QUARE ERGO RUBRUM EST INDUMENTUM TUUM, ET VESTIMENTA TUA SICUT CALCANTIUM IN TORCULARI? … ET ASPERSUS EST SANGUIS EORUM SUPER VESTIMENTA MEA, ET OMNIA VESTIMENTA MEA INQUINAVI . – Gestito dall'Associazione Cristo Re Rex Regum"Questo blog è un'iniziativa privata di un’associazione di Cattolici laici: per il momento purtroppo non è stato possibile reperire un esperto teologo cattolico che conosca bene l'italiano, in grado di fare da censore per questo blog. Secondo il credo e la comprensione del redattore, tutti gli articoli e gli scritti sono conformi all'insegnamento della Chiesa Cattolica, ma se tu (membro della Chiesa Cattolica) dovessi trovare un errore, ti prego di segnalarlo tramite il contatto (cristore.rexregum@libero.it – exsurgat.deus@libero.it), onde verificare l’errore presunto. Dopo aver verificato l’errore supposto e riconosciuto come tale, esso verrà eliminato o corretto. Nota: i membri della setta apostata del Novus Ordo o gli scismatici ed eretici sedevacantisti o fallibilisti, o i "cani sciolti" autoreferenti falsi profeti,non hanno alcun diritto nè titolo per giudicare i contenuti di questo blog. "
ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉSET MÉDITÉS
A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES
SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.
[I Salmi
tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e
delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli
oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]
Par M. l’Abbé
J.-M. PÉRONNE,
CHANOINE
TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et
d’Éloquence sacrée.
[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di
Scrittura santa e sacra Eloquenza]
TOME TROISIÈME (III)
PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE
DELAMMIE, 1878
IMPRIM.
Soissons, le 18
août 1878.
f ODON, Evêque de Soissons et Laon.
Salmo
149
Alleluja.
[1]Cantate Domino canticum novum; laus
ejus in ecclesia sanctorum.
[2] Lætetur Israel in eo qui fecit eum, et filii Sion exsultent in rege suo.
[3] Laudent nomen ejus in choro, in tympano et psalterio psallant ei.
[4] Quia beneplacitum est Domino in populo suo, et exaltabit mansuetos in salutem.
[5] Exsultabunt sancti in gloria, lætabuntur in cubilibus suis.(1)
[6] Exaltationes Dei in gutture eorum: et gladii ancipites in manibus eorum:
[7] ad faciendam vindictam in nationibus, increpationes in populis;
[8] ad alligandos reges eorum in compedibus, et nobiles eorum in manicis ferreis;
[9] ut faciant in eis judicium conscriptum: gloria hæc est omnibus sanctis ejus. Alleluja.
[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.
Vol. XI
Venezia, Girol.
Tasso ed. MDCCCXXXI]
SALMO CXLIX.
Lodino Dio quei che da Dio ricevettero maggior beneficii, quindi lo lodi il suo popolo, che da Dio ebbe la promessa della gloria eterna, alla quale, finito il pellegrinaggio, arriverà.
Alleluja. Lodate Dio.
1.
Cantate al Signore un nuovo cantico, le laudi di lui (risuonino) nella Chiesa
dei Santi.
2.
Rallegrisi Israele in lui, che lo ha fatto, e i figliuoli di Sion esultino nel
loro Re!
3.
Lodino il nome di lui con armonico canto, lo celebrino al suono del timpano e
del salterio.
4.
Perché il Signore ha voluto bene al suo popolo, e i mansueti innalzerà a
salute.
5.
Esulteranno i Santi nella gloria; saranno lieti nelle loro mansioni. (1)
6.
Hanno nella lor bocca le laudi di Dio, e nelle lor mani spade a due tagli;
7.
Per prender vendetta delle nazioni e castigare i popoli;
8.
Per legare in ceppi il loro re, e i loro grandi a catene di ferro;
9.
Per fare sopra di essi il giudizio, che sia già scritto: questa gloria a tutti
i Santi appartiene. Lodate Dio.
(1)
La
parola ebraica indica i letti dove ci si sedeva per la conversazione o il
riposo.
Sommario
analitico
Dopo avere,
nei salmi precedenti, invitato la sua anima, la natura e tutte le nazioni a
lodare Dio, il Profeta indirizzandosi nuovamente ai figli di Israele, indica
loro i motivi particolari che hanno nel celebrare questo Dio del quale ha
enumerato le perfezioni. Questi motivi sono la missione che essi hanno ricevuto
da Lui quaggiù, e che li rendono sulla terra i rappresentanti della sua potenza
e della sua giustizia. Nel primo senso imperfetto, il Profeta ha in vista le
vittorie degli Israeliti, tornati dalla cattività, sui popoli vicini che si
oppongono alla ricostruzione del tempio. In un senso più elevato, egli invita
tutti i santi a lodare Dio a causa della grazia che ha loro accordato e della
gloria di cui godono.
I.
– Egli li invita a cantare le lodi di Dio:
1° a cantare
in onore di Dio solo,
2° a cantare
un cantico nuovo,
3° a cantare
nell’assemblea dei santi (1),
4° a cantare
nei trasporti della gioia e dell’allegria (2),
5° a cantare
al suono degli strumenti (3);
6° egli offre
come motivo i benefici dei quali il Signore ha ricolmato il suo popolo:
a) essi sono riuniti in un solo popolo
sotto il suo scettro reale (6);
b) Dio si compiace in essi come nel suo
popolo (4).
II.
– Descrive la loro felicità:
1° la gioia
che essi provano nei loro corpi gloriosi,
2° la
sicurezza ed il riposo eterno di cui la loro anima è in possesso (5),
3° le lodi di
Dio che essi non cesseranno di cantare (6),
4° la potenza
giudiziaria che essi esercitano sui loro nemici, sui loro re e sui principi,
onore riservato a tutti i santi alla fine dei tempi (6-8).
Spiegazioni e Considerazioni
I. — 1-4.
ff.
1-3.
–
Lodiamo
il Signore con la voce, lodiamolo con gli sforzi della nostra intelligenza e
con le buone opere e, come ci esorta questo salmo, cantiamo un cantico nuovo.
Al vecchio uomo il cantico antico; all’uomo nuovo, un cantico nuovo. L’Antico
testamento è il cantico antico; il nuovo Testamento è il nuovo cantico.
L’Antico Testamento contiene delle promesse temporali e terrestri. Chiunque ama
i beni della terra, canta il cantico antico; chiunque vuol cantare il cantico
nuovo, deve amare le cose eterne. Questo nuovo amore è anche eterno; è dunque
eternamente nuovo, perché non invecchia mai. (S. Agost.). – Non si può
meditare abbastanza questa verità di cui Nostro Signore Gesù-Cristo ed i suoi
Apostoli parlano incessantemente, di rinnovare tutto. Il Testamento è nuovo, il
comandamento della carità è nuovo, il calice della salvezza è nuovo, il
linguaggio con cui devono parlare i fedeli è nuovo, il carattere del Cristiano,
è quello dell’uomo nuovo; la via che Gesù-Cristo ha aperto è nuova; la Gerusalemme
di cui noi siamo cittadini, è nuova, il cantico che vi si canta è nuovo. Tutte
queste novità non avranno la loro conclusione che nella vita beata, ma l’uomo
fervente e rinnovato dalla carità ne raccoglie in questa vita le primizie,
spogliandosi di giorno in giorno dell’uomo vecchio e dei suoi atti. (Berthier).
– E dove dobbiamo cantare questo cantico nuovo? « Nell’assemblea dei santi. »
Questa assemblea dei santi, è l’assemblea dei buoni chicchi di frumento sparsi
nell’intero universo, seminati nel campo del Signore, cioè nel mondo …
L’assemblea dei Santi, è dunque la Chiesa Cattolica; l’assemblea dei Santi non
è la chiesa degli eretici, è la Chiesa che Dio ha designato prima che si
vedesse, e che ha manifestato perché fosse visibile a tutti gli occhi (Aug.).
– Vedete come, prima della lode della parola, il Profeta domandi quella delle
opere e della vita. Chi sono coloro che Egli ammette a formare il religioso
concerto? Non è sufficiente che la voce canti un inno d’azioni di grazie,
bisogna che l’accompagni la virtù delle opere. C’è poi un altro insegnamento:
noi vediamo in questa parola che bisogna lodare Dio con un accordo perfetto;
perché la Chiesa è una riunione in cui regna l’armonia più perfetta (S.
Chrys.). – « Gioisca Israele in Colui che l’ha creato. » Prima dei
favori particolari, egli antepone in beneficio generale: rendete grazie a Dio
del fatto che, prima che voi foste, Egli vi ha dato l’esistenza ed un’anima
immortale. – Il primo titolo che Dio presenta ai nostri omaggi, è quello di Creatore,
… gli uomini pensano ben poco a questo beneficio. Essi vivono come se fossero
sempre esistiti, o come se fossero essi stessi gli autori del proprio essere.
Quasi mai dicono, pur nella calma delle passioni e nel silenzio dell’amor
proprio: Donde io sono venuto? Chi mi ha fatto? E come mi ha fatto? Cosa
diventerò dopo il breve tempo trascorso sulla terra? (Berthier). – Ma ecco un
beneficio ancora più grande; all’esistenza viene ad aggiungersi l’unione intima
con Dio, che non solo ha dato loro la vita la, ma li ha resi suo popolo
particolare. (S. Chrys.). – Rallegrarsi nel possesso delle creature, degli
onori, delle ricchezze, è una gioia falsa e criminale; Rallegrarsi con se
stesso, come se fossimo opera propria, è gioia ingannevole e mortale; ma gioire
in Colui che, non solo ci ha creato, ma che vuol essere nostro Re, e
riconoscerci come suo popolo, è la sola gioia solida e vera. (Duguet).
– Lodino essi il suo Nome nei loro concerti, dolce sinfonia che riunisce in uno
stesso coro tutte le voci e tutte le anime. San Paolo la raccomanda
frequentemente ai primi fedeli, e l’Orazione domenicale, che tutti recitiamo,
ne porta essa stessa l’impronta: è sempre al plurale che noi parliamo (S.
Chrys.). – Un coro è la riunione
di uomini che si accordano per cantare. Se noi cantiamo in coro, noi cantiamo
con accordo; se in un coro di uomini che cantano, uno solo stona, questo
colpisce il nostro orecchio e turba il canto. Se la voce discordante di un solo
cantore è sufficiente a turbare l’assemblea di un coro, quanto più un’eresia
discordante non turba l’accordo di coloro che glorificano il Signore? (S.
Agost.). – Lodare Dio con gli strumenti musicali, è lodare non soltanto
con la lingua e la voce, ma con la mano e le opere; è lodare con tutte le
membra del nostro corpo: gli occhi, le orecchie, la lingua e le mani. (Duguet).
ff. 4. – La ragione del
cantico nuovo, è che Dio si è compiaciuto nel suo popolo e che lo ha amato, fin
dall’eternità, di un amore infinito. Questa benevolenza, questo buon piacere di
Dio è il fondamento e la fonte di tutti i beni, della predestinazione, della vocazione,
della giustificazione, della glorificazione. Nostro-Signore dice nello stesso
senso: « Non temete, piccolo gregge, perché è piaciuto al Padre vostro di darvi
il regno; e l’Apostolo San Paolo non cessa – nelle sue epistole – di proclamare
questo buon piacere di Dio, come la causa principale della nostra salvezza. » (Bellarm.).
– « Perché il Signore ha fatto del bene al suo popolo. » Qual maggiore
beneficio si può supporre che morire per degli empi? Qual più gran beneficio
v’è che cancellare con il sangue del giusto il debito del peccatore? Quel più
gran beneficio che dire: io non voglio ricordarmi di ciò che siete stati, siate
ciò che non eravate? « Il Signore ha fatto del bene al suo popolo, »
rimettendoli i suoi peccati, promettendogli la vita eterna; Egli gli ha fatto
del bene riconducendolo dopo che si era allontanato da Lui, assistendolo quando
combatte, coronandolo dopo la vittoria. « Egli esalterà coloro che sono
mansueti per salvarli. » In effetti gli orgogliosi sono esaltati molto, ma non per essere salvati.
Gli uomini dolci sono esaltati per la loro salvezza, gli orgogliosi per la loro
rovina; cioè: gli orgogliosi si esaltano e Dio li umilia; al contrario coloro
che sono mansueti si umiliano, e Dio li esalta. (S. Agost.).
II. – 5-8
ff.
5. – Non c’è nessuno che non ami la gloria. Ma la
gloria degli insensati, quella che si chiama la gloria popolare, ha un fascino
ingannevole. Ogni uomo che si lascia prendere dalle lodi degli uomini di vanità
e dirige la sua vita in modo da ottenere le lodi degli uomini chiunque siano e
con tutti i mezzi possibili … questa stolta gloria, il Signore la condanna,
essa è abominevole agli occhi dell’Onnipotente … Quanto ai Santi, essi sono
trasportati dalla gioia nella gloria, e non c’è bisogno che noi diciamo quali
saranno questi trasporti. Ascoltate ciò che dice il Profeta: « Essi saranno
trasportati di gioia nella gloria, si rallegreranno sui loro giacigli di
riposo. » Questo non avviene nei teatri, nei circhi, nei frivoli divertimenti,
né sulle piazze pubbliche, ma « … nei loro giacigli. » Che significano queste
parole « nei loro giacigli. » Nei loro cuori! Ascoltate l’Apostolo San Paolo,
trasportato di gioia nel letto di riposo: « La nostra gloria, dice, è la
testimonianza della nostra coscienza. » (II Cor. I, 12). D’altro canto, è da
temere chiunque si compiace in se stesso e che, diventando orgoglioso della sua
buona coscienza, glorifichi se stesso … Così, dopo aver detto: « Essi gioiranno
nei loro giacigli, » il Profeta ha subito aggiunto, per prevenire in essi ogni
compiacimento: « le lodi di Dio riempiranno la loro bocca di gioia. » È così
che essi saranno ricolmi di gioia nei loro giacigli, non attribuendosi il
merito della loro bontà, ma lodando Colui da cui hanno ricevuto ciò che di
buono hanno in se stessi, Colui che li chiama per farli giungere là dove essi
non sono ancora, e dal quale sperano la loro perfezione, Colui al quale essi
rendono delle azioni di grazie, perché ha cominciato a renderli migliori. (S.
Agost.). – « Essi si riposeranno
nei loro giacigli, » cioè nella patria celeste. Il letto, in effetti, è un
luogo di riposo che non si trova nella via in cui camminiamo; è qui che
dobbiamo combattere contro la carne e bagnare delle nostre lacrime il nostro
letto per spegnere i fuochi della lussuria che ci bruciano (S.
Gerol.).
ff.
6-8.
– «
Ed essi avranno nelle loro mani delle spade a due tagli. » Noi leggiamo
nell’Apocalisse che una spada affilata dai due lati usciva dalla bocca del
Salvatore (I, 16). Voi vedete che i Santi hanno ricevuto dalla bocca di
Nostro-Signore le spade a due tagli che hanno nelle mani. Il Signore promette
dunque ai Santi le spade che escono dalla sua bocca. Queste spade a due tagli,
sono la parola della sua dottrina; questa spada a due tagli, è il senso
letterale ed il senso spirituale; questa spada a due tagli ha due funzioni
principali, essa parla sia del secolo presente sia del secolo futuro; qui mette
a morte gli avversari; nel cielo, apre il regno dei cieli. (S.
Gerol.). – Veramente la Gloria non si trova là dov’è l’oro, il denaro,
le pietre preziose, gli abiti di seta; colui che ha queste spade a due tagli,
che bisogno ha di altre cose? Vedete ciò che dice il Profeta terminando: « Tale
è la gloria riservata a tutti i suoi Santi. » Preghiamo Dio di accordarci
questa gloria, preghiamolo di armare le nostre mani con questa spada che esce
dalla sua bocca. Colui che è armato di questa spada non teme più la spada del
secolo. (S. Gerol.). – Queste spade a due tagli messe nelle mani dei
Santi, costituiscono il potere giudiziario di cui Gesù-Cristo ha fatto loro
parte, e che essi eserciteranno soprattutto negli ultimi giorni. Non sapete,
dice San Paolo, « che i Santi giudicheranno questo mondo, e che noi
giudicheremo anche gli Angeli? » (I Cor. VI, 2, 3), vale a dire gli
angeli ribelli, che essi giudicheranno in questo senso, che saranno testimoni
dell’arresto formidabile che sarà pronunciato contro di loro, e che essi
applaudiranno con tutta la corte celeste alle vendette che l’Altissimo attuerà
contro questi nemici di Dio, di Gesù-Cristo e del genere umano (Berthier).
– È allora che i Santi, entrando nello zelo di Dio, prenderanno vendetta, non
delle proprie ingiurie, ma di quelle che saranno state fatte a Dio alla loro
presenza. – È allora che i re, i nobili, i principi che hanno usato
tirannicamente del loro potere, si vedranno caricati di quelle stesse catene di
cui ingiustamente avranno caricato gli innocenti. – « … Per esercitare contro di essi il giudizio
prescritto. » I Santi esercitano il giudizio di Dio contro gli empi, e gli empi
contro i Santi. Essi sono soltanto, nei confronti reciproci, ministri della
giustizia o della sua misericordia, ma in maniera molto differente. Gli empi,
perseguitando i giusti, contribuiscono alla loro santificazione, ed i santi,
esercitando il giudizio di Dio, rendono all’ingiustizia subita la pena che è
loro dovuta. « Tale è la gloria che è riservata ai Santi nel cielo, a coloro
che non ne pretendevano alcuna sulla terra. (Duguet). » – La Gloria
dei Santi ci è quasi sconosciuta sulla terra. Innanzitutto, coloro che vivono
tra di noi, sono così attenti a nascondersi che le loro virtù ci sfuggono, e
gli uomini sono così cattivi giudici in materia di santità, che tacciano spesso
le virtù più pure come ipocrisia, politica, umore, debolezza. Non è che nel
giorno delle rivelazione che la gloria dei Santi si manifesterà pienamente ai
nostri occhi. (Berthier). – In effetti, la fioritura della santità, è la
gloria. La gloria esce dalla grazia come il frutto dal fiore, ed il fiore dal
gambo. L’opera del Cristianesimo essendo opera di santità, è dunque, per
questo, un’opera di gloria. È con questa bella imèplicazione che il Profeta
conclude questo salmo; egli viene a mostrarci la felicità, gli onori, la potenza
di cui Dio riveste i suoi eletti, e ci dice: « Tale è la gloria che Dio riserva
a tutti coloro che avranno vissuto santamente sulla terra. »
Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (17)
[Ed. chez le Directeur du Messager du Coeur de
Jesus, Tolosa 1891]
PARTE QUARTA
CONCLUSIONI
PRATICHE
Capitolo I.
LA DEVOZIONE AL CUORE DI GESÙ FORMA PRATICA DELLA NOSTRA DEIFICAZIONE
La scienza della
santità è pratica.
La scienza della santità non è
speculazione, è una scienza pratica, la prima di tutte le arti: ars
artium. Per diventare santi e raggiungere la vita eterna, prima di
tutto c’è da sapere: In questo consiste la vita, che ti conoscano; perché come
si comporterà la volontà se l’intelligenza non le indica la via? Ma l’intelligenza
non è feconda, né produce il frutto divino della santità, se non attraverso la
volontà. Non solo non può santificarci da sola, ma ci renderebbe più colpevoli
se non la prendessimo come regola di condotta. « Sapendo queste cose – disse il
Salvatore agli Apostoli – sarete beati se le metterete in pratica » (S. Giov.
XIII, 17). Perciò, a differenza dei farisei che insegnano ciò che non fanno (S.
Mt. XIII, 3), il grande Maestro di santità ha cominciato ad istruirci con i
suoi esempi prima di darci lezioni: « Cœpit facere et docere » (Atti I,
l). La santità deve essere il risultato della collaborazione di due agenti: di
Dio e dell’uomo. Finora l’abbiamo considerato soprattutto dal lato di Dio.
Vediamo ora cosa dobbiamo fare noi per concorrere alla sua azione: portare a
compimento l’opera più divina che l’Onnipotente compie al di fuori di sé.
Abbiamo considerato l’opera della nostra santificazione nella sua teoria,
vediamola ora in pratica.
Il Cuore di Gesù
è il principale strumento della nostra divinizzazione.
Il Cuore di Gesù è lo strumento
principale della nostra divinizzazione. Questa è in verità opera di tutta la
Trinità, poiché sia la prima che la terza Persona della Santissima Trinità vi
partecipano tanto quanto la seconda. Infatti
Dio Padre ci adotta come figli, e lo Spirito Santo si unisce alle nostre
anime: e questi sono elementi essenziali della nostra divinizzazione. Va
notato, tuttavia, che lo Spirito Divino si comunica a noi attraverso Gesù
Cristo, e solo se siamo incorporati in Lui, Dio Padre ci riconosce e ci ama
come suoi figli. Ora, Gesù Cristo non ci dà il suo Spirito, non ci fa sue
membra, se non con un atto di amore completamente libero e costantemente
rinnovato. Al suo Cuore dobbiamo la nostra vita divina e tutte le nostre
ricchezze soprannaturali. Se siamo stati trasferiti dall’abisso delle tenebre
nella regione della luce (1 Pt. II, 9), non c’è altra causa determinante di
trasformazione così meravigliosa come l’amore libero ed infinitamente tenero
del Cuore di Gesù. Tuttavia, qui c’è una difficoltà. Come possiamo conciliare
le due verità che abbiamo appena ricordato? Da un lato, abbiamo stabilito che
di tutte le opere di Dio, quella della nostra divinizzazione sia senza dubbio
la più divina. Abbiamo visto le tre Persone della Santissima Trinità operare
insieme per realizzarla, comunicandoci la loro natura. Se è così, come possiamo
dire che il Cuore di Gesù sia la causa determinante di quest’opera? Il Cuore di
Gesù, pur divinizzato dalla sua unione ipostatica con la Persona del Verbo, non
cessa di essere un’entità creata. L’amore, di cui è organo, è un amore creato,
perché è l’atto dell’anima santa del Salvatore. Ora, non è questa una contraddizione che il Creatore
faccia dipendere la sua azione dalla determinazione di una creatura, qualunque
essa sia? Perché il Cuore di Gesù possa essere la causa determinante della
nostra divinizzazione, sarebbe necessario che potesse disporre dello Spirito di
Dio e donarlo a chi desidera; e che, di conseguenza, dovesse esercitare una
certa autorità sullo Spirito di Dio. Ora, San Paolo ci insegna (II Cor. III,
17) ciò che Gesù Cristo stesso aveva detto e fatto capire a Nicodemo (S. Giov.
III, 8), che cioè lo Spirito Santo non obbedisce a nessuno, perché è
indipendente e sovrano. Egli soffia dove vuole, e non può privarsi della sua indipendenza,
né della sua divinità. Non solo, Esso non dipende dal Cuore di Gesù, se non
quando il Cuore e l’anima di Gesù siano costantemente e assolutamente sotto l’influenza
delle sue ispirazioni. Per risolvere questa difficoltà è necessario
generalizzarla. Questo perché non riguarda solo la questione attuale, ma è
intimamente legata all’intero piano della Provvidenza. Ecco il Sacerdote che
sale sull’altare. Prende un po’ di pane, dice qualche parola, e quello che una
volta era pane, diventa il Corpo del Figlio di Dio. Non si può certamente
negare che quest’opera sia divina. Per farlo, era necessario che Dio Padre
sospendesse e modificasse l’esercizio del suo potere creativo e, cessando la
conservazione della sostanza del pane, mettesse al suo posto il Corpo del
Figlio. Era necessario che il Verbo di Dio si presentasse, in modo nuovo, in un
punto dello spazio in cui prima era stato solo in virtù della sua immensità.
Eppure, per quanto divina possa essere questa azione, essa è stata compiuta
alla mercé di una pura creatura, che avrebbe potuto impedirne la realizzazione.
Dall’altare, il Sacerdote passa al tribunale sacro. Poi sale sul pulpito dove
compie anche opere divine quando illumina le intelligenze con la luce
soprannaturale. Egli purifica le anime e le guida sulla via della salvezza.
Solo Dio può essere l’Autore immediato di tali effetti: eppure, se questi
effetti vengono prodotti o prevenuti dipende dal libero arbitrio del Sacerdote.
Passiamo ora dall’ordine soprannaturale all’ordine naturale. Un uomo e una
donna sono uniti dai vincoli del matrimonio: subito dopo l’unione nascono molti
figli. Chi ha dato vita a questi bambini? Dio, naturalmente, perché è l’unico Principio
della vita, l’unico capace di mettere la mano nell’abisso del nulla per tirarvi
fuori il più perfetto degli esseri creati: uno spirito somigliante a Lui. Ma
questo potere creativo non sarebbe stato esercitato a nostro vantaggio, se
nostro padre e nostra madre non gli avessero dato il loro sostegno. Quando gli
esseri umani lottano in mezzo alle torture della fame, cosa ci vorrebbe per
evitare la morte, per riacquistare la loro forza fisica e il libero uso delle
loro facoltà spirituali? Un po’ di pane o di riso. Sostanze puramente
materiali, ma del cui aiuto Dio ha bisogno per conservare il capolavoro delle
sue mani, la creatura razionale. In questo modo potremmo attraversare tutti gli
ordini della creazione. In tutti costateremo lo stesso fenomeno, in tutti
vediamo l’Onnipotente sottomettersi alle sue creature. Questa dipendenza, che
Dio si è volontariamente imposto, si chiama « mediazione ». Nel mondo
fisico come in quello morale, e nell’ordine naturale come in quello
soprannaturale, tutte le creature sono mediatrici l’una dell’altra; mediatori
di luce, di calore, di movimento, di vita. Non c’è nessuno che non abbia il
compito di trasmettere ad altri alcuni dei beni il cui unico principio e
dispensatore sovrano è Dio. La mediazione
è la più universale di tutte le leggi divine, la fonte dell’ordine,
dell’armonia e della bellezza dell’universo. Lungi dal nuocere all’indipendenza
di Dio, essa fa emergere in tutta la sua magnificenza la sua infinita saggezza.
È Lui che ha stabilito le leggi in virtù delle quali possiamo comunicarci l’un
l’altro i beni dell’ordine naturale e soprannaturale. Proprio perché il Cuore
di Gesù è, tra tutti i cuori umani, il più sottomesso all’azione dello Spirito
Divino, avrà un potere incomparabilmente maggiore per comunicare questa azione.
Come in tutte le cose cerca solo ciò che piace al Padre suo, che a sua volta fa
con Lui e con gli uomini, ciò che Cristo desidera. Lo ha investito di un potere
assoluto su tutto il creato. Così come non concede alcuna grazia senza che
questa passi per le sue mani, così riceve con piacere solo gli omaggi che gli
vengono offerti per sua intercessione. Cristo è il Mediatore universale, il Mediatore
supremo, l’unico Mediatore. Mediatore universale, perché attraverso di Lui i
doni di Dio sono distribuiti alle sue creature. Mediatore unico, perché nessuna
creatura può andare verso Dio se non attraverso di Lui. Mediatore supremo,
perché gli altri mediatori ricevono da Lui il potere di eseguire la
sottomissione.
Il Cuore di Gesù
è il nostro Sommo Sacerdote.
Gesù Cristo è il nostro Sacerdote
sovrano, ed esercita il suo Sacerdozio attraverso il suo Cuore. Il Sacerdote è
il mediatore dell’ordine soprannaturale: di lui Dio si serve per far
risplendere sulla terra la luce che illumina le intelligenze; per dare alle
anime il movimento che le porta alla loro eterna felicità; per dare loro nuovi
figli a cui comunicare la loro stessa vita. Tutte queste funzioni divine, che i
Sacerdoti di Gesù Cristo esercitano nel loro ministero, solo Gesù Cristo le
svolge per diritto proprio. Poiché lo fa liberamente e per amore, si può dire
che il suo Cuore ne sia lo strumento. Tutto ciò che si fa nella Chiesa per la
santificazione delle anime, lo si fa in virtù del Cuore di Cristo. Se i
Sacramenti sono i canali della grazia, il Cuore di Gesù è il deposito da cui
sono forniti. Se, nel momento in cui l’acqua del Battesimo tocca la fronte del
bambino, la sua anima è purificata dalla macchia originale, è perché nello
stesso momento la grazia della rigenerazione gli è stata conferita dal Cuore di
Gesù Cristo. Se ascoltando attentamente la parola di un oratore sacro, o leggendo
un pio libro, vediamo le nostre illusioni dissiparsi e la verità soprannaturale
apparire con un irradiamento inusuale, è al Cuore di Gesù che dobbiamo la
grazia della luce. I movimenti interiori di pentimento, di fiducia, di amore
che a volte si impadroniscono di noi, vengono a noi dal Cuore di Gesù. Egli è
il Cuore sacerdotale per eccellenza e non cessa di esercitare con noi tutte le
funzioni del Sacerdozio. Per noi Egli adora costantemente la Maestà di suo
Padre, lo ringrazia per i suoi benefici. Egli espia la nostra ingratitudine.
Sollecita i suoi favori e si occupa incessantemente di illuminarci, guidarci,
rafforzarci e guarirci. Attraverso di Lui la Trinità compie l’opera della
nostra divinizzazione. Se vogliamo comprendere bene questo lavoro e renderlo
facile da realizzare, dobbiamo contemplarlo nel Cuore di Gesù. La santità,
considerata in questo modo, diventa più accessibile e più amabile. Non ci viene
presentata una scienza complicata che richieda un lungo studio; né è composta
da un gran numero di precetti, tanto difficili da ritenere quanto da mettere in
pratica; né è racchiusa in una moltitudine di libri che solo i saggi e gli “sfaccendati”
possono consultare. Le anime che immaginano la santità in questo modo non
possono che essere scoraggiate ed estremamente disturbate. Più esse desiderano
raggiungere questo lieto fine, più si stancano e perdono tempo a cercare le vie
più brevi per raggiungerlo. Pensano di non aver mai letto abbastanza libri, di
non aver mai consultato abbastanza direttori o di non aver mai scelto
abbastanza pratiche cristiane. Si muovono molto e fanno pochi progressi. Spero
che ascoltiate ciò che il Salvatore ha detto alla sua sollecita ospite: «
Marta, Marta, perché così tanta sollecitudine? Perché questa confusione nata da
una estrema preoccupazione? C’è solo una cosa necessaria: che tu sia conforme
al mio Cuore ». Tutta la santità è racchiusa in Lui. Se vuoi raggiungerla, devi
fare ciò che il mio Cuore ti chiede. Ora, in ogni momento, ti chiedo solo una
cosa. È essa che vi terrà al vostro posto, che vi darà grande pace e vero
benessere. Smettila di guardare lontano tutto quello che hai così vicino a te.
La devozione al Cuore di Gesù non solo semplifica, e quindi facilita molto l’opera
della nostra santificazione, ma la rende anche più amabile e attraente. Ci
presenta la santità non come una lettera morta, ma come una realtà viva; la
personifica in un certo modo nel suo Cuore, e nella leggiadria di tutti i
cuori. La nostra natura trova molto difficile appassionarsi alla nuda verità.
Una dottrina, per quanto bella possa essere, difficilmente ci impressiona
quando non assume un corpo e quando non colpisce le facoltà sensibili della
nostra anima. La santità è molto difficile da capire, se considerata solo nei
libri. Esaminata nella sua essenza astratta, ha il potere di convincere l’intelligenza.
Ma manca lo stimolo richiesto per la debolezza della nostra volontà. Mostra il
bene, ma non dà la forza di portarlo a termine; traccia il sentiero, ma non ci incoraggia
a percorrerlo; indica il pericolo, ma non ci preserva da esso; ci permette di scandagliare
le profondità dell’abisso dove sono sparse le nostre brame, ma non ci ferma sul
pendio che ci conduce ad esso. Il Cristiano che guarda così alla morale
evangelica, si pone in una posizione analoga a quella del Giudeo. La santità
nella sua sublime perfezione gli era stata rivelata attraverso il primo
precetto del Decalogo. Ma questa rivelazione, fatta su tavole di pietra, non lo
mise in condizione di praticare il bene, di cui egli stesso aveva compreso la
necessità. La condizione del Cristiano, invece, è molto diversa. La perfezione
non ci è stata mostrata sulle tavole di pietra; la legge della santità è stata
scritta per noi sulle tavole vive di un cuore di carne (2 Cor. III, 3): nel
Cuore di Gesù c’è la legge vivente della nostra santificazione. Perché,
infatti, non solo ci mostra l’ideale divino della santità, realizzato in un
cuore umano, ma ci dà i mezzi per fare lo stesso nel nostro cuore. Oltre ad
averci inoculato il seme della santità, conferendoci nel Battesimo la grazia
santificante, il Cuore Divino, attraverso le sue preghiere e l’influenza del
suo Spirito, lavora instancabilmente per lo sviluppo di questo seme, affinché
il frutto della santità, che è la gloria eterna, maturi in noi. Per
santificarsi, basta unirsi a questa azione onnipotente, la cui energia non
diminuisce mai. Invece di creare ostacoli, come abbiamo fatto spesso, basta il
lavoro continuo del Cuore di Gesù in noi.
Capitolo II. (1)
IL CUORE DI GESÙ È IL CUORE DIVINO DI OGNI CRISTIANO
Che cos’è un Cristiano?
Cos’è un Cristiano? È colui – dice San
Giovanni – che non è nato solo dalla carne e dall’uomo, ma è anche nato da Dio
e ha ricevuto dal Figlio unigenito del Padre il potere di essere figlio di Dio.
Il Cristiano è nato due volte e ha due esistenze e due nature. Nasce secondo la
carne e riceve dai genitori una vita animale e razionale. Ma lo stesso giorno
in cui è diventato figlio dell’uomo, un nuovo padre ed una nuova madre si sono
uniti per dargli una nuova vita. Gesù, unico Figlio di Dio e Sposo della
Chiesa, ha ispirato alla sua Sposa di associare questo bambino, figlio dell’uomo,
alla famiglia dei figli di Dio. La Chiesa lo ha preso e, attraverso il
Battesimo, lo ha posto nel suo grembo e lo ha unito a Gesù Cristo. Da allora il
bambino ha cominciato ad essere animato dallo Spirito di Gesù Cristo ed a
vivere della sua vita. Non ha smesso di essere un uomo, ma è diventato qualcosa
di più che un uomo. Ha conservato il suo corpo animale e la sua anima
razionale, ma ha anche acquisito uno spirito veramente divino, la vita della
sua anima, così come questa lo era del suo corpo. Come figlio dell’uomo, ha
conservato un’esistenza completa. Ma, come figlio di Dio, ha cominciato a far
parte del grande Corpo, il cui Capo è Gesù Cristo. Gli è rimasta la libertà e
quindi la possibilità di porsi un obiettivo individuale e di separare i suoi
interessi da quelli del Corpo divino in cui è stato introdotto mediante il
Battesimo. Ma sta a lui avere una comunità di interessi con il suo divino Capo
e tendere con Esso allo stesso fine.
Il Cristiano ha
due cuori
Tale è la scelta in cui tutti noi ci troviamo e che ci viene offerta mentre siamo sulla terra: vivere di noi stessi o vivere di Gesù Cristo; essere solo uomo o essere anche figlio di Dio; dobbiamo diventare noi stessi il nostro fine o accettare il fine glorioso che Dio ci ha dato, associandoci al suo Figlio unigenito? Perché se è vero che siamo nati due volte e abbiamo due vite, è altrettanto vero che abbiamo due cuori: uno di carne, ricevuto dai nostri genitori secondo la carne, di origine terrena con tutte le sue tendenze. Perché dovremmo essere sorpresi di trovare nel nostro cuore tutte le inclinazioni carnali? Che diritto abbiamo di sperare che solo esso sfugga alla legge generale? Dio potrebbe fare in alcuni dei suoi Santi un’eccezione gloriosa, liberandoli da tutti gli influssi della carne, anche quando vi hanno vissuto, ma l’eccezione non deve convertirsi in regola. Se Dio avesse voluto liberarci dal peso e dalla corruzione che riceviamo in eredità da Adamo, nostro padre secondo la carne, avrebbe diretto il tutto in modo molto diverso, avrebbe poi fatto una creazione completamente nuova, non lasciando sopravvivere nulla del caos prodotto dal peccato. Ma Egli non lo ha voluto. Come ha prodotto ordine e vita dal caos all’origine del mondo, così nella creazione e nell’ordine spirituale, ha voluto che il peccato servisse come materia per la grazia. Invece di far trionfare immediatamente lo spirito sulle opere della carne in tutta l’umanità, ha deciso che in ogni uomo la carne e lo spirito dovessero combattere tra loro, e che il trionfo finale di uno di questi due principi opposti dipendesse dal libero arbitrio dell’uomo. Ci ha lasciato il cuore di carne con tutte le sue inclinazioni. Ma, per resistere ad esse, ci ha dato il Cuore del Figlio suo. Perché il Cuore Divino è propriamente e veramente nostro! E per davvero, visto che siamo membri del Divin Salvatore! Se, come abbiamo dimostrato, l’incorporazione dei Cristiani al Figlio di Dio non è un mero discorso figurativo, se esprime un’unione reale come quella che delle nostre membra e del nostro capo fanno un solo corpo, anche se di natura diversa; se, inoltre, il legame che unisce tra loro le membra del Corpo mistico di Gesù Cristo è più intimo e indissolubile di quello che unisce le parti del nostro corpo fisico: se tutto questo è vero e provato, non dubitiamo neppure che il Cuore di Gesù Cristo ci appartenga nella realtà. Perché se c’è qualcosa di evidente, è che il cuore appartiene al corpo che da esso riceve la vita e così ciascuno delle membra di quel corpo. Non dimentichiamo che quando il Verbo di Dio ha preso un cuore di carne, non l’ha preso per sé, ma per noi. Perché non aveva Egli bisogno di ricevere la vita, ma di comunicarla. Per noi, come la Chiesa canta nel Credo, e per la nostra salvezza, Egli è sceso dal cielo e si è incarnato per opera dello Spirito Santo. Possiamo dire quindi che noi abbiamo due cuori: uno buono ed uno cattivo; uno terreno ed uno celeste; uno carnale ed uno divino. Due cuori che hanno inclinazioni opposte: uno tende incessantemente verso l’alto e l’altro verso il basso; uno vuole il bene, l’altro il male; l’uno trova gusto solo nelle cose di Dio, l’altro nelle cose sensuali. Entrambi vogliono godere, perché ogni cuore tende al benessere. Ma il nostro cuore terreno vuole godere sulla terra, in contrapposizione a quello celeste, che disprezza tutti i suoi piaceri e sospira solo per i beni del cielo. E finché dura la vita non possiamo sopprimere completamente questa lotta interiore, perché non possiamo mai distruggere completamente nessuno dei due cuori. Tuttavia, possiamo aumentare in noi l’influenza del Cuore di Gesù ed indebolire quella delle nostre inclinazioni carnali. Se non possiamo sopprimerle del tutto, ci è dato almeno di sfuggire alla loro tirannia accettando il dominio glorioso del Cuore di Gesù.
ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉSET MÉDITÉS
A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES
SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.
[I Salmi
tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e
delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli
oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]
Par M. l’Abbé
J.-M. PÉRONNE,
CHANOINE
TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et
d’Éloquence sacrée.
[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di
Scrittura santa e sacra Eloquenza]
TOME TROISIÈME (III)
PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878
IMPRIM.
Soissons, le 18
août 1878.
f ODON, Evêque de Soissons et Laon.
Salmo 148
Alleluja.
[1] Laudate Dominum de caelis;
laudate eum in excelsis.
[2] Laudate eum, omnes angeli ejus; laudate eum, omnes virtutes ejus.
[3] Laudate eum, sol et luna; laudate eum, omnes stellae et lumen.
[4] Laudate eum, cœli cælorum; et aquæ omnes quae super cœlos sunt,
[5] laudent nomen Domini. Quia ipse dixit, et facta sunt; ipse mandavit, et creata sunt.
[6] Statuit ea in æternum, et in sæculum sæculi; præceptum posuit, et non praeteribit.
[7] Laudate Dominum de terra, dracones et omnes abyssi;
[8] ignis, grando, nix, glacies, spiritus procellarum, quae faciunt verbum ejus;
[9] montes, et omnes colles; ligna fructifera, et omnes cedri;
[10] bestiæ, et universa pecora; serpentes, et volucres pennatæ;
[11] reges terræ et omnes populi, principes et omnes judices terræ;
[12] juvenes et virgines, senes cum junioribus laudent nomen Domini,
[13] quia exaltatum est nomen ejus solius.
[14] Confessio ejus super caelum et terram; et exaltavit cornu populi sui. Hymnus omnibus sanctis ejus; filiis Israel, populo appropinquanti sibi. Alleluja.
[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.
Vol. XI
Venezia, Girol.
Tasso ed. MDCCCXXXI]
SALMO CXLVIII.
Si invitano per ordine le cose create a celebrare, quasi in coro, le lodi del Creatore.
Alleluja. Lodate Dio.
1. Lodate il Signore, voi che state ne’
cieli; lodatelo voi che siete ne’ luoghi altissimi.
2.
Lodatelo voi tutti Angeli suoi; lodatelo tutti voi sue milizie.
3.
Lodatelo voi sole e luna; voi stelle e tu luce, lodatelo.
4.
Lodatelo voi, o cieli de’ cieli; e le acque tutte, che son sopra de’ cieli,
lodino il nome del Signore.
5.
Perocché egli parlò, e furon fatte le cose; ordinò, e furon create.
6. Le ha stabilite per essere in eterno, e per tutti i secoli; fissò un ordine, che non sarà trasgredito. (1)
7.
Date laude al Signore, voi che abitate la terra, voi dragoni, e voi tutti, o
abissi.
8.
T u fuoco, tu grandine, tu neve, tu ghiaccio, tu vento procelloso, voi che
obbedite alla sua parola.
9.
Voi monti, e voi tutte, o colline; piante fruttifere, e voi tutti, o cedri.
10.
Voi tutte bestie selvagge e domestiche; voi serpenti e voi pennuti augelli.
11.
Regi della terra e popoli tutti; principi tutti e giudici della terra.
12. I giovanetti e le vergini, i vecchi e i fanciulli lodino il nome del Signore, perché il nome di lui solo è sublime.
13. La gloria di lui pel cielo si spande e per la terra; ed egli ha esaltata la potenza del popol suo.
14.
L’inno (conviene) a tutti i santi di lui, ai figliuoli d’Israele, al popolo
propinquo a lui. Lodate Dio.
Questo salmo è
stato imitato con molta eleganza da Milton, “Paradiso perduto”, V lib. V. 153 e
segg.
(1) I corpi celesti in particolare non sono soggetti ai cambiamenti degli
uomini, degli animali, delle piante, ed in generale i corpi sublunari. Quelli
celesti devono durare fino alla fine dei secoli.
Sommario
analitico
Il salmista
invita tutte le creature a lodare Dio (2);
I.
– Gli abitanti del cielo:
1° gli Angeli
e le armate degli spiriti beati (1, 2);
2° il sole, la
luna e le stelle (3);
3° i cieli
stessi e le acque superiori (4);
4° ne dà come
motivo l’onnipotenza creatrice (3) e conservatrice di Dio (6).
II.
– Gli abitanti della terra:
1° gli esseri
inanimati (7-9);
2° gli esseri
animati ma senza ragione (10);
3° gli esseri
ragionevoli di ogni specie, di ogni sesso e di tutte le età (11, 12);
4° ne dà come
motivo: a) la maestà e la gloria di Dio, superiore a tutte le creature (13); b)
i benefici del Signore verso il suo popolo (14).
Conclude questo
salmo esortando i veri figli fi Israele a cantare le lodi di Dio (15).
Spiegazioni e Considerazioni
I. —1-6.
ff. 1-6. –Costume dei santi è convocare un gran
numero di altri cuori quando essi vogliono benedire la misericordia e celebrare
le lodi di Dio; invitano tutte le creature
a rendere gloria al Signore; richiedono una voce a tutte le potenze dall’essere
sensibile; ne chiederanno al bisogno alle rocce, alle montagne. Sentendo che
non riuscirebbero da soli a celebrare le lodi del Signore, essi si girano da
ogni lato perché tutte le creature prendano parte ai loro pii cantici. Ecco ciò
che qui fa il Profeta richiamando a sé l’una e l’altra creazione, il mondo
superiore ed il mondo inferiore, gli esseri visibili e gli esseri
intellettuali. – Di là risulta un altro insegnamento: non è possibile ammettere
due artigiani del mondo. Senza dubbio la creature sono diverse, le sostanze non
si somigliano; le une sono materiali, le altre spirituali, queste visibili, e
quelle invisibili; c’è il mondo dei corpi ed il mondo degli spiriti, ma non c’è
che un unico Creatore, ed è questo solo e medesimo Dio che deve essere lodato
da tutte le creature, dalle voci unite delle due creazioni, affinché si sappia
che Egli è l’unico fattore dell’una e dell’altra (S. Chrys.). – Il Profeta
comincia dalle creaturesuperiori,
egli invita in quattro modi differenti le celesti creature a lodare il Signore:
voi che abitate nel cielo, voi che siete nelle regioni più elevate, voi Angeli
del Signore, voi sue potenze, lodate il Signore. Guardiamoci dal credere
tuttavia che il Profeta inviti questi spiriti celesti ad accingersi ad un
dovere che essi potrebbero omettere, poiché gli Angeli non hanno altra funzione
nel cielo, che quella di lodare Dio. Questo invito è l’espressione del
sentimento di gioia che egli prova pensando che i santi Angeli siano sempre
occupati a lodare Dio, e dal desiderio di associarsi alle lori lodi. (Berthier).
– Come possono lodare Dio delle creature che non hanno né voce, né lingua, né
sentimento, né pensiero, alle quali manca anzi l’organo che è il principio
della parola? Vi sono due modi di lodare: non si loda solamente con la parola,
si loda anche con la vista. C’è una glorificazione che risulta semplicemente
dall’esistenza sola: « I cieli raccontano la gloria di Dio, ed il firmamento
annunzia la potenza delle sue mani. » (Ps. XVIII, 1).Allo stesso odo qui la
creatura loda con la sua bellezza, con la sua posizione, la sua grandezza, la
sua natura, con i servizi che essa rende, on i beni inesauribili dei quali è
ministra. (S. Chrys.). – Come il sole e la luna lodano il Signore? Non
deviando mai dalle funzioni e dal compito loro imposti. Questa fedeltà ad
obbedire al Dio, è la maniera di lodare Dio. Qual grande onore per voi, anime
umane; è per voi che il sole, la luna e le stelle compiono il loro corso, e
seguono la strada che Dio ha loro tracciata. (S. Gerol.).
f. 5, 6. – Il Profeta
risale qui alla sorgente della grandezza, della beltà che noi ammiriamo nelle
creature. Che esse siano belle e meravigliose, è un risalto degli occhi; che
esse abbiano un Creatore, che non vengano da se stesse, che siano pertanto
prodotte, si potrebbe dedurre dal testo stesso ben compreso. Se qualcuno a tal
riguardo, conservasse ancora un dubbio, apprenda da me qual sono i risultati di
un pensiero creatore e di una provvidenza che attenta veglia su di esse. – In
effetti, si può qui distinguere qui, esaminando il testo da vicino, che esse son
create, non tratte dal nulla, che Dio le abbia fatte senza sforzo alcuno, e che
le governi poi dopo averle fatte. – Quel che c’è di ammirevole soprattutto, non
è soltanto che Dio governi tutto, che i limiti di ogni natura restino
indistruttibili; ma è anche che i secoli passino senza nulla cambiare. Quanto
tempo già! E alcuna confusione si è prodotta nelle creature; il mare non ha
invaso la terra, il sole illumina senza bruciare, il firmamento resta
indistruttibile, né il giorno né la notte hanno valicato i limiti che li
separano; lo stesso ne è delle stagioni e, in una parola, di tutto. Ogni cosa
ha conservato invariabilmente il suo posto, e ne ha perfettamente rispettato i
limiti che le furono imposti. (S. Chrys.). – « Egli ha dato loro i
suoi ordini ed essi non mancheranno di eseguirli. » Ecco che dopo tanti anni,
il decreto di Dio si compie con rigorosa puntualità. Egli ha dato alla luna l’ordine
di crescere e decrescere nello spazio di trenta giorni: ha mai essa cambiato il
suo corso? Gli ordini di Dio sono osservati nel cielo e non si trasgrediscono
sulla terra. L’oceano si avvicina alla sue rive con le sue onde elevate, e si
arresta per tornare su se stesso, perché di ricorda dei precetti divini. Il
mondo intero obbedisce a Dio docile ai suoi ordini, l’uomo solo non si degna di
ricordarsene. Ecco perché noi diciamo nell’orazione domenicale: « Sia fatta la
tua volontà sulla terra come in cielo. » Come tutti gli Angeli e tutte gli
altri esseri creati vi servono nel cielo, così l’uomo vi serva sulla terra. O
genere umano infortunato! Un Dio è disceso fino a te, perché tu hai rifiutato
di salire fino a Dio. Non contento di non averlo ricevuto, lo metti a morte, lo
crocifiggi, lo bestemmi; non contento di averlo messo a morte, non fai
penitenza per questo crimine orribile di deicidio (S. Gerol.).
II. — 7 – 15
f. 7-9. – Ci sono degli
uomini che pretendono che gli esseri che brillano in cielo sono degni della
verità dell’Artigiano supremo, ma che non sia così di coloro che sono sulla
terra e tra i quali si trovano gli scorpioni, i serpenti e tante altre razze di
bestie pericolose, così come gli alberi che non danno alcun frutto. Il Profeta
sembra rispondere a queste false idee, lasciando da parte le cose di cui
nessuno contesta l’utilità, per venire immediatamente a ciò che sembra non
procurarci alcun vantaggio, ed è per questo che mette sotto i nostri occhi i
dragoni ed i serpenti; la parte del mare dove non si avventurano i vascelli, le
cose stesse che sembrano nocive, il fuoco, la grandine ed il ghiaccio, poi gli
alberi sterili e le montagne; egli lascia le pianure fecondate dal lavoro dei
contadini, che si coprono di messi e di frutti, per non richiamare che la
montane, i luoghi scoscesi e deserti, ogni sorta di rettili … Così ci mostra la
bontà preveggente di Dio. Se le cose che sembrano inutili o anche nocive alla
natura umana sono talmente utili e buone al punto che esse cantano la Gloria
del Signore e pubblicano le sue lodi così come sono, che dobbiamo pensare delle
altre? (S. Chrys.). – Gli scorpioni, i rettili ed i dragoni sono
invitati dal Profeta a lodare Colui che ha dato loro l’esistenza; … solo il
peccatore è escluso da questo sacro coro. Il Profeta mette il peccatore fuori
dal concerto delle creature, come si mette in esilio dalla sua patria un
cattivo cittadino. (S. CHRYS. Homél. p. le jour de son ord. n. 2). – Dopo aver detto:
« Che il fuoco, la grandine, il ghiaccio, i venti impetuosi, » tutte cose che
gli insensati considerano come elementi disordinati, ribelli ed agitati dal
caso, il Profeta aggiunge: « che eseguono gli ordini delle sue parole. » Degli
elementi che, con tutti i loro movimenti, eseguono gli ordini della parola di
Dio, non possono dunque apparirvi come dal caso. Il fuoco si porta ove Dio vuole, ugualmente
le nubi, sia che celino la pioggia, sia che racchiudano la neve o la grandine.
– Tutte le creature inanimate, gli animali, anche i più selvaggi, quelli che
sono più sensibili all’uomo, lo portano a lodare Dio o a temerlo, richiamando in
lui il ricordo dell’orgoglio e della disobbedienza dei progenitori, orgoglio e
disobbedienza che ci hanno fatto perdere il dominio che l’uomo aveva sugli
animali (Duguet).
ff. 11 – 14. –Il Profeta sfiora qui un’altra
manifestazione della divina Provvidenza, quella che si applica ai capi dei
popoli. Come fa pure S. Paolo nella sua Epistola ai Romani, svolgendo colà una
dottrina mirabile che riguarda il piano della saggezza di Dio nella completa
organizzazione del potere e dell’obbedienza, l’uomo, investito del potere « è
il ministro di Dio in rapporto a voi e per il vostro bene. » (Rom.
XIII, 4). – Anche se nello stato attuale delle cose, tra coloro che
governano ci sono dei corrotti, nondimeno l’istituzione è talmente utile che ne
trarremo i vantaggi più preziosi, malgrado la perversità degli uomini; si pensi
qual benessere per il genere umano, se tutti i depositari del potere lo
esercitassero in maniera degna! Lo stabilirsi del potere, è l’opera di Dio; ma
l’invasione del potere da parte della perversione o l’uso disastroso che se ne
fa, questo è opera dell’uomo. Il Profeta vuol dunque farci intendere come
l’esistenza stessa dei sovrani e dei magistrati sia un motivo per noi di
riconoscenza verso Dio; perché è per mezzo di questi che ha provveduto affinché
l’uomo vivesse nell’ordine, e non secondo le maniere delle bestie selvagge,
come la maggior parte avrebbe fatto; è per adempiere le funzioni di conduttori
e di piloti che i principi ed i monarchi ci sono stati dati. (S.
Chrys.). – La maggior parte di
coloro che il Profeta invita qui a lodare il Signore, sono precisamente coloro
che immaginano i più futili pretesti per dispensarsi da questi doveri: i
principi ed i magistrati sono nel vortice degli affari: i giovani devono
lavorare alla loro fortuna; le ragazze sono in età da prendere parte ai piaceri
ed alle vanità del mondo; i vecchi sono carichi di infermità; i bambini son
troppo leggeri; i popoli, presi in generale, sopportano il giogo del lavoro,
della dipendenza, della miseria. È così che quasi nessuna persona pensa
all’unico oggetto che dovrebbe interessarlo. Il Profeta tuttavia appoggia il
suo invito su di un motivo che distrugge tutti i falsi pretesti: e questo è che
solo il Signore porta un Nome che merita di essere onorato ed esaltato. Quanta
magnificenza e verità c’è in questo pensiero del Profeta: « Dio solo possiede
un Nome che merita di essere esaltato! » A Dio solo dunque, dice l’Apostolo,
sia l’onore, la gloria, il regno in eterno (I Tim. VI, 15). – « Egli ha esaltato la forza del suo popolo. »
È una ragione di più che il Profeta ci adduce per stimolarci a servire Dio con
maggiore ardore; è come dirci che il Signore non ha bisogno alcuno delle nostre
adorazioni, Egli che possiede per natura la gloria essenziale, un impero
assoluto su tutte le cose, e che ha voluto, per pura bontà, darsi un popolo che
fosse in modo speciale il suo e la cui gloria si spandesse dappertutto
nell’universo. (S. Chrys.). – « Ed Egli ha esaltato la potenza del suo popolo.
» E quando esalterà la potenza del suo popolo? Quando il Signore stesso verrà,
quando il nostro Sole si leverà, non questo sole visibile ai nostri occhi, che
sorge sui buoni e sui malvagi, ma quello di cui il Profeta Malachia ha detto: «
Per voi che temete il Signore, si leverà il sole di giustizia e sarete salvati
all’ombra delle sue ali … » (Malach. IV, 2). Allora questo sarà
il tempo dell’estate; ora che noi siamo nell’inverno, nascosti nella radice, i
frutti non appaiono; durante l’inverno, gli alberi che vedete sembrano aridi;
colui che non sa riflettere crede che la vigna sia disseccata, e forse,
rispetto a quella che è vivente, ce n’è una che è veramente disseccata durante
l’inverno: esse si somigliano, una è vivente, l’altra è morta; ma per entrambe la
loro vita e la loro morte sono ugualmente nascoste; viene l’estate, la vita
dell’una apparirà nel suo splendore, e la morte dell’altra diventerà visibile;
di quella che è vivente, le foglie spunteranno in tutta la loro bellezza, la
sua fecondità brillerà con i frutti; la vigna si rivestirà all’esterno di ciò
che la sua radice racchiude all’interno. Ora dunque, noi siamo simili agli
altri uomini: i santi nascono, mangiano, bevono, si vestono come loro, la loro
vita si svolge come quella degli altri uomini. Talvolta questa somiglianza
inganna gli uomini ed essi dicono: eccolo qui uno che è diventato Cristiano,
nondimeno per questo non ha il mal di testa? Ebbene, il suo titolo di Cristiano
gli dà qualche cosa più di me? O vigna disseccata, voi avete presso di voi
questa vigna che sembra disseccata in inverno, ma che non lo è in realtà. L’estate
verrà, il Signore verrà, e con Lui la nostra gloria che era nascosta nella
radice; ed allora, « … Egli esalterà la potenza del suo popolo, » dopo questa
cattività nella quale ci tiene, durante la nostra vita, la nostra condizione
mortale. (S. Agost.). – Benché tutte le creature siano obbligate a lodare
Dio, le sue lodi devono essere particolarmente nella bocca di tutti i santi.
Questi santi sono tutti i Cristiani, che il loro Battesimo obbliga a lavorare
per la loro santificazione. È questo popolo che deve sempre essere unito a Dio
con una fede vivente e feconda di buone opere e che è tutto consacrato al suo
servizio (Duguet).
In questa lettera enciclica, il Santo Padre Benedetto XIV ricorda alcune norme che si devono applicare nella celebrazioni della Messa quotidiana “pro populo” da parte dei parroci e l’applicazione della messa conventuale per tutti i benefattori; inoltre ricorda come l’ufficio delle ore debba essere cantato a chiara voce e con viva partecipazione anche da parte di dignitari e di canonici. Si tratta di norme ben precise definite per la maggior parte nel Sacro Concilio Tridentino e che ancora oggi sono in vigore nella Chiesa Cattolica pena anatema e “sub gravi”. Non poteva mancare la raccomandazione accorata circa l’istruzione dei fedeli – in particolare della gioventù – nei giorni festivi e di precetto. Ovviamente tali raccomandazioni sono totalmente oggi disattese nella parrocchie moderniste e nelle istituzioni un tempo cattoliche, ove si preferisce intrattenere i giovani o i pochi adulti “sfaccendati” in amene conversazioni e spettacoli “laici” o incontri di carattere sportivo e gare gastronomiche, con il risultato palese e dichiarato della totale scristianizzazione della società urbana e rurale. Questa è l’azione della “bestia della terra” di apocalittica memoria, quella “bestia” che, secondo il Commentario di Beato de Liebana (P. L. 96), è la falsa chiesa di vescovi apostati e sacerdoti ipocriti e marrani adoranti satana (il signore dell’universo della sinagoga conciliare), fingendo a parole e con ostentata millantata santità, di venerare Cristo – la bestia immolata con la spada la cui ferita era guarita – e portando “acqua al mulino” del loro referente e padre spirituale: lucifero. Questa consapevolezza quindi, che la sottostante enciclica mostra chiaramente, di trovarci in piena epoca apocalittica (Apocalisse spirituale – mille volte peggiore delle fantasie cosmiche terrorizzanti di falsi profeti cinematografici o vignettisti di fumettoni pseudoreligiosi – foriera di eterna dannazione dell’anima), ci dice che questa nostra epoca, interamente intrisa di paganesimo pragmatico sfacciato, è propedeutica alla resa dei conti con il Giudice divino che spegnerà con il soffio della sua bocca l’anticristo, i suoi adepti – massoni laici o finti prelati – con la bestia del mare e quella della terra, il drago maledetto, il serpente antico e tutto il corpo magico di satana. Veni, Jesu Domine!
Benedetto XIV
Cum semper
oblatas
Noi approfittiamo sempre e volentieri di
ogni occasione che Ci viene offerta di indirizzarci a Voi, Venerabili Fratelli,
affinché risplenda sempre più la prova del Nostro sincero amore per Voi; e ora
con maggiore alacrità d’animo lo facciamo, per eccitare lo zelo della Vostra
Fraternità, per la conservazione della retta disciplina nel governo del Clero a
Voi affidato in queste particolari condizioni di tempo e di necessità. – Noi
non potremmo confidare di riuscire a sostenere il grave onere della
sollecitudine di tutte le Chiese, imposto alla nostra debolezza, senza
raccomandare e inculcare l’aumento del Culto Divino, l’osservanza delle
Sanzioni Ecclesiastiche nelle singole Diocesi, e la particolare e vigilante
cura dei Pastori. –
1. In primis Ci offre l’occasione di
rivolgerci a Voi con questa Lettera l’argomento sull’onere che si assumono tutti coloro che hanno cura
d’anime, cioè di applicare la Messa Parrocchiale per il popolo affidato alle
loro cure; come pure l’applicazione della Messa Conventuale a pro dei Benefattori in generale,
che deve essere fatta da coloro che cantano la Messa nelle Chiese Patriarcali,
Metropolitane, nelle Cattedrali e Collegiate; e per ultimo l’obbligo di
salmodiare a cui sono tenuti i Canonici che assistono dal Coro nelle dette
Chiese. La nostra dissertazione è su quest’ultimo argomento, non nuovo, anzi
sempre trattato dagli Scrittori. Questo dovere fu molte volte discusso e
definito nella Congregazione dei Nostri Venerabili Fratelli, i Cardinali di
Santa Romana Chiesa Interpreti del Concilio Tridentino, fin da quando Noi stessi,
costituiti negli Ordini Minori, per molti anni fungevamo da Segretario della
stessa Congregazione. E sebbene i Decreti di questa Sacra Congregazione quasi
sempre siano usciti uniformi, ricevendo sempre l’approvazione dei Pontefici
Nostri Predecessori, non c’è da meravigliarsi che non ne sia ancora giunta notizia
a tutti Voi e ai singoli. – Per questo abbiamo stimato non solo opportuno, ma
necessario scrivere a Voi questa Lettera Enciclica, affinché sia nota la
costante opinione e direttiva di questa Sede Apostolica su tali argomenti,
ponendo fine alla varietà delle opinioni e delle sentenze nelle quali si
divisero gli Scrittori. Ciò pertanto servirà alle Vostre Fraternità come norma,
affinché possiate dirigere secondo questa regola tutte le Vostre Costituzioni
Sinodali e i vostri Rescritti, dei quali Noi Vi ordiniamo la pubblicazione. Vi
preoccuperete pertanto di far eseguire – e non lo dubitiamo – con ogni
sollecitudine e vigilanza quelle prescrizioni che nella presente Lettera sono
da conservare e osservare. Dipenderà da Voi che i probabili ricorsi ai
Tribunali della Nostra Curia contro i Vostri Rescritti, non costituiscano
ostacolo o remora, poiché abbiamo prescritto e ordinato che debbano essere
tutti respinti. Per questo vogliamo che questa Nostra Lettera sia conservata
nelle Raccolte e Archivi dei Nostri Tribunali, e ordiniamo che sia le risoluzioni
dei Tribunali, sia i Vostri Rescritti che emanerete in conformità con essa
siano osservati.
2. Quello che abbiamo detto ora, ossia
che il santo Sacrificio della Messa deve essere applicato dai Pastori di anime
a favore del popolo affidato alle loro cure, il Santo Concilio di Trento lo
enuncia chiaramente con queste importanti parole, come conseguenza del comando
divino: “Poiché è di precetto divino la prescrizione fatta a tutti coloro
che hanno cura di anime, di distinguere bene le loro pecore, e di offrire per
esse il Sacrificio” (Conc. Trid., sess. 23, cap. 1), e quantunque non
siano mancati coloro che, con interpretazioni ridicole o prive di fondamento
hanno cercato di eliminare quest’obbligo ricordato dal Santo Sinodo o almeno di
attenuarlo; tuttavia, siccome le parole sopracitate del Concilio sono
abbastanza chiare e precise, ed inoltre, siccome la Congregazione summenzionata
particolarmente preposta all’interpretazione dello stesso Concilio, ha
costantemente notificato che coloro cui è stata affidata la cura di anime, devono non solo celebrare il
Sacrifizio della Messa, ma devono anche applicarne il frutto “medio”
a favore del popolo ad essi affidato, e non possono applicarlo a favore di
altri, né possono ricevere per tale applicazione l’elemosina; e siccome infine
– ciò che è più importante – questa volontà è stata approvata e confermata dai
Pontefici Romani Nostri Predecessori, a nessuno di Voi rimane da desiderare se
non di abbracciarla, di eseguirla, e di procurare con ogni zelo che venga
prontamente eseguita nelle Vostre rispettive Diocesi.
3. Anche Noi, che, come abbiamo già
accennato, quando eravamo ancora occupati in impieghi minori, per molti anni
abbiamo svolto l’Incarico di Segretario della predetta Congregazione per
l’Interpretazione del Concilio di Trento e, per i non pochi anni che abbiamo
trascorso nel governo della Diocesi di Ancona e parte della Metropolitana di
Bologna, Nostra diletta patria, che ancora amiamo, Noi, diciamo, non siamo
all’oscuro di tutte le vie di sfuggita, di ogni genere, per le quali molti
cercano di evadere l’adempimento di questo obbligo, per la cui esecuzione Noi
appositamente dobbiamo provvedere.
4. Il Sacro Concilio di Trento ordina
sovente ai Vescovi che, ovunque sia necessario, affinché non venga trascurata
la cura delle Anime, scelgano Vicari idonei ad esercitare questa cura d’Anime,
assegnando loro un congruo frutto o beneficio, come si può leggere nella sess.
6, c. 2; sess. 7 e c. 5-7; sess. 21, c. 6; sess. 25, c. 16. Non raramente
succede che, durante la sede vacante di qualche parrocchia, debba essere
incaricato dal Vescovo un Vicario (economo spirituale) per adempiere gli oneri
di questa Chiesa fino all’elezione del nuovo Rettore, sempre per disposizione
dello stesso Concilio Tridentino (De Reformatione, sess. 24, cap. 18). Allora
molti di questi Vicari cercano di sottrarsi a tale obbligazione, sia per il
fatto che hanno già una cura pastorale abituale presso altri ed esercitano
questa provvisoriamente; sia perché sono amovibili ad nutum Episcopi, ed
esercitano quel ministero parrocchiale per breve tempo; per non parlare poi dei
Parroci Regolari, i quali spesso dichiarano di non essere tenuti ad applicare
la Messa festiva pro populo. Invece la Nostra volontà, e comando, è che, come
già altre volte fu stabilito dalle predette Congregazioni, tutti coloro che
esercitano cura d’Anime, e non soltanto i Parroci o i Vicari Secolari, ma anche
i Parroci o Vicari Regolari, in una parola tutti quelli su nominati, tutti
quelli che sono stati ritenuti degni di questa specifica menzione, tutti
ugualmente sono tenuti ad applicare la Messa Parrocchiale per il popolo
affidato alle loro cure.
5. Alcuni, per evitare l’adempimento di
quest’obbligo, sono soliti obiettare che le rendite della propria parrocchia
non sono sufficienti; altri si trincerano dietro un’inveterata consuetudine,
affermando che quest’onere non fu mai in uso né presso di sé, né presso i loro
predecessori per lungo tempo, anzi ab immemorabili. – Noi invece estendiamo la
nostra conferma alle predette prescrizioni dettate dalla Congregazione del
Concilio, e per quanto è necessario, con la Nostra Apostolica Autorità, a
tenore della presente Lettera decretiamo e dichiariamo che questa disposizione
debba avere esecuzione, anche se i Parroci o altri, come abbiamo visto sopra,
che hanno cura d’Anime siano sprovvisti dei convenienti redditi stabiliti e
nonostante che per consuetudine ab immemorabili nelle loro Diocesi o Parrocchie
fosse stato praticato il contrario; tutti sono ugualmente tenuti ad applicare la
Messa Parrocchiale per l’avvenire.
6. Quando abbiamo affermato che tutti
coloro che hanno cura d’Anime devono applicare il Santo Sacrificio della Messa
per il popolo ad essi affidato, non per questo abbiamo inteso stabilire che
quotidianamente, o qualunque volta essi celebrano, siano tenuti a questa
applicazione. E infatti il Santo Concilio Tridentino (sess. 23, cap. 14) ordina
ai Vescovi di prendersi cura che i Sacerdoti celebrino la Santa Messa almeno
alla domenica e nelle feste solenni; se poi sono in cura d’Anime, celebrino la
Santa Messa così frequentemente da soddisfare le esigenze del loro popolo. Ma
già in molte Costituzioni Sinodali sono stati provvidamente stabiliti dai
Vescovi – come ben sappiamo – i giorni nei quali i Pastori d’Anime devono celebrare
la Santa Messa pro populo. –
Noi ci siamo presi l’impegno di decretare soltanto quando, senza alcun dubbio,
si debba celebrare la Messa per il popolo. Sappiamo anzi quello che d’altronde
era stato disposto dalla Santa Congregazione del Concilio, che cioè il Parroco
dotato di pingue beneficio dovrebbe ogni giorno celebrare e applicare la Santa
Messa per il popolo e che chi non gode di questi abbondanti redditi è tenuto a
farlo soltanto nei giorni festivi. Ma Noi, ben sapendo quali controversie sono
sorte su questo punto, cioè a quale somma dovrebbero giungere i proventi della
Chiesa parrocchiale, per essere stimati pingui e abbondanti, e poiché non
possono essere dichiarati pingui quei redditi, anche copiosi, ai quali però
sono annessi molteplici e gravi oneri, e poiché conosciamo quante querele sono
sorte contro questo decreto, ritenuto troppo rigido, Noi crediamo opportuno
dichiarare alle Vostre Fraternità che per Noi è già soddisfacente e per Voi
sufficiente che coloro che esercitano la cura d’Anime, celebrino il Sacrificio
della Messa tutte le domeniche e le Feste di precetto applicando per il popolo.
– Le domeniche e gli altri giorni festivi sono quelli nei quali, secondo il
precetto del Concilio di Trento (sess. 5, cap. 2; sess. 24, cap. 4), tutti i preposti
alla cura delle Anime devono nutrire il popolo loro affidato con salutari
parole, insegnando quelle verità che tutti devono conoscere per la loro
salvezza: e sono quelli i giorni dei quali il Sacro Concilio decretò: “Il
Vescovo ammonisca il popolo con molta cura e ciascuno deve essere presente alla
sua Parrocchia, quando ciò è comodo, per ascoltare la Parola di Dio”. In questi giorni i Parroci
devono istruire i loro parrocchiani nella dottrina cristiana, secondo quel che
prescrive lo stesso Concilio: “Abbiano cura i Vescovi che i
fanciulli nelle domeniche e negli altri giorni di festa siano istruiti nelle
singole Parrocchie su i Rudimenti della Fede e l’obbedienza a Dio e ai
genitori” (Conc. Trid., sess. 24, cap. 4).
7. E poiché in alcune Diocesi il numero
delle Feste di precetto, per Nostra Autorità, è stato diminuito, cosicché in
alcune Feste i fedeli cristiani devono ascoltare la Santa Messa e astenersi
dalle opere servili, mentre in altre feste sono permesse le opere servili, pur
restando fermo l’obbligo di ascoltare la Messa, Noi, per eliminare i già sorti
dubbi sull’obbligo di applicare la Messa Parrocchiale in questi ultimi giorni
festivi, stabiliamo e dichiariamo che tutti i curatori d’Anime sono tenuti a
celebrare e ad applicare la Messa pro populo anche nei giorni predetti nei
quali il popolo deve assistere alla Messa e può applicarsi alle opere servili.
8. Sappiamo però abbastanza bene, per
averne fatto qualche volta Noi stessi esperienza, che ci sono dei Parroci così
poveri da essere quasi costretti a vivere delle elemosine che ricevono dai
fedeli per la celebrazione delle Messe. Altri invece, incaricati sotto il nome
di Vicari o Economi di esercitare, durante la mancanza del Parroco, la cura
d’Anime, in certi luoghi sono trattati così miseramente che le esigue entrate
loro concesse e gli scarsi ed incerti guadagni che essi fanno, bastano appena
alla necessità della loro vita. Questo avviene sovente anche a quei Sacerdoti
che, in certe Chiese, esercitano solo interinalmente un ministero che stabilmente
viene affidato ad altri; per conseguenza sembreremmo dare prova di troppo
rigore, se proibissimo loro di ricevere l’elemosina per l’applicazione della
Messa proprio nei giorni festivi in cui si presenta più facilmente l’occasione
di averla. – Per questo Noi, mossi da una grandissima compassione per
l’indigenza sia degli uni, sia degli altri, e allo scopo di venire loro
incontro nel limite delle Nostre facoltà; quantunque, come abbiamo detto sopra,
tutti e ciascuno dei Sacerdoti suddetti siano obbligati nei giorni festivi a
celebrare ed applicare la Messa pro populo; tuttavia a beneficio dei predetti
Parroci bisognosi, concediamo a ciascuno di Voi la facoltà di opportunamente
dispensare coloro che avrete constatato essere nelle condizioni richieste,
affinché possano ricevere liberamente e lecitamente l’elemosina, anche nei
giorni festivi, da qualche pio offerente, ed applicare per lui il Sacrificio,
se costui lo richiede: purché per la necessaria comodità del popolo, ed alla
condizione che, nel corso della settimana, essi applichino tante Messe a favore
del popolo, quante ne avranno celebrate, nei giorni festivi ricorrenti in
quella settimana, secondo l’intenzione particolare di un altro pio benefattore.
9. Per quello che riguarda i Vicari, ossia Economi, delle Chiese vacanti, essendo concessa facoltà ad ogni Vescovo, dal Concilio Tridentino (sess. 24, cap. 18), di incaricarli e costituirli “con una congrua assegnazione dei frutti del beneficio a suo proprio giudizio”, spetta a Voi, Venerabili Fratelli, agire con quelli che esigono i frutti di quella Chiesa vacante, così da dare un certo congruo aumento per l’onere di celebrare e applicare la Messa per il popolo nei giorni festivi a quell’Economo in stato di bisogno che gode di un’esigua assegnazione dei beni e di pochi e incerti altri proventi. Inoltre in quei luoghi dove i frutti
delle Chiese vacanti vengono riscossi a favore della Nostra Camera Apostolica,
abbiamo inviato al nostro Tesoriere Generale opportuni ordini, che egli non
tralascerà di trasmettere ai Collettori particolari di questi luoghi: “I
Vescovi della Nostra giurisdizione e regione ecclesiastica e degli altri
luoghi, dove i frutti delle Chiese vacanti appartengono alla predetta Camera
Apostolica, dovranno devolvere parte di questi stessi frutti al fine di cui
abbiamo parlato sopra”.
10. Infine, riguardo a quei costituiti
Vicari perpetui o ad tempus, che hanno la cura d’Anime che abitualmente
appartiene ad altri, cioè di ragione di qualche Chiesa parrocchiale unita alle
loro Chiese o Monasteri, Collegi e Pii Luoghi, sebbene dal Nostro Predecessore
di venerata memoria San Pio V Papa sia stata stabilita una certa porzione da
assegnare a questi Vicari, come viene chiaramente indicato nella sua
Costituzione che comincia con le parole Ad exequendum, datata il primo novembre
1567, tuttavia, qualora non si trovi assegnata a questi Vicari una prestabilita
porzione di frutti – o in nessun modo o non integralmente –, o anche qualora
quella porzione loro attribuita dalla predetta Costituzione sia ritenuta da Voi
insufficiente nella circostanza dei tempi e specialmente per l’adempimento
dell’onere di celebrare e applicare la Messa pro populo nei giorni festivi di
precetto; Voi potrete usare di questo potere che dà il Concilio di Trento ai
Vescovi secondo il loro prudente giudizio (Conc. Trid., sess. 7, cap. 7),
tenuto conto delle necessità dei tempi e della ragione dell’onere imposto, e
assegnare a questi Vicari una congrua porzione di frutti. Per la qual causa Noi
impartiamo alle Vostre Fraternità, per quanto è d’uopo, le necessarie e
opportune facoltà, abolendo qualsiasi privilegio, appello o esecuzione – come
viene sancito nel medesimo Concilio – che venissero opposti alle salutari
disposizioni da Voi emanate.
11. Abbiamo dunque indicato alle Vostre
Fraternità quelle norme che devono essere stabilite circa la Messa
Parrocchiale. Facendo un altro passo, le norme che regolano la Messa
Conventuale sono così note e chiare che non è possibile far sorgere alcun
dubbio: che cioè, secondo le sanzioni dei Sacri Canoni, è prescritto che ogni
giorno nelle Chiese Patriarcali, Metropolitane, Collegiali, siano recitate le
Ore Canoniche nel debito modo e forma; non solo, ma venga celebrata la Messa
Conventuale. Anche su questi obblighi esistono risoluzioni emanate molte volte
da questa Congregazione dei Nostri Venerabili Fratelli interpreti del Concilio
Tridentino, che Noi con la nostra Apostolica Autorità approviamo e confermiamo,
inculcandone particolarmente la loro esecuzione. Pertanto la Messa Conventuale
che viene celebrata ogni giorno dal Clero delle predette Chiese, sia applicata
ogni giorno per i loro benefattori in genere, allo stesso modo in cui viene
applicata pro populo da coloro che sono in cura d’Anime ogni domenica e festa
di precetto, come abbiamo dichiarato superiormente.
12. Adoperatevi dunque ad eliminare la
falsa opinione di alcuni, che sappiamo essere accettata in alcune di queste
Chiese o per errore o dolosamente; l’opinione è questa: che cioè quando la
Messa Conventuale è celebrata e applicata per qualche particolare benefattore
della Chiesa, sia per gratitudine, sia per un onere accettato o imposto, con
questo deve ritenersi soddisfatto l’onere della celebrazione. Invece questo
dovere e onere non riguardano alcuni benefattori particolari, ma tutti i
benefattori in generale di qualsiasi Chiesa al cui servizio sono addetti i
Dignitari, i Canonici, i Mansionari, coloro che ricevono i benefici corali e
celebrano la Messa Conventuale secondo i loro turni.
13. Voi comprendete che non è meno da
riprovare l’affermazione di altri che dicono che questo obbligo viene
sufficientemente soddisfatto quando nelle loro Chiese ogni tanto si fanno
preghiere per i benefattori, oppure si celebra per loro il Santo Sacrificio in
determinati giorni o negli anniversari. – Nessuno si arroghi il diritto di
poter soddisfare un obbligo in altro modo da quello che è stato prescritto
sovente dalle leggi ecclesiastiche: che cioè si deve celebrare la santa Messa
Conventuale ogni giorno per i benefattori, applicandola per tutti loro in
genere.
14. Nei primi secoli della Chiesa, ma
anche in tempi da noi non molto remoti, – non dubitiamo che anche Voi l’avete
appreso dalla Storia della Chiesa – si conservava nelle singole Chiese un
elenco accurato di tutti e dei singoli per la liberalità dei quali era stata
costruita la Chiesa; e i loro nomi erano scritti nei “Sacri Dittici”
(così allora si chiamavano) perché non venisse mai meno il loro ricordo e
perché per essi si facessero preghiere e si celebrasse il Santo Sacrificio
della Messa. Per questa ragione si era soliti in molte Chiese porre quel
catalogo davanti agli occhi del Sacerdote Celebrante, sebbene molti pii
Benefattori nelle loro donazioni avessero dichiarato che non avevano posto
alcuna condizione di Sante Messe, ma che offrivano i loro beni a Dio soltanto
per la remissione dei loro peccati; ma i Presuli delle Chiese stabilirono che
si facessero preghiere e impetrazioni per essi, sebbene costoro, offrendo i
loro beni, non avessero fatto parola di questo. – Ma pian piano questo uso dei
Sacri Dittici venne meno, e per questo sono caduti in oblio in tanti luoghi i
nomi di molti Benefattori. – Ma non per questo si devono tralasciare l’uso e la
disciplina di pregare per essi, e offrire in suffragio il Santo Sacrificio
della Messa. Da questi fatti poi ha avuto origine (ed ha la sua ragione
d’essere) il precetto di applicare la Messa Conventuale per tutti i
Benefattori.
15. Come si portano varie scuse – come è
stato detto sopra – per evitare di applicare pro populo la Messa Parrocchiale
nei giorni di festa di precetto, così avviene per l’applicazione della Messa
Conventuale quotidiana a pro dei Benefattori. – E come le prime scuse, così le
seconde sono state tolte di mezzo provvidamente con le opportune risoluzioni
della Congregazione del Concilio Tridentino, che Noi ancora una volta approviamo
e confermiamo.
16. Alcuni tuttavia, in ragione della
contraria consuetudine anche “ab immemorabili”, che vige nella loro
Chiesa, si persuasero di potersi esimere da un tale onere. – Ma già molte volte
è stato risposto che una tale consuetudine, anche se “ab
immemorabili”, deve essere chiamata più propriamente abuso e vizio, e non
può in alcun modo né da alcuno essere difesa e accettata.
17. Altri vorrebbero essere esentati
dall’applicare la Messa per i Benefattori, o perché soggetti ad un altro onere di
Messe, o in ragione del loro Canonicato o altro Beneficio Ecclesiastico, che
hanno ottenuto con la Prebenda Canonicale; o perché – oltre l’Ufficio di
Canonico o Beneficiario o Mansionario nella Chiesa Cattedrale o Collegiata –
quando cantano la Messa Conventuale nei giorni festivi di precetto, devono
contemporaneamente applicare pro populo e quindi non possono offrire nello
stesso tempo il Santo Sacrificio anche per i Benefattori. Ma si è provveduto
anche a costoro, ordinando loro di applicare la Messa Conventuale per i
Benefattori; per gli altri, per i quali fossero tenuti ad applicare
peculiarmente la Messa, si facciano sostituire da un altro Sacerdote, che al
loro posto celebri quella Messa da applicare pro populo.
18. Altri fanno l’osservazione che non
sempre la Messa Conventuale viene celebrata da Canonici o Dignitari, ma
talvolta da Beneficiati o Mansionari. Non è giusto che non ci sia alcuna
elemosina per quella Messa e non sanno donde si debba prelevare
quell’elemosina. Anche a questo si è provveduto, ordinando che deve essere
detratta dalla “Massa di Distribuzione”.
19. Altri ancora hanno dimostrato
l’esiguità di tali distribuzioni, che detraendo infatti l’elemosina quotidiana
per la Messa Conventuale, si ridurrebbero quasi a nulla. Allora non si
troverebbe più nessuno che se ne occupasse, con grave detrimento delle
prestazioni di servizio alla Chiesa. Il Concilio di Trento (sess. 24, cap. 15)
espone le opportune ragioni per provvedere alla mancanza di mezzi e alla
povertà di certe Prebende Canonicali. Se poi non si può seguire la via indicata
dal Concilio, come spesso accade, allora non resta che inoltrare ricorso presso
la Congregazione del Concilio, alla quale spetta ridurre l’applicazione
quotidiana della Messa Conventuale ai soli giorni festivi. E questo dopo aver
esaminato opportunamente la vostra particolare situazione in base alla Vostra
relazione, e con l’autorità Apostolica ad essa concessa dai Nostri
Predecessori, e da Noi confermata con la presente Lettera.
20. Sappiamo che è stato imposto ogni
giorno il canto della Messa Conventuale nelle Chiese Patriarcali, Metropolitane
e Collegiate, come è prescritto nelle Rubriche generali, la cui custodia e
osservanza vivamente raccomandiamo alle Vostre Fraternità. Ma in certi giorni
si devono celebrare anche due o tre Messe Conventuali. Allora, come è stato
superiormente ordinato, la prima Messa deve essere celebrata senz’altro per i
Benefattori; ma resta da decidere se si deve obbligare i Capitoli delle Chiese
rispettivamente soggetti alla Vostra giurisdizione, che anche le altre Messe –
se occorre celebrarle – siano ugualmente applicate a suffragio dei Benefattori.
21. Tale questione è stata prospettata
alla Sacra Congregazione da alcuni di Voi, ardenti di zelo per la Chiesa. Ma
già prima di tale domanda, si trovò che altre volte fu risposto dalla medesima
Congregazione dei Nostri Venerabili Fratelli Interpreti del Concilio di Trento
che si doveva concedere l’esenzione dall’applicazione della seconda o terza
Messa Conventuale a pro dei Benefattori, quando lo esigeva la piccola dote dei
Canonicati o dei Benefici. Da questo si poteva desumere l’obbligo
dell’applicazione dove non si trattava di Chiese povere.
22. Noi però, conoscendo bene la regola
tenuta dalla Sacra Congregazione per la definizione di questa questione; di
rimandare cioè nel dubbio la soluzione di questa questione al Nostro giudizio,
Noi allora giudichiamo – e vogliamo sia da Voi osservato – quanto segue: sono
da lodare e incoraggiare tutti quelli che spontaneamente applicano la seconda o
terza Messa Conventuale per i Benefattori in generale: coloro che lo fanno in
forza della consuetudine vigente nella loro Chiesa devono perseverare in questa
consuetudine; dove invece non si trova tale consuetudine, si deve lasciare ai
celebranti la libertà dell’applicazione della seconda e terza Messa
Conventuale, purché siano sempre ricordati i Benefattori della Chiesa nella
commemorazione dei Defunti.
23. Terminando questa Nostra Lettera,
esortiamo vivamente le Vostre Fraternità ad esercitare la massima attenzione e
vigilanza affinché nei cori delle Vostre Chiese, oltre alla devota celebrazione
e alla giusta applicazione della Messa Conventuale, anche le Ore Canoniche non siano cantate in
fretta, ma bensì con diligenza, facendo sempre le pause richieste, e con tutto
il rispetto e la devozione convenienti.
24. Sappiamo bene che in certe Chiese Metropolitane e Cattedrali si è fatta strada tra i Canonici l’opinione secondo la quale essi pretendono di soddisfare sufficientemente al loro dovere con la sola presenza in Coro, anche se vi rimangono silenziosi, né si uniscono al canto dei Beneficiati e dei Mansionari. Per avvalorare questa opinione essi sogliono addurre antiche consuetudini, particolari statuti e anche pretesi privilegi delle loro Chiese. – Ma poiché il Sinodo Tridentino, parlando dei Dignitari e dei Canonici che devono essere presenti al Coro, enuncia i loro doveri in questi termini: “Lodate con Inni e Cantici il Nome di Dio, con riverenza, con chiara voce e con devozione nel Coro a ciò istituito per salmodiare” (Conc. Trid., sess. 84, cap. 12); e poiché sono pochi attualmente i Capitoli nei quali i Canonici partecipano al Coro nel modo da Noi deprecato; e perciò sono pochi quelli che avversano la disciplina della Chiesa – per quanto Noi sappiamo –; poiché inoltre questa opinione (che mai fu proposta alla discussione nella Congregazione del Concilio di Trento) appena venne esaminata fu subito riprovata e respinta – ancorché ne venissero addotte a suo sostegno le presunte consuetudini ed altri motivi e ragioni – e nonostante l’istanza che ne facevano i Canonici delle Chiese Patriarcali di questa Nostra Città; siccome, infine, un giudizio fu emesso in questo stesso senso da molti Sinodi Provinciali, anche approvati e confermati da questa Sede Apostolica, non sembra rimanere null’altro che impedisca a questi pochi di uniformarsi alla Legge universale. – In verità Noi non vediamo su quale titolo particolare possano appoggiarsi i Canonici di questa o di quell’altra Chiesa, per persuadersi di soddisfare al loro obbligo con la semplice presenza in Coro, senza il canto della Divina Salmodia. – Pertanto, se costoro non possiedono un Privilegio o Indulto Apostolico – non presunto né abrogato, ma legittimo e ancora in vigore – giustamente e meritatamente si deve temere che finché essi agiscono in questo modo, non possono fare propri i frutti delle Prebende e delle distribuzioni, e che sono tenuti alla loro restituzione. – Pertanto è vostro dovere, Venerabili Fratelli, spiegare loro tutte queste responsabilità, se non vogliamo, Noi con Voi, con la nostra dissimulazione e col nostro silenzio favorire e confermare abusi e corruttele che dovevamo togliere, riprendendo coraggiosamente e scongiurando, per non essere trovati colpevoli davanti al Divin Giudice in una cosa di così grande importanza, riguardante così da vicino il culto di Dio. Frattanto, alle Vostre Fraternità, che
con tutto il cuore abbracciamo, con tanto affetto impartiamo la Benedizione
Apostolica.
Dato a Roma, presso Santa Maria
Maggiore, il 19 agosto 1744, anno quinto del Nostro Pontificato.
DOMENICA NELL’OTTAVA DELLA FESTA DEL SACRO CUORE e III DOPO LA
PENTECOSTE. (2020)
Semidoppio. –
Paramenti bianchi.
La liturgia di questo giorno esalta la misericordia di Dio verso gli uomini: come Gesù « che era venuto a chiamare non i giusti, ma i peccatori », cosi lo Spirito Santo continua l’azione di Cristo nei cuori e stabilisce il regno di Dio nelle anime dei peccatori. Questo ricorda la Chiesa nel Breviario e nel Messale. — Le lezioni del Breviario sono consacrate quest’oggi alla storia di Saul. Dopo la morte di Eli gli Israeliti si erano sottomessi a Samuele come a un nuovo Mosè; ma quando Samuele divenne vecchio il popolo gli chiese un re. Nella tribù di Beniamino viveva un uomo chiamato Cis, che aveva un figlio di nome Saul. Nessun figlio di Israele lo eguagliava nella bellezza, ed egli sorpassava tutti con la testa. Le asine del padre si erano disperse ed egli andò a cercarle e arrivò al paese di Rama ove dimorava Samuele. Ed egli disse: « L’uomo di Dio mi dirà, ove io le potrò ritrovare ». Come fu alla presenza di Samuele, Dio disse a questi: « Ecco l’uomo che io ho scelto perché regni sul mio popolo ». Samuele disse a Saul: « Le asine che tu hai perdute da tre giorni sono state ritrovate ». Il giorno dopo Samuele prese il suo corno con l’olio e lo versò sulla testa di Saul, l’abbracciò e gli disse: « Il Signore ti ha unto come capo della sua eredità, e tu libererai il popolo dalle mani dei nemici, che gli sono d’attorno ». « Saul non fu unto che con un piccolo vaso d’olio, – dice S. Gregorio – perché in ultimo sarebbe stato disapprovato. Questo vaso conteneva poco olio e Saul ha ricevuto poco, perché la grazia spirituale l’avrebbe rigettata » (Matt.). « In tutto – aggiunge altrove – Saul rappresenta i superbi e gli ostinati » (P. L. 79, c. 434). S. Gregorio dice che Saul mandato « a cercare le asine perdute è una figura di Gesù mandato da suo Padre per cercare le anime che si erano perdute » (P. L. 73, c. 249). « I nemici sono tutt’intorno in circuitu », continua egli; lo stesso dice il beato Pietro: « Il nostro avversario, il diavolo, gira (circuit) attorno a voi ». E come Saul fu unto re per liberare il popolo dai nemici che l’assalivano, cosi Cristo, l’Unto per eccellenza, viene a liberarci dai demoni che cercano di perderci. – Nella Messa di oggi il Vangelo ci mostra la pecorella smarrita e il Buon Pastore che la ricerca, la mette sulle spalle e la riporta all’ovile. Questa è una delle più antiche rappresentazioni di Nostro Signore nell’iconografia cristiana, tanto che si trova già nelle catacombe. L’Epistola ci mostra i danni ai quali sono esposti gli uomini raffigurati dalla pecorella smarrita. « Vegliate, perché il demonio come un leone ruggente cerca una preda da divorare. Resistete a lui forti nella vostra fede. Riponete in Dio tutte le vostre preoccupazioni, poiché Egli si prende cura di voi (Ep.), Egli vi metterà al sicuro dagli assalti dei vostri nemici (Grad.), poiché è il difensore di quelli che sperano in lui (Oraz.) e non abbandona chi lo ricerca (Off.). Pensando alla sorte di Saul, che dapprima umile, s’inorgoglisce poi della sua dignità reale, disobbedisce a Dio e non vuole riconoscere i suoi torti, « umiliamoci avanti a Dio » (Ep.) e diciamogli: « O mio Dio, guarda la mia miseria e abbi pietà di me: io ho confidenza in te, fa che non sia confuso (Int.); e poiché senza di te niente è saldo, niente è santo, fa che noi usiamo dei beni temporali in modo da non perdere i beni eterni (Oraz.); concedi quindi a noi, in mezzo alle tentazioni « una stabilità incrollabile » (Ep.).
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Ps XXIV: 16;
18Réspice
in me et miserére mei, Dómine: quóniam únicus et pauper sum ego: vide
humilitátem meam et labórem meum: et dimítte ómnia peccáta mea, Deus meus.
[Guarda a
me, e abbi pietà di me, o Signore: perché solo e povero io sono: guarda alla
mia umiliazione e al mio travaglio, e rimetti tutti i miei peccati, o Dio mio.]
Ps XXIV: 1-2Ad te, Dómine, levávi ánimam
meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam.
[A te, o
Signore, elevo l’ànima mia: Dio mio, confido in te, ch’io non resti confuso.]
Réspice in
me et miserére mei, Dómine: quóniam únicus et pauper sum ego: vide humilitátem
meam et labórem meum: et dimítte ómnia peccáta mea, Deus meus.
[Guarda a
me, e abbi pietà di me, o Signore: perché solo e povero io sono: guarda alla
mia umiliazione e al mio travaglio, e rimetti tutti i miei peccati, o Dio mio.]
Oratio
Orémus.
Protéctor in
te sperántium, Deus, sine quo nihil est válidum, nihil sanctum: multíplica
super nos misericórdiam tuam; ut, te rectóre, te duce, sic transeámus per bona
temporália, ut non amittámus ætérna.
[Protettore
di quanti sperano in te, o Dio, senza cui nulla è stabile, nulla è santo:
moltiplica su di noi la tua misericordia, affinché, sotto il tuo governo e la
tua guida, passiamo tra i beni temporali cosí da non perdere gli eterni.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet V: 6-11.
“Caríssimi: Humiliámini sub poténti manu Dei, ut vos exáltet in témpore visitatiónis: omnem sollicitúdinem vestram projiciéntes in eum, quóniam ipsi cura est de vobis. Sóbrii estote et vigiláte: quia adversárius vester diábolus tamquam leo rúgiens circuit, quærens, quem dévoret: cui resístite fortes in fide: sciéntes eándem passiónem ei, quæ in mundo est, vestræ fraternitáti fíeri. Deus autem omnis grátiæ, qui vocávit nos in ætérnam suam glóriam in Christo Jesu, módicum passos ipse perfíciet, confirmábit solidabítque. Ipsi glória et impérium in sæcula sæculórum. Amen”.
(“Carissimi: Umiliatevi sotto la potente mano di Dio, affinché vi esalti nel tempo della visita. Gettate ogni vostra sollecitudine su di lui, poiché egli ha cura di voi. Siate temperanti e vegliate; perché il demonio, vostro avversario, gira attorno, come leone che rugge, cercando chi divorare. Resistetegli, stando forti nella fede; considerando come le stesse vostre tribulazioni sono comuni ai vostri fratelli sparsi pel mondo. E il Dio di ogni grazia che ci ha chiamati all’eterna sua gloria, in Cristo Gesù, dopo che avete sofferto un poco, compirà l’opera Egli stesso, rendendoci forti e stabili. A lui la gloria e l’impero nei secoli dei secoli”).
Omelia I
[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc.
Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1929]
NELLE PROVE
L’Epistola è
tratta dalla prima lettera di S. Pietro. Dopo aver parlato dei doveri dei
pastori verso i fedeli e dei doveri dei fedeli verso i pastori, con le parole
dell’epistola odierna viene a parlare dei dovrei comuni a tutti i cristiani. Si
era sotto la persecuzione suscitata da Nerone. Raccomanda di accettar con
umiltà la prova, affinché Dio li esalti a suo tempo; esorta di esser sobri,
vigilanti, fermi nella fede per poter resistere al demonio; inculca la pazienza
con la considerazione che i Cristiani sparsi nel mondo sono sottoposti alle
stesse tribolazioni. Dio, poi, che li ha chiamati alla gloria celeste, compirà
l’opera incominciata, dando la forza di perseverare. Le prove non erano una
condizione esclusiva dei Cristiani dei tempi di Nerone. Anche senza la
persecuzione dei tiranni, esse non mancano mai a coloro che vogliono seguire
Gesù Cristo. Noi Cristiani:
1. Dobbiamo
accettar le prove dal Signore, che le manda per nostro bene,
2. Senza
avvilirci, perché sono un retaggio comune,
3.
Confortati dall’aiuto di Dio, che ha cura di noi.
1.
Umiliatevi
sotto la potente mano di Dio. Cioè, sottomettetevi, senza replicare, alla potenza di Dio che vi umilia;
accettate le prove che la Provvidenza vi manda. Quanto sia necessaria questa
esortazione di S. Pietro lo constatiamo tutti i giorni. Si vorrebbe seguir Dio,
ma senza alcuna fatica. Fin che tutto sorride e prospera attorno a noi si
procede con entusiasmo: ma alle prime prove ci cascano le braccia, ci vengono
meno le forze per proseguire. Gesù Cristo ha paragonato costoro alla semente
che cade sulla pietra. Nasce e si secca, perché non può mettere le radici.
Quanti Cristiani si mettono a praticare il bene con entusiasmo; poi, «al tempo
della tentazione si tirano indietro» (Luc. VIII, 13). Gli insegnamenti del
Vangelo non hanno messo radici troppo profonde nel loro cuore. In quale pagina,
infatti, del Vangelo noi leggiamo che Gesù Cristo abbia promesso ai suoi
seguaci una vita aliena dai patimenti? Leggiamo invece tutto l’opposto: «Non si
dà servo maggiore del suo padrone» (Matt. X, 24). E: se Gesù Cristo, nostro
padrone, si sottopone alle prove più dure, non possiamo pretendere di andarne
esenti noi, suoi servi. – Del resto le prove sono un segno dell’amor di Dio.
Chi da Dio è amato, da lui è visitato. «Figliuolo — leggiamo nei libri santi —
non sdegnare la disciplina di Dio, e non t’incresca il suo castigo,
perché Dio castiga chi ama, come un padre un figlio che predilige» (Prov.
III, 11-12). Quando i padri castigano, siano pure le loro correzioni dure e
severe, non osiamo criticarli; perché sappiamo che non ira, non vendetta, ma la
premura di renderli migliori li fa diventar severi coi figli. Tanto più dobbiam
trovar ragionevoli, e accettar con spirito di sottomissione le prove che ci
manda il Signore. I genitori, nota S. Paolo, «ci correggevano secondo quel che
pareva loro per pochi giorni; Dio lo fà per nostro vantaggio, affinché
partecipiamo alla santità di lui» (Ebr. XII, 10. Quelli puniscono per il
conseguimento di beni fugaci, il Signore punisce per il conseguimento di beni
immortali. A coloro che, dimentichi di Dio e dei propri doveri, vivono nel
letargo del peccato, le prove sono una scossa efficace. Non adoperiamo una voce
blanda, ma una forte scossa per svegliare chi è assopito in un profondo sonno.
Non adoperiamo una carezza ma un forte strappo per trarre in salvo chi sta per
essere investito, o per cadere in un precipizio. Si è disprezzata la voce della
buona ispirazione, del buon esempio per non lasciarsi stornare dai godimenti
terreni; è ben giusto che Dio amareggi questi godimenti con delle dure prove. «
Col fuoco si fa prova dell’oro e col dolore degli uomini accetti» (Eccli II,
5)) dice lo Spirito Santo. Dio non ha bisogno della prova per conoscere la
nostra costanza, ma gli uomini, ai quali siamo obbligati a dare buon esempio,
hanno bisogno di questa prova. Coloro che ci circondano non devono ripetere la
stolta affermazione di satana, il quale, non avendo nulla da dire contro
Giobbe, insinuava che egli servisse il Signore unicamente per la prosperità che
Dio gli aveva dato. La nostra costanza nella prova, oltre acquistarci dei
meriti, insegna a servir Dio disinteressatamente. Inoltre, sotto le prove,
l’anima fa notevoli progressi. Una verga di ferro, messa al fuoco, perde la
ruggine, si piega docile sotto i colpi del martello, e per il lungo e paziente
lavoro della lima riesce un pregevole oggetto d’arte. Così l’afflizione purga
l’anima, la rende docile alla volontà di Dio, la raffina nella virtù. –
2.
S. Pietro
per incoraggiare i Cristiani a resistere alle tentazioni e a tutte le prove
vuole vadano considerando come le stesse tribolazioni sono comuni ai …
fratelli sparsipel mondo. Come osserva il Grisostomo: «
La compagnia di quei che soffrono rende più leggero il peso della sofferenza ».
(In 2 Ep. ad Tim. Hom. 1, 4). E in questo mondo soffrono tutti. « Se non oggi,
domani; se non domani, ci sarà qualche nuovo dolore più tardi; e come non può
darsi che i naviganti siano senza sollecitudine quando vanno per l’ampio
oceano, così quei che passano questa vita non possono essere senza tristezza »
(S. Giov. Grisost. 1. c. n. 3). Saranno più o meno diversi i motivi di tristezza;
ma nessuno ne va esente. Una croce il Signore l’ha destinata a tutti. Una croce
che l’uomo comincia a portare fin dall’adolescenza è la inclinazione al male.
Croce», se egli lotta per vincere; croce, se cede alla passione, per l’amarezza
e lo sconforto che ne seguono. Una croce è mettersi alla sequela di Dio per la
via stretta; lo Spirito Santo, però, assicura che è una croce anche abbandonare
Dio. per camminare per la via larga. « Riconosci alla prova — fa dire da
Geremia ad Israele — come è cosa cattiva e dolorosa l’aver tu abbandonato il
Signore Dio tuo » (Ger. II, 19.). Sono croci le aspirazioni non mai
appagate, gli ideali non mai raggiunti, le agitazioni non mai calmate, un sogno
che svanisce, un matrimonio infelice, un figlio scapestrato. Sono croci le
malattie, le privazioni, la mancanza di quanto è necessario, una fortuna che
dilegua, un affare che va male, un infortunio che capita all’impensata. Si
hanno croci in casa e croci fuori di casa: da parte da amici e da parte di
nemici, da parte di vicini e da parte di lontani. Chi potrebbe enumerarle
tutte? E se tutti hanno la propria croce, perché solamente noi dovremmo andarne
liberi? Se le croci sono comuni a tutti i discendenti di Adamo, tanto più
devono essere comuni ai Cristiani, seguaci di Colui che morì in croce. «Se
credi di non aver tribolazioni — dice S. Agostino — non hai ancora cominciato a
essere Cristiano» (En. in Ps. 45,4). S. Paolo e S. Barnaba esortavano i
discepoli a rimaner fedeli, «dicendo che noi dobbiamo passare per molte tribolazioni
per entrare nel regno di Dio» (Att. XIV, 21). Come è impossibile entrare nel
regno di Dio senza tribolazioni; così è impossibile trovare un Cristiano senza
tribolazioni; senza molte tribolazioni, se ha cura di entrare nel regno di Dio.
È pensiero consolante, però, il considerare che nel portar la croce abbiam
compagni non solamente tutti i fratelli che abbiamo nel mondo, ma lo stesso
Gesù Cristo. Nei primi anni del suo episcopato in Milano, il Cardinal Ferrari
si era recato a far visita al Re Umberto I, nella sua villa di Monza. A un
certo momento della conversazione, che aveva preso un tono confidenziale, Re
Umberto dice con un sospiro: «Sapesse, Eminenza, quanto pesa in certi momenti
la corona!» E l’Arcivescovo, con il consueto sorriso buono e confortevole,
soggiunse pronto: «Pesa anche la croce vescovile, Maestà; l’una e l’altra però
diventano leggere e amabili quando ci si metta sopra il Crocefisso» (B.
Galbiati, Vita del Cardinale Carlo Andrea Ferrari ecc. Milano, 1926, pag, 226).
Perché avvilirci sotto il peso delle tribolazioni se sono comuni a tutti gli
uomini, e soprattutto a tutti i fratelli in Gesù Cristo; e se Gesù Cristo
terminò sulla croce una vita di tribolazioni senza numero? –
3.
Dio, il quale ci ha chiamati alla vita celeste che otterremo dopo i brevi patimenti su questa terra, non ci abbandona nei momenti della prova. Dopo che avrete soffertoun poco— dice S. Pietro — compirà l’opera eglistesso, rendendovi forti e stabili. Egli conforterà, assisterà i Cristiani, perché non abbiano a vacillare nel sopportare i mali, e nel compire i propri doveri. Le prove che Dio permette sono medicine; e sono sempre le più adatte per noi. Innanzi tutto Dio non manda se non quel che si può portare; e nessuno può asserire che le prove, che Dio gli manda siano superiori alle proprie forze. Nessun navigante carica la nave con un peso superiore alla sua portata; nella traversata la nave affonderebbe. E neppur salpa con una nave troppo leggera; questa sarebbe molto facilmente sbattuta qua e là dai venti. Dio proporziona a ciascuno le croci in modo che tengano fermo l’uomo tra l’infuriar delle passioni, e nello stesso tempo non lo opprimano col loro peso. Per dubitare di questo, bisognerebbe ignorare che «le opere di Dio sono perfette e tutte le vie di lui sono giuste» (Deut. XXXII, 4). Si odono spesso frasi come queste: «Dio poteva darmi una croce, ma pesante come questa, no». — «Un’altra croce, pazienza; ma non questa». — «Tutti hanno la propria croce; ma la mia è più pesante delle altre». Se tutti dovessimo portar la nostra croce in un luogo pubblico, e lì — come si fa in una esposizione — metterle in vista, in modo che noi potessimo vedere le croci degli altri, e gli altri potessero vedere le nostre, e a tutti fosse data facoltà di cambiar la propria con altra; quanti la cambierebbero? Tutto considerato, ciascuno penserebbe che è meglio riprender la propria, e ritornare con quella a casa. Il Signore non ci lascia portar da soli il peso della tribolazione. A incoraggiare Giacobbe a scendere da Betsabea in Egitto con tutta la famiglia, Dio gli si manifesta di notte, in visione, e l’assicura: «Non aver paura di scendere in Egitto… Io scenderò con te in Egitto, e Io ancora ti farò di là ritornare» (Gen. XLVI, 3-4). Quando, nel pellegrinaggio di questa vita, ci troviamo nelle difficoltà Dio ci è vicino, molto più vicino di quanto supponiamo. Egli può condurci e ricondurci incolumi attraverso a tutte le prove. Se saremo disposti a non staccarci da Lui, Egli non ci abbandonerà, ma ci darà la forza di superare qualunque ostacolo. – «Il Signore è buono — dice il profeta — e consola nel giorno della tribolazione, e conosce quelli che sperano in Lui (Nah. I, 7). Sappiamo, dunque, dove porre le nostre speranze nel momento della tribolazione, senza pericolo di rimanere delusi. Il Signore non vuol tormentare i suoi amici; ma vuol renderli migliori e meritevoli di un gran premio; Egli sa quello che fa. Sarebbe una vera pazzia, nell’ora della prova, abbonarsi alle querele e ai lamenti, invece di praticare il suggerimento di S. Pietro : Umiliatevisotto la potente mano di lui. Dopo tutto «l’angustia della tribolazione passerà, ma l’ampiezza della gioia a cui pervennero non avrà termine» (S. Agost. En. in Ps. CXVII). – E soprattutto umiliamoci sotto la potente mano del Signore nelle prove più gravi, come le prove pubbliche, accettandole come un invito a riformare la nostra condotta, e facciamo che non si debba ripetere il lamento che un giorno faceva S. Cipriano : «Ecco, dal Cielo vengono inflitte calamità, e non c’è alcun timor di Dio» (Ad Dem. 8).
Graduale
Ps LIV: 23;
17; 19 Jacta cogitátum tuum in Dómino: et ipse te enútriet.
[Affida ogni
tua preoccupazione al Signore: ed Egli ti nutrirà.]
V. Dum
clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam ab his, qui appropínquant mihi.
Allelúja, allelúja.
[Mentre
invocavo il Signore, ha esaudito la mia preghiera, liberandomi da coloro che mi
circondavano. Allelúia, allelúia]
Ps VII: 12 Deus judex justus, fortis et pátiens, numquid iráscitur per síngulos dies? Allelúja.
[Iddio, giudice giusto, forte e paziente, si adira forse tutti i giorni? Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠sancti
Evangélii secúndum Lucam.
S. Luc. XV:
1-10
“In illo
témpore: Erant appropinquántes ad Jesum publicáni et peccatóres, ut audírent
illum. Et murmurábant pharisæi et scribæ, dicéntes: Quia hic peccatóres recipit
et mandúcat cum illis. Et ait ad illos parábolam istam, dicens: Quis ex vobis
homo, qui habet centum oves: et si perdíderit unam ex illis, nonne dimíttit
nonagínta novem in desérto, et vadit ad illam, quæ períerat, donec invéniat
eam? Et cum invénerit eam, impónit in húmeros suos gaudens: et véniens domum,
cónvocat amícos et vicínos, dicens illis: Congratulámini mihi, quia invéni ovem
meam, quæ períerat? Dico vobis, quod ita gáudium erit in cœlo super uno
peccatóre pœniténtiam agénte, quam super nonagínta novem justis, qui non
índigent pœniténtia. Aut quæ múlier habens drachmas decem, si perdíderit
drachmam unam, nonne accéndit lucérnam, et evérrit domum, et quærit diligénter,
donec invéniat? Et cum invénerit, cónvocat amícas et vicínas, dicens:
Congratulámini mihi, quia invéni drachmam, quam perdíderam? Ita dico vobis:
gáudium erit coram Angelis Dei super uno peccatóre pœniténtiam agénte”.
(“In quel tempo andavano accostandosi a Gesù de’
pubblicani e de’ peccatori per udirlo. E i Farisei e gli Scribi ne mormoravano,
dicendo: Costui si addomestica coi peccatori, e mangia con essi. Ed Egli
propose loro questa parabola, e disse: Chi è tra voi che avendo cento pecore, e
avendone perduta una, non lasci nel deserto le altre novantanove, e non vada a
cercar di quella che si è smarrita, sino a tanto che la ritrovi? e trovatala se
la pone sulle spalle allegramente; e tornato a casa, chiama gli amici e i
vicini, dicendo loro: Rallegratevi meco, perché ho trovato la mia pecorella,
che si era smarrita? Vi dico, che nello stesso modo si farà più festa per un
peccatore che fa penitenza, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di
penitenza. Ovvero qual è quella donna, la quale avendo dieci dramme, perdutane
una, non accenda la lucerna, e non iscopi la casa, e non cerchi diligentemente,
fino che l’abbia trovata? E trovatala, chiama le amiche e le vicine, dicendo:
Rallegratevi meco, perché ho ritrovata la dramma perduta. Così vi dico, faranno
festa gli Angeli di Dio, per un peccatore che faccia penitenza”).
Omelia II
[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed.
Napoli, 1840]
Sulla
dilazione della conversione.
Gaudium erit in cœlo super uno peccatore poenitentiam agente, quam super nonaginta novem iustis qui non indigent pœnitentia.
Luc.
XV.
Chi l’avrebbe creduto fratelli miei, che la conversione d’un peccatore avesse dato più d’allegrezza al cielo che la perseveranza di novantanove giusti? La perseveranza di molti giusti non procura ella forse più di gloria a Dio che la conversione d’un peccatore? Qual vantaggio dunque può Iddio cavare dalla conversione del peccatore per farne un così gran soggetto di gaudio? Eppure è questa una verità di cui Gesù Cristo ci assicura nel Vangelo; non già che la conversione d’un peccatore sia effettivamente un più gran bene che la perseveranza dei novantanove giusti; ma ella ci fa meglio conoscere il fine della missione del Salvatore del mondo e l’estensione delle sue misericordie su di essi. Qui, dice Egli altrove, essere venuto per chiamare i peccatori e non i giusti, mentre più di misericordia ha luogo dove più vi ha di miserie: ora il peccatore è ridotto ad uno stato di miserie in cui non si trova il giusto. Questo peccatore è lontano dal suo Dio, egli ha perduto il sommo bene, egli è l’oggetto delle vendette di Dio; la sua misericordia non può soffrirlo in quello stato; e perciò lo cerca, come dice il Vangelo, con altrettanta premura che un pastore corre dietro alla sua pecorella smarrita, e con altrettanta sollecitudine che una donna la quale sia tutta ansiosa per ritrovare una dramma smarrita. Mormorino pure i farisei di questa condiscendenza di Gesù Cristo per i peccatori, si lamentino perché vuole mangiare con essi; Egli condanna la durezza dei farisei, si compiace coi peccatori, fa loro sentire le attrattive della sua misericordia a fine di ricondurli a sé. – Verità molto consolante per voi, fratelli miei, che avete avuta la disgrazia di perdere per lo peccato la grazia del vostro Dio. La misericordia di Dio vi aspetta, v’invita a ritornare a sé; ella è tutta pronta a ricevervi, tostochè voi ritornerete coi sentimenti d’un cuor contrito ed umiliato. Ma non crediate, o peccatori, che, perché la misericordia di Dio v’aspetta, vi sia permesso di differire la vostra conversione, e che essa sia per aspettarvi tanto che vi piacerà. Se da una parte ella vi dice: ritornate, e riceverete la vita; dall’altra vi avvisa di non differire, perché differendo vi esponete al rischio di non ricevere mai più il perdono. Perché mai? Perché non potete ricevere il perdono senza convertirvi. Ora, differendo la vostra conversione, vi mettete a rischio evidente di non mai convertirvi o in una specie d’impossibilità di farlo. Rischio di non convertirvi giammai, perché il tempo può mancarvi. Impossibilità o estrema difficoltà di convertirvi, perché la grazia e la volontà possono anche mancarvi. In due parole: conversione differita, conversione incerta; primo punto: conversione differita, conversione difficile; secondo punto. Convertitevi dunque prontamente. – Potete voi ricusare di dare agli Angeli un motivo di allegrezza in cui voi trovate la vostra felicità, la vostra salute eterna?
I. Punto. Non si possono vedere senza ammirazione i segni sensibili che Dio ci dà nella sacra Scrittura della sua misericordia verso i peccatori e del desiderio sincero che Egli ha della loro conversione. Qui, come nell’odierno Vangelo, questa divina misericordia si dipinge sotto i tratti d’un amoroso pastore che corre dietro a una pecorella smarrita, che la riconduce dolcemente nell’ovile, e la porta anche sopra le sue spalle per risparmiarle la fatica del cammino. Là essa si manifesta sotto il simbolo d’un tenero padre che riceve un figliuolo prodigo che le dissolutezze avevano ridotto nel più deplorabile stato. Non solamente Dio aspetta il peccatore con pazienza, ma lo ricerca con premura, lo invita, lo sollecita a ritornare a Lui; Egli fa i primi passi, e quando il peccatore si arrende ai suoi inviti, lo riceve con bontà, lo ricolma dei suoi benefizi, si rallegra del suo ritorno come di una conquista, se ne applaudisce come di un trionfo. Il che ci è sensibilmente significato nella parabola di quella donna che invita le sue amiche a seco rallegrarsi perché ha ritrovato la dracma che aveva perduta. Ma che dobbiamo noi il più ammirare, fratelli miei? la bontà di Dio a ricercare e a ricevere il peccatore, o l’indifferenza del peccatore a ritornare a Dio? Più Dio fa dei passi per accostarsi al peccatore, più questo peccatore sembra volersi allontanare dal suo Dio. Nemico della sua felicità, fugge la grazia che lo cerca; e come se fosse una disavventura l’arrendersi ai dolci inviti di questa grazia, Egli ama meglio rimanere nella schiavitù del peccato che romper le catene che lo rendono effettivamente disgraziato. Ma a che vi esponete voi, peccatori ribelli alla grazia del vostro Dio, a che vi esponete differendo la vostra conversione? Voi vi mettete in un rischio evidente di non convertirvi giammai, perché? Perché contate sopra un tempo avvenire che voi forse non avrete; mentre nulla è più incerto di questo tempo, o sia che lo consideriamo in sé stesso e nella sua natura, o sia che lo consideriamo per riguardo a Dio, che non l’ha promesso. La vostra conversione non è più certa che il tempo: per conseguenza, conversione differita, conversione incerta. – Una delle più pericolose illusioni di cui si serve il demonio per condurre i peccatori alle porte della morte eterna si è di nutrirli della lusinghiera speranza d’un tempo avvenire, al quale essi rimandano le loro conversioni. Sanno pure che per esser salvi conviene cangiar vita, lasciare il peccato, fuggirne le occasioni; ma si persuadono che a ciò fare vi sarà sempre tempo. – I giovani si affidano nella robustezza del loro temperamento, e non rimirano la morte che da lontano; riguardano la gioventù come un tempo di piaceri, di cui possono profittare, e di cui avranno il tempo di far penitenza. Eh! Perché, dicono essi, non faremo noi come gli altri, che ci han preceduti? Ciascuno deve avere il suo tempo; quando noi saremo in un’età più avanzata, noi penseremo a vivere diversamente; ma convien pure che la gioventù si sfoghi; non bisogna singolarizzarsi con un genere di vita diverso da quelli della nostra età: conviene mantenere corrispondenze, amicizie per giungere ad uno stabilimento; e per questo bisogna frequentare il mondo, e vivere a genio suo. Si trova nell’età giovanile un’infinità di ostacoli alla virtù. Quando io non avrò più, dice quel giovine, dice quella figlia, quelle corrispondenze, quelle amicizie, quando non avrò più tante occasioni di offendere Dio, io mi convertirò, e farò penitenza dei peccati della mia gioventù; ma al presente mi è impossibile. Ora perché domandarmi una cosa impossibile per adesso, e che penso fare in un altro tempo; poiché secondo tutte le apparenze, io ho ancora alcuni anni a vivere? Io sono di un temperamento abbastanza forte per non sì tosto temere la morte, risolutissimo per altro, quando la vedrò avvicinarsi, di cangiar vita e di fare penitenza. Non sono forse questi i sentimenti d’un gran numero di giovani che mi ascoltano? La loro condotta lo fa pur troppo vedere. Pensare a convertirci, a far penitenza, dicono gli altri avanzati in età, non ci è per ora possibile; gli affari di cui siamo occupati, la famiglia che conviene stabilire, quella lite che convien terminare, non ci permettono di pensare a regolare la nostra coscienza, che domanda tutta la nostra attenzione. Bisogna dunque aspettare che siamo disimpegnati da quegli affari: che siamo padroni di noi medesimi per pensare alla nostra salute. Quando avremo un tempo più favorevole, metteremo un intervallo tra la vita e la morte, e ci prepareremo al gran viaggio dell’eternità. In tal modo ragiona, fratelli miei, una infinità di persone d’ogni età e condizione; i vecchi medesimi sperano aver del tempo abbastanza per riparare i mancamenti da loro fatti durante la vita. Ma che accade poi a questi peccatori che procrastinano in tal guisa la loro conversione? E a che va a finire quella lusinghiera speranza del tempo avvenire, di cui pascono le loro idee? A non averne affatto. E perché questo, fratelli miei? Perché nulla di più incerto che il tempo della vita: egli è una foglia, che il minimo vento, rapisce, dice il santo Giobbe, egli è un fumo che si dissipa in un istante; egli è un’ombra che fugge; niuno può promettersi un solo giorno, un sol momento di vita. Noi tutti portiamo dentro di noi una risposta di morte, dice l’Apostolo; e colui che fa conto di vivere ancora un certo numero d’anni non vedrà forse il fine di quello che ha cominciato. Quel giovane che confida sulla forza del suo temperamento sarà còlto dalla morte in un tempo in cui meno vi penserà; quell’uomo pieno di progetti che l’impediscono di pensar all’affare più importante che abbia al mondo, morrà prima di avere eseguito un solo dei suoi progetti, e molto meno quello della sua conversione, ch’egli differisce dopo gli altri. – Quanti non se ne veggono cui la morte non lascia il tempo di riconoscersi? Quanti non ve ne ha, che sono rapiti nella loro più florida gioventù e sono svelti dal seno dei piaceri per essere trasportati in quello del dolore eterno? Oimè! qual bisogno evvi di provare ciò che la esperienza dimostra! Non avete voi forse vedute persone giovani come voi, d’un temperamento forte come il vostro, morire in un tempo in cui non se l’aspettavano? Non ne avete forse vedute alcune cólte da una morte subitanea ed improvvisa? L’uno fu ritrovato morto nel suo letto, l’altro perì nell’acqua, questi dal fuoco, quegli da una caduta o da qualche altro impensato accidente. L’uno è attaccato da un’apoplessia, che gli toglie l’uso dei sensi e lo mette fuori di stato di ricevere i sacramenti; l’altro vien tolto di mezzo da una febbre maligna, che non gli ha dato il tempo di mettere ordine alla sua coscienza: ed ecco forse ciò che accadrà a voi, che contate tanto sulla vostra età e sul vostro temperamento. Chi può accertarvi che voi non sarete, come tanti altri, sorpresi dalla morte? Benché giovani, benché robusti voi siate, non potete forse essere attaccati, come gli altri, d’apoplessia, còlti da qualche accidente, che vi tolga la vita senza che vi pensiate? Non potete voi forse morire di morte subitanea? E quand’anche fosse di malattia, forse non sarete più a tempo di ricevere i sacramenti, o perché voi li avrete domandati troppo tardi, o perché non si ritroverà alcun ministro di Gesù Cristo per darveli, o perché non giungeranno sì presto, malgrado la loro diligenza, a portarsi presso di voi; non è dunque una gran temerità ed una gran follia rimettere la vostra conversione ad un tempo che voi forse non avrete, e che avete ogni motivo di paventar di non avere? – Ma forse ancora, dite voi, io non morrò sì presto. Forse Dio mi darà tempo di far penitenza, di ricevere i sacramenti, come lo dà a tanti altri. Non ha Egli forse promesso il perdono ai peccatori che ritornano a Lui con sincera penitenza, in qualunque tempo lo facciano? Forse, dite voi, io non morrò sì presto, ma forse ancora morrete quanto prima; voi non siete più certi dell’uno che dell’altro. Non è forse molto meglio in questa incertezza prendere il partito più sicuro, che è quello di convertirvi? Se il tempo dipendesse da voi. se poteste disporre dell’ora della vostra morte, non sareste sì temerari a differire la vostra conversione; ma nulla evvi che dipenda meno da noi che il tempo, dice s. Agostino. Noi non possiamo disporre d’un sol momento; Dio è il padrone di tutti i momenti. Ah! chi sa, dice Gesù Cristo, quelli che il Padre celeste ha riserbati in suo potere? Momento, quæ posuit Pater in $ua potestate (Act. 1). Iddio può darvi un momento che voi vi promettete: forse, voi dite, ve lo darà; ma forse ancora non vel darà, perché non ve l’ha promesso. Se è dunque sopra un forse che voi fondate la vostra speranza, vale a dire il più grande affare che voi abbiate al mondo, non è questo un arrischiare tutto? Non è questo un voler perire eternamente? Ed è così, fratelli miei, vi domando, è così che voi operate per affare temporale o per la sanità del vostro corpo? Se voi trovate in quest’oggi un’occasione favorevole di arricchirvi, non la prendete voi con premura, per timore che dopo, lasciandola sfuggire, non la troviate più? Se siete attaccati da malattia, aspettate forse ch’ella sia invecchiata e v’abbia condotti alle porte della morte per far venire il medico? No, senza dubbio: voi prendete tutte le precauzioni possibili per arrestare il male nel suo principio o per isfuggire i colpi della morte, quest’oggi voi potete guarire la vostr’anima col rimedio della penitenza, quest’oggi voi potete assicurare la riuscita del grande affare della salute; perché dunque aspettare un domani che forse non avrete? Ah! bisogna dire che voi abbiate minor zelo per la vostra salute che per la sanità, minor premura per i beni del cielo che per quelli della terra. – Invano appoggiate voi la vostra dilazione sulla speranza che Dio vi accorderà del tempo e che vi riceverà ogni qual volta ritornerete a Lui con una sincera penitenza, Iddio, è vero, ha promesso il perdono al peccatore che si converte sinceramente; Egli non getta giammai un cuor contrito ed umiliato: ma notate, dice s. Agostino, che vi sono due cose in questa promessa, l’ora ed il perdono. Se voi vi convertite, Dio vi perdonerà, niente di più sicuro; ma vi darà Egli forse quando vorrete l’ora ed il tempo della conversione? Niente di più incerto. Egli ha promesso il perdono all’ora che vi convertirete; ma vi ha forse promesso di darvi quell’ora, di aspettarvi tanto che vi piacerà di differire? No, al contrario, Egli v’assicura positivamente che vi sorprenderà in tempo che non ve lo aspetterete: Qua hora non putatis (Luc.XII). Egli vi minaccia della medesima disgrazia che avvenne agli abitatori della terra al tempo di Noè, i quali non pensavano che a bere, a mangiare, a divertirsi, e che furono ad un tratto sepolti nelle acque del diluvio. Si è in tal guisa, dice Gesù Cristo, che il Figliuolo dell’uomo verrà a sorprendere i peccatori in mezzo ai piaceri; si è in tal modo che essi ingannati saranno nella speranza d’un tempo avvenire, di cui si lusingavano: Ita erit et adventusfilii hominis (Matth. XXIV). Quanti reprobi nell’inferno provano al presente gli effetti di quella terribile minaccia! Contavano essi, come voi, sopra un tempo avvenire per cangiare di vita, per fare penitenza; ne avevano fatto più volte il progetto, ma la morte li ha sorpresi e non ha loro dato il tempo di eseguirlo. Ah! quanto amaramente si dolgono del tempo di cui non han profittato, ed oh! come vorrebbero aver quello che è adesso in vostra disposizione per riparare la perdita da loro fatta, ma non l’avranno mai più. Aspettate voi forse, fratelli miei, che siate ridotti nel medesimo stato che quegl’infelici, per pensare com’essi sul prezzo del tempo? Voi potete ancora ciò ch’essi non potranno mai più. Qual buona sorte per voi! ma qual disgrazia se voi non imparate a loro spese? Potrete voi forse scusarvi sul tempo che non avete avuto? Potrete voi dire che la morte vi ha sorpresi? Ma voi l’avete questo tempo; voi siete avvertiti che la morte può sorprendervi; sarà colpa vostra se voi siete sorpresi. Profittate dunque del tempo che avete al presente, senza contare sopra un tempo che non vi è promesso. Cercate il Signore mentre potete trovarlo; invocatelo mentre è vicino, per timore di cadere nella notte fatale dove nol ritroverete più, dove l’invocherete inutilmente: Quærite Dominum, dum inveniripotest; invocate eum dum propeest (Isai. LV). – Se voi aveste incorsa la disgrazia di un re potente, che avesse data contro di voi una sentenza di morte, e vi si dicesse che potete quest’oggi ottenere la vostra grazia, ch’egli ve l’accorderà, se voi la domandate, ma che forse domani voi non sarete più a tempo, che la sentenza di morte si eseguirà su di voi, aspettereste voi il domani per domandare questa grazia? Non la domandereste voi in quest’oggi? Ah! voi sapete, o peccatori, che la sentenza di morte eterna è fulminata contro di voi dal sovrano del re: i peccati di cui siete colpevoli, non vi lasciano alcun luogo di dubitarne: voi potete preservacrvene in quest’oggi, in questo momento; perché dunque aspettare domani, in cui questa sentenza forse si eseguirà? Mentre non potete voi forse morire in quest’oggi? É se voi morite in istato di peccato, eccovi perduti per sempre. Convertitevi dunque in quest’oggi e non aspettate a domani. Imperciocché, o voi volete qualche giorno convertirvi, o nol volete giammai. Non voler convertirsi giammai è voler essere riprovato. Qual barbara risoluzione! Ma se voi volete convertirvi, perché non farlo quest’oggi, che è nelle vostre mani? Perché aspettar ad un altro giorno, che non è in poter vostro? E sino a quando direte voi con Agostino peccatore: modo, adesso? Ah! dite piuttosto come Agostino penitente diceva col reale profeta: sin da quest’oggi, sin da questo momento io voglio darmi a Dio; e finita, la risoluzione è presa: Dixi: nunc cœpi; sin da quest’oggi, sin da questo momento io voglio lasciare il peccato, le occasioni del peccato, quella persona, quella casa che mi perde: sin da questo momento io voglio restituire quel bene altrui, riconciliarmi con quel nemico, correggermi di quel cattivo abito; no, io non aspetterò più a far una cosa, che dovrei già da lungo tempo aver fatta. E tanto più lo dovete, perché se differite ancora, la vostra conversione diverrà più difficile. Secondo punto.
II. Punto. Due cose sono necessarie per la giustificazione del peccatore, la grazia di Dio e la volontà dell’uomo, nulla può l’uomo senza la grazia: ma nulla fa la grazia senza la cooperazione dell’uomo: bisogna dunque che la grazia e la volontà operino di concerto per consumare l’opera della giustificazione. Ora il peccatore che differisce la sua conversione si espone ad esser privo della grazia; e quand’anche la grazia gli fosse data, egli ha ogni motivo di temere che la sua volontà gli sia fedele a corrispondervi. Due ragioni che provano la dilazione render la conversione difficilissima ed in certo modo impossibile; ragioni che debbono per conseguenza indurre il peccatore a convertirsi prontamente. – Bisogna primieramente convenire secondo i principi della fede, che Dio, il quale vuol salvare tutti gli uomini, conferisce a tutti le grazie necessarie per essere salvi. In qualunque stato sia ridotto il peccatore, non deve giammai disperare della sua salute, che è sempre possibile; ma non bisogna credere che Dio apra egualmente il tesoro delle sue grazie a coloro che gli resistono, come a quelli che gli sono fedeli: siccome Egli ricompensa la fedeltà alla grazia con grazie più abbondanti, cosi punisce il dispregio che se ne fa con la sottrazione di quei doni celesti; non già che li ricusi interamente, ma questi non saranno grazie speciali e di predilezione che Egli darà alle anime ribelli, come a quelle che gli sono fedeli. – Imperciocché come volete voi che Dio dia queste grazie speciali per convertirvi a voi peccatori che, differendo la vostra conversione, ve ne rendete sì indegni con le vostre resistenze continue? Come potete voi sperare i favori che Dio riserba a quelle anime elette che si consacrano interamente a Lui, voi che gli disubbidite ai primi ed anche la più gran parte della vostra vita, per non consentigli che i miseri avanzi di una vita passata nell’iniquità e nel libertinaggio? Non dovete voi temere al contrario, ed anche tener per certo ch’Egli vi ricuserà quegli aiuti vi promettete dal canto suo, poiché ve lo minaccia sì espressamente? Guai a voi, dice Egli, che disprezzate la mia grazia; io pure vi disprezzerò: Vae quispernis, nonne et ipse sperneris (Isai. XXXIII)? Io vi ho chiamati, dice altrove, e voi non avete voluto ascoltarmi; vi ho cercati, e voi mi avete fuggito ; ma voi pure mi chiamerete, ed Io non vi ascolterò, mi cercherete e non mi ritroverete, e morrete nel vostro peccato: Quæretisme, et non invenietis, et in peccativestro moriemini (Jo. VIII). – Queste testimonianze e molte altre che io potrei citare non provano forse chiaramente, fratelli miei, che vi sono momenti favorevoli, momenti critici e decisivi per la conversione del peccatore che più non si trovano quando sono passati? Che vi sono grazie particolari da cui dipende la nostra predestinazione? Che chi non le mette a profitto si pone a rischio evidente d’eterna riprovazione. E certamente esige la giustizia divina di operare in tal modo a riguardo di un peccatore che dispregia le sue grazie. Iddio ha la pazienza di aspettare questo peccatore, gli dà tutto il tempo e le grazie per fare penitenza, tempo prezioso che non ha dato agli Angeli ribelli e a molti altri che sono morti in istato di peccato, e questo peccatore abusa della pazienza di Dio per offenderlo, egli fa della pazienza di Dio il motivo delle sue colpe: dunque ella è cosa giusta che questo peccatore sia privo della grazia di Dio in punizione del dispregio ch’egli ne ha fatto. Ah! sappiate, peccatori, vi dice l’Apostolo, che giacché voi dispregiate le ricchezze della misericordia del Signore, accumulate sopra di voi un tesoro di collera pel giorno delle sue vendette: Thesaurizas tibi iram in die iudicii (Rom.II). – Questa vendetta di Dio comincia ad esercitarsi su di voi in questa vita. Voi chiudete gli occhi alla luce che illumina, voi siete insensibili ai buoni movimenti ch’ella fa nascere nei vostri cuori, voi non volete convertirvi adesso che Dio ve ne concede la grazia: ma verrà un tempo che questa viva luce non vi illuminerà più, che questa grazia più non vi toccherà, che queste minacce non vi spaventeranno più: il Signore, di cui vi burlate, si burlerà anch’Egli di voi; disgustato dalle vostre resistenze, vi abbandonerà e v’insulterà nei vostri affanni: Ego in interitu vestro ridebo, et subsannabo (Prov. 1). – Ma, direte voi, non si sono forse veduti gran peccatori ritornare a Dio e diventare gran santi dopo una vita passata nello sregolamento, come una Maddalena, il buon ladrone, un s. Paolo e tanti altri? Questi vasi d’ignominia non sono divenuti vasi di elezione con una abbondante effusione della grazia, con quei colpi che noi chiamiamo grazie speciali e di predilezione? Noi abbiamo a fare con lo stesso Dio, ricchissimo in misericordia: il tesoro delle sue grazie non è punto esausto né chiuso per noi: non possiamo noi forse sperare di avervi parte come gli altri, che ne erano indegni quanto noi? A questo io ho due cose a rispondere: o sì fatti peccatori che sono ritornati a Dio dopo una vita sregolata hanno corrisposto alla prima grazia decisiva della loro conversione, o se l’hanno rigettata, non sono divenuti santi, se non perché Dio ha fatto risplendere su di essi quei miracoli d’una grazia straordinaria ch’Egli dà a chi gli piace, per far vedere che ha nei suoi tesori armi potenti a trionfare della resistenza dell’uomo più ribelle. Nel numero di quelli che hanno corrisposto alla prima grazia decisiva della loro conversione, riconoscete quegli illustri penitenti che ci avete citati, la Maddalena, un s. Paolo, il buon ladrone. Quando fu che la Maddalena prese il partito di andar a trovare presso di Gesù Cristo il rimedio alle piaghe della sua anima? Ut cognovit (Luc. VII). Sin dal momento che la luce della grazia risplendette ai suoi occhi e le ebbe fatto conoscere le vanità del mondo, essa le abbandonò senza frappor dimora, essa superò generosamente tutti gli ostacoli che si presentavano alla sua conversione. – Il buon ladrone, a canto di Gesù Cristo, profittò anch’egli nel momento favorevole che ebbe per chiedergli un posto nel suo regno. Saulo colpito, gettato a terra sulla strada di Damasco, chiede a Gesù Cristo che vuole ch’ei faccia: Domine, quid me vis facere(Act. IX)? Dacché ha inteso la voce del suo Dio, egli depone le armi; di persecutore della Chiesa ne diventa un fervente discepolo. – Ecco, peccatori, ciò che voi dovreste fare, e ciò che non fate. Di già la luce della grazia vi ha fatto conoscere la vanità del mondo, come alla Maddalena, e voi siete sempre attaccati al mondo ingannatore; voi non potete risolvervi a lasciare le sue vanità, le sue pompe, i suoi piaceri. Dio, per istaccarvene; vi ha percossi, come un altro Saulo, togliendovi quei beni, quella sanità di cui abusate, umiliandovi con sinistri accidenti, con dispregi, con dileggiamenti che aveste a sopportare da parte dei mondani, spezzando l’idolo della vostra passione, che vi teneva stretto nelle sue catene; e malgrado tutti i colpi con cui Dio vi ha percossi, voi siete sempre gli stessi, sempre schiavi delle vostre passioni, sempre amanti dei beni, dei piaceri, sempre avvinti all’oggetto d’una rea passione. Come volete voi dunque che Dio si diporti con voi? Volete voi che Egli vi cavi malgrado vostro dalla schiavitù, che vi tragga per forza dal pantano in cui siete immersi? Ma Egli non vuol forzare la vostra libertà; Egli fa dal canto suo tutto quello che è necessario per porgervi aiuto a rialzarvi; Egli vi stende la mano e, forse nell’istante stesso che vi parla, vi stimola, vi tocca con una grazia speciale che vi dà, malgrado l’abuso che avete fatto delle altre. A voi tocca cooperare ai suoi disegni; ma voi vi restate nell’inazione, voi nulla volete fare. Sappiate dunque che questo forse è l’ultimo de’ suoi favori, e che se voi non ne profittate, vi esponete a non averne più: sappiate che il dispregio che voi farete di questa grazia metterà forse il colmo alla misura delle vostre iniquità ed il sigillo alla vostra riprovazione. – Mettete dunque a profitto questa grazia, mentre è tempo, e non contate sopra i miracoli d’una grazia che Dio non concede nel corso ordinario della sua provvidenza. Non sarebbe forse una gran temerità ed una presunzione molto biasimevole l’aspettare dalla misericordia di Dio una grazia straordinaria, ch’Egli non deve neppure ai più gran santi, nel mentre che voi ve ne rendete così indegni con le vostre ingiuriose dilazioni, con la vostra ostinata resistenza alle grazie ordinarie di cui non dipende che da voi il profittare? Ma finalmente io voglio supporre che Dio vi dia ancora le grazie di conversione su cui voi vi fondate, mentre la misericordia di Dio è più grande che la malizia del peccatore, ed il peccatore deve meno temere dalla parte di Dio che dalla parte di sé medesimo; egli può sempre sperare le grazie necessarie per convertirsi. E a Dio non piaccia che noi cerchiamo di far disperare il peccatore della sua conversione! Ma io sostengo, peccatori, che qualunque grazia Dio vi dia, in qualunque modo Egli vi prevenga e vi tocchi, la vostra conversione sarà sempre molto difficile dalla parte di, voi medesimi; e perché mai? Perché la vostra volontà, a forza di resistere alle grazie di Dio, diverrà insensibile a tutti quei movimenti; nulla saravvi che possa commoverla. – Tal è forse lo stato d’insensibilità in cui voi presentemente vi ritrovate; voi siete commossi in un tempo da qualche energico discorso che avrete inteso; la vista dei terribili giudizi di Dio, dell’inferno che avete meritato, vi ha fatto prendere la risoluzione di cangiar vita; la morte d’una persona mondana ha fatto nascere in voi desiderio di staccarvi dai beni della terra, dai piaceri del mondo; ma voi non avete punto effettuato questi desideri: simili ad uno che si risveglia per un momento e si lascia in appresso prender di nuovo dal sonno, voi vi siete addormentati nel seno dei piaceri, vi siete abbandonati alle vostre passioni: queste passioni, questi piaceri hanno preso un tale impero su di voi, che non potete più risolvervi a rompere le vostre catene: eccovi come sepolti in un letargo, da cui non potrete più essere destati: lo strepito spaventevole della tromba dei giudizi di Dio, le minacce più severe non vi risveglieranno né vi moveranno. E perché mai? Perché voi siete avvezzi ad udirle, senza arrendervi alle impressioni ch’esse facevano sul vostro spirito e sul vostro cuore: voi rassomigliate ad un infermo che, essendo avvezzo ai rimedi, nulla più ritrova che possa guarirlo. Che fate voi dunque, peccatori, differendo a convertirvi? Voi accrescete il peso delle vostre catene, invece di spezzarle; ad un leggiero ostacolo che potevate vincere, ne aggiungete cento che saranno quasi insuperabili; una malattia leggiera che potevate facilmente guarire, si cangerà in una malattia invecchiata per cui non vi sarà più rimedio; una scintilla che potevate estinguere cagionerà un incendio che non potrete più arrestare. Perché dunque non prendete voi le precauzioni per preservarvi dalle fiamme eterne, in cui siete già per cadere? Aspettate voi forse che siate del tutto attorniati da quelle fiamme? Ma quando vi sarete, non potrete più uscirne: qual crudeltà per l’anima vostra! Io veggo benissimo su di che voi vi fidate; il tempo in cui aspettate di convertirvi è senza dubbio l’ora della morte, tempo in cui vi staccherete dalle creature e non potrete più appagare le vostre passioni. Allora, dite voi, disingannato delle vanità del secolo, io non penserò che all’eternità. Non si ricerca che un buon momento, un buon peccavi per cancellare tutti i miei peccati. – Voglio ancora accordarvi, peccatori che all’ora della morte voi possiate convertirvi, finché l’uomo è nella via, quantunque non avesse che un momento di vita, egli non deve disperare della sua salute. Ma io sostengo ancora che voi non vi convertirete in quegli ultimi momenti, per la grande difficoltà che avrete a farlo; perché, siccome ho detto, la vostra volontà, che avrà contratto il funesto abito di resistere alla grazia, non si arrenderà punto ai suoi inviti. Allora gli oggetti, le creature cangeranno bensì per voi, ma voi non cangerete a lor riguardo: voi farete penitenza, ma non sarà che una penitenza forzata; lascerete i beni, i piaceri della terra perché non potrete più possederli; cioè a dire i beni e i piaceri lasceranno voi, ma voi non ne sarete staccati per questo; voi non sarete già meno disposti a profittarne se la vita vi fosse prolungata. Ne chiamo in testimonio la quotidiana esperienza. Si è veduto un gran numero di questi peccatori abbandonati alle loro passioni, ridotti alle porte della morte; ma ricuperando la sanità ne abbiamo noi veduti molti sinceramente convertiti? Quanti segni di dolore non hanno essi dato? Quante proteste non hanno fatto alla vista del pericolo da cui erano minacciati? Hanno essi domandato i sacramenti, hanno sparse lagrime alla vista d’un Dio attaccato in croce per la loro salute: se fossero morti dopo tutti quei segni di penitenza, non avremmo noi forse detto che il cielo era loro aperto? Ma, per giudicar della loro penitenza, mirateli dopo che sono rinvenuti dai pericoli della morte; non sono forse i medesimi di prima, così amanti del mondo, così dissoluti, così maldicenti, così impudici, così vendicativi come erano prima della malattia? Li vediamo forse produrre quei frutti degni di penitenza che avevano promesso, restituire la roba altrui, più assidui all’orazione, più applicati agli esercizi della vita cristiana? Voi medesimi, peccatori che mi ascoltate, che vi siete trovati in rischio di morte, che avete dati allora segni di penitenza, siete voi divenuti migliori? Seguite voi altra strada da quella che seguitavate prima? La vostra condotta prova pur troppo il contrario. – E da questo io conchiudo che quasi tutte le conversioni che si differiscono all’estremo della vita sono conversioni false, o per lo meno molto sospette: e la ragione è, che la conversione del cuore è una grande opera; bisogna, per venirne a capo, passar da un estremo all’altro, da un amor sommo per la creatura ad un amor sommo pel Creatore. Ora il cuore non cangia sì facilmente di disposizione. Voi provate questa difficoltà adesso, che siete padroni di voi medesimi, e che avete tutte le grazie per superarla. Ma ella crescerà molto più alla morte, tempo in cui non sarete più padroni di voi; oppressi dalla violenza della malattia, molestati dalla premura di dar sesto ai vostri affari, voi non potrete applicarvi a dare tutta l’attenzione che richiede l’affare della salute; come potrete voi in quello stato metter ordine ad una coscienza carica di mille iniquità, obbligata a restituzioni, imbrattata da sacrilegi, che convien riparare con un esame generale di tutta la vita, con un’intera dichiarazione di tutti i vostri peccati? Se è cosa difficile il riuscire in un affare di questa importanza ad uno che è in perfetta sanità, a più forte ragione il sarà ad uno che l’imbroglio degli affari mette, per così dire, fuori di sé, cui la malattia toglie talmente la conoscenza e la libertà che appena, per confessione anche degl’infermi, possono essi fare qualche orazione, appena sono capaci di volgersi un istante a Dio. Che accade dunque a questi peccatori moribondi? Chiedono essi a Dio, come Antioco, un perdono che non ottengono, perché non hanno alcun dolore dei loro peccati: credono ricevere i sacramenti per loro salute, ma non li ricevono che per loro condannazione; mentre egli è difficilissimo ben fare una cosa che non si è giammai fatta bene: questi peccatori, durante la vita, non hanno mai avuto dolore dei loro peccati; essi non ne avranno punto alla morte; hanno profanato i sacramenti durante la vita, li profaneranno ancora alla loro morte; essi hanno sempre resistito alle grazie di Dio, non hanno mai avuti che deboli desideri di conversione, non ne avranno alcun altro alla morte, saranno insensibili alle grazie più forti, morranno nell’impenitenza, e dall’impenitenza cadranno negli orrori di una morte eterna: Et in peccato vestromoriemini (Jo. VIII).
Pratiche. Procurate di
evitare, fratelli miei, una sì grande disgrazia con una pronta e sincera
conversione. Incerti se voi avrete il tempo di fare penitenza, profittate di
quello che è a vostra disposizione. Quest’oggi voi avete la grazia, forse
domani non l’avrete più. Perché contare sopra una cosa incerta? Si possono forse
prendere troppe precauzioni ove si tratta dell’eternità? Avrete voi forse meno
ostacoli a vincere domani che non ne avete oggi? Al contrario, più voi
differite, più la cosa sarà difficile, e più vi metterete in rischio di non convertirvi
giammai. Cominciate dunque fin da quest’oggi, fin da questo momento a lasciar
il peccato le occasioni del peccato, a disfarvi di quell’abito malvagio, che vi
strascinerà, se non usate diligenza, nell’abisso eterno. – Già da lungo tempo la
coscienza vi rimprovera che voi non siete in istato di comparire avanti a Dio;
da lungo tempo voi sentite dei rimorsi su certi peccati che non avete
dichiarati; il che vi ha renduti fin adesso colpevoli d’un gran numero di
sacrilegi. Voi avete già più volte risoluto di rimediarvi con una confessione
generale; aspettate forse di farla quando non ne avrete più il tempo? Eh! non
differite di mettere la vostra coscienza in riposo, poiché si facilmente lo
potete: non aspettate ad un giorno di festa ad accostarvi al tribunale della
penitenza; ogni giorno, ogni momento è proprio alla penitenza; cominciate fin
da quest’oggi a riformarvi, a cangiar di vita. Chi rubava, non rubi più, dice
l’Apostolo; chi si abbandonava all’ubriachezza, all’impurità, alla vendetta,
sia casto, sobrio, misericordioso; chi era attaccato ai beni del mondo ne
faccia un santo uso, soccorrendo i poveri; che ricercava i piaceri s’interdica
tutti quelli che sono vietati e si privi anche qualche volta dei permessi;
ciascuno moderi le sue passioni, riduca i suoi sensi in ischiavitù; mentre
questo è il dovere della penitenza, riformare l’uomo nel suo interiore e nelle
sue azioni, fargli cangiare d’inclinazione e di condotta. Non evvi alcuno che
non ritrovi qualche cosa da riformare in sé: quei medesimi che menano una vita
molto regolata hanno a correggere certe sensibilità sul punto di onore, certe
ricerche dei comodi della vita, delicatezze dell’amor proprio, certi capricci
che inquietano altrui, certe negligenze nell’adempiere i loro doveri. In una
parola, finché saremo sopra la terra
avremo sempre alcuna cosa a riformare, e a questo noi ci adopreremo, o
mio Dio, mediante la vostra grazia. Ah! è deciso, dobbiamo dire a noi tutti,
già è si lungo tempo, che voi ci avete cercati, che ci stimolate di ritornare a
voi, già è sì lungo tempo, che noi resistiamo ai movimenti della vostra grazia;
ma noi cediamo finalmente, deponiamo le armi per farvi trionfare dei nostri
cuori. Ricevete queste pecorelle smarrite che ritornano a voi, o divino
pastore! Giacché voi le avete cercate anche nel tempo che vi fuggivano, qual
accoglienza loro non farete quando esse si metteranno sotto la vostra condotta?
Ma fate con la vostra grazia, che esse non vi abbandonino giammai, a fine di
possedervi durante l’eternità. Così sia.
Orémus: Ps
IX: 11-12 IX: 13 Sperent in te omnes, qui novérunt nomen tuum, Dómine: quóniam
non derelínquis quæréntes te: psállite Dómino, qui hábitat in Sion: quóniam non
est oblítus oratiónem páuperum.
[Sperino in
te tutti coloro che hanno conosciuto il tuo nome, o Signore: poiché non abbandoni
chi ti cerca: cantate lodi al Signore, che àbita in Sion: poiché non ha
trascurata la preghiera dei poveri.]
Luc XV: 10.
Dico vobis: gáudium est Angelis Dei super uno peccatóre poeniténtiam agénte.
[Vi dico:
che grande gaudio vi è tra gli Angeli per un peccatore che fa penitenza.]
Postcommunio
Orémus.
Sancta tua nos, Dómine, sumpta vivíficent: et misericórdiæ sempitérnæ praeparent expiátos. [I tuoi santi misteri che abbiamo ricevuto, o Signore, ci vivifichino, e, purgandoci dai nostri falli, ci preparino all’eterna misericordia.]
Ragioni che rendono manifesta ad ogni intellettoben disposto l’immortalità dell’ anima umana.
I. Il derivare, qual fonte nato nel fango, da sangue ignobile, è infelicità, non è colpa: onde ciò viene riputato dagli uomini per oggetto di compassione, più che di biasimo. Ma il rinunziare spontaneamente alla nobiltà trasfusaci nelle vene da un eccelso lignaggio non si può udire in chicchessia senza sdegno, mentre ciò è fare come farebbe una fonte, la quale uscita dalle miniere dell’oro per cui passò, corresse a perdersi di voglia sua nella mota. All’istesso modo, l’essere bestia per natura, non è vergogna, dirò cosi, per chi non poteva nascere più che bestia: ma il voler essere bestia per elezione, quando per natura possedevasi un posto poco inferiore a quell’istesso delle intelligenze celesti, oh che vituperio! E pure di questa razza sono coloro, che sostenendo l’anima nostra esser corpo, rinunziano al gran privilegio dell’immortalità, e si recano a gloria di non avere nel nascere e nel morire vantaggio alcuno sulla generazione de’ giumenti: Unus interitus est hominiset iumentorum et æqua utriusque conditio. Similiter spirant omnia, et nihil habet homo iumento amplius (Eccli. 3). Degni, cui sia dato in pena ciocche eglino follemente sperano in sorte, cioè di dovere un dì ritornare all’antico nulla: senonchè più giusta pena sarà per essi il vivere sempre miseri, che il lasciar per sempre di vivere, o così finir le miserie, dalle quali va libero chi non vive.
II. Frattanto a
porre maggiormente in chiaro che il loro inganno è più volontario che naturale,
esporrò qui brevemente quelle ragioni le quali sono valevoli ad ottenere da
ogni intelletto ben disposto una salda credenza della nostra immortalità. E perché
nelle battaglie la turba suol essere più d’impedimento al vincere che di aiuto,
disporremo il numero degli argomenti in due schiere: l’una conterrà le ragioni
fisiche, l’altra conterrà le morali; ed ambedue giunte insieme, saranno, spero,
due corpi invitti d’armata a superare ogni dubbio su questa lite, sicché anche
in ciò dobbiate usare più di forza a voi stesso per negare di credere, che per
credere: se pur non foste ancor voi di coloro che han la mente guernita di
ostinazione, cioè di quella maglia che sola è la impenetrabile ad ogni strale
di verità.
CAPO XXVIII.
Dalle
operazioni intellettive dell’anima ragionevole si fa chiaro ch’ella èimmortale.
I . Si può contare
tra le più splendide favole degli antichi l’arte di cui si valse già Ulisse per
rinvenire Achille travestito, e tramescolato con le donzelle di camera nella
corte di Diomede. E fu che penetrando l’accorto capitano fin colà dentro,
espose alla pubblica vista di quelle giovani, con ogni guisa di ornamento donnesco,
varie armi ancora di lama eletta e di lavoro esquisito: onde correndo a gara
tutte le fanciulle a mirare la bizzarria delle vesti, de’ veli e dell’altre
nobili gale spiegate in copia, solo un Achille si fermò a far prova dell’arme,
ed a maneggiarla, sdegnando il resto. Ora quantunque la poesia vaglia più a
ricreare la mente, che ad istruirla, voglio nondimeno che qui ella ci sia
maestra del vero o che ci serva, se non altro, di scorta per rinvenirlo,
portandoci, su l’allegoria della favola dinanzi addotta, la face innanzi. L’anima
umana, confusa fra le sostanze’ corruttibili, e coperta di spoglie anch’esse
caduche, rimane sì sconosciuta presso di alcuni, che per poco non la discernono
dalle bestie, e ne fanno in cuor loro un’egual ragione. Ma noi, per chiarirci
della sua natura, superiore ad ogni essere materiale, andiamo un poco
sagacemente indagando qual genio ell’abbia, qual’indole, quale istinto, quale
operare: e se in tutto non vedremo tanto di grande, che ci necessiti a giudicarla
di condizion trascendente qualunque cosa mortale, io mi contento che qual
mortale alla fine la dispregiamo, non meritandosi il vanto d’incorruttibile
quel cedro, che, tra noi nato, non ha punto che fare con quei del Libano. Ma
s’ella è qual si predica, a che insultarla?
II. Due sono le
operazioni proprie dell’anima ragionevole. L’una è l’intendere tutto il vero, e
appartiene all’intelletto. L’altra è l’amar tutto il buono, e appartiene alla
volontà. Facciamoci dall’intelletto, che in questo cielo domina come il sole:
onde egli ci somministrerà tali indizi, che ci apponghiamo : SolUbi
signa dabit, solem quis dicere falsum audeat? Discorriamo dunque così.
III. E indubitato
che un essere meramente corporeo non può operare intorno a un oggetto meramente
spirituale, cioè scarico totalmente di ogni materia: perché le cagioni non possono
trapassare i confini della loro natura, sicché posseggano una sfera più nobile
all’operare di quella che posseggono all’essere: Eo modo aliquid
operatur, quo est (S. Th. 1. p. q. 75. art. 1. In.). Ora l’anima umana
conosce le cose immateriali, ed intende gli oggetti puramente spirituali,
intende le intelligenze intende Iddio. Adunque ne segue che nel suo essere ella
sia parimente spirituale, e libera da qualunque materia. Altrimenti che ci
potrebbe ella ridire delle cose superiori ai sensi? Nulla più di quello che i
sensi ci sappiano ridir delle cose superiori alla loro sfera. Onde come
l’occhio non sa mai divisare quel che sia suono, né l’orecchio sa mai
discernere quello che sia splendore; così l’intelletto non saprebbe formarsi
veruna idea delle cose che non han corpo, s’egli non fosse incorporeo.
IV. Né solamente l’anima
sa conoscere gli oggetti spirituali, ma que’ medesimi che sono al tutto
sensibili sa ella, dirò così spiritualizzare e spogliar di corpo,
considerandoli in universale, e non secondo quell’essere che hanno in sé, ma
secondo quell’essere ch’ella dà loro in astratto, cioè con astrarli dalla
materia, dal luogo, dal moto, dalla mole, dal tempo e da ogni altra condizione
propria dell’individuo. E di tal guisa sono le cognizioni scientifiche,
e massimamente le matematiche, e le metafisiche, per cui l’intelletto, assottigliando,
e quasi sublimando le cose, e cavandone, per così dire, uno spirito
d’intelligenza, si viene a pascere in un puro distillato di verità. Pertanto,
se il modo dell’operare segue, come si disse, il modo dell’essere, chi non
vede, che quella mente, la quale col suo operare dona all’oggetto un tal essere
immateriale, è adorna di un tal essere nel suo fondo, anzi n’è adornissima;
mentre, come insegna il filosofo, la potenza sempre è più nobile del suo parto?
Faciens est honorabiliusfacto (L. 3. de an.
sext. 1.
9).
V. Aggiungete, che
l’anima conosce se medesima ed i suoi atti, e li conosce con una ammirabilissima
riflessione, conoscendo infin di conoscere; conosce i suoi pensieri, conosce i
suoi proponimenti, conosce i suoi desideri. Onde anche per questo capo debbe
ella essere confessata immortale, perché in se stessa ha una sorgente inesausta
di verità sicché, come può sempre operare, attingendo nuova acqua di cognizione
dalla sua fonte, così può sempre anche vivere. E su ciò appunto i filosofi hanno
fondato quel loro celebrato assioma; Omne conversivum supra se est
immortale (Auct. 1. de caus.): volendo eglino, che come il moto
circolare di sua natura non ha termine, secondo che l’ha il moto retto, così il
moto intellettuale delle sostanze che riflettono in se medesime sia perenne:
laddove il moto di quelle potenze conoscitive, le quali non si possono
riconcentrare in se stesse, soggiaccia al tempo, come vi soggiacciono tutte le
potenze brutali.
VI. Senonchè più
chiaramente noi possiamo dedurre questa asserzione dalla vastità della sfera,
aperta dalla natura alle operazioni dell’anima ragionevole: sfera per poco
infinita.
VII. Fra tutte le
cose possibili, niuna v’è, che non possa essere oggetto alla mente umana. Anzi
qualsisia verità ha per lei gravido il seno di prole numerosissima d’altre
verità somigliante; mentre l’anima sa combinare l’una con l’altra, ed ora
salire dagli effetti alle cagioni, ora discendere dalle cagioni agli effetti:
sa penetrar le cose che sono, e sa discorrere su quelle che ancor non sono: sa
fabbricar nuove macchine, sa figurar nuovi mondi, sa fingere nuove idee, senza
mai restarsi. Ora chi non iscorge chiaramente in queste operazioni quell’essere
illimitato, proprio delle sostanze immaterialissime, che in virtù dell’ampio conoscere
vengono poco men che a trasfigurarsi in tutte le cose? Che relazione hanno queste
notizie al bene del corpo, mentre anzi son preci che mettono quasi in gara le
menti umane colle intelligenze celesti?
VIII. E in queste
cognizioni, che nulla giovano ad alcuno de’ sensi, ma son all’anima quasi un
mero ornamento, prova ella appunto i suoi maggiori diletti. Archimede nel
bagno, arrivando al modo di pesare la lega frammescolata dall’artefice all’oro
della corona votiva del re Ierone, concepì tanto giubilo, che uscito quasi di sé,
non che da quell’acque, correva ignudo, gridando per le vie pubbliche . che
alfin l’avea ritrovata: reperi, reperi (Plut. in Colot.): quasi
che cercasse in chi riversare prestamente la piena della sua gioia, tanto era al
colmo. Però , se l’anima nelle sue cognizioni non solamente è capace di un tal
sollazzo, in cui il corpo ed i sensi non abbiano parte alcuna, ma n’è capace in
grado cosi eccessivo, che la cavi estatica quasi dal corpo e da’ sensi; chi non
verrà con evidenza a conchiudere, che ella non è adunque immersa nel medesimo
corpo, come sostanza materiale ancor essa, ma che sopra lui, e sopra tutti i sensi
propri di lui, si solleva qual puro spirito?
II.
IX. Ponete ora al
confronto le notizie dei bruti se sì vi aggrada. e i loro piaceri. Le notizie
son tanto scarse, che non solamente non eccedono la sfera delle cose sensibili,
ma sono ristrette ancora a ciò meramente che serve al corpo, o per mantenimento
dell’individuo, o per propagazione al più della specie. Tra le cose ancora
sensibili non conoscono mai, se non le particolari che sono in atto: né mai si
curano di risaperne in generale l’origine o le occasioni: non giudicando eglino
degli oggetti, se non così grossamente, quanto gli apprendono, o come amici
della loro natura, o come nemici.
X. E i piaceri
poi quali sono? Sono forse quei che procacciava un Caligola al suo palafreno sì
caro, quando non pago di avergli formata già la stalla di marmi, la mangiatoia
di avorio, e la gualdrappa di ostro più che reale, gli assegnò la sua nobile
paggeria, con intendimento di crearlo console, e poco men che collega nel
principato? Nulla meno. I piaceri sono que’ soli che con tenuissima rendita possono
i bruti spremere dagli esterni due infimi sentimenti, cioè dal tatto e dal
gusto. Onde, se quell’imperatore non era imbestialito più ancora della sua
bestia, ben potea scorgere, che più di tante burbanze e di tante borie sarebbe
ad essa di favore uno staio di biada eletta.
XI. E chi non sa, che dagli altri tre sentimenti più sollevati, cioè dalla vista, dall’udito, dall’odorato, se coglie un bruto qualche fior di sollazzo, non è per altro, se non perché questi sensi gli arrecano qualche
novella di un oggetto che sia giocondo, o che sia giovevole agli altri due?
Così non gli son graditigli odori, se non in quanto gli danno sentore di cibo,
o presente, o prossimo; né gli è gradita la vista delle piagge, de’ prati, o
delle foreste, se non in quanto vagliono a ricrearlo coi loro pascoli: e sebben
taluno de’ bruti vince gli uomini nella perspicacia del vedere, come il lince;
dell’udire, come la lepre; dell’odorare, come il bracco: non ritroverete però mai,
che si vaglia di una tal perfezione per nitro fine, che per provvedersi di
oggetti confacevoli al corpo, o per iscansare i nocivi. Laddove l’uomo, non
solamente è capace di diletti superiori a lutti i sensibili, ma quei medesimi che
egli ricoglie da’ sensi, sa indirizzare ad un fine altissimo, d’imparar qualche
vero nascosto in essi: facendo però più stima di quei piaceri sensibili che
sono più opportuni alle scienze o alle esperienze. E in quegli stessi i quali
sono ordinati alla conservazione della vita, ama sposso, più che null’altro. l’invenzione
e l’ingegno, come appare chiarissimo ne’ conviti, in cui la minore impresa è
talor quella che si appartiene alla gola, in paragone di quella dell’apparato,
dell’argenteria, dei trionfi, delle sinfonie, de’ servizi, e dell’ordine dato
alle vivande con tanta disposizione, che ornai non meno d’arte ricercasi in uno
scalco a schierare un numero senza fine di piatti sopra una mensa, di quella
che si richiegga in un capitano a schierare un esercito alla campagna.
XII. Pertanto,
dacché i rivi, ridotti in canali stretti, acquistano maggior lena, riduciamo in
breve ancora noi tutto l’arrecato fin ora, e diciam cosi. La sustanza ascosta
di ogni essere si conosce dalla sua operazione, come la radice dalla pianta per
cui fu fatta: e l’operazione dal suo soggetto, come la pianta dal frutto cui fu
ordinata. Però, considerando noi l’oggetto proprio delle cognizioni brutali, da
una parte sommamente ristretto nella sua sfera, dall’altra parte nella sua
sfera stessa nulla fecondo, se non di quei beni che son graditi al gusto per vivere,
ed al tatto per generare, dobhiam dedurre, che la sostanza della lor anima stia
totalmente immersa nella feccia del corpo, sicché non possa separarsi da
questo, senza lasciare subito di operare, e conseguentemente di essere. Per
opposito, rimirando noi il modo di operare dell’anima ragionevole, tanto
superiore a ciò che giova o gradisce al medesimo corpo dov’ella alberga, siamo
costretti a confessare che l’anima sia superiore incomparabilmente al medesimo
corpo, sicché né muoia insieme con esso lui, nè sia dominata dal tempo, ma
tenga bensì il tempo sotto i suoi piedi per dominarlo »
III.
XIII. E pur mi resta in questo ancora che aggiungere di più forte. Se il corpo muore, è perché fuori di sé ha infiniti contrari che lo combattono; e infiniti hanne ancora dentro di sé, come gli ha qualunque composto. Ma l’anima semplicissima qual può averne? Accoglie in se stessa con somma pace tutti i contrari possibili, conoscendo ad un tempo e vero e falso, e caldo e freddo, e chiaro e fosco, e dolce ed amaro: tanto che questi non solo a lei non apportano male alcuno, ma la avvalorano, rendendola sempre più, qual debb’essere, intelligente. E come dunque ha da morire ancor ella, se niuno può darle morte ? Si ha ella forse ad uccidere da se stessa? Che se i sensi corporei dai loro oggetti i più graditi ricevono ancora danno, quando questi siano eccessivi, accecandosi gli occhi ad un acceso splendore, e assordandosi gli orecchi ad un alto strepito; il solo intelletto dall’eccellenza del buon oggetto riceve maggiori forze, e quanto conosce più, tanto sempre si abilita a più conoscere. Che timor dunque di perire può essere a chi non ha né anche chi lo debiliti? Sic mihi persuasi, etc. (diceva Tullio (De senect.), quantunque per bocca altrui) cum simplex animi natura esset, nec haberetin se quidquam admixtum dispar sui atque dissimile,non posse eum dividi; quod si non possit,non posse inferire. Ragione di tanto peso, che niuno v’ha fra’ teologi, che non l’abbia fatta anch’egli trionfare solennemente nella sua cattedra.
ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉSET MÉDITÉS
A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES
SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.
[I Salmi
tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e
delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli
oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]
Par M. l’Abbé
J.-M. PÉRONNE,
CHANOINE TITULAIRE
DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence
sacrée.
[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di
Scrittura santa e sacra Eloquenza]
TOME TROISIÈME (III)
PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878
IMPRIM.
Soissons, le 18
août 1878.
f ODON, Evêque de Soissons et Laon.
Salmo 147
Alleluja.
[1] Lauda, Jerusalem, Dominum;
lauda Deum tuum, Sion.
[2] Quoniam confortavit seras portarum tuarum, benedixit filiis tuis in te.
[3] Qui posuit fines tuos pacem, et adipe frumenti satiat te.
[4] Qui emittit eloquium suum terrae, velociter currit sermo ejus.
[5] Qui dat nivem sicut lanam, nebulam sicut cinerem spargit.
[6] Mittit crystallum suum sicut buccellas: ante faciem frigoris ejus quis sustinebit?
[7] Emittet verbum suum, et liquefaciet ea; flabit spiritus ejus, et fluent aquæ.
[8] Qui annuntiat verbum suum Jacob, justitias et judicia sua Israel.
[9] Non fecit taliter omni nationi, et judicia sua non manifestavit eis. Alleluja.
[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.
Vol. XI
Venezia, Girol.
Tasso ed. MDCCCXXXI]
SALMO CXLVIl.
I codici nuovi ebraici fan questo Salmo una continuazione del Salmo antecedente. Ma i codici antichi doveano averlo per un Salmo da sé col proprio titolo, poiché i Settanta, che tradussero dagli antichi, ne fanno un Salmo nuovo. L’argomento è esortazione a lodare Dio per i beneflci conferiti da lui al suo popolo.
Alleluja. Lodate Dio.
1.
Loda, o Gerusalemme, il Signore; loda. Sionne, il tuo Dio.
2.
Perocché forti sbarre ha egli messe alle tue porte; ha benedetti i tuoi
figliuoli dentro di te.
3.
Egli ha messa ne’ tuoi confini la pace, di fior di frumento ti pasce.
4.
Egli manda la sua parola alla terra; la sua parola corre velocemente.
5.
Ei dà la neve come fiocchi di lana; (1)
come cenere sparge la nebbia.
6.
Manda il suo gelo come, pezzi di pane, chi può reggere al freddo ch’ei porta? (2)
7.
Manderà i suoi ordini, e farà ch’ei si sciolgano; soffierà lo spirito di lui, e
scorreranno le acque.
8.
Egli, che annunzia la sua parola a Giacobbe, e i suoi precetti e i suoi giudizi
ad Israele!
9.
Non ha fatto così a tutte le nazioni, né
ha manifestati ad essi i suoi giudizi. Alleluia.
(1)
L’esperienza
ci insegna che in effetti, per garantire il grano, le piante e gli alberi dalla
dannosa influenza del freddo, la natura non poteva dare nessun riparo migliore
che la neve. Siccome il freddo dell’inverno è molto più pregiudizievole per il
regno vegetale che per quello animale, le piante perirebbero se non fossero
protette da qualche mezzo. Dio ha voluto che la pioggia, che durante l’estate
rinfresca e rianima i vegetali, cadesse d’inverno sotto forma di lana dolce che
servisse loro da copertura e le difendesse dalle ingiurie della gelata e dei
venti. Quando la neve è ammassata in basso, conserva una temperatura più dolce
che in superficie. Esperienze tendono a provare che fa meno freddo sotto la
neve che all’esterno; e più il mantello è spesso, più il termometro che penetra
in basso a questa massa, si tiene al di sopra dello zero.(Leçons de la nature, t. IV, p. 179).
(2) Nebulam,
la gelata bianca, la brina. La parola ebraica “Fatim”, tradotta con
“Buccelas”, significa frammenti, pezzi, ciò che può indicare la grandine.
Sommario analitico
In questo salmo, che è come una terza
strofa del precedente, ed in cui si ritrovano le stesse idee nello stesso ordine,
il Profeta invita la Gerusalemme terrestre – ed in essa la Chiesa di
Gesù-Cristo – nonché la Gerusalemme celeste, a celerare le lodi di Dio (1).
I. – Egli ne dà come motivo:
1° motivi particolari al popolo di Dio:
a) la forza inespugnabile che dà alle
sue barriere (2);
b) l’abbondanza e la pace che ne sono la
sequela (3);
2° motivi generali:
a) la prontezza con la quale i suoi
ordini si spandono su tutta la terra (4);
b) la sua onnipotenza nei fenomeni
fisici della neve, del ghiaccio, etc., che sceglie di preferenza il salmista,
perché in un paese anche caldo, la neve, il ghiaccio, il gran freddo erano rari
e causavano una sorte di ammirazione nel popolo (5-7);
3° specifica poi gli sforzi della
Provvidenza tutta particolare di Dio nei riguardi del suo popolo, a) mentre
Egli ha istruito tutti gli altri popoli con effetti materiali, ha istruito il
suo popolo con i suoi Profeti o da Se stesso (8), ciò che non ha fatto per le
altre nazioni (7).
Spiegazioni e Considerazioni
I. – 1-3.
ff. 1. – Perché questo
invito a Gerusalemme di lodare nel complesso il Signore, ed a Sion di lodare il
suo Dio? Sion non è altro che Gerusalemme. Gerusalemme significa « visione di
pace, » e Sion significa « contemplazione ». Vedete se questi nomi designano
altra cosa che degli spettacoli; i gentili non credano dunque che essi abbiano
degli spettacoli e noi non ne abbiamo. Talvolta all’uscire dal teatro o dall’anfiteatro,
quando la folla sciama dai vomitori, da questi luoghi di perdizione, gli
spettatori, con lo spirito occupato dai fantasmi della loro vanità, e la
memoria piena di ricordi non solo inutili, ma pure perniciosi, il cuore rivolto
a gioie che sembrano dolci, ma che danno la morte; gli spettatori – io dico –
vedono spesso passare dei servi di Dio. Essi li riconoscono sia dall’abbigliamento
e dal cammino, sia dai tratti e dall’aspetto del volto, ed essi dicono a se
stessi ed agli altri: oh! gli infelici! Quali gioie si perdono! Fratelli miei,
preghiamo per essi il Signoreper la gratitudine dei loro
benevoli rimpianti, perché essi li credono ben riposti … tuttavia, nella loro
futile benevolenza, vana, erronea, se si possa pure definire benevolenza, essi
ci compiangono perché perdiamo ciò che essi amano; preghiamo perché essi non
perdano ciò che noi amiamo. Vedete qual è la Gerusalemme per cui il Profeta
esorta a lodare Dio, o piuttosto a stimolarne le lodi; perché, quando noi
vedremo Iddio, lo ameremo e lo glorificheremo, non ci sarà più bisogno della
voce dei Profeti per esortare ed eccitare i canti della città celeste (S.
Agost.). – Cantare le lodi del Signore è un esercizio che conviene
propriamente alla Gerusalemme celeste, e la lode di Dio è l’unica occupazione
dei beati del cielo. Piangere e gemere è un esercizio proprio alla Gerusalemme
della terra. Tiepidamente noi dobbiamo cominciare sulla terra ciò che siamo
chiamati a continuare a fare eternamente nel cielo. Credete voi una vita futura
– diceva S. Agostino – cominciando l’esposizione di questo salmo? La vostra
occupazione sulla terra sia lodare Dio e benedirlo, perché voi siete chiamati a
rendergli eternamente questo omaggio nella santa Sion, ove il dolore, il lutto,
la paura non penetrano affatto … Voi sapete qual sia la vostra fede, vi
ricorderete del sacro carattere che avete ricevuto. Vivete dunque conformemente
alla vostra professione; lodate adunque il Signore vostro Dio, e fate fin dal
presente ciò che dovrete fare eternamente nella Gerusalemme celeste.
ff. 2, 3. – Quanti benefici
riuniti! Il primo di tutti ed il più grande, si trova rinchiuso in queste
parole: « Tuo Dio. » Questo dice tutto in qualche modo: Egli ti ha posto nella
sua intimità, ti assicura la sua eredità, e Lui, il Signore di tutti gli esseri
senza eccezione, vuol essere per eccellenza tuo; ed è là, certamente, la fonte
di tutti i beni. Ciò che viene immediatamente dopo, è la sicurezza della città;
il terzo, è il suo prodigioso accrescimento; il quarto è che non solo la città,
ma ancora la nazione intera, sia al riparo dalle guerre e dalle sedizioni. A
questo ultimo beneficio, il Profeta ne aggiunge un altro: l’abbondanza dei
frutti della terra, abbondanza che si deve attribuire non alla fecondità della
terra stessa, né all’influenza naturale dell’aria, ma alla preveggente bontà
del Creatore (S. Chrys.). – Gerusalemme deve lodare il Signore perché le ha
dato la sicurezza e l’abbondanza che riassumono tutti i beni; perché la
sicurezza senza l’abbondanza non è che la sicurezza dell’indigenza, e
l’abbondanza senza la sicurezza è piena di timori e di pericoli. (Berthier).
– Loda il tuo Dio, perché ha fortificato le sbarre di queste porte … Si, i
profeti sono le vere porte della Chiesa; senza i Profeti, noi non potremmo
entrare nella Chiesa. I Manichei hanno voluto entrare senza le porte, e non
sono mai entrati; Marcione non accoglie l’Antico Testamento, e non passando per
le porte dell’Antico Testamento, non è potuto entrare nel Vangelo. Quanto a noi,
noi riceviamo i Profeti ed entriamo da queste porte: « Tutti coloro che sono
venuti prima di me erano dei ladri e dei briganti, dice Gesù-Cristo. » (Giov.
X, 8) Oh! Se Dio non accordasse di poter essere una serratura delle
porte di Sion! Se un eretico volesse forzare queste porte per entrare nella
divina economia dei Vangeli, io mi metterei di traverso, e gli impedirei di
passare: « Perché Egli ha fortificato le sbarre delle tue porte. » Datemi un
sacerdote profondamente istruito delle celesti Scritture; se egli vede venire
Eumomius, Arius, per strappare ai Profeti qualche testimonianza contro di noi,
non gli resiste come una sbarra, e non resiste loro vittoriosamente come una
serratura? E notate la giustezza di questa espressione: « Egli ha fortificato
le sbarre delle tue porte. » Così, quando voi vedete un prete discutere sulle
sante Scritture, non è lui che discute, non lo credete, ma è Colui che lo
fortifica (S. Girol.). – « Egli ha stabilito la pace in tutta la vostra
estensione. » Quale gioia vi ha preso tutti a queste parole! Amate la pace, noi
siamo pieni di allegrezza, quando noi sentiamo uscire dai vostri cuori l’esplosione
del vostro amore della pace. A qual punto siete incantati? Io non ho detto
ancora niente, niente spiegato, non ho fatto che annunziare questo versetto e
voi avete gridato: qual sentimento ha dunque così gridato in noi? L’amore della
pace! Cosa ho esposto ai vostri occhi? Perché voi gridate se l’amate? Perché
amate se non vedete? La pace è invisibile. Quale occhio ha potuto vederla per
amarla? Ma voi non l’acclamereste se non l’amaste? Ecco gli spettacoli che
prodiga il Dio delle cose invisibili. Da quale sublime beltà i nostri cuori
sono stati colpiti dalla sola idea della pace! Che bisogno c’è di parlare
innanzitutto della pace, o di lodare la pace? Il vostro sentimento ha prevenuto
tutte le mie parole; io non posso dipingerla degnamente, ne sono incapace, riconosco
la mia debolezza; rimettiamo ogni elogio della pace a questa felice patria
della pace. Là noi la loderemo pienamente, perché noi la possederemo
pienamente. Se noi la amiamo già anche quando non è cominciata in noi, quale
lode le daremo quando sarà poi perfetta? O figli diletti di Dio, o figli del
regno celeste, o cittadini di Gerusalemme, io vi dico delle cose perché la
visione della pace brilla in Gerusalemme, e tutti coloro che amano la pace sono
benedetti in questa città; che vi entrino quando le porte sono chiuse e le
vedremo consolidate. Questa pace che voi amate, che voi circondate di tale
amore, solo al sentirla nominare, cercatela, desideratela, amatela nella vostra
casa, amatela nei vostri affari, amatela nella vostra sposa, amatela nei vostri
figli, nei vostri servi, amatela nei vostri amici, amatela nei vostri nemici. (S.
Agost.). – Questa pace è stabilita sui confini di Gerusalemme, per
farci intendere che sarebbe vano illudersi di possedere la pace del cuore, se
essa non regnasse nelle facoltà che sono di sua dipendenza e come sulle sue
frontiere. Come regnerà la pace nel cuore, se i sensi sono turbati da oggetti
esteriori, se lo spirito è posseduto da false massime, se la memoria non
richiami che le tempeste di una vita profana? – « Egli ti sazia con fior di
frumento. » La Chiesa, figurata da Gerusalemme, era destinata a nutrirsi di un
pane ben più squisito. Il nutrimento che mantiene e ripara le forze dei suoi
figli è contenuto nella parola di Dio e soprattutto nel Sacramento del Corpo e
del Sangue di Gesù-Cristo. se noi ci eleviamo più in alto fino alla Gerusalemme
dei cieli, è là che gli eletti sono saziati dal fiore del più puro frumento,
poiché la verità e la saggezza sono il nutrimento dell’anima; ma essi
possederanno la verità in se stessi, e non più in enigmi o in metafore; essi
gusteranno la dolcezza del Verbo eterno spoglio della scorza dei Sacramenti e
delle Scritture; essi attingeranno a lunghi sorsi dalla stessa fonte della
saggezza, e non più goccia a goccia ai ruscelli di questo mondo; essi saranno
saziati in maniera da non avere più fame né sete per l’eternità (Berthier,
Bellarm.).
II. – 4-7.
ff. 4. –Il Profeta passa dai favori particolari
ai benefici generali e reciprocamente dai benefici generali ai favori
particolari. Appena egli ha detto: … Egli spande la sua parola su tutta la
terra, aggiunge: « E la sua parola corre con rapidità, » volendo farci sapere
che Dio veglia su di noi non in una sola contrada, ma in tutta la terra. La
parola è presa qui per la volontà stessa, per l’azione provvidenziale. (S.
Chrys.). – Questa parola riguarda o la creazione del mondo, o l’ordine
della Provvidenza che Dio osserva nei
confronti di tutti gli esseri, o gli effetti particolari della sua potenza, tali
come sono descritti nei versetti seguenti; questa parola, è ancora e
soprattutto il Verbo incarnato e la predicazione del Vangelo, che si è esteso
con rapidità fino alle estremità del mondo. (Berthier).
ff. 5-7. – Provvidenza
ammirevole di Dio è che Egli sappia maneggiare per l’utilità delle terre tutte
le cose che sembrerebbero essere anche le più contrarie, come la neve, la
brina, il ghiaccio, tutto cose fredde che non lasciano riscaldare in qualche
modo e fecondare la terra, ma purificano l’aria e fortificano i corpi. – « Egli
spande la neve come una coperta di lana, spande la brina come la polvere, invia
il ghiaccio come pezzi di pane, » facendo così concorrere ad un’opera unica gli
elementi più contrari, e ci sazia del più puro frumento. – La neve è il simbolo
del cuore rappreso nel freddo del peccato; ma il Signore sa comunicare alla
neve stessa il calore della lana. Quando abbiamo lasciato raffreddare la carità
in noi, la nostra natura inferma soccombe come avviluppata sotto la fredda
neve; ma tra i cuori rappresi, c’è ciò che la grazia predestina e che trasforma:
Dio cambia allora questa neve ghiacciata e ne fa della lana calda e preziosa
per il proprio abito, che è la Chiesa; all’intorpidimento del peccato, Egli fa
succedere il dolce calore che non appartiene che alla Chiesa (S.
Agost.). – Le opere di Dio sono grandi; il Profeta ce ne richiama qui
alcune che appartengono tutte alla terra, e di cui siamo testimoni quasi ogni
anno: come Dio fa cadere la neve, come spande la gelata bianca, come cambia la
neve in un solido cristallo. Altri si son detti: Credete che queste cose siano
state menzionate nelle Scritture senza un particolare motivo, e che non abbiano
altro senso se non quello letterale? Le comparazioni della neve con la lana, ed
la brina gelida con la cenere, il cristallo con il pane non hanno un
significato recondito? Ma perché la Scrittura ha voluto velare il pensiero come
sotto la sfumatura delle comparazioni? Quanto non sarebbe stato meglio che si
esprimesse chiaramente? Perché necessita che sia esitante ricercando quel che
significano queste parole? Perché è necessario che io lavori nell’ascoltarle?
Perché, il più sovente, dopo aver inteso questo salmo, resto nell’ignoranza?
Lasciatevi curare, voi avete bisogno di essere guariti. Ben orgoglioso e ben
presuntuoso è il malato che vuol riprendere il suo medico, e questo medico è un
uomo. Il malato oserà dar consiglio al suo medico? Ma quando l’uomo è malato ed
è curato da Dio, è in lui un grande inizio di pietà e di guarigione credere,
prima di sapere perché Dio ha parlato, che Egli doveva parlare così come ha
parlato. In effetti, questa pietà vi renderà capace di cercare quel che
significano queste parole e trovarlo dopo averlo cercato, e raggiungerlo dopo
averlo trovato (S. Agost.). « Egli invierà la sua parola e farà fondere tutti
questi ghiacci. » Quando il calore della carità si raffredda nel nostro cuore?
Se giunge a peccare, se si raffredda, se si lascia vincere dalla morte.
Vogliate soppesare queste parole: se si raffredda, si lascia vincere dalla morte.
Il freddo cadaverico è il segno della morte, il calore è il segno della vita.
se dunque un Cristiano si raffredda, Dio invierà la sua parola, il suo Verbo, e
farà fondere questi ghiacci. E Dio ci accorda che il freddo della nostra anima si
fonda anche, che questo ghiaccio si liquefi, e divenga più morbido al tocco.
Datemi un peccatore sul quale Dio non abbia lasciato cadere il suo sguardo:
esso non ha calore, è freddo, è morto. Se è tocco da compunzione ascoltando la
parola di Dio, se comincia a fare penitenza, il suo cuore indurito si rammolla,
e noi vediamo il compimento di questa predizione: « Egli invierà la sua parola
e farà fondere tutti questi ghiacci. » (S. Gerol.). – Noi vediamo dunque la
neve, la brina bianca, il ghiaccio; è bene che il soffio di Dio li faccia
fondere. Se in effetti Dio non inviasse il suo soffio, non farebbe fondere Egli
stesso la durezza del ghiaccio, che sussisterebbe davanti al rigore della sua
freddezza? Davanti al rigore della freddezza di chi? Di Dio. Da dove viene questa
freddezza di Dio? Ecco che Egli abbandona il peccatore, ecco che non chiama,
non gli apre l’intelligenza, non spande la sua grazia in lui; e l’uomo faccia
fondere, se può, il ghiaccio della sua follia. Perché non lo può? « Chi
sussisterà davanti al volto della sua freddezza? » Ascoltate dunque questo
peccatore congelato che vi dice: « Io sento nelle mie membra un’altra legge che
combatte la legge del mio spirito e mi tiene schiavo sotto la legge del peccato
che è nelle mie membra. Miserabile uomo che sono, chi mi libererà da questo
corpo di morte? » (Rom. VII, 23). Io ho freddo, io sono gelido, qual calore
fonderà il mio ghiaccio, affinché possa correre? « Chi mi libererà da questo
corpo di morte? » Chi sussisterà davanti alla freddezza di Dio? E chi potrà
liberar se stesso se Dio lo abbandona? E chi ti libererà? « … La grazia di Dio,
per nostro Signore Gesù-Cristo. » (S. Ambr.). – Nessuna forza può
eguagliare quella dello Spirito di Dio: « Il Padre dei misericordiosi invierà
la sua parola, cioè la grazia di Gesù-Cristo; la parola eterna del Padre toccherà
questa terra ove regna il gelo; essa si ammolla, ben presto fonderà alla
presenza del sole di giustizia.» Se occorre fondere il ghiaccio dei nostri
cuori, Egli farà soffiare il suo Spirito, il quale, come il vento del
mezzogiorno, modererà il rigore del freddo, e dal cuore più indurito usciranno
lacrime di penitenza.
III. — 8, 9
ff. 8, 9. – Il Profeta,
dalle disposizioni generali della Provvidenza, ritorna a ciò che riguarda
specialmente i Giudei, e mostra loro quanto la divina provvidenza abbia
trattato il suo popolo differentemente dalle altre nazioni; perché il nostro
Dio non ha insegnato a queste, se non con effetti naturali; è per mezzo delle
cose create che ha rivelato loro il Creatore, ed esse non avevano per
conoscerlo se non la luce naturale oscurata dal peccato. Ma Dio stesso ha
voluto istruire il suo popolo con i suoi Profeti: « Egli ha fatto le sue vie a
Mosè, le sue volontà ai figli d’Israele. » (Ps. En, 6), (S.
Chrys.) – « Questi è il nostro Dio, dice Geremia, e nessun altro, a
parte Lui, sarà contato per un nulla. Egli ha scoperto tutte le vie della
saggezza e le ha trasmesse a Giacobbe, suo figlio, ad Israele, suo diletto. » (Baruch,
III, 37). – Ma quanto più felici e privilegiati sono i Cristiani, ai
quali Dio ha annunziato la sua parola, non più con i Profeti, ma con
Gesù-Cristo suo Figlio, il Profeta universale di tutti i tempi e di tutte le
verità. – Il mondo antico si presenta all’osservazione religiosa divisa in due
classi distinte: nell’una, ci sono poche cose dal lato materiale, è una sola
famiglia che diventa un popolo; ma esso ha tutto dal lato morale: c’è il vero
codice dei doveri, la scienza esclusiva di Dio e dell’umanità, la verità del
culto religioso, un’azione permanente della divinità. Nell’altra classe, c’è
tutto dal lato del numero, tranne una sola nazione relegata in un angolo
dell’Asia: è l’umanità intera; ma tutto manca dal lato morale: c’è l’ignoranza
di Dio, ignoranza dell’uomo, errore nella religione, empietà nel culto, assenza
di Dio in seno alla società. Il popolo giudeo forma la prima classe; la seconda
è il resto del genere umano. (PLACE,
Conf. sur
J.-C.. – Il vantaggio
di essere nato e di vivere in seno alle contrade cristiane, è una grazia di cui
non si sarà mai grati al Sovrano dispensatore di ogni bene. Dio stesso ci
insegna che Egli non distribuisce uniformemente i suoi favori a tutte le
nazioni, e che non manifesta ugualmente i suoi giudizi a tutti gli abitanti
della terra. Egli non ha rivelato parimenti a tutti i popoli il dispensare
della sua grazia.
(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R.
Berruti & C. Torino 1950)
Doppio di Ia cl. con Ottava privilegiata di 3° ordine. –
Param. bianchi.
Il Protestantesimo nel secolo XVI e il Giansenismo nel XVIII avevano tentato di sfigurare uno dei dogmi essenziali al Cristianesimo: l’amore di Dio verso tutti gli uomini. Lo Spirito Santo, che è spirito d’amore, e che dirige la Chiesa per opporsi all’eresia invadente, affinché la Sposa di Cristo, lungi dal veder diminuire il suo amore verso Gesù, lo sentisse crescere maggiormente, ispirò la festa del Sacro Cuore. L’Officio di questo giorno mostra « il progresso trionfale del culto del Sacro Cuore nel corso dei secoli. Fin dai Primi tempi i Padri, i Dottori, i Santi hanno celebrato l’amore del Redentore nostro e hanno detto che la piaga, fatta nel costato dì Gesù Cristo, era la sorgente nascosta di tutte le grazie. Nel Medio-evo le anime contemplative presero l’abitudine di penetrare per questa piaga fino al Cuore di Gesù, trafitto per amore verso gli uomini » (2° Notturno). — S. Bonaventura parla in questo senso: « Per questo è stato aperto il tuo costato, affinché possiamo entrarvi. Per questo è stato ferito il tuo Cuore, affinché possiamo abitare in esso al riparo delle agitazioni del mondo (3° Nott.). Le due Vergini benedettine Santa Geltrude e Santa Metilde nel XIII secolo ebbero una visione assai chiara della grandezza della devozione al Sacro Cuore:. S. Giovanni Evangelista apparendo alla prima, le annunziò che « il linguaggio dei felici battiti del Cuore di Gesù, che egli aveva inteso, allorché riposò sul suo petto, è riservato per gli ultimi tempi allorché il mondo invecchiato raffreddato nell’amore divino si sarebbe riscaldato alla rivelazione di questi misteri (L’araldo dell’amore divino. – Libro IV c 4). Questo Cuore, dicono le due Sante, è un altare sul quale Gesù Cristo si offre al Padre, vittima perfetta pienamente gradita. È un turibolo d’oro dal quale s’innalzano verso il Padre tante volute di fumo d’incenso quanti gli uomini per i quali Cristo ha sofferto. In questo Cuore le lodi e i ringraziamenti che rendiamo a Dio e tutte le buone opere che facciamo, sono nobilitate e diventano gradite al Padre. — Per rendere questo culto pubblico e ufficiale, la Provvidenza suscitò dapprima S. Giovanni Eudes, che compose fin dal 1670, un Ufficio e una Messa del Sacro Cuore, per la Congregazione detta degli Eudisti. Poi scelse una delle figlie spirituali di S. Francesco di Sales, Santa Margherita Maria Alacoque, alla quale Gesù mostrò il suo Cuore, a Paray-le-Monial il 16 giugno 1675, il giorno del Corpus Domini, e le disse di far stabilire una festa del Sacro Cuore il Venerdì che segue l’Ottava del Corpus Domini. Infine Dio si servì per propagare questa devozione, del Beato Claudio de la Colombière religioso della Compagnia di Gesù, che mise tutto il suo zelo a propagare la devozioni al Sacro Cuore». (D. GUERANGER, La festa del Sacro Cuore di Gesù). – Nel 1765, Clemente XIII approvò la festa e l’ufficio del Sacro Cuore, e nel 1856 Pio IX l’estese a tutta la Chiesa. Nel 1929 Pio XI approvò una nuova Messa e un nuovo Officio del Sacro Cuore, e vi aggiunse una Ottava privilegiata. Venendo dopo tutte le feste di Cristo, la solennità del Sacro Cuore le completa riunendole tutte in un unico oggetto, che materialmente, è il Cuore di carne di un Uomo-Dio e formalmente, è l’immensa carità, di cui questo Cuore è simbolo. Questa festa non si riferisce a un mistero particolare della vita del Salvatore, ma li abbraccia tutti. È la festa dell’amor di Dio verso gli uomini, amore che fece scendere Gesù sulla terra con la sua Incarnazione per tutti (Off.), che per tutti è salito sulla Croce per la nostra Redenzione (Vang. 2a Ant. dei Vespri) e che per tutti discende ogni giorno sui nostri altari colla Transustanziazione, per applicarci i frutti della sua morte sul Golgota (Com.). — Questi tre misteri ci manifestano più specialmente la carità divina di Gesù nel corso dei secoli (Intr.). È « il suo amore che lo costrinse a rivestire un corpo mortale » (Inno delMattutino). È il suo amore che volle che questo cuore fosse trafitto sulla croce (Invitatorio, Vang.) affinché ne scorresse un torrente di misericordia e di grazie (Pref.) che noi andiamo ad attingere con gioia (Versetto dei Vespri); un’acqua, che nel Battesimo ci purifica dei nostri. peccati (Ufficio dell’Ottava) e il sangue, che nell’Eucaristia, nutrisce le nostre anime (Com.). E, come la Eucaristia è il prolungamento dell’Incarnazione e il memoriale del Calvario, Gesù domandò che questa festa fosse collocata immediatamente dopo l’Ottava del SS. Sacramento. — Le manifestazioni dell’amore di Cristo mettono maggiormente in evidenza l’ingratitudine degli uomini, che corrispondono a questo amore con una freddezza ed una indifferenza sempre più grande, perciò questa solennità presenta essenzialmente un carattere di riparazione, che esige, la detestazione e l’espiazione di tutti i peccati, causa attuale dell’agonia che Gesù sopportò or sono duemila anni. — Se Egli previde allora i nostri peccati, conobbe anche anticipatamente la nostra partecipazione alle sue sofferenze e questo lo consolò nelle sue pene (Off.). Egli vide soprattutto le sante Messe e le sante Comunioni, nelle quali noi ci facciamo tutti i giorni vittime con la grande Vittima, offrendo a Dio, nelle medesime disposizioni del Sacro Cuore in tutti gli atti della sua vita, al Calvario e ora nel Cielo, tutte le nostre pene e tutte le nostre sofferenze, accettate con generosità. Questa partecipazione alla vita eucaristica di Gesù è il grande mezzo di riparare con Lui, ed entrare pienamente nello spirito della festa del Sacro Cuore, come lo spiega molto bene Pio XI nella sua Enciclica « Miserentissimus » (2° Nott. dell’Ott.) e nell’Atto di riparazione al Sacro Cuore dì Gesù, che si deve leggere in questo giorno davanti al Ss . Sacramento esposto
Spiegazione della figura
Il Sacro Cuore di Gesù è rivestito dei paramenti sacerdotali perché nel mistero dell’Incarnazione, fu consacrato sacerdote con l’unzione della divinità. Perciò Egli è il Pontefice, il mediatore tra Dio e gli uomini, il re di tutti i cuori. Il Sacro Cuore di Gesù è rappresentato sulla croce, perché è per amore verso di noi che Egli si fece vittima del suo proprio sacrificio. Per diritto di conquista dunque Egli è nostro liberatore, nostro Re d’amore come attesta Maria Maddalena, che tiene in mano i chiodi, che inchiodarono Cristo sulla croce e il calice del sangue, che Egli versò come « Figlio dell’uomo » per salvarci. Così innalzato come su un trono, ricoperto della porpora del suo sangue Egli è cinto, come Pontefice e come Vittima, del diadema e della regalità d’amore che esercita al riguardo di tutti gli uomini, stende le braccia per attirarli a sé ed offrirli a Dio, come vittime unite al suo Sacrificio.
Incipit
In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Ps XXXII: 11; 19 Cogitatiónes Cordis ejus in generatióne et generatiónem: ut éruat a
morte ánimas eórum et alat eos in fame.
[I disegni del Cuore del Signore durano in eterno: per strappare le ànime
dalla morte e sostentarle nella carestia.]
Ps XXXII: 1
Exsultáte, justi, in Dómino: rectos decet collaudátio.
[Esultate nel Signore, o giusti, la lode conviene ai retti.]
Cogitatiónes Cordis ejus in generatióne et generatiónem: ut éruat a
morte ánimas eórum et alat eos in fame.
[I disegni del Cuore del Signore durano in eterno: per strappare le ànime
dalla morte e sostentarle nella carestia.]
Oratio
Orémus. Deus, qui nobis in Corde Fílii tui, nostris vulneráto peccátis,
infinítos dilectiónis thesáuros misericórditer largíri dignáris: concéde,
quǽsumus; ut, illi devótum pietátis nostræ præstántes obséquium, dignæ quoque
satisfactiónis exhibeámus offícium.
[O Dio, che nella tua misericordia Ti sei degnato di elargire tesori infiniti di amore nel Cuore del Figlio Tuo, ferito per i nostri peccati: concedi, Te ne preghiamo, che, rendendogli il devoto omaggio della nostra pietà, possiamo compiere in modo degno anche il dovere della riparazione.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli
ad Ephésios. Eph III: 8-19
Fratres: Mihi, ómnium sanctórum mínimo, data est grátia hæc, in
géntibus evangelizáre investigábiles divítias Christi, et illumináre omnes, quæ
sit dispensátio sacraménti abscónditi a sǽculis in Deo, qui ómnia creávit: ut
innotéscat principátibus et potestátibus in cœléstibus per Ecclésiam
multifórmis sapiéntia Dei, secúndum præfinitiónem sæculórum, quam fecit in
Christo Jesu, Dómino nostro, in quo habémus fidúciam et accéssum in confidéntia
per fidem ejus. Hujus rei grátia flecto génua mea ad Patrem Dómini nostri Jesu
Christi, ex quo omnis patérnitas in cœlis ei in terra nominátur, ut det vobis,
secúndum divítias glóriæ suæ, virtúte corroborári per Spíritum ejus in
interiórem hóminem, Christum habitáre per fidem in córdibus vestris: in
caritáte radicáti et fundáti, ut póssitis comprehéndere cum ómnibus sanctis,
quæ sit latitúdo, et longitúdo, et sublímitas, et profúndum: scire étiam
supereminéntem sciéntiæ caritátem Christi, ut impleámini in omnem plenitúdinem
Dei.
[Fratelli: A me, minimissimo di tutti i santi è stata data questa grazia di
annunciare tra le genti le incomprensibili ricchezze del Cristo, e svelare a
tutti quale sia l’economia del mistero nascosto da secoli in Dio, che ha creato
tutte cose: onde i principati e le potestà celesti, di fronte allo spettacolo
della Chiesa, conoscano oggi la multiforme sapienza di Dio, secondo la
determinazione eterna che Egli ne fece nel Cristo Gesù, Signore nostro: nel
quale, mediante la fede, abbiamo l’ardire di accedere fiduciosamente a Dio. A
questo fine piego le mie ginocchia dinanzi al Padre del Signore nostro Gesù
Cristo, da cui tutta la famiglia e in cielo e in terra prende nome, affinché
conceda a voi, secondo l’abbondanza della sua gloria, che siate corroborati in
virtù secondo l’uomo interiore per mezzo del suo Spirito. Il Cristo abiti nei
vostri cuori mediante la fede, affinché, ben radicati e fondati nella carità,
possiate con tutti i santi comprendere quale sia la larghezza, la lunghezza e
l’altezza e la profondità di quella carità del Cristo che sorpassa ogni
concetto, affinché siate ripieni di tutta la grazia di cui Dio è pienezza
inesauribile.]
Graduale
Ps XXIV: 8-9 Dulcis et rectus Dóminus: propter hoc legem dabit delinquéntibus in via. V. Díriget mansúetos in judício, docébit mites vias suas.
[Il Signore è buono e retto, per questo addita agli erranti la via. V. Guida i mansueti nella giustizia e insegna ai miti le sue vie.]
Mt XI: 29
ALLELUJA
Allelúja, allelúja. Tóllite jugum meum super vos, et díscite a me,
quia mitis sum et húmilis Corde, et inveniétis réquiem animábus vestris.
Allelúja.
[Allelúia, allelúia. Prendete sopra di voi il mio giogo ed imparate da me,
che sono mite ed umile di Cuore, e troverete riposo alle vostre ànime. Allelúia
Evangelium
Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem. Joannes XIX: 31-37 In illo témpore: Judǽi – quóniam Parascéve erat, – ut non remanérent in
cruce córpora sábbato – erat enim magnus dies ille sábbati, – rogavérunt
Pilátum, ut frangeréntur eórum crura, et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et
primi quidem fregérunt crura et alteríus, qui crucifíxus est cum eo. Ad Jesum
autem cum veníssent, ut vidérunt eum jam mórtuum, non fregérunt ejus crura, sed
unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. Et qui vidit, testimónium perhíbuit:
et verum est testimónium ejus. Et ille scit quia vera dicit, ut et vos
credátis. Facta sunt enim hæc ut Scriptúra implerétur: Os non comminuétis ex
eo. Et íterum alia Scriptúra dicit: Vidébunt in quem transfixérunt.
[In quel tempo: I Giudei, siccome era la Parasceve, affinché i corpi non
rimanessero sulla croce durante il sabato – era un gran giorno quel sabato –
pregarono Pilato che fossero rotte loro le gambe e fossero deposti. Andarono
dunque i soldati e ruppero le gambe ad entrambi i crocifissi al fianco di Gesù.
Giunti a Gesù, e visto che era morto, non gli ruppero le gambe: ma uno dei
soldati gli aprì il fianco con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua. E
chi vide lo attesta: testimonianza verace di chi sa di dire il vero: affinché
voi pure crediate. Tali cose sono avvenute affinché si adempisse la Scrittura:
Non romperete alcuna delle sue ossa. E si avverasse l’altra Scrittura che dice:
Volgeranno gli sguardi a colui che hanno trafitto.]
OMELIA
La divozione al Sacro Cuore di Gesù.
[ A. Carmagnola: “Il Sacro Cuore di Gesù”; S.EI. Ed.
Torino, 1920. – DISCORSO II.]
Purtroppo non pochi Cristiani dei nostri giorni, formandosi un Cristianesimo tutto a loro modo, al sentir parlare di divozione lasciano uscir di bocca un sorriso di scherno, e di compassione, come se la divozione non fosse altro che un’esagerazione di teste piccole e di nature meschine. Anzi nel linguaggio moderno quando si è detto di taluno che è un devoto, si è detto abbastanza per renderlo odioso e ridicolo, benché si tratti un’anima profondamente convinta, robusta di virtù, elevata di mente e generosa di sentimenti. E non pochi vi hanno, che preferiscono essere chiamati Cristiani alla libera e secondo lo spirito del mondo, che Cristiani divoti. Ma tutto ciò, che è altro mai, se non chiarissimo indizio del loro decadimento dallo spirito cristiano? Perché è egli possibile il possedere veramente questo spirito e non avere ciò che si chiama divozione? Se la divozione deriva il suo nome a devovendo dal dedicarsi che alcuno fa prontamente all’altrui servizio, che cosa è dessa altro mai se non la volontà pronta di fare quelle cose che appartengono al servizio di Dio? E tale essendo la divozione, non conviene riconoscere perciò che non solo non è una esagerazione, ma non è neppure un soprappiù di ciò che conviene ad essere vero cristiano, tanto che non si possa dire Cristiano vero colui che non è pure Cristiano devoto? – Ma se certi Cristiani alla moda, eppur così ripieni di ignoranza per riguardo alle cose di Dio, già si fanno a deridere in genere la divozione, fanno peggio ancora intendendo a parlare della divozione al Sacro Cuore di Gesù. Per loro questa divozione, oltre che è una divozione tutta nuova, non è altrimenti basata che sulla immaginazione, e non deve servire ad altro che ad occupare gli animi delle religiose, che vivono racchiuse tra le mura di un monastero. Ora quanto grave sia il loro errore è ciò che si verrà conoscendo meglio di mano in mano che, svolgendo la sostanza di questa divozione, si verrà a conoscere più esattamente in che cosa essa consista e come più che ogni altra divozione sia basata, tutt’altro che sull’immaginazione, sulle più belle e più grandi realtà. Tuttavia fin da oggi contro le stolte declamazioni di certi spiriti leggieri ci faremo a considerare di proposito quanto questa divozione alSacro Cuore di Gesù sia salda ed eccellente.
I. — La divozione al Sacratissimo Cuore di Gesù, tutt’altro che essere una divozione nuova, è la divozione più antica e più costante. In un certo senso si potrebbe dire che è antica quanto è antico il mondo, e che ha cominciato in quel giorno in cui Adamo peccatore, intese insieme con la condanna della sua colpa, promettersi da Dio misericordioso il Riparatore del suo male in un Figlio della Donna. Perciocché fin d’allora Adamo riconoscendo l’amore, che il Messia Verbo Incarnato, avrebbe dimostrato agli uomini nel venire quaggiù a redimerli, in questo amore, frutto di un Cuore Divino, pose tutta la sua fede, tutta la sua speranza, e questo amore si studiò di ricambiare con l’amor suo e con la penitenza del suo peccato. In questo senso continuarono ancora i patriarchi e tutti i profeti a nutrirgli la loro divozione; e questi ultimi soprattutto ne celebrarono in mille guise la carità, la bontà, la tenerezza e tutte le altre sue perfezioni, tanto che la Chiesa anche oggidì non trova nulla di meglio per onorare questo Divin Cuore nel giorno della sua festa che valersi delle loro magnifiche espressioni. Tuttavia questa divozione al Sacro Cuore di Gesù nell’antica legge non era praticata che indirettamente. – Ma quando nostro Signore diede compimento alle sue promesse, ed incarnatosi e fattosi uomo, si cominciò dagli uomini a sperimentare di fatto la bontà immensa del Cuor suo, si può dubitare che a questo Cuore non si sia preso a tributare una divozione diretta? Quel che è certo si è che Gesù Cristo medesimo fin d’allora offerse il suo Cuore Sacratissimo alla devozione degli uomini. E per prova di ciò basta ricordare quel che fece nell’ultima cena con l’Apostolo suo prediletto san Giovanni. Stando questo Apostolo seduto a fianco di Gesù in modo, che comodamente poteva chinare la testa sopra il Cuore di Gesù Cristo, ve la chinò di fatto; e Gesù non solo glielo permise, ma in certa guisa lo volle, perché così avesse ad intendere i suoi palpiti, avesse a sentire l’ardore delle sue vampe amorose, e potesse un giorno, meglio di ogni altro evangelista, mettere in chiaro le prove infinite e supreme di carità, che questo suo Cuore diede per noi, ed invitare così più efficacemente gli uomini a ricambiarlo d’amore. Sì, dice S. Agostino: secreta altiora de intimo eius Corde potabat; san Giovanni attingeva a questo Cuore i più ineffabili misteri. E così pure asserisce Origene: Bisogna riconoscere che nel fondo del Cuore di Gesù Giovanni pigliasse i tesori della sapienza e della scienza: in penetrali Cordis Iesu thesauros sapientiæ etscientiæ requisisse dicendum est. Ma ecco finalmente che Gesù Cristo nel Getsemani dà principio alla sua Passione, e dal suo cuore risospinge il Sangue all’esterno, quasi per dirci che dal Cuore avevano principio tutti i suoi patimenti; e poscia morto sulla Croce, lascia che un soldato con una lanciata inflittagli con violenza nel fianco destro, vada fino al fianco sinistro a trapassargli il Cuore, come per dirci che lo stesso Cuore ai suoi patimenti poneva il colmo. Allora certamente la sua divozione dovette consolidarsi e stabilirsi più direttamente ancora. Ed in vero l’apostolo ed evangelista S. Giovanni non ci avrebbe notate tutte queste cose particolari intorno al Cuore di Gesù, avvenute nella sua passione e morte, se Egli stesso non ne fosse stato ardentemente innamorato. E per altra parte queste cose medesime narrate e fatte conoscere ai Cristiani non potevano non accendere in loro questa divozione. – Difatti per tacere di molti martiri, nei cui atti si legge, che a questo Sacratissimo Cuore attingevano la forza necessaria a versare il loro sangue per la fede, quali stupende pagine non scrissero mai in suo onore e per la sua divozione i Santi Padri lei primi secoli della Chiesa? S. Agostino e S. Cipriano parlano del Cuore di Gesù nel modo più entusiastico, osservando come da esso ne vennero fuori la Chiesa e i Sacramenti, e in esso si aperse la porta della eterna salute, raffigurata dalla porta dell’arca costrutta da Noè, per la quale passarono gli animali, che non dovevano perire nel diluvio. Tertulliano e S. Giovanni Grisostomo magnificano in questo Cuore la misericordia divina, poiché nell’acqua e nel sangue che sgorgarono dalla sua ferita, veggono chiaramente indicati il Sacramento del Battesimo e della Eucarestia. S. Cirillo vi ritrova il compimento della nostra Redenzione, essendo esso l’indizio più certo della morte di Cristo. S. Efrem, S. Basilio, S. Gregorio Nazianzeno ed altri Santi Padri ancora esaltano altamente questo Cuore, chi chiamandolo fornace di amore, chi scampo sicuro, chi rifugio in tutti i pericoli, chi fonte di ogni grazia e benedizione. Ad imitazione di questi Santi Padri continuarono gli altri dottori e gli altri santi in ogni tempo a tributare i loro omaggi al Cuore Sacratissimo di Gesù. E qui, o miei cari, contentandomi di ricordare i nomi di S. Pier Damiani, dell’illuminato Taulero, di S. Bernardino da Siena, di S. Tommaso da Villanova, di S. Tommaso d’Aquino e di S. Bonaventura, di S. Luigi Gonzaga e di S. Francesco di Sales, di santa Geltrude, di santa Matilde, di santa Teresa, di santa Caterina da Siena, di santa Maddalena de’ Pazzi, di santa Margherita da Cortona, di santa Francesca Romana, tacendo di moltissimi altri santi e sante, faccio tuttavia speciale menzione di S. Bernardo, il quale scriveva intorno al Sacro Cuore pagine così tenere e così sublimi, che la Chiesa non trovò nulla di più adatto per comporre le lezioni della sua officiatura ad onore del Divin Cuore. Ed in vero: « Poiché, egli dice, siamo venuti al Cuore dolcissimo di Gesù, ed è per noi cosa buona il rimanervi, non lasciamoci facilmente allontanare da colui, del quale è scritto: Coloro che da te si allontanano saranno scritti in terra, mentre invece coloro, che a te si avvicinano, avranno i loro nomi scritti in cielo. Accostiamoci adunque a te, ed esultiamo e rallegriamoci in te, memori del tuo Cuore. Oh quanto è cosa buona e gioconda l’abitare in questo Cuore! il gettarvi entro ogni pensiero ed affètto! In questo tempio, in questo santuario, presso a quest’arca del testamento io pregherò e loderò il Nome del Signore, dicendo con Davide: Ho trovato il cuore per pregarvi il mio Dio. Sì, ho trovato il cuore del re, del fratello, dell’amico benigno Gesù. E come mai, o Gesù dolcissimo, io non pregherò il mio Dio dentro a questo tuo e mio cuore? Ah! degnati soltanto di ammettermi in questo sacrario, in cui le mie preghiere saranno da te esaudite! Anzi, vogliami trarre tutto nel Cuor tuo. O Gesù, il più bello fra tutti gli uomini, lavami dalla mia iniquità e mondami dal mio peccato, affinché, per tua mercé purificato, io possa accostarmi a te che sei purissimo, e meriti abitare nel Cuor tuo in tutti i giorni della mia vita, e valga a vedere e fare ad un tempo la tua volontà. Imperciocché per questo è stato ferito il tuo fianco, perché a noi sia aperta l’entrata. Per questo fu ferito il tuo Cuore, perché sciolti dalle cure terrene, in esso ed in te possiamo abitare. Tuttavia questo Cuore fu specialmente ferito, affinché per la ferita carnale e visibile ci fosse manifesta la ferita spirituale ed invisibile dell’amore, che lo consuma. – Chi adunque non amerà un Cuore così amante? Chi non abbraccerà un Cuore sì casto? Amiamo, riamiamo, abbracciamo adunque questo Cuore, e stiamo in esso affinché si degni di stringere e ferire il cuor nostro ancor sì duro ed ostinato con la catena e con il dardo dell’amore. » Così adunque il mellifluo s. Bernardo scriveva e parlava del Sacratissimo Cuore nel secolo XII. – Tutto ciò pertanto dimostra chiarissimamente che la divozione al Sacratissimo Cuore in sostanza non è una divozione nuova, come la vollero riguardare certi eretici dispettosi e superbi, ma una divozione antica quanto è antico il Cristianesimo, anzi il mondo, e costante quanto lo fu il corso dei secoli. Epperò per questa sola ragione della sua antichità già bene riesce manifesto, quanto essa sia salda ed eccellente. Ma qui osserviamo, almeno di passaggio, quanto siano stolti ed ignoranti coloro, che senza sapere e riflettere di che si tratti, giudicano senz’altro la divozione al Sacro Cuore di Gesù una divozione propria di teste piccole e di nature meschine. Oh! eran dunque nature meschine e teste piccole un S. Agostino, un S. Giovanni Grisostomo, un S. Bernardo, un S. Bonaventura, e un S. Tommaso d’Aquino? Comprendete perciò, o miei cari, quanto siano sventati e falsi i giudizi dei mondani, e per quel che riguarda la divozione al Sacro Cuore di Gesù, non dubitate punto di apprezzarla e di praticarla, sicuri di conformarvi in essa ai più grandi luminari della Chiesa. Ma sebbene nella sua sostanza la divozione al Sacro Cuore di Gesù non sia nuova affatto, tuttavia la forma speciale, cui la vediamo oggidì praticata in tutto l’universo cattolico, non ebbe principio che verso la fine del secolo decimo settimo, quando lo stesso Gesù Cristo si degnò esprimerne la sua volontà ad una sua sposa diletta. Udite. A Paray-le-Monial in Francia, in un monastero della Visitazione viveva una santa verginella per nome Margherita Alacoque. Fin dai primi anni della sua vita, illustrata dallo Spirito Santo ed arricchita delle benedizioni celesti, disprezzando gli allettamenti del mondo, si era consacrata a Dio col voto di verginità perpetua e aveva preso a praticare ogni più bella virtù cristiana. Ma perché il mondo non avesse a guastare menomamente la bellezza di questo fior di paradiso, quel Divin Padre, che Gesù Cristo stesso chiamò col nome di agricoltore, per opera della sua provvidenza, togliendola di mezzo al mondo, la trapiantava negli orti chiusi della Religione, dove, per la maggior abbondanza di grazia e per la fedele corrispondenza alla stessa, cresceva meravigliosamente in spirituale bellezza, tanto da attrarre sopra di sé lo specialissimo sguardo di quel Gesù, che si pasce fra i gigli, e meritare non solo di godere sovente delle sue visite di paradiso, ma di essere eletta per stabilire quaggiù la divozione al suo Sacratissimo Cuore. Ed ecco come andò il fatto. – Volgeva tacita la notte del 16 Giugno dell’anno 1675, fra l’ottava del Corpus Domini, e Santa Margherita vegliava tutta sola appiè del santo altare e fervorosamente pregava. L’anima sua immersa nei divini misteri sentivasi come infuocata di carità, e tale un incendio la abbruciava, da non poter quasi più reggere per l’estremo dolore; quand’ecco si ode su per l’altare un muovere concitato di passi, ed una luce improvvisa balza fuori da quelle tenebre. Margherita leva gli occhi… ed oh! che non vide ella mai?… Le era apparso Gesù Cristo in persona e le dava a vedere il suo Cuore Sacrosanto. Era questo come sopra un trono di vive fiamme, circondato da una corona di spine, squarciato da una ferita, con una croce piantatavi sopra. Margherita lo mirava estatica, come immersa in un mare di gioia e quasi senza mandar un respiro, quando il Divin Redentore ruppe Egli stesso il silenzio ed uscì fuori in questi amorosi accenti: « Margherita, ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini, sino a struggersi e consumarsi per dimostrar loro le sue grandi vampe. Ma in ricambio Io non ricevo dalla maggior parte di essi che ingratitudini, tanti sono i disprezzi, le freddezze, le irriverenze, i sacrilegi, che si commettono contro di me nel Sacramento di amore. E ciò che mi torna anche più penoso si è, che a trattarmi così vi sono pure dei cuori a me consacrati. Ti chieggo pertanto che il primo venerdì dopo l’ottava del SS. Sacramento sia dedicato a celebrare una festa particolare in onore del mio Cuore e con la santa Comunione si riparino in quel giorno gli indegni trattamenti, che Io ho ricevuto, mentre stavo esposto sopra gli altari. Io poi ti prometto, che il mio Cuore si dilaterà per spargere con abbondanza le influenze del mio divino amore sopra tutti coloro, che gli renderanno e procureranno che gli sia reso da altri questo onore. » Così parlò Gesù Cristo alla sua diletta Margherita, la quale tutta confusa e tremante per la grande missione che venivale conferita, si faceva umilmente a rispondere: « Ma, Signore amabilissimo, a chi vi volgete Voi per una tanta impresa? E non vedete che io sono meschina e peccatrice? Vi mancano forse anime generose, a cui affidare sì grave incarico? » Ma Gesù Cristo nulladimeno, ricordando quella legge del suo governo, per cui si serve di mezzi in apparenza spregevoli per effettuare grandi opere, onde risplenda meglio la potenza del suo braccio, riaffermava la sua volontà e confortava quella santa verginella ad eseguirla. – Anzi, continuando in seguito ad apparirle, le faceva sempre meglio conoscere i segreti del suo Sacratissimo Cuore, le dichiarava il fine, che dovevano proporsi le anime generose che aspirassero a glorificarlo, le suggeriva Egli stesso le pratiche di pietà da compiersi, le faceva conoscere le grazie che avrebbe compartite ai suoi adoratori, le assicurava che questa divozione si sarebbe mirabilmente dilatata non ostante tutte le opposizioni, con cui taluni l’avrebbero impugnata, e filialmente le inviava un suo fedelissimo servo, il padre La Colombière, della Compagnia di Gesù, perché le fosse di potente aiuto a promuoverla ed a spargerla ovunque. – Così adunque, o miei cari, voi lo avete inteso, è Gesù Cristo medesimo Colui che volle avere un culto pubblico al suo Sacratissimo Cuore. Epperò mirando a questa divozione, sparsa ormai per tutta la terra, ben a ragione dobbiamo esclamare: A Domino factum est istud, et est mirabile in oculis nostris.(Ps. CXVII, 22) E chi sarà pertanto, che nel considerare come Gesù Cristo, la divina Sapienza incarnata, ha Egli medesimo presentato il suo Cuore ad essere onorato dai fedeli, non riconoscerà la grande saldezza e la somma eccellenza, che vi ha nella sua divozione?
II. — Ma io so benissimo, che se qui vi fosse ad ascoltarmi taluno dei così detti spiriti forti, si riderebbe in cuor suo dell’aver dato io importanza alla rivelazione di Santa Margherita Alacoque. Perciocché, che cosa altro mai secondo la moderna incredulità sono le estasi dei Santi, le rivelazioni fatte da Dio a certe anime sue predilette, se non allucinazioni di mente esaltata, effetti di una malattia, che chiamano isterismo? Tuttavia, anche perché crederei tempo gittato il fermarmi a discutere sopra questo nuovo trovato della scienza atea e mostrarne la vanità, io mi accontento di osservare per voi che siete credenti, che senza dubbio le rivelazioni particolari fatte da Dio ai Santi non si hanno da accogliere se non in quella misura, che la Chiesa permette e stabilisce, ma che quando la Chiesa ce ne ha fatto ella medesima sicurtà, allora non dobbiamo più dubitarne. Perché la Chiesa accetta forse ed approva senz’altro qualsiasi particolare rivelazione? Tutt’altro! Essa non accetta e non approva alcuna di queste particolari rivelazioni, se non dopo lunghissimo, minutissimo e serissimo esame, in cui di tali rivelazioni siano prodotte le prove più autentiche. Or bene, queste prove, non altrimenti che nelle rivelazioni di altri santi, la Chiesa le ha pur volute nella rivelazione di Santa Margherita, ed avendole trovate specialmente nella santità della sua vita, essa ha creduto a tale rivelazione e con sicurezza la propose a credersi anche da noi. – Con tutto ciò, o carissimi, sbaglierebbe assai chi credesse che la divozione al Sacro Cuore di Gesù fosse basata unicamente sopra la rivelazione fattane da Santa Margherita. No, questa divozione, come ogni altra che vi ha nel seno della Chiesa, non è basata sopra una privata rivelazione, ma sopra la rivelazione per eccellenza che Iddio fece di tutta la sua religione, ed approvata perciò dalla autorità della Chiesa. – Ponete ben mente. Egli è certissimo che se Iddio non si fosse degnato di rivelarci Egli stesso la massima parte delle verità, che a Lui si riferiscono e dei doveri religiosi e morali che a Lui ci stringono, noi non potremmo giammai né conoscerlo, né amarlo, né servirlo convenientemente, tanto da meritare di raggiungere il fine a cui ci ha destinati. Ma anche in questo Iddio ci manifesta la sua misericordia infinita, nel parlarci e rilevarci tutto ciò che noi avremmo dovuto credere ed operare. – Egli, come ci dice S. Paolo, incominciò a fare la sua divina rivelazione ai padri nostri per mezzo dei profeti, e la compì poscia per opera dello stesso suo divin Figliuolo, Gesù. (Hebr. I, 12) In Gesù Cristo pertanto e negli Apostoli, che lo udirono, la divina rivelazione è perfettamente compiuta, e dopo Gesù Cristo e gli Apostoli non può ammettersi nessuna verità nuova riguardo al deposito della fede. È bensì vero che Iddio anche dopo la venuta del suo divin Figlio sulla terra ha continuato a fare delle particolari rivelazioni a grande numero de’ suoi servi prediletti, ma in nessuna di esse ci rivelò delle verità, che non fossero state già rivelate o ci propose un culto che non fosse già praticato. Ma senza rivelare alcuna nuova verità e senza introdurre alcun nuovo culto, è certo che Iddio in molte di queste sue particolari rivelazioni fece intendere agli uomini qualche suo speciale desiderio in relazione a qualche particolare verità e a qualche forma peculiare del culto già esistente. Così ad esempio, apparendo alla beata Giuliana da Liegi, le rivelò il desiderio vivissimo, che gli si desse una speciale manifestazione di fede, di amore e di gratitudine per l’istituzione del SS. Sacramento dell’Eucaristia, stabilendosi una festa particolare in suo onore, la festa del Corpus Domini. E fu appunto in seguito a questa particolare rivelazione che la Chiesa prese occasione ad istituire una tal festa, perciocché per una parte, esaminando seriamente la rivelazione fatta alla beata Giuliana, la trovò vera, e considerando per l’altra parte se era opportuna una nuova festa ad onore del SS. Sacramento dell’altare, vide che, tutt’altro che essere una novità pericolosa, era un mezzo efficacissimo a ravvivare la fede in una verità mai sempre creduta e a rendere più vivo e solenne il culto, che erasi mai sempre praticato ad onore del SS. Sacramento. La Chiesa adunque, anche per le rivelazioni più splendide che Iddio faccia ai santi, non introdurrà mai alcuna nuova verità da credere od alcuna pratica che non sia conforme alla Religione completamente rivelata da Gesù Cristo. Tuttavia prendendo ad esaminare seriamente tali rivelazioni particolari, e trovandole degne di fede, suole da esse prendere occasione per mettere in maggior luce questo o quel mistero, per animare più efficacemente a questa od a quella divozione, conforme al desiderio manifestato da Dio e secondo lo spirito di sapienza e di opportunità, di cui è dotata dalla continua assistenza dello Spirito Santo. – Ora ecco appunto quello che accadde riguardo alla divozione al Sacratissimo Cuore di Gesù. Questa divozione in sostanza, come dissi fin dal principio, non è mancata mai nel seno della Chiesa, perché, basati sulla divina rivelazione, i Cristiani hanno creduto sempre che in Gesù Cristo, essendo la Persona divina unita alla natura umana, anche la sua umanità, di cui il Cuore è parte nobilissima, deve essere adorata. – Ma poiché Gesù Cristo si compiacque di apparire ripetutamente alla sua diletta serva Margherita Alacoque, e farle conoscere il desiderio vivissimo, che questa divozione al suo Cuore si dilatasse vie’ maggiormente fra i fedeli e si praticasse con pubblica solennità, la Chiesa che cosa fece? Anzi tutto esaminò lungamente e seriamente la condotta di quell’inclita serva di Dio, e ritrovatala santa, riconobbe altresì che per ragione della sua santità meritava fede alle sue rivelazioni. E considerando inoltre il gran bene, che ne sarebbe venuto a sé ed ai fedeli dalla pratica della divozione particolare al Sacratissimo Onore, senza punto introdurre una nuova verità da credere, od un nuovo culto da praticare, dalla celebre rivelazione dell’Alacoque prese occasione a concretar meglio e a dare maggior impulso a questa divozione istessa. Il che adunque vuol dire che la divozione al Sacro Cuore di Gesù è basata non già sopra la particolare rivelazione, che Gesù Cristo fece a Santa Margherita, ma sopra la rivelazione per eccellenza che Egli fece a tutto il mondo, e che la Chiesa in seguito alla particolare rivelazione di Santa Margherita ha con l’autorità sua confermata ed esplicata una tale divozione. E per tal guisa la Chiesa ci assicura nello stesso tempo della saldezza e della eccellenza della medesima, e noi la dobbiamo praticare con la massima sicurezza e con tutto l’impegno. È vero che vi sono dei Cristiani superbi, a cui le proprie viste sembrando più giuste che quelle della Chiesa, anche per ciò che riguarda questa divozione non credono di doversi fidare del suo giudizio. Ma noi certamente non saremo nel numero di questi sventurati. Ossequenti alla parola di Gesù Cristo, che disse, che chi ascolta la Chiesa ascolta Lui stesso, senza esitazione di sorta anche in questo ci affideremo a lei, pienamente sicuri che essa, maestra infallibile di verità, né si inganna, né può ingannarci. – Sebbene nel dire che la Chiesa ci assicura della saldezza ed eccellenza della divozione al Sacro Cuore di Gesù, ho detto assai poco; ben altro ha fatto e continua a fare in favore di questa divozione. Essa la raccomanda nel miglior modo possibile. Il Sacro Cuore di Gesù aveva fatto conoscere a Santa Margherita che nel diffondersi della sua divozione si sarebbero levati contro di essa dei grandi nemici, ma che Egli avrebbe regnato malgrado tutte le contraddizioni. E così fu veramente. La setta dei Giansenisti, che negli scritti di Giansenio avevano bevuto gravi errori, mentendo astutissimamente pietà e mortificazione cristiana, trascinava in inganno non pochi fedeli. Appoggiandosi ad uno dei suoi principali errori, che Gesù non è morto per tutti, né per tutti ha versato il suo sangue, si travagliava con diabolica malizia a restringere i benefizi della redenzione e ad impedire i fedeli dì attingere con gaudio le acque di salute alle fonti del Salvatore. Perciocché con speciosi pretesti, negava ai fedeli di frequentare la SS. Comunione o vi esigeva condizioni così esagerate di santità, da togliere nel loro animo il pensiero di potervisi ancora accostare. Non era dunque possibile, che a questa nuova razza di Farisei tornasse gradita la divozione al Sacro Cuore, così atta ad allargare il cuore di tutti gli uomini alla speranza della eterna salute e così efficace a promuovere l’uso e la frequenza dei SS. Sacramenti. Epperò non è facile immaginare quanto essi fecero in privato ed in pubblico, affine di screditarla e farla cadere in dispregio. Essi arrivarono al punto da impedire in alcuni paesi della Francia, che si celebrasse la festa del Sacro Cuore e si onorasse la sua immagine. E di sì gran peso fu il loro cattivo esempio che, estesosi in Italia, l’anno 1789 tenevasi un conciliabolo nella città di Pistoia, in cui giungendosi al massimo dell’impudenza, osavasi condannare la devozione al Sacro Cuore siccome nuova, erronea e pericolosa. Ma non ostante una guerra così accanita, il Cuore di Gesù trionfò per opera della Chiesa. Perocché, all’opposto degli eretici, la Chiesa riconoscendo questa divozione utilissima, prese a difenderla, ad inculcarla, a promuoverla in mille guise. Ne stabilì la festa, ne ordinò la Messa, ne compose l’ufficio, ed annuì al desiderio dei fedeli di unirsi in devote congregazioni, che avessero questo scopo speciale di onorare il Sacro Cuore. Che dirò poi dei tesori innumerevoli di sacre indulgenze, che i Romani Pontefici sparsero sopra tali congregazioni, erette in onore del Sacro Cuore, e sopra i fedeli che con ossequi determinati lo onorassero? Che dirò del fervore veramente meraviglioso, con cui sul suo stesso principio una tal divozione fu accolta dai Vescovi non di una Chiesa o di una provincia, ma di cento o più sedi dell’Italia, della Francia, della Germania, del Belgio, della Spagna, della Boemia, della Polonia, ed ora di tutta quanta la Cristianità? Che dirò dello zelo ardente, con cui tutto il clero e secolare e regolare si adoperò a porre in estimazione ed onore questo divin culto? I religiosi ed i sacerdoti più amanti del bene delle anime lo promossero per modo nelle loro congregazioni, nelle loro chiese e parrocchie, che non v’ha più casa di Dio, ove non sia dedicato al Sacro Cuore un altare, ove non sia esposta almeno la sua immagine alla cristiana venerazione. Ma a tutte le prove già addotte non bisogna che io tralasci di aggiungerne una del massimo peso, voglio dire l’erezione di una basilica consacrata al Sacro Cuore di Gesù in Roma, nella sede del Successore di S. Pietro, nella capitale del mondo cattolico, nel centro e nella metropoli della Religione cristiana. Perciocché per opera di chi quella basilica si innalzò sul colle Esquilino, splendida di marmi e di pitture? Sì, è vero, fu il Padre Maresca, Barnabita, che da principio ne suggerì e promosse l’idea: fu quel gran servo di Dio, Don Giov. Bosco, che coadiuvato dalla carità degli Italiani e di tutto il mondo cattolico la condusse ad effetto con uno zelo ed una operosità indicibile; ma chi benediceva alla grand’opera e ne comperava col suo proprio denaro il suolo necessario, era l’angelico Pontefice Pio IX, di santa e venerata memoria, quel Pontefice, che soleva dire e scrivere: « Nel Cuore di Gesù sta riposta la mia speranza: in Corde Jesuspes mea; » e chi affidava il grande e importante incarico a Don Bosco era il S. Padre Leone XIII, di venerata memoria, e così devoto del Sacro Cuore, che sapientemente ne innalzava la festa al maggior grado di solennità. Se pertanto due Pontefici così insigni curarono essi medesimi l’edificazione di un tempio al Sacro Cuore di Gesù, in Roma istessa, da cui, come da elevato e splendidissimo faro, parte la luce di verità che illumina tutto il mondo, vi vorrà ancor altro, non dico per assicurarci della saldezza, dell’eccellenza della divozione al Sacro Cuore, ma per stimolarci a praticarla con tutto l’ardore? – Se un figliuolo vuole amare non a parole, ma a fatti la propria madre, non è egli vero che non può avere altro impegno se non di formare con la madre stessa un sol pensiero, un sol desiderio, un solo affetto? Senza alcun dubbio egli approverà quello che la sua buona madre approva, apprezzerà ciò che ella apprezza, amerà ciò che ella ama; e se conosce osservi qualche opera, che torni a lei gradita, si porrà a compierla con la più viva sollecitudine. Se altrimenti facesse e si vantasse di affettuoso figliuolo noi diremmo che egli mentisce. Or bene lo stesso è di ogni Cristiano in riguardo alla Chiesa sua madre spirituale. È Cristiano sincero colui, che approva, apprezza, ama e compie ciò che approva, apprezza, ama, compie la Chiesa, ma non è veramente tale colui che fa diversamente. Se la Chiesa pertanto approva e raccomanda la devozione al Cuore Santissimo di Gesù, siccome quella che non si discosta per nulla dall’inalterabile tesoro delle sue sante dottrine, potrà dirsi sincero Cristiano colui, che non la credesse altro che frutto di una allucinazione mentale, epperò non l’apprezzasse, non l’amasse e non la praticasse? No certamente. Deh! non sia adunque, che alcuno di noi non si accenda ognor più in una divozione così salda e così eccellente. Imitiamo tutti l’esempio dei grandi santi che l’hanno praticata; assecondiamo il volere di Gesù Cristo che l’ha rivelata; conformiamoci al sentimento della Chiesa, che l’ha approvata e raccomandata. E nella stima e nella pratica di questa divozione ci sarà dato certamente di godere i più salutari vantaggi per le anime nostre. – E voi, o Cuore Sacratissimo di Gesù, via, verità e vita di tutti gli uomini che vengono in questo mondo, siatelo specialmente per noi, che intendiamo di professarvi quella divozione, che meritate. Siate la nostra via e conduceteci diritti al vostro amore, al vostro servizio ed al vostro godimento. Siate la nostra verità ed illuminate cogli splendori indefettibili della vostra luce le nostre menti per conoscere sempre meglio i vostri pregi ineffabili. Siate la nostra vita, ed infondete nel cuor nostro lo spirito che vive in Voi, affinché non vivendo più che in Voi, con Voi e per Voi quaggiù sulla terra, possiamo un giorno venire a vivere in Voi, con Voi e per Voi lassù in cielo.
Impropérium exspectávi Cor meum et misériam: et sustínui, qui simul mecum contristarétur, et non fuit: consolántem me quæsívi, et non invéni.
[Obbrobrii e miserie si aspettava il mio Cuore; ed attesi chi si rattristasse con me: e non vi fu; cercai che mi consolasse e non lo trovai.]
Secreta
Réspice, quǽsumus, Dómine, ad ineffábilem Cordis dilécti Fílii tui caritátem: ut quod offérimus sit tibi munus accéptum et nostrórum expiátio delictórum.
[Guarda, Te ne preghiamo, o Signore, all’ineffabile carità del Cuore del Tuo Figlio diletto: affinché l’offerta che Ti facciamo sia gradita a Te e giovi ad espiazione dei nostri peccati].
Praefatio de sacratissimo Cordis Jesu
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et
ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui
Unigénitum tuum, in Cruce pendéntem, láncea mílitis transfígi voluísti: ut
apértum Cor, divínæ largitátis sacrárium, torréntes nobis fúnderet miseratiónis
et grátiæ: et, quod amóre nostri flagráre numquam déstitit, piis esset réquies
et poeniténtibus pater et salútis refúgium. Et ídeo cum Angelis et Archángelis,
cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum
glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:
[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Che hai voluto che il tuo Unigénito, pendente dalla croce, fosse trafitto dalla lancia del soldato, cosí che quel cuore aperto, sacrario della divina clemenza, effondesse su di noi torrenti di misericordia e di grazia; e che esso, che mai ha cessato di ardere d’amore per noi, fosse pace per le ànime pie e aperto rifugio di salvezza per le ànime penitenti. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]
Unus mílitum láncea
latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. [Uno
dei soldati gli aprì il fianco con una lancia, e subito ne uscì sangue e
acqua.]
Postcommunio
Orémus. Prǽbeant nobis, Dómine Jesu, divínum tua sancta fervórem: quo dulcíssimi Cordis tui suavitáte percépta;discámus terréna despícere, et amáre cœléstia:
[O Signore Gesù, questi santi misteri ci conferiscano il divino fervore, mediante il quale, gustate le soavità del tuo dolcissimo Cuore, impariamo a sprezzare le cose terrene e ad amare le cose celesti]
ATTO DI
CONSACRAZIONE E DI RIPARAZIONE AL SANTISSIMO CUORE DI GESÙ
ACTUS
REPARATIONIS ET CONSECRATIONIS
Iesu dulcissime, cuius effusa in homines caritas, tanta oblivione, negligentia, contemptione, ingratissime rependitur, en nos, ante altaria [an: conspectum tuum] tua provoluti, tam nefariam hominum socordiam iniuriasque, quibus undique amantissimum Cor tuum afficitur, peculiari honore resarcire contendimus. Attamen, memores tantæ nos quoque indignitatis non expertes aliquando fuisse, indeque vehementissimo dolore commoti, tuam in primis misericordiam nobis imploramus, paratis, voluntaria expiatione compensare flagitia non modo quæ ipsi patravimus, sed etiam illorum, qui, longe a salutis via aberrantes, vel te pastorem ducemque sectari detrectant, in sua infìdelitate obstinati, vel, baptismatis promissa conculcantes, suavissimum tuæ legis iugum excusserunt. Quæ deploranda crimina, cum universa expiare contendimus, tum nobis singula resarcienda proponimus: vitæ cultusque immodestiam atque turpitudines, tot corruptelæ pedicas innocentium animis instructas, dies festos violatos, exsecranda in te tuosque Sanctos iactata maledicta àtque in tuum Vicarium ordinemque sacerdotalem convicia irrogata, ipsum denique amoris divini Sacramentum vel neglectum vel horrendis sacrilegiis profanatum, publica postremo nationum delicta, quæ Ecclesiæ a te institutæ iuribus magisterioque reluctantur. Quæ utinam crimina sanguine ipsi nostro eluere possemus! Interea ad violatum divinum honorem resarciendum, quam Tu olim Patri in Cruce satisfactionem obtulisti quamque cotidie in altaribus renovare pergis, hanc eamdem nos tibi præstamus, cum Virginis Matris, omnium Sanctorum, piorum quoque fìdelium expiationibus coniunctam, ex animo spondentes, cum præterita nostra aliorumque peccata ac tanti amoris incuriam firma fide, candidis vitæ moribus, perfecta legis evangelicæ, caritatis potissimum, observantia, quantum in nobis erit, gratia tua favente, nos esse compensaturos, tum iniurias tibi inferendas prò viribus prohibituros, et quam plurimos potuerimus ad tui sequelam convocaturos. Excipias, quæsumus, benignissime Iesu, beata Virgine Maria Reparatrice intercedente, voluntarium huius expiationis obsequium nosque in officio tuique servitio fidissimos ad mortem usque velis, magno ilio perseverantiæ munere, continere, ut ad illam tandem patriam perveniamus omnes, ubi Tu cum Patre et Spiritu Sancto vivis et regnas in sæcula sæculorum.
Amen.
[Gesù dolcissimo, il cui immenso amore per gli uomini viene con tanta ingratitudine ripagato di oblio, di trascuratezza, di disprezzo, ecco che noi, prostrati dinanzi ai vostri altari, intendiamo riparare con particolari attestazioni di onore una così indegna freddezza e le ingiurie con le quali da ogni parte viene ferito dagli uomini l’amantissimo vostro Cuore. Ricordevoli però che noi pure altre volte ci macchiammo di tanta indegnità, e provandone vivissimo dolore, imploriamo anzitutto per noi la vostra misericordia, pronti a riparare con volontaria espiazione, non solo i peccati commessi da noi, ma anche quelli di coloro che, errando lontano dalla via della salute, o ricusano di seguire Voi come pastore e guida ostinandosi nella loro infedeltà, o calpestando le promesse del Battesimo hanno scosso il soavissimo giogo della vostra legge. E mentre intendiamo espiare tutto il cumulo di sì deplorevoli delitti, ci proponiamo di ripararli ciascuno in particolare: l’immodestia e le brutture della vita e dell’abbigliamento, le tante insidie tese dalla corruttela alle anime innocenti, la profanazione dei giorni festivi, le ingiurie esecrande scagliate contro di Voi e i vostri Santi, gl’insulti lanciati contro il vostro Vicario e l’ordine sacerdotale, le negligenze e gli orribili sacrilegi ond’è profanato lo stesso Sacramento dell’amore divino, e infine le colpe pubbliche delle nazioni che osteggiano i diritti ed il Magistero della Chiesa da Voi fondata. Ed oh, potessimo noi lavare col nostro sangue questi affronti! Intanto, come riparazione dell’onore divino conculcato, noi Vi presentiamo – accompagnandola con le espiazioni della vergine vostra Madre, di tutti i Santi e delle anime pie – quella soddisfazione che Voi stesso un giorno offriste sulla croce al Padre e che ogni giorno rinnovate sugli altari; promettendo con tutto il cuore di voler riparare, per quanto sarà in noi e con l’aiuto della vostra grazia, i peccati commessi da noi e dagli altri, e l’indifferenza verso sì grande amore, con la fermezza della fede, l’innocenza della vita, l’osservanza perfetta della legge evangelica, specialmente della carità, e d’impedire inoltre, con tutte le nostre forze, le ingiurie contro di Voi, e di attrarre quanti più potremo alla vostra sequela. Accogliete, ve ne preghiamo, o benignissimo Gesù, per intercessione della B. V. Maria Riparatrice, questo volontario ossequio di riparazione e vogliate conservarci fedelissimi nella vostra ubbidienza e nel vostro servizio fino alla morte col gran dono della perseveranza, mercé il quale possiamo tutti un giorno pervenire a quella patria, dove Voi col Padre e con lo Spirito vivete e regnate Dio per tutti i secoli dei secoli. Così sia].
Indulgentia quinque annorum.
Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione,
sacra Communione et alicuius ecclesiæ aut publici oratorii visitatione, si
quotidie per integrum mensem reparationis actus devote recitatus fuerit.
Fidelibus vero, qui die festo sacratissimi Cordis Iesu in qualibet ecclesia aut oratorio etiam (prò legitime utentibus) semipublico, adstiterint eidem reparationis actui cum Litaniis sacratissimi Cordis, coram Ss.mo Sacramento sollemniter exposito, conceditur:
Indulgentia septem annorum;
Indulgentia plenaria, dummodo peccata sua sacramentali
pænitentia expiaverint et eucharisticam Mensam participaverint (S. Pæn. Ap., 1
iun. 1928 et 18 mart. 1932).
[Indulg. 5 anni; Plenaria se recitata per un mese con Confessione, Comunione, Preghiera per le intenzioni del Sommo Pontefice, visita di una chiesa od oratorio pubblico. – Nel giorno della festa del Sacratissimo Cuore di Gesù, 7 anni, se confessati e comunicati, recitata con le litanie de Sacratissimo Cuore, davanti al SS. Sacramento solennemente esposto: Indulgenza plenaria].
LITANIA SACRATISSIMI CORDIS IESU
Tit.
XI, cap. II
Indulg.
septem annorum; plenaria suetis condicionibus, dummodo cotidie per integrum
mensem litania, cum versiculo et oratione pia mente repetita fuerint.
Pius Pp. XI, 10 martii 1933
KYRIE, eléison.
Christe, eléison.
Kyrie, eléison.
Christe, audi nos.
Christe, exàudi nos.
Pater de cælis, Deus, miserére nobis.
Fili, Redémptor mundi, Deus, miserére.
Spiritus Sancte, Deus, miserére.
Sancta Trinitas, unus Deus, miserére nobis.
Cor Iesu, Filii Patris ætèrni, miserére.
Cor Iesu, in sinu Virginis Matris a Spiritu Sancto formàtum, miserére …
Cor Iesu, Verbo Dei
substantiàliter unitum, miserére.
Cor Iesu, maiestàtis infinitæ, miserére
nobis.
Cor Iesu, templum Dei sanctum,
miserére.
Cor Iesu, tabernàculum Altissimi,
miserére.
Cor Iesu, domus Dei et porta cæli,
miserére.
Cor Iesu, fornax ardens caritàtis, miserére.
Cor Iesu, iustitiæ et amóris receptàculum, miserére.
Cor Iesu, bonitàte et amóre plenum, miserére.
Cor Iesu, virtùtum omnium abyssus, miserére.
Cor Iesu, omni laude dignissimum,
miserére.
Cor Iesu, rex et centrum omnium córdium, miserére.
Cor Iesu, in quo sunt omnes thesàuri sapiéntiæ et sciéntias, miserére.
Cor Iesu, in quo habitat omnis plenitùdo divinitàtis, miserére.
Cor Iesu, in quo Pater sibi bene complàcuit, miserére.
Cor Iesu, de cuius plenitudine omnes nos accépimus, miserére.
Cor Iesu, desidérium cóllium æternórum, miserére.
Cor Iesu, pàtiens et multæ misericórdiæ, miserére.
Cor Iesu, dives in omnes qui invocant te, miserére.
Cor Iesu, fons vitæ et sanctitàtis, miserére nobis.
Cor Iesu, attritum propter scelera
nostra, miserére.
Cor Iesu, usque ad mortem obédiens factum, miserére.
Cor Iesu, làncea perforàtum, miserére.
Cor Iesu, fons totius consolatiónis, miserére.
Cor Iesu, vita et resurréctio nostra,
miserére.
Cor Iesu, pax et reconciliàtio nostra,
miserére.
Cor Iesu, victima peccatórum, miserére.
Cor Iesu, salus in te speràntium,
miserére.
Cor Iesu, spes in te moriéntium, miserére.
Cor Iesu, deliciæ Sanctórum omnium,
miserére.
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, parce nobis, Dòmine.
Agnus Dei, qui tollis peccata
mundi, exàudi nos, Dòmine,
Agnus Dei, qui tollis peccata
mundi, miserére nobis.
V. Iesu, mitis et hùmilis Corde.
R. Fac cor nostrum secùndum Cor tuum.
Orèmus.
Ominipotens sempitèrne Deus,
réspice in Cor dilectissimi Filii tui, et in laudes et satisfactiónes, quas in
nòmine peccatórum tibi persólvit, iisque misericórdiam tuam peténtibus tu
véniam concede placàtus, in nòmine eiùsdem Filii tui Iesu Christi:Qui tecum vivit et regnat in sæcula sæculórum.
R. Amen.
[Litanie del S. Cuore di Gesù:
(Signore,
abbi pietà di noi
Cristo,
abbi pietà di noi.
Signore,
abbi pietà di no:
Cristo,
ascoltaci
Cristo,
esaudiscici.
Dio,
Padre celeste, abbi
pietà di noi (ogni volta)
Dio,
Figlio Redentore del mondo, abbi …
Dio,
Spirito Santo, ….
Santa
Trinità, unico Dio
…
Cuore
di Gesù, Figlio dell’Eterno Padre, abbi pietà di noi (ogni volta)
Cuore
di Gesù, formato dallo Spirito Santo nel seno della Vergine Madre …
Cuore
di Gesù, sostanzialmente unito al Verbo di Dio …
Cuore
di Gesù, di maestà infinita …
Cuore
di Gesù, tempio santo di Dio …
Cuore
di Gesù, tabernacolo dell’Altissimo, …
Cuore
di Gesù, casa di Dio e porta del Cielo, …
Cuore
di Gesù, fornace ardente di carità, …
Cuore
di Gesù, ricettacolo di giustizia e di amore, …
Cuore
di Gesù, pieno di bontà e di amore, …
Cuore
di Gesù, abisso di ogni virtù, …
Cuore
di Gesù, degnissimo di ogni lode, …
Cuore
di Gesù, Re e centro di tutti i cuori, …
Cuore
di Gesù, in cui sono tutti i tesori di sapienza e di scienza, …
Cuore
di Gesù, in cui abita la pienezza della divinità, …
Cuore
di Gesù, in cui il Padre ha posto le sue compiacenze, …
Cuore
di Gesù, dalla cui abbondanza noi tutti ricevemmo, …
Cuore
di Gesù, desiderio dei colli eterni, …
Cuore
di Gesù, paziente e misericordiosissimo,
…
Cuore
di Gesù, ricco con tutti coloro che ti
invocano, …
Cuore
di Gesù, fonte di vita e di santità, …
Cuore
di Gesù, propiziazione pei peccati nostri. …
Cuore
di Gesù, satollato di obbrobrii, …
Cuore
di Gesù, spezzato per le nostre scelleratezze, …
Cuore di
Gesù, fatto obbediente sino alla morte, …
Cuore
di Gesù, trapassato dalla lancia, …
Cuore
di Gesù, fonte d’ogni consolazione,
Cuore
di Gesù, vita e risurrezione nostra, …
Cuore
di Gesù, pace e riconciliazione nostra. …
Cuore
di Gesù, vittima dei peccati, …
Cuore
di Gesù, salute di chi in Te spera, …
Cuore
di Gesù, speranza di chi in Te muore, …
Cuore
di Gesù, delizia di tutti i Santi, …
Agnello
di Dio che togli peccati del mondo, perdonaci o Signore.
Agnello
di Dio che togli peccati del mondo, esaudiscici, o Signore
Agnello
di Dio che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi.
V.
Gesù, mansueto e umile di cuore,
R.
Rendi il nostro cuore simile al tuo.
Preghiamo
O Dio onnipotente ed eterno, guarda al Cuore del tuo dilettissimo Figlio,
alle lodi ed alle soddisfazioni che Esso ti ha innalzato, e perdona clemente a
tutti coloro che ti chiedono misericordia nel nome dello stesso tuo Figlio Gesù
Cristo, che vive e regna con te, Dio, in unità con lo Spirito Santo per tutti i
secoli dei secoli.
Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (16)
[Ed. chez le Directeur du Messager du Coeur de
Jesus, Tolosa 1891]
TERZA PARTE
MEZZI PARTICOLARI
DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE
Capitolo XVI
IL CUORE DI GESÙ E LA GRAZIA ATTUALE
Giustificazione,
merito e grazia attuale.
La giustificazione e il merito sono i
due doni più preziosi della bontà divina, i due procedimenti di divinizzazione,
attraverso i quali il Cuore di Gesù comunica alle anime, alle quali è unito
dalla grazia, i privilegi di cui gode in virtù della sua sostanziale unione con
il Verbo incarnato. Attraverso la giustificazione, lo schiavo del diavolo
diventa figlio di Dio, e il condannato entra ad esser partecipe dei diritti
dell’eredità divina. Per mezzo del merito, il figlio di Dio diventa più
intimamente unito al Padre Celeste, diventa più simile al Verbo fatto carne e
si riempie del suo Spirito. Ma come fa la nostra vita soprannaturale ad
aumentare di merito e a ritornare a noi per giustificazione quando il peccato
ce la toglie? Con la grazia attuale!
In cosa si differenzia dalla grazia abituale delle anime dei giusti? In quanto
i movimenti di un essere vivente sono diversi dalla vita. Se guardiamo un
albero in inverno senza frutti o foglie, non diremo che è morto anche se sembra
sterile. Non vegeta, non fiorisce, ed anche se è pieno di vita, tutti lo
equiparerebbero agli alberi morti che lo circondano. Ma i soavi aliti della
primavera fanno rivivere le membra di quell’essere e gli fanno mostrare la vita
contenuta in esso. Ciò dimostra che i movimenti della vita non sono la vita
stessa, ma il suo effetto e la sua manifestazione. Quindi non ci si può muovere
se non si è vivi, ma si può avere vita anche senza muoversi, perché questo non
è altro che la facoltà intrinseca del muoversi. Applichiamo queste nozioni all’anima
giusta. La grazia abituale è la vita divina di quell’anima, nella quale essa
rimane finché il peccato non la distrugge. Non è un’operazione, ma uno stato.
Così che anche se l’uomo giusto si dà all’ozio o si dà al sonno, non è privato
della vita divina, né ne è minimamente indebolito, ma conserva in tutta la sua
pienezza, come sotto le gelate dell’inverno il leccio conserva il suo vigore.
La vita divina
deve essere incrementata dalla grazia attuale.
L’uomo non sta al mondo per rimanere in
uno stato di inazione. Gli è stata data vita affinché, con la sua libera
collaborazione, possa aumentarla giorno per giorno. I rami della vita celeste
sono legati alla vite divina, che è Gesù Cristo, per produrre frutti sempre più
abbondanti. Così come vivono (i rami) divinamente in Lui, così devono agire
divinamente ed esercitare continuamente l’infinito potere che Egli comunica
loro. Come riusciranno a raggiungere questo obiettivo? Con l’aiuto della grazia
attuale. Per capire bene questo punto, torniamo al confronto così spesso usato
dai santi Dottori. Così come la vita (umana) risulta dall’unione dell’anima con
il corpo, così la vita divina risulta dall’unione dello Spirito di Dio con l’anima.
Come il corpo, anche se paralizzato, vive finché l’anima rimane in esso, così
l’anima del Cristiano è viva, finché lo Spirito di Dio dimora in esso, anche se
non dà segni di attività. Se questo non accadesse, il corpo non durerebbe a
lungo, si spegnerebbe, come una lampada senza olio. Leggi simili governano
anche lo sviluppo della nostra vita soprannaturale. Infatti, perché l’uomo
giusto che la possiede, in virtù dell’unione dello Spirito di Dio con la sua
anima, possa conservarla ed accrescerla con azioni sante, deve ricevere l’impulso
dello Spirito Divino, che prima ispira il pensiero, poi fa concepire il desiderio,
e poi inizia in lui l’azione con un movimento indeliberato. Se l’anima accetta
liberamente l’ispirazione e acconsente al santo desiderio e collabora
volontariamente alla mozione, quelli che non meritavano nulla prima che la
libertà intervenisse, diventeranno atti meritori. Ma il concorso della grazia
attuale non si limita solo a questo. Così come è stato necessario iniziare l’opera
soprannaturale, sarà anche necessario preservarla. Ora il merito va attribuito
a Dio, più che all’uomo. Se non fosse così, quest’opera non sarebbe veramente
divina e non potrebbe, in senso stretto, meritare il possesso della felicità di
Dio. La grazia attuale continua a lavorare nell’anima anche dopo che ha
corrisposto ai suoi primi impulsi. Prima era preveniente, ora è concomitante.
Prima muoveva, ora aiuta. E anche se si presenta in due forme diverse, è sempre
la stessa. Sarà la stesso anche quando, dopo aver iniziato e mantenuto l’atto
di volontà, collaborerà con essa nella produzione di opere esterne e diventerà grazia
susseguente.
La triplice
azione della grazia attale.
È un dogma di fede che Gesù Cristo, come
nostro Capo e come uomo, è la fonte di tutti i doni soprannaturali. È
altrettanto vero che Egli ce li comunica in piena libertà. E la ragione è
ovvia: ci ha amato liberamente e si è sacrificato liberamente per noi fino alla
morte. È giusto che sia il proprietario dei tesori che ha guadagnato per noi e
che li distribuisca tra noi secondo la sua volontà. Dobbiamo all’amore del
Cuore di Gesù gli impulsi della grazia attuale, i frutti che ci giungono da
essa. È vero che lo Spirito Santo è il principio immediato di questi movimenti,
ma chi può comunicarcelo se non Gesù Cristo? Da dove vengono i suoi doni se non
dalla pienezza di grazia dell’anima del Salvatore? Come anima divina del corpo
della Chiesa, lo Spirito Santo appartiene al Capo di questo grande corpo, senza
la cui volontà non opera nelle sue membra. Così ci dice il Santo Concilio di
Trento: « Cristo Gesù, come il capo che unisce tutte le membra al corpo, e come
la vite che comunica la sua linfa ai tralci, riversa continuamente in tutte le
anime giustificate la virtù che previene, accompagna e completa ogni loro opera
buona. Questa virtù è propria dello Spirito Santo, ma ci viene comunicata
incessantemente attraverso Gesù Cristo, come capo e come uomo. Chi temerebbe
mai che la vita divina del corpo della Chiesa si spenga o si indebolisca a
causa del suo principio? Con un’attività che non conosce né tregua né
diminuzione, il Cuore di Gesù imprime alle membra di quel corpo i movimenti
celesti che gli permettono di compiere divinamente tutte le sue opere e di
accrescere continuamente i suoi meriti. La grazia attuale nell’intelligenza è
come una voce interiore, con la quale il Cuore Divino suggerisce loro
incessantemente buoni pensieri. La grazia attuale nella volontà è come un potente
impulso, con il quale spinge i Cristiani ad avvicinarsi a Dio. Se non si
resiste all’amore divino, si passa sempre di virtù in virtù.
I giusti e i
peccatori e la grazia attuale.
Finora abbiamo esposto l’anima in
possesso della vita soprannaturale e pronta per tutti gli atti divini. La
grazia attuale in quell’anima è l’esercizio ininterrotto dell’unione che la
grazia abituale aveva stabilito tra essa e lo Spirito di Dio, il risultato
dell’influenza che il Capo Divino esercita sui suoi membri. Ma, se i membri
sono separati dal Capo, se il peccato caccia lo Spirito Santo dall’anima che ha
ricevuto la vita da Lui, cosa farà? Come farà gli atti della vita quando ne
sarà privato? Come potrà muoversi quando cadrà preda della più orribile delle
morti? Come può aspettare la grazia vera e propria, privata com’è della grazia
abituale? Ovviamente, non ha alcun diritto di farlo. Ma, oh bontà del Cuore di
Gesù! Abbiate fiducia, aspettate, siate sicuri che la vostra speranza non venga
mai meno, perché Egli promette di fare questo grande miracolo per tutti i
peccatori quando sono ancora vivi. Egli offre loro continuamente la possibilità
di uscire dalla loro tomba, di richiamare di nuovo lo spirito della vita che
hanno gettato via, per ritrovare la salute che hanno perso. Infatti, la grazia
attuale è data sia ai peccatori che ai giusti. Inoltre, spesso non è meno
efficace nel primo caso che nel secondo, anche se gode di condizioni migliori
nel secondo. Perché? Perché nei giusti è il frutto naturale della vita che essi
hanno in sé, e nei peccatori è un mezzo puramente gratuito per recuperare la
vita perduta. Nei primi è opera dell’Ospite divino che abita nei loro cuori, in
questi ultimi è l’impulso infinitamente misericordioso dell’Amore che, gettato
via criminalmente da quel cuore, bussa alla porta per rientrarvi. Nel primo
caso, è ancora l’influenza del Capo Divino sui suoi membri, la cui forza ed il
cui benessere aumentano continuamente. Nel secondo è lo sforzo per ridare
salute e movimento ai membri paralizzati. Nel primo, la grazia vera e propria
dà a tutti gli atti che provoca e che sono liberamente cooperati dall’anima, la
virtù di meritare rigorosamente (de condigno) la vita eterna. Nel
secondo, essendo incapaci i peccatori di merito a causa del peccato, il Sacro
Cuore continua a distruggere il peccato, incoraggiando la contrizione, senza la
quale non può dare agli atti che fa nascere nell’anima se non la virtù di
meritare la grazia per un semplice merito (de congruo). Gesù Cristo si è
impegnato a non rifiutare a nessuno la grazia attuale. Guai a colui che, oltre
ad esserne privato, non abbia potuto avvalersi dei mezzi per ottenerla! Perché
sarebbe stato fuori dalla via della salvezza, perché la disperazione si sarebbe
imperiosamente impadronita di lui, poiché non gli si poteva chiedere la pratica
di alcuna virtù. Ma no, non possiamo pretendere da nessuno cose così orribili
senza andare contro gli insegnamenti della Chiesa. I più grandi peccatori e i
più feroci nemici di Gesù Cristo, hanno a loro disposizione dei mezzi, sia che
si tratti di grazie attuali così chiamate, sia che si tratti di un aiuto dell’ordine
naturale, il cui buon uso porterà loro infallibilmente alla grazia
soprannaturale. Nello stesso tempo in cui riversa costantemente nelle anime dei
giusti la crescente virtù dei suoi meriti, il Cuore di Gesù non cessa di
esercitare, nei cuori più lontani da Lui, l’attrazione salutare che presto li
farà entrare, se non gli resisteranno, nei sentieri della vita e della
felicità. Ad entrambi lancia quelle frecce penetranti, di cui parla il Profeta,
“che fanno cadere ai suoi piedi i popoli sconfitti”.
I tre frutti
della grazia attuale.
« Se tu conoscessi il dono di Dio, … » con quale timore e tremore lavoreresti per la tua salvezza, perché la grazia è da Dio. Senza di essa non si può fare assolutamente nulla. Un uomo senza grazia è un albero piantato sulla terra arida: su di esso non si vedono né foglie, né fiori, né frutti. È una nave sulle acque tranquille e calme, alla quale né il vento né il vapore possono comunicare il movimento: « Senza di Me, senza la Mia grazia – ha detto Nostro Signore – non potete fare nulla. » Che drastico antidoto all’orgoglio, che potente raggio di luce capace di offuscare le illusioni della nostra vanità! Che cosa avete che non abbiate ricevuto? Se l’avete ricevuto, di cosa siete orgogliosi? L’Apostolo San Pietro esclamava: « Che gli altri si scandalizzino, passi; ma che io mi scandalizzi, giammai! Eccomi qui, anche se devo dare la mia vita per te. » (S. Mc. XIV, 29). Quando poi Pietro ha conosciuto la debolezza della natura, quanto diverso è stato il suo linguaggio! Con quale timida riserva ha giurato al suo Maestro di amarlo e di volergli essere fedele! Anche Davide era inebriato dalla considerazione del suo glorioso passato: « Io sono, dice, incrollabile per sempre » (Ps, XXIX, 3). Un semplice sguardo è stato più che sufficiente per buttarlo a terra: « oc idus meus deprædatus est animam meam » (Thr. III, 51). Come si mostrò figlio suo più saggio quando, docile allo Spirito del Signore, proclamò in faccia a tutto il popolo: « So che non posso conservare la continenza se Dio non me la dà, ed è un atto di saggezza sapere che devo ricevere questo dono » (Sapienza VIII, 21). Se è vero che non possiamo fare nulla, come dovrebbe essere umile la nostra virtù naturale? E quando trionfo sulle debolezze della mia natura, come non devo attribuire subito la gloria all’Autore di ogni bene, che incorona in me i suoi doni, a Dio, che ci dà la Vittoria per mezzo di Gesù Cristo? (I Cor. XV, 37). « Se tu conoscessi l’indicibile dono di Dio … », con quale incrollabile fiducia continueresti l’opera della tua salvezza? Perché se è vero che non si può fare nulla senza la grazia, tutto si può fare con essa (Fil. IV, 13). Sei debole? Glorificate Dio nella vostra debolezza, perché ad essa la grazia sarà accomodata e l’opera di Dio risplenderà in voi. Come si è commosso l’Apostolo delle genti quando è sceso dal terzo cielo e ha sentito gli stimoli della carne! Con quali ardenti lacrime supplicava il Signore di liberarlo dalla legge delle sue membra, sempre combattendo contro quella dello spirito! (Rm. VII, 22). Ma cosa gli mancava per trionfare e arricchire la sua corona, visto che aveva la grazia di Gesù Cristo? « … Ti basti la mia grazia … » – « Cosa volete, guerrieri santi e coraggiosi – diceva sant’Agostino – o desiderate voi, generosi soldati di Gesù Cristo, che non ci siano passioni o movimenti disordinati? Questo non dipende da voi. Fate guerra a loro ed aspettate con fiducia la vittoria ed il trionfo. Finché viviamo, combattiamo; mentre combattiamo, siamo in pericolo, eppure siamo vittoriosi per colui che ci ha amato » (Aug. Serm. 43 de Verbis Dom.). Perché chi ci dà la voce del comando, ha la vittoria in mano e ce la mette a disposizione. Fidatevi, ci dice senza sosta: la mia grazia è già uscita mille volte vittoriosa sui vostri nemici. Essa dà energia a chi vacilla, riempie di coraggio coloro che non hanno nulla di proprio (Is. XL, 29). Chi ha fatto vincere ai Santi martiri le furie dei loro aguzzini se non la mia grazia? Cosa ha infiammato nei corpi sottili dei bambini e delle tenere vergini il fervore che li ha resi superiori alle torture più orribili se non la mia grazia? E perché non dovrebbe fare in voi quello che ha fatto già in loro? Abbiate fiducia. – « Se tu conoscessi il dono di Dio … », non ti scoraggeresti mai, non saresti mai così follemente presuntuoso da non confidare, in modo incomprensibile, nella grazia. La grazia vi salverà, ma non vi salverà senza di voi, senza una collaborazione attiva da parte vostra. La salvezza è infatti opera della grazia e dei nostri sforzi: la grazia di Dio è con me (Cor XV, 10). La grazia aiuta, non violenta. È un’amica che ti offre il suo aiuto e il suo sostegno, ma in modo tale che tu possa rifiutare il suo aiuto: « Dio – dice San Bernardo – è l’Autore della salvezza, di cui solo il libero arbitrio è suscettibile. Solo Dio può darla; solo il libero arbitrio può riceverla. È chiaro quindi che ciò che Dio dà da solo non può essere ricevuto senza il consenso di chi lo riceve. Ed è proprio dando il proprio consenso che il libero arbitrio coopera con la grazia operosa della salvezza » (L. de grat. et lib. Arb., c. 2); Ora sant’Agostino avverte: « Se Dio coopera, dobbiamo lavorare ». Sta a noi formare un cuore ed uno spirito nuovi (Ez. XVIII, 31), con l’aiuto della grazia. Questa grazia prenderà parte alla nostra attività in modo tale che farà una sola ed unica azione, un’azione soprannaturale, un’azione che sarà di Dio e dell’uomo. Questo spiega perché Dio, dopo aver fatto dire al profeta Ezechiele che ci avrebbe dato di formare un cuore, aggiungeva: « Vi darò un cuore nuovo e metterò in voi un nuovo spirito » (Ez. XXXVI, 26). Quando siamo fedeli alla grazia, non le corrispondiamo con un libero arbitrio puramente umano, ma soprannaturalizzato dalla grazia. Così grazia e libero arbitrio formano una sola facoltà divinizzata, se così si può dire. « La grazia – come dice San Bernardo – non fa che una parte dell’opera, mentre l’altra parte la fa il libero arbitrio, ma ognuno fa il tutto con un’operazione indivisibile. Il libero arbitrio fa tutto e la grazia fa tutto; ma come tutto si fa nel libero arbitrio, così tutto viene dalla grazia » (S. Bern. De gratia et lib. arb., c. XIV). Quanto è armoniosa e meravigliosa l’armonia della libertà e della grazia in tutte le rivelazioni del Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria! Che cosa significano queste lamentele amorose del Cuore Divino sull’ingratitudine degli uomini, la loro freddezza e la scarsa corrispondenza alle prove del suo amore? Perché ci chiede di ascoltare la sua voce, di rivolgerci a Lui e di attingere alla sua fonte le grazie di cui abbiamo bisogno, se non perché Dio ci tratta con grande rispetto, e perché non vuole diminuire minimamente la nostra libertà, un ricco dono ricevuto dalle sue mani? Ma cosa significano quelle grandi e magnifiche promesse del Cuore amorevolissimo di Gesù, quelle abbondanti benedizioni concesse agli individui, alle famiglie, alle società; la promessa della perseveranza finale; le parole così spesso ripetute: « Io trionferò nonostante la testardaggine e la malvagità dei miei nemici », se non che la grazia è trionfante e sovrana? Oh, sì, noi, fedeli servitori del Cuore di Gesù, dobbiamo cantare l’inno di fiducia e di ringraziamento, perché possiamo fare tutto ciò che possiamo in Colui che ci conforta. Perché il Cuore di Gesù è con noi e con Lui possiamo sfidare tutto. E se il Cuore di Gesù è con noi, chi oserà andare contro di noi, chi potrà incuterci timore? Rivolgiamoci a quel Cuore adorabile, fonte di vita soprannaturale, all’Autore ed al dispensatore della grazia, e diciamogli con amore: O Cuore benefico di Gesù! Concedimi questa grazia così grande e necessaria per la mia salvezza, affinché possa superare la mia natura perversa. In mezzo a tentazioni e tribolazioni: « … non temo nulla se la tua grazia è con me ». Essa è la mia forza, il mio consiglio e il mio aiuto. Che cosa sono senza di essa se non un palo asciutto ed un tronco inutile? Perciò, Signore, che la vostra grazia sia sempre con me e che io sia sempre pronto a fare il bene (Imit. l. III, c. LV).