IL MERITO NELLA VITA SPIRITUALE (4)
[E. Hugon: Le mérite dans la vie spirituelle, – LES ÉDITIONS DU CERF JUVISY — SEINE-ET-OISE – 1935]
VII.
L’ENTITÀ DEL MERITO
San Tommaso (Ia, IIa, q. 114, a. 8) stabilisce il principio che il merito si estenda anche oltre la nozione soprannaturale che Dio usa per condurci al nostro fine. Ora, l’ “impulso” del motore celeste ci è dato non solo per il fine supremo, ma per tutta la marcia, per tutta la durata e tutto il progresso del movimento: il fine è la gloria; la marcia ed il progresso sono l’aumento della grazia. In altre parole, il merito dà il diritto alla gloria ed all’incremento di gloria per la patria, alla grazia e all’incremento di grazia anche quaggiù. Il Concilio di Trento ha definito che il merito dell’uomo giusto si estenda a tutto questo: “L’aumento della grazia, la vita eterna, il possesso di quella felicità se si muore in amicizia divina, e l’aumento della gloria” (Sess. VI, can. 32). Nel dichiarare che il merito cresce attraverso ciascuno degli atti che si ripetono sotto l’influenza della grazia, bonis operibus quæ per Dei gratiam fiunt, il Concilio indica sia che è richiesta la grazia, sia che il merito cresce tanto più spesso quanto noi facciamo il bene. Pensiamo, dunque, che ogni nostra buona azione ci dà diritto ad un nuovo grado di gloria per l’eternità e, quaggiù sulla terra, ad un nuovo grado di grazia per la nostra anima. Meravigliosa fertilità della vita spirituale! Ma, d’altra parte, la dottrina cattolica predica la vigilanza: se cadiamo, le nostre giustizie saranno dimenticate: « Ma se il giusto si allontana dalla giustizia e commette l’iniquità e agisce secondo tutti gli abomini che l’empio commette, potrà egli vivere? Tutte le opere giuste da lui fatte saranno dimenticate; a causa della prevaricazione in cui è caduto e del peccato che ha commesso, egli morirà » (Ezechiele, XVIII, 24), e non potremo meritare che Dio ci ripari dopo la nostra caduta, poiché la mozione divina, indispensabile al merito, viene fatalmente interrotta e fermata dall’atto stesso del peccato (S. Tommaso, 1a, IIa, q. 114, a. 7). Ciò che dobbiamo chiedere a Dio in ciascuna delle nostre preghiere è di tenerci per mano, di non lasciarci mai separare da Lui dall’offesa mortale e, se questa sventura estrema dovesse colpirci, di sollevarci subito per la sua misericordia. Ne consegue anche che la perseveranza finale non rientra nel merito proprio (cfr Concilio di Trento, sess. VI, can. 16 e 32, e cap. 16). Perseverare è unire lo stato di grazia con la morte; solo questo, quindi, può assicurarci questo successo definitivo, che è del sovrano Padrone della morte e della grazia, il nostro Creatore e Redentore divino. Non possiamo, con le nostre azioni, assicurarci che la nostra morte arrivi esattamente nel momento in cui godiamo dell’amicizia divina: tutto questo va al di là della portata dei nostri sforzi. Poiché la perseveranza è l’effetto proprio della predestinazione, è ovvio che essa sfugge, come quella, alla sfera del merito; ma, d’altra parte, cade in qualche modo nell’ambito dell’impetrazione, perché Nostro Signore l’ha promessa a tutti coloro che la chiedono nel suo Nome con le necessarie disposizioni, con umili e costanti suppliche: supplicibus precibus emerci, come dice Sant’Agostino (De dono persever…), c. V, n. 10, P. L., XLV, 999). – È in questo modo di impetrazione, che sembra bisogni ricondurre la grande promessa fatta dal Sacro Cuore a Santa Margherita Maria. La pratica della Comunione consecutiva durante i primi nove venerdì del mese non dà diritto alla perseveranza finale, in quanto abbiamo diritto a ciò che rientra nel merito propriamente detto; ma Nostro Signore, per l’eccessiva misericordia del suo Cuore e per puro amore, promette questo immenso favore a coloro che degnamente soddisfano le condizioni prescritte. L’efficienza viene dalla promessa divina; non siamo più nell’ambito del merito e della giustizia, ma in quello dell’impetrazione e della bontà (a questo proposito, vedi P. Bainvel, La dévotion au Sacré-Coeur, Paris, Beauchesne, e art. du Dict. Théol. P. Vermeersch, S. J., Pratique et doctrine de la dévotion au Sacré-Coeur, Casterman, Tournai, 1908; Van der Meersch, De gratia, p. 377). – Qualunque siano le spiegazioni, è sovranamente opportuno meditare sulle belle parole di San Bernardo: « La perseveranza è la figlia del Re sovrano, la fine delle virtù e la loro incoronazione, la sintesi di tutti i beni, la virtù senza la quale nessuno vedrà Dio » (San Bernardo, Serm. de diversis, XLI, P. L. CLXXXIII, 658). Senza di essa, né il combattente otterrà la vittoria, né il vincitore avrà la palma. Essa è la sorella della pazienza, la figlia della costanza, l’amica della pace, il nodo delle amicizie, il vincolo della concordia, il baluardo della santità (Idem., epist. 129 (al. 35a), P. L. CLXXXII, 283- 284). È ad essa che viene restituita l’eternità, ed è essa sola che restituisce l’eternità all’uomo (Idem., De considera, I, V. v. XIV, n. 31, P. L. CLXXXII, 806). – Le altre grazie sono l’effetto della Provvidenza ordinaria e sono distribuite alla folla; procedono da una Provvidenza molto speciale e sono riservate all’amato, allo scelto, all’eletto. – Chiediamo al Sacro Cuore quando lo possediamo al momento della Comunione; che non ci permetta mai di separarci da Lui: numquam me a te separari permittas!
VIII.
IL PAGAMENTO DEL MERITO
È ovvio che la gloria sarà pagata solo in cielo. L’aumento della grazia potrebbe essere conferito qui sulla terra, se le nostre disposizioni fossero abbastanza perfette e se i nostri atti superassero in intensità l’abitudine stessa. Così si ammette che nella Beata Vergine l’impulso iniziale sia stato trasmesso con una forza tale che Ella lo moltiplicava ogni volta; la prodigiosa somma dell’origine è stata raddoppiata nel secondo atto e così via all’infinito, senza limiti e senza sosta. Ma nei giusti ordinari, è così? San Tommaso dice molto chiaramente: « La grazia non viene aumentata immediatamente, ma a suo tempo, cioè quando l’uomo è sufficientemente disposto a riceverne l’aumento: Nec gratia statim augetur, sed suo tempore, cum scilicet aliquis fuerit dispositus ad gratiæ augmentum. (Vedi, per la teoria di San Tommaso, i commentatori in Ia, IIæ, q. 114, a. 8, i Salmanticenses, disp. VI, n. 81; Billuart, De caritate, diss. 1, 3; per l’altro opinione: Suarez, lib. IX, n. 232; Began, III P., tr. Io, Cap. XXII, q. III). – (Ia, IIæ q. 114, a. 8, ad 3). Al contrario, Suarez e i suoi discepoli credono che tutti i gradi di grazia che ci meritiamo, anche con i nostri atti più deboli, siano conferiti all’anima senza indugio. – Non è questo il luogo per affrontare in profondità una questione metafisica molto interessante, ma le anime pie trarranno beneficio dal conoscere i sentimenti di San Tommaso, in modo che possano scegliere il modo più sicuro di comportarsi e dare più fervore e più slancio alla loro vita. – Il principio tomistico che regola tutte le questioni è questo: una qualità, una perfezione, non può essere introdotta in un soggetto se il soggetto non è portato a suo livello, cioè sufficientemente disposto, degnamente preparato. Se, nell’ordine fisico, per aumentare di un grado il calore dell’acqua, è necessario una nuova attività, allo stesso modo, nell’ordine spirituale, per elevare la vita soprannaturale ad un livello superiore, è necessaria un’energia che superi in intensità l’ordine precedente. Altrimenti la grazia, anche se dovuta alle nostre buone opere, non sarà conferita immediatamente; ciò che la ferma e la tiene in sospeso è l’imperfezione dell’atto o la sua mancanza di intensità. La grazia sacramentale è certamente immediatamente riversata nell’anima dall’efficacia stessa del rito sacro, ex opere operato; ma l’incremento che si fa per via del merito, richiede un atto più vigoroso che l’abitudine preesistente. Quando l’ostacolo cade, quando l’anima, per esempio, lasciando il suo corpo compie l’atto di carità perfetta, il pagamento ritardato si completa in un istante, la grazia finora sospesa e trattenuta come da una barriera si riversa nell’anima a fiotti sospinti. – La conclusione che emerge molto chiaramente e che sarà accettata da tutte le scuole è che uno dei più formidabili nemici del merito è la tiepidezza e che uno dei nostri migliori titoli nell’aumento della grazia è il fervore e la generosità. Questo è il vero modo di imitare la Santa Vergine in cui si realizza la perfezione del merito: continuità delle azioni, dignità della persona, eccellenza delle opere, rese ancora più grande dall’influsso dei doni e dal tocco divino dello Spirito Santo. Grazie a Maria, c’è stata nell’umanità una creatura che ha praticato alla lettera il consiglio dell’Apostolo: «Tutto ciò che fate sia a gloria di Dio ». – Il nostro modesto studio avrà dimostrato ai nostri lettori che il merito è la vera corona del libero arbitrio, l’apice dell’attività umana ed angelica, la vera vita spirituale, la vita feconda, la vita intensa, poiché è vita piena di immortalità e di eternità.