. Psal.), Pressel ed Hesse (De Psal. Disser.): fanno risalire a questa epoca i Salmi XLIV, LXXIV, LXXVI, LXXIX, LXXXIII, CXIX. Ma questi autori non prestano attenzione al fatto che se i Salmi fossero stati composti ai tempi dei Maccabei, poiché sono stati inseriti nel Canone solo nella metà del secolo antecedente Gesù Cristo, porterebbero il nome dei loro presunti autori, non permettendo che la loro recente origine andasse obliata. Ora, poiché non si evince alcuna indicazione dell’epoca dei Maccabei, dobbiamo concludere che coloro che sostengono questa opinione sono in errore. – Lasciando dunque da parte queste temerarietà gratuite e senza fondamento dei razionalisti tedeschi, abbiamo in realtà da tener presente solo due opinioni serie. Noi personalmente parteggiamo per la seconda, che cioè i Salmi siano di diversi autori, tra i quali David ha il primo posto, perché questa opinione ha dalla sua, per varie ragioni, se non la maggior parte degli antichi, almeno i più competenti in questa materia e la quasi totalità dei moderni, sia Cattolici che protestanti. Noi quindi riconosciamo che la maggior parte dei Salmi vengano da David, ma non possiamo attribuirgli la totalità dei Salmi. I motivi sui quali appoggiamo tale opinione sono:

1° i titoli dei Salmi che bisognerebbe rigettare o spiegare in un senso improprio;

2° la grande diversità di stile che si nota nella composizione dei Salmi che a parere di tutti vengono da David, da quelli che portano il nome di Asaf o che si riferiscono alla cattività. I Salmi di David sono più facili, più eleganti, quelli di Asaf sono più oscuri, con stile più conciso, più veemente e spesso più triste. Vi si trova inoltre più caldeismo di quanto non se ne trovi nei Salmi che vengono incontestabilmente da David;

3° I fatti storici raccontati o enunciati nei Salmi, e che indicano con evidenza autori posteriori a David. Ora, siccome qui la tradizione ci lascia indubbiamente libertà di critica, noi siamo autorizzati a ritenere queste ragioni, se non invincibili, almeno come altamente probabili. Né l’Antico né il Nuovo Testamento ci sono contrari, e se nostro Signore Gesù Cristo e gli autori dei libri del Nuovo Testamento attribuiscono per la maggior parte dei tempi a David i Salmi che essi citano, non si può trarre altra conclusione e cioè che David è l’autore dei Salmi citati e non della totalità. E se un gran numero di Padri sembra attribuire la maggior parte dei Salmi a David, noi possiamo dire con Bonfrère che essi non parlano sempre secondo i loro sentimenti, ma secondo un linguaggio popolare che dava al Salterio, nella sua globalità, il nome di David. È così che S. Girolamo, partigiano dell’opinione che noi sosteniamo, sembra, nei suoi Commentari, attribuire comunque tutti i Salmi a David. Allo stesso modo fa Bossuet, che nei suoi sermoni cita tutti i Salmi sotto il nome del Profeta-Re.Infine il costume della Chiesa di citare i Salmi sotto il nome di David, le espressioni di più Concili, in particolare quello di Trento, che nei suoi decreti chiama il libro dei Salmi: il Salterio di David, provano semplicemente che David era considerato come il compositore del maggior numero di Salmi, anche se da sempre si ritiene come autore di tutti, colui che ne ha composti la maggior parte.

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