LA CATENA D’ORO DEI SALMI: NOTE INTRODUTTIVE (3)
La catena d’oro dei SALMI
o I SALMI TRADOTTI, ANALIZZATI, INTERPRETATI
E MEDITATI CON L’AIUTO DI SPIEGAZIONI E RELATIVE CONSIDERAZIONI, RICAVATE TESTUALMENTE DAI SANTI PADRI, DAGLI ORATORI E SCRITTORI CATTOLICI PIU’ RINOMATI.
Da M. l’Abbate J.-M. PÉRONNE,
CANONICO TITOLARE DELLA CHIESA “DE SOISSONS” , Professore emerito di sacra Scrittura e di Eloquenza sacra.
TOMO PRIMO.
Capitolo V
Difficoltà generali dei Salmi e regole generali e particolari per la perfetta comprensione dei Salmi
– Quali sono le principali cause delle difficoltà che si incontrano nei Salmi?
Il libro dei Salmi è uno dei nostri Libri santi più fecondi in difficoltà, che sono di ogni genere.
I lavori dei Santi Padri, le sapienti ricerche degli interpreti antichi e moderni ne hanno fatto indubbiamente superare un certo numero, ma ne restano ancora molte sulle quali ci si è ridotti a dare delle spiegazioni più o meno probabili. Far conoscere le cause di queste difficoltà, significa segnalare gli scogli contro i quali numerosi interpreti si sono infranti, ed indicare nello stesso tempo i mezzi per evitarli. Ora, tra le cause di oscurità, alcune sono comuni ai Salmi ed ai libri ispirati, le altre sono peculiari a questi inni sacri.
–I. I Salmi hanno in comune con gli altri libri santi:
1° la profondità della parola di Dio. La profondità del senso che accompagna sempre la parola di Dio, e che lo spirito dell’uomo non può sempre penetrare; questa profondità che appartiene a tutti i Salmi, non è un segreto da chiedere al commentatore, ma la si ottiene per la pietà ed il fervore con i quali si meditano.
2° L’oggetto dei Salmi. Quest’oggetto è o profetico o storico. Nel primo caso, la profondità naturale della parola divina è ancora aumentata dal carattere della profezia, « lo spirito (profetico), penetrando tutto – dice San Paolo – ed anche ciò che è più nascosto nelle profondità di Dio, e svelando l’avvenire con delle aperture che si scoprono con un serio esame e mediante analogia.
– Se l’oggetto dei Salmi è storico, non lo si può intendere senza la conoscenza perfetta degli avvenimenti riportati. Ora, la storia santa non ci fa conoscere nulla – ad esempio – di tutte le circostanze della vita del Re-Profeta, ed ugualmente degli usi e dei costumi ai quali i Salmi fanno allusioni frequenti, ed anche delle espressioni proverbiali usate ai tempi di David; senza possedere queste conoscenze, un gran numero di passaggi sono difficili da comprendere.
II. Le cause di oscurità peculiari ai Salmi sono:
1° Il genere di composizione dell’ode sacra. – Il genere di composizione o, per parlare con Bossuet, « l’entusiasmo poetico, la sublimità dei sensi, la veemenza dei movimenti, la concisione dello stile e questi getti di luce, rapidi come lampi che abbagliano la vista comune; infine, questo tono particolare all’ode sacra che sfugge, si trasporta via, si slancia nelle regioni più elevate, passa bruscamente da una cosa all’altra senza indicare la sua marcia precipitosa. I nostri poeti quando fanno parlare il Signore, non si fanno remore nel prevenire il lettore con queste parole: “così parla il Signore”, il più delle volte con queste formule, non certo per rallentare la rapidità del loro corso, essi vogliono un’attenzione sostenuta capace da se stessa di gustare e sentire le cose » (Bossuet, Dissertaz.). – Questa soppressione frequente delle idee intermedie e delle legature, congiunta allo stilo poetico dei profeti e al carattere dell’ode sacra è causa frequente di oscurità, e non volendo gli interpreti
quasi mai sostituire qualcosa, possiamo immaginare quanto dovesse rimanere
nebuloso il testo che ha sostituito al testo ebraico delle poesie sacre. Ciononostante guardiamoci dal fare di questo peculiare carattere dei Salmi un pretesto per dispensarci dal penetrare in certe difficoltà che si vorrebbero rispettare come misteriose oscurità; guardiamoci soprattutto dall’alleggerire gratuitamente l’entusiasmo poetico credendo di incontrare un difetto di armonia nel contesto di un salmo. L’esame dettagliato che faremo di ogni singolo salmo e l’analisi logica che ne daremo, ci convinceranno che lo Spirito Santo ha saputo aggiungere all’entusiasmo poetico, un ordine molto rigoroso nelle idee, e che sono dovute alla temerarietà di certi spiriti le deviazioni della loro immaginazione che vorrebbero far passare come entusiasmo dello Spirito Santo.
2° Il genio della lingua ebraica. – Un altro elemento di difficoltà concerne la brevità della lingua ebraica. – « l’ebreo, l’arabo ed altri abitanti delle contrade ove il sole emette i suoi dardi brucianti – dice ancora Bossuet – esprimono il loro pensiero con il calore dei gesti e dei movimenti, più che con le parole soltanto, e con frequenti ellissi. Ecco pertanto nel libro di Giobbe e nei nostri Salmi l’oscurità che ne rende la lettura così imbarazzante, difetto che non deve essere messo in conto della lingua stessa, che essendo la più antica del mondo, e non essendo più parlata da oltre venti secoli, è divenuta di difficile comprensione, visto che sfugge ad una folla di sensi che l’uso abituale rendeva invece familiare, e visto che l’eccezione propria di un gran numero di termini che la compongono ed i significati dei particolari, così importanti nei discorsi, non sono più conosciuti con precisione, gettando nella frase dei momenti sconnessi ed imbarazzanti. La grande antichità di questa lingua originale non le permette di arricchirsi di nuovi perfezionamenti che illuminano e rendano lucidi gli idiomi moderni rispetto a quelli antichi » (Dissert. XXIII).
Aggiungiamo ancora le seguenti considerazioni:
1°) nessun dizionario disponibile fu fatto nei tempi in cui si parlava questa lingua;
2°) le nostre versioni più antiche sono state fatte in un epoca in cui l’ebraico era divenuta una lingua da sapienti;
3°) gli interpreti non sempre la comprendevano perfettamente;
4°) non esisteva che un solo libro in ebraico e di conseguenza i punti di comparazione e di analogie erano difficili da stabilire;
5°) il genio della lingua ebraica è tanto diverso da quello da lingue quali il greco ed il latino, per cui è divenuto impossibile ai traduttori rendere sempre il senso ugualmente intellegibile nel rendere poi scrupolosamente le espressioni del testo ebraico.
3° La difficoltà della distinzione dei sensi e dei versetti. – un’ultima causa di oscurità viene dalla difficoltà di ben distinguere, in un salmo, ciò che è letterale da ciò che è figurato, e cioè di determinare in un certo modo gli ambiti nei quali parla Dio, distinguendoli da quelli in cui parla il salmista, o gli ambiti in cui c’è dialogo.
ARTICOLO 1°
Regole generali comuni a tutti i Salmi.
Le regole che diamo qui si rapportano all’attitudine generale che occorre seguire per lo studio di ciascun salmo, per l’intelligenza del salmo sotto i suoi differenti rapporti, ciò che comprende la conoscenza dell’oggetto preciso del salmo, del suo insieme e dei suoi dettagli; la conoscenza del vero significato dei tempi dei verbi, degli ebraismi più frequenti nei salmi, delle principali locuzioni ambigue impiegate dalla Vulgata, e del soccorso che si può ricavare dal parallelismo per la perfetta comprensione dei Salmi.
-1. Regole relative alla conoscenza dell’oggetto e dell’insieme dei Salmi.
Occorre dunque innanzitutto, cercare di comprendere il vero soggetto del salmo che si voglia studiare, soggetto che si conosce ordinariamente dal titolo, dalla sua origine storica, dal suo autore, e meglio ancora dall’analisi del salmo. Una volta diretta l’attenzione sul vero argomento di un salmo, non è sufficiente spulciarlo, per così dire, laboriosamente, versetto per versetto; è l’insieme e lo spirito generale che occorre cogliere, e questo si ottiene coordinando le diverse parti tra di loro, e spiegandone le difficoltà che si incontrano piuttosto nell’insieme del salmo, più che dai principi di soluzione particolare per ogni versetto.
–2° Regole relative al vero significato dei verbi.
« Nel testo ebraico della Bibbia – dice M. Bondil (Art. II, osservazioni importanti sui verbi) – si incontrano sovente dei futuri nel racconto di avvenimenti passati, e dei preteriti là dove sono annunciati avvenimenti futuri; a volte i preteriti ed i futuri sono mischiati ed impiegati, si direbbe, quasi a caso per esprimere tutte le differenze temporali. Gli antichi traduttori, pieni di un giusto rispetto per i testi originali, hanno riprodotto la lettera e le forme finché hanno potuto e spesso senza uno sguardo al contesto né al soggetto e senza tener conto del carattere particolare di questa lingua. Ne è risultato che dopo aver seguito esattamente la lettera, almeno in apparenza, essi hanno oscurato e mischiato il retto senso dei passaggi. Alcuni commentatori hanno voluto comunque spiegare certe versioni e dimostrarne dei sensi ragionevoli. Allora è scaturita una chiosa banale: che i profeti vedono le cose future come se fossero già passate, e che quindi essi possono annunciare con dei preteriti. Questa ragione non è da disprezzare, ma c’è una spiegazione più naturale e che si trae dal fondo stesso della lingua, e cioè che i tempi ed i modi in ebraico hanno un valore meno fisso e determinato che in una lingua europea. Due tempi, il passato ed il futuro, ed ancora una sola sorta di passato e futuro, un imperativo, due participi ed un infinito: ecco tutta la coniugazione dei verbi ebraici che del resto hanno più voci. »
Così per convincerci in ciò che occorre sapere su questa importante materia, il preterito ebraico equivale a tutti i nostri tempi passati e a tutto ciò che nella nostra grammatica si chiama imperfetto, perfetto e piuccheperfetto, sia all’indicativo che al congiuntivo; spesso esprime anche il presente ed il futuro. – Il futuro, d’altra parte, oltre al valore dei differenti futuri, esprime l’ottativo, il congiuntivo, l’imperativo, l’abitudine, la durata o la ripetizione frequente dell’azione espressa dal verbo, sia che si tratti di un’azione passata e compiuta, sia che l’azione duri ancora, in modo che la si possa rendere in italiano, sia con l’imperfetto, sia con il presente. – L’imperativo serve a comandare, a pregare, ad esortare, a permettere. – Il participio e l’infinito si prestano a tutti i tempi secondo le circostanze. Spesso si impiega quest’ultimo anche come sostantivo, e unito alle preposizioni, rimpiazza il gerundio latino.
Se ci si domanda come si possa intendere un tale sistema di coniugazione, noi rispondiamo che in ebraico, come in arabo, sono il senso della frase ed il contesto, e l’intenzione dell’autore, che faranno distinguere i tempi. Così, nei comandamenti e nelle preghiere, i futuri equivalgono agli imperativi o ottativi. I tempi che precedono, il cui significato è chiaro, aiutano così a fissare il vero significato di quelli che seguono, così come i luoghi paralleli e l’analogia della dottrina. Il grande principio, è che quando si tratti di avvenimenti avvenire, si deve cambiare ordinariamente il preterito in futuro; quando si tratta di avvenimenti passati, i futuri devono essere resi come dei preteriti, e quando l’autore sacro parla di cose presenti, i preteriti ed i futuri equivalgono a dei presenti. Il contesto e l’oggetto del salmo è sufficiente ad indicare questi cambiamenti. – occorre notare anche che la preposizione ebraica “vau”, tradotta ordinariamente con “e”, non è sempre semplicemente congiuntiva, ma spesso conversiva, vale a dire che, posta davanti ad un preterito, dà un valore di futuro, e viceversa.
Questi principi generali, essendo una conseguenza necessaria della natura della lingua ebraica, non possono essere ignorati dai “Settanta”, che ne hanno fatto un uso ampio, e la Vulgata li ha seguiti. Non è necessario darne delle prove, ma è necessario rettificare qualche omissione, rettificazione necessaria per ottenere il vero senso di certi passaggi.
Così i “settanta” avranno potuto sostituire, con più ragione che in altri distretti, nei passaggi seguenti: “Ecce enim veritatem dilectisti” (Ps. L)
-1° il presente al preterito: “Ecce enim veritatem dilexisti” (L);
“Dilexi quoniam exaudiet Dominus” (CXIV); “Benediximus vobis de domo Domini” (CXIII); “Quomodo dilexi legem tuam Domine” (CXVIII); “Cognovi quia faciet Dominus judicium inopis” (CXXXIX).
-2° Il presente al futuro: “In lege ejus meditabitur die ac nocte” (Ps. I); “In labore hominum non sunt et cum ho minibus non flagellabuntur” (LXXII); “Mane sicut herba transeat, mane floreat et transeat” (LXXXIX); “Potabunt omnes bestiæ agri” (CIII); “Os habent et non loquentur” (CXIII); ed in una folla di altri passaggi.
-3° Il presente in participio: “Quoniam multi bellantes adversum me” (LV), etc.
-4° Il futuro all’ottativo ed al congiuntivo: “Conservantur peccatores in infernum” (IX); “Gladius eorum intret in corda ipsorum”(XXXVI).
-5° Il futuro all’imperativo: “Spera in Domino et fac bonitatem et inhabita terram et pasceris …. Declina a malo et fac bonum et inhabita in sæculum” (XXXVI); “Constitue super eum peccatorem” (CVIII); “Dominare in medio inimicorum” (CIX), etc.
-3° Regole relative agli ebraismi più notevoli della Vulgata.
È sufficiente far conoscere ciò che più frequentemente rappresentano.
1° La parte per il tutto, l’anima per l’individuo. Parlando di Giuseppe: “Ferrum pertransiit animam ejus”, il suo corpo, tutta la sua persona (CIV), ferro per spada, etc.
2° L’impiego di due verbi, di cui uno in aumentativo, o qualificativo, e l’altro da tradurre come un avverbio: “Abundavit ut averteret iram suam” (LXXXVII); come se fosse “abunde avertit”;
-“Conversi sunt et tentaverunt Deum” (ibid.); come : “rursum tentaverunt”;
-“Magnificavit facere cum illis” (CXXV); come: “Magnifica fecit, etc”.
3° La costruzione di più verbi con preposizioni da sopprimere per la perfetta comprensione del testo: : “Nos autem in nomine Domini Dei nostri invocabimus” per: “nomen Domini Dei nostri invocabimus (XIX); “Non intellexerunt in opera manuum ejus” (XXVII), per: non intellexerunt opera; .. “Replebimur in bonis” (LXIV); “Ad videndum in bonitate” (CV); “Operuit super congregationem” (CV).
4° Qualche volta, al contrario, il testo, e di conseguenza i “Settanta” e la “Vulgata”, omettono la preposizione, non solo nella composizione delle parole, ma nel corpo della frase: “Averte mala inimicis meis” (LIII), invece di :”ad versus inimicos meos.
5° Lebraico impiega il femminile per il neutro. Così: hæc me consolata est; hæc facta est mihi” (CXVIII); “Unam petii a Domino” (XXVI), stanno per : hoc, unum …
Cercheremo di far conoscere qualche altro ebraismo non meno importante, spiegando nella regola seguente, il significato di qualche termine ambiguo della Vulgata.
– 4° Regole relative alla spiegazione di qualche termine della Vulgata che frequentemente ricorre nei salmi. [per spiegazioni più ampie si consulti il “Lexicon liiblicum” di Writoimuer.]
Anima ha quattro significati particolari nei Salmi:
1) anima: “ad Te levavi animam meam” (XXIV); “Quemadmodum desiderat anima mea” (XLI);
2) Vita “Accipere animam meam consiliati sunt”(XXX); “Confundentur … querentes animam meam” (XXXIV).
3) Persona. “Multi dicunt animæ meæ” per : me (III,3); “Quomodo dicitis animae meae” per: “dicits mihi” (X); qualche volta pure Anima è usata per “corpo” come abbiamo visto più in alto: “Ferrum pertransiit animam ejus;” “Non derelinquas animam meam in inferno”(XV).
4) desiderio, volontà. “Ne tradideris me in animas tribulantium me” (XXVL); “Non tradat eum in animam inimicorum ejus” (XL).
“Confessio e confiteri” hanno due significati distinti: 1) il più frequente: rendere onore, rendere grazie, lodare, celebrare, significato che deriva da fare una confessione in onore di qualcuno: “in voce exultationis et confessionis” (XLI); “In inferno quis confitebitur tibi” (VI). .2) Talvolta confessare ciò che si è fatto: “Dixi confiteor adversum me injustitiam meam Domino”(XXXI).
“Corrigere, Dirigere”, non hanno il senso ristretto della lingua latina; la parola ebraica alla quale corrispondono “Khoun” significa: preparare, raddrizzare, stabilire. Affermare, rendere stabile. È il senso che gli ha dato la Vulgata, dopo i Settanta, traducendolo spesso con “parare”, preparare (VII, 13; IX, 8; XX, 13; XXIII, 2) Constituere (CVI,36); fundare (VIII, 4); fabricari (LXXIII, 10); plasmare (CXVIII, 73); firmare (XCII). In quasi tutti i casi in cui questa parola è resa con “dirigere, corrigere”, bisogna dargli uno dei significati precedenti; raramente significa “rectum facere”: “Et statuit super petram pedes meos et direxit gressus meos” (XXXIX); “Apud Dominum grossus hominis dirigentur” (XXXVI); “ Vir linguosus non dirigetur in terra” (CXXXVIII); etc. “Corroxit orbem terræ qui non commovebitur.” (XCV) “Justitia et judicium correctio sedis ejus”(XCVI).
Ecclesia. Non c’è bisogno di ricordare, per l’uso della Scrittura, che questa parola non ha nei Salmi nessuno dei due sensi che gli diamo nel linguaggio ecclesiastico. Il vero significato è quello che i Settanta e la Vulgata hanno dato alla parola presente in diversi libri della santa Scrittura e talvolta nel Salmi: “Cœtus”, “multitudo populi”, “consilium”.
“Exerceri, Exercitari”, nei Salmi, corrisponde a “schouk”, parlare col cuore o la bocca, e significa quasi sempre meditare, parlare, intrattenersi: “In adiventionibus tuis exercebor” (LXXVI); “in mandatis tuis exercebor (CXVIII e passim); “ Et meditatus sum nocte … et exercitabar” (LXXVI).
“Exitus” significa tanto “uscita” :In exitu Israel de Aegypto” (CXIII), sia porte ed estremità: “Exitus matutini et vespere delectabis” (LXIV), sia liberazione: “Dominus exitus mortis”(LXVII), sia infine, sorgente, ruscelli: “Posuit … exitus aquarum in sitim et terram sine aqua in exitus aquarum”(CVI); “Exitus aquarum deduxerunt oculi mei” (CXVIII).
“Exultare” nei Salmi, corrisponde a “ranan” avere crisi di gioia, di lode, di dolore, celebrare con canti; ha diversi significati, con un regime diretto o con un regime indiretto. Si vede da questo come sia stato facile ai “Settanta” e nella “vulgata”, farci grazia del loro “kekrapaileos” “crapulatus a vino”, e la parola ebraica mithonen significa letteralmente: cantante, esultante per il vino o per l’ebrezza (LXVII).
“Facies a facie” significa sia “contro”: “Protege me a facie impiorum” (XII), sia “a causa”: “Non est sanitas in carne mea a facie iræ tuæ” (XXXVII), sia “davanti”: “Sicut fluit cera a facie ignis sic pereant peccatores a facie Dei”(LXVII).
“Forsitan” si trova al salmo LIV: “Abscondissam me forsitan ab eo”, al salmo LXXX “Pro nihilo forsitan inimicos eorum humiliassem”, al CXXIII “forsitan aqua absorbuisset nos”, al CXXVIII “Forsitan tenebræ conculcabunt me”. Siccome si può essere sorpresi nell’incontrare questa locuzione dubitativa al salmo LXXX, ove è Dio che parla, è bene sapere che nel salmo LXXX l’ebraico non ha nulla che corrisponde a forsitan, non più che al salmo LIV. Nel salmo CXXIII l’ebraico porta “aza”, allora, e nel salmo CXXVIII ak, ma, certamente.
“In” alle accezioni più ordinarie di questa preposizione, bisogna aggiungerne qualche altra che si incontra nei salmi, di cui le principali sono:
1) Con: “Servite Domino in timore et exultate ei cum tremore” (II); “Introibo in domum tuam in holocaustis” (LXV).
2) Dopo “In omnibus his peccaverunt adhuc” (LXXVII).
3) Durante: “Cantabo Domino in vita mea” (CIII), etc.
4) Per, a causa: “Ego aulem in moltitudine misericordiæ tuæ intrabo etc.” (V).”Preparans montes in virtute tua” (LXIV); “Delectasti me in factura tua” (XCI); “Laudate eum in virtutibus ejus”(CL);
-5) Per mezzo: “Deduxit eos in nube diei et tota nocte in illuminazione ignis” (LXXVII), etc.
-6 Per: Exurge Domine in præcepto quod mandasti” (VII); “Accepisti dona in hominibus” (LXVII).
-7) Su: “In tympano et psalterio psallite ei”(CXLIX).
“Pauper”, nei salmi, corrisponde alla parola ebraica “anah”, che significa povero, ma più spesso afflitto, oppresso, umile. Sarebbe dunque mal tradurre dandogli il significato di indigente, anche nei punti in cui la “Vulgata” lo traduce con mendicus, egenus, inops.
“Puer” significa quasi dappertutto “servitore”. In quasi tutti i casi in cui si trova la parola ebraica “obed”, servitore, la Vulgata traduce con “servus”.
“Quia, Quoniam”, l’ebraico “Khi”, perché, poiché, allorché, ché, etc. Queste due particelle sono lungi dall’essere sempre causativo, come in latino o in francese. In diversi casi la “Vulgata” ha reso a ragione la particella ebraica con: – “enim”, XXIV,11; XLIII,4; etc. – quod (CXXXIV,5); – propter quod (CXV, 10); – quem (XXI,32); – quæ (LXXXIX,4); – sed (XLIII,4); -(CXVII,17). Ma in molti altri casi ha tradotto questa particella con “quia”, “quoniam”, in modo da lasciare il senso di “perché”. Spesso occorre dare il senso di “che”: “Cognovi quia faciet Dominus judicium inopis, etc.;” – “vacate et videte quotiamo ego sum Deus” (XLV). Talvolta il senso di “propterea”: “Quoniam cogitatio hominis confitebitur tibi” (LXXV); “Posuisti iniquitates quotiamo omnes dies nostri defecerunt” (LXXXIX); atre volte occorre dare a quia o quoniam il senso di “cum” o “quamvis”. Questo versetto inintellegibile letteralmente: “Et omnes vias meas proevedisti quia non est sermo in lingua mea” (CXXXVIII) si spiega facilmente in questo modo, dice Bossuet: “Tu quidem Deus, omnes cogitationes meas prospexisti, cum ne verbum quidem proferens ullum.” Ugualmente in questo altro passaggio: “Quoniam videbo cœlos tuos” (VIII). – nel salmo LXXVI,12, quia deve tradursi con quin e serve da transizione. – Infine nel salmo CXVII,12, quia è una semplice particella esplicativa: “Et in nomine Domini quia ultus sum in eos”.
“Reverentia” ha quasi sempre il senso di “ignominia”, “confusio”, “opprobrium”, “rubor”, che traducono la stessa parola ebraica.
“Salutare Dei” dice Bossuet, deve intendersi costantemente “pro salute quæ a Deo sit”.
“Santificatio”, significa:
-1) Santità, cosa santa, consacrata a Dio: “Induxit eos in montem sanctificationis suæ” (LXXVII); “Confitemini memoriæ sanctificationis ejus” (XCVI); “Facta est Judæa sanctificatio ejus” (CXIII);
-2) Santuario: “Confessio et pulchritudo in conspectu ejus, santimonia et magnificentia in sanctificatione ejus” (XCV, 6);
-3) Forza: « Surge… tu et arca sanctificationis tuæ » (CXXX,8), ebraico “oz”, forza.
-4) Diadema, corona: “Super ipsum autem efflorebit sanctificatio mea” (ibidem 18); ebraico nizero, corona. Bisogna intendere allo stesso modo la parola “sanctuarium” in questo versetto: “Profanasti in terra sanctuarium ejus” (LCCCVIII);
“Sanctus”
-1) corrisponde ad una parola ebraica Kasid, che significa misericordioso, pio, benefattore ed anche che è l’oggetto della bontà e della misericordia di Dio. Si trova utilizzato una ventina di volte con questo significato. Così, per citare qualche esempio, quando il salmista dice (LXXXV): “Custodi animam meam quoniam sanctus sum”, come se dicesse probus, o benignus, o beneficus, o misericors, o studiosus boni bene faciendi sum. È il contesto che ne determina il significato migliore.
-2) Sanctus risponde alla parola ebraica, “kadosch” che significa:
-1) essenzialmente puro, spesso perfetto, parlando di Dio: “Sanctum Israel exacerbaverunt (LXXVII); .
-2) degno di grandissima venerazione, parlando del suo nome: “confiteantur nomini tuo magno quotiamo terribile et sanctum est” (XCVIII);
-3) che vive secondo le leggi di Dio; parlando degli uomini, “Sanctis qui sunt in terra ejus mirificavit omnes voluntates meas in eis” (XV);
-4) che è consacrato a Dio, parlando dei luoghi e delle cose: “Sanctum est templum tuum, mirabile in aequitate” (LXIV).
“Spiritus” significa:
-1) vento: “Spiritus procellarum pars calicis eorum” (X); “in spiritu vehementi conteres naves Tharsis” (LXIV);
-2) soffio: “Ab increpatione tua Domine, ab inspiratione spiritus iræ tueæ”(XVII); “Recordatus est quia caro sunt, spiritus vadens et non rediens”(LXXVII);
-3) anima: “In manus tuas commendo spiritum meum”(XXX); “nec es in spiritus ejus dolus”(LXXVII);
-4) Spirito: “Cor mundum crea in me Deus, et spiritum rectum”, come nei versetti seguenti (L): “Meditatus sum nocte cum corde meo … et scopebam spiritum meum” (LXXVIII). In quasi tutti questi passaggi, questo senso è determinato dall’opposizione tra “cor” e “spiritus”, eccetto quando si tratti dello Spirito di Dio: “ Spiritus tuus bonus deducet me in terram rectam” (CXLII). In tutti gli altri casi, la parola ebraica tradotta qui da “spiritus” è tradotta con “ventus”.
“Synagoga” corrisponde alla parola ebraica “edah”, assemblea.
“Vas” significa:
-1) vaso: “Tamquam vas finguli confringos eos” (II);
-2) strumento: “Confitebor tibi in vasis psalmi” (LXX);
-3) tiro, freccia: “Arcum suum tetendit … et in eo paravit vasa mortis”(VII).
“Verbum”, oltre al significato di “eloquium sermo, res, negotium”, è usato frequentemente come aumentativo: “verba iniquo rum”, per “iniquitates”; – “verba delictorum” o “verba rugitus”, per delitto o ruggito; – “verba malitium o malum.
“Virtus” corrisponde a:
-1) potenza: “Præparans montes in virtute tua” (LXIV);
-2) forza: “Aruit tamquam testa virtus mea” (XXI);
-3) fortia o cose forti: “In Deo faciemus virtutem” (LIX);
-4) ricchezze: “Qui confidunt in virtute sua et in moltitudine divitiarum sua rum gloriantur” (XLVIII);
-5) armata: “Et escussi Pharaonem et virtutem ejus in mari rubro” (CXXX);
-6) bastione: “Narrate in turribus ejus … Ponite corda vestra in virtute ejus” (XLVII); “Fiat pax in virtute tua, etc,” (CXXI).
Qui al contrario di ciò che abbiamo visto, l’ebraico è più vario del greco e del latino, ed offre sei parole tradotte spesso con “virtus”, benché siano talvolta tradotte con una delle parole precedenti. Si sa che questa locuzione, frequente nei Salmi: “Dominus Deus virtutum”, equivale a “Dominus Deus exercitum”.
In questa nomenclatura abbiamo inserito le parole il cui significato è più frequentemente equivoco.
-5° Regole relative ai soccorsi che si possono trarre dal parallelismo per la perfetta intelligenza dei Salmi.
Il parallelismo delle parti di uno stesso versetto può, in molti casi, essere di grande aiuto, sia per fissare il senso dei termini e dei passaggi oscuri od equivoci, sia per scegliere tra le versioni o lezioni diverse. Come in precedenza mostreremo qualche esempio chiarificatore.
-1) così in virtù del parallelismo: “infernus” deve avere un senso analogo a “mors” in: “Dolores inferni circumdederunt me. Preoccupaverunt me laquei mortis” (XVII), così come al salmo CXIV, 3. E al contrario la stessa parola ha il senso di tomba in: “Domine eduxisti ab inferno animam meam, Salvasti me a descendentibus in lacum” (XXIX).”In idipsum” è determinato nel senso di simul, una per mecum.”Magnificate Dominum mecum, et exaltemus nomen ejus in idipsum” (XXXIII).
“pulchritudo agri” deve intendersi per gli animali che popolano i campi, in: “Cognovi omnia volatilia cœli. Et pulchritudo agri mecum est” (XLIX). “Vellus” sta per tonsam herba in “Descendet sicut pluvia in vellus. Et sicut stillicidia super terram” (LXXII).
-2) col parallelismo si vede ugualmente che il senso dell’ebraico sia preferibile nei passaggi seguenti, come in molti altri:
Ebraico -Vulgata
(Ebraico) Mollius est butyro os eorum, sed bella gerit cor eorum.
(Vulgata) Divisi sunt ab ira vultus ejus, et appropinquavit cor illius.
. .
(Ebraico) Leniora verba illorum oleo, sed ipsa gladii districti.
(Vulgata) Molliti sunt sermones ejus super oleum, et ipsi sunt jacula (LIX).
(Ebraico) Horripilant præ timore tuo caro mea, Et a judiciis tuis timui.
(Vulgata) Confige timore tuo carnes meas, Ajudiciis enim tuis timui (CXVIII).
-3) il parallelismo esige ancora che si legga “Fructus” al nominativo e non al genitivo in: “Ecce hæreditas Domini, filii, Merces, fructus ventris” (CXXVI).
Regole particolari seguendo la natura dei Salmi.
§ I. — Regole per i Salmi profetici
-I^ regola – Per determinare se il senso letterale di un salmo si rapporti a Gesù Cristo o alla sua Chiesa, bisogna studiare tutti i caratteri del personaggio in questione, ed in seguito non solo se essi convengano a Gesù Cristo ma, se pur in un certo numero, se essi non convengano che solo a Lui. In quest’ultimo caso, l’armonia del testo intero esige, secondo il parere di quasi tutti gli interpreti, che le parti del salmo si rapportino letteralmente a Gesù-Cristo o alla sua Chiesa, benché possano convenire assolutamente, per qualche rapporto, ad un altro personaggio. Allora si avranno, se si vuole, due sensi letterali per una parte del salmo, ed un solo senso letterale per i punti che non convengano che a Gesù-Cristo.
-2^ regola – Se ci sono dei caratteri che si applicano letteralmente e direttamente a David e che, secondo la storia, sono stati con evidenza compiuti nella sua persona, e che ci siano pure altri punti di maggior grandezza, più magnifici, e che gli convengono meno perfettamente, si può concludere che il salmo, applicabile nel senso letterale a Davide, debba applicarsi nel senso spirituale a Gesù-Cristo anche per le parti che convengono propriamente e letteralmente a Davide, figura di Gesù-Cristo.
È in tal senso che gli Apostoli hanno applicato a Gesù-Cristo e alla sua Chiesa certi passaggi applicabili nel senso letterale a David o agli avvenimenti del suo tempo. Gli interpreti, in virtù del rapporto di analogia, intendono anche l’uso di questo senso spirituale ai Salmi il cui oggetto non esiga affatto questa applicazione al Messia.
§ II. — Regole per i Salmi storici
Questi Salmi si riferiscono o a fatti passati o ad avvenimenti presenti della vita o dei tempi di Davide.
– 1^ regole per i fatti passati.
Una conoscenza esatta dei libri storici può solo gettar luce sulla recita poetica e concisa che i Salmi fanno di questi avvenimenti ai quali essi si contentano anche talvolta di fare semplicemente allusione come vedremo a suo tempo.
-2^ regola per gli avvenimenti della vita o dei tempi di Davide.
Oltre al nome dell’autore, o l’origine storica del salmo racchiuso nell’iscrizione, ci sono altri caratteri che indicano chiaramente che certi salmi hanno per oggetto gli avvenimenti della vita di Davide. Le sue persecuzioni, le sue guerre, il furore dei suoi nemici, i pericoli che ha corso, i ricordi frequenti del suo peccato, del suo perdono, il suo amore per Dio, la sua fiducia in Dio, di cui rinnova spesso la sua rassicurazione, i suoi sospiri davanti al Tabernacolo e all’arca santa della quale descrive il trasporto, sono tante caratteristiche che, secondo la maggioranza dei Padri e degli interpreti, debbano farci prendere la storia di Davide come la vera chiave di interpretazione di questi Salmi.
§ III. — Regole per i Salmi morali e didattici
-1^ regola – non bisogna cercare nei Salmi una morale assolutamente perfetta come quella del Vangelo. Dio ha rivelato la sua dottrina per gradi, Egli ha comunicato “con misura”, le sue luci agli uomini della rivelazione mosaica, e ne ha riservato la pienezza alla nuova Legge del Vangelo.
-2^ regola – Alcune delle sentenze racchiuse nei Salmi possono essere vere sotto la legge antica, la cui osservanza era ricompensata con delle felicità temporali, e non avere più lo stesso carattere di verità sotto la Legge nuova, che riconosce una diversa sanzione, di cui la prima è solo una figurazione. La sanzione temporale della legge di Mosè riguardava senza dubbio principalmente il corpo della nazione; ma spesso Davide si riferiva agli individui, cosa ben lungi dall’essere vero sotto il regno del Vangelo.
-3^ regola.– Nelle sentenze enunciate nei Salmi sapienziali, non bisogna esigere che esse siano vere per tutti i casi, ma solamente per i casi più ordinari e sicuramente per quelli di cui parla il salmista. Qui come altrove, l’universalità morale è sufficiente, e non è necessaria una universalità metafisica. Accade anche che alcune non siano vere che per Davide e possano essere limitate alla sua esperienza individuale: “Non vidi justum derelictum, nec semen ejus quærens panem.”
https://www.exsurgatdeus.org/2020/07/13/la-catena-doro-dei-salmi-note-introduttive-4/