« Le parole che Dio rivolse a Caino: «La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra» (Gn IV, 10), hanno anche oggi il loro valore; e quindi il sangue del popolo ungherese grida al Signore, il quale, come giusto Giudice, se punisce spesso i peccati dei privati soltanto dopo la morte, tuttavia colpisce talora i governanti e le nazioni stesse anche in questa vita, per le loro ingiustizie, come la storia ci insegna. » Tale è il pensiero chiave di questa breve lettera che S. S. Pio XII indirizza all’Episcopato ungherese deplorando i luttuosi avvenimenti rivoluzionari che avevano visto la morte di tanti innocenti, soprattutto Cristiani. Nella storia della Chiesa abbiamo assistito a tante persecuzioni più o meno mascherate da istanze sociali e politiche, ma tutte miranti in realtà a combattere Dio, il suo Cristo e la sua santa Chiesa. Ma il grido di protesta che S. S. Pacelli lanciava all’epoca, è lo stesso sul quale dovrebbero meditare i governanti di oggi della nostra Europa, del continente americano ed asiatico, tutti assoggettati alle logge e conventicole muratorie ed illuminate. Oggi essi marciano sicuri della vittoria e tronfi nei loro discorsi falsi, appoggiati da una falsa chiesa dell’uomo che ha svenduto in pratica tutti i valori cristiani sostituendoli con un paganesimo demoniaco, un moralismo libertinario antinaturale e degno delle peggiori bestie, uno spirito rapace da leone ruggente pronto a divorare tutte le anime che incautamente ingannate vi si accostano. Ma il sangue del tuo fratello, e l’anima dannata del tuo fedele ingannato, gridano vendetta, ed il Signore punisce in questa vita le nazioni che evidentemente non possono raggiungere come tali l’inferno o il purgatorio. È qui che i popoli, i governanti di popoli ribelli ed apostati, ed in particolare i pastori di anime, falsi o veri che siano, è qui che pagheranno, qui sulla terra i loro misfatti per mano dei demoni che hanno servito, pensando – come Adamo ed Eva si illusero di essere già Dei – di poterne trarre vantaggi materiali od onori e fama nel mondo. Ne avranno castighi inimmaginabili già qui in questa vita corrotta, per poi completare le loro belle imprese nell’eterno fuoco, nelle tenebre esteriori, là ove sarà pianto e stridor di denti. Stiano ben attenti i potenti del mondo, coloro che manovrano le leve ed i tentacoli delle mortali piovre, ancor più i falsi preti, i falsi vescovi e i cardinal-tarocchi … per quanti anni pensate di poter sfuggire alla giustizia divina? Dieci, venti, trenta o anche cinquanta … e poi? … cosa pensate che vi aspetti, la canonizzazione falsa riservata oggi nella sinagoga del nemico, pure ai sodomiti ed ai pedofili, ai comunisti e teosofi eretici, ai ladri della gloria di Dio, ai distruttori del Tempio santo? Pensate forse che vi aspetti la fama e l’immortalità nei libri di storia truccati, per aver tentato di scardinare l’ordine divino? Pazzi illusi, no … vi aspetta solo il fuoco eterno, la dannazione definitiva senza riparo. Redimetevi, pentitevi, fate penitenza continua, copritevi di sacco e di cenere, o… fra quaranta giorni Ninive sarà distrutta e la vostra anima dannata per sempre!
PIO XII
LETTERA ENCICLICA
DATIS NUPERRIME
CONDANNA DEI LUTTUOSI
AVVENIMENTI IN UNGHERIA
Con la recentissima lettera enciclica rivolta all’Episcopato cattolico, avevamo espresso la speranza che anche per il nobilissimo popolo dell’Ungheria albeggiasse finalmente una nuova aurora di pace fondata sulla giustizia e sulla libertà, poiché sembrava che in quella nazione le cose prendessero uno sviluppo favorevole. – Se non che le notizie che in un secondo tempo sono giunte hanno riempito l’animo Nostro di una penosissima amarezza: si è saputo cioè che per le città e i villaggi dell’Ungheria scorre di nuovo il sangue generoso dei cittadini che anelano dal profondo dell’animo alla giusta libertà, che le patrie istituzioni, non appena costituite, sono state rovesciate e distrutte, che i diritti umani sono stati violati e che al popolo sanguinante è stata imposta con armi straniere una nuova servitù. Orbene, come il sentimento del Nostro dovere Ci comanda, non possiamo fare a meno di protestare deplorando questi dolorosi fatti, che non solo provocano l’amara tristezza e l’indignazione del mondo cattolico, ma anche di tutti i popoli liberi. Coloro, sui quali ricade la responsabilità di questi luttuosi avvenimenti, dovrebbero finalmente considerare che la giusta libertà dei popoli non può essere soffocata nel sangue. – Noi, che con animo paterno guardiamo a tutti i popoli, dobbiamo asserire solennemente che ogni violenza, ogni ingiusto spargimento di sangue, da qualsiasi parte vengano, sono sempre illeciti; e dobbiamo ancora esortare tutti i popoli e le classi sociali a quella pace che deve avere i suoi fondamenti nella giustizia e nella libertà e che trova nella carità il suo alimento vitale. Le parole che Dio rivolse a Caino: «La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra» (Gn IV, 10), hanno anche oggi il loro valore; e quindi il sangue del popolo ungherese grida al Signore, il quale, come giusto Giudice, se punisce spesso i peccati dei privati soltanto dopo la morte, tuttavia colpisce talora i governanti e le nazioni stesse anche in questa vita, per le loro ingiustizie, come la storia ci insegna. – Voglia il misericordioso Dio toccare il cuore dei responsabili, di maniera che finalmente l’ingiustizia abbia termine, ogni violenza si calmi e tutte le nazioni, pacificate fra loro, ritrovino in un’atmosfera di serena tranquillità il retto ordine. – Frattanto Noi innalziamo al Signore le Nostre suppliche affinché, specialmente coloro che hanno trovato la morte in questi dolorosi frangenti, possano godere l’eterna luce e la pace nel Cielo; e desideriamo pure che tutti i Cristiani uniscano anche per questa ragione le loro suppliche alle Nostre. – Mentre a tutti voi esprimiamo questi Nostri sentimenti, impartiamo di gran cuore a voi, venerabili fratelli, e ai vostri fedeli, e, in modo tutto particolare, al diletto popolo ungherese, l’apostolica benedizione, che sia pegno delle celesti grazie e testimonianza della Nostra paterna benevolenza.
Roma, presso San Pietro, il 5 novembre, l’anno 1956, XVIII del Nostro pontificato.