SALMO 141: VOCE MEA, VOCE MEA, AD DOMINUM.
CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES
ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.
[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]
Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,
CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.
[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]
TOME TROISIÈME (III)
PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878
IMPRIM.
Soissons, le 18 août 1878.
f ODON, Evêque de Soissons et Laon.
Salmo 141
Intellectus David, cum esset in spelunca, oratio.
[1] Voce mea ad Dominum clamavi, voce mea ad Dominum deprecatus sum.
[2] Effundo in conspectu ejus orationem meam; et tribulationem meam ante ipsum pronuntio.
[3] In deficiendo ex me spiritum meum, et tu cognovisti semitas meas; in via hac qua ambulabam absconderunt laqueum mihi.
[4] Considerabam ad dexteram, et videbam, et non erat qui cognosceret me: periit fuga a me, et non est qui requirat animam meam.
[5] Clamavi ad te, Domine; dixi: Tu es spes mea, portio mea in terra viventium.
[6] Intende ad deprecationem meam, quia humiliatus sum nimis. Libera me a persequentibus me, quia confortati sunt super me.
[7] Educ de custodia animam meam ad confitendum nomini tuo; me exspectant justi donec retribuas mihi.
[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.
Vol. XI
Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]
SALMO CXLI.
In questo Salmo si dichiara la prudenza di Davide, che rifugiatosi nella spelonca di Odollam, in prossimo pericolo di morte, trovò saviamente il gran rimedio del rivolgersi a Dio. Si riferisce il Salmo, in senso più alto, a Cristo che prega nell’orto, ed è abbandonato in Croce.
Salmo d’intelligenza di David quando era nella spelonca. Orazione.
1. Alzai il suono delle mie grida al Signore; alzai la mia voce per chieder soccorso al Signore.
2. Spando dinanzi a lui la mia orazione, ed espongo ai suoi occhi la mia tribolazione.
3. Mentre vien meno in me il mio spirito, e le mie vie son conosciute da te.
4. In questa via, per cui io camminava, hanno occultato per me il laccio.
5. Me ne stava pensoso mirando a destra, e non era chi avesse di me conoscenza.
6. Ogni scampo mi è tolto, e non avvi chi abbia pensiero dell’anima mia.
7. Alzai le mie grida a te, o Signore; dissi: Tu sei mia speranza, mia porzione nella terra dei vivi.
8. Dà udienza alle mie suppliche, perché io son fuor misura umiliato.
9. Liberami da coloro che mi perseguitano, perché sono più forti di me.
10. Trai dal carcere l’anima mia, affinché io dia lode al tuo nome: i giusti stanno aspettando il momento in cui tu mi sarai propizio.
Sommario analitico
David, nascosto nella caverna di Odollam, riconosce che non c’è nulla da aspettarsi dagli uomini, e che non spera se non da Dio la sua liberazione. La Chiesa militante, in ciascuno dei suoi membri, stanchi di una vita che non è che un duro esilio, si consola nella speranza ed offre a Dio le preghiere di coloro che li attendono e li chiamano già dall’alto del cielo.
I. Qualità della sua preghiera:
1° essa è fervente, come lo indica il grido che innalza a Dio;
2° è umile, egli supplica Dio di allontanar da lui il castigo che merita, per le sue preghiere (1);
3° è abbondante, effonde il suo cuore ed i suoi desideri davanti a Dio;
4° è piena e confidente, non nasconde alcuna delle sue ferite al Medico sovrano (2);
5° è necessaria nel pericolo di morte al quale si trova esposto (3).
II. – Fa conoscere il triste stato nel quale i suoi nemici lo hanno ridotto:
1° Essi lo forzano a cambiare tutti i giorni il riparo, e a fuggire per sentieri segreti e contorti (4).
III. – Egli dichiara che pone in Dio tutta la sua fiducia e lo supplica di esaudirlo:
1° a causa della grandezza della sua afflizione,
2° a causa della potenza dei suoi nemici (6);
3° a causa della gloria di Dio (7);
4° per la consolazione dei giusti che attendono che Dio faccia loro giustizia (7).
Spiegazioni e considerazioni
I. – 1-3.
ff. 1, 2. – Non tutti elevano la voce pregando, non tutti la dirigono verso Dio, non tutti fanno intendere la loro voce. Ora, il concorso di queste tre cose è necessario alla preghiera. Il Profeta riunisce queste tre condizioni: egli eleva la voce, si indirizza a Dio, e fa sentire la sua voce (S. Chrys.). – Basta dire questo semplice: « Io ho gridato con la voce al Signore; non è forse senza ragione che il Profeta ha aggiunto “con la mia voce”. » Molti in effetti gridano verso il Signore non con la propria voce, ma con la voce del proprio corpo. L’uomo interiore, nel quale il Cristo ha cominciato ad abitare con la fede (Ephes. III, 17), deve dunque gridare verso il Signore mediante la sua voce, non con il brusio delle proprie labbra, ma con il sentimento del suo cuore. Ove non ascolta l’uomo, ascolta Dio; se voi non gridate con la voce che producono i vostri polmoni, la vostra gola e la vostra lingua, l’uomo non vi ascolta; ma il vostro pensiero è il grido verso il Signore. Nella prima parte del versetto, vi è dichiarato il suo grido; nella seconda, ha determinato questo grido. Come se gli si domandasse: qual tipo di grido avete rivolto al Signore? Egli risponde: « Io ho elevato con la mia voce delle suppliche al Signore. » Il mio grido è una preghiera; non è né un’ingiuria, né un mormorio, né una bestemmia! (S. Agost.) – La preghiera si effonde davanti a Dio quando sfugge poco a poco dalla sua interezza come l’acqua dal vaso del cuore, quando, sull’esempio di Maddalena, noi bagniamo con le nostre lacrime i piedi di nostro Signore, secondo l’invito che fa il profeta Geremia alla figlia di Sion: « Alzatevi, lodate il Signore dall’inizio delle veglie della notte; spandete il vostro cuore come acqua davanti al Signore » (Lament. II, 19) – Pochi sono gli amici verso i quali si possa spandere il cuore e rendere depositari delle pene che si provano. – Ma l’anima malata o afflitta è vicina a Dio, dice San Gregorio Nazianzeno, e allora più che mai, noi siamo vicini al Signore; è sufficiente offrire il nostro cuore e lasciarlo alleggerire silenziosamente nel seno di Dio, spandere nel suo seno tutte le nostre tristezze, tutte le nostre inquietudini: è il grido più energico, più potente e più certo del successo. – Che significa: « Io effondo una preghiera davanti a Lui? » Alla sua presenza? Ma cosa significa alla sua presenza? Dove Egli vede Ma dove non vede? Perché noi diciamo dove Egli vede, come se ci fosse qualche luogo ove non si veda. Nell’anbito delle cose corporee, gli uomini vedono ed anche gli animali vedono; ma Dio vede là dove l’uomo non vede. In effetti non c’è un uomo che veda il vostro pensiero, ma Dio lo vede. Diffondete dunque la vostra preghiera là dove vede solo Colui che vi ricompensa; perché il Signore Gesù-Cristo vi ha prescritto di pregare in segreto, e se sapete riconoscere la camera del vostro cuore, destinato alla preghiera, a purificarla, è là che voi pregate Dio. (S. Agost.).
ff. 3. – «Quando il mio spirito era pronto ad indebolirsi. » Là dove gli spiriti pusillanimi trovano occasione di caduta ed ingiuste recriminazioni, il Salmista si ispira alla più alta saggezza, perché è stato istruito alla scuola dell’avversità (S. Chrys.). – « Ma voi non conoscete i miei sentieri. » Quali sono questi sentieri, se non le vie di cui è detto altrove: « Il Signore conosce la via dei giusti e la via degli empi sarà distrutta? » (Ps. I, 6). Non è detto: il Signore non conosce che la via degli empi, ma: « Egli conosce la via dei giusti, e la via degli empi sarà distrutta, » perché ciò che Dio non conosce, perisce. In molti passaggi delle Scritture, noi troviamo che per Dio, conoscere è conservare. Conoscere in Dio, è conservare, non conoscere, è condannare. Perché in effetti, Colui che conosce tutte le cose dirà alla fine del mondo: « Io non vi conosco. » (Matth. VII, 23). Che i peccatori non si rallegrino e si guardino dal dire: Noi non saremo puniti, perché il Giudice non ci conosce. Essi sono già puniti se il Giudice non li conosce. Queste vie che il Signore conosce sono dunque gli stessi sentieri di cui il Signore dice: « Voi conoscete i miei sentieri; » perché ogni sentiero è una via, ma ogni via non è un sentiero. Perché dunque queste vie sono chiamate sentieri, se non perché esse sono strette? La via degli empi è larga, la via dei giusti è stretta. « Voi conoscete i miei sentieri; » Voi sapete che tutto ciò che io soffro per Voi, lo soffro per amore; Voi sapete che è la carità che mi fa sopportare tutto; Voi sapete che se io offro il mio corpo per essere bruciato, io ho la carità, senza la quale questo sacrificio non serve a nulla all’uomo. Ma, chi conosce queste vie dell’uomo, se non colui al quale è detto con tanta verità: « Voi conoscete i miei sentieri? » In effetti, tutte le azioni umane si svolgono sotto gli occhi dell’uomo; ma chi sa con quali intenzioni del cuore esse si fanno? E quanti empi vi sono che, secondo la misura che prendono da se stessi, pretendono che noi cerchiamo nella Chiesa degli onori, delle lodi, dei vantaggi temporali! Quanti ve n’è che dicono che vi parlo per attirare i vostri applausi e le vostre lodi, per cui sia questo lo scopo nel parlarne! E come provare loro che io non parlo con questa intenzione? Io non ho altra risorsa che dire al Signore: « Come questi uomini saprebbero che Voi non sappiate? Come saprebbero ciò che pur io so appena a malapena? Perché io non mi giudico da me stesso, ma è il Signore che mi giudica » (I Cor. IV, 3 e 4), (S. Agost.). – Non è da lontano, è da vicino che il demone ci tende insidie che dissimula con cura; così ci è necessaria la più grande vigilanza per scoprire queste insidie che ci nasconde, la vanagloria nelle elemosine, la fierezza presuntuosa nei digiuni e nelle buone opere. Questo non accade, lo vedete, nei cammini che ci sono estranei, ma in quelli in cui noi camminiamo, ed è ciò che ci rende il pericolo ancor più terribile. (S. Chrys.). – La via in cui si avanza il Cristiano fedele, è il Cristo; è là che è stato teso un laccio dagli uomini che perseguitano coloro che sono nel Cristo, in odio al nome di Cristo. … perché in effetti, questo furore contro di me? Cosa perseguitano in me? Il mio titolo di Cristiano. Se dunque perseguitano in me il mio titolo di Cristiano, essi mi hanno teso segretamente un laccio nella via in cui avanzavo. (S. Agost.).
II. — 4
ff. 4. – Questo è il carattere degli uomini del mondo: essi fanno mille proteste di amicizia verso coloro dai quali attendono qualcosa, ma non li conoscono più se sono caduti in qualche disgrazia. Dio solo è il nostro vero amico, Egli non ci conosce meglio di quando ci vede abbandonato da tutti. (Duguet). – « La fuga mi è divenuta impossibile. » Questo è un ulteriore accrescimento di infelicità. Non solo insidie lungo il cammino, nessuno che gli porti soccorso, nessuno che lo riconosca, ma anche la sola risorsa residua gli viene tolta, egli non può cercare la sua salvezza se non nella fuga. (S. Chrys.).
III. — 5-7.
ff. 5-7. – – In una situazione di così grande estremità, in questa assoluta privazione di ogni mezzo di difesa, si dispera della propria salvezza? No, egli si rifugia subito tra le braccia di Dio e gli dice: « Io ho gridato verso di Voi, Signore, ho detto: Voi siete la mia speranza e la mia parte nella terra dei viventi. » Ecco un’anima veramente vigilante; le sue sventure, invece che abbatterlo, gli danno delle ali per elevarsi, e fin anche in questa estremità in cui ogni speranza sembra perduta, riconosce la mani invincibile di Dio, la sua potenza sovrana e la facilità con la quale ci strappa ai pericoli più grandi (S. Chrys.) – Come Dio può essere la nostra eredità – si chiede San Agostino – ? Perché ci sia eredità, bisogna che colui da cui si erediti, sia morto; e quando la morte potrà trovarsi in Dio? Questo accade – risponde – quando Dio, conosciuto quaggiù come un enigma e nascosto sotto il velo della fede, si manifesterà pienamente a noi, e lo vedremo così com’è. Ma se noi dobbiamo essere in tal modo degli eredi di Dio, occorre che Dio anche sia il nostro erede, e non debba possedere questa eredità se non quando noi saremo morti al mondo, ed il mondo sarà morto per noi (Berthier). – La vita presente, è terra dei morenti, piena di afflizioni e di croci; la vita futura, è la terra dei viventi, della felicità e della gioia, che deve essere nostra parte per sempre (Dug.). Doppio è il motivo della preghiera che il Re-Profeta fa a Dio di liberarlo: l’eccessiva umiliazione alla quale si è ridotto, ed il folle orgoglio che ha dato ai suoi persecutori il trionfo della loro forza sulla sua innocenza. – Niente è più degno della bontà e della potenza di Dio che l’essere la forza ed il liberatore dei deboli oppressi. È la forza di questi deboli il ben sentire la loro debolezza, così come è la debolezza di questi forti e potenti di abusare della loro forza e della loro potenza contro coloro che non possono resistere loro se non con le loro preghiere ed i loro gemiti (Duguet). – « Traete la mia anima dalla sua prigione, » questa preghiera ha più di un oggetto, nello spirito del Profeta, la liberazione dal suo corpo mortale, la sua evasione dalla caverna di Odollam. L’Apostolo diceva nello stesso senso « … chi mi libererà da questo corpo di morte? » I santi avevano bisogno di tutta la loro sottomissione alla volontà divina per sopportare pazientemente il lori esilio in questa vita. Bisogna nondimeno riconoscere che la nostra anima è talmente imprigionata in questo corpo mortale che essa accarezza questa dimora, non come una prigione – dice San Agostino – ma come facente parte di un tutt’uno in cui Dio ha legato tutte le parti. È la corruzione del corpo che l’anima rischiarata dalla grazia ha in orrore. Questa non è l’opera di Dio, è la pena del peccato che dà il suo tormento. Quando il corpo, al tempo della resurrezione generale, sarà liberato da questo gioco di iniquità che lo curvava verso terra, l’anima vi si riunirà con una soddisfazione inesprimibile, « Finché noi siamo nella dimora di quaggiù, dice l’Apostolo, noi gemiamo sotto il fardello, perché noi desideriamo non di essere spogliati, ma di prendere come un secondo vestito, affinché ciò che vi era di morto in noi sia assorbito dalla vita. » I giusti già coronati nella gloria, attendono i giusti della terra, alfine di completare tutti insieme l’edificio della santa Gerusalemme, e formare questa Chiesa eterna « dei primogeniti che sono scritti nei cieli. » (Berthier). – « Traete la mia anima dalla sua prigione, affinché io benedica il vostro Nome; i giusti mi attendono finché mi ridiate la tranquillità desiderata. » Vedete di grazia questo spirito (S. Franc. D’Assisi), che come un usignolo celeste chiuso nella gabbia del suo corpo, nel quale non può cantare come desidera le benedizioni del suo eterno Amore, sa che cinguetterebbe e praticherebbe meglio il suo bel canto se potesse ottenere l’aria aperta per gioire della sua libertà e della società con gli altri usignoli tra le gaie e fiorite colline della felice contrada: ecco perché esclama: “ahimè, Signore della mia vita, per la vostra bontà dolcissima, liberatemi, povero come sono, dalla gabbia del mio corpo; traetemi da questa piccola prigione, affinché mi liberi da questa schiavitù, e possa volare ove i miei cari compagni mi attendono, là in alto, in cielo, per aggiungermi ai loro cori e circondarmi della loro gioia: là, Signore, aggiungendo la mia voce alla loro, farò con essi una dolce armonia di arie e di accenti deliziosi, cantando, lodando e benedicendo la vostra misericordia. (S. FRANÇ. DE SALES, Tr. de l’am. de Dieu, 1. V, c. x.).