UN’ENCICLICA AL GIORNO, TIGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “SUPREMA PETRI”

In questa lettera Enciclica dell’inizio del Pontificato di S. S. Pio IX,, c’è un esempio perfetto del vero ecumenismo Cattolico, quello cioè che accoglie tutti i fedeli e gli uomini di ogni Nazione, lingua e cultura nell’unica Chiesa di Cristo, la Chiesa Cattolica, l’Arca fuori dalla quale non c’è assolutamente alcuna possibilità di salvezza dell’anima, secondo la parola evangelica di Cristo. Il grande Pontefice voleva accogliere, come altri Sommi Pontefici già nel passato, così come pure in Concili Ecumenici (es. il Concilio di Firenze), i fedeli Cristiani d’Oriente per riportarli nell’unico ovile del gregge guidato da un solo Pastore, il Vicario di Cristo. Assistiamo qui ad un atto di amore paterno, al desiderio di un padre misericordioso di accogliere tanti figli e fratelli erranti come pecore allo sbando, prede facili di lupi e leoni ruggenti, come di ladri e di briganti, nell’unica arca di salvezza scaturita dal costato di Cristo aperto sulla croce. Anche in quell’occasione però la perfidia e l’empietà di orgogliosi e ribelli uomini ebbe la meglio come già nel passato. E così come lo scisma di Firenze fu punito pochi anni dopo con l’invasione dei musulmani nei Paesi d’Oriente che compirono un terrificante eccidio con la distruzioni di intere città e deportazioni in massa di prigionieri ridotti alla più dura schiavitù, così questo rifiuto altezzoso fu seguito, pochi decenni dopo, dall’instaurazione di una ferocissima dittatura comunista nei Paesi scismatici d’Oriente che procurò morte e distruzione, lacrime e sangue senza misura, eccidi e sterminio di interi popoli e nazioni. Così diverso è invece l’ecumenismo massonico oggi praticato nella falsa chiesa dell’uomo, la “sinagoga di satana” insediata in Vaticano e nella città un tempo santa a perdizione di un infinito numero di anime, ove si pratica un indifferentismo religioso ed un modernismo gnostico mutuato dalle logge più spietate e criminali, quelle adoranti il baphomet-lucifero, il “signore dell’universo” già posto sugli altari come abominio della desolazione già annunciato dal profeta Daniele e ribadito dal Cristo stesso. Ed allora fuggiamo verso i monti, cioè verso la dottrina pura cattolica, rifuggiamoci nelle grotte e negli anfratti della santità, lontani dalla corruzione dottrinale il cui apice è appunto l’indifferentismo religioso, l’ecumenismo satanico che equipara i culti di Baal, di satana, del cabalismo talmudico, dell’idolatria e della stregoneria diabolica, dell’adorazione luciferina, al culto del vero unico Dio trino e del suo unico Figlio-Dio Gesù Cristo nella sua “vera” Chiesa, una, santa, cattolica ed apostolica romana, a perdizione di gran parte dell’intera umanità.   

S. S. PIO IX

Suprema Petri

L’unità della chiesa

Pressante invito alte chiese separate d’Oriente perché tornino all’unità della Chiesa cattolica.

Posti per volontà del Signore, nonostante i pochi meriti, sulla cattedra eccelsa dell’apostolo Pietro e assunta la cura di tutte le chiese, abbiamo rivolto l’attenzione fin dall’inizio delnostro pontificato alle diverse nazioni cristiane dell’oriente e delle regioni limitrofe di qualunque rito che sembravano esigere da Noi un impegno particolare per più di un motivo di rilevanteimportanza. In oriente infatti si manifestò l’unigenito Figlio di Dio fattosi uomo per noi uomini e attraverso la sua vita,morte e risurrezione si degnò di portare a compimento l’opera della redenzione umana. In oriente fu diffuso inizialmente dallo stesso divino Redentore e subito dopo dai suoi discepoli l’Evangelodella luce e della pace; e risplendettero numerosissimele chiese degli apostoli che le avevano fondate, insigni per fama. Ma anche nel periodo successivo, e dopo più secoli, fiorirononelle nazioni orientali i vescovi, i martiri e altri uomini eccellentiper santità e dottrina, tra i quali sono celebrati conencomio univoco di tutto l’oriente Ignazio d’Antiochia, Policarpo di Smirne, Gregorio di Cesarea, Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazianzo, Atanasio di Alessandria, Basilio di Cerea,Giovanni Crisostomo, i due Cirillo, di Gerusalemme e di Alessandria, Gregorio Armeno, Efrem Siro, Giovanni Damasceno,nonché gli apostoli degli slavi Cirillo e Metodio; per tacere poi dì tutti gli altri pressoché innumerevoli, i quali pure affidarono il loro nome al ricordo perenne dei posteri, avendoanch’essi versato il loro sangue per Cristo o scritto cose sapienti ed attuato opere di esimia virtù. Tornano anche a merito dell’oriente i frequentissimi congressi dei vescovi, e soprattutto ipiù antichi concili ecumenici celebrati proprio in quella regione e nei quali sotto la guida del vescovo di Roma fu tutelata lafede cattolica contro quanti in quel tempo cercavano di introdurvi mutamenti, e fu fortificata con solenne giudizio. Infine anche in età successiva, benché una parte non piccola di cristiani d’orientesi fosse staccata dalla comunione con questa santa Sede e perfino dall’unione con la Chiesa Cattolica, e proprio inoriente abbiano preso il potere genti lontane dalla religione cristiana, tuttavia non vi mancò mai un nutrito numero di uomini i quali, fidando nell’aiuto della grazia divina, confermarono la loro saldezza nella professione della vera unica fede cattolica fra molteplici calamità e lunghi pericoli propri soprattutto di quei tempi. A questo punto però non possiamo astenerci dal ricordare con un elogio particolare i loro patriarchi, ì primati, gli arcivescovi e i vescovi, che custodirono con diligenza ilproprio gregge nella professione della verità cattolica; e certo fu per le loro cure, unite alla benedizione di Dio, che. Mitigatasi in seguito la crudeltà dei tempi, si trovò ivi un così gran nume di persone rimaste nell’unità cattolica. – Pertanto Ci rivolgiamo innanzitutto a voi, venerabili fratelli, diletti figli, vescovi cattolici, e chierici e laici di qualsiasi ordine, che siete rimasti saldi nella fedele comunione con questa Santa Sede, o che successivamente, riconosciuto l’errore, vi siete rivolti ad essa con virtù degna di non minor elogio. Benché infatti abbiamo già scritto a molti di voi. dai quali avevamo avuto lettere di congratulazione per la nostra elezione al Sommo Pontificato, e poi dal 9 novembre 1846 ci siamo rivolti per per mezzo di una lettera enciclica a tutti i vescovi dell’intero mondo cattolico, tuttavia è nostra intenzione di farvi consapevoli con questo altro specifico discorso dell’ardentissimo amore con cui Ci prendiamo cura di voi e della vostra situazione. Veramente l’opportunità di scrivere di questi argomenti ci è stata fornita dalla missione del venerabile fratello Innocenzo arcivescovo di Side, il quale è stato inviato da Noi a Costantinopoli presso la Sublime Porta [= nobile corte] ottomana, per incontrarsi in nostro nome col potentissimo Imperatore delle popolazioni turche e per ringraziarlo vivamente per Noi, da oratore qual è, per aver inviato lui per primo ambasciatori a salutarci. Ma abbiamo altresì incaricato scrupolosamente il venerabile fratello di raccomandare con le Nostre parole, con molta cura, allo stesso Imperatore voi e tutto ciò che riguarda la vostra causa e quella della Chiesa Cattolica all’interno del vastissimo Impero ottomano. E non dubitiamo che l’Imperatore stesso, già di per sé ben disposto nei vostri confronti, verrà incontro anche con maggior benevolenza ai vostri bisogni e non permetterà che nessuno dei suoi sudditi subisca dei torti a causa della Religione Cattolica. Poi il già ricordato arcivescovo di Side manifesterà assai eloquentemente l’impegno del nostro amore per voi a quelli tra i sacri presuli e tra i maggiorenti delle vostre nazioni che si troveranno presenti a Costantinopoli; e successivamente, quando vorrà ritornare, si dirigerà, così come lo permetteranno le circostanze del momento, verso alcune altre località dell’Oriente per visitare in nostro nome, con le modalità del mandato avuto da Noi, le chiese dei cattolici di qualsiasi rito che ivi si trovano e per rivolgersi con le nostre parole in modo affettuosissimo – e per confortarli – ai nostri venerandi fratelli e diletti figli che incontrerà in quei luoghi. Egli inoltre consegnerà loro personalmente e farà trasmettere agli altri di voi questa lettera, testimone, come abbiamo detto, del nostro sollecito amore per le vostre nazioni cattoliche; con essa rendiamo noto a voi tutti, e lo garantiamo, che nulla ci sarà più caro che acquisire benemerenza ogni giorno di più da voi stessi e dalla situazione della Religione Cattolica presso di voi. Perciò, poiché tra le altre cose ci è stato riferito che nella normativa ecclesiastica delle vostre nazioni alcuni punti restano ancora incerti per la situazione sfavorevole del passato o sono stati fissati in modo non organico, ben volentieri saremo presenti con la nostra Autorità apostolica affinché tutte le cose vengano ordinatamente composte e fissate secondo la norma dei sacri canoni e osservando le disposizioni dei santi padri. Salvaguarderemo però integralmente le vostre proprie liturgie cattoliche; le teniamo in massimo conto, benché in alcunipunti si discostino dalla liturgia delle chiese latine. Infatti le stessevostre liturgie furono tenute in altrettanta considera dai nostri predecessori; furono invero apprezzate per la veneranda antichità della loro origine, per essere state scritte nelle lingue degli Apostoli e dei Padri, e inoltre perché i loro riti si avvalgono di celebrazioni davvero splendide e magnifiche, adatte a rinvigorire la devota pietà dei fedeli per i divini misteri.  – Aquesto criterio di comportamento della Sede Apostolica nei confronti delle liturgie cattoliche degli orientali fanno riferimento parecchi decreti e costituzioni dei Pontefici Romani, promulgati per la loro conservazione; fra questi documenti sarà sufficiente lodare le lettere apostoliche di Benedetto XIV, nostropredecessore, in particolare quella scritta il 26 luglio 1755, il cui inizio è Allatæ sunt. Tende al medesimo scopo il fattoche ai sacerdoti orientali che vengono in occidente non soloè data libertà di celebrare negli edifici consacrati dei latini,ma sono disponibili chiese edificate proprio per l’utilizzo esclusivo da parte loro. Oltre a ciò non sono mancati monasteri di rito orientale, né altre dimore destinate ad accogliere gli orientali, eneppure collegi fondati allo scopo di educare i figli degli orientali, sia da soli sia con altri giovinetti, alle Scritture e alle scienze e altresì alla dottrina propria del clero, e di renderli idonei in seguito ad affrontare, ciascuno nella propria nazione,i doveri ecclesiastici. E benché alcune di queste istituzioni siano andate perdute per calamità abbastanza recenti, altre restano ancora e sono floride; e in esse, venerabili fratelli,diletti figli, avete una prova davvero evidente del particolareaffetto con cui la Sede Apostolica segue voi e le vostre necessità. – D’altra parte sapete già, venerabili fratelli, diletti figli, che Noi, nella cura delle vostre attività religiose ci avvaliamo dell’operadi promozione della nostra Congregazione di cui fanno parte parecchi cardinali della santa chiesa di Roma, detta «di Propaganda fide». Ma lo sforzo per ben meritare di voi è comune anche a moltissimi altri, sia romani sia stranieri, che dimorano in questa alma città. Tra questi, alcuni presuli di rito latino e anche dei vostri riti orientali, e altri uomini pii, poco tempo fa hanno progettato di costituire una pia società per sostenere con un impegno comune – sotto l’autorità della già ricordata nostra Congregazione – il culto della Religione Cattolica presso di voi, e un suo più fecondo sviluppo, con pie preghiere quotidiane, raccogliendo offerte e con ogni loro risorsa e attività. Per parte nostra, quando quel pio progetto ci fu riferito, lo elogiammo e approvammo e consigliammo loro di por mano all’opera senza indugio. – Ed ora indirizziamo le nostre parole in modo particolare a Voi, venerabili fratelli presuli cattolici degli orientali, di qualsiasi grado, affinché, lodando di nuovo il vostro zelo e quello del vostro clero nel compiere i doveri sacri, accresciamo ancora con questa esortazione  il vostro coraggioso slancio verso la virtù. Pertanto vi supplichiamo nel Signore Dio nostro, affinché confidando nel suo celeste aiuto attendiate con sempre maggior sollecitudine alla custodia del diletto gregge e non desistiate dal fargli luce con la parola e l’esempio, affinché si muova degnamente in modo gradito a Dio in tutto, fruttificando in ogni opera buona. Si impegnino attivamente nella medesima cura i Sacerdoti, che sono sotto di voi, in primo luogo curatori di anime, accogliendo l’invito ad amare il decoro della casa di Dio, a rinvigorire la pietà del popolo, ad amministrare con santità le cose sante e, senza trascurare gli altri aspetti del loro ministero, ad avere particolare diligenza nell’indirizzare i fanciulli ai rudimenti della dottrina cristiana e nel nutrire il restante popolo dei fedeli con eloquio semplice, adatto alla sua capacità di intendere. Dai Sacerdoti e da voi stessi deve essere profuso ogni sforzo affinché tutti i fedeli siano solleciti nel conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace, rendendo grazie a Dio padre dei lumi e delle misericordie, perché in momenti così pericolosi sono rimasti saldi, in virtù della sua grazia, nella comunione cattolica dell’unica Chiesa di Cristo, o sono ritornati in seguito ad essa, mentre altri del loro popolo vagano ancora fuori dall’unico autentico ovile di Cristo, dal quale già da tempo i loro padri erano usciti miseramente. – Non possiamo ora non indirizzare parole di carità e di pace anche a quegli orientali che venerano Cristo, ma non sono nella comunione con questa sede di Pietro. L’amore di Cristo infatti ci sprona a non lesinare sforzi nel seguire, conformemente aisuoi moniti e al suo esempio, le pecore disperse nei luoghi più impervi e aspri e a soccorrere la loro debolezza, affinché un giorno finalmente, ritornino nei recinti del gregge del Signore.

Ascoltate perciò la nostra parola, voi tutti che nei territori d’Oriente e in quelli limitrofi vi gloriate, sì, del nome di cristianima non avete comunione con la santa chiesa di Roma; e soprattutto voi. che presso di loro siete addetti ai sacri ministeri, o che, insigniti di un grado ecclesiastico anche più elevato, esercitate la vostra autorità sugli altri. Riflettete e richiamatealla memoria l’antica condizione delle vostre chiese,quando di comune accordo si tenevano unite tra di loro e con le altre chiese del mondo cattolico nel vincolo dell’unità: pensatequindi se siano state per voi fonte di qualche vantaggio le divisioni che successivamente sono subentrate e a causa delle quali non siete stati in grado di conservare non solo con le chiese occidentali, ma neppure tra voi stessi l’antica unità sia della dottrina sia del sacro governo. Ricordate il simbolo della fede, nel quale insieme con noi confessate di credere «la Chiesa una santa cattolica e apostolica»; e valutate quindi se davvero possa ritrovarsi questa unità cattolica della Chiesa santa e apostolica nella divisione così profonda delle vostre chiese, mentre proprio voi vi rifiutate di riconoscere l’unità nella comunione della Chiesa romana, sotto la quale altre numerosissime chiese in tutto il mondo sono cresciute sempre insieme in un sol corpo, e ancora crescono insieme. E per comprendere più a fondo la ragione di quella unità, per la quale deve risplendere la Chiesa Cattolica, richiamate alla memoria quell’orazione scritta nel Vangelo di Giovanni, nella quale Cristo Figlio unigenito di Dio così pregò per i suoi discepoli: «Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi»; e subito dopo aggiunse: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come Padre, sei in me e Io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me» (Gv XVII, 20 ss). In verità lo stesso Artefice della salvezza degli uomini, il Cristo Signore, pose il fondamento della sua Chiesa – l’unica contro la quale le porte dell’inferno non prevarranno – in Pietro primo degli Apostoli; a lui consegnò le chiavi del regno dei cieli (Mt XVI, 18-19); per lui pregò, perché non gli venisse mai meno la fede, dandogli anche mandato di confermare in essa i fratelli (Lc. XXII, 31-32); a lui infine affidò i suoi agnelli e le sue pecore (Gv XXI, 15 ss), e anzi tutta la Chiesa, che è formata dai veri agnelli e dalle vere pecore di Cristo. Queste prerogative sono state conferite anche ai Vescovi Romani successori di Pietro; infatti la Chiesa, che è destinata a durare fino alla fine dei secoli, non può essere privata, dopo la morte di Pietro, del fondamento sopra il quale fu edificata da Cristo. Perciò sant’Ireneo, discepolo di Policarpo – che aveva ascoltato personalmente l’apostolo Giovanni – e poi Vescovo di Lione, considerato dagli orientali non meno che dagli occidentali uno fra i più illustri lumi dell’antichità cristiana, volendo riportare contro gli eretici del suo tempo la dottrina tramandata dagli Apostoli, ritenne inutile elencare le successioni di tutte le chiese di origine apostolica, affermando che per lui era sufficiente allegare contro quelli la dottrina della Chiesa romana, perché «è necessario che ogni chiesa, cioè i fedeli di ogni luogo, si volga, in forza della sua origine superiore, a questa Chiesa, nella quale è stata conservata sempre dai fedeli di ogni luogo la dottrina tramandata dagli apostoli».Sappiamo che voi tutti desiderate rimanere fedeli alla dottrina custodita dai vostri avi. Seguite dunque gli antichi Vescovi e gli antichi fedeli di Cristo di tutte le regioni orientali, a proposito dei quali moltissimi documenti dimostrano che essi concordarono con gli occidentali nel riconoscere l’autorità dei Pontefici Romani. Tra i più significativi esempi di tale comportamento provenienti dall’Oriente stesso (oltre al passo di Ireneo che ho appena lodato) piace qui ricordare ciò che fu fatto nel IV secolo della Chiesa nella causa di Atanasio vescovo di Alessandria, illustrissimo per santità non meno che per dottrina e zelo pastorale, il quale, condannato senza alcun fondamento da certi presuli orientali nel concilio che si tenne prevalentemente a Tiro, e cacciato dalla sua chiesa, venne a Roma; qui giunsero anche altri Vescovi provenienti dall’Oriente, allontanati pure essi ingiustamente dalle loro sedi. «Allora il Vescovo Romano» (che era il nostro predecessore Giulio), «dopo aver conosciuto le cause dei singoli e averli trovati tutti credenti nella dottrina della fede nicena, li accolse nella comunione. E poiché per la dignità della sede spettava solo a lui la cura di tutti, restituì a ciascuno la sua chiesa. Scrisse anche ai Vescovi orientali, rimproverandoli perché nelle cause sopra ricordate non avevano giudicato rettamente e turbavano lo stato delle chiese». Anche all’inizio del V secolo Giovanni Crisostomo Vescovo di Costantinopoli, di altrettanta chiarissima fama, che nel sinodo di Calcedonia [tenuto nell’agosto del 403 da alcuni vescovi] in località La Quercia era stato condannato con sommo oltraggio, fece ricorso lui pure per mezzo di lettere e di messaggeri a questa Sede Apostolica e fu dichiarato innocente dal nostro predecessore sant’Innocenzo I.Della venerazione che i vostri avi ebbero per l’autorità dei Pontefici Romani resta un esempio insigne nel sinodo di Calcedonia del 451. Infatti i Vescovi, che erano convenuti lì in numero di circa seicento, e provenivano quasi tutti (con poche eccezioni) dall’Oriente, dopo che fu letta ad alta voce nella seconda sessione del Concilio la lettera del Romano Pontefice s. Leone Magno, esclamarono: «Così ha parlato Pietro per bocca di Leone». Subito dopo, portato a termine quel sinodo sotto la guida dei legati pontifici, gli stessi Padri conciliari nella relazione mandata a Leone sui lavori svolti affermarono che lui tramite i legati già ricordati aveva presieduto l’assemblea dei Vescovi «così come il capo presiede le membra». D’altronde non solo dagli atti del concilio di Calcedonia, ma anche dalla storia degli altri antichi sinodi orientali sarebbe possibile produrre altri numerosi documenti, dai quali risulta che i Pontefici Romani ebbero il primo posto principalmente nei sinodi ecumenici, e che la loro autorità era invocata sia prima della celebrazione dei Concili, sia inoltre al momento della conclusione. E anche al di fuori dell’argomento dei Concili, potremmo addurre moltissimi altri scritti e fatti di Padri e di antichi orientali dai quali pure si evince con chiarezza che la suprema autorità dei Romani Pontefici ebbe vigore sempre presso i vostri avi nell’intero Oriente. Ma poiché sarebbe troppo lungo considerare qui tutti quegli esempi, e quello che abbiamo già riferito è sufficiente per dimostrare la verità dell’assunto, ricorderemo soltanto, a questo punto, a guisa di Coronide, come si comportarono in età antichissima, proprio al tempo stesso degli Apostoli, i fedeli di Corinto nelle discordie dalle quali la loro chiesa era stata turbata in modo molto grave. I corinzi appunto con lettere portate da Fortunato, venuto qui a questo scopo, presentarono quelle loro discordie a s. Clemente, il quale pochi anni dopo la morte di Pietro era stato fatto Pontefice della Chiesa di Roma. Allora Clemente, ponderata con attenzione la cosa, rispose per mezzo dello stesso Fortunato e dei suoi addetti e messaggeri Claudio Efebo e Valerio Vitone: da loro fu portata a Corinto quella celebratissima epistola del santo pontefice e della Chiesa Romana, che fu tenuta in tanta considerazione sia presso gli stessi corinzi sia presso gli altri orientali da essere letta pubblicamente in parecchie chiese anche in epoca successiva. Conformemente a questi esempi, vi esortiamo e vi supplichiamo a ritornare senza ulteriore indugio nella comunione di questa santa Sede di Pietro, nella quale è il fondamento della vera Chiesa di Cristo, come dimostrano sia la tradizione dei vostri avi e degli altri antichi Padri, sia le parole di Cristo Signore riportate nei santi Vangeli, che abbiamo ricordato prima. E non potrà mai accadere che siano nella comunione della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica quelli che abbiano voluto restare lontani dalla solidità della pietra, sopra la quale la Chiesa stessa fu edificata per volere di Dio. In più, non c’è davvero nessuna ragione per la quale possiate sottrarvi a questo ritorno alla vera Chiesa e alla comunione con questa Santa Sede. Sapete infatti che nei doveri inerenti alla professione della fede in Dio non c’è niente di così gravoso che non debba essere sopportato per la gloria di Cristo e per il premio della vita eterna. In verità, per quanto ci riguarda, attestiamo e garantiamo che nulla Ci sta più a cuore che, lungi dall’affliggervi con qualche imposizione che possa sembrare troppo dura, accogliervi invece, secondo l’uso costante di questa Santa Sede, con molto affetto e con benevolenza davvero paterna. Pertanto non vi imponiamo altri oneri fuorché questi necessari: che dopo essere ritornati all’unità, consentiate con noi nella professione della vera fede custodita e insegnata dalla Chiesa Cattolica e conserviate la comunione con la Chiesa stessa e con questa suprema Sede di Pietro. Conseguentemente, per ciò che attiene ai vostri sacri riti, sarà da respingere solo quanto vi si sia insinuato nei tempi della separazione, in contrasto con la stessa fede e unità cattolica: eccetto questo, conserverete perfettamente integre le vostre liturgie orientali; abbiamo già espresso nella prima parte di questa lettera l’apprezzamento di cui esse godettero presso i nostri predecessori e la grandissima stima che Noi ugualmente nutriamo per la loro venerabile antichità e per le cerimonie adatte ad alimentare la pietà. Inoltre siamo risoluti a tenere nei confronti dei sacri ministri, sacerdoti e presuli, che da queste nazioni tornino all’unità cattolica, lo stesso comportamento dei Nostri predecessori, sia quelli più vicini nel tempo, sia quelli vissuti in età più lontane: a mantenere cioè a quelli, inalterati, gradi e cariche e quindi ad avvalerci della loro opera non meno di quella del resto del clero cattolico orientale per conservare e diffondere il culto della Religione Cattolica fra i loro connazionali. Infine accoglieremo sia loro sia i laici che torneranno nella nostra comunione con lo stesso affetto riservato agli altri Cattolici d’oriente; anzi Ci sarà caro adoperarci in ogni modo per renderci benemeriti ogni giorno di più degli uni così come degli altri. Voglia Dio clementissimo degnarsi di dare a questo Nostro discorso la voce della virtù; benedire lo zelo dei Nostri fratelli e figli, che insieme con Noi si danno pena della salvezza delle vostre anime; allietare la Nostra umiltà col conforto di vedere ripristinata l’unità cattolica fra i Cristiani d’Oriente e di avere nell’unità stessa il sostegno per diffondere sempre di più la vera fede di Cristo tra i popoli che gli sono ancora lontani. Noi certamente non desistiamo dall’implorare ciò in ogni Nostra preghiera e supplica da Dio, Padre dei lumi e delle misericordie, per mezzo del suo Unigenito, il nostro Redentore; e di invocare al medesimo scopo il patrocinio della beatissima Vergine Madre di Dio, e dei santi Apostoli, Martiri, Padri dai quali con la predicazione, il sangue, le virtù e gli scritti fu diffusa ai primordi nell’Oriente, e poi conservata, la vera religione di Cristo. Mentre attendiamo con vivo desiderio di congratularci per il vostro tanto atteso ritorno nel seno della Chiesa Cattolica e di benedirvi come Nostri fratelli e figli, salutiamo frattanto tutti i Cattolici, Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi, chierici, laici che si trovano ora in Oriente e nei luoghi ad esso vicini e impartiamo di vivo cuore a tutti loro l’apostolica benedizione.

Roma, presso Santa Maria Maggiore, 6 gennaio 1848, anno II del Nostro pontificato.

PIUS IX

DOMENICA FRA L’ASCENSIONE (2020)

DOMENICA FRA L’ASCENSIONE (2020)

Semidoppio. • Paramenti bianchi.

Noi celebreremo l’Ascensione del Signore rettamente, fedelmente, devotamente, santamente, piamente, se, come dice S. Agostino, ascenderemo con Lui e terremo in alto i nostri cuori. I nostri pensieri siano lassù dove Egli è, e quaggiù avremo il riposo. Ascendiamo ora con Cristo col cuore e, quando il giorno promesso sarà venuto lo seguiremo anche col corpo. Rammentiamoci però che né l’orgoglio, né l’avarizia, né la lussuria salgono con Cristo; nessun nostro vizio ascenderà con il nostro medico, e perciò se vogliamo andare dietro il medico delle anime nostre, dobbiamo deporre il fardello dei nostri vizi e dei nostri peccati (Mattutino). Questa Domenica ci prepara alla Pentecoste. Prima di salire al cielo Gesù, nell’ultima Cena ci ha promesso di non lasciarci orfani, ma di mandarci il Suo Spirito Consolatore (Vang., All.) affinché in ogni cosa glorifichiamo Dio per Gesù Cristo (Ep.). — Come gli Apostoli riuniti nel Cenacolo, anche noi dobbiamo prepararci, con la preghiera e la carità (Ep.) al santo giorno della Pentecoste, nel quale Gesù, che è il nostro avvocato presso il Padre, ci otterrà da Lui lo Spirito Santo.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI: 7, 8, 9 Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja.

[Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore, e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Ps XXVI: 1 Dóminus illuminátio mea et salus mea: quem timébo?

[Il Signore è mia luce e la mia salvezza: di chi avrò timore?].

Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja.

[Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore,e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Oratio.

Orémus. – Omnípotens sempitérne Deus: fac nos tibi semper et devótam gérere voluntátem; et majestáti tuæ sincéro corde servíre. [Dio onnipotente ed eterno: fa che la nostra volontà sia sempre devota: e che serviamo la tua Maestà con cuore sincero].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet IV: 7-11

“Caríssimi: Estóte prudéntes et vigiláte in oratiónibus. Ante ómnia autem mútuam in vobismetípsis caritátem contínuam habéntes: quia cáritas óperit multitúdinem peccatórum. Hospitáles ínvicem sine murmuratióne: unusquísque, sicut accépit grátiam, in altérutrum illam administrántes, sicut boni dispensatóres multifórmis grátiæ Dei. Si quis lóquitur, quasi sermónes Dei: si quis minístrat, tamquam ex virtúte, quam adminístrat Deus: ut in ómnibus honorificétur Deus per Jesum Christum, Dóminum nostrum.”

[Carissimi: Siate prudenti e perseverate nelle preghiere. Innanzi tutto, poi, abbiate fra di voi una mutua e continua carità: poiché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri senza mormorare: ognuno metta a servizio altrui il dono che ha ricevuto, come si conviene a buoni dispensatori della multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia come fossero parole di Dio: chi esercita un ministero, lo faccia come per virtù comunicata da Dio: affinché in tutto sia onorato Dio per Gesù Cristo nostro Signore.]

OMELIA I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1921]

L’Apostolato

Il brano è tolto dalla I lettera di S. Pietro. Passerà il mondo, passerà la vita presente. Presto per noi verrà la fine di tutte le cose e il giorno del giudizio. È necessario che i Cristiani vi si preparino con la prudenza, la vigilanza, la preghiera e, soprattutto, con la carità scambievole. Questa si dimostrerà con l’ospitalità cordiale; — così necessaria in oriente ai tempi di S. Pietro — con il buon uso dei doni spirituali, sia in parole, sia in opere. I Cristiani devono considerare questi doni come ricevuti da Dio per usarne a vantaggio degli altri, e non devono proporsi altro fine che l’onore e la gloria del Signore. Le esortazione di S. Pietro ci suggeriscono di parlare dell’Apostolato.

L’Apostolato:

1. È vario,

2. È doveroso per tutti,

3. È facile per chi cerca la gloria di Dio.

1.

Da buoni amministratori della svariata grazia di Dio, ciascuno metta a servizio degli altri il dono ricevuto. – I doni e i favori che Dio concede ai Cristiani, e peri quali essi possono rendersi utili al prossimo sono vari. Se sono varie le attitudini e i talenti dati da Dio a ciascuno, è chiaro che vario è pure il campo dell’apostolato che ciascuno deve esplicare. Non è necessario che tutti si trovino nelle medesime condizioni e nelle medesime circostanze. Secondo le condizioni di ciascuno, e sempre usando quella discrezione e quella prudenza che sono suggerite dalle varie circostanze, gli uni saranno apostoli nella famiglia, gli altri nella scuola, nei campi, nelle officine, nelle botteghe, nei salotti, negli uffici, nei ritrovi, nei viaggi, ecc.Non è neppure necessario che l’apostolato prenda delle forme appariscenti. Chi ha la dovuta attitudine e preparazione faccia dell’apostolato, osservando le dovute norme, con istruzioni, con conferenze, con manifestazioni grandiose. Chi ha danari faccia dell’apostolato aiutando istituzioni benefiche, istituzioni che curano la formazione cristiana della fanciullezza; sostenga le opere di culto; aiuti la buona stampa, che tanta diffidenza e noncuranza trova anche da parte dei Cattolici, e che pure è tanto necessaria per contrastare alle conseguenze della stampa atea e immorale.Ma si può portare il sassolino all’edificio dell’apostolato, anche con mezzi, all’apparenza, più modesti. Un’affermazione fatta a proposito, un ammonimento dato a tempo opportuno, una verità fatta sentire a chi ne ha bisogno; un rimprovero fatto con carità, un consiglio a uno che non sa decidersi, possono ben spesso ottenere l’effetto di un lungo e dotto discorso. Chi non può sostenere le opere buone con mezzi finanziari, può aiutare i promotori e gli apostoli di queste opere, con parole di approvazione e di incoraggiamento, che tante volte son più necessarie del danaro. C’è, poi, una forma d’apostolato che può dirsi la più necessaria, ed è possibile a tutti indistintamente, l’apostolato della preghiera. Senza la grazia di Dio tutte le nostre opere non approderanno a nulla, come non approdò a nulla, senza la presenza di Gesù, la pescagione fatta dagli Apostoli per un’intera notte. Senza l’aiuto di Dio, alla fine di tutte le nostre fatiche dovremmo confessare, come gli Apostoli: «Abbiam affaticato tutta la notte, e non abbiamo preso niente » (Luc. V, 5). E l’aiuto di Dio si ottiene con la preghiera. A essa tutto è stato promesso:« Tutte le cose che domanderete nella preghiera, abbiate fede di ottenerle, e le otterrete » (Marc. 11, 24), disse Gesù. E anche voi, o vecchi, che non avete più il vigore necessario per le opere materiali, potete essere apostoli con i lumi della vostra esperienza, con l’offerta a Dio delle noie della vita. Voi, infermi, che state inchiodati sul letto, potete essere apostoli, unendo i vostri dolori a quelli di Gesù Cristo in offerta per la salvezza delle anime.

2.

S. Pietro vuole che ciascuno metta a profitto degli altri il dono ricevuto. Se i doni della grazia sono vari, e c’è chi ha ricevuto uno, e chi ha ricevuto cinque, nessuno ne è senza. Perciò sbagliano quei timidi, e quegli amanti del dolce far nulla, che vorrebbero l’apostolato come opera esclusiva dei Sacerdoti e dei religiosi. In guerra ci sono i capi che guidano, e che hanno maggior responsabilità degli altri. Ma tutti, dal comandante in capo all’ultimo soldato, combattono per lo scopo comune, che è la vittoria. Tutti i Cristiani sono soldati che devono combattere per il trionfo del regno di Gesù Cristo. Chi ha una parte principale, chi una parte secondaria, ma l’azione dev’essere comune a tutti. Clero e laicato, uomini e donne, adulti e giovani, padroni e dipendenti, professionisti e operai devono formare una esercito unico, che riconduca Gesù Cristo nella mente e nel cuore della nostra società. Qui la parola, là la penna. Ora il prestigio del proprio nome e della propria condizione; ora il contributo materiale. Quando l’opera privata, e quando l’opera collegata delle associazioni. Che l’Apostolato debba interessare tutti i Cristiani di qualsiasi condizione è cosa chiarissima per se stessa. È possibile che un Cristiano soffra indifferentemente che l’onore di Dio venga offeso, che il nome del Signore sia disconosciuto, magari bestemmiato, che la sua legge sia calpestata?« I miei occhi — dice il salmista, rivolto al Signore — spargono rivi di lagrime, perché non si osserva la tua legge » (Salm. CXVIII, 136).Non piange sulle sventure toccategli, sulle umiliazioni subite, piange perché i nemici non osservano la legge del Signore. Non si può rimanere indifferenti a vedere la rovina delle anime per le quali Gesù Cristo ha versato il suo sangue. Ci commoviamo alla notizia di un terremoto, di un’alluvione, di un incendio, che hanno seppellito e distrutto ricchezze e preziose opere d’arte; tanto più dobbiam commuoverci alla rovina delle anime create da Dio a sua immagine, e rese preziosissime, perché riscattate col prezzo del suo sangue. Le anime fredde provocano il disgusto di Dio. Ma « nulla è più freddo — dice il Crisostomo — d’un Cristiano che non si cura della salvezza delle anime» (In Act. Ap. Hom. 20,  4). Gesù Cristo ci ha detto di chiedere al Padre l’adempimento della sua volontà. È un’invocazione e, nello stesso tempo, un impegno che ci assumiamo di cooperare al trionfo di questa volontà. Ci impegniamo presso Dio a operare per le anime dei nostri fratelli poiché: « Volontà di Lui sopra ogni altra è la salvezza di coloro che ha Adottato » (Tertulliano – De orat. 4).

3.

Anche quelli che sono persuasi di dover essere apostoli, secondo la propria condizione, non trovano mai il momento di cominciare sul serio il loro apostolato. Ora la preoccupazione di non urtare i sentimenti degli altri, ora lo spirito d’inerzia impediscono di mettersi a lavorare davvero e alacremente per la gloria di Dio. Costoro pensano poco alla santità del fine dell’apostolato, quale ci viene descritto da S. Pietro: Se uno esercita un ministero, lo eserciti come usando una forza che vieti da Dio, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo dì Gesù Cristo Signor nostro. Il Cristiano non deve servire il prossimo per far risaltare il proprio io, per far pompa dei doni che Dio gli ha dato. Egli deve essere apostolo per un fine ben diverso: perché sia glorificato Dio. È un fine che, per chi ama Dio, ha una forza che tutto vince. Quanto più è grande l’amore che si porta a Dio, tanto più ci si sente spinti a operare per il suo onore e per la sua gloria. Dove manca l’amor di Dio si spiegano troppo bene le incertezze, i « se », i « ma », i « poi »,e tutte le tergiversazioni, suggerite dalla paura della fatica e del sacrificio. Amiamo il Signore e la sua gloria e ci sembrerà facile ogni cosa difficile; stimeremo breve tutto ciò che è lungo» (S. Gerolamo. Epist. 22, 40 ad Eust.). Amore non sente peso né fatica. Chi fa le cose per amore non dice mai: adesso basta; ho fatto anche troppo. Facciano gli altri la loro parte, che io ho fatto la mia. – Tra coloro che negli ultimi anni si dedicarono con zelo instancabile alle opere dell’apostolato per trarre anime a Dio, non è ultimo il Servo di Dio, Don Luigi Guanella, Trattato da pazzo, da visionario, sul suo cammino non incontrò che amarezze e avversità. Ma le avversità degli uomini e dei tempi non fiaccarono la tempra di questo apostolo invitto. Un giorno gli si rivolse una domanda, che le circostanze giustificavano: « E se tutto crollasse? E se contro di voi si scatenassero le persecuzioni più violente, e se i vostri preti e le vostre suore vi abbandonassero, che cosa fareste? ». A questa domanda inquietante Don Luigi Guanella rispose con calmo sorriso: Tornerei da capo» (Mons. C. Salotti: Prefaz. al libro – Pietro Alfieri Tognini, Don Luigi Guanella. – Roma 1927). Così son disposti a fare gli uomini, che nel compiere opere di apostolato cercano la gloria di Dio. Cacciati da una porta ritornano per un altra. Fermati da un ostacolo, trovano presto il modo di riprendere il cammino con la stesso alacrità di prima; come la corrente che, urtata e divisa dallo scoglio, tosto lo supera, e continua la sua rapida corsa. Distrutto il frutto delle loro fatiche non posano sfiduciati; ma ritornano al lavoro con la stessa fermezza e con la stessa speranza che sostenevano i primi tentativi. E se dopo anni e anni di lavoro non vedono alcun frutto, se non c’è speranza d’una adeguata corrispondenza? Non sostano ancora, perché sanno di far piacere a Dio. « Negli amici infatti non si richiede l’effetto, ma la volontà » (S. Girol. Epist. 68 ad Castrut.).

Alleluja

Allelúja, allelúja Ps XLVI: 9

V. Regnávit Dóminus super omnes gentes: Deus sedet super sedem sanctam suam. Allelúja.

[Il Signore regna sopra tutte le nazioni: Iddio siede sul suo trono santo. Alleluja.]

Joannes XIV: 18 V. Non vos relínquam órphanos: vado, et vénio ad vos, et gaudébit cor vestrum. Allelúja.

[Non vi lascerò orfani: vado, e ritorno a voi, e il vostro cuore si rallegrerà. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XV: 26-27; XVI: 1-4

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Cum vénerit Paráclitus, quem ego mittam vobis a Patre, Spíritum veritátis, qui a Patre procédit, ille testimónium perhibébit de me: et vos testimónium perhibébitis, quia ab inítio mecum estis. Hæc locútus sum vobis, ut non scandalizémini. Absque synagógis fácient vos: sed venit hora, ut omnis, qui intérficit vos, arbitrétur obséquium se præstáre Deo. Et hæc fácient vobis, quia non novérunt Patrem neque me. Sed hæc locútus sum vobis: ut, cum vénerit hora eórum, reminiscámini, quia ego dixi vobis”.

[In quel tempo: Disse Gesù ai suoi discepoli: Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio. Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato.].

OMELIA II

[M. Billot, Discorsi parrocchiali, II ediz. S. Cioffi ed. Napoli, 1840 – impr. ]

Sulle disposizioni per ricevere lo Spirito Santo.

“Cum venerit Paraclitus, quem ego mittam. vobis a Patre, Spiritum veritatis, qui aPatre procedit, ille testimonium perhibebit de me, et vos testimonium perhibebitis quia ab initio mecum estis.”

 Jo. XV.

Perché  non volle Gesù Cristo, il Salvator del mondo, (domanda s. Agostino) far discendere il suo Santo Spirito sopra gli Apostoli se non dopo la sua gloriosa Ascensione al cielo? Ciò fu per far loro conoscere il bisogno che essi ne avevano. Imperciocché, mentre godevano della presenza visibile del loro divin Maestro, il sensibile attaccamento per la sua Persona li occupava in maniera ch’essi nulla pensavano a domandargli questo divino Spirito che doveva loro insegnare ogni verità; ma quando furon separati da Gesù Cristo conobbero allora il sommo bisogno che avevano di riceverlo. Essi dovevano annunziare il Vangelo a tutto il mondo, ed essere perciò esposti all’odio e ai furori degli uomini, soffrire le più atroci persecuzioni, come era loro stato da Gesù Cristo predetto. Qual coraggio, qual forza dunque era loro necessaria per condurre a buon esito una sì grande impresa! Ma Gesù Cristo li aveva più volte incoraggiati con le promesse d’inviar loro il suo Santo Spirito, che insegnerebbe ad essi ogni lingua e darebbe loro coraggio nei combattimenti. – Quando sarà venuto, diceva loro, sopra di voi lo Spirito consolatore ch’Io v’invierò, Egli renderà di me testimonianza, e conoscerete ch’Io non vi ho ingannati, e voi medesimi renderete testimonianza alla gloria del mio nome. Sarete scacciati dalle sinagoghe, e per un falso ragionare si crederanno di dar gloria a Dio nel farvi morire. Tutte queste cose Io vi dico, affinché non restiate scandalizzati e, allorché avverranno, vi ricordiate esservi state da me predette. Erano certi gli Apostoli che le predizioni di Gesù Cristo dovevano adempiersi; e perciò dopo l’Ascensione del loro divin maestro si ritirarono nel cenacolo per domandare il promesso Spirito consolatore; e con sì grande istanza lo domandarono, che finalmente il ricevettero; e sì gran forza loro fu da Lui comunicata che in istato si videro di potere adempiere la loro missione. – Non ai soli Apostoli promise Gesù Cristo il suo Santo Spirito, ma a tutti i fedeli eziandio e a tutti i membri della sua Chiesa: lo comunica insieme con tutti i suoi doni a coloro che sono bene disposti. Preparatevi dunque, fratelli miei, a ricevere questo Spirito consolatore, e a questo fine vi dimostrerò il sommo bisogno che ne avete, primo punto. E le disposizioni che dovete apportare per ricevere un sì gran dono: secondo punto.

I. Punto. Non v’ha alcuno che non desideri nelle sue afflizioni un consolatore, un medico nelle sue malattie e contro i nemici un protettore. Ora questo è ciò che opera lo Spirito Santo in un’anima che ha la bella sorte di riceverlo, e ciò deve farci comprendere il gran bisogno che abbiamo di Lui. Non fa d’uopo, fratelli miei, ch’io qui vi dimostri ciò che una trista esperienza ci fa pur troppo sentire, che la vita dell’uomo è tutta piena di miserie e d’afflizioni e che non v’ha condizione veruna nel mondo che dalle croci sia esente. Altri, dalle malattie, altri dalla perdita dei beni si vedono afflitti; questi abbandonati dagli amici, quelli perseguitati dai nemici; ora ci vediamo rapiti i beni ingiustamente, ora la calunnia ci toglie l’onore. Quante amarezze in casa ci fa soffrire l’indole difficile di coloro con cui dobbiamo convivere, e quante pene di corpo e di spirito per sovvenire ai bisogni della famiglia e per adempiere alle obbligazioni del proprio stato! Ma dove potrà cercarsi sollievo ai mali che ci affliggono? Inutil cosa sarebbe sperarlo dagli uomini; rarissimi sono gli amici che entrino a parte dei nostri affanni. Siccome l’amicizia degli uomini è per l’ordinario interessata, nelle prosperità ci sono d’intorno, ma nelle avversità si allontanano. Se qualche consolatore si trova, sarà piuttosto molesto e incomodo e, somigliante a quegli amici del santo Giobbe, altro non ci darà che compassionevoli parole, senza procurare di recarci sollievo. Voi solo dunque, o divino Spirito, potete essere il vero nostro consolatore: Voi solo potete alleggerire le nostre pene e temperare l’amarezza dei nostri mali. Epperciò noi vi chiamiamo il divino Paraclito, cioè l’unico e vero consolatore: qui diceris Paraclitus; perocché, essendo voi la sorgente di tutti i beni, potete non solamente riparare le nostre perdite, ma far tornare in vantaggio nostro i mali stessi che soffriamo… Imperciocché queste sono, fratelli miei, le due maniere con cui lo Spirito Santo consola un’anima da Lui visitata.. Quest’anima ha ella sofferta qualche perdita? Lo Spirito Santo che la visita la risarcisce del bene ch’ella ha perduto con un altro più prezioso: invece dei beni di fortuna ad essa rapiti, le da i beni della grazia di gran lunga maggiori che tutti quanti i beni del mondo: invece della sanità, che è stata alterata dalle malattie, Egli spande nel cuore di lei una salutevole unzione che raddolcisce i suoi dolori: invece di quell’amico, di quel protettore che l’hanno abbandonata, Egli medesimo è il suo protettore, il suo amico. In una parola, Egli le vale per tutto e la rifà di tutte le sue perdite. In questa maniera lo Spirito Santo, consolò gli Apostoli afflitti per l’assenza del loro divin Maestro: essi provavano una sensibile consolazione quando godevano sulla terra della sua divina presenza, e non poterono tralasciare di fargli conoscere la loro tristezza allorché vicini si videro ad esserne separati, e sentirono infatti dopo questa separazione un amarissimo dispiacere: essi avevano perduto il loro padre, il loro maestro, e si vedevano esposti al furore e alle persecuzioni dei loro nemici. Ma quando lo Spirito Santo scese sopra di loro, li riempì d’ineffabile consolazione, e fece lor sentire con la sua presenza un soavissimo contento, maggiore ancora e più perfetto di quello che avevano provato nell’affetto alla santa umanità di Gesù Cristo. Egli farà lo stesso con voi, o anime afflitte; voi conoscerete dagli effetti della sua visita che era espediente per voi l’essere privati delle sensibili consolazioni che trovavate nelle creature per meritare quelle del divino Spirito, che le supereranno di gran lunga in soavità ed in dolcezza. Farà di più ancora lo Spirito Santo per rendere più abbondante il vostro contento; Egli vi farà ricavare vantaggio da’ mali e dalle pene che soffrite. E in che maniera? Sollevando il vostro cuore e la vostra mente al di sopra dei castighi della natura, vi farà considerare queste pene come mezzi sicuri ed infallibili per procurarvi beni eterni: Egli dirà al vostro cuore che tutte le tribolazioni di questa vita non sono degne di essere messe in confronto con la ricompensa della gloria del cielo, e che un leggiero momento di tribolazioni può condurvi al possedimento d’una eterna felicità: Momentaneum et leve tribulationis nostræ æternum gloriæ pondus operatur in nobis (2 Cor.IV). A questo fine sopporterete non solamente con pazienza, ma con gioia eziandio tutte le afflizioni che Iddio vorrà inviarvi. Voi direte con l’Apostolo che siete ripieni di gaudio nelle vostre tribolazioni: Superabundo gaudio in omni tribulatione nostra ( 2 Cor. VII).Per qual cagione, fratelli miei, si vedono molti oppressi dalle avversità, e ciò non ostante egualmente tranquilli e contenti come se godessero delle dolcezze della prosperità, soffrire con eroica pazienza i dolori delle malattie, il rigore della povertà, gli affronti, i dileggiamenti e ogni sorta d’ingiustizia.Altro non è che l’allegrezza dello Spirito Santo di cui hanno ripieno il cuore, la quale li rende insensibili al dolore e superiori ad ogni disgrazia. Oh quanto è avventurato chi possiede in sé stesso una sì abbondante sorgente di consolazioni, come è lo Spirito Santo! Sta in vostre mani, fratelli miei, il farne esperienza, e troverete inoltre in Lui un possente medico che vi guarirà dalle vostre malattie.Le malattie di cui dobbiamo, fratelli miei, desiderare la guarigione sono i nostri peccati: malattie più funeste e più da temersi di quelle del corpo: imperciocché l’anima infetta dalla malattia del peccato, si trova in uno stato di morte, incapace per conseguenza di produrre alcuna azione di quella vita soprannaturale che ci unisce a Dio e degni ci rende delle sue ricompense. Oh quanto è lagrimevole lo stato di quest’anima! Quanto le è necessario un possente medico per guarirla! Un ammalato può ancora desiderare e chiedere la sua guarigione, ma l’anima morta per il peccato non può nemmeno per se stessa desiderare d’essere risanata né domandare il rimedio ai suoi mali, se lo Spirito, che è il suo medico, non le inspira questi buoni desideri. Imperciocché da noi medesimi, dice l’Apostolo, non siamo valevoli a formare un buon pensiero per la salute; non possiamo pronunziare il nome di Gesù, se non coll’aiuto dello Spirito Santo: Non sumus sufficientes cogitare aliquid a nobis quasi ex nobis (2 Cor. 3). Quanto è grande adunque il bisogno che abbiamo dello Spirito vivificante, affinché ci tragga dallo stato di morte a cui ci ha ridotto il peccato, e col soffio salutevole ci renda la vita che abbiamo perduta. Ed ecco appunto l’effetto che la sua visita produce in un’anima che ha la bella sorte di riceverlo. Egli incomincia a prevenire quest’anima con una grazia che le fa desiderare la sua conversione, che l’aiuta a cercar rimedio ai suoi mali; equando quell’anima corrisponde fedele alla grazia che la chiama e la previene, allora questo divino Spirito compie l’operach’Egli ha incominciata e infiamma il cuore di lei col fuoco del suo amore, il quale distrugge il regno del peccato, spezza le catene che la rendevano schiava del demonio e le rende la libertà dei figliuoli di Dio. Allo Spirito Santo siamo dunque noi debitori dell’opera della nostra santificazione; imperciocché Egli diffonde, come dice l’Apostolo, nel nostro cuore quella carità soprannaturale, che ci rende amici di Dio ed eredi del suo regno. Egli è vero che Gesù Cristo con i suoi patimenti e con la sua morte ci ha meritata la grazia della riconciliazione col suo eterno Padre e ha sparso il suo sangue sulle nostre piaghe per guarirle, ma egli è lo Spirito Santo quello che ci applica i meriti di Gesù Cristo con la infusione della grazia che ci giustifica; perché essendo questa grazia effetto del puro amore di Dio per gli uomini, lo Spirito Santo, che è per eccellenza l’amor del Padre e del Figliuolo, è il principio di questa grazia, la quale ci purifica dalla macchia del peccato per unirci a Dio col vincolo d’una perfetta carità: Abluti estis, santificati estis in nomine Domini nostri Jesu Christi (1 Cor.VII) E perciò egli è dal Concilio di Trento chiamato remissione de’ nostri peccati, e la santa Chiesa gli dà il titolo di Spirito vivificante, Spiritum vivificantem. – Siete ora persuasi, fratelli miei, del bisogno che avete dello Spirito Santo? Non posso io dirvi, come già disse il profeta Ezechiello alle ossa sparse che gli furono mostrate in una celebre visione, per farle ritornare in vita? Ossa aride, ascoltate la voce del Signore: ecco ch’io vi rendo lo spirito e la vita: Ossa arida, audite verbum Domini: ecce intromittam in vos Spiritum, et vivetis (Ezech. XXXII). Voi rassomigliate, o peccatori, a queste ossa sparse che non avevano alcun principio di vita: il peccato ha fatto in voi ciò che fa la morte nel corpo ch’ella spoglia della carne e lo riduce in fracidume, e del quale non rimangono dopo qualche tempo che alcuni avanzi inanimati. Il peccato vi ha spogliati della vita della grazia e di tutti gli ornamenti con cui Iddio aveva adornata l’Anima vostra: voi siete rinchiusi in un sepolcro come miserabili avanzi di morte; ascoltate dunque la voce del Signore che vuol richiamarvi a vita e restituirvi nel pristino stato dal quale eravate decaduti: audite verbum, Domini etc, uscite dal sepolcro, o peccatori, o voi che dormite in seno alla morte: Exurge, qui dormis, et exurge a mortuis. Ma invano io indirizzo le mie parole a questi morti per farli uscire dalla tomba, se Voi, o Spirito onnipotente, non li risuscitate e non date loro i primi eccitamenti, affinché possano ritornare in vita. Fate sentire a questi morti il vostro soffio salutevole che li rianimerà: Insuffla super interfectos istos, et reviviscent (Ezech. XXXVII). Illuminate questi ciechi che chiudono gli occhi alla luce, toccate questi cuori duri e insensibili alle vostre chiamate: imperciocché dalle più dure pietre voi potete trarne figliuoli d’Abramo, e dai più grandi peccatori farne i più gran santi. Piaccia al Signore Iddio, o fratelli miei, che le mie preghiere siano ascoltate e che io veda rinnovellato quel prodigio che operò già Dio per mezzo del profeta, allorché le ossa sparse si riunirono e si rianimarono a nuova vita. – Se voi corrisponderete alla grazia dello Spirito Santo che vi chiama, Egli vi darà la vita, anzi egli sarà la vita dell’anima vostra e il principio di tutti i vostri movimenti, in quella guisa che l’anima vostra è principio di tutti i movimenti del vostro corpo; Egli penserà in voi, parlerà, opererà in voi e imprimerà in tutte le vostre parole, pensieri e azioni un carattere di santità che sarà per voi una caparra dell’eterna vita: Unxit nos Deus et signavit nos et dedit pignus spiritus in cordibus nostris (2 Cor. 1). Se voi temete che i nemici della vostra salute vi rapiscano il prezioso tesoro della grazia di cui vi arricchirà, Egli sarà il vostro protettore per difendervi contro tutti gli assalti: ed è questo un benefizio che dovete ancora sperare da Lui e che deve farvi conoscere il sommo bisogno che avete della sua presenza. – Ora quanto dovete voi temere questi formidabili nemici, ai  quali lo Spirito Santo avrà ritolte quelle anime che aveva debellate. Il demonio scacciato dalla sua casa, farà ogni sforzo per rientrarvi e s’aggirerà intorno a voi come un leone che rugge per divorarvi: non perdonerà ad artifizio né a stratagemma per ingannarvi, egli si servirà delle vostre passioni e le solleverà contro di voi per farvi cadere nei suoi lacci; da altra parte il mondo vi tormenterà con lo splendor dei suoi beni, con gli allettamenti dei suoi piaceri, col fasto degli onori; sarete astretti a soffrire i dileggiamenti degli empi e dovrete resistere al torrente delle cattive usanze e alle seduzioni dei compagni: in una parola, sarete esposti a tutti i colpi di questi due feroci nemici, ma fatevi coraggio, il divino Spirito che in voi abiterà vi coprirà con l’ombra delle sue ali, sarà Egli stesso la vostra difesa: Scapulis suis obumbrabit tibi, et sub pennis eius sperabis (Psal. XC). Egli farà andare a vuoto tutti i colpi a voi diretti, e non riceverete alcuna ferita: Non accedet ad te malum. Nella stessa guisa che un principe, un conquistatore, il quale si è impadronito d’una città, la fa fortificare, mette opportune sentinelle e tutto dispone per guardarla e non esser sorpreso, così questo divino Spirito vi farà custodire dagli Angeli, anzi vi custodirà Egli medesimo e farà ridondare in vostro vantaggio le tentazioni stesse a cui sarete esposti. Che cosa avrete da temere con un siffatto protettore, che non vi abbandonerà giammai se non è da voi abbandonato? Se voi gli sarete fedeli, Egli vi guiderà di maniera tra gli scogli che vi circondano che arriverete felicemente al porto, ed Ei vi coronerà con la grazia finale, che è un dono speciale che la sua bontà comparte a coloro che ogni cura pongono a conservarlo, procurate dunque di riceverlo, e preparategli una stanza nel vostro cuore. Voi conoscete ora il bisogno che avete di riceverlo, ma che cosa dovete fare per meritare questa grazia?

II. Punto. Io non posso, fratelli miei, miglior via additarvi per disporvi a ricevere lo Spirito Santo che quella che han tenuto gli Apostoli. Ora la Scrittura Santa c’insegna che essi, dopo essere stati testimoni della gloriosa Ascensione del loro divin Maestro, si ritirarono nel cenacolo, secondo l’ordine che a loro era stato dato, in cui ritirati passarono dieci giorni nell’esercizio di ferventissima orazione: erant perseverantes unanimiter in oratione (Act. I). Ecco, Cristiani miei, la regola che dovete seguire per prepararvi a ricevere nei vostri cuori lo Spirito Santo. Il ritiro, la preghiera, la purezza dell’anima sono le disposizioni alle grazie che Egli vuol compartirvi. Il ritiro fu sempre stimato il più acconcio per ricevere le comunicazioni dello Spirito Santo; Egli non fa udire la sua voce nello strepito e nel tumulto, ma nella solitudine egli parla al cuore: Ducam eum in solitudinem et loquar ad cor eius (Ose.II). E perciò tante anime devote risolvono di separarsi dal mondo e vanno a seppellirsi in luoghi impenetrabili agli oggetti creati, ed altra cura non hanno che di parlare con Dio e pensare alla propria salute. Io so, fratelli miei, che non tutti sono chiamati a questo genere di vita, che è pure il più sicuro e il più perfetto. Iddio ha stabilite diverse condizioni nel mondo; nelle quali chi si trova impegnato può tuttavia operare la sua salute e sperar di giungere al regno dei cieli. Ma benché si viva in mezzo al mondo, si può di tempo in tempo dare qualche giorno al ritiro, come si pratica da’ molti Cristiani che hanno zelo per la loro salute, i quali depongono per qualche tempo ogni pensiero di affanni temporali per pensare all’eternità. – Se le occupazioni del vostro stato non vi permettono di seguitar questo esempio, o se non ne avete il comodo almeno dovete farvi un ritiro interiore, che sciolga il vostro cuore e la vostra mente dall’eccessiva premura che avete per gli affari del mondo e vi renda applicati all’affare della salute, che merita tutta la vostra attenzione: ogni Cristiano è obbligato a questo ritiro, cioè ad un raccoglimento delle potenze dell’anima, che la faccia rientrare in sé  stessa, per far serie considerazioni sul suo ultimo fine e sui mezzi di ottenerlo; ecco ciò che lo Spirito Santo esige assolutamente da un’anima alla quale Egli vuole comunicare sé stesso. In pericolo ciò che invano sperate, fratelli miei, di ricevere questo divino Spirito, se vivete in una continua dissipazione, e se la vostra anima s’aggira vagando sopra ogni sorta di oggetti che le stanno intorno, e se di tanto in tanto non si raccoglie in se stessa per trattenersi con Dio e pensare alle cose di Dio. Sin tanto che quest’anima si abbandonerà tutta alle occupazioni d’uno stato, al commercio del mondo, ella sarà sempre ripiena di mille fantasmi, che alcun luogo non lasceranno alle comunicazioni dello Spirito Santo. Conviene dunque purificare la mente e il cuore da tutti quegli oggetti esterni che impediscono di ascoltare la voce del divino Spirito e prendere le massime e i sentimenti dell’uomo interiore, che vive della fede, che cerca il regno di Dio. e la sua giustizia prima d’ogni altra cosa. Ecco, fratelli miei, il ritiro che lo Spirito Santo vi domanda per comunicarsi a voi. Se non vi separate affatto dal mondo, come gli Apostoli (il che non è però assolutamente necessario), dovete almeno separarvi da certe compagnie pericolose, da certi impegni che sono per voi occasione di peccato e che saranno sempre un ostacolo alle grazie dello Spirito Santo finché vi sarete affezionati. Se il vostro stato vi obbliga a star nel inondo, fa d’uopo almeno separarvi dal mondo perverso, il cui spirito, le cui massime sono incompatibili con quelle dello Spirito di Dio. Imperciocché se voi conservate lo spirito del mondo e seguite le sue usanze e le sue massime, voi non riceverete lo Spirito Santo giammai. Ciò sarebbe un volere unire le tenebre colla luce, accordar Gesù Cristo con Belial. Perciocché, lo sapete pure, fratelli miei, quali sono le massime del mondo che si cercano, che si amano nel mondo, i beni, gli onori, i piaceri; ecco gli oggetti delle inclinazioni degli amatori del mondo. Essi sono il soggetto dei loro ragionamenti, il fine delle loro azioni e dei loro pensieri. Ma che v’insegna lo Spirito di Gesù Cristo? Lo staccamento da tutte le cose, l’amore della povertà, delle umiliazioni e dei patimenti: che cosa può ritrovarsi più contraria allo spirito del mondo? E perciò Gesù Cristo ci assicura che il mondo non può ricevere il Santo Spirito: quem mundus non potest accipere (Jo. XIV). – Voi non potete dunque ricevere questo divino Spirito se non rinunciate allo spirito del mondo con un intero distacco dai suoi beni, dai suoi onori e dai suoi piaceri: non potrà giammai lo Spirito di Dio accordarsi con lo spirito mondano, cioè con quello spirito che giudica delle cose secondo il mondo, che regola i suoi desideri, le sue inclinazioni secondo le leggi del mondo, che ha in orrore ciò che il mondo abborrisce, e fa stima di ciò che il mondo ama ed onora. Se questo è lo spirito che vi conduce, non isperate che lo Spirito di Dio venga a fare in voi la sua dimora. Voi dovete ancora, per attirarlo ne’ vostri cuori, aver ricorso alla preghiera, che fu il mezzo di cui si servirono gli Apostoli per ottenerlo. Erant perseverantes etc. Oh! chi potrebbe esprimere l’ardore con cui essi porgevano i loro voti al cielo? Con quanti fervorosi gemiti domandavano questo Spirito consolatore, che doveva risarcirli della perdita del loro divino Maestro! Essi conoscevano il grande bisogno che avevan di Lui e sapevano ch’Egli sarebbe stato loro in luogo di padre, di maestro, di liberatore e di protettore, che li avrebbe illuminati e avrebbe loro data la forza necessaria per pubblicare il Vangelo, cui per comando di Gesù Cristo dovevano annunziare a tutta la terra che li avrebbero incoraggiati contro il furore e le persecuzioni degli uomini; – che senza di Lui non avrebbero mai condotta a fine la grand’opera per cui erano inviati: e perciò lo chiedevano così instantemente e con sì grande perseveranza che per dieci giorni continui non cessarono di pregare sin tanto che non l’ebbero ottenuto. Voi lo chiederete con lo stesso fervore e con la medesima costanza, fratelli miei, se conoscete il bisogno che ne avete. Or non vi ha fatto sentir questo bisogno ciò che vi è stato detto nella prima parte di questa istruzione? Non vi unirete voi dunque con la mente e col cuore ai desideri di quella santa adunanza degli Apostoli e dei discepoli, che pregavano tutti insieme lo Spirito Santo affinché discendesse sopra di loro? Se voi pregherete come essi, parimenti l’otterrete. E tanto più siete sicuri di ottenerlo perché, chiedendo a Dio il suo Santo Spirito, voi chiedete una cosa degna di Lui e a voi necessaria. Se domandaste beni ovvero onori del mondo, forse Iddio non vi esaudirebbe perché potrebbero forse essere ostacoli alla vostra salute. Ma lo Spirito Santo è un bene assolutamente necessario all’uomo, perché nulla può senza di Lui, ed ha bisogno delle sue ispirazioni per essere illuminato, della sua forza per essere fortificato e della sua grazia per operare la propria salute. Or se voi altri, quantunque malvagi, dice Gesù Cristo, non potete negare ai vostri figliuoli il pane che è lor necessario per vivere, con quanta maggior ragione il Padre celeste, che è tutto bontà per voi, vi darà il suo Santo Spirito, il quale deve essere vostro sostegno, vostra forza, vostro cibo e vostra vita? Si vos cum sitis mali, nostis bona data dare filìis vestris; quanto magis Pater vester de cœlo dabit spiritum bonum petentibus se (Luc. XI)? Ma non vi contentate d’indirizzare al cielo qualche voto passeggero, alcune preghiere d’un momento; perseverate sull’ esempio degli Apostoli nel santo esercizio della preghiera per chiedergli il suo divino Spirito, servendovi di quella che dalla Chiesa ci viene insegnata: Venite, o Santo Spirito, a riempiere i cuori dei vostri fedeli e ad infiammarli del fuoco del vostro divino amore: Veni, Sancte Spiritus. Recitate a questo fine sette volte il Pater e l’Ave per domandare i sette doni dello Spirito Santo. Ma invano, fratelli miei, voi preghereste lo Spirito Santo a venire a far dimora in voi, se voi non purificate il vostro cuore da tutto ciò che può essere di ostacolo alle grazie ch’Egli vuole compartirvi. – Ora quale è questo grande ostacolo alle grazie dello Spirito Santo? Voi lo sapete, egli è il peccato, suo mortale nemico. Sin tanto che regna in un’anima il peccato, ella non può essere la dimora dello Spirito Santo. Imperciocché come mai lo Spirito Santo, che è sì amico dell’umiltà, potrebbe abitare in un cuore gonfio d’orgoglio? Questo Spirito di carità come potrebbe alloggiare in un cuore divorato dall’invidia? Come mai questo spirito di pace e di mansuetudine, che comparve al battesimo del nostro Redentore sotto la figura d’una colomba, per farci conoscere ch’è nemico d’ogni fiele, potrebbe accordarsi con l’amarezza d’un cuor vendicativo? Come mai questo spirito di purità che non ama stare fuorché tra i gigli, potrebbe stare in un cuor voluttuoso e sensuale? No, dice il Signore, il mio Spirito non dimorerà con l’uomo sensuale: Non permanebit spiritus meus in homine; quia caro est (Gen. VI). Questo Spirito è lo sposo delle anime caste, e l’orrore che egli ha pel vizio opposto alla purità fa che non può in guisa alcuna comunicarsi ad un’anima che ne è infetta. Invece di compartirle i suoi favori, serba per essa soltanto i tesori del suo sdegno. Sappiate, dice l’Apostolo, che nel Battesimo i vostri corpi sono divenuti il tempio dello Spirito Santo; ora se alcuno profana questi templi con peccati vergognosi e brutali, Iddio lo perderà, dice lo stesso Apostolo: Si quis violaverit templum Domini, disperdet illum Dominus (1 Cor. III). – Riflettete dunque, fratelli miei, qual è quel peccato che vi signoreggia, se è l’orgoglio che vi tiene schiavi, se la collera vi trasporta, l’invidia vi divora, il piacere vi snerva; sbandite senza timore dal vostro cuore sì malvagi ospiti e date luogo allo Spirito Santo, che vuole farvi dimora. Mondatevi da ogni malvagio fermento che vi corrompe il cuore, affinché possiate gustare le dolcezze dello Spirito Santo; abbassate quell’orgoglio coll’umiltà, la carità sottentri all’invidia, scacciate dal vostro cuore quella impura passione, resistete a tutti i movimenti, a tutti ancora i pensieri contrari alla virtù della purità, e lo Spirito Santo farà sua delizia di abitare in voi. In una parola, qualunque peccato voi abbiate commesso, adoperate tutti i mezzi possibili per cancellarli con una penitenza sincera e con una buona confessione, che dovete fare in queste sante vicine feste: anzi non aspettate quel giorno per accostarvi al sacro tribunale, o almeno preparatevi fin da questo momento a render certa la vostra riconciliazione, rinunziare ai cattivi abiti, allontanarvi dalle occasioni, praticare le virtù cristiane. Ma ciò non è tutto ancora. Siccome questo spirito d’amore è uno spirito geloso che non può soffrire che altro affetto abbia parte nel vostro cuore, ma tutto ne vuole per sé il possedimento, fa d’uopo, fratelli miei, distaccarlo da ogni affetto per certi oggetti, i quali, quantunque non peccaminosi, non lascerebbero ciò nulla di meno di mettere ostacolo alle grazie di cui Egli vi vuol ricolmare. Santo pareva pure l’affetto che avevano gli Apostoli per la persona di Gesù Cristo; eppure questo divin maestro loro dice che era espediente ch’Egli si separasse da loro perché se egli non se ne fosse dipartito, non sarebbe su loro venuto lo Spirito Santo. E perché ciò? domanda qui sant’Agostino. Perché gli Apostoli, essendo troppo sensibilmente affezionati alla presenza di Gesù Cristo, non erano in istato di ricevere le comunicazioni del Santo Spirito; era d’uopo che si fossero privati della dolcezza di questa presenza visibile, affinché una maggior dolcezza ricever potessero dalla presenza invisibile dello Spirito Santo che doveva in loro fare la sua dimora. – Ora se a tal segno giungere doveva lo staccamento degli Apostoli per ricevere la pienezza dei doni dello Spirito Santo, con quanta maggior ragione dovete voi rinunciare ad ogni inclinazione per certi oggetti che potrebbero essere d’inciampo alla vostra virtù! Togliete dunque affatto dal cuore tutte le affezioni terrene; quanto più il cuor sarà vuoto di tali affezioni; tanto più sarà atto ad essere ricolmato delle dolcezze, delle inclinazioni e delle grazie dello Spirito Santo. Pregatelo che giustifichi Egli stesso il vostro cuore, che spezzi e consumi col suo celeste fuoco le catene che vi tengono avvinti alle creature e che prepari egli stesso la sua dimora nel vostro cuore, affinché vi abiti nel tempo e nell’eternità. Cosi sia.

Credo …

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus

Ps XLVI:6. Ascéndit Deus in jubilatióne, et Dóminus in voce tubæ, allelúja.

 Secreta

Sacrifícia nos, Dómine, immaculáta puríficent: et méntibus nostris supérnæ grátiæ dent vigórem. [Queste offerte immacolate, o Signore, ci purífichino, e conferiscano alle nostre ànime il vigore della grazia celeste].

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Communio

Joannes. XVII: 12-13; 15 Pater, cum essem cum eis, ego servábam eos, quos dedísti mihi, allelúja: nunc autem ad te vénio: non rogo, ut tollas eos de mundo, sed ut serves eos a malo, allelúja, allelúja.

[Padre, quand’ero con loro ho custodito quelli che mi hai affidati, allelúia: ma ora vengo a Te: non Ti chiedo di toglierli dal mondo, ma di preservarli dal male, allelúia, allelúia.]

Postcommunio.

Orémus.

Repléti, Dómine, munéribus sacris: da, quæsumus; ut in gratiárum semper actióne maneámus.

[Nutriti dei tuoi sacri doni, concedici, o Signore, Te ne preghiamo: di ringraziartene sempre.]

Ultimo Vangelo e Preghiere leonine

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LO SCUDO DELLA FEDE (113)

1Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA

Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884

PARTE PRIMA

CAPO XXIII.

Se l’astrologia vaglia punto ad invalidare la provvidenza.

I. E comune a tutti i ribelli il riconoscere ogni padrone più volentieri, che il proprio: onde a gittar questo dal soglio, non temerebbero di sostituirvi un Nerone. Mirate dunque se gli ateisti sono ribelli solenni. Purché Dio non sia quegli che li governi con la sua provvidenza da uomini ragionevoli, giungono a sognar sino un fato là su le stelle, che li governi da bruti.

II. E vero che non tutti procedono ad egual passo: mentre alcuni, più cauti nel favellare, se non più religiosi nel credere, protestano di non assegnare ai pianeti la parte di padroni nel gran teatro delle umane vicende, ma di messaggi. Contuttociò questi ancora, benché men empi, non però meno vani, conviene avvolgere in un’istessa rovina, precipitandoli per mano della ragione giù da quel cielo che essi con le lor predizioni infamano tanto, quanto i poeti lo infamarono con le loro insanie.

III. Conosco bene a qual cimento io mi esponga, pigliandola a viso aperto con un tal genere di persone ingannevoli, e pur amata: Genus hominum sperantibus fallax, quod semper vetabitur, semper et retinebitur (Tac. hist.1. 1). E l’ingegno umano sì avido di antivedereil futuro, che non si vergognò ne’ secolipiù vetusti di mendicarne gli annunzi da ridicolissime osservazioni: tanto che il garrirdegli uccelli, il tripudiar de’ polli, il trapassarde’ porci, ed altri sì vani auguri, valevan piùin una Roma ad accelerare le determinazioni o a sospenderle, di quello che valessero i voti de’ senatori. Ed oggi non ha tra noi chi tien per infausto l’inciampar su l’uscio di casa, l’abbattersi in un tal cane, l’ascoltare una tal civetta, o l’essere in un tal ruolo di convitati? Non è meraviglia però se riesca agli astrologi di ottenere dal commercio con gli astri, da lor vantato, quella credulità che ottenevano già gli aruspici dal budellame dei montoni, o dei manzi, da loro aperti a tal fine; e quella che più vecchierelle ottengono anche oggi per via di superstizioni più fievoli e più fallite, che vanno in volta. Tanto più che gli astrologi, a vantaggiare il loro partito, si travestono da politici, e promettendo sì al pubblico, sì al privato, con la previsione de mali un prò inesplicabile, qual è quello di ripararli fan sì che il dir loro contra sembri un volere opporsi all’umana felicità: né di ciò paghi, abbigliano i loro pronostici di voci sì pregnanti, sì pellegrine, che, benché non intese neppur da essi quando le proferiscono, fanno tuttavia rimanere la gente attonita, quasi perle tratte dagli stipi più ignoti della sapienza.

Oroscopo, mezzo cielo, aspetti, direzioni, dignità, esaltazioni, transiti, triplicità, erezioni, capo di dragone, coda di dragone, combustioni, stelle che veggano, ma non odano, stille che odano, ma non veggano, magne congiunzioni, magne rivoluzioni, case celesti, raggi felici, retrogradazioni funeste, gradi lucidi e tenebrosi, ed altrisì fatti, misteri tutti al dir loro, e pur null’altroin sé che palloni, tanto più vuoti diverità, quanto più gonfi di suono. Difficilissimoè pertanto pigliarsela in poche carte contracostoro, che coi soli vocaboli inauditi fannocorrersi dietro la gente matta.

IV. Mi basta nondimeno, o lettore, che voi siate contento di stare in bilico, senza declinar con l’affetto più ad una parte che all’altra; ed io confido nel peso delle ragioni, che in poco d’ora concorrerete voi pure da voi medesimo senza spinta, a dispregiare qual bugiarda una ciurmeria che va fra molti col passaporto di scienza; anzi ad abbominarla qual traditrice, mentre ella invece di giovar mai alla repubblica, come falsamente promette, perturba la repubblica insieme e la religione, porgendo nel latte di una verità immaginaria mille veleni di errori, tanto più nocevoli al mondo, quanto meno sospetti, e più dilettosi.

V. Senonchè prima di passare innanzi, conviene che io mi spieghi bene. E però, siccome io non voglio per mio nimico chi nimico non è della religione, così sappiate come io qui non intendo di uscire in campo contra l’astrologia naturale, che è quella la quale dagli aspetti de’ cieli predice i nuvoli, i nembi, le siccità, e le ricolte, or povere, or piene, agli agricoltori. Questa, a dir giusto, è più congettura, che arte. Perchè qualor vi fossero uomini daddovero intendenti di tali cose, a che prezzo non si torrebbono dai monarchi? Se Filippo II re delle Spagne, quando stava in procinto di porre in mare quella formidabile armata, che egli inviò contra l’Inghilterra, avesse in corte avuto un astrologo, il quale gli presagisse quella furiosa burrasca che gliela mandò tanto male; che non gli avrebbe egli dato di ricompensa? E così quanto pagherebbero i principi d’ogni grado, aver chi loro dinunziasse con sicurezza le carestie, le contagioni, i tremuoti, ed altri infortuni, che preveduti, potrebbero distornarsi opportunamente, o almeno debilitarsi? Eppur vediamo tutto di, che non gli hanno. Adunque è segno che tale scienza non v’è, e se pur v’ è, v’è da scena, non v’è da cattedra. Contuttociò, perché ella non va punto a ferire la provvidenza, non è dovere impiegare gli strali contra una fiera sì dimestica, quando frattanto scappano via le selvagge. Quella che non può soffrirsi è l’audacia de’ genetliaci, i quali non si curando di dar la buona ventura alle campagne, agli alberi, agli animali (da cui non possono cavar nulla di lucro), la danno agli uomini, con predir loro la vita, ora lunga, ora breve, e gli avvenimenti, ora prosperi, ed ora avversi: volendo che, come già gli egiziani aspettavano dal Nilo, e non dal cielo, la loro fertilità; così noi dal cielo, e non dal Fattore del cielo attendiamo la nostra sorte. Intendo io dunque di far vedere che tutta l’arte di questa professione superba è, se ben si rimira, sognar con arte. Ed eccovi su ciò la mia schietta proposizione.

VI. L’astrologia giudiziale è un ritrovamento fondato in aria, senza ragione alcuna, e senza esperienza bastevole a sostenerla. Cominciamo la ragione (L’astrologia giudiziale, od astromanzia, ebbe la sua culla nell’antico Oriente, e viene reputata una corruzione di antichissime dottrine astronomiche, detta per ciò da Keplero una figlia pazza di madre saggia; e la sua pazzia è così universalmente riconosciuta, che non v’ha oggidì uomo di senno, nonché pensatore serio, che la tenga in qualche conto)

SALMI BIBLICI: ” CONFITEMINI, DOMINO … CONFITEMINI ” (CXXXV)

SALMO 135: “CONFITEMINI DOMINO … CONFITEMINI”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 135 (136)

Alleluja.

[1] Confitemini Domino,

quoniam bonus, quoniam in æternum misericordia ejus.

[2] Confitemini Deo deorum, quoniam in æternum misericordia ejus.

[3] Confitemini Domino dominorum, quoniam in æternum misericordia ejus.

[4] Qui facit mirabilia magna solus, quoniam in æternum misericordia ejus.

[5] Qui fecit caelos in intellectu, quoniam in æternum misericordia ejus.

[6] Qui firmavit terram super aquas, quoniam in æternum misericordia ejus.

[7] Qui fecit luminaria magna, quoniam in æternum misericordia ejus:

[8] solem in potestatem diei, quoniam in æternum misericordia ejus;

[9] lunam et stellas in potestatem noctis, quoniam in æternum misericordia ejus.

[10] Qui percussit Aegyptum cum primogenitis eorum, quoniam in æternum misericordia ejus.

[11] Qui eduxit Israel de medio eorum, quoniam in æternum misericordia ejus,

[12] in manu potenti et brachio excelso, quoniam in æternum misericordia ejus.

[13] Qui divisit mare Rubrum in divisiones, quoniam in æternum misericordia ejus;

[14] et eduxit Israel per medium ejus, quoniam in æternum misericordia ejus;

[15] et excussit Pharaonem et virtutem ejus in mari Rubro, quoniam in æternum misericordia ejus.

[16] Qui traduxit populum suum per desertum, quoniam in æternum misericordia ejus.

[17] Qui percussit reges magnos, quoniam in æternum misericordia ejus;

[18] et occidit reges fortes, quoniam in æternum misericordia ejus:

[19] Sehon, regem Amorrhaeorum, quoniam in æternum misericordia ejus;

[20] et Og, regem Basan, quoniam in æternum misericordia ejus;

[21] et dedit terram eorum haereditatem, quoniam in æternum misericordia ejus;

[22] hæreditatem Israel, servo suo, quoniam in æternum misericordia ejus.

[23] Quia in humilitate nostra memor fuit nostri, quoniam in æternum misericordia ejus;

[24] et redimit nos ab inimicis nostris, quoniam in æternum misericordia ejus.

[25] Qui dat escam omni carni, quoniam in æternum misericordia ejus.

[26] Confitemini Deo caeli, quoniam in æternum misericordia ejus. Confitemini Domino dominorum, quoniam in æternum misericordia ejus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXXV

Invita il profeta, siccome nel Salmo antecedente, a lodare la misericordia di Dio. Ad ogni versetto ripete che la misericordia di Dio è in eterno, a dimostrare che le opere tutte di Dio, in creare, provvedere e redimere sono non per necessità, o per debito, ma unicamente per bontà di Dio, che si effonde e comunica.

Alleluja: lodate Dio.

1. Date lode al Signore, perché egli è buono,

perché la misericordia di lui è in eterno.

2. Date lode al Dio degli dei, perché la misericordia di lui è in eterno.

3. Date lode al Signore dei signori, perché la misericordia di lui è in eterno.

4. Il quale solo fa grandi meraviglie, perché la misericordia di lui è in eterno.

5. Il quale con sapienza creò i cieli, perché la misericordia di lui è in eterno.

6. Il quale posò la terra sopra le acque, perché la misericordia di lui è in eterno.

7. Il quale fece i grandi luminari, perché la misericordia di lui è in eterno.

8. Il sole per presedere al giorno, perché la misericordia di lui è in eterno.

9. La luna e le stelle per preseder alla notte, perché la misericordia di lui è in eterno.

10. Il quale percosse l’Egitto co’ suoi primogeniti, perché la misericordia di lui è in eterno.

11. Il quale trasse Israele di mezzo all’Egitto, perché la misericordia di lui è in eterno.

12. Con mano possente e con braccio alzato, perché la misericordia di lui è in eterno.

13. Il quale divise in parti il mar Rosso, perché la misericordia di lui è in eterno.

14. E pel mezzo di esso condusse Israele, perché la misericordia di lui è in eterno.

15. E precipitò Faraone e l’esercito di lui nel mar Rosso, perché la misericordia di lui è in eterno.

16. Il quale fe’ passare il suo popolo pel deserto, perché la misericordia di lui è in eterno.

17. Il quale percosse dei re grandi, perché la misericordia di lui è in eterno.

18. E uccise de’ re forti, perché la misericordia di lui è in eterno.

19. Sehon re degli Amorrei, perché la misericordia di lui è in eterno.

20. E Og re di Basan, perché la misericordia di lui è in eterno.

21. E diede la loro terra in retaggio, perché la misericordia di lui è in eterno.

22. In retaggio ad Israele suo popolo, perché la misericordia di lui è in eterno.

23. Perché nella nostra umiliazione si è ricordato di noi, perché la misericordia di lui è in eterno.

24. E ci ha riscattati dai nostri nemici, perché la misericordia di lui è in eterno.

25. Il quale dà il nudrimento ad ogni animale, perché la misericordia di lui è in eterno.

26. Date lode al Dio del cielo, perché la misericordia di lui è in eterno. Date lode al Signore de’ signori, perché la misericordia di lui è in eterno.

Sommario analitico

Questo salmo, che sviluppa un po’ gli stessi pensieri del precedente, è un elogio della misericordia divina. Il salmista esorta il suo popolo a lodare Dio:

 (questo salmo è notevole per il ricorrersi del ritornello: « … perché eterna è la sua misericordia, » che chiude ogni versetto. Questo ritornello è ripetuto come risposta dei leviti o del popolo, come le strofe in risposta alle nostre litanie)

I. Perché in se stesso:

1° Egli è buono (1);

2° Egli è il Dio degli dei (2);

3° Egli è il Signore dei signori ed ha un sovrano controllo su tutto ciò che esiste (3)

II. – Perché nella creazione ha fatto meraviglie:

1° creando i cieli con la sua potenza (5);

2° fondando e stabilendo la terra sopra le acque (6);

3° ponendo nei cieli questi grandi lumi che devono presiedere al giorno ed alla notte (7-9)

III. – Perché nel governo del suo popolo:

1° in Egitto, Egli ha devastato questa regione, ne fatti morire tutti i primogeniti, e ne ha fatto uscire il suo popolo (10-12);

2° nel mar Rosso, ha diviso le sue acque che hanno liberato un passaggio agli Israeliti ed inghiottito gli egiziani (13, 14):

3° nel viaggio attraverso il deserto, Egli ha condotto il suo popolo e sconfitto re potenti che tentavano di attaccarlo (16-20);

4° nella terra promessa, ha dato un’eredità al suo popolo (21 22).

IV. Nella liberazione della cattività di Babilonia:

1° Egli è venuto in soccorso di coloro che erano nell’afflizione;

2° li ha liberati dai loro oppressori (23, 24);

3° li ha nutriti con questa paterna provvidenza, con cui nutre e conserva ogni creatura vivente (25, 26).

Spiegazioni e Considerazioni

I . — 1-4

 .

ff. 1-3. –  « … Perché eterna è la sua misericordia; » vale a dire che in Dio non si vede l’oblio seguire il beneficio, l’indifferenza alla misericordia, come succede troppo spesso tra gli uomini, che le passioni dominano, la loro condizione incatena, il loro stato di dipendenza arresta, e ai quali gli avvenimenti non permettono di agire come vorrebbero. Tale non è la condotta di Dio: Egli non interrompe mai il corso della sua misericordia, mai cessa di esercitarla, con mezzi variati all’infinito. La durata della sua misericordia non è limitata a dieci, venti, cento, duecento, mille anni; essa è uguale alla durata dell’esistenza dell’uomo sulla terra, si estende al tempo ed all’eternità. (S. Chrys.). – Dio è non solo elevato al di sopra di tutti i falsi dei del paganesimo, ma ancora è il loro Dio, il Dio di tutti coloro ai quali la Scrittura dà il nome di dei, come ai principi, ai giudici, ai magistrati. – Lodare Dio come il Signore dei signori, significa dare nel proprio cuore una vera preferenza al di sopra di tutto (Duguet).

II. – 5-9.

ff. 5 – 9. – Il Profetaprova ora ciò che andava dicendo, che Dio è il Padrone ed il Signore degli dei, e dimostra questa verità come già aveva fatto, con gli oggetti della sua potenza. Ora, egli non dice “che ha fatto”, ma «che fa », perché Dio non cessa di spandere le sue grazie ed operare i prodigi che sorpassano l’intelligenza umana. Egli fa soprattutto risaltare queste due caratteristiche dell’operazione divina: Dio agisce da solo, o piuttosto dà quattro caratteri della sua superiorità: Dio agisce, opera prodigi, questi sono grandi prodigi, ed Egli è solo ad operarli (S. Chrys.). – « Che fa solo i prodigi più grandi. » Vi sono certe meraviglie che Dio ha fatto da solo, ed il salmo le indica; vi sono altri miracoli che egli va ad enumerare, ma che il Signore ha fatto con l’intermediazione degli uomini. (S. Agost.). – Il cielo visibile non è il solo che Dio ha fatto, Egli ne ha creato un altro per insegnarci, dall’inizio del mondo, che Egli non ci avrebbe lasciato sulla terra, ma che ci avrebbe trasportato in questo altro cielo a cui ci destina. (S. Chrys.). – Egli ha dunque fatto i cieli con la sua sapienza e con la sua bontà, con l’atto della sua intelligenza e della sua volontà, che sono come le sue due mani, senza materia preesistente, senza strumenti, senza soccorso di nessuno. – La terra è stata raffermata al di sopra delle acque, non perché l’acqua sia al di sotto della terra, ma perché la superficie della terra è in gran parte più elevata della superficie dell’acqua, affinché gli uomini e gli animali possano abitarla e vivervi convenientemente. Il sole visibile rischiara gli occhi sani, ed acceca gli occhi malati; il sole invisibile delle nostre anime, Gesù-Cristo, illumina quelle che sono degne di avvicinarsi a Lui, e lascia nell’oscurità quelle dalle quali si ritira, perché esse si sono ritirate da Lui. – La Chiesa, figurata dalla lune, è nella notte, e diviene oscura quando le passioni terrene, o dei suoi figli, o di coloro che la governano, si trovano interposti tra essa e Gesù-Cristo, che è il suo sole. (Duguet.). – Il salmista parrebbe indicare qui la mirabile armonia dei doni variati della grazia che Dio fa agli uomini. « Ad uno, dice l’Apostolo, è dato dallo Spirito, il linguaggio di Sapienza; » ecco cosa figura il sole creato per presiedere al giorno; « ad un altro è stato dato, dal medesimo Spirito, il linguaggio della scienza, » ciò che è figurato dalla luna. Sembra far poi allusione alle stelle quando dice: « Agli altri, la fede per mezzo dello stesso Spirito, ad un altro la grazia di guarire dal medesimo Spirito; ad un altro la virtù di operare miracoli; ad un altro il discernimento degli spiriti; ad un altro l’interpretazione dei discorsi. » (I Cor. XIII; 8-40).Non c’è in effetti una sola delle sue grazie che non sia necessaria nella notte di questo mondo. (S. Agost.).

III. — 10-22.

ff. 10-22. – Questi miracoli operati in Egitto sono la figura di miracoli non meno reali e ben più elevati che Dio opera tutti i giorni nella Chiesa. – Egli colpisce il mondo, così come le cose reputate più preziose nel mondo. – Egli trae i suoi santi ed i suoi fedeli da mezzo i malvagi, « con mano potente e braccio levato.» Egli divide il mar Rosso, di modo che un solo e medesimo Battesimo è per gli uni causa di vita, e per gli altri causa di morte. – Egli fa passare il suo nuovo popolo in un battesimo di rigenerazione. – Egli distrugge rapidamente e i peccato dei suoi e le conseguenze di questo peccato, mediante il Battesimo. –  Egli ci conduce e ci guida come suo popolo attraverso le secche e le aridità di questo mondo, affinché non vi periamo. – Egli colpisce e distrugge le potenze diaboliche e malefiche (S. Agost.) – I popoli di Chanaan non erano che delle figure imperfette dei nemici della salvezza: essi erano uomini possenti, orgogliosi, dediti a tutti i disordini che descrive il libro sacro della Sapienza: « Era questa una razza maledetta dalla sua origine, una nazione perversa ed indurita nel crimine. » Dio attese lungo tempo questi empi, diede presentimenti della sua collera; Egli voleva ricondurli ai principi della saggezza e del vero culto, ma la loro ostinazione fu inflessibile, e le vendette divine si accesero infine contro di essi. (Berthier). – È a giusto titolo che il Profeta ripeta dopo ogni versetto: « … Perché eterna è la sua misericordia; » perché questi prodigi sono una testimonianza evidente di questa provvidenza, la cui azione non si esaurisce mai. Questa provvidenza paterna non si è manifestata solo nei prodigi dell’Egitto e della terra di Chanaan; ogni epoca, ogni periodo della storia dei Giudei (ed ancor più dei Cristiani), ha visto estendersi fino ad essa gli effetti sensibili della bontà divina (S. Chrys.).

IV. 23 – 26.

ff. 23 – 26. — « Egli ci ha liberato dai nostri nemici. » Senza fare una enumerazione dettagliata delle guerre, degli attacchi, delle vittorie del popolo di Dio, il salmista riassume in una sola parola la lunga serie dei loro trionfi. (S. Chrys.). « Egli dà nutrimento ad ogni carne. » Il principio produttore degli alimenti e dei frutti non è dunque né la terra, né le piogge, né l’aria, né il sole, né qualche altro alimento creato, ma è solo a Dio che bisogna rapportarlo. Queste parole esprimono, pertanto, lo stesso pensiero del Salvatore: « … Egli fa sorgere il sole sui buoni e sui malvagi, e piovere sui giusti e sugli ingiusti, » (Matth. V, 45), vale a dire che Egli dà nutrimento non solo agli uomini giusti e virtuosi, ma pure ai peccatori ed agli empi, ed alla natura umana tutta intera. (S, Chrys.). – Cominciamo come questo salmo e finiamo le nostre preghiere con il lodare il Dio del cielo ed il Signore dei signori, principalmente a causa della sua Misericordia eterna, nel suo principio e nei suoi effetti.  

IL CUORE DI GESÙ E LA DIVINIZZAZIONE DEL CRISTIANO (8)

H. Ramière: S. J.

Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (8)

[chez le Directeur du Messager du Coeur de Jesus, Tolosa 1891]

SECONDA PARTE

MEZZI GENERALI DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Capitolo VIII

COME LO SPIRITO SANTO OPERA LA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Come si realizzerà questo miracolo?

Come avverrà mai questo miracolo? Tale è il grido che parte dal cuore di Maria alla notizia del grande mistero che deve essere consumato nel suo grembo: la divinizzazione dell’umanità. Come posso essere madre, e Madre del mio Dio, io figlia di Adamo, costretta per voto irrevocabile alla sterilità perpetua? E se quello che nascerà da me è il Figlio di Davide, come può essere allo stesso tempo il Figlio dell’Altissimo? Se davvero possiede la natura umana come può possedere la natura divina? – Anche noi vediamo simili impossibilità quando ci viene annunciato il piano divino, che ci fa partecipare all’Incarnazione del Verbo di Dio. Perché, se proprio non c’è una perfetta somiglianza tra questi due misteri, c’è almeno un’intima analogia, ed entrambi sono superiori alle forze e alle esigenze della nostra natura. Possiamo anche chiedere come l’umile Vergine di Nazareth: Come può accadere questo? Alla nostra domanda, il messaggero dell’amore divino risponderà in un senso diverso, ma con la stessa verità, come l’Arcangelo rispose a Maria: « Lo Spirito Santo scenderà su di voi e la potenza dell’Altissimo vi coprirà con la sua ombra. E così il Santo che nascerà da voi sarà chiamato Figlio di Dio ».

Lo Spirito Santo verrà su di noi.

Lo stesso Spirito che è sceso nel grembo di Maria per prepararla a diventare Madre di Dio, è stato mandato nei nostri cuori per farci rinascere, per farci figli adottivi del Padre Celeste e fratelli e sorelle di Gesù Cristo: « Poiché Dio ha voluto farvi suoi figli – esclama San Paolo – ha mandato nei vostri cuori lo Spirito del Figlio suo, che grida Abba Padre » (Gal. IV, 6). Queste due missioni, diverse nei risultati, sono ugualmente reali, e l’una è il complemento dell’altra. Lo Spirito di Dio è in noi, se abbiamo la felicità di essere in uno stato di grazia, come lo era Maria: come nel grembo di Maria Esso ha formato l’Uomo-Dio, così, unendoci a Gesù Cristo, ci rende uomini divini. A noi resta da capire, per quanto possiamo comprendere, in cosa consista la nostra divinizzazione. – Non è una divinizzazione per pura somiglianza, frutto della perfezione che un uomo può acquisire sviluppando le sue facoltà. Un abile pittore è in grado di riprodurre i lineamenti e l’espressione di un uomo vivo in modo tale che venga riconosciuto e si dica: è lui! Tuttavia, tra l’immagine della vita e la vita stessa c’è un abisso. Così l’uomo può rendere questa immagine sempre più simile, perfezionando la sua intelligenza con la conoscenza della verità, e la sua volontà con l’amore del bene. Alcuni uomini sono saliti a tal punto che sono stati chiamati divini: così si dice ad esempio “il divino Platone”. Nello stesso senso, si dice di un capolavoro d’arte, che è divinamente bello. Essendo Dio il modello sovrano di ogni perfezione, più divine sono le opere della natura e dell’arte, più si avvicinano alla perfezione. – È questa la natura della divinizzazione del Cristiano? Per niente! Supponiamo che l’uomo faccia, per secoli e per tutta l’eternità, un continuo progresso nella perfezione propria della sua natura; che la sua intelligenza penetri sempre più nella conoscenza della verità, e che la sua volontà si elevi altrettanto rapidamente sulla scala della virtù. Quando quest’uomo avesse raggiunto la vetta, sarebbe stato infinitamente al di sotto della perfezione conferita ad un bambino cristiano dal Battesimo. Perché la divinizzazione di quest’uomo sarebbe puramente metaforica, mentre quella del bambino cristiano è reale. – Quello che diciamo della natura umana lo possiamo dire anche della natura angelica. Secondo San Tommaso, tra gli spiriti puri ci sono tante specie diverse quante sono gli individui. Non c’è dubbio che le gerarchie celesti siano diverse l’una dall’altra, e che crescano nella perfezione dagli Angeli ai Serafini. – Ebbene, se il più eccellente di questi spiriti puri fosse stato lasciato nella sua condizione naturale, anche se la sua perfezione fosse stata incomparabilmente superiore alla perfezione naturale dell’uomo, sarebbe stato infinitamente inferiore al bambino battezzato. Quest’ultimo infatti è stato veramente elevato dal Battesimo all’ordine divino, che è infinitamente superiore a quello angelico.

La nostra divinizzazione non risultada un semplice contatto della divinità con l’anima.

La nostra divinizzazione non deriva dal semplice contatto della divinità con l’anima. Dobbiamo immaginare la santità dell’anima come il risultato di una sorta di contatto della santità divina? Supponiamo un bicchiere di ferro sporco e ammuffito. Un abile argentiere lo prende, e senza cambiarne la natura, anche senza toglierne la muffa, lo circonda con una placca dorata così ben aderente che assume tutte le forme del vaso e ne nasconde la bruttezza. Siamo santificati e divinizzati in questo modo? – Lutero la pensava così, ma il suo errore è stato anatemizzato dal Concilio di Trento. Secondo l’eretico, il peccatore può essere giustificato senza essere liberato dalla sua sporcizia e senza liberarsi del suo attaccamento al peccato: basterebbe che la giustizia di Gesù Cristo sia applicata per fede: da quel momento in poi l’uomo sarebbe giusto a causa di questa giustizia. Ed i suoi peccati quindi, senza essere distrutti, sono coperti. Dio non vede in lui le macchie dell’uomo colpevole, ma solo la santità del suo Figlio Divino. Così, per Lutero, Gesù Cristo, invece di distruggere i nostri peccati, non avrebbe fatto altro che nasconderli; invece di divinizzarci realmente, avrebbe coperto le nostre miserie con il mantello della sua divinità. Il Concilio di Trento ha definito che l’uomo peccatore riceve per la sua giustificazione una giustizia propria che, in luogo degli affetti colpevoli da cui lo libera, conferisce al suo cuore la carità divina e tutte le altre virtù soprannaturali. È di fede che l’uomo non è giustificato e divinizzato per il solo fatto di avere nel cuore la grazia e la carità increata, che è lo Spirito Santo. Affinché la nostra santificazione sia reale, deve essere posseduta da noi la santità; che le virtù naturali, che possiamo acquisire con il buon uso della nostra libertà, ci appartengono così come ci appartengono. La divinizzazione del Cristiano non deriva quindi dal contatto della divinità con l’anima, né dalla semplice somiglianza tra essa e la divinità. Le due spiegazioni peccano per difetto: la prima non attribuisce all’anima nulla di veramente divino; la seconda, avvicinando la divinità a noi, la lascia fuori di noi. Né l’uno né l’altro modo ci divinizza veramente.

La nostra divinizzazione non è unatransustanziazione, né l’unione divinadegli eutichiani. né l’unione ipostatica.

Per avere una certa idea di questa divinizzazione, dobbiamo concepirla come una sorta di transustanziazione? Siamo cambiati in Dio, o per grazia sulla terra, o per gloria in cielo, come il pane e il vino sono cambiati nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo con le parole della consacrazione? – Questo è stato apparentemente insegnato da alcuni falsi mistici del XIII secolo, secondo i quali l’anima che ha raggiunto la perfezione, si spoglia del proprio essere e si immerge nell’oceano dell’Essere divino. Interpretare in questo senso certe metafore dei Santi Padri, è cambiare la più sublime di tutte le verità in un’assurdità. Privarci del nostro essere non sarebbe divinizzarci, ma annientarci. D’altra parte, come può mai la creatura unirsi a Dio in modo tale che il suo essere limitato sia confuso con l’Essere infinito di Dio? Gettiamo allora questa assurdità fuori dalla nostra mente. La nostra divinizzazione non può consistere nella confusione del nostro essere con l’Essere di Dio. Né può consistere in quell’altro tipo di unione divina che alcuni discepoli di Eutiche avevano attribuito all’umanità del Salvatore e che Michele Server, bruciato vivo da Calvino, concedeva a tutte le anime giuste. Secondo questi eretici, la divinità anima e vivifica l’umanità, così come l’anima anima e vivifica il corpo. Così come l’anima e il corpo, sebbene diversi, formano in noi un’unica natura, così la divinità diventerebbe un’unica natura con l’umanità. Questo secondo errore è stato condannato dalla Chiesa, quando ha definito contro gli eutichiani che, anche nell’Uomo-Dio, non ci può essere confusione o mescolanza tra la natura divina e la natura umana. – C’è un terzo tipo di unione che non è impossibile, poiché è stata realizzata in Gesù Cristo, ma a cui gli altri uomini non possono aspirare, poiché è il privilegio esclusivo del Figlio di Dio: è quella per cui la natura umana, pur rimanendo distinta dalla divina, forma con essa una sola Persona. Basti dire che ciò che costituisce la grandezza di Gesù Cristo e che lo eleva, considerato come uomo, al di sopra delle nature create è che, in virtù di quell’unione, Gesù Cristo è vero Dio senza cessare di essere vero uomo. Il suo nome proprio, come abbiamo detto, è quello di Uomo-Dio, mentre il Cristiano è un uomo divinizzato.

Nel mezzo c’è la verità.

Le ultime tre spiegazioni peccano per eccesso, come le prime hanno peccato per difetto. La verità sta tra questi due estremi. Ma chi ce lo mostrerà? Due paragoni, familiari ai santi dottori e riprodotti dai due principali maestri della scuola cattolica: San Tommaso e San Bonaventura, spiegheranno questo dolce mistero. Il primo è preso dalla luce materiale. Due condizioni sono necessarie perché la terra sia illuminata: la prima è che il sole sia all’orizzonte; la seconda che invii i suoi raggi nell’atmosfera. Queste due cose sono diverse. La prova è che in un’eclissi, il sole, è sopra l’orizzonte, eppure siamo circondati dall’oscurità. L’illuminazione della terra richiede come prima condizione la presenza del sole; ma richiede che il sole irradi luce su tutta la natura. Così, secondo san Bonaventura, la giustificazione e la divinizzazione del Cristiano sono il risultato di due tipi di grazia: la grazia increata, lo Spirito Santo, che è come il sole, e la grazia creata che è l’irradiazione di quel sole divino sull’anima giusta. – San Tommaso usa un’altra immagine: quella del ferro fuso nel fuoco: « quel ferro non ha perso la sua natura, esso è ancora ferro, e senza dubbio viene privato delle qualità del ferro per essere rivestito da quelle del fuoco. Invece di essere scuro, freddo, resistente, è diventato duttile, splendente e bruciante come il fuoco. Non si è mutato in fuoco, ma è stata ignificato, bruciato. Così, il Cristiano al quale Dio si dona con la grazia santificante, conserva la sua natura umana e la sua personalità, ma acquisisce la forza e le qualità divine. Non diventa Dio, ma un uomo divino. Questa divinizzazione non è l’effetto di una somiglianza. È il risultato dell’intima unione dell’anima con la divinità, e dell’immediata influenza della divinità sull’anima: « Poiché, come il fuoco ha il potere di ignificare, così nessuna influenza può divinizzare l’anima se non quella della divinità, dando all’anima una partecipazione della sua somiglianza e natura » (I. II. Q. 112, a I). Questi paragoni non dissipano tutte le nebbie del mistero della nostra divinizzazione. Come tutti gli altri misteri, esso si vedrà chiaramente solo in cielo. Ma possiamo farci un’idea della divinità infinita che la grazia ci conferisce. Possiamo determinare il luogo che la nostra unione con Gesù Cristo ci segnala ad una distanza infinita dall’Uomo-Dio, ma ad una distanza altrettanto infinita da tutto ciò che è puramente creato. – Abbiamo trovato il giusto mezzo che cercavamo tra la divinizzazione puramente morale e figurativa, e quello che ci voleva spogli del nostro essere per rivestirci dell’essere di Dio; tra la semplice somiglianza e l’incarnazione. Così l’anima giusta possiede in sé una santità distinta dallo Spirito Santo; ma essa è inseparabile dalla presenza dello Spirito Santo in questa anima ed è quindi infinitamente superiore alla santità più alta che potrebbe essere raggiunta da un’anima in cui lo Spirito Santo non abitasse. Quest’ultima anima non potrebbe che essere divinizzata moralmente dalla somiglianza delle sue disposizioni con quelle di Dio. Il Cristiano, al contrario, è fisicamente e, in un certo senso, sostanzialmente divinizzato; poiché, senza diventare una stessa sostanza e una stessa persona con Dio, egli possiede in sé la sostanza di Dio e riceve la comunicazione della sua vita.

Dottrina di altri santi Dottori.

Abbiamo già visto i Padri cercare nella vera divinizzazione del Cristiano un argomento inconfutabile per dimostrare la divinità dello Spirito Santo, l’Autore di essa. Per corroborarla, essi studiano la natura di questa azione dello Spirito Santo nelle anime e sollevano il velo del grande mistero. Si servono per questo di diversi confronti per chiarire i due punti che abbiamo appena stabilito: l’unione, non solo morale ma anche fisica, dello Spirito Santo con l’anima del Cristiano e la somiglianza divina che ne risulta per l’anima di questa unione. – Ascoltiamo la comparazione proposta da San Basilio e ripresa da San Tommaso: « Come il ferro posto al centro di un braciere non cessa di essere ferro, ma quando viene bruciato e ignificato dalla forza della sua unione con il fuoco, assume il suo colore, la sua virtù e la sua natura: così gli spiriti santificati acquisiscono, mediante la loro unione con lo Spirito Santo per essenza, una santità che penetra nella loro sostanza e diventa la loro seconda natura. La differenza tra loro e lo Spirito Santo è che quest’ultimo è Santo per natura, mentre gli altri sono santi solo attraverso la comunicazione. (S. Basil. L. III, adv. Eunom. Max. MG: 29, 654). E qual è la santità che nello Spirito Santo è per natura e nella nostra anima lo è per comunicazione? È la vita divina – risponde San Basilio – che lo Spirito Santo possiede come sua propria, e che i Cristiani ricevono da Lui: « Perché la vita che lo Spirito Santo riversa nelle anime, distinte da Esso nella sostanza, non si separa da Lui; ma nella stesso modo  che – citando il fuoco che riscalda l’acqua o un altro corpo – lo stesso calore è parte del fuoco e parte dell’acqua, così lo Spirito Santo possiede in sé la vita divina, e chi la riceve giunge, proprio per questo, a questa vita divina e celestiale come conviene agli dei » (Ibid. p. 710). – Sant’Atanasio usa altri due paragoni: quello del balsamo che consacra re e sacerdoti, e quello del sigillo che incide la sua immagine nella cera: « Lo Spirito Santo – egli dice – è il balsamo con cui il Verbo consacra le anime, il sigillo con cui le segna: coloro che hanno ricevuto l’impressione di quel sigillo partecipano alla natura divina, come afferma San Pietro. Siamo fatti, per mezzo dello Spirito, associati di Dio, come ci insegna San Giovanni, da parte sua, quando scrive: “Sappiamo che abitiamo in Dio e Dio in noi, a causa del sigillo che ci ha dato dal suo Spirito.” Ma se la partecipazione dello Spirito Santo ci rende partecipi della natura divina, sarebbe una sciocchezza affermare che lo Spirito Santo non possieda quella natura e che è del numero degli esseri creati. Se ci rende divinità è evidente che la sua natura debba essere la natura di Dio » (S. Atanasio, MG: 26, 530). – San Cirillo di Alessandria ragiona allo stesso modo, e spiega il suo pensiero commentando le parole di San Paolo: “Siete segnati dal sigillo dello Spirito” (Efes. 1, 14). « Se il sigillo dello Spirito Santo ristabilisce la forma divina in noi, come può essere creato se attraverso di Esso, l’immagine dell’essenza increata si imprime nelle nostre anime? Lo Spirito Santo, infatti, non deve essere rappresentato come un pittore che traccia in noi l’immagine dell’essenza divina come qualcosa di diverso da Lui; ma, essendo Dio stesso e procedendo da Dio, Egli si imprime invisibilmente nel cuore di chi lo riceve, come un sigillo si imprime sulla cera; e da questa materia l’immagine di Dio si riforma nella natura umana in quanto entra per partecipare di Dio ». – Possiamo già vedere con quale cura questi santi Dottori distinguano la vera divinizzazione, prodotta nell’anima del Cristiano dalla sua unione fisica con lo Spirito Santo, dalla divinizzazione puramente figurativa che risulta da una semplice conformità di sentimenti. « Non basta – dice san Cirillo – la semplice conformità della nostra volontà con quella di Dio per formare in noi quell’immagine e somiglianza fisica; sono richieste la similitudine di natura e la perfetta conformità che viene dall’essenza stessa di Dio, presente in noi … Per essere veramente conformi a Dio, è necessario che la forma suprema, che è il Verbo di Dio, sia impressa dal suo Spirito sulle nostre anime » (S. Cirillo di Ales.: Dial. V. de Trinitate, MG: 75, 950). Questi sono i tesori che il Figlio di Dio è venuto a portarci e che sono stati la causa delle umiliazioni della sua incarnazione e della sua morte. Ora capiamo che se Dio si fosse fatto uomo e avesse versato il suo sangue per dare agli uomini una perfezione umana, sarebbe stato come abdicare alla sua sapienza, alla sua dignità e alla sua divinità; ma che un Dio si faccia uomo per divinizzare gli uomini, è un piano degno della sua sapienza oltre che del suo amore.

Capitolo IX

LA PARTE SPECIALE DELLO SPIRITO SANTO NELL’OPERA DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Cosa significa che « la nostra santificazione è l’opera dello Spirito Santo »?

Negli insegnamenti della Scrittura e dei Dottori sulla divinizzazione del Cristiano, c’è una formula che si ripete ad ogni passo e che potrebbe essere fraintesa, se non ne determiniamo con precisione il significato: quest’opera infatti è sempre attribuita allo Spirito Santo come sua opera speciale. La tradizione divide, tra le tre Persone della Trinità, le operazioni per mezzo delle quali siamo tratti dal nulla e condotti alla felicità eterna: la Creazione è attribuita al Padre, la Redenzione al Figlio e la Santificazione allo Spirito Santo. Questo significa che la nostra santificazione è veramente opera dello Spirito Santo, o che quest’opera gli si addice? Il lettore comprenderà presto il significato di queste due parole confrontando la parte attribuita allo Spirito Santo con quella delle altre Persone divine. Attribuiamo la Creazione a Dio Padre e la Redenzione a Dio Figlio. La differenza è così grande che chi sostiene che solo il Padre ci abbia creato o che nega che solo il Figlio ci abbia redenti merita di essere condannato come eretico. La fede cristiana ci insegna che l’onnipotenza, come gli altri attributi della divinità, è comune a tutte e tre le Persone. Tutti sono diventati parti uguali della creazione, ma poiché il Padre è in relazione alle altre due Persone della Trinità, il principio della Potenza e dell’Essere, gli attribuiamo soprattutto l’operazione per cui tutta la divinità è per gli esseri creati il principio di esistenza. Così attribuiamo a Dio Padre la Creazione, anche se non è esclusivamente sua. Nella Redenzione, al contrario, la fede ci dice che, se le tre Persone hanno lavorato insieme in quest’opera, creando la natura umana del Salvatore, una sola Persona, quella del Figlio, si è unita a quella natura, comunicandole la sua sussistenza, natura nella quale è nato, ha sofferto ed è morto, e con la sua morte ci ha salvati. Alcuni novatori dei primi secoli avevano negato questa verità. Dall’errata comprensione dell’unità della natura divina deducevano che Dio Padre avesse sofferto come Dio Figlio. Sono stati anatematizzati con il nome di patripasiani. – Cosa dobbiamo pensare allora dell’opera di santificazione? In che senso essa viene attribuita allo Spirito Santo? Deve questa essere paragonata all’opera della Creazione, o deve essere considerata come opera della terza Persona, allo stesso titolo per cui il riscatto è opera della seconda Persona? Non troveremo qui le stesse prove, né nella materia in sé, né nei monumenti della tradizione. Ci sono però cose che tutti ammettono e che non possiamo rifiutare senza separarci dalla fede.

Dottrina da tutti ammessa

Il cardinale Franzelin, nel suo Trattato De Trinitate, riassume in questo modo i punti che non danno adito al minimo dubbio: « la dottrina della Scrittura e dei Padri riguardo all’unione dello Spirito Santo con i giusti, dimostra con evidenza che, per quanto riguarda questa unione e la inabitazione santificante, c’è qualcosa di proprio e di personale dello Spirito Santo. Ma, d’altra parte, questa proprietà dello Spirito Divino non deve in alcun modo compromettere l’unità delle tre Persone nelle loro operazioni e nei loro rapporti con le creature. Alcune spiegazioni ci faranno sentire il senso e la verità di questa doppia affermazione. – Apriamo il Nuovo Testamento. Ovunque è attribuita allo Spirito Santo la stessa funzione: santificare le anime. È vero non di meno che il Padre e il Figlio non sono estranei a quest’opera. Il Sacramento che ci rigenera ci viene conferito a nome delle tre Persone. Tutte e tre vanno all’anima giusta e vi stabiliscono la loro dimora. Non si può negare, tuttavia, che una parte speciale sia costantemente riservata allo Spirito Santo. Come il Figlio di Dio fu inviato dal Padre per salvare il mondo, una volta terminata la sua missione, Egli promette di inviare il suo Spirito per completarla con la santificazione delle anime. Il Paraclito consolerà i discepoli addolorati per la partenza del loro amato Maestro. Egli li istruirà su tutto, ricorderà e farà loro capire ciò che Gesù Cristo ha insegnato loro. Non una volta, ma ben quattro volte, il Salvatore annuncia ai suoi discepoli questa invisibile missione dello Spirito Santo, destinata a succedergli nella sua missione visibile ed a completarla con successo. Infatti deve essere così reale e produrre così tanti frutti che, per goderne appieno, è opportuno che gli Apostoli siano privati delle gioie che danno i rapporti visibili con il loro Maestro. Non è forse questa l’espressione di un ruolo speciale affidato allo Spirito Santo nell’opera di santificazione delle anime? Dieci giorni dopo l’Ascensione del Signore, le promesse fatte agli Apostoli furono visibilmente mantenute. Lo Spirito Santo scende dal cielo sotto forma di lingue di fuoco, e non appena la Sua fiamma tocca la fronte degli Apostoli, questi si trasformano in uomini nuovi. La loro intelligenza è illuminata da luci sconosciute; il loro cuore brucia di ardore che non sarà mai spento. Una volta santificati, essi esercitano immediatamente il potere di santificare gli uomini. È impossibile non vedere in questo un intervento speciale dello Spirito Santo. Allo stesso modo San Paolo lo attribuirà costantemente allo Spirito di Dio. La sua teologia non è altro che la magnifica esposizione dell’unione dello Spirito Divino con l’anima del Cristiano. Ce lo mostra come abitante in essa come nel suo tempio, facendole vivere di una vita divina, le dà la forza di lottare contro le inclinazioni della carne, le comunica una sapienza infinitamente superiore alla sapienza di questo mondo, le ispira i sentimenti di Gesù Cristo, la brucia nelle fiamme della carità divina, prega in lei e le insegna a invocare Dio con amore filiale, deposita in lei il seme della vita eterna ed è per essa il pegno della felicità divina.

La Scrittura e la dottrina comune sono conformi alla tradizione.

Tutto ciò è ammesso dalla Tradizione e dalla Sacra Scrittura. Il nome stesso dello Spirito Santo, che la Chiesa ha dato alla terza Persona della Trinità, è la prova della sua azione santificante. Infatti, quel nome, perché è caratteristico e distingue esattamente la terza Persona dal Padre e dal Figlio, deve riferirsi ad una proprietà che è nello Spirito Santo in modo diverso rispetto alle altre due Persone. Ora, lo Spirito Santo non possiede in sé la santità in modo diverso dal Padre e dal Figlio. Questo nome può essergli particolarmente conveniente solo nella misura in cui ha una parte speciale nell’opera della nostra santificazione; poiché, come dice il Catechismo romano, « … Egli riversa in noi la vita spirituale e ci mette in condizione, attraverso le sue sante ispirazioni, di fare opere degne della vita eterna ». Egli è, secondo l’Apostolo, « lo Spirito di santificazione », e i Dottori della Chiesa gli attribuiscono « la virtù santificante ». Ci dicono, inoltre, che la sua caratteristica distintiva è quella di essere “il dono” per eccellenza. Come il Figlio procede dal Padre per mezzo della nascita – dice sant’Agostino – lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio per mezzo del dono. Non che sia essenzialmente dato alle creature, perché l’opera di santificazione delle anime è libera come quella della Redenzione e, di conseguenza, l’esistenza dello Spirito Santo è indipendente da essa. Ma poiché l’amore del Padre e del Figlio è il primo dono che fanno a se stessi coloro che si amano, è nella natura dello Spirito Santo essere dato a tutti coloro che sono oggetto dell’Amore divino. I Santi Dottori deducono la realtà della missione dello Spirito Santo dal fatto che Egli abiti in noi e che per mezzo di Lui il Padre e il Figlio dimorino ugualmente, come inseparabili da Lui. Essi ci dicono che, incidendo in noi la sua immagine, ci rende simili al Figlio che ce lo manda, e attraverso il Figlio al Padre; che unendoci a Sé, ci unisce al Padre e al Figlio. Da tutti gli insegnamenti dei Padri possiamo dedurre questa speciale partecipazione dello Spirito Santo all’opera della nostra divinizzazione. Il cardinale Franzelin ha quindi ragione nel presentare questo punto come indubbio. Non meno vera è la seconda affermazione dell’eminente teologo: « La parte propria e personale dello Spirito Santo nell’opera della nostra santificazione non può nuocere all’unità delle tre Persone in tutte le operazioni e relazioni esterne. – A volte ci lasciamo ingannare dal significato della parola “persona” applicata alle creature. Questo significato viene trasferito alla divinità e le tre Persone divine sono concepite come tre nature distinte, anche se simili. Rappresentiamo così il Padre come mandante del Figlio e il Figlio come obbediente al Padre. Quando i predicatori parlano del concilio della Divina Trinità, nel quale è stata decretata l’Incarnazione del Verbo, queste espressioni figurative sono prese alla lettera, e in quell’augusto concilio ogni Persona ha un ruolo diverso. Questo modo di concepire la Trinità non è altro che l’errore del “triteismo”; perché, se il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo potessero dialogare tra loro, domandare e rispondersi, comandarsi e obbedirsi a vicenda, avrebbero tre intelligenze, tre volontà, tre nature distinte; sarebbero davvero tre dei. La loro unità non sarebbe altro che specifica, come quella di tre uomini che potrebbero essere simili in tutto e per tutto. Affinché le tre Persone non siano che un solo Dio, è necessario che siano non solo simili, ma anche identiche nelle loro proprietà naturali; che abbiano una sola e medesima intelligenza, una sola e medesima volontà e una sola e medesima operazione. Come possono quindi essere Persone diverse e in cosa consiste questa distinzione? Solo nel fatto che questa natura viene comunicata da una delle tre Persone e ricevuta dalle altre. Il Padre produce il Figlio, il Padre e il Figlio producono lo Spirito Santo. Produrre ed esser prodotto, sono due relazioni non solo diverse, ma anche opposte: in questa relativa opposizione, e solo in questo, consiste la distinzione delle Persone. Non cerchiamo di capire questo mistero, ammettiamolo con fede, come una verità innegabile. La teologia lo esprime con questo assioma: « in Dio tutte le cose sono una cosa sola, tranne i rapporti opposti delle Persone. »

Le opere delle tre Persone sono comuni a tutte e tre.

Da questa verità, ne scaturisce un’altra non meno vera. Poiché le relazioni delle Persone divine appartengono alla vita intima di Dio, la distinzione di cui esse sono causa, non può essere applicata alle opere che Dio vuole fare al di fuori di sé. Perché saranno necessariamente comuni a tutte e tre le Persone. Per questo motivo, abbiamo avvertito sopra dell’errore in cui saremmo caduti se avessimo attribuito la Creazione esclusivamente a Dio Padre. Tutti i teologi cattolici sono d’accordo nel sostenere questo assioma: tutte le operazioni esterne di Dio sono comuni a tutte e tre le Persone. Ma, stando così le cose, come può la Redenzione essere propria di Dio Figlio? Non è un’opera esterna di Dio? No, la Redenzione non è puramente e semplicemente esterna, perché, in un certo senso, è legata alla vita intima di Dio. La creazione dell’umanità del Salvatore, la sua conservazione, i suoi movimenti spirituali e corporei, appartengono all’ordine esterno della creazione ed è opera comune delle tre Persone. Ma ciò che è proprio del Verbo di Dio è l’unione, in virtù della quale Egli comunica a quella natura umana la sussistenza che riceve dal Padre suo, che lo rende Figlio di Dio. Attraverso questa unione la natura umana di Gesù Cristo penetra, in qualche modo, nella vita intima di Dio e partecipa alle relazioni delle Persone divine.

Applicazione della suddetta dottrina.

Nella divinizzazione del Cristiano possiamo considerare tre cose: la presenza di Dio nell’anima; l’unione dell’anima con Dio presente in essa, e il modo di essere che risulta per l’anima da questa unione. Che cosa può esserci in questo che sia esclusivo dello Spirito Santo? Non la prima delle tre condizioni, cioè la presenza di Dio nell’anima giusta; poiché essendo lo Spirito Santo inseparabile dal Padre e dal Figlio, non poteva abitare in un’anima senza le altre due Persone divine che coabitano con Lui. Questo è ciò che Gesù Cristo ci insegna quando promette di inviare il suo Spirito nelle anime dei suoi discepoli; poiché nello stesso tempo promette loro che, se osservano i suoi comandamenti, andrà da loro con il Padre suo e vi farà la sua dimora. Né si può attribuire allo Spirito Santo, come opera sua, il modo di essere soprannaturale che per l’anima deriva dalla sua unione con la Divinità, perché questa qualità, che abbiamo chiamato grazia creata, così come è stata creata, è opera delle tre Persone. Tutte le relazioni e le operazioni dell’ordine divino che sono, tuttavia, in essa, modificando le sue facoltà, sono il frutto della sua libera attività e hanno per loro causa primaria l’azione divina, comune al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo che produce, conserva, muove e governa l’intero universo. – Sia che la grazia sia considerata come la presenza di Dio nell’anima, o il modo soprannaturale di essere che distingue l’anima divinizzata, nessuno di questi effetti può essere attribuito allo Spirito Santo ad esclusione delle altre due Persone. Non c’è dubbio, però, che la grazia, considerata in questi due aspetti, è costantemente attribuita allo Spirito Santo dalla Sacra Scrittura e dai Santi Dottori. Per quale motivo? Due sono le ragioni addotte dal Cardinale Franzelin. In primo luogo, la divinizzazione delle anime è, tra tutte le opere di Dio, quella in cui il suo Amore si mostra più magnificamente e con più energia un’opera. Ora, lo Spirito Santo è l’Amore sussistente del Padre e del Figlio; è il termine sostanziale dell’atto, per mezzo del quale Dio ama la sua infinita bontà e in essa le sue creature. Perciò, per mezzo dello Spirito Divino, il Padre e il Figlio sono mossi ad operare la divinizzazione delle anime; Egli è, a titolo speciale, il principio della grazia. In secondo luogo, l’unione delle anime con Dio attraverso la grazia non è solo un principio ma anche un legame con l’Amore Divino; perché attraverso il suo amore Dio si unisce alla sua creatura e rispondendo a quell’amore, con un amore reciproco, la creatura accetta e consuma la sua unione con il suo Creatore. Poi, supponendo che il Padre e il Figlio si amino l’un l’altro per mezzo dello Spirito Santo, anche da Esso sono uniti alle anime. Egli è il legame sostanziale che li unisce a Dio e tra loro, così come in Dio si consuma l’unità delle Persone divine: « Il Padre e il Figlio – dice sant’Agostino – ci fanno comunicare con loro e tra di noi per ciò che è comune, cioè per lo Spirito Santo, Dio e dono di Dio » (Serm. XI, del Verbo Dom.).

L’unione dello Spirito Santo con le anime è personale.

Tutto quello che abbiamo appena stabilito è vero, ma è tutta la verità? Queste spiegazioni sono sufficienti a giustificare le affermazioni molto espressive della Sacra Scrittura e dei Dottori della Chiesa? L’unione dell’anima giusta con lo Spirito Santo non è forse più vicina e più reale? I due teologi moderni che più di tutti si sono applicati allo studio e all’esposizione della tradizione ecclesiastica, Petau e Tomassin, hanno accumulato numerose testimonianze dei Santi Padri, dalle quali sembra si possa dedurre che la santificazione delle anime sia veramente l’opera propria dello Spirito Santo, non nel senso che le altre Persone non cooperino a quest’opera, come cooperano all’Incarnazione, ma che, come tutta la Trinità divinizza sostanzialmente l’umanità di Gesù Cristo unendola alla Persona del Verbo, così tutta la Trinità divinizza accidentalmente l’anima giusta unendola alla Persona dello Spirito Santo. Come potrebbe lo Spirito Santo essere inviato dal Padre e dal Figlio, se non fosse stata una Persona diversa dall’altra? Una vera missione implica la reale distinzione tra chi invia e chi è inviato. Tutta la forza di questa argomentazione, come si vede, poggia sulla realtà della missione dello Spirito Santo alle anime che Egli santifica. Ma questa stessa missione presuppone che lo Spirito Santo abbia una parte speciale nella santificazione delle anime; che vi contribuisca in modo diverso dalle altre Persone. Supponiamo che non sia stato veramente inviato, e che questa missione non lo distingua veramente dal Padre e dal Figlio, ma nella misura in cui l’operazione per la quale è inviato sia reale in sé e diversa. – Il cardinale Franzelin distingue due tipi di missione quando parla delle Persone divine: quella visibile, che consiste nella manifestazione della loro presenza, e quella invisibile, che consiste in una speciale unione che Esse contraggono con le creature. Da questa nozione provata si può dedurre un argomento che ci sembra del tutto dimostrativo: la missione invisibile dello Spirito Santo verso le anime giuste è personale, posto  che serva a dimostrare la sua esistenza personale. Ecco allora, che se questa missione consiste nell’unione speciale della Spirito Santo con l’anima, allora questa unione è personale.

Come possiamo ammettere questa speciale unione dello Spirito Santo con l’anima giusta senza contraddire quanto detto sopra?

La difficoltà ci sembra irrisolvibile. Ricordiamo quanto è stato detto sull’Incarnazione che è anche, in un certo senso, l’opera esteriore di Dio e che non cessa di essere propria della Persona del Verbo. Non succede qualcosa di simile nell’opera di santificazione delle anime? In quest’opera abbiamo distinto tre cose: la presenza di Dio nell’anima, l’unione dell’anima con Dio e il modo di essere soprannaturale che deriva da questa unione. Abbiamo riconosciuto e dimostrato che il Padre e il Figlio sono veramente presenti, nell’anima giusta, con lo Spirito Santo; che cooperano ugualmente nelle abitudini e negli atti soprannaturali dell’anima; ma rimane un terzo punto che la maggior parte dei teologi perde di vista e dove si trova la soluzione alla difficoltà attuale. Tutti ammettono, nell’anima giusta, la grazia increata e la grazia creata. Ma si parla di santificazione delle anime come se consistesse solo nella grazia creata. Come se, tra il modo di essere dell’anima divinizzata e la presenza della Divinità in essa, non ci fosse unione. Tuttavia, gli insegnamenti della Scrittura e dei Santi Padri ci presentano la grazia creata come il risultato dell’unione dell’anima con lo Spirito Santo, che è una grazia increata: « La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato » (Rm V, 5); « Da questo sappiamo che siamo in Lui e Lui in noi: perché ci ha dato il suo Spirito » (1 Gv IV, 13). Questi testi sembrano considerare l’anima giusta come accidentalmente unita alla divinità dallo Spirito Santo, come l’umanità del Salvatore è sostanzialmente unita alla divinità dalla Persona del Verbo. Questo non per attribuire allo Spirito Santo e al Verbo un’opera esterna che non tocca le altre due Persone allo stesso modo. Perché la prima di questa unione non è un’opera esterna più di quanto non lo sia la seconda.

Un’altra difficoltà.

Come può lo Spirito Santo comunicare all’anima giusta ciò che gli è proprio, senza comunicare la sua personalità? Questa difficoltà è più grave della prima, ma non è nemmeno essa irrisolvibile. È vero che lo Spirito Santo non ha altro che la sua personalità. Ma esercita nella divinità una doppia funzione, per mezzo della quale, fatta salva la sua intrinseca semplicità, può avere con le creature due relazioni diverse: è il termine della natura e della volontà divina; perché la terza Persona procede dalle altre due per volontà, come la seconda dalla prima per l’intelligenza. – Lo Spirito Santo è carità sussistente. Perché non ammettere allora che lo Spirito Santo si comunichi all’anima come carità, senza farne parte della sua sostanza? Perché la volontà del Cristiano non potrebbe essere fisicamente unita alla volontà di Dio per il termine sostanziale del suo atto, senza che la natura del Cristiano riceva la comunicazione della personalità divina? Non è questo da ammettere nel caso degli Angeli e dei Santi del cielo? Vedendo Dio così com’è, conoscendolo come Egli conosce se stesso, amandolo come Egli ama se stesso, ammessi alla partecipazione della sua vita intima, la loro intelligenza è immediatamente unita al Verbo, fine dell’intelligenza divina, e la loro volontà allo Spirito Santo, fine della volontà divina. – In questo mondo non vediamo il Verbo, lo possediamo solo per fede. Ma la carità della terra è della stessa natura di quella del cielo. Da ciò sembrerebbe che sia la prima che la seconda stabiliscano, tra la volontà del Cristiano e lo Spirito di Dio, un’unione speciale. Con questa unione, l’anima sarebbe divinamente santificata, posto che la santità consista essenzialmente nella carità, e la carità di cui essa sarebbe illuminata, sarebbe il risultato della sua  unione con la carità sussistente di Dio. Così, le parole di San Paolo sarebbero fedeli alla lettera: « La carità di Dio è stata riversata sull’anima giusta dallo Spirito Santo che le è stato donato. » La parte speciale attribuita allo Spirito Santo in quest’opera non danneggerebbe minimamente quindi l’azione comune delle tre Persone.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/05/26/il-cuore-di-gesu-e-la-divinizzazione-del-cristiano-9/

FESTA DELL’ASCENSIONE (2020)

ASCENSIONE

I. Commento, dogmatico: Ascensione.

La seconda festa che si celebra nel corso del Tempo Pasquale è l’Ascensione, coronamento di tutta la vita di Gesù Cristo. Era infatti necessario che il divino Risuscitato, cessando di calcare il fango di questa, povera terra, ritornasse al Padre, nel cui seno, come Dio, è fin dall’eternità. Egli accolse la sua umanità, dice S. Cipriano, « con una gioia che nessuna lingua saprebbe esprimere ». Bisognava che Gesù Cristo prendesse possesso del regno dei cieli che si era acquistato con i suoi patimenti e che collocando la nostra fragile natura alla destra della gloria di Dio, ci aprisse la casa del Padre per farci occupare, come figli di Dio, il posto degli angeli caduti. Gesù entra dunque in cielo, avendo vinto satana e il peccato: gli Angeli acclamano e salutano il loro Re; le anime dei Giusti, liberate del Limbo, formano la gloriosa sua scorta. « Vado a prepararvi il posto », disse ai suoi Apostoli, e San Paolo afferma che Dio ci ha fatti sedere con Gesù in cielo », poiché, « per la speranza siamo già salvi ». « Dove è entrato il capo, dice San Leone, anche il corpo è chiamato ad entrare. Il trionfo di Gesù Cristo è quindi anche il trionfo della sua Chiesa. Come il Sommo Sacerdote, che entrava nel Santo dei Santi per offrire a Dio il Sangue delle vittime sotto l’Antica Legge, Gesù, ci dice l’Apostolo, entrò nel Santo dei Santi della Gerusalemme celeste per offrirvi il suo proprio sangue, il sangue della Nuova Alleanza, e ottenerci i favori di Dio nel giorno dell’Ascensione. – Gesù, mostrando a Dio le sue piaghe gloriose, comincia il suo celeste Sacerdozio. « Egli divenne nostro intercessore perpetuo presso suo Padre » (Heb. VII, 25) e ci ottenne lo Spirito Santo con i suoi doni. – Complemento di tutte le feste di Gesù Cristo, l’Ascensione è il principio della nostra santificazione: « Egli sale al cielo, canta il Prefazio, per renderci partecipi della sua divinità ». « Non basta, dice Don Guéranger, che l’uomo si appoggi ai meriti della passione del Redentore, non basta che Egli unisca a questo ricordo quello della Risurrezione; l’uomo non è salvato e redento che con l’unione di questi due misteri con un terzo mistero, quello cioè dell’Ascensione trionfante di Colui che è morto e risorto. L’opera della Redenzione non sarà perfetta se non quando tutti gli uomini riaccettati saranno entrati nel giorno della risurrezione generale, dietro Gesù e per virtù della sua Ascensione, nel Cielo. Ecco la nostra speranza in questo mondo ».

II. — Commento storico: Ascensione.

Quaranta giorni dopo la Risurrezione di Cristo, il Ciclo Pasquale celebra l’anniversario del giorno che segnò il termine del regno visibile di Gesù Cristo sulla terra. Gli Apostoli, venuti a Gerusalemme prima della Pentecoste, stavano nel Cenacolo quando Gesù apparve loro e prese con essi un ultimo pasto; poi li condusse fuori di città, dalla parte di Betania, sul Monte degli Olivi che è il più alto fra quelli che circondano la capitale; Gesù allora benedisse i suoi Apostoli e ascese al cielo. Mentre saliva, una nube lo nascose agli sguardi e due Angeli annunziarono ai Discepoli che Cristo, risalito al cielo, ne scenderà di nuovo alla fine del mondo. – A Roma per ricordare questo corteo di Gesù e degli Apostoli si soleva fare, verso l’ora di Sesta (mezzogiorno) una solenne processione. Il Papa, celebrata la Messa Pontificale a S. Pietro, si recava, accompagnato, dai Vescovi e dai Cardinali, a S. Giovani in Laterano. – Sant’Elena fece innalzare sul Monte degli Olivi una Basilica sul luogo dove Gesù salì al cielo. La Basilica, sul tipo del Santo Sepolcro, era, con simbolismo felice, aperta in alto.

III. Commento liturgico: Ascensione.

Anticamente la solennità dell’Ascensione si confondeva con quella della Pentecoste, perché il Tempo Pasquale era considerato come una festa che s’iniziava a Pasqua per terminare con la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli. Ma si cominciò presto a celebrare l’Ascensione al quarantesimo giorno dopo la Risurrezione, dandole una Vigilia e un Ottava. È festa di precetto. Con rito simbolico caratteristico si spegne oggi, il Cero pasquale che con la sua luce rappresentava, durante questa quarantena, la presenza di Gesù fra i discepoli e che si estingue dopo la lettura del Vangelo del giorno dell’Ascensione, ove è narrata la dipartita del Signore per il cielo. I paramenti bianchi e l’Alleluia, mostrano l’allegrezza della Chiesa al ricordo del trionfo di Cristo, al pensiero della felicità degli Angeli e dei Giusti dell’Antica Legge che vi parteciparono. – Lo spirito di questa festa è indicato dall’Orazione del giorno dell’Ascensione che ci mostra come, dopo aver seguito finora Gesù nella sua vita mortale, bisogna innalzare lo sguardo verso il cielo e con la fede e la speranza abitarvi con Lui, poiché quella è la vera patria dei figli di Dio.

ASCENSIONE DEL SIGNORE

Stazione a S. Pietro

Doppia di I cl. con ottava privilegiata di III ord. – Paramenti bianchi.

Nella Basilica di S. Pietro, dedicata a uno dei principali testimoni dell’Ascensione del Signore, si celebra oggi (Or.) l’anniversario di questo mistero, che segna il termine della vita terrena di Gesù. Durante i quaranta giorni, che seguirono la sua Risurrezione, il Redentore pose le basi della sua Chiesa, alla quale doveva poco dopo mandare lo Spirito Santo. L’Epistola e il Vangelo di questo giorno riassumono tutti gli insegnamenti del Maestro. Gesù lascia quindi questa terra, e tutta la Messa è la celebrazione della Sua gloriosa elevazione in cielo dove gli fanno scorta le anime liberate, dal Limbo (Ali.) che entrano al suo seguito nel regno celeste, ove partecipano più ampiamente alla sua divinità (Pref.). — L’Ascensione ci predica il dovere di innalzare i nostri cuori a Dio e infatti, l’Orazione ci fa chiedere di abitare in ispirito con Gesù nelle regioni celesti, dove siamo chiamati ad abitare un giorno con il corpo. Durante tutta l’Ottava si recita il Credo: «Credo in un solo Signore Gesù Cristo Figlio unico di Dio… che è asceso al cielo, dove siede alla destra del Padre ». Il Gloria dice pure: « Signore, Figlio unico di Dio Gesù Cristo, tu che siedi alla destra  del Padre, abbi pietà di noi. Nel Prefazio proprio che si recita fino alla Pentecoste, si rendono grazie a Dio pel fatto che « il Cristo risorto, dopo essere apparso a tutti i suoi discepoli, si sia innalzato in cielo sotto i loro sguardi ». Durante tutta l’Ottava si recita ugualmente un Communicantes proprio a questa festa; con esso la Chiesa ci ricorda che « celebra il giorno sacrosanto nel quale Nostro Signore, Figlio unico di Dio, si degnò di introdurre nella gloria e porre alla destra del Padre la nostra fragile carne ». alla quale si era unito nel Mistero dell’Incarnazione. – Ogni giorno la liturgia ci ricorda, all’Offertorio (Suscipe Sancta Trinitas) e al Canone (Unde et memores) che essa, secondo l’ordine del Signore, offre il Santo Sacrificio « in memoria della beatissima passione di Gesù Cristo, della sua risurrezione dalla tomba, e della sua gloriosa Ascensione al cielo ». Infatti l’uomo è salvato solo per l’unione dei misteri della Passione e della Risurrezione con quello dell’Ascensione. « Per la tua morte e per la tua sepoltura, per la tua santa risurrezione, per la tua mirabile Ascensione, liberaci, Signore » (lit. dei Santi). — Offriamo a Dio il sacrifizio divino « in memoria della gloriosa Ascensione del Figliuol Suo » affinché, liberati dai mali presenti, giungiamo con Gesù alla vita eterna (Secr.).

NELLA FESTA DELL’ASCENSIONE

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Acta 1:11.
Viri Galilæi, quid admirámini aspiciéntes in cœlum? allelúia: quemádmodum vidístis eum ascendéntem in coelum, ita véniet, allelúia, allelúia, allelúia.
[Uomini di Galilea, perché ve ne state stupiti a mirare il cielo? allelúia: nello stesso modo che lo avete visto ascendere al cielo, così ritornerà, allelúia, allelúia, allelúia].

Ps XLVI: 2
Omnes gentes, pláudite mánibus: iubiláte Deo in voce exsultatiónis.
[Applaudite, o genti tutte: acclamate Dio con canti e giubilo.]

Viri Galilæi, quid admirámini aspiciéntes in cœlum? allelúia: quemádmodum vidístis eum ascendéntem in cœlum, ita véniet, allelúia, allelúia, allelúia.

[Uomini di Galilea, perché ve ne state stupiti a mirare il cielo? allelúia: nello stesso modo che lo avete visto ascendere al cielo, così ritornerà, allelúia, allelúia, allelúia].

Oratio

Orémus.
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui hodiérna die Unigénitum tuum, Redemptórem nostrum, ad coelos ascendísse crédimus; ipsi quoque mente in coeléstibus habitémus.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che noi, che crediamo che oggi è salito al cielo il tuo Unigenito, nostro Redentore, abitiamo anche noi col nostro spirito in cielo].

Lectio

Léctio Actuum Apostólorum.
Act 1:1-11

Primum quidem sermónem feci de ómnibus, o Theóphile, quæ coepit Iesus facere et docére usque in diem, qua, præcípiens Apóstolis per Spíritum Sanctum, quos elégit, assúmptus est: quibus et praebuit seípsum vivum post passiónem suam in multas arguméntis, per dies quadragínta appárens eis et loquens de regno Dei. Et convéscens, præcépit eis, ab Ierosólymis ne discéderent, sed exspectárent promissiónem Patris, quam audístis -inquit – per os meum: quia Ioánnes quidem baptizávit aqua, vos autem baptizabímini Spíritu Sancto non post multos hos dies. Igitur qui convénerant, interrogábant eum, dicéntes: Dómine, si in témpore hoc restítues regnum Israël? Dixit autem eis: Non est vestrum nosse témpora vel moménta, quæ Pater pósuit in sua potestáte: sed accipiétis virtútem superveniéntis Spíritus Sancti in vos, et éritis mihi testes in Ierúsalem et in omni Iudaea et Samaría et usque ad últimum terræ. Et cum hæc dixísset, vidéntibus illis, elevátus est, et nubes suscépit eum ab óculis eórum. Cumque intuerétur in coelum eúntem illum, ecce, duo viri astitérunt iuxta illos in véstibus albis, qui et dixérunt: Viri Galilaei, quid statis aspiciéntes in coelum? Hic Iesus, qui assúmptus est a vobis in coelum, sic véniet, quemádmodum vidístis eum eúntem in coelum.

OMELIA I

[Mons. G. Bonomelli: MISTERI CRISTIANI, Queriniana Brescia, 1896 vol. II, impr.]

“Io primieramente ho trattato, o Teofìlo, delle cose che Gesù prese a fare e ad insegnare in fino al dì, ch’Egli fu accolto in alto, dopo aver dato i suoi comandi per lo Spirito Santo agli Apostoli ch’Egli aveva eletti. Ai quali ancora, dopo aver sofferto, si presentò vivente, con molte e sicure prove, essendo da loro veduto per lo spazio di quaranta giorni e ragionando con essi delle cose del regno di Dio. E trovandosi con essi, comandò loro che non si partissero da Gerusalemme, ma aspettassero la promessa del Padre, che, diss’Egli, avete da me udita. Perocché Giovanni battezzò con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra pochi giorni. Essi adunque, stando con Lui, lo domandarono, dicendo: Signore, sarà egli in questo tempo, che tu restituirai il regno ad Israele? Ma Egli disse loro: Non spetta a voi conoscere i tempi e le stagioni, che il Padre serba in poter suo. Ma voi riceverete la virtù dello Spirito Santo, che verrà sopra di voi e mi sarete testimoni e in Gerusalemme e in tutta la Giudea e nella Samaria e fino alle estremità della terra. E dette queste cose, levossi a vista loro: e una nuvola lo ricevette e lo tolse agli occhi loro. E com’essi tenevano ancora fissi gli occhi in cielo, mentre se ne andava, ecco due uomini si presentarono loro in candide vesti e dissero loro: Uomini Galilei, perché state riguardando verso il cielo? Questo Gesù che è stato accolto in cielo d’appresso voi, verrà nella stessa maniera che l’avete veduto andarsene in cielo ” -. (Atti Apostolici, 1. I, 11). –

In questi primi undici versetti, che leggiamo nel principio del libro degli Atti Apostolici, che la Chiesa oggi fa recitare al sacerdote celebrante la Santa Messa e che ora vi ho riportato parola per parola nella nostra favella, S. Luca ci narra l’Ascensione di Gesù Cristo al Cielo. È il fatto strepitoso, è il mistero che la Chiesa festeggia in questo giorno, col quale si chiude la vita di Gesù Cristo quaggiù sulla terra. Mio compito è quello di ragionarvi di questo fatto: e qual miglior modo di sdebitarmene che quello di commentare la lezione sacra, che udiste? Eccovi il soggetto di questa, anziché Ragionamento, modesta Omelia, a cui vi piaccia porgere benigno l’orecchio. – S. Luca, nato nel gentilesimo, fornito di coltura greca più che comune, fu medico di professione. Abbandonò il paganesimo e abbracciò il Vangelo di Gesù Cristo per opera di S. Paolo, che seguì fedelmente ne’ suoi viaggi di terra e di mare fino a Roma, dove si trovava allorché l’Apostolo scrisse la sua seconda lettera a Timoteo, poco prima della morte. (II Tim. V. 11). S, Paolo si loda di lui e lo chiama carissimo. (Ai Coloss. IV, 12). Egli scrisse il suo Vangelo come l’aveva udito da S. Paolo e lo scrisse in lingua greca, allora abbastanza conosciuta in tutto l’Oriente e a Roma e lo scrisse per uso di quei Cristiani, che prima erano stati gentili. Dopo aver scritto il Vangelo pose mano a scrivere il libro, che porta il titolo Atti o Gesta degli Apostoli, particolarmente di S. Paolo, giacché la seconda metà del libro si restringe esclusivamente a narrare le opere di lui: cosa affatto naturale, essendo egli stato suo discepolo e compagno e testimonio di ciò che narra. Cominciando questo libro, lo lega col Vangelo, che prima aveva scritto e che racchiude per sommi capi la storia di circa trent’anni. Questo libro fa seguito al Vangelo e ci descrive l’origine della Chiesa e, come voleva la natura delle cose, si apre col racconto della Ascensione di Gesù Cristo, accennata appena nell’ultimo capo del Vangelo. Uditene il prologo: Primieramente, o Teofilo, ho ragionato di tutte le cose, che Gesù prese a fare e ad insegnare fino al giorno, nel quale, dati per lo Spirito Santo i suoi comandi agli Apostoli, da Lui eletti, levossi al cielo. S. Luca rivolge la parola a Teofilo. Chi è desso codesto Teofilo, al quale S. Luca si indirizza eziandio a principio nel suo Vangelo? Sembra fuori di dubbio che fosse un personaggio distinto, che aveva dato il suo nome a Gesù Cristo e la cui vita doveva rispondere al nome che portava, e che in nostra lingua significa Amatore di Dio. Gli ricorda il libro del Vangelo, che gli aveva mandato e nel quale aveva compendiato le opere e la dottrina di Gesù Cristo. – Quæ cœpit Jesus facere et docere. Ecco che cosa è il Vangelo: il compendio delle cose fatte e insegnate da Gesù Cristo; dal che è facile inferire che nel Vangelo le opere e la dottrina di Gesù Cristo non sono riferite tutte, ma le principali e per sommi capi. A ragione poi gli interpreti fanno osservare che S. Luca, compendiando la vita di Gesù Cristo nel Vangelo, alle parole di Lui manda innanzi le opere: – Cœpit facere et docere -. Prima fece e poi insegnò! E in vero: le opere sono assai più eloquenti delle parole e gli uomini apprendono più assai da quelle, che da queste: le parole non costano gran sacrificio, ma lo impongono spesso assai grave le opere. E poi, a che valgono le parole se non sono accompagnate dalle opere? Ciò che valgono le frondi senza i frutti; ed è per questo che di Gesù si dice che cominciò a fare e dopo ad insegnare. Imitiamolo, affinché gli uomini vedano le opere nostre e vedendole sollevino la mente a Dio e gli rendano lode. – Io, scrive S. Luca, vi ho narrata nel mio Vangelo la vita di Gesù dal suo miracoloso concepimento fino alla sua dipartita dalla terra, fino a quel dì nel quale, andandosene al Cielo, lasciò i suoi comandi agli Apostoli e li costituì esecutori dei suoi voleri. Quali siano questi comandi e quali i voleri di Gesù Cristo si fa manifesto dal Vangelo istesso, dove sono determinati. E badate bene, soggiunge S. Luca, che questi comandi sono dati da Lui, che come fu concepito per virtù dello Spirito Santo, cosi tutto fa e dice per virtù dello stesso Spirito Santo, di cui possiede la pienezza. I quali comandi e voleri manifestò a quegli Apostoli che elesse Egli medesimo e ammaestrò di sua bocca. Non è senza ragione e profonda che S. Luca, nominati gli Apostoli, volle tosto soggiungere quelle due parole: – Quos elegit – I quali egli elesse -. Scopo del libro è di far conoscere le opere compiute dagli Apostoli e singolarmente da San Paolo e quindi di mettere in rilievo l’organismo della Chiesa primitiva. Importava adunque che si facesse conoscere in chi risiedeva il potere di reggere quella Chiesa e da chi era dato; e S. Luca ce lo mostra negli Apostoli e qui ci dice ch’essi l’ebbero da Cristo, che li elesse. È questa, o cari, una verità che vuolsi spesso ricordare e inculcare in questi tempi, nei quali si tende a collocare la radice del potere nella moltitudine. Checché sia del potere civile, di cui non parlo, il potere della Chiesa viene dall’alto, deriva di Cristo e da Lui passa negli Apostoli e dagli Apostoli nei suoi successori fino al termine dei tempi, perché Egli li elesse ed eleggendoli li investì di quel potere, che non riceve da chicchessia, ma trae da se medesimo. – Fino al giorno nel quale fu assunto in Cielo – E da chi fu assunto Egli, Gesù Cristo? Non da altri fuorché dalla sua stessa onnipotenza, perché Egli era Dio eguale in ogni cosa al Padre; il perché la frase – Egli fu assunto in Cielo – vuolsi riferire alla natura umana, che aveva assunto, non alla sua divina Persona, che essendo immensa e onnipotente non può né salire, né discendere e per agire non ha bisogno di qualsiasi forza a sé estranea. Il sacro scrittore prosegue e in un versetto solo riassume la vita di Gesù Cristo, dalla sua Risurrezione alla sua Ascensione così: – Ai quali Apostoli, dopo la Passione, si era eziandio mostrato redivivo per lo spazio di quaranta giorni in molte maniere, parlando loro del regno di Dio -. Il punto capitale della vita di Gesù Cristo e la prova massima della sua divina missione, era senza dubbio il fatto della sua Risurrezione e questa, dice S. Luca, non poteva essere più certa e più splendida. Per il periodo di quaranta giorni si mostrò redivivo ai suoi Apostoli e nei modi più svariati per dileguare ogni ombra di dubbio. Si mostrò alle donne, a Pietro, a Giacomo separatamente, a due discepoli lungo la via di Emmaus, a sette sulle rive del lago di Tiberiade, a dieci e poi ad undici insieme raccolti nel Cenacolo di Gerusalemme; poi finalmente allorché salì al Cielo fu visto da circa cento e venti persone [S. Luca, narrata la Ascensione di Gesù Cristo, dice che gli Apostoli (e dà il nome di tutti undici) insieme con Maria e le donne si raccolsero nel Cenacolo in Gerusalemme, e tra parentesi aggiunge: – Che erano circa 120 -. Dal contesto sembra chiaro che questi 120 furono sul colle degli Olivi spettatori della Ascensione di Cristo. Si noti poi che gli Ebrei, allorché danno il numero delle persone, non comprendono mai le donne.], ed altra volta, che San Paolo afferma in modo solenne senza specificare il luogo e il modo, mostrossi insieme a cinquecento fratelli (I. Cor. XV. 6). Con loro parlò, con loro mangiò; volle che gli toccassero le mani e il costato perché si accertassero essere ben Egli il loro Maestro risuscitato, non ombra o spirito. La sua Risurrezione, considerata la lunghezza del tempo, la varietà delle apparizioni e delle prove e tenuto conto del numero dei testimoni, poteva ella essere più manifesta e più accertata? Mi appello a voi. – In tutte codeste apparizioni Gesù Cristo più o meno lungamente si trattenne e naturalmente parlò con gli Apostoli e con quanti erano presenti. E di quali cose parlò Egli con essi? Se noi scorriamo i quattro Evangeli e questo primo capo degli Atti Apostolici, troviamo alcuni cenni intorno alle cose che Gesù disse loro; ma ogni ragione vuole ch’Egli parlasse loro e ampiamente di tutto ciò che loro importava conoscere nell’esercizio dell’altissima missione loro affidata. S. Luca, con due sole parole, accenna il soggetto di queste istruzioni, che Gesù dava agli Apostoli e che dovevano essere la regola della loro condotta privata e specialmente pubblica, dicendo: – Loquens de regno Dei – Parlando del regno di Dio -. Qual regno di Dio? Certamente il regno di Dio sulla terra, cioè la Chiesa, che è la preparazione e il mezzo necessario per entrare nel regno di Dio, il Cielo e la vita beata. Ma se lo Scrittor sacro con estremo laconismo indicò l’argomento dei discorsi di Cristo con gli Apostoli in genere, non li significò in particolare, rimettendosi in questo alla tradizione orale. E qui riceve nuova e gagliarda prova la Dottrina Cattolica, che professa la Scrittura santa non contenere tutto l’insegnamento di Gesù Cristo, ma questo aversi pieno e perfetto nella tradizione orale. Dicano i fratelli nostri protestanti quante e quali furono le cose dette da Gesù Cristo agli Apostoli e comprese in quelle tre parole – Loquens de regno Dei? – E dovevano essere cose d’alto momento e perché venivano da tanto Maestro e perché riguardavano l’opera di Lui per eccellenza, la Chiesa, e perché  erano gli ultimi ricordi che loro lasciava. L’insegnamento orale adunque degli Apostoli e della Chiesa devesi considerare come il complemento non solo utile, ma necessario di. quello che abbiamo nei Libri Santi. – S. Luca nel versetto che segue ci fa sapere qual fu uno degli argomenti di queste conversazioni od istruzioni di Gesù Cristo, scrivendo: – Stando insieme a mensa, comandò loro non si dipartissero da Gerusalemme, ma vi aspettassero la promessa del Padre, che voi avete udito (disse) dalla mia bocca -. Dovevano fermarsi in Gerusalemme finché fosse adempiuta la promessa che Egli stesso aveva fatta a Nome suo e del Padre – di mandare loro lo Spirito Santo. E perché  fermarsi in Gerusalemme? Perché là e non altrove, Gesù Cristo vuole che ricevano lo Spirito Santo? Perché là dove Gesù Cristo patì e morì, là se ne vedesse il primo frutto: perché là dove sul vertice della sua croce fu posta per ischerno la scritta: – Questi è il Re dei Giudei -, là cominciasse il suo regno, regno di tutti i secoli. Perché là dove Gesù Cristo lasciava i suoi Apostoli, là ricevessero lo Spirito consolatore, che doveva tenerne il luogo e continuarne l’opera. Perché là dove Gesù Cristo con la sua morte aveva posto fine alla legge mosaica, lo Spirito Santo proclamasse la nuova legge e dal centro della Sinagoga uscisse la Chiesa, che ne era la meta ed il termine. Accennata la promessa dello Spirito Santo che sarebbe disceso sugli Apostoli, Gesù ne tocca gli effetti, chiamando quella comunicazione miracolosa: Battesimo e altrove Battesimo di fuoco – Giovanni battezzò con l’acqua, dice Cristo, e voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra pochi giorni -. – Giovanni, così il divin Salvatore, battezzava il popolo sulle rive del Giordano, e voi ed Io con voi vi andammo. Che Battesimo era quello? Battesimo con acqua: esso, per sé, non mondava l’anima, ma solo il corpo. Per esso voi vi riconoscevate peccatori, bisognevoli di purificazione: esso non infondeva grazia alcuna nelle anime vostre; vi eccitava soltanto a desiderarla, destandovi la fede in Lui, che Giovanni annunziava e che ora vi parla. Voi ora siete mondi in virtù della mia parola: nell’anima vostra alberga la mia grazia e con essa il germe della vita divina. Ma la missione, che siete per cominciare, domanda una forza più gagliarda, una vita più potente, un novello Battesimo, non di acqua, ma di fuoco e l’avrete tra pochi giorni -. È chiaro che Gesù Cristo in questo luogo col nome di Battesimo nello Spirito Santo designa la venuta dello Spirito Santo e la trasformazione operata negli Apostoli il giorno delle Pentecoste e la designa con questo nome perché vi è una certa somiglianza col Battesimo di acqua. Questo si riceve una sola volta e una sola volta in modo sensibile lo Spirito Santo discese sugli Apostoli: questo depose nell’anima una vita nuova, che si svolse nella vita cristiana, stampando in essi un segno incancellabile: e lo Spiritò Santo depose in essi una nuova energia, che si svolse nelle opere tutte dell’Apostolato. – Ma ritorniamo alla narrazione di S. Luca, il quale riporta una domanda degli Apostoli a Gesù, la quale se da una parte dimostra la semplicità e, diciamolo pure, la ignoranza degli Apostoli, dall’altra mette in piena luce la divinità del divino Maestro verso di loro e prova insieme l’ammirabile sincerità del sacro scrittore. Uditela: – Intanto i convenuti colà lo interrogarono dicendo: Signore, restituirai tu forse in questo tempo il regno ad Israele? – Per comprendere questa domanda, che sembra a noi molto strana, conviene conoscere le idee che allora fermentavano nel popolo giudaico non meno che nei suoi capi, alle quali naturalmente gli Apostoli non potevano essere estranei. E tanto più conviene conoscere queste idee, delle quali gli Apostoli si fanno interpreti presso del Maestro in quanto che esse ci danno la chiave per spiegare la terribile apostasia della nazione e la catastrofe che ne seguì. Scorrete i libri dell’antico Testamento e particolarmente i Salmi ed i Profeti: in moltissimi luoghi si promette il Messia e sotto le più svariate forme lo si presenta e si descrive. Si predicano, è vero, le sue umiliazioni, i suoi dolori, la sua morte in modo che sembrano una storia piuttostoché una profezia; ma lo si dipinge pure come un re potentissimo, un gran duce vincitore, un conquistatore glorioso, che strapperà il suo popolo dalle mani dei nemici, che lo rivendicherà a libertà e stenderà il suo scettro pacifico su tutta la terra. Che ne avvenne? Ciò che doveva avvenire in un popolo sì fiero della propria indipendenza, orgoglioso, tenacissimo e che dopo le terribili prove, da cui era uscito contro i Babilonesi e contro i re Siri, al tempo dei Maccabei, fremevano sotto il giogo romano. Come gli individui e più degli individui i popoli hanno il loro amor proprio, il loro egoismo nazionale, che può toccare i gradi estremi. Gli Ebrei tenevano salda la speranza del futuro Liberatore, del quale parlavano i profeti, i riti ed i simboli in tante forme rappresentavano; l’aspettavano, lo desideravano ardentemente. Ma la loro natura grossolana, il desiderio ardentissimo di scuotersi dal collo l’abbominata signoria straniera e l’orgoglio nazionale fecero sì che nel Messia promesso, nel Liberatore annunziato dai Patriarchi e dai Profeti, più che il Liberatore delle anime vedessero il liberatore dei corpi, più che il Redentore del mondo aspettassero il vindice della nazione, un Davide glorioso, un Maccabeo restauratore di Israele. Foggiatasi questa idea bizzarra e falsissima del Messia, che accarezzava il loro orgoglio e rispondeva alle condizioni politiche sì dolorose ed umilianti della nazione, è facile immaginare come i Giudei dovessero accogliere Gesù Cristo, che annunziava un regno spirituale, che voleva si rendesse a Cesare ciò che era di Cesare e che mandava in fumo le speranze di libertà e grandezza temporale, che si aspettavano. È questa la causa precipua della cecità de’ Giudei e del ripudio di Cristo e che trasse in rovina la nazione intera. Terribile lezione. che troviamo ripetuta sventuratamente anche in alcuni popoli cristiani! Perché l’Oriente ai tempi di Fozio e poi di Michele Cerulario si separò da Roma e cadde nello scisma e nella eresia, in cui giace ancora? La causa principale fu l’orgoglio nazionale dei Greci, ai quali pareva una umiliazione ubbidire al Pontefice di Roma e sottostare ai Latini. Perché la maggior parte della Germania consumò la sua separazione dal centro dell’unità cattolica, che risiede in Roma? Vuolsi ascriverne la causa principale alla gelosia nazionale: ai fieri Germani mal sapeva ricevere la legge da Roma, a loro, figli di Arminio. Perché l’Inghilterra ruppe i vincoli, che da secoli la tenevano unita a Roma? Perché le parve a torto minacciata la sua indipendenza nazionale. Se bene si guarda quasi tutti gli scismi e quasi tutte le grandi eresie, che desolarono la Chiesa, ebbero la loro funesta radice nel sentimento esagerato e male inteso della dignità e grandezza nazionale. È una prova tremenda per un popolo il sospetto, il solo timore, che gli interessi religiosi possano offendere il sentimento patriottico: nella lotta vera o immaginaria che sia v’è un grande pericolo, che il popolo agli interessi del Cielo anteponga i terreni e respinga una Chiesa od una Religione che gli sembra domandare il sacrificio della patria e tanto più grande è il pericolo quanto più ardente è l’amore della patria stessa. Ma guai a quel popolo che si lascia accecare! L’esempio d’Israele è là sotto gli occhi del mondo intero. Torniamo al sacro testo. – Gli Apostoli, benché poveri figli del popolo, rozzi pescatori, nati e cresciuti sugli estremi confini della nazione, ai piedi del Libano e lontani dal centro d’Israele, Gerusalemme, dove batteva il cuore della nazione e ardeva il focolare del patriottismo, non erano estranei alle speranze comuni, né insensibili al fremito del popolo. L’uomo nasce e vive patriota e tutto ciò che suona onore, libertà e grandezza della patria, trova sempre aperta la via del suo cuore e se vi è uomo, in cui l’amore della patria non trova eco, dite pure che è un miserabile, un essere degradato. Era dunque naturale che gli Apostoli, anime rette, forti e generose, ancorché prive d’ogni coltura, sentissero vivo l’amore della patria e partecipassero al sentimento comune, spingendolo fino al pregiudizio fatale di assegnare al Messia, e per conseguenza a Gesù Cristo, la missione di liberatore dal giogo straniero. E che gli Apostoli tutti fossero vittima di questo pregiudizio comune, figlio d’un patriottismo male inteso, e ciò fino alla Ascensione di Gesù Cristo al Cielo, apparisce in modo indubitato dalla domanda che ingenuamente e non senza qualche peritanza, gli mossero: – Signore, restituirai tu forse in questo tempo il regno ad Israele? – La domanda è fatta in modo, che sembra deliberata in comune, riserbata in sull’ultimo come cosa gravissima, nella speranza che il Maestro ne parlasse anche non richiesto e concepita in termini che esprimono l’angustia e l’incertezza dell’animo loro. Qual fu la risposta di Gesù? È semplicissima e l’avete udita. Egli, il divino Maestro, li lascia dire e li ascolta. Non una parola di stupore, non un accento solo di rimprovero per tanta ignoranza, dopo sì lungo tempo di scuola avuta da Lui, e tanta ignoranza sopra un punto capitale, che riguardava il fine della divina sua missione. Quanta benignità! Quanta carità con questi suoi cari Apostoli! Egli, vedendo le loro menti ingombre di sì gravi pregiudizi, tace e dissimula e non si prova nemmeno a dissiparli, perché non l’avrebbero compreso. Aspetta che il tempo e la luce che tra breve getterà nelle loro menti lo Spirito Santo, li rischiarino e mettano fine ai loro dubbi. Grande e sublime lezione per tutti e particolarmente per quanti hanno l’ufficio di ammaestrare il popolo! Quante volte accade di trovare persone piene di errori, che non si arrendono alle dimostrazioni più evidenti, che non sanno spogliarsi di certi pregiudizi succhiati col latte, che chiudono gli occhi della mente a verità chiarissime! Che fare? Talvolta sono vittime della educazione, dell’ambiente, come si dice, delle correnti popolari, di passioni per sé non sempre spregevoli. Combatterle risolutamente a viso aperto sarebbe forse cosa vana e talora anche nociva, perché ecciterebbe più vive le passioni facendosi l’amor proprio offeso loro patrocinatore. In molti casi giova tacere, dissimulare, attendere che le passioni sbolliscano, che il tempo ammaestri, e non è raro il caso che le menti si aprano da se stesse alla luce di quelle verità che prima si erano fieramente rigettate. L’esempio di Cristo lo prova. Egli lasciò cadere la domanda; non negò, né affermò; ma, riconducendo la mente dei suoi diletti Apostoli a ciò che maggiormente importava e dalle cose temporali richiamandoli, come sempre soleva fare, alle celesti, rispose: – Non spetta a voi conoscere i tempi e le congiunture, che il Padre ha serbato in sua balìa. – Che fu un dire: a che fermate il vostro pensiero sulle sorti future del regno d’Israele? Voi non potete mutarle; esse sono nelle mani di Dio, che solo le conosce e le regola nella sua sapienza. Ad altra impresa e troppo più alta e importante voi siete chiamati: di questa vi occupate, che è vostra, e quell’altra rimettete al divino volere. – Del resto qual era la sorte riserbata alla nazione giudaica e nominatamente alla sua capitale, Gerusalemme, cinquanta giorni innanzi l’aveva detto e descritto coi colori più vivi e la memoria doveva essere ancor fresca negli Apostoli. Non aveva lor detto, pochi giorni prima della sua passione, che sarebbe scoppiata una guerra sterminatrice con rivolte e tumulti? Non aveva chiaramente annunziato un assedio terribile, la presa della città, la distruzione del tempio, sì che non ne sarebbe rimasta pietra sopra pietra e ammonitili che fuggissero ai monti per non essere involti nella catastrofe? In quella profezia sì chiara e particolareggiata, che non potevano aver dimenticata, perché recentissima, si conteneva la risposta alla domanda: – È questo il tempo, nel quale restituirai il regno ad Israele? – Ma non è inutile il ripeterlo, quando un pregiudizio è profondamente abbarbicato nell’animo non valgono le ragioni più evidenti a svellerlo, ed è saggezza aspettare il beneficio del tempo e della esperienza, come fece Cristo, il quale, messo da banda questo argomento affatto umano e che allora non interessava, continuò, dicendo: – Piuttosto voi riceverete la potenza dello Spirito Santo, il quale verrà sopra di voi -. Ben altro regno che quello temporale d’Israele, del quale mi fate domanda, si deve fondare e tosto e per opera vostra. E come e quando? Appena avrete ricevuto lo Spirito Santo, che vi riempirà della sua forza divina tra pochi giorni e trasformandovi in altri uomini, vi renderà strumenti atti all’ardua impresa; e allora, da Lui supernamente illustrati, comprenderete qual sia il regno, ch’Io sono venuto a stabilire, regno della verità, regno dell’anime, che comincerà qui in Gerusalemme, si allargherà in tutta la Giudea e nella Samaria, che sono i confini del regno d’Israele, di cui parlate, e poi si distenderà fino agli estremi della terra. In tal modo Gesù Cristo accenna alla differenza immensa, che corre tra l’angusto e temporal regno sognato dagli Apostoli e quello senza confini e spirituale, ch’Egli per opera loro avrebbe fondato e implicitamente risponde alla domanda, che gli avevano fatta: – In questo tempo restituirai tu il regno ad Israele? – E qui cade in acconcio toccare alcune verità, che non sono senza importanza. E primieramente osservate tracciato agli Apostoli l’ordine della loro predicazione: essi dovevano cominciare la loro missione in Gerusalemme, poi spandersi nella Giudea, poi portarla in Samaria, che è quanto dire annunziare prima la buona novella ai figli di Abramo disseminati sul territorio delle dodici tribù, pigliando le mosse dalle due rimaste fedeli. Compiuta questa missione presso i figli d’Israele, il muro, che fino allora aveva separato il popolo eletto da tutti gli altri doveva cadere e aprirsi a tutti indistintamente la porta del novello regno, regno universale e duraturo fino al termine dei tempi. Disegno più audace di questo e umanamente di questo più impossibile non s’era mai visto, né mai era caduto in mente d’uomo e direttamente feriva l’orgoglio del popolo ebraico, sì tenace e sì geloso del suo più assoluto isolamento. Il carattere della più vasta universalità per ragione dello spazio e del tempo, che Cristo in questo luogo imprime al suo regno, siffattamente ripugna alle idee del mondo pagano e più ancora del mondo ebraico, che anche solo basta d’avvantaggio a mostrarli in Chi lo concepì e sì chiaramente l’annunzi la coscienza della propria forza al tutto sovra umana e divina. Osservate in secondo luogo che Cristo costituisce gli Apostoli testimoni – Eritis mihi testes – Testimoni di che? Dei fatti e dei miracoli (e per conseguenza della dottrina dai fatti e dai miracoli provata), che avevano veduto coi loro occhi. Ufficio adunque degli Apostoli e dei loro successori è quello di attestare e affermare costantemente e dovunque l’insegnamento di Cristo, la cui certezza poggia sui miracoli da Lui operati. Essi non sono che testimoni e perciò loro ufficio è quello di conservare pura e intatta la Dottrina di Cristo, quale uscì dalle sue labbra, senza aggiungere o levare ad essa pure un’apice. Perciò il ponetevelo bene nell’animo, o dilettissimi, la Chiesa, continuatrice dell’opera degli Apostoli non crea una sola verità nuova, non altera, né dimentica, né omette una sola delle verità caduta dalle labbra di Cristo e degli Apostoli: tutte le conserva e le trasmette fedelmente, come un cristallo tersissimo trasmette i raggi del sole, benché le svolga più largamente e di nuove e più ampie prove secondo i tempi e i luoghi le avvalori. Finalmente non dimenticate mai, o dilettissimi, che questo doppio ufficio di propagatrice e conservatrice infallibile della Dottrina di Cristo la Chiesa lo adempì e adempirà sempre, non per virtù propria, ma sì unicamente per virtù di quello Spirito Santo, che Cristo promise agli Apostoli e che rimarrà nella Chiesa fino all’ultimo giorno de’ secoli, secondo la sua promessa solenne. È bene a credere che Cristo, trattenendosi con gli Apostoli a lungo e più volte per lo spazio di quaranta giorni, altre cose disse loro, che non sono registrate da S. Luca, ma che si conservarono religiosamente nell’insegnamento orale degli Apostoli stessi e della Chiesa. S. Luca, compendiate queste cose, narra che Gesù condusse gli Apostoli fuori, in Betania, il castello di Marta, Maria e Lazzaro, presso Gerusalemme (S. Luca, XXIV, 51) e benedicendoli amorosamente – sotto i loro occhi levossi in alto – Videntibus illis, elevatus est –  Cristo levossi da terra per virtù della sua divina Persona e sembra che ciò facesse a poco a poco, volti sempre gli sguardi sorridenti e stese le braccia verso i suoi cari Apostoli e discepoli e sopra tutto verso la Madre sua, che indubitatamente era colà, come si rileva dal versetto quattordicesimo di questo primo capo degli Atti Apostolici. Levossi in alto – Elevatus est – cioè levossi al Cielo. Che vi sia un luogo dove Iddio si manifesta svelatamente nella sua gloria a quelli, che hanno meritato di vederlo e bearsi in Lui e che si dice cielo, non vi può essere dubbio alcuno e la natura stessa degli Angeli e particolarmente degli uomini, che vi sono chiamati, lo esige. Ma dove sia questo luogo e questo Cielo a noi è perfettamente ignoto. Finché gli uomini, giudicando secondo i sensi e perciò seguendo le idee astronomiche di Tolomeo credevano la terra immobile, centro universale del creato e gli astri e le stelle poste in alto e d’altra natura incomparabilmente più nobile della terra, si comprende come potessero e dovessero collocare il Cielo, questo luogo di delizie, questa dimora gloriosa lassù in alto, negli astri, nelle stelle, nel Cielo immobile, che a tutte le cose sovrasta. L’idea cristiana del Cielo, elevandosi ai sublimi concetti di Dio, della sua immensità, degli spiriti, delle anime e dei corpi gloriosi, conserva pur sempre l’idea d’un luogo particolare, dove Dio mostra la sua presenza e la sua gloria, ma non determinò mai precisamente in qual regione sia posto questo luogo, se sopra o sotto di noi, se ad Oriente od Occidente, a tramontana o mezzogiorno. I Libri Santi tacciono, la tradizione è muta e la Chiesa, che n’è l’interprete, insegna che il Cielo de’ beati, il paradiso vi è, ma dove sia nol disse mai. E perché non potrebb’essere sulla terra istessa? Là dove è Dio svelato alle anime, là può essere il Cielo; e non potrebbe Iddio mostrarsi loro qual è qui sulla terra, campo dei loro combattimenti e delle loro vittorie e perciò anche luogo del loro trionfo? Che importa che noi non vediamo nulla? Chi può vedere Iddio, i puri spiriti, i corpi gloriosi? Cristo non vive sulla terra nel Sacramento dell’altare invisibile? E certo dove è Cristo ivi è altresì il Cielo, di cui è il Re. Disse profondamente il poeta teologo che ogni dove è paradiso ed è questo il vero concetto del Cielo secondo la ragione e secondo la fede e questo teniamo. Ma voi direte: E pur sempre vero che il testo sacro, narrando l’ascensione di Cristo, ce lo descrisse in atto di salire in alto – Elevatus est -; e noi stessi, allorché accenniamo il Cielo, leviamo in alto le mani quasi fosse lassù sopra dei nostri capi. È vero: Cristo, salendo in Cielo, montò in alto, non perché il Cielo sia piuttosto in alto che in basso ma per mostrare che la sua presenza visibile cessava sulla terra e cominciava un’altra maniera differentissima di vita; e poiché le cose più nobili e più eccellenti per noi si dicono metaforicamente alte e ce le rappresentiamo, non in basso, ma in alto; così Cristo per farci conoscere il suo nuovo modo di esistere in Cielo, salì in alto. Per la stessa ragione, allorché noi parliamo del Cielo, leviamo in alto le mani e gli occhi come se il Cielo fosse sopra de’ nostri capi, poiché Gesù fu levato in alto, una nube – dice il sacro scrittore – lo tolse ai loro occhi. Qual nube? Forse fu vera nube, o come inclino a credere e mi sembra più conforme al fatto e alla maestà di Cristo, quella fu uno splendore di luce meravigliosa, che a guisa di nube lo circonfuse e lo rese invisibile agli occhi degli Apostoli, che lo seguivano con ansia amorosa, con gioia ineffabile e dolore vivissimo, come potete immaginare. – Allorché gli Apostoli stavano pur con gli occhi fissi in alto cercando di vedere il Maestro, che si era dileguato in mezzo a quei fulgori celesti, ecco ad un tratto due personaggi bianco vestiti stettero presso di loro, quasi inosservati, perché gli occhi loro erano fermi lassù in alto. S. Luca non dice che fossero Angeli, ma non è a dubitarne dal contesto. Li chiama personaggi (viri), non Angeli, perché apparvero con forme umane e certo non è questo il primo luogo, in cui gli Angeli si chiamano uomini. Essi, riscossi gli Apostoli da quella loro estasi, volsero loro la parola, dicendo: – 0 Galilei, che state a riguardare in Cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi fu assunto in Cielo, verrà al modo istesso, onde lo vedeste andarsene -. Quegli Angeli rammentarono agli Apostoli una verità, che più volte avevano udita dalla bocca di Cristo, cioè la sua venuta gloriosa al termine dei tempi. Vedete somiglianza tra i due fatti della salita di Cristo al Cielo e della futura sua venuta, toccata dal sacro Autore. E sempre sopra una nube, che Gesù si mostra, sia che parta dalla terra, sia che vi ritorni, per indicare la sua maestà e la piena signoria ch’Egli ha sopra ogni cosa. Nella stessa trasfigurazione la voce celeste si fa udire dal seno d’una nube e attraverso ad una nube Mosè intravvede Dio. Con la mente e col cuore abbiamo seguito Cristo, che sale al Cielo: prepariamoci con la mente e col cuore ad accoglierlo nella finale sua venuta per essergli compagni nel suo rientrare nella gloria celeste e vivere beati con Lui per tutti i secoli dei secoli.

Alleluia

Allelúia, allelúia.

Ps XLVI:6.
Ascéndit Deus in iubilatióne, et Dóminus in voce tubæ. Allelúia.

Iddio è asceso nel giubilo e il Signore al suono delle trombe. Allelúia.]

Ps LXVII:18-19.
V. Dóminus in Sina in sancto, ascéndens in altum, captívam duxit captivitátem.
Allelúia.  

[Il Signore dal Sinai viene nel santuario, salendo in alto, trascina schiava la schiavitú. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Marcum.
Marc XVI:14-20

In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit incredulitátem eórum et durítiam cordis: quia iis, qui víderant eum resurrexísse, non credidérunt. Et dixit eis: Eúntes in mundum univérsum, prædicáte Evangélium omni creatúræ. Qui credíderit et baptizátus fúerit, salvus erit: qui vero non credíderit, condemnábitur. Signa autem eos, qui credíderint, hæc sequéntur: In nómine meo dæmónia eiícient: linguis loquantur novis: serpentes tollent: et si mortíferum quid bíberint, non eis nocébit: super ægros manus impónent, et bene habébunt. Et Dóminus quidem Iesus, postquam locútus est eis, assúmptus est in cœlum, et sedet a dextris Dei. Illi autem profécti, prædicavérunt ubíque, Dómino cooperánte et sermónem confirmánte, sequéntibus signis.

“In quel tempo: Gesú apparve agli undici, mentre erano a mensa, e rinfacciò ad essi la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano prestato fede a quelli che lo avevano visto resuscitato. E disse loro: Andate per tutto il mondo: predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo: chi poi non crederà, sarà condannato. Ed ecco i miracoli che accompagneranno coloro che hanno creduto: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, maneggeranno serpenti, e se avran bevuto qualcosa di mortifero non farà loro male: imporranno le mani ai malati e questi guariranno. E il Signore Gesú, dopo aver parlato con essi, fu assunto in cielo e si assise alla destra di Dio. Essi se ne andarono a predicare per ogni dove, mentre il Signore li assisteva e confermava la loro parola con i miracoli che la seguivano.”

OMELIA II

[Discorsi di San G. B. M. VIANNEY, Curato d’Ars, vol. II, IV ed. TORINO – ROMA; Marietti ediz. 1933]

Il Cielo.

(laudate et exultate, quoniam merces vestra copiosa est in cælis.

(MATTH. V., 12).

Queste furono, F. M., le consolanti parole che Gesù Cristo rivolse ai suoi Apostoli per confortarli, ed animarli a soffrire coraggiosamente le croci e le persecuzioni future. ” Sì, figli miei, diceva loro questo tenero Padre, diverrete oggetto dell’ira e del disprezzo dei cattivi, sarete vittime del loro furore, gli uomini vi odieranno. vi condurranno davanti ai principi della terra per essere giudicati e condannati ai supplizi più spaventosi, alla morte più crudele ed ignominiosa: ma, lungi dallo  scoraggiarvi, rallegratevi, poiché una gran ricompensa vi è preparata in cielo. „ O cielo bello! chi non ti amerà, poiché tanti beni tu racchiudi? Non è infatti il pensiero di questa ricompensa che rendeva gli Apostoli infaticabili nel loro lavoro apostolico, invincibili contro le persecuzioni che soffrirono dai loro nemici? Non è il pensiero di questo bel cielo che faceva comparire i martiri davanti ai giudici, con un coraggio che meravigliava i tiranni? Non è la vista del cielo che spegneva l’ardore delle fiamme destinate a divorarli, e spuntava le spade che li dovevano colpire? Oh! come erano felici di sacrificare i beni, la vita per il loro Dio, nella speranza di passare ad una vita migliore che non finirebbe mai! O fortunati abitanti della città celeste, quante lagrime avete versate e quanti patimenti sofferto per acquistare il possesso del vostro Dio! Oh! ci gridano essi dall’alto di quel trono di gloria, sul quale si trovano; oh! come Dio ci ricompensa di quel po’ di bene che abbiamo fatto! Sì, noi lo vediamo, questo tenero Padre: sì, lo benediciamo questo amabile Salvatore: sì, lo ringraziamo questo caritatevole Redentore, per anni senza fine. O felice eternità! esclamano essi; quante dolcezze e gioie non ci farai tu provare! Cielo bello, quando ti vedremo noi? O momento fortunato, quando verrai per noi? Senza dubbio, F. M., desideriamo tutti e sospiriamo beni sì grandi: ma per farveli desiderare con maggior ardore, vi mostrerò, per quanto mi sarà possibile,

1° la felicità della quale sono inebriati i santi in cielo;

2° la strada da seguire per andarvi.

È certo che noi siamo fatti per essere felici: ognuno dal più povero fino al più ricco, cerca qualche cosa che l’accontenti e compia i suoi desideri. (Nota del Beato),

I. — Se’ dovessi, F. M., farvi il triste e doloroso quadro delle pene che soffrono i reprobi nell’inferno, comincerei a provarvi la certezza di queste pene: poi spiegherei innanzi ai vostri occhi con spavento, od, a meglio dire, con una specie di disperazione, la grandezza e la intensità dei mali che soffrono, e che soffriranno eternamente. A questo racconto lagrimevole, vi sentireste presi d’orrore; e per farvelo ancor meglio comprendere, vi mostrerei le ragioni per cui quelle anime sono divorate dalla disperazione senza tregua. Vi direi che sono quattro: la privazione della vista di Dio, il dolore che soffrono, la certezza che non finirà mai, ed i mezzi che ebbero, coi quali potevano così facilmente schivarla. Infatti, se un dannato, per mille eternità, quando ve ne potessero essere mille, domandasse con le grida più strazianti e commoventi la felicità di veder Dio per un minuto solo, è certo che giammai gli verrebbe accordata. In secondo luogo, vi dico che ad ogni istante egli soffre da solo più che non abbian mai sofferto tutti i martiri insieme, o, per dir meglio, soffre in ogni minuto dell’eternità tutti i patimenti che deve sentire durante l’eternità. La terza causa dei loro supplizi è che, malgrado il rigore delle loro pene, sono sicuri che non finiranno mai. Ma ciò che metterà il colmo ai loro tormenti, alla loro disperazione, sarà il ricordo di tanti mezzi così efficaci non solo per evitare quegli orrori, ma anche per essere felici per tutta l’eternità: ricorderanno che avevano a lor portata tutte le grazie che offrì loro Iddio per salvarsi: e queste saranno altrettanti carnefici che li tortureranno. Dal fondo di quelle fiamme vedranno i beati seduti su troni di gloria, accesi d’amore sì ardente e tenero da immergerli in una ebbrezza continua: mentre il pensiero delle grazie a loro concesse da Dio, il ricordo del disprezzo fattone farà ad essi emettere urla di rabbia e di disperazione così spaventose che l’intero universo, se Dio permettesse fossero intese, ne morrebbe e cadrebbe nel nulla. E bestemmie orribili lanceranno gli uni contro gli altri. Un figlio griderà che è perduto solo perché i suoi genitori lo vollero, e invocherà la collera di Dio, e gli domanderà colle più orribili grida di concedergli d’essere il carnefice del padre suo. Una giovane strapperà gli occhi a sua madre che invece di condurla al cielo, l’ha spinta, trascinata all’inferno co’ suoi cattivi esempi, colle parole che spiravano solo mondanità, libertinaggio. Quei figli vomiteranno bestemmie orribili contro Dio per non aver abbastanza forza e furore di far soffrire i loro parenti : correranno attraverso l’abisso disperati, prendendo e trascinando i demoni, gettandoli sui padri e sulle madri loro: per fare sentire ad essi che non saranno mai abbastanza tormentati di averli perduti, mentre facilmente potevano salvarli. O eternità infelice! o sventurati padri e madri, quanto sono terribili i tormenti a voi riservati! Ancora un istante, e li proverete; ancora un istante, ed abbrucerete nelle fiamme!… – Ma no, F. M., non andiamo più oltre: non è il momento di trattenerci su un argomento così triste e doloroso: non turbiamo la gioia che abbiamo provato all’avvicinarsi del giorno consacrato a celebrare la felicità di cui godono gli eletti nella città celeste e permanente. – Vi dissi, che quattro cose opprimeranno di mali i reprobi nelle fiamme: lo stesso avviene dei beati. Quattro cose si uniscono insieme per non lasciar loro nulla più a desiderare. Queste cose sono:

1° la vista e la presenza del Figlio di Dio, che si manifesterà in tutto lo splendore di sua gloria, di sua bellezza, e di tutte le sue amabilità; cioè quale è nel seno del Padre suo;

2° il torrente di dolcezze e di caste delizie che godranno, e sarà simile al traboccar d’un mare agitato dal furore della tempesta: esso li travolgerà nei suoi flutti e li sommergerà in una ebbrezza così estasiante che quasi oblieranno di esistere.

3° Altra causa di felicità in mezzo a tutte le delizie sarà la certezza che esse non avranno mai fine, e da ultimo,

4° ciò che li immergerà totalmente in questi torrenti d’amore, sarà che tutti questi beni sono dati loro per ricompensa delle virtù e delle penitenze esercitate. Quelle anime sante vedranno che alle proprie opere buone sono debitrici dei casti amplessi dello sposo. Anzitutto il primo trasporto d’amore che si accenderà nel loro cuore sorgerà alla vista delle bellezze che scopriranno accostandosi alla presenza di Dio. In questo mondo sia pur bello e seducente un oggetto che ci si presenta, dopo un istante di piacere il nostro spirito si stanca e si volge da un’altra parte, per trovarvi di che soddisfarsi meglio; passa da una ad altra cosa senza poter trovare d’accontentarsi: ma in cielo non sarà così: bisognerà anzi che Dio ci partecipi le sue forze, per poter sostenere lo splendore delle sue bellezze, e delle cose dolci e meravigliose che si offriranno continuamente ai nostri occhi. E ciò sprofonderà le anime degli eletti in un abisso tale di dolcezza e d’amore, che non potranno distinguere se vivano o se siano tramutate in amore. O avventurata dimora! o felicità permanente! chi di noi ti gusterà un giorno? Poi per quanto grandi e inebrianti siano queste dolcezze, sentiremo continuamente gli Angeli ripetere che esse dureranno sempre. Vi lascio pensare quanto i beati ne godranno. Notate, F. M., se gustiamo in questo mondo alcuni piaceri, non tardiamo a provare qualche pena che ne diminuisce le dolcezze, sia per il timore che abbiamo di perderli, sia anche per le premure necessarie per conservarli: dal che avviene che non siamo mai perfettamente contenti. In cielo non succederà così: ci troveremo nella gioia e nelle delizie, sicuri che nulla potrà mai rapircele né diminuirle. Finalmente l’ultimo dardo d’amore che colpirà il nostro cuore, sarà il quadro che Dio metterà davanti ai nostri occhi di tutte le lagrime venate e delle penitenze fatte durante la nostra vita, senza lasciare da parte neppure un pensiero o un desiderio buono. Oh! qual gioia per un buon Cristiano, vedere il disprezzo avuto per se medesimo, il rigore esercitato sul suo corpo, il piacere che provava in vedersi disprezzato, vedere la sua fedeltà nel respingere quei cattivi pensieri coi quali il demonio aveva cercato di turbare la sua immaginazione: ricorderà le preparazioni per la confessione, la premura di nutrire l’anima sua alla sacra mensa: avrà davanti agli occhi tutte le volte che si privò degli abiti per coprire il fratello povero e sofferente. “O mio Dio! mio Dio! esclamerà ad ogni istante, quanti beni per così poca cosa!„ Ma Dio, per infiammare gli eletti di amore e di riconoscenza, metterà la sua croce sanguinosa in mezzo alla sua corte celeste, e farà loro la descrizione di tutti i patimenti sofferti per renderli felici, mosso com’era soltanto dal suo amore. Vi lascio immaginare i loro trasporti di amore e di riconoscenza: quali casti abbracci non le prodigheranno durante l’eternità, ricordandosi che questa croce è lo strumento di cui si servì Iddio per donar loro tanti beni! I santi Padri, facendoci la descrizione delle pene che soffrono i reprobi, ci dicono che ognuno dei loro sensi è tormentato, a seconda delle colpe commesse e dei piaceri gustati: chi avrà avuto la sfortuna di essersi abbandonato al vizio impuro sarà coperto di serpenti e dragoni che lo divoreranno per tutta l’eternità: i suoi occhi che ebbero sguardi disonesti, le orecchie che si compiacquero di canzoni impudiche, la bocca che pronunciò quelle impurità, saranno altrettanti canali donde usciranno turbini di fiamme a divorarli: gli occhi non vedranno che oggetti orribili. Un avaro soffrirà tal fame che lo divorerà, un orgoglioso verrà calpestato sotto i piedi degli altri dannati, un vendicativo sarà trascinato dai demoni tra le fiamme. Non vi sarà parte alcuna del nostro corpo che non soffrirà in proporzione dei peccati da essa commessi. O orrore! o sventura spaventevole! Altrettanto sarà della felicità dei beati nel cielo: la felicità, i piaceri, le gioie loro saranno grandi in proporzione di quanto fecero soffrire ai loro corpi durante la vita. Se avremo avuto orrore delle canzoni e dei discorsi disonesti, non udremo lassù che cantici dolci e meravigliosi, di cui gli Angeli faran ripercuotere la vòlta dei cieli: se saremo stati casti negli sguardi, i nostri occhi non saranno occupati che in contemplare oggetti, la cui bellezza li terrà in continua estasi senza potersene stancare: cioè scopriremo sempre nuove bellezze, come ad una sorgente d’amore che scorre senza esaurirsi mai. Il nostro cuore che aveva emesso gemiti, pianto durante l’esilio, proverà una ebbrezza tale di diletto che non sarà più padrone di sé. Lo Spirito Santo ci dice che le anime caste saranno simili ad una persona stesa sopra un letto di rose, le cui fragranze lo tengono in un’estasi continua. In una parola, solo di piaceri casti e puri i santi saranno nutriti ed inebriati per tutta l’eternità. – Ma, penserete dentro di voi, quando saremo in cielo, saremo tutti felici ugualmente? — Sì, amico mio, ma v’è qualche distinzione da fare. Se i dannati sono infelici e soffrono secondo i delitti commessi, parimente non devesi dubitare che più i Santi fecero penitenze, più la lor gloria sarà brillante; ed ecco come avverrà. E necessario, o piuttosto, conviene che Dio ci dia aiuti proporzionati alla gloria della quale vuol incoronarci, perciò ci darà soccorsi in proporzione delle dolcezze che vuol farci gustare. A coloro che fecero grandi penitenze, senza aver commesso peccati, darà delle forze sufficienti per reggere alle grazie che comunicherà loro per tutta l’eternità. È verissimo che saremo tutti completamente felici e contenti, perché troveremo tante delizie quante ce ne occorrerà per non lasciarci nulla a desiderare. – “O mio Dio! mio Dio! esclamava san Francesco in una furiosa tentazione provata, i vostri giudizi sono spaventosi: ma se io fossi tanto sventurato da non amarvi nell’eternità, accordatemi almeno la grazia d’amarvi quanto potrò in questo mondo.„ Ah! poveri peccatori che non volete tornare al vostro Dio, se almeno aveste gli stessi desideri di questo gran santo, amereste il Signore quanto potete in questa vita! O mio Dio! quanti Cristiani che mi ascoltano non vi vedranno mai! O cielo bello! o bella dimora! quando ti vedremo? Mio Dio! sino a quando ci lascerete languire in questa terra straniera? in questo esilio? Ah! se vedeste Colui che il mio cuore ama! ah! ditegli che languisco d’amore, che non vivo più, ma che muoio ad ogni ora!… Oh! chi mi darà ali come di colomba per lasciar questo esilio e volare nel seno del mio diletto?… O città felice! donde sono bandite tutte le pene, e dove si nuota in un torrente delizioso di eterno amore!…

II. – Ebbene! amico mio, vi affliggerà di essere in questo numero, mentre i dannati abbruceranno e manderanno grida orribili senza speranza che ciò debba finire? — Oh! mi direte, non solo non me ne affliggerò, ma vorrei già esservi. — Pensavo bene che m’avreste risposto così: ma non basta desiderare il cielo, bisogna lavorare per guadagnarselo. — E che si deve fare adunque ? — Nol sapete, amico mio? ebbene, eccovi: ascoltate bene, e lo saprete. Bisognerebbe non attaccarvi tanto ai beni di questo mondo, aver un po’ più di carità per la moglie, i figli, i domestici e i vicini: aver un cuore un po’ più tenero per gli sventurati: invece di non pensare che ad accumular denaro, acquistar terreni, dovreste pensare a guadagnarvi un posto in cielo: invece di lavorare la domenica, dovreste santificarla venendo nella casa di Dio per piangervi i vostri peccati, domandargli di non più ricadervi, e di perdonarvi: lungi dal non conceder tempo ai figli ed ai domestici di compiere i loro doveri di religione, dovreste essere i primi ad indurveli colle parole e col buon esempio: invece di incollerirvi alla minima perdita o contraddizione che vi succede, dovreste considerare che essendo peccatore, ne meritate ben di più, e che Dio si diporta con voi nel modo più sicuro per rendervi un giorno felice. Ecco, amico mio, ciò che occorrerebbe per andare in cielo, e che voi non fate. E che sarà di voi, fratello mio, poiché seguite la strada che conduce là dove si soffrono mali sì spaventosi? Ricordatevi, che se non lasciate questa strada, non tarderete a cadervi: fate le vostre riflessioni, e poi mi direte che cosa avrete trovato; ed io vi dirò che cosa bisognerà fare. Non invidiate forse, amico mio, tutti quei felici abitanti della corte celeste? — Ah! vorrei esservi già; almeno sarei liberato da tutte le miserie di questo mondo. — Ed anch’io lo vorrei; ma v’è ben altro da fare e da pensare.  Cosa devesi dunque fare e lo farò? — Le vostre intenzioni sono assai buone: ebbene! ascoltate un istante, e ve lo mostrerò. Non dormite, per favore. Bisognerebbe, sorella mia, essere un po’ più sottomessa al marito, non lasciarvi salire il sangue alla testa per un nonnulla; bisognerebbe avere con lui un po’ più di garbo; e quando lo vedete tornare a casa ubbriaco, ovvero dopo aver fatto un cattivo contratto, non dovreste scagliarvi contro di lui e farlo infuriare tanto che non sappia più trattenersi. Di qui vengono le bestemmie e le maledizioni senza numero contro di voi, e che scandalizzano i figli ed i domestici: invece di girar per le case a riferire quanto vi dice o fa il marito, dovreste occupare questo tempo in preghiere per domandare a Dio di darvi la pazienza e la sottomissione dovuta al marito: domandare che Dio gli tocchi il cuore per cambiarlo. So bene quanto sarebbe ancora oltre a ciò necessario per andare in cielo: madre di famiglia, ascoltatelo e non vi sarà inutile. Sarebbe necessario impiegare un po’ più di tempo nell’istruire i figli e i domestici, nell’insegnar loro ciò che devono fare per andar in cielo: sarebbe necessario non comperar loro abiti così belli, per aver modo di fare elemosina, ed attirar le benedizioni di Dio sulla vostra casa; e fors’anche poter pagare i vostri debiti: bisognerebbe lasciar da parte le vanità; e che so io? Bisognerebbe che non vi fossero nella vostra condotta che dei buoni esempi, l’esattezza nel far le vostre preghiere mattina e sera, nel prepararvi alla santa Comunione, nell’accostarvi ai Sacramenti: sarebbe necessario il distacco dai beni del mondo, un linguaggio che mostri il disprezzo che avete di tutte le cose di quaggiù, ed il conto che fate delle cose dell’altra vita. Ecco quali dovrebbero essere le vostre occupazioni e tutte le cure vostre: se fate diversamente, siete perduta: pensatevi bene oggi, forse domani non sarete più in tempo: fatevi sopra il vostro esame, giudicatevi da voi stessa: piangete i vostri sbagli, e procurate di far meglio; altrimenti non entrerete mai in cielo. Non è vero, sorella mia, che tutte queste meravigliose bellezze di cui i santi sono inebriati vi fanno invidia? — Ah! mi direte, si invidierebbe anche una fortuna meno grande di questa. — Avete ragione, ed anch’io sono del vostro parere: ma m’inquieta il pensiero che non ho fatto nulla per meritare il cielo; e voi? — Qualsiasi cosa occorra fare, pensate voi, la farei se la conoscessi: che cosa non dovrebbesi fare pur di procurarsi un sì gran bene? Se fosse necessario tutto abbandonare e sacrificare, lasciare il mondo per passare il resto dei propri giorni in un monastero, lo farei ben volentieri. — Ecco una bellissima disposizione: questi pensieri sono degni davvero d’una buona cristiana: non credeva che il vostro coraggio fosse così grande: ma vi dirò che Dio non ve ne domanda tanto. — Ebbene! pensate voi; ditemi che cosa bisogna fare, e la farò assai volentieri. — Vel dirò adunque, e vi prego di porvi ben attenzione. Occorrerebbe non prender tanta cura del vostro corpo, farlo soffrire un po’ di più: nontemer tanto che questa beltà si perda o diminuisca: non essere così lunga alla domenica mattina in abbigliarvi, osservarvi davanti allo specchio, per aver più tempo da dare al buon Dio. Bisognerebbe avere un po’ più sottomissione ai parenti, ricordandovi che dopo Dio dovete ad essi la vita, e obbedir loro di buon animo e non mormorando. Bisognerebbe anche, invece di vedervi ai divertimenti, ai balli, alle conversazioni, vedervi nella casa del Signore a pregare, a purificarvi dei peccati, e nutrir l’anima vostra col pane degli Angeli. Bisognerebbe anche essere un po’ più riservata nelle vostre parole, nelle relazioni che avete con persone di sesso diverso. Ecco quanto domanda Dio da voi: se lo fate, andrete in cielo. – E voi, fratel mio, che pensate voi di tutto ciò? da qual lato volgete i vostri desideri? — Ahi voi dite, preferirei bene d’andare in cielo, giacche vi si sta così bene, piuttosto che d’esser cacciato all’inferno dove si soffre tanto ed ogni sorta di tormenti: ma v’è molto da fare per andarvi, e mi manca il coraggio. Se un solo peccato ci condanna, io, che ad ogni istante vado in collera, non cerco neanche di incominciare “Voi non osate provare? Ascoltatemi un momento, e vi mostrerò chiaramente che non è tanto difficile come credete: e che fareste meno fatica per piacere a Dio e salvar l’anima vostra, che per procurarvi i diletti e per contentare il mondo. Rivolgete solo a Dio le cure e premure che aveste pel mondo; e vedrete che Egli non ve ne domanda tante quante il mondo. I vostri piaceri sono sempre uniti a tristezza ed amarezza, seguiti dal pentimento d’averli gustati. Quante volte ritornato dall’aver passato una parte della notte all’osteria od al ballo, dite: “Son malcontento d’esservi stato: se avessi saputo quanto vi avviene, non vi sarei andato.„ Ma, invece, se aveste passato una parte della notte in preghiere, ben lungi dall’esser afflitto sentireste dentro di voi una tal gioia, una dolcezza che vi accenderebbe il cuor d’amore. Ripieno di gioia, direste come il santo re David: “Mio Dio! un giorno passato nella casa vostra quanto è preferibile a mille passati nelle riunioni del mondo.„ I piaceri che provate nel mondo vi disgustano: quasi ogni volta che vi abbandonate ad essi, risolvete di non più ritornarvi: spesso anche vi sciogliete in lagrime, sino a disperarvi di non potervi correggere: maledite coloro che incominciarono a sviarvi: ve ne lamentate ad ogni istante: invidiate la fortuna di quelli che ora scorrono tranquillamente i loro giorni nella pratica della virtù, in un intero disprezzo dei piaceri del mondo: quante volte anche gli occhi vostri versano amare lagrime vedendo quella pace, quella gioia che brillano sulla fronte dei buoni Cristiani: che dico? Invidiate sin coloro che hanno la ventura di abitare sotto il vostro tetto. Dissi, amico mio, che quando avete passata la notte negli eccessi del vino, non trovate in voi che agitazione, noia, rimorso, disperazione: eppure avete fatto quanto potevate per accontentarvi, ma senza alcun risultato. Ebbene! amico mio: vedete quanto è più dolce soffrir per Iddio che pel mondo. Quando si ha trascorsa una notte o due in preghiera, lungi dall’esserne annoiati, pentiti e dall’invidiare coloro che passano questo tempo nel sonno e nelle comodità, si piange invece la loro sventura ed accecamento: mille volte si benedice il Signore di averci mandata l’ispirazione di procurarci tante dolcezze e consolazioni: lungi dal maledire chi ci fece abbracciare un tal genere di vita, non possiam vederlo senza la sciare scorrere lagrime di riconoscenza, tanto ci troviamo felici: lungi dal risolvere di non più ritornarvi ci sentiamo decisi di fare ancor più, ed abbiamo una santa invidia di coloro che non sono occupati che a lodare il buon Dio. Se avete speso del danaro per i vostri piaceri, il domani lo piangete: ma un Cristiano che l’ha adoperato per conservare in vita un povero che non poteva sostenersi, un Cristiano che ha vestito uno sventurato ignudo, lungi dal rimpiangerlo, cerca invece di continuo il mezzo di farlo ancor più: è pronto se occorre, a privarsi del necessario, a spogliarsi di tutto, tanta gioia risente soccorrendo Gesù Cristo nella persona dei suoi poveri. Ma, senza andar così lontano, non vi costerà certo di più, amico mio, quando siete in chiesa, lo starvi con rispetto e modestia che non ridere e volger attorno lo sguardo: sareste egualmente comodo avendo le ginocchia piegate a terra quanto tenendone uno levato per aria: quando ascoltate la parola di Dio, sarebbe più penoso ascoltarla con intenzione di approfittarne e di metterla in pratica appena il potrete, oppure andarvene fuori per divertirvi a chiacchierare di cose indifferenti, forse cattive? Non sareste più contenti se la coscienza non vi rimproverasse di nulla, e vi accostaste di tempo in tempo ai Sacramenti, ricevendo così molta forza per sopportare con pazienza le miserie della vita? Se ne dubitate, F. M., domandate a coloro che fecero la loro pasqua, come erano contenti per un po’ di tempo; cioè sino a quando ebbero la fortuna di restare amici del buon Dio. Ditemi, amico mio, vi sarebbe più duro e penoso che i parenti vi rimproverassero perché vi fermaste troppo in chiesa, ovvero vi rinfacciassero d’aver passato la notte negli stravizi? — No, no, amico mio, da qualsiasi lato consideriate quanto fate pel mondo, vi costa più caro che fare ciò che occorre per piacere a Dio e salvare l’anima vostra. Non vi parlerò della differenza, che vi sarà all’ora della morte, tra un Cristiano che servì bene Iddio, ed i rimorsi e la disperazione di chi non seguì che i suoi piaceri, non cercò che d’accontentare i corrotti desideri del cuore: perché nulla è tanto bello quanto il veder morire un santo: Dio stesso si compiace assistervi, come narrasi nelle vite di molti. Si può forse paragonarla agli orrori che accompagnano quella del peccatore, mentre i demoni lo circondano sì dappresso, e si dilaniano gli uni gli altri, per avere la barbara soddisfazione d’essere i primi a trascinarlo negli abissi? Ma, no, lasciamo tutto ciò: consideriamo soltanto la vita presente. Concludiamo, che se faceste per Iddio quanto fate pel mondo, sareste santi. — Oh! soggiungete dentro di voi, ci andate dicendo che non è difficile arrivare in cielo; a me sembra che v i siano molti sacrifici da fare. — Non v’ha dubbio: vi sono dei sacrifici da fare, altrimenti Gesù Cristo, contro verità, ci avrebbe detto che la porta del cielo è stretta, che bisogna sforzarsi per entrarvi, che occorre rinunciare a se stessi, prender la croce e seguirlo, che molti non saranno nel numero degli eletti: perciò ci promette il cielo come una ricompensa che avremo meritata. Vedete quanto fecero i santi per procurarsela. Andate, F. M., in quegli antri in fondo ai deserti, entrate nei monasteri, percorrete quelle rocce, e domandata a tette quelle schiere di santi: Perché tante lagrime e penitenze? Salite sui patiboli, ed informatevi dai martiri che cosa aspettano. Tutti vi diranno che fanno così per guadagnarsi il cielo. O mio Dio! quante lagrime versarono quei poveri solitari durante tanti anni! O mio Dio! quante penitenze e rigori non esercitarono sui loro corpi tutti quegli illustri anacoreti! Ed io non vorrò soffrir nulla! io, che ho la medesima loro speranza, ed il medesimo giudice che mi deve esaminare? O mio Dio, quanto sono neghittoso quando trattasi di lavorare pel cielo! Come mi condanneranno i santi, quando mostreranno tanti sacrifici da loro fatti per piacervi! Voi dite che è faticoso andar in cielo: ma, amico mio, non costò forse nulla a san Bartolomeo il lasciarsi scorticare vivo per piacere a Dio? Nulla a S. Vincenzo martire l’essere disteso su d’un cavalletto, ove gli si abbruciò il corpo con torce accese, finché le sue viscere caddero nel fuoco, e l’essere poi condotto in prigione, ove gli si fece un letto di pezzi di vetro e vi fu steso sopra? Amico mio, domandate a S. Ilarione perché durante ottanta anni visse nel deserto, piangendo giorno e notte. Andate, interrogate S. Girolamo, quel gran santo: domandategli perché si percuoteva il petto con un sasso, fino ad esserne tutto ammaccato. Andate nelle spelonche a trovare il grande Arsenio, e domandategli perché lasciò i piaceri del mondo per venire a piangere tutto il resto dei suoi giorni frammezzo alle belve feroci. Non avrete altra risposta, amico mio, che questa: “Ahi per guadagnar il bel cielo; eppure non ci è costato nulla: oh! queste penitenze sono ben poca cosa, se le confrontiamo alla felicità che ci preparano! „ Non vi è qualità di tormenti che i santi non siano stati pronti a soffrire per guadagnare il cielo. Leggiamo che l’imperatore Nerone, trattò i Cristiani con crudeltà sì spaventose, che il solo pensiero ci fa fremere ancora. Non sapendo con qual pretesto incominciare la persecuzione contro di essi, incendiò la città, per far credere che n’erano stati autori i Cristiani. Vedendosi applaudito dai suoi sudditi, si abbandonò a tutto quanto il furore suo poteva ispirargli. Simile aduna tigre furibonda, spirante strage, faceva uscire gli uni entro pelli di belve, e li gettava nel circo in pasto ai cani: altri faceva ricoprire di vesti intrise di pece e zolfo, poi li appendeva agli alberi delle vie maggiori por servir da torce ai passeggieri durante la notte: egli stesso ne aveva disposti due file nel suo giardino, e di notte li faceva accendere per avere il barbaro diletto di condurre il suo cocchio allo splendore di questo spettacolo triste e  straziante. Non trovandosi ancora soddisfatto il suo furore, inventò un altro supplizio: fece fondere urne di bronzo in forma di toro, nelle quali, arroventate per più giorni, gettava i Cristiani in gran numero e stava a vederli abbrustolire spietatamente. In questa stessa persecuzione S. Pietro fu messo a morte. Essendo in prigione con S. Paolo, al quale fu troncata la testa, trovò S. Pietro il mezzo di fuggire. Sulla strada apparvegli nostro Signore, che gli disse: “Pietro, vado a Roma a morire una seconda volta, „ e scomparve. S. Pietro conoscendo da ciò che non doveva fuggire la morte, ritornò in prigione, e fu condannato a morire in croce. Quando udì pronunciar la sentenza: “O grazia! esclamò: o felicità, il morire della morte del mio Dio! „ Ma domandò un favore ai suoi carnefici, di essere cioè crocifisso con la testa in giù : ” … perché, diceva, non merito la fortuna di morire in modo somigliante al mio Dio. „ Ebbene! amico mio, non è costato nulla ai santi l’andare in cielo? O cielo bello! se deve costare a noi quanto a tutti questi beati, chi di noi vi andrà? Ma no, F. M., consoliamoci Dio non ci domanda tanto. Ma, penserete, cosa bisogna far dunque per andarvi? — Ah! amico mio, lo so ben io cosa bisogna fare. Avete desiderio d’andarvi? — Oh! senza dubbio, voi dite; è ben questo il mio desiderio; se prego, se faccio penitenze è appunto per meritar questa fortuna. — Ebbene! ascoltatemi un istante e lo saprete. Cosa dovete fare? non tralasciar le preghiere mattina e sera: non lavorare in domenica: frequentar di tratto in tratto i Sacramenti: non ascoltare il demonio quando vi tenta, e ricorrere subito a Dio. — Ma, penserete voi, molte cose si possono benissimo fare, ma certe altre, il confessarsi, p. es., non è tanto comodo. — Non è tanto comodo, amico mio? dunque preferite restare in mano al demonio che cacciarlo per rientrare nel seno di Dio, che tante volte vi fece provare quanto è buono? Non considerate adunque come il momento più felice per voi quello in cui avete la fortuna di ricevere il vostro Dio? O mio Dio! se vi si amasse come si sospirerebbe questo momento felice!…Coraggio, amico mio, non disanimatevi: presto sarete al termine delle vostre pene; guardate al cielo, quella dimora santa e permanente; aprite gli occhi,e vedrete il vostro il vostro Dio che vi stende la mano per attrarvi a Lui.  Si, amico mio, tra poco farà con voi ciò che fu fatto con Mardocheo, per celebrare la grandezza delle vostre vittorie sul mondo e sul demonio. Il re Assuero per riconoscere i benefizi del suo generale,volle farlo montare sul suo carro di trionfo, con un araldo che camminava innanzi a lui, gridando: “Così il re ricompensa i servizi a lui resi. „ Amico mio, se adesso Dio presentasse agli occhi nostri uno di quei beati in tutto lo splendore della gloria di cui è rivestito in cielo, e ci mostrasse quelle gioie, quelle dolcezze e delizie delle quali sono inondati i santi nella patria celeste, e gridasse a noi tutti: O uomini! Perché non amate il vostro Dio? Perché non faticate a guadagnare un sì gran bene? O uomo ambizioso, che attaccasti il tuo cuore alla terra, che cosa sono gli onori di questo mondo frivolo e perituro a confronto degli onori e della gloria che Dio ti prepara nel suo regno? O uomini avari che desiderate queste ricchezze periture, quanto siete ciechi a non lavorare per meritarvi ora quelle che non finiranno mai! L’avaro cerca la felicità nei suoi beni, l’ubriacone nel vino, l’orgoglioso negli onori, e l’impudico nei piaceri della carne. Ah! no, no, amico mio, vi ingannate; alzate gli occhi dell’anima vostra verso il cielo, volgete i vostri sguardi a questo cielo bello e troverete la felicità perfetta: calpestate e disprezzate la terra è troverete il cielo! Fratel mio, perché ti immergi in questi vizi vergognosi? Osserva quali torrenti di delizie Gesù Cristo ti prepara nella patria celeste! Ah! sospira questo felice momento!… „ Sì, F. M., tutto ci predica, tutto ci sollecita di non perdere questo tesoro. I santi che sono in quel bel soggiorno ci gridano dall’alto dei loro troni di gloria: “Oh! se poteste comprendere bene la felicità di cui godiamo per alcuni momenti di combattimento. „ Ma i dannati cel dicono in modo più toccante: “O voi che siete ancor sulla terra, quanto siete fortunati di poter guadagnare il cielo, che noi perdemmo! Oh! se fossimo al vostro posto quanto saremmo più saggi di quello che fummo: abbiam perduto il nostro Dio, e l’abbiamo perduto per sempre! O sventura incomprensibile!… o sventura irreparabile!… cielo bello non ti vedremo mai!… „ F. M., chi di noi non sospira una sì grande felicità?

Credo …

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Ps XLVI:6.
Ascéndit Deus in iubilatióne, et Dóminus in voce tubæ, allelúia.
[Iddio è asceso nel giubilo e il Signore al suono delle trombe. Allelúia.]

Secreta

Súscipe, Dómine, múnera, quæ pro Fílii tui gloriósa censióne deférimus: et concéde propítius; ut a præséntibus perículis liberémur, et ad vitam per veniámus ætérnam. [Accetta, o Signore, i doni che Ti offriamo in onore della gloriosa Ascensione del tuo Figlio: e concedi propizio che, liberi dai pericoli presenti, giungiamo alla vita eterna.]

Comunione spirituale

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Ps LXVII: 33-34
Psállite Dómino, qui ascéndit super coelos coelórum ad Oriéntem, allelúia.

[Salmodiate al Signore che ascende al di sopra di tutti i cieli a Oriente, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.
Præsta nobis, quǽsumus, omnípotens et miséricors Deus: ut, quæ visibílibus mystériis suménda percépimus, invisíbili consequámur efféctu.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente e misericordioso, che di quanto abbiamo ricevuto mediante i visibili misteri, ne conseguiamo l’invisibile effetto].

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

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I SERMONI DEL CURATO D’ARS: PER IL GIORNO DELL’ASCENSIONE – “IL CIELO”

PER IL GIORNO DELL’ASCENSIONE

[Discorsi di San G. B. M. VIANNEY, Curato d’Ars, vol. II, IV ed. TORINO – ROMA; Marietti ediz. 1933]

Il Cielo.

“… laudate et exultate, quoniam merces vestra copiosa est in cælis.”

(MATTH. V., 12).

Queste furono, F. M., le consolanti parole che Gesù Cristo rivolse ai suoi Apostoli per confortarli, ed animarli a soffrire coraggiosamente le croci e le persecuzioni future. ” Sì, figli miei, diceva loro questo tenero Padre, diverrete oggetto dell’ira e del disprezzo dei cattivi, sarete vittime del loro furore, gli uomini vi odieranno. vi condurranno davanti ai principi della terra per essere giudicati e condannati ai supplizi più spaventosi, alla morte più crudele ed ignominiosa: ma, lungi dallo  scoraggiarvi, rallegratevi, poiché una gran ricompensa vi è preparata in cielo. „ O cielo bello! chi non ti amerà, poiché tanti beni tu racchiudi? Non è infatti il pensiero di questa ricompensa che rendeva gli Apostoli infaticabili nel loro lavoro apostolico, invincibili contro le persecuzioni che soffrirono dai loro nemici? Non è il pensiero di questo bel cielo che faceva comparire i martiri davanti ai giudici, con un coraggio che meravigliava i tiranni? Non è la vista del cielo che spegneva l’ardore delle fiamme destinate a divorarli, e spuntava le spade che li dovevano colpire? Oh! come erano felici di sacrificare i beni, la vita per il loro Dio, nella speranza di passare ad una vita migliore che non finirebbe mai! O fortunati abitanti della città celeste, quante lagrime avete versate e quanti patimenti sofferto per acquistare il possesso del vostro Dio! Oh! ci gridano essi dall’alto di quel trono di gloria, sul quale si trovano; oh! come Dio ci ricompensa di quel po’ di bene che abbiamo fatto! Sì, noi lo vediamo, questo tenero Padre: sì, lo benediciamo questo amabile Salvatore: sì, lo ringraziamo questo caritatevole Redentore, per anni senza fine. O felice eternità! esclamano essi; quante dolcezze e gioie non ci farai tu provare! Cielo bello, quando ti vedremo noi? O momento fortunato, quando verrai per noi? Senza dubbio, F. M., desideriamo tutti e sospiriamo beni sì grandi: ma per farveli desiderare con maggior ardore, vi mostrerò, per quanto mi sarà possibile,

1° la felicità della quale sono inebriati i santi in cielo;

2° la strada da seguire per andarvi.

È certo che noi siamo fatti per essere felici: ognuno dal più povero fino al più ricco, cerca qualche cosa che l’accontenti e compia i suoi desideri. (Nota del Beato),

I. — Se’ dovessi, F. M., farvi il triste e doloroso quadro delle pene che soffrono i reprobi nell’inferno, comincerei a provarvi la certezza di queste pene: poi spiegherei innanzi ai vostri occhi con spavento, od, a meglio dire, con una specie di disperazione, la grandezza e la intensità dei mali che soffrono, e che soffriranno eternamente. A questo racconto lagrimevole, vi sentireste presi d’orrore; e per farvelo ancor meglio comprendere, vi mostrerei le ragioni per cui quelle anime sono divorate dalla disperazione senza tregua. Vi direi che sono quattro: la privazione della vista di Dio, il dolore che soffrono, la certezza che non finirà mai, ed i mezzi che ebbero, coi quali potevano così facilmente schivarla. Infatti, se un dannato, per mille eternità, quando ve ne potessero essere mille, domandasse con le grida più strazianti e commoventi la felicità di veder Dio per un minuto solo, è certo che giammai gli verrebbe accordata. In secondo luogo, vi dico che ad ogni istante egli soffre da solo più che non abbian mai sofferto tutti i martiri insieme, o, per dir meglio, soffre in ogni minuto dell’eternità tutti i patimenti che deve sentire durante l’eternità. La terza causa dei loro supplizi è che, malgrado il rigore delle loro pene, sono sicuri che non finiranno mai. Ma ciò che metterà il colmo ai loro tormenti, alla loro disperazione, sarà il ricordo di tanti mezzi così efficaci non solo per evitare quegli orrori, ma anche per essere felici per tutta l’eternità: ricorderanno che avevano a lor portata tutte le grazie che offrì loro Iddio per salvarsi: e queste saranno altrettanti carnefici che li tortureranno. Dal fondo di quelle fiamme vedranno i beati seduti su troni di gloria, accesi d’amore sì ardente e tenero da immergerli in una ebbrezza continua: mentre il pensiero delle grazie a loro concesse da Dio, il ricordo del disprezzo fattone farà ad essi emettere urla di rabbia e di disperazione così spaventose che l’intero universo, se Dio permettesse fossero intese, ne morrebbe e cadrebbe nel nulla. E bestemmie orribili lanceranno gli uni contro gli altri. Un figlio griderà che è perduto solo perché i suoi genitori lo vollero, e invocherà la collera di Dio, e gli domanderà colle più orribili grida di concedergli d’essere il carnefice del padre suo. Una giovane strapperà gli occhi a sua madre che invece di condurla al cielo, l’ha spinta, trascinata all’inferno co’ suoi cattivi esempi, colle parole che spiravano solo mondanità, libertinaggio. Quei figli vomiteranno bestemmie orribili contro Dio per non aver abbastanza forza e furore di far soffrire i loro parenti : correranno attraverso l’abisso disperati, prendendo e trascinando i demoni, gettandoli sui padri e sulle madri loro: per fare sentire ad essi che non saranno mai abbastanza tormentati di averli perduti, mentre facilmente potevano salvarli. O eternità infelice! o sventurati padri e madri, quanto sono terribili i tormenti a voi riservati! Ancora un istante, e li proverete; ancora un istante, ed abbrucerete nelle fiamme!… – Ma no, F. M., non andiamo più oltre: non è il momento di trattenerci su un argomento così triste e doloroso: non turbiamo la gioia che abbiamo provato all’avvicinarsi del giorno consacrato a celebrare la felicità di cui godono gli eletti nella città celeste e permanente. – Vi dissi, che quattro cose opprimeranno di mali i reprobi nelle fiamme: lo stesso avviene dei beati. Quattro cose si uniscono insieme per non lasciar loro nulla più a desiderare. Queste cose sono:

1° la vista e la presenza del Figlio di Dio, che si manifesterà in tutto lo splendore di sua gloria, di sua bellezza, e di tutte le sue amabilità; cioè quale è nel seno del Padre suo;

2° il torrente di dolcezze e di caste delizie che godranno, e sarà simile al traboccar d’un mare agitato dal furore della tempesta: esso li travolgerà nei suoi flutti e li sommergerà in una ebbrezza così estasiante che quasi oblieranno di esistere.

3° Altra causa di felicità in mezzo a tutte le delizie sarà la certezza che esse non avranno mai fine, e da ultimo,

4° ciò che li immergerà totalmente in questi torrenti d’amore, sarà che tutti questi beni sono dati loro per ricompensa delle virtù e delle penitenze esercitate. Quelle anime sante vedranno che alle proprie opere buone sono debitrici dei casti amplessi dello sposo. Anzitutto il primo trasporto d’amore che si accenderà nel loro cuore sorgerà alla vista delle bellezze che scopriranno accostandosi alla presenza di Dio. In questo mondo sia pur bello e seducente un oggetto che ci si presenta, dopo un istante di piacere il nostro spirito si stanca e si volge da un’altra parte, per trovarvi di che soddisfarsi meglio; passa da una ad altra cosa senza poter trovare d’accontentarsi: ma in cielo non sarà così: bisognerà anzi che Dio ci partecipi le sue forze, per poter sostenere lo splendore delle sue bellezze, e delle cose dolci e meravigliose che si offriranno continuamente ai nostri occhi. E ciò sprofonderà le anime degli eletti in un abisso tale di dolcezza e d’amore, che non potranno distinguere se vivano o se siano tramutate in amore. O avventurata dimora! o felicità permanente! chi di noi ti gusterà un giorno? Poi per quanto grandi e inebrianti siano queste dolcezze, sentiremo continuamente gli Angeli ripetere che esse dureranno sempre. Vi lascio pensare quanto i beati ne godranno. Notate, P. M., se gustiamo in questo mondo alcuni piaceri, non tardiamo a provare qualche pena che ne diminuisce le dolcezze, sia per il timore che abbiamo di perderli, sia anche per le premure necessarie per conservarli: dal che avviene che non siamo mai perfettamente contenti. In cielo non succederà così: ci troveremo nella gioia e nelle delizie, sicuri che nulla potrà mai rapircele né diminuirle. Finalmente l’ultimo dardo d’amore che colpirà il nostro cuore, sarà il quadro che Dio metterà davanti ai nostri occhi di tutte le lagrime venate e delle penitenze fatte durante la nostra vita, senza lasciare da parte neppure un pensiero o un desiderio buono. Oh! qual gioia per un buon Cristiano, vedere il disprezzo avuto per se medesimo, il rigore esercitato sul suo corpo, il piacere che provava in vedersi disprezzato, vedere la sua fedeltà nel respingere quei cattivi pensieri coi quali il demonio aveva cercato di turbare la sua immaginazione: ricorderà le preparazioni per la confessione, la premura di nutrire l’anima sua alla sacra mensa: avrà davanti agli occhi tutte le volte che si privò degli abiti per coprire il fratello povero e sofferente. “O mio Dio! mio Dio! esclamerà ad ogni istante, quanti beni per così poca cosa!„ Ma Dio, per infiammare gli eletti di amore e di riconoscenza, metterà la sua croce sanguinosa in mezzo alla sua corte celeste, e farà loro la descrizione di tutti i patimenti sofferti per renderli felici, mosso com’era soltanto dal suo amore. Vi lascio immaginare i loro trasporti di amore e di riconoscenza: quali casti abbracci non le prodigheranno durante l’eternità, ricordandosi che questa croce è lo strumento di cui si servì Iddio per donar loro tanti beni! I santi Padri, facendoci la descrizione delle pene che soffrono i reprobi, ci dicono che ognuno dei loro sensi è tormentato, a seconda delle colpe commesse e dei piaceri gustati: chi avrà avuto la sfortuna di essersi abbandonato al vizio impuro sarà coperto di serpenti e dragoni che lo divoreranno per tutta l’eternità: i suoi occhi che ebbero sguardi disonesti, le orecchie che si compiacquero di canzoni impudiche, la bocca che pronunciò quelle impurità, saranno altrettanti canali donde usciranno turbini di fiamme a divorarli: gli occhi non vedranno che oggetti orribili. Un avaro soffrirà tal fame che lo divorerà, un orgoglioso verrà calpestato sotto i piedi degli altri dannati, un vendicativo sarà trascinato dai demoni tra le fiamme. Non vi sarà parte alcuna del nostro corpo che non soffrirà in proporzione dei peccati da essa commessi. O orrore! o sventura spaventevole! Altrettanto sarà della felicità dei beati nel cielo: la felicità, i piaceri, le gioie loro saranno grandi in proporzione di quanto fecero soffrire ai loro corpi durante la vita. Se avremo avuto orrore delle canzoni e dei discorsi disonesti, non udremo lassù che cantici dolci e meravigliosi, di cui gli Angeli faran ripercuotere la vòlta dei cieli: se saremo stati casti negli sguardi, i nostri occhi non saranno occupati che in contemplare oggetti, la cui bellezza li terrà in continua estasi senza potersene stancare: cioè scopriremo sempre nuove bellezze, come ad una sorgente d’amore che scorre senza esaurirsi mai. Il nostro cuore che aveva emesso gemiti, pianto durante l’esilio, proverà una ebbrezza tale di diletto che non sarà più padrone di sé. Lo Spirito Santo ci dice che le anime caste saranno simili ad una persona stesa sopra un letto di rose, le cui fragranze lo tengono in un’estasi continua. In una parola, solo di piaceri casti e puri i santi saranno nutriti ed inebriati per tutta l’eternità. – Ma, penserete dentro di voi, quando saremo in cielo, saremo tutti felici ugualmente? — Sì, amico mio, ma v’è qualche distinzione da fare. Se i dannati sono infelici e soffrono secondo i delitti commessi, parimente non devesi dubitare che più i Santi fecero penitenze, più la lor gloria sarà brillante; ed ecco come avverrà. E necessario, o piuttosto, conviene che Dio ci dia aiuti proporzionati alla gloria della quale vuol incoronarci, perciò ci darà soccorsi in proporzione delle dolcezze che vuol farci gustare. A coloro che fecero grandi penitenze, senza aver commesso peccati, darà delle forze sufficienti per reggere alle grazie che comunicherà loro per tutta l’eternità. È verissimo che saremo tutti completamente felici e contenti, perché troveremo tante delizie quante ce ne occorrerà per non lasciarci nulla a desiderare. – “O mio Dio! mio Dio! esclamava san Francesco in una furiosa tentazione provata, i vostri giudizi sono spaventosi: ma se io fossi tanto sventurato da non amarvi nell’eternità, accordatemi almeno la grazia d’amarvi quanto potrò in questo mondo.„ Ah! poveri peccatori che non volete tornare al vostro Dio, se almeno aveste gli stessi desideri di questo gran santo, amereste il Signore quanto potete in questa vita! O mio Dio! quanti Cristiani che mi ascoltano non vi vedranno mai! O cielo bello! o bella dimora! quando ti vedremo? Mio Dio! sino a quando ci lascerete languire in questa terra straniera? in questo esilio? Ah! se vedeste Colui che il mio cuore ama! ah! ditegli che languisco d’amore, che non vivo più, ma che muoio ad ogni ora!… Oh! chi mi darà ali come di colomba per lasciar questo esilio e volare nel seno del mio diletto?… O città felice! donde sono bandite tutte le pene, e dove si nuota in un torrente delizioso di eterno amore!…

II. – Ebbene! amico mio, vi affliggerà di essere in questo numero, mentre i dannati abbruceranno e manderanno grida orribili senza speranza che ciò debba finire? — Oh! mi direte, non solo non me ne affliggerò, ma vorrei già esservi. — Pensavo bene che m’avreste risposto così: ma non basta desiderare il cielo, bisogna lavorare per guadagnarselo. — E che si deve fare adunque ? — Nol sapete, amico mio? ebbene, eccovi: ascoltate bene, e lo saprete. Bisognerebbe non attaccarvi tanto ai beni di questo mondo, aver un po’ più di carità per la moglie, i figli, i domestici e i vicini: aver un cuore un po’ più tenero per gli sventurati: invece di non pensare che ad accumular denaro, acquistar terreni, dovreste pensare a guadagnarvi un posto in cielo: invece di lavorare la domenica, dovreste santificarla venendo nella casa di Dio per piangervi i vostri peccati, domandargli di non più ricadervi, e di perdonarvi: lungi dal non conceder tempo ai figli ed ai domestici di compiere i loro doveri di religione, dovreste essere i primi ad indurveli colle parole e col buon esempio: invece di incollerirvi alla minima perdita o contraddizione che vi succede, dovreste considerare che essendo peccatore, ne meritate ben di più, e che Dio si diporta con voi nel modo più sicuro per rendervi un giorno felice. Ecco, amico mio, ciò che occorrerebbe per andare in cielo, e che voi non fate. E che sarà di voi, fratello mio, poiché seguite la strada che conduce là dove si soffrono mali sì spaventosi? Ricordatevi, che se non lasciate questa strada, non tarderete a cadervi: fate le vostre riflessioni, e poi mi direte che cosa avrete trovato; ed io vi dirò che cosa bisognerà fare. Non invidiate forse, amico mio, tutti quei felici abitanti della corte celeste? — Ah! vorrei esservi già; almeno sarei liberato da tutte le miserie di questo mondo. — Ed anch’io lo vorrei; ma v’è ben altro da fare e da pensare.  Cosa devesi dunque fare e lo farò? — Le vostre intenzioni sono assai buone: ebbene! ascoltate un istante, e ve lo mostrerò. Non dormite, per favore. Bisognerebbe, sorella mia, essere un po’ più sottomessa al marito, non lasciarvi salire il sangue alla testa per un nonnulla; bisognerebbe avere con lui un po’ più di garbo; e quando lo vedete tornare a casa ubbriaco, ovvero dopo aver fatto un cattivo contratto, non dovreste scagliarvi contro di lui e farlo infuriare tanto che non sappia più trattenersi. Di qui vengono le bestemmie e le maledizioni senza numero contro di voi, e che scandalizzano i figli ed i domestici: invece di girar per le case a riferire quanto vi dice o fa il marito, dovreste occupare questo tempo in preghiere per domandare a Dio di darvi la pazienza e la sottomissione dovuta al marito: domandare che Dio gli tocchi il cuore per cambiarlo. So bene quanto sarebbe ancora oltre a ciò necessario per andare in cielo: madre di famiglia, ascoltatelo e non vi sarà inutile. Sarebbe necessario impiegare un po’ più di tempo nell’istruire i figli e i domestici, nell’insegnar loro ciò che devono fare per andar in cielo: sarebbe necessario non comperar loro abiti così belli, per aver modo di fare elemosina, ed attirar le benedizioni di Dio sulla vostra casa; e fors’anche poter pagare i vostri debiti: bisognerebbe lasciar da parte le vanità; e che so io? Bisognerebbe che non vi fossero nella vostra condotta che dei buoni esempi, l’esattezza nel far le vostre preghiere mattina e sera, nel prepararvi alla santa Comunione, nell’accostarvi ai Sacramenti: sarebbe necessario il distacco dai beni del mondo, un linguaggio che mostri il disprezzo che avete di tutte le cose di quaggiù, ed il conto che fate delle cose dell’altra vita. Ecco quali dovrebbero essere le vostre occupazioni e tutte le cure vostre: se fate diversamente, siete perduta: pensatevi bene oggi, forse domani non sarete più in tempo: fatevi sopra il vostro esame, giudicatevi da voi stessa: piangete i vostri sbagli, e procurate di far meglio; altrimenti non entrerete mai in cielo. Non è vero, sorella mia, che tutte queste meravigliose bellezze di cui i santi sono inebriati vi fanno invidia? — Ah! mi direte, si invidierebbe anche una fortuna meno grande di questa. — Avete ragione, ed anch’io sono del vostro parere: ma m’inquieta il pensiero che non ho fatto nulla per meritare il cielo; e voi? — Qualsiasi cosa occorra fare, pensate voi, la farei se la conoscessi: che cosa non dovrebbesi fare pur di procurarsi un sì gran bene? Se fosse necessario tutto abbandonare e sacrificare, lasciare il mondo per passare il resto dei propri giorni in un monastero, lo farei ben volentieri. — Ecco una bellissima disposizione: questi pensieri sono degni davvero d’una buona cristiana: non credeva che il vostro coraggio fosse così grande: ma vi dirò che Dio non ve ne domanda tanto. — Ebbene! pensate voi; ditemi che cosa bisogna fare, e la farò assai volentieri. — Vel dirò adunque, e vi prego di porvi ben attenzione. Occorrerebbe non prender tanta cura del vostro corpo, farlo soffrire un po’ di più: nontemer tanto che questa beltà si perda o diminuisca: non essere così lunga alla domenica mattina in abbigliarvi, osservarvi davanti allo specchio, per aver più tempo da dare al buon Dio. Bisognerebbe avere un po’ più sottomissione ai parenti, ricordandovi che dopo Dio dovete ad essi la vita, e obbedir loro di buon animo e non mormorando. Bisognerebbe anche, invece di vedervi ai divertimenti, ai balli, alle conversazioni, vedervi nella casa del Signore a pregare, a purificarvi dei peccati, e nutrir l’anima vostra col pane degli Angeli. Bisognerebbe anche essere un po’ più riservata nelle vostre parole, nelle relazioni che avete con persone di sesso diverso. Ecco quanto domanda Dio da voi: se lo fate, andrete in cielo. – E voi, fratel mio, che pensate voi di tutto ciò? da qual lato volgete i vostri desideri? — Ahi voi dite, preferirei bene d’andare in cielo, giacche vi si sta così bene, piuttosto che d’esser cacciato all’inferno dove si soffre tanto ed ogni sorta di tormenti: ma v’è molto da fare per andarvi, e mi manca il coraggio. Se un solo peccato ci condanna, io, che ad ogni istante vado in collera, non cerco neanche di incominciare “Voi non osate provare? Ascoltatemi un momento, e vi mostrerò chiaramente che non è tanto difficile come credete: e che fareste meno fatica per piacere a Dio e salvar l’anima vostra, che per procurarvi i diletti e per contentare il mondo. Rivolgete solo a Dio le cure e premure che aveste pel mondo; e vedrete che Egli non ve ne domanda tante quante il mondo. I vostri piaceri sono sempre uniti a tristezza ed amarezza, seguiti dal pentimento d’averli gustati. Quante volte ritornato dall’aver passato una parte della notte all’osteria od al ballo, dite: “Son malcontento d’esservi stato: se avessi saputo quanto vi avviene, non vi sarei andato.„ Ma, invece, se aveste passato una parte della notte in preghiere, ben lungi dall’esser afflitto sentireste dentro di voi una tal gioia, una dolcezza che vi accenderebbe il cuor d’amore. Ripieno di gioia, direste come il santo re David: “Mio Dio! un giorno passato nella casa vostra quanto è preferibile a mille passati nelle riunioni del mondo.„ I piaceri che provate nel mondo vi disgustano: quasi ogni volta che vi abbandonate ad essi, risolvete di non più ritornarvi: spesso anche vi sciogliete in lagrime, sino a disperarvi di non potervi correggere: maledite coloro che incominciarono a sviarvi: ve ne lamentate ad ogni istante: invidiate la fortuna di quelli che ora scorrono tranquillamente i loro giorni nella pratica della virtù, in un intero disprezzo dei piaceri del mondo: quante volte anche gli occhi vostri versano amare lagrime vedendo quella pace, quella gioia che brillano sulla fronte dei buoni Cristiani: che dico? Invidiate sin coloro che hanno la ventura di abitare sotto il vostro tetto. Dissi, amico mio, che quando avete passata la notte negli eccessi del vino, non trovate in voi che agitazione, noia, rimorso, disperazione: eppure avete fatto quanto potevate per accontentarvi, ma senza alcun risultato. Ebbene! amico mio: vedete quanto è più dolce soffrir per Iddio che pel mondo. Quando si ha trascorsa una notte o due in preghiera, lungi dall’esserne annoiati, pentiti e dall’invidiare coloro che passano questo tempo nel sonno e nelle comodità, si piange invece la loro sventura ed accecamento: mille volte si benedice il Signore di averci mandata l’ispirazione di procurarci tante dolcezze e consolazioni: lungi dal maledire chi ci fece abbracciare un tal genere di vita, non possiam vederlo senza la sciare scorrere lagrime di riconoscenza, tanto ci troviamo felici: lungi dal risolvere di non più ritornarvi ci sentiamo decisi di fare ancor più, ed abbiamo una santa invidia di coloro che non sono occupati che a lodare il buon Dio. Se avete speso del danaro per i vostri piaceri, il domani lo piangete: ma un Cristiano che l’ha adoperato per conservare in vita un povero che non poteva sostenersi, un Cristiano che ha vestito uno sventurato ignudo, lungi dal rimpiangerlo, cerca invece di continuo il mezzo di farlo ancor più: è pronto se occorre, a privarsi del necessario, a spogliarsi di tutto, tanta gioia risente soccorrendo Gesù Cristo nella persona dei suoi poveri. Ma, senza andar così lontano, non vi costerà certo di più, amico mio, quando siete in chiesa, lo starvi con rispetto e modestia che non ridere e volger attorno lo sguardo: sareste egualmente comodo avendo le ginocchia piegate a terra quanto tenendone uno levato per aria: quando ascoltate la parola di Dio, sarebbe più penoso ascoltarla con intenzione di approfittarne e di metterla in pratica appena il potrete, oppure andarvene fuori per divertirvi a chiacchierare di cose indifferenti, forse cattive? Non sareste più contenti se la coscienza non vi rimproverasse di nulla, e vi accostaste di tempo in tempo ai Sacramenti, ricevendo così molta forza per sopportare con pazienza le miserie della vita? Se ne dubitate, F. M., domandate a coloro che fecero la loro pasqua, come erano contenti per un po’ di tempo; cioè sino a quando ebbero la fortuna di restare amici del buon Dio. Ditemi, amico mio, vi sarebbe più duro e penoso che i parenti vi rimproverassero perché vi fermaste troppo in chiesa, ovvero vi rinfacciassero d’aver passato la notte negli stravizi? — No, no, amico mio, da qualsiasi lato consideriate quanto fate pel mondo, vi costa più caro che fare ciò che occorre per piacere a Dio e salvare l’anima vostra. Non vi parlerò della differenza, che vi sarà all’ora della morte, tra un Cristiano che servì bene Iddio, ed i rimorsi e la disperazione di chi non seguì che i suoi piaceri, non cercò che d’accontentare i corrotti desideri del cuore: perché nulla è tanto bello quanto il veder morire un santo: Dio stesso si compiace assistervi, come narrasi nelle vite di molti. Si può forse paragonarla agli orrori che accompagnano quella del peccatore, mentre i demoni lo circondano sì dappresso, e si dilaniano gli uni gli altri, per avere la barbara soddisfazione d’essere i primi a trascinarlo negli abissi? Ma, no, lasciamo tutto ciò: consideriamo soltanto la vita presente. Concludiamo, che se faceste per Iddio quanto fate pel mondo, sareste santi. — Oh! soggiungete dentro di voi, ci andate dicendo che non è difficile arrivare in cielo; a me sembra che v i siano molti sacrifici da fare. — Non v’ha dubbio: vi sono dei sacrifici da fare, altrimenti Gesù Cristo, contro verità, ci avrebbe detto che la porta del cielo è stretta, che bisogna sforzarsi per entrarvi, che occorre rinunciare a se stessi, prender la croce e seguirlo, che molti non saranno nel numero degli eletti: perciò ci promette il cielo come una ricompensa che avremo meritata. Vedete quanto fecero i santi per procurarsela. Andate, F. M., in quegli antri in fondo ai deserti, entrate nei monasteri, percorrete quelle rocce, e domandata a tette quelle schiere di santi: Perché tante lagrime e penitenze? Salite sui patiboli, ed informatevi dai martiri che cosa aspettano. Tutti vi diranno che fanno così per guadagnarsi il cielo. O mio Dio! quante lagrime versarono quei poveri solitari durante tanti anni! O mio Dio! quante penitenze e rigori non esercitarono sui loro corpi tutti quegli illustri anacoreti! Ed io non vorrò soffrir nulla! io, che ho la medesima loro speranza, ed il medesimo giudice che mi deve esaminare? O mio Dio, quanto sono neghittoso quando trattasi di lavorare pel cielo! Come mi condanneranno i santi, quando mostreranno tanti sacrifici da loro fatti per piacervi! Voi dite che è faticoso andar in cielo: ma, amico mio, non costò forse nulla a san Bartolomeo il lasciarsi scorticare vivo per piacere a Dio? Nulla a S. Vincenzo martire l’essere disteso su d’un cavalletto, ove gli si abbruciò il corpo con torce accese, finché le sue viscere caddero nel fuoco, e l’essere poi condotto in prigione, ove gli si fece un letto di pezzi di vetro e vi fu steso sopra? Amico mio, domandate a S. Ilarione perché durante ottanta anni visse nel deserto, piangendo giorno e notte. Andate, interrogate S. Girolamo, quel gran santo: domandategli perché si percuoteva il petto con un sasso, fino ad esserne tutto ammaccato. Andate nelle spelonche a trovare il grande Arsenio, e domandategli perché lasciò i piaceri del mondo per venire a piangere tutto il resto dei suoi giorni frammezzo alle belve feroci. Non avrete altra risposta, amico mio, che questa: “Ahi per guadagnar il bel cielo; eppure non ci è costato nulla: oh! queste penitenze sono ben poca cosa, se le confrontiamo alla felicità che ci preparano! „ Non vi è qualità di tormenti che i santi non siano stati pronti a soffrire per guadagnare il cielo. Leggiamo che l’imperatore Nerone, trattò i Cristiani con crudeltà sì spaventose, che il solo pensiero ci fa fremere ancora. Non sapendo conqual pretesto incominciare la persecuzione contro di essi, incendiò la città, per far credere che n’erano stati autori i Cristiani. Vedendosi applaudito dai suoi sudditi, si abbandonò atatto quanto il furore suo poteva ispirargli. Simile aduna tigre furibonda, spirante strage, faceva uscire gli uni entro pelli di belve, e li gettava nel circo in pasto aicani: altri faceva ricoprire di vestiintrise dipece e zolfo, poi li appendeva agli alberi dellevie maggiori por servir da torce ai passeggieri durante la notte: egli stesso ne aveva disposti due file nel suo giardino, e di notte li faceva accendere per avere il barbaro diletto di condurre il suo cocchio allo splendore di questo spettacolo triste e  straziante. Non trovandosi ancora soddisfatto ilsuo furore, inventò un altro supplizio: fece fondere urne di bronzo in forma di toro, nelle quali, arroventate per più giorni, gettava i Cristiani in gran numero e stava a vederli abbrustolire spietatamente. In questa stessa persecuzione S. Pietro fu messo a morte. Essendo in prigione con S. Paolo, al quale fu troncata la testa, trovò S. Pietro il mezzo di fuggire. Sulla strada apparvegli nostro Signore, che gli disse: “Pietro, vado a Roma a morire una seconda volta, „ e scomparve. S. Pietro conoscendo da ciò che non doveva fuggire la morte, ritornò in prigione, e fu condannato a morire in croce. Quando udì pronunciar la sentenza: “O grazia! esclamò: o felicità, il morire della morte del mio Dio! „ Ma domandò un favore ai suoi carnefici, di essere cioè crocifisso con la testa in giù : ” … perché, diceva, non merito la fortuna di morire in modo somigliante al mio Dio. „ Ebbene! amico mio, non è costato nulla ai santi l’andare in cielo? O cielo bello! se deve costare a noi quanto a tutti questi beati, chi di noi vi andrà? Ma no, F. M., consoliamoci Dio non ci domanda tanto. Ma, penserete, cosa bisogna far dunque per andarvi? — Ah! amico mio, lo so ben io cosa bisogna fare. Avete desiderio d’andarvi? — Oh! senza dubbio, voi dite; è ben questo il mio desiderio; se prego, se faccio penitenze è appunto per meritar questa fortuna. — Ebbene! ascoltatemi un istante e lo saprete. Cosa dovete fare? non tralasciar le preghiere mattina e sera: non lavorare in domenica: frequentar di tratto in tratto i Sacramenti: non ascoltare il demonio quando vi tenta, e ricorrere subito a Dio. — Ma, penserete voi, molte cose si possono benissimo fare, ma certe altre, il confessarsi, p. es., non è tanto comodo. — Non è tanto comodo, amico mio? dunque preferite restare in mano al demonio che cacciarlo per rientrare nel seno di Dio, che tante volte vi fece provare quanto è buono? Non considerate adunque come il momento più felice per voi quello in cui avete la fortuna di ricevere il vostro Dio? O mio Dio! se vi si amasse come si sospirerebbe questo momento felice!…Coraggio, amico mio, non disanimatevi: presto sarete al termine delle vostre pene; guardate al cielo, quella dimora santa e permanente; aprite gli occhi,e vedrete il vostro il vostro Dio che vi stende la mano per attrarvi a Lui.  Si, amico mio, tra poco farà con voi ciò che fu fatto con Mardocheo, per celebrare la grandezza delle vostre vittorie sul mondo e sul demonio. Il reAssuero per riconoscere i benefizi del suo generale,volle farlo montare sul suo carro di trionfo, con un araldo che camminava innanzi a lui, gridando: “Così il re ricompensa i servizi a lui resi. „ Amico mio, se adesso Dio presentasse agli occhi nostri uno di quei beati in tutto lo splendore della gloria di cui è rivestito in cielo, e ci mostrasse quelle gioie, quelle dolcezze e delizie delle quali sono inondati i santi nella patria celeste, e gridasse a noi tutti: O uomini! Perché non amate il vostro Dio? Perché non faticate a guadagnare un sì gran bene? O uomo ambizioso, che attaccasti il tuo cuore alla terra, che cosa sono gli onori di questo mondo frivolo e perituro a confronto degli onori e della gloria che Dio ti prepara nel suo regno? O uomini avari che desiderate queste ricchezze periture, quanto siete ciechi a non lavorare per meritarvi ora quelle che non finiranno mai! L’avaro cerca la felicità nei suoi beni, l’ubbriacone nel vino, l’orgoglioso negli onori, e l’impudico nei piaceri della carne. Ah! no, no, amico mio, vi ingannate; alzate gli occhi dell’anima vostra verso il cielo, volgete i vostri sguardi a questo cielo bello e troverete la felicità perfetta: calpestate e disprezzate la terra etroverete il cielo! Fratel mio, perché ti immergi in questi vizi vergognosi? Osserva quali torrenti di delizie Gesù Cristo ti prepara nella patria celeste! Ah! sospira questo felice momento!… „ Sì, F. M., tutto ci predica, tutto ci sollecita di non perdere questo tesoro. I santi che sono in quel bel soggiorno ci gridano dall’alto dei loro troni di gloria: “Oh! se poteste comprendere bene la felicità di cui godiamo per alcuni momenti di combattimento. „ Ma i dannati cel dicono in modo più toccante: “O voi che siete ancor sulla terra, quanto siete fortunati di poter guadagnare il cielo, che noi perdemmo! Oh! se fossimo al vostro posto quanto saremmo più saggi di quello che fummo: abbiam perduto il nostro Dio, e l’abbiamo perduto per sempre! O sventura incomprensibile!… o sventura irreparabile!… cielo bello non ti vedremo mai!… „ F. M., chi di noi non sospira una sì grande felicità?

SALMI BIBLICI: “LAUDATE NOMEN DOMINI” (CXXXIV)

SALMO 134:  “LAUDATE NOMEN DOMINI; LAUDATE … “

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 134

Alleluja.

[1] Laudate nomen Dominum;

laudate, servi, Dominum:

[2] qui statis in domo Domini, in atriis domus Dei nostri.

[3] Laudate Dominum, quia bonus Dominus; psallite nomini ejus, quoniam suave.

[4] Quoniam Jacob elegit sibi Dominus, Israel in possessionem sibi.

[5] Quia ego cognovi quod magnus est Dominus, et Deus noster prae omnibus diis.

[6] Omnia quæcumque voluit Dominus fecit, in cælo, in terra, in mari et in omnibus abyssis.

[7] Educens nubes ab extremo terræ, fulgura in pluviam fecit; qui producit ventos de thesauris suis.

[8] Qui percussit primogenita Ægypti, ab homine usque ad pecus.

[9] Et misit signa et prodigia in medio tui, Ægypte, in Pharaonem, et in omnes servos ejus.

 [10] Qui percussit gentes multas, et occidit reges fortes:

[11] Sehon, regem Amorrhæorum, et Og, regem Basan, et omnia regna Chanaan;

[12] et dedit terram eorum hæreditatem, hæreditatem Israel populo suo.

[13] Domine, nomen tuum in aeternum; Domine, memoriale tuum in generationem et generationem.

[14] Quia judicabit Dominus populum suum, et in servis suis deprecabitur.

[15] Simulacra gentium argentum et aurum, opera manuum hominum.

[16] Os habent, et non loquentur; oculos habent, et non videbunt.

[17] Aures habent, et non audient; neque enim est spiritus in ore ipsorum.

[18] Similes illis fiant qui faciunt ea, et omnes qui confidunt in eis.

[19] Domus Israel, benedicite Domino; domus Aaron, benedicite Domino.

[20] Domus Levi, benedicite Domino; qui timetis Dominum, benedicite Domino.

[21] Benedictus Dominus ex Sion, qui habitat in Jerusalem.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXXIV

Esorta i fedeli alle lodi di Dio. Il che conviene a quei che già arrivarono in patria, ed anche a quelli che i gradi di perfezione già salirono, o molto nel salire profittarono.

Alleuija: lodate Dio.

1. Lodate il nome del Signore, lodate il Signore, voi servi suoi.

2. Che fate il vostro soggiorno nella casa del Signore, ne’ cortili della casa del nostro Dio.

3. Lodate il Signore, perché è buono il Signore; cantate inni al nome di lui, perché è soave.

4. Perché il Signore elesse per sé Giacobbe, per sua proprietà Israele.

5. Perché io ho conosciuto come è grande il Signore, e il nostro Dio sopra tutti gli dei.

6. Tutte le cose che ha voluto, le ha fatte il Signore in cielo e in terra, in mare e in tutti gli abissi.

7. E i che fa venir le nuvole dall’estremità della terra, fece i lampi per segnale della pioggia.

8. Egli i venti trae fuora da’ suoi tesori, egli percosse i primogeniti dell’Egitto, dall’uomo fino al bestiame.

9. E mandò segni e prodigi in mezzo a te, o Egitto; contro Faraone e contro tutti i suoi servi.

10. Egli che abbatté molte genti, e uccise de’ re robusti;

11. Sehon re degli Amorrei, e Og re di Barsan, e tutti i regni di Chanaan.

12. E diede la loro terra in retaggio, in retaggio ad Israele suo popolo.

13. Signore, il tuo nome è in eterno: Signore, la memoria di te per tutte le generazioni.

14. Perché il Signore farà giustizia al suo popolo, e si placherà co’ suoi servi.

15. I simulacri delle nazioni sono oro e argento, opere delle mani degli uomini.

16. Hanno bocca e non parleranno; hanno occhi, e non vedranno.

17. Hanno orecchi, e non udiranno; imperocché non vi è spirito nella loro bocca.

18. Sien simili ad essi coloro che li fanno, e tutti quei che in essi confidano.

19. Casa d’Israele, benedici il Signore; benedici il Signore, casa d’Aronne.

20. Casa di Levi, benedici il Signore; voi che temete il Signore, benedite il Signore.

21. Di Sionne si benedica il Signore, che abita in Gerusalemme.

Sommario analitico

Il Salmista rivolge ai Sacerdoti lo stesso invito del salmo precedente, ma lo motiva meglio [Questo salmo ed il seguente sono stati composti dopo il ritorno dalla cattività, come dimostra il colore moderno del loro stile. Il Salmo CXXXIV è composto in parte da citazioni di salmi anteriori.].

I. Egli li invita a lodare il Signore:

1° perché essi sono suoi servi (1, 2);

2° perché il Signore è buono ed il suo nome pieno di dolcezza, ragione che sviluppa in tutto lo svolgimento del salmo (3);

3° perché è pieno di amore per Israele che ha scelto per farne sua eredità (4);

4° perché Egli è infinitamente possente, come lo provano tutte le meraviglie che Egli ha operato: a) nell’ordine fisico (3-7); b) nell’ordine della sua provvidenza morale sui nemici del suo popolo dei quali ricorda i castighi (9-14);

5° perché Egli è al di sopra di tutti gli dei, ciò che il salmista rende sensibile con il contrasto tra la sua potenza con la vanità degli idoli (15-18).

6° Termina invitando di nuovo i ministri del Signore e tutti i fedeli a glorificare il Dio potente che li protegge (19-21). 

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-17.

ff. 1, 2. Notiamo che il Profeta, dall’esordio del salmo, ci eccita a lodare Dio, mentre nei salmi precedenti ci esortava solo a benedirlo. Ora, nessuno dubita che la lode non prevalga sulla benedizione. La benedizione viene in primo luogo e si consuma nella lode. E questa non è una lode confusa nel suo oggetto, ma essa procede con ordine. « Lodate il nome dl Signore. » In effetti è con la conoscenza del nome di Dio che noi perveniamo a conoscere Lui stesso (S. Hilar.). – Utilità per noi il lodare Dio: la lode di Dio è per noi come un freno che ci impedisce di correre a nostra perdita. « Laude mea infrenabo te ne intereas. » (Isai. XLVIII, 9). Noi dobbiamo lodarlo perché siamo suoi servi. Cosa c’è di più giusto che lodare il Signore? Cosa è più convenevole? Cosa di più delizioso? In effetti, se i servitori del Signore non lo lodassero, sarebbero dei superbi, degli ingiusti, degli empi. E cosa fanno se non lodano il Signore, se non attirarsi la sua severità? Il servo ingrato che rifiuta di lodare il suo padrone, non di meno ne resta servo. Lodate il Signore, non lo lodate … voi siete suoi servi; se lo lodate ve lo rendete propizio, se non lo lodate, lo offendete (S. Agost.) – Il salmo ci esorta, il Profeta ci esorta, lo Spirito di Dio ci esorta, il Signore stesso ci esorta a lodare il Signore. Le nostre lodi non lo fanno più grande, ma fanno noi più grandi. Dio non diviene più perfetto se lo lodate, non resta sminuito se voi lo accusate; ma voi, lodando Colui che è eccellente, diventate migliori, mentre accusandolo diventate peggiori di quanto non siate; quanto a Lui, Egli resta ciò che è (S. Agost.). –  Voi che state nella casa del Signore. » Voi che state ritti e non cadete. Ora, coloro che stanno in piedi, secondo la Scrittura, sono coloro che perseverano nella pratica dei Comandamenti di Dio con vera fede, con la speranza incrollabile ed una carità sincera, che onorano la sua Chiesa e non causano scandalo con i loro cattivi costumi, e coloro che vogliono entrare nella Chiesa ma che trovano sulla loro strada pietre di inciampo. Di conseguenza: « Voi che state ritti nella casa del Signore, lodate il Nome del Signore. Siate riconoscenti; voi siete all’esterno ciò che avete dentro. Poiché voi siete così in piedi, non è forse un dovere che non potete dimenticare, il riconoscere e il lodare il Signore nella dimora ove Egli merita di essere lodato, per avervi rialzato dalla vostra caduta ed avervi concesso di restare nella sua casa? È dunque un beneficio di poco valore restare nella casa del Signore? A Lui dobbiamo un poco di riconoscenza di averci concesso di restare quaggiù, in questo luogo di passaggio, in questo luogo di esilio, in questa casa che si chiama ancora una “tenda da viaggio”? Noi non dobbiamo considerare che stiamo in piedi? Non dobbiamo considerare ciò che siamo diventati? Non dobbiamo considerare che alcun empio cerchi il Signore, e che Egli abbia cercato coloro che non lo cercano; e dopo averli trovati, li ha risvegliati; e dopo averli risvegliati, li ha chiamati; e dopo averli chiamati, li ha introdotti nella sua casa ed ha concesso di restarvi? (S. Agost.). – In questa vita, noi siamo abitanti degli atri della casa del Signore. Noi non siamo ancora nel tempio eterno in cui Dio fa il suo soggiorno; ma noi siamo nella Chiesa che ne è l’entrata, ed in questa Chiesa, noi possediamo il Santo dei Santi, poiché Gesù-Cristo vi risiede con il suo Spirito, con l’influenza delle sue grazie e con la presenza reale del suo Corpo adorabile (Berthier).

ff. 3. Per qual motivo noi dobbiamo lodare il Signore? « Perché il Signore è buono. » In una sola parola, il Profeta ha spiegato la lode che dobbiamo al nostro Dio: « Il Signore è buono, ma Egli è buono in altra maniera che le cose che ha fatto buone. In effetti, Dio ha fatto tutte le cose molto buone; esse non sono solamente buone, ma molto buone, eccellenti. Egli ha fatto buoni e molto buoni il cielo e la terra, e tutte le cose che ha create. Se Egli ha fatto buone tutte queste cose, quale deve essere la bontà di Colui che le ha fatte? Egli è in sé il molto-buono, dal quale viene tutto ciò che è buono, perché Egli ha creato tutto ciò che è buono; ma Egli è l’Essere sovranamente buono, che nessuno ha creato. Egli è buono per bontà propria e non per partecipazione ad una bontà estranea; Egli è buono per bontà propria e non per unione alla bontà altrui, mentre tutti gli altri hanno avuto bisogno di Lui per divenire buoni (S. Agost.). – L’utilità si trova congiunta al piacere. Il frutto più prezioso che noi raccogliamo da questo santo esercizio è cantare le lodi di Dio, purificare la nostra anima, elevare i nostri pensieri, avere una conoscenza perfetta delle verità divine ed un’idea giusta del presente e dell’avvenire. La melodia dà allora a questi canti un fascino ineffabile che consola, riposa l’anima e rende degna di venerazione colui che ama cantare i ritmi sacri. (S. Chrys.) – « Cantiamo alla gloria del suo Nome, perché Egli è soave. » Forse potrebbe essere buono senza essere soave, senza concedervi di gustarlo? Ma se Egli si mostra così propizio agli uomini, che ha loro inviato il pane dal cielo (Giov. VI, 32-51), e che ha datolo loro suo Figlio, uguale a Lui, che è Egli stesso, perché fosse fatto uomo e fosse messo a morte per la salvezza deli uomini, affinché, per quanto voi siate, possiate gustare in Lui ciò che voi non siete. Vi era in effetti, ben difficile gustare la soavità di Dio, perché Dio era infinitamente lontano da voi, e posto ad un’altezza infinita, mentre che eravate ancora un essere abietto, sprofondato nel fondo dell’abisso; ma tra queste due estremità sì distanti, vi è stato inviato un Mediatore. Voi non potevate, non essendo che un uomo, salire fino a Dio; Dio si è fatto uomo, affinché voi, che come uomo potevate avvicinarvi all’uomo, benché non lo possiate con Dio, voi aveste accesso come uomo a Dio; e il Cristo Gesù, come Uomo è stato mediatore tra Dio e gli uomini … (I. Tim. II, 5). Egli è il Mediatore, ed è così che ha messo la sua soavità alla vostra portata.  Cosa c’è di più soave del pane degli Angeli? Come potrebbe il Signore non essere soave, allorché l’uomo mangia il pane degli Angeli? (Ps. LXXVII, 25)? In effetti, l’uomo vive di un nutrimento, l’Angelo di un altro: questo nutrimento è la verità, è la saggezza, è la forza di Dio; ma voi non potete gioirne come ne gioiscono gli Angeli; perché, come ne gioiscono essi? Essi lo possiedono così com’è: « In principio era il Verbo, ed il Verbo era in Dio, ed il Verbo era Dio, e per mezzo di Lui tutte le cose, sono state fatte. » (Jov. I, 1). Ma voi, come lo possedete? Nel fatto « che si è fatto carne ed ha abitato tra noi; » (Ibid. 14); perché, affinché l’uomo mangiasse il pane degli Angeli, il Creatore degli Aneli, si è fatto uomo. (S. Agost.).

ff. 4. Egli ha posto le altre Nazioni al di sotto degli Angeli, ma « il Signore ha scelto Giacobbe per averlo con Lui, ed Israele per possederlo in sé. » Egli ha fatto della sua Nazione un campo che coltiva, che semina e, benché abbia dato l’esistenza a tutte le Nazioni, ha affidate le altre alla guardia degli Angeli, e si è riservato il possesso e la conservazione di questa Nazione, di questo popolo di Giacobbe. Lo ha scelto per i suoi meriti o per la sua grazia? Esso è stato conosciuto prima di ogni merito, predestinato prima di ogni merito, eletto prima di ogni merito; esso non è stato scelto per i suoi meriti, ma è la grazia di Dio che è venuta a trovarlo e renderlo alla vita per grazia di Dio. (Rom. IX, 11-13). Di tutte le Nazioni è così; perché per essere innestato sull’ulivo fertile, cosa aveva meritato l’ulivo selvatico per l’amarezza delle sue bacche e per la sua sterilità l’albero della foresta? Esso non era che un albero della foresta e non un albero del campo del Signore; e tuttavia il Signore, nella sua misericordia, lo ha impiantato sull’ulivo fertile (S. Agost.).

ff. 5-7. « Perché io ho riconosciuto che il Signore è grande. » Il suo spirito prendendo il volo verso il cielo, elevandosi sopra della carne e liberandosi da ogni creatura, ha riconosciuto che il Signore è grande. Egli non ha dato a tutti il conoscerlo per averlo visto; essi lo glorificano nelle sue opere, « Egli è pieno di soavità, ha scelto Giacobbe per averlo con sé, ed Israele per possederlo come sua proprietà. » lodatelo per i suoi benefici. « Perché io ho riconosciuto che il Signore è grande, » dice il Profeta, che è entrato nel santuario di Dio, ove forse ha ascoltato delle parole ineffabili che è non è permesso all’uomo il ridire; (II Cor. XII, 4); egli ha detto agli uomini ciò che poteva essere loro detto. Ascoltiamo ciò che noi possiamo intendere e crediamolo su ciò che possiamo comprendere (S. Agost.). – I santi, da questa vita partecipano in qualche modo alla conoscenza che gli abitanti del soggiorno celeste hanno di Dio. « Io ho conosciuto da me stesso che Dio è grande. » Questa conoscenza non gli è venuta solo dallo spettacolo dell’universo, con l’istruzione dei suoi maestri, dalla frequentazione degli altri profeti; egli lo ha ricevuto da Dio stesso con una speciale rivelazione, e questa scienza è intima in lui, egli gusta la grandezza di Dio. Quando tutti gli uomini fossero nell’ignoranza di Dio, egli ne sarebbe stato non meno penetrato da ciò che sa, perché è a lui che Dio si è comunicato. Questa conoscenza della grandezza di Dio, opera degli effetti meravigliosi nell’anima di colui che la possiede; essa eleva al di sopra di tutti gli oggetti creati, gli dà una forza superiore, sia per combattere le sue passioni, sia per compiere tutti i doveri che Dio gli ha imposto, sia per sopportare tutte le tribolazioni di questa vita … L’anima che ha conosciuto, come il Profeta, che Dio è grande, afferra questo grande oggetto e si rivolge a Lui con il trasporto dell’amore più vivo, più tenero e più generoso. (Berthier). –  Qual è dunque questa grandezza veramente degna di Dio e che non conosce che Lui solo? « Il Signore ha fatto tutto ciò che ha voluto nel cielo e sulla terra. » Vedete questa potenza alla quale nulla assolutamente manca? Vedete questa fonte di vita? Vedete questa forza invincibile? Vedete questa superiorità incomparabile? Vedete questo potere che non conosce ostacoli? Come tutto gli è semplice, come tutto gli è facile? Qual è stato il teatro della sua potenza? Il cielo e la terra! (S. Chrys.). – Chi può conoscere tutte queste cose? Chi può enumerare le opera del Signore nel cielo e sulla terra, nel mare e negli abissi? Tuttavia, se non possiamo conoscere tutto ciò che esiste, noi dobbiamo credere, con fede incrollabile, che tutte le creature del cielo, tutte le creature della terra, tutte le creature del mare e di tutti gli abissi, sono stati fatti dal Signore … Egli non è stato obbligato a fare tutto ciò che ha fatto, « Egli ha fatto ciò che ha voluto. » La sua volontà è stata la causa di tutto ciò che ha fatto. Voi costruite una casa, perché se non vorreste farlo, restereste senza un’abitazione: la necessità vi forza a costruire una casa, qui non è la vostra libera volontà che agisce. Voi vi fate un vestito perché, se non lo fate, camminereste nudo; è dunque la necessità e non la vostra libera volontà che vi conduce a fare questo vestito. Voi piantate di vigne una montagna, seminate una terra, perché se non lo fate, non avreste di che nutrirvi. Tutte queste cose le fate sotto l’imperativo della necessità. Dio ha creato tutto per bontà, e non ha avuto alcun bisogno di avere qualche cosa; ecco perché Egli ha fatto tutto ciò che ha voluto. (S. Agost.) – Il Profeta non parla qui che delle opere meravigliose che Dio fa nel cielo aereo, sulla terra e nelle acque, opere che noi vediamo, benché ne ignoriamo le cause. Esempio ne sono le nubi che vengono dalla terra e si condensano nel cielo per tornare come acqua sulla terra. – Gli apostoli ed i predicatori, come cibo spirituali, passano da un’estremità della terra all’altra, per diffondervi le acque della dottrina di salvezza. Timori salutari sono quelli che essi imprimono nell’animo dei peccatori, lanciando su di essi i fulmini che sono il terrore dei giudizi di Dio. – Altro effetto della potenza di Dio, è la produzione dei venti, con tutta la sottigliezza di cui lo spirito umano non può scoprire l’origine. «Lo spirito soffia dove vuole, e voi ascoltate la sua voce, ma non sapete da dove viene e dove va. »Soffio dello Spirito divino che ispira delle inclinazioni tutte spirituali e sante, come principio della nostra vita novella. Dio lo trae dai suoi tesori, vale a dire da se stesso, e ce lo comunica quando e nella maniera che gli piace. (Dug.). « … La nuvole spandono la loro luce. » (Giob. XXXI, 51). Perché, si domanda S. Gregorio? Perché i predicatori del santo Vangelo nello stesso tempo fecondano le nostre anime con l’effusione della loro parola, li rischiarano e le rallegrano con l’irradiamento della loro vita santa. Felici dunque il suolo privilegiato sul quale passano le nubi che fecondano e che rischiarono, ma maledetto colui che ha meritato questo arresto terribile del Signore: « Io ordinerò alle mie nuvole di non piovere su di lui! » Maledetta l’anima che non vede più la luce, almeno attraverso la nube. Quanti popoli hanno visto passare sopra di essi le nubi benefiche? « Dio solo – è detto nel libro i Giobbe – conosce i grandi cammini che seguono le nubi. » (Giob. XXXVII, 16). Stiamo attenti a che Dio non li spinga verso le contrade che non sarebbero più le nostre; facciamo attenzione che le nubi non abbiano più per noi né la pioggia della divina parola, né la luce dei santi esempi; stiamo attenti a che Dio non faccia diventare il cielo di bronzo al di sopra delle nostre teste. (Mgr DE LA BOUILLERIE, Symb.)

ff. 9-12. —  Il Profeta passa dalle meraviglie della natura, ai miracoli propriamente detti, e secondo l’uso delle Scritture, aggiunge ai miracoli i prodigi terreni dei benefici, perché gli uomini sono più sensibili al terrore che non alla riconoscenza.  Bisogna far risaltare questa verità, che tutte queste vittorie raccontate nei libri dei Numeri e di Giosuè sono state l’opera di Dio e non l’effetto del valore dei combattenti. Gli uomini non attribuiscono mai questi grandi esempi e le rivoluzioni degli imperi se non a cause tutte umane. Ve n’è tuttavia una causa primaria nel cielo, alla quale le seconde sono sottomesse. (Berth. e Duguet). – Così, quando Dio vuol donare la vittoria ad un popolo, nulla gli resiste; quando Egli la ritira, non serve più nulla: né le armi sono più temprate, né i coraggi non sono più invincibili e, come dice Bossuet, né i cavalli sono veloci, né gli uomini sono abili se non solo a fuggire davanti al vincitore … È la storia di questi ripieghi molteplici, di questi disastri inauditi nella storia di una Nazione, fino ad allora vittoriosa, e di cui lo Spirito-Santo ci dà qui la spiegazione: « È Dio che colpisce le Nazioni numerose, è Lui che stermina i re potenti. »     

ff. 13, 14. — Il Profeta interrompe la sequela della sua recita per lodare Dio, secondo il costume dei santi. Appena hanno cominciato a parlare delle meraviglie della mano di Dio, l’amore che li avvolge li forza ad interrompersi per benedire e lodare l’autore di questi prodigi e soddisfare così il desiderio del loro cuore. (S. Chrys.). – Si possono applicare al popolo di Dio le due parti di questa proposizione: « Il Signore giudicherà il suo popolo e si lascerà piegare dalle preghiere dei suoi servi, » in questo senso che Dio comincerà con il castigare, ed all’azione della sua giustizia succederà la consolazione. Si può anche dividerla, cioè applicare al popolo di Dio l’esercizio della bontà, e restringere ai suoi nemici l’azione della giustizia divina (S. Chrys.). 

ff. 15-18. –  v. nel Ps. CXIII,   ai vv. ff. 12-16.

II. — 19-21

ff. 19-21. — Il Profeta ha abbracciato qui tutta la Chiesa nelle distinzioni che stabilisce tra le differenti membra del popolo di Dio, che egli esorta a benedire il Signore (S. Hilar. ). – Benediciamo Dio, ognuno secondo il proprio stato, secondo la vocazione che Dio ci ha dato e gli impieghi che ci affida. La casa di Israele, i semplici Cristiani che vivono nella luce della fede, lo benedicano per il beneficio inestimabile della verità che hanno ricevuto da Dio. – La casa di Aronne, i sacerdoti che partecipano al sacerdozio di Gesù-Cristo, benché più eccellente di quello di Aronne, benedicano il Signore nelle loro preghiere e nei loro sacrifici. – La casa di Levi, i diaconi e gli altri ministri dell’altare, benedicano Dio ciascuno nell’esercizio delle loro funzioni. – Tutti coloro che temono il Signore lo benedicano con le loro parola e con la pietà delle loro azioni. – La Chiesa, infine, che è la vera Sion, deve lodare e benedire incessantemente il Signore, che dimora in mezzo ad essa, ma che abita e regna in maniera ancor più eclatante nella Gerusalemme celeste.

IL CUORE DI GESÙ E LA DIVINIZZAZIONE DEL CRISTIANO (7)

H. Ramière: S. J.

Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (7)

[ chez le Directeur du Messager du Coeur de Jesus, Tolosa 1891]

SECONDA PARTE

MEZZI GENERALI DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Capitolo VI

IL CUORE DI GESÙ, SANTUARIO DELLO SPIRITO SANTO

Testimonianza di San Giovanni Battista sulla comunicazione dello Spirito Santo, fatta dal Padre al Figlio.

San Giovanni ci dice che i discepoli di Giovanni Battista, stupiti dal successo di Gesù e gelosi della sua gloria, andarono ad incontrarlo e gli dissero: « Maestro, Colui che era con te dall’altra parte del Giordano, al quale hai reso testimonianza, ecco sta battezzando e tutti vanno a Lui » (Giovanni III, 26). – L’umile Precursore rispose loro con una grandezza d’animo che servirà sempre da modello per tutti gli uomini: « Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stato dato dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a Lui. Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire. Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla della terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza; chi però ne accetta la testimonianza, certifica che Dio è veritiero. Infatti colui che Dio ha mandato proferisce le parole di Dio e dà lo Spirito senza misura. Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. » (Joan. III, 27-35). Fermiamoci allora a sviluppare tutto ciò che questa ammirevole testimonianza contiene. Ci concentreremo su una sola parola, per far conoscere il rapporto del Cuore di Gesù con lo Spirito Santo – che è il suo Santuario – e con Dio Padre, che effonde il suo Spirito Divino in Lui senza misura. Senza dubbio tutti i Cristiani conoscono bene il nome di questa adorabile Persona della Trinità. La invocano ogni volta che si fanno il segno della croce, ne confessano l’esistenza ogni volta che recitano il Credo. Ma molti limitano a questo tutta la loro devozione allo Spirito Santo. Tuttavia, se sono figli di Dio, lo devono all’intima dimora dello Spirito Santo nella loro anima. È grazie a Lui che vivono la vita divina. Egli deve essere il loro maestro e guida, e l’intima unione tra loro e Lui è la norma che indica il grado del loro avanzamento nella santità.

Chi è lo Spirito Santo?

Lo Spirito Santo è l’amore sostanziale del Padre e del Figlio; e poiché il cuore è l’espressione dell’amore, lo Spirito Santo potrebbe essere chiamato il cuore della divinità. In Lui la vita divina raggiunge la sua pienezza, perché consiste nella conoscenza infinita della Sua infinita verità e nell’amore assoluto della Sua sovrana bontà. Conoscendo se stesso come Dio, Egli produce un’immagine di sé esattamente uguale a quella di Colui da cui essa è prodotta, il Verbo, la seconda Persona della Santa Trinità. Ma non basta che Dio conosca se stesso. La sua vita non sarebbe né perfetta né felice, se al pensiero della conoscenza della verità non si unisse quello dell’amore per la sua bontà. E come potrebbe non amare se stesso citando la sua infinita amabilità che gli è così perfettamente nota? – Egli ama se stesso, e nell’amare se stesso, ama in sé tutto ciò che sia amabile, poiché ciò che esiste al di fuori di Lui non ha maggior bene di quello che sia disposto a concedere come donazione puramente gratuita. Fin dall’eternità, quando non eravamo ancora nulla in noi stessi, Dio ha visto in noi una bontà che gli ha permesso di amarci come ha amato se stesso; ma questa bontà non è stata trovata in noi, se non come ricevuta da Lui. – Lo Spirito Santo è il fine eterno di quell’amore eterno per mezzo del quale Dio ama se stesso, e per mezzo del quale ama in sé tutto ciò che è amabile. È proprio nella sua produzione che si raggiunge la pienezza della vita di Dio: perché è impossibile concepire qualcosa al di fuori di quell’amore perfetto del Bene sovrano. È attraverso di Lui che Dio gode della sua perfezione; è attraverso di Lui che è assolutamente perfetto. Perché – secondo sant’Agostino – essere felici è possedere ciò che si ama, quando si ama ciò che sia veramente amabile. Per quanto infinita possa essere la perfezione e l’intelligenza di Dio, se non si amasse come si conosce, l’Infinito mancherebbe nella sua vita, alla sua felicità. Lo Spirito Santo è come il sigillo della perfezione divina. Esso è il legame ineffabile che unisce il Padre e il Figlio nello stesso amore. Distinte queste due Persone divine per la conoscenza, Esse sono unite dall’amore, e lo Spirito Santo è il nodo che le unisce.

Dio è amore

Quando San Giovanni ha voluto definire Dio con una sola parola ha detto: Dio è amore! Gli altri nomi di Dio possono esprimere il suo Essere, la sua maestà, il suo potere; ma se si può dare un’idea chiara della sua vita, c’è solo questa parola: Amore. Quando vogliamo sapere come possiamo perfezionare l’immagine di Dio in noi, essere iniziati alla sua vita e condividere la sua felicità, dobbiamo rivolgerci allo Spirito Santo che ci insegni ad amare come Dio ama. Perché siamo fatti ad immagine di Dio, e quindi non possiamo acquisire la perfezione e la felicità in nessun altro modo che non sia Dio stesso. – Comprendiamo allora questo: se l’amore del bene non è in noi pari alla conoscenza della verità, se nel perfezionare la nostra intelligenza dimentichiamo la perfezione del cuore, vivremo solo per metà strada, e saremo senza paragoni più sfortunati che se il nostro spirito fosse meno coltivato, poiché la nostra conoscenza più perfetta avrà creato in noi bisogni che il disordine delle nostre affezioni non ci permetterà di soddisfare. Dio stesso, pur essendo Dio, cesserebbe di esserlo se, cosa impossibile, lo Spirito Santo, che è come il suo cuore, non fosse del tutto uguale al Padre e al Verbo. Come ci aspetteremmo di essere felici se, permettendo agli affetti del nostro cuore di essere in opposizione alle luci del nostro spirito, mutilassimo in noi stessi l’immagine della Divina Trinità?

La fecondità dello Spirito Santo.

Sappiamo già che cosa sia lo Spirito Santo in sé. Si differenzia dalle altre due Persone divine per il fatto che solo Lui, nella Santissima Trinità, sia prodotto e non produca. Dio Padre non è prodotto e produce il Figlio e lo Spirito Santo; Dio Figlio è prodotto dal Padre e produce con Lui lo Spirito Santo; ma Dio Spirito Santo, prodotto dal Padre e dal Figlio, non produce nessun’altra persona. Ma i santi Dottori avvertono che lo Spirito Santo sembra rivalersi con la sua fecondità al di fuori di Dio, per quella sorta di sterilità che è il suo stesso carattere nel seno della natura divina. A Lui, infatti, sono attribuite in modo speciale le opere più eccellenti di Dio, quelle soprannaturali. La Sacra Scrittura ci mostra lo Spirito Santo, nei primi giorni del mondo, che feconda il mondo dandogli la virtù di produrre la vita. Ma la sua virtù è molto più manifesta quando si tratta di produrre una nuova creazione e di comunicare la vita di Dio alle creature razionali. – Questa è l’opera dello Spirito Santo, e si chiama “grazia”. Senza di essa, la nostra vita avrebbe potuto avere una lontana somiglianza con la vita di Dio; ma il nostro Creatore ha voluto stabilire una parentela più stretta con noi. È Sua volontà che noi venissimo un giorno a conoscerlo come Egli stesso si conosce, ad amarlo come Egli ama se stesso e ad essere felici della sua stessa felicità. E poiché non era nelle nostre forze naturali raggiungere questo fine soprannaturale, Egli ci ha dato il Suo Spirito.

Il fine della Provvidenza di Dio è di comunicarci il suo Spirito.

Tutta la provvidenza di Dio sull’umanità ha avuto come fine la comunicazione, sempre più perfetta, dello Spirito Divino ai figli di Adamo. Molti Dottori vedono il principio di questa comunicazione nell’atto stesso con cui Dio ha creato l’uomo. Dopo aver formato il suo corpo dal limo della terra, la Sacra Scrittura ci dice che gli soffiò in faccia un soffio di vita. – Questo soffio può riferirsi all’anima che anima il corpo e gli fa vivere una vita animale e razionale. Ma possiamo anche comprenderlo come vero Spirito di Dio, il principio della vita soprannaturale che Adamo ricevette contemporaneamente a quella naturale, e che trasmise con esso a tutti i suoi discendenti. Ma questa prima comunicazione dello Spirito di Dio all’umanità era ancora molto superficiale. Molti secoli dovevano passare prima che la grazia dello Spirito Santo, che fino ad allora non aveva attraversato la terra se non nello stato di un insignificante rivolo d’acqua, la inondasse come un nuovo diluvio. Finalmente arrivò il momento predetto dai Profeti. – Uno stelo uscì dal ramo di Jesse, e da quello stelo un fiore su cui riposava lo Spirito di Dio. Lo stelo che è uscito dalla radice di Jesse è la Vergine Maria, figlia di Davide, e il fiore benedetto che è uscito da quello stelo è il Salvatore Gesù. Lo Spirito di Dio riposava su quel fiore. Lo Spirito Santo ha unito l’anima del Salvatore con un’unione più completa di quella dei Patriarchi e dei Profeti. A quest’anima santa lo Spirito Santo non è stato dato con misura, come agli altri uomini, ma in tutta la sua pienezza. Dio Padre ama suo Figlio e ha messo tutto nelle sue mani. Non può, quindi, avergli dato il suo Spirito con misura. – C’è un’altra ragione però per aver comunicato la vita dello Spirito Santo all’anima del Salvatore: il suo Cuore Divino deve essere la fonte che distribuisce questa vita in tutto il mondo. Quel Cuore è l’oceano dove le onde di questa vita divina devono essere riversate senza misura. Se l’umanità è la tempesta che lo Spirito Santo costruisce per se stesso nel susseguirsi dei tempi, il Cuore di Gesù è il santuario di quella tempesta. Diciamo il Cuore e non solo l’umanità del Salvatore, perché il cuore, l’organo dell’amore umano, è anche la sede speciale dell’amore divino. – Nel Cuore di Gesù, lo Spirito di Dio ha posto la sua dimora, e da essa dirige tutti i movimenti dell’umanità: « Il mio amore è un peso che mi trascina – dice sant’Agostino – che mi porta ovunque io vada. Il nostro Maestro non era diverso dagli altri uomini sotto questo aspetto. Anche Lui era governato, trascinato dal suo amore. Ma il suo amore era governato dall’amore divino, lo Spirito Santo. « Tutte le azioni del Nostro Salvatore – dice San Basilio – sono state compiute sotto l’influenza dello Spirito di Dio ». Questo Spirito Divino lo condusse nel deserto, dove sarebbe stato tentato da satana. Per mezzo di Lui ha fatto miracoli, come Egli stesso ha testimoniato, quando ha detto: « Se per lo Spirito di Dio scaccio i demoni … » Allo Spirito Santo anche la Sacra Scrittura attribuisce le virtù del Cuore di Gesù, anche quelle che sembrano appartenere allo Spirito, come l’intelletto, il consiglio, la sapienza.

Il Cuore di Gesù ci comunicalo Spirito Santo e quindi la Vita Divina. –

Anche lo Spirito Santo, che fa del Cuore di Gesù il suo tempio privilegiato, vuole venire da noi. Ma è il Cuore di Gesù che ce lo comunica. E da chi potremmo riceverlo se non da Colui che, possedendo in precedenza quello Spirito della vita, è sceso dal cielo per comunicarcelo? – È vero che Dio Padre comunica con il suo Figlio unigenito il possesso dello Spirito Divino: lo producono insieme con un unico atto e lo danno a chi vogliono. Inoltre, abbiamo sentito Gesù dire che ci avrebbe dato lo Spirito della verità e che questo Spirito ci sarebbe stato dato da suo Padre. Ma come il Figlio lo dà solo per volontà del Padre (Gv XV, 26), il Padre lo dà solo nel Nome di Gesù Cristo (Gv XV, 26). Mandando suo Figlio nel mondo e unendolo ad una natura simile alla nostra, Dio Padre ha in qualche modo trasferito a questo Uomo-Dio tutti i suoi diritti sull’umanità e su tutto il creato. Soprattutto, gli ha conferito il potere assoluto (Sal. II, 6) di governare, giudicare, resuscitare e vivificare, non solo come Figlio di Dio, ma come Figlio dell’uomo (Gv. V, 21 segg.). Non solo il Figlio di Dio, ma anche il Figlio dell’uomo, che nell’Apocalisse è chiamato l’Alfa e l’Omega, l’Inizio e la Fine (Apoc. XXII, 13). « Del Verbo fatto carne si dice che Egli si è mostrato pieno di grazia e di verità, e che dalla sua pienezza tutti abbiamo ricevuto » (Gv. I, 14-16). Quando Gesù Cristo afferma che Egli è la vite e noi siamo i tralci, che senza di Lui non possiamo fare nulla, mentre uniti a Lui produrremo molto frutto (Gv XV, 1 sec.), parla direttamente – secondo Sant’Agostino – della sua umanità (S. Agostino, tract. 80 in Io.) Ora, la linfa che la vite divina trasmette ai suoi tralci, l’influenza costante attraverso la quale il Cuore di Gesù vuole comunicare la sua vita e la sua fecondità, è la grazia dello Spirito Divino. – La grazia ci viene dal Cuore dell’Uomo-Dio. Come lo Spirito di Dio è la nostra vita in quanto dona alla nostra anima la vita di Dio, così il Cuore di Gesù è la nostra vita in quanto solo Lui può comunicarci lo Spirito di Dio, è l’unica fonte da cui lo Spirito Divino può essere riversato nelle anime. Non appena si rompe il canale che li unisce ad esso, essi partecipano solo alla sterilità e alla morte. – Non è senza ragione che attribuiamo questa prerogativa di essere la vita delle nostre anime al Cuore Divino di Gesù. Perché il cuore, come sappiamo, è l’organo dell’amore. Lo Spirito di Dio, che è l’amore sostanziale del Padre e del Figlio, abita nel Cuore di Gesù come in un santuario privilegiato. E da Lui si distribuisce nelle nostre anime. Ma per venire da noi deve aspettare di essere mandato di nuovo dal Cuore di Gesù, perché nessun uomo può possederlo se non nella misura in cui l’Uomo-Dio glielo dona con un atto libero del suo amore e con un movimento spontaneo del suo Cuore. – Come il nostro cuore invia a tutte le membra il sangue che le riscalda e le ravviva, così il Cuore di Gesù, attraverso palpitazioni molto più continue e forti, distribuisce a tutti i membri della Sua Chiesa lo Spirito Santo che li fa vivere divinamente. Un membro che non riceve alcuna influenza dal cuore è un membro morto. Il Cristiano che non riceve l’influenza del Cuore di Gesù ha perso la vita di Dio; è paralizzato e se non si sottomette nuovamente alla sua influenza vivificante, non può sfuggire alla morte eterna.

Il Cuore di Gesù è la fonte della grazia.

Tali sono i nostri rapporti con il Cuore di Gesù, che è per tutti gli uomini la fonte della grazia. La grazia, infatti, non è altro che la vita soprannaturale prodotta nelle anime dalla loro unione con lo Spirito Santo. Come la vita del nostro corpo deriva dalla sua unione con l’anima, così la vita della nostra anima, risulta dalla sua unione con lo Spirito di Dio. Ma, come l’anima rimane unita alle membra del corpo solo nella misura in cui le membra stesse rimangono unite al cuore, così lo Spirito di Dio rimane unito al Cristiano solo nella misura in cui il Cristiano rimane unito al Cuore di Gesù. Cosa succede se uno strumento tagliente recide le vene e le arterie che mettono in comunicazione il cuore con la mano? Questa perderà la vita e si decomporrà. La stessa cosa accade all’anima che non è unita al Cuore di Gesù attraverso la preghiera e i Sacramenti, i canali della grazia: perde tutto il calore, tutta la forza. Presto la vedrete in potere della morte del peccato e del putridume dei vizi. – Il Maestro stesso ci inculca questa verità quando dice: « Rimanete in me e Io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. » (Jn. XV, 4-6)

Il Cuore di Gesù è il Cuore della Chiesa e del Cristiano.

Possiamo affermare che ogni volta che compiamo un atto soprannaturale siamo sotto l’effettiva influenza del Cuore di Gesù. Se il Cuore Divino non toccasse i nostri cuori, noi non saremmo in grado di credere, né di sperare, né di amare, né di fare il minimo sacrificio soprannaturale, né di guadagnare il più insignificante dei meriti. Come il movimento delle arterie alle estremità del corpo non è altro che la ripercussione del battito del cuore, così il più piccolo atto soprannaturale nell’ultimo dei Cristiani non è altro che la ripercussione dei movimenti del Cuore di Gesù. – Questo Cuore Divino è veramente il Cuore della Chiesa. Come dà vita fisica al corpo naturale di Cristo, come organo dell’amore del Salvatore, dà vita soprannaturale al suo Corpo mistico. Ed è per questo che la Chiesa è chiamata Corpo di Cristo, perché in realtà non riceve meno la vita del suo Spirito di quanto il nostro corpo non riceva la vita della nostra anima. Lo Spirito di Dio che il Cuore di Gesù ci comunica, non è unito a noi in modo tale da formare una persona con noi. La sua unione con la nostra anima è meno stretta dell’unione della nostra anima con il nostro corpo. Ma, a seconda di come la si guarda, è molto più intima, poiché lo Spirito Santo penetra molto meglio tutte le facoltà della nostra anima, penetrando nelle membra del nostro corpo. L’unione della nostra anima con il nostro corpo è così fragile che si dissolve continuamente. In ogni istante perdiamo alcune parti della nostra sostanza, finché tutto il nostro corpo non viene portato via dall’irresistibile potere della morte. Ma lo stesso non accade con il Corpo di Gesù Cristo. Quando il Cuore del Divin Salvatore ha preso un’anima ed è stato unito ad essa dai beni dell’amore, non c’è alcun potere, sulla terra o all’inferno, in grado di strappargliela. Solo essa stessa può distruggere la vita divina con il più orribile dei suicidi. – Possiamo fare opere divine, se lo vogliamo. E cosa facciamo per questo? Imitare il Cuore di Gesù e lavorare sotto l’influenza dello Spirito di Dio. In questo modo la devozione allo Spirito Santo si confonde in noi con la devozione al Sacro Cuore e ci riempie, secondo l’espressione di San Paolo, della pienezza di Dio.

Capitolo VII

LA PRESENZA REALE DELLO SPIRITO SANTO NELLE NOSTRE ANIME, CAUSA PROSSIMA DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

In cosa consista la nostra divinizzazione

Il vescovo di Tulle, mons. Berteaud, ha detto dei giovani Cristiani che erano “dei in fiore”. Espressione poetica ma interamente conforme agli insegnamenti della sana teologia. Se, come ci insegna San Pietro, siamo stati Ammessi da Gesù Cristo alla partecipazione della natura divina, siamo divinità, ma divinità per partecipazione. – La divinità non è in noi come in Gesù Cristo che la possiede per diritto proprio, piena e perfetta fin dall’inizio. La nostra divinizzazione sta aumentando come la pianta che all’inizio non è altro che un germe è impercettibile e poi cresce, fiorisce e finisce per dare i suoi frutti. Così il Cristiano, inizialmente ha solo il germe della sostanza divina (Eb III, 14), e gli viene dato il tempo della vita presente per coltivare e sviluppare questo germe, per crescere in Dio e far crescere Dio in se stesso, finché la pianta divina, pienamente sviluppata, non produca in cielo il suo frutto, che è la felicità divina. Ma non basta credere a queste cose: bisogna sforzarsi di capirle. A questi titoli della nostra eredità divina si applicano infatti le parole di sant’Anselmo: « Chi non si sforza di capire ciò che la fede gli rivela è colpevole di negligenza ».

Lo Spirito Santo dimora nell’anima giusta.

San Bonaventura, ci espone: « Quando si vuole spiegare in cosa consista il dono della grazia, che rende l’uomo simile a Dio, i savi propongono visioni diverse. Ci sono, infatti, alcuni punti determinati dalla fede e altri lasciati alla ricerca della ragione. Ciò che la fede e la Sacra Scrittura stabiliscono, tuttavia, con certezza è che senza il dono della grazia è impossibile piacere a Dio; in secondo luogo, che l’uomo non può essere gradito a Dio se non riceva lo Spirito Santo, un dono increato. Pertanto, tutti coloro che hanno un concetto preciso di questo mistero riconoscono che, in tutte le anime giustificate dalla grazia, risiede realmente lo Spirito Santo, “Dono increato”. E se qualcuno la pensasse diversamente, è da considerare come un eretico. (S. Bonav., in II Sent., q. 2: vol. III, p.241). Abbiamo in noi una perfezione di questo tipo, ma non c’è dubbio, secondo il Serafico Dottore, che l’anima in stato di grazia possiede veramente lo Spirito Santo e con Lui tutta la Trinità. – San Bonaventura non esita a chiamare eretico chi nega questo dogma. Il più autorevole dei maestri della dottrina cattolica – San Tommaso – afferma che sarebbe un errore contrario alla fede dire che il Cristiano, nello stato di grazia, possieda solo i doni dello Spirito Santo e non la sua Persona (S. Th. I q. XLIII, a. 3). Non c’è verità più frequentemente affermata nelle Scritture che il dogma della reale presenza dello Spirito Santo nell’anima del Cristiano. Il Maestro, che l’aveva spesso inculcata nei suoi Apostoli durante i tre anni della sua vita pubblica, la ricordava con particolare insistenza alla vigilia della sua morte. Nella persuasione di questa presenza reale, intima, perpetua dello Spirito Santo nei loro cuori, Egli vuole far loro trovare non solo consolazione nella tristezza causata dalla sua imminente separazione, ma anche un sovrabbondante compenso per l’immensa perdita che avranno quando li lascerà: « Non vi lascerò orfani – dice loro – pregherò per voi il Padre mio; ed Egli vi darà un altro Paraclito, un consolatore che rimarrà con voi per sempre ». Poiché vi ho detto queste cose, il dolore ha riempito i vostri cuori; ma vi ho detto la verità: è a vostro vantaggio che Io me ne vada, perché se Io non me ne vado, il Paraclito non verrà da voi; ma se me ne vado, ve lo manderò. » Sentendo promesse così chiare, come potevano gli Apostoli dubitare che sarebbe stato realmente dato loro lo Spirito Santo e che Egli avrebbe veramente dimorato nelle loro anime? Se non avesse dovuto unirsi a loro se non moralmente, se non avessero dovuto possederlo se non in figura, come avrebbe potuto questo possesso metaforico e questa unione morale supplire e con vantaggio la presenza sostanziale del Figlio di Dio e la sua così intima unione con Lui? – Gesù Cristo ha voluto promettere il vero dono del suo Spirito e ha usato i termini più precisi per spiegarlo. Se avesse voluto esprimere una semplice somiglianza con la santità divina, avrebbe usato un linguaggio più improprio e fuorviante per chi lo ascoltava.

Il dogma della presenza reale dello Spirito Santo nelle anime giuste è uno dei fondamentali maggiori da essere creduto.

Le promesse del Salvatore non sono rivolte solo agli Apostoli, ma a tutti i Cristiani che saranno santificati dai successori degli Apostoli fino alla fine dei secoli. Ciò che è stato visibilmente realizzato in loro il giorno di Pentecoste è invisibilmente realizzato in tutti coloro che sono rigenerati dal Battesimo ed unti con l’olio santo della Cresima. Lo Spirito Santo non è dato a tutti nella stessa misura, ma tutti lo ricevono con la stessa realtà. San Paolo si rivolge a tutti i Cristiani e ricorda loro questo dogma come uno dei primi della loro fede che a nessuno è permesso di ignorare o dimenticare: « Non sapete che i vostri membri sono tempio, che quello che avete da Dio è in voi, e che non siete voi? » (1 Cor. VI, 19). Per San Paolo, la presenza o l’assenza dello Spirito Santo fa la differenza tra le anime. Chi possiede lo Spirito Santo è vivo, come è vivo il nostro corpo quando l’anima è presente in esso. Le anime in cui lo Spirito Santo non abita sono cadaveri. È vero che ci sono dei gradi nella vita, come ce ne sono nella morte; infatti le anime vive possono essere più o meno intimamente unite allo Spirito Santo, mentre le anime morte più o meno sono separate da Esso. Ma per tutti questa unione è il principio della vita, ed è quindi reale come lo è la vita stessa.

I primi Cristiani vivevano la presenza realedello Spirito Santo nelle loro anime.

Illuminati dagli insegnamenti delle Scritture, i primi Cristiani si nutrivano della meditazione di questo dogma. In essa cercavano conforto nelle persecuzioni e la forza nella lotta contro i tiranni. Quando sant’Ignazio di Antiochia fu portato davanti al giudice, quest’ultimo gli chiese il suo nome: « Mi chiamo Teoforo, Portatore di Dio », rispose il santo Vescovo. Aveva dimenticato il suo nome umano, perché aveva smesso di vivere una vita puramente umana e non era più consapevole di nulla se non della presenza del Dio che abitava in lui. – Santa Lucia, quando il tiranno la minacciò per farla tacere condannandola ai flagelli, rispose: « Le parole non possono mancare ai servi di Gesù Cristo perché il loro Maestro ha promesso che quando saranno davanti ai giudici, il suo Spirito parlerà attraverso le loro bocche. » – Allora lo Spirito Santo è in te, chiese il tiranno? -« Sì – rispose la vergine – coloro che vivono con castità e pietà sono tempio dello Spirito Santo. » Non le ci volle molto tempo per dimostrare la verità della sua affermazione con un miracolo. Il giudice miscredente le ordinò di essere portata in un luogo di dissolutezza, ma non poterono spostarla: la potenza dello Spirito Santo la rese una colonna incrollabile. Qui c’è un fatto notevolissimo che dimostra quanto i primi Cristiani fossero profondamente convinti della reale presenza dello Spirito Santo nelle loro anime. Quando Eunomio e Macedonio, degni successori di Ario, osarono insegnare che lo Spirito Santo non era come il Verbo di Dio, se non una creatura, ecco cosa risposero i Santi Dottori: « Non c’è se non un solo Dio che possa essere presente ovunque contemporaneamente, penetrare tutte le anime, riempirle di sé e divinizzarle per mezzo della sua unione con esse; ora, lo Spirito Santo fa tutto questo; allora lo Spirito Santo non è una creatura, ma un vero Dio ». I Santi Dottori hanno dimostrato che lo Spirito Santo è Dio presente nelle anime giuste divinizzandole; hanno supposto che coloro che negavano la sua divinità erano costretti a confessare la realtà della Sua presenza e della divinizzazione che ne derivava. San Cirillo d’Alessandria è colui che meglio di tutti ha forse evidenziato questo mistero: « Chiederò ai miei avversari se una natura creata può fare, di coloro che non lo sono, degli dei. Si  può concepire una creatura deificante? Ovviamente, questo potere può essere attribuito solo a Dio, che, donando il suo Spirito alle anime giuste, le rende partecipi di ciò che Egli possiede per natura. – Per mezzo di questo Spirito diventiamo simili all’unico Figlio per natura, e meritiamo di essere chiamati come Lui dei e figli di Dio… Quindi, poiché il potere di divinizzare da se stesso è superiore alla condizione di una creatura, qualunque essa sia, lo Spirito Santo non può essere collocato tra le creature » (Dial. VII, De Trinitate, MG. 75, 1075). – E continua: « Siamo chiamati templi di Dio e ci viene dato persino il titolo di divinità. Chiedete la ragione di questo ai nostri avversari, secondo i quali la grazia della quale partecipiamo, sia una realtà non sostanziale, ma una pura qualità. Dio non voglia che succeda! Noi siamo i templi dello Spirito Santo esistente e sussistente; e il nome di dei ci è ben dato, poiché con la nostra unione con questo Spirito Divino partecipiamo alla sua natura divina ». – Sant’Atanasio usa un argomento simile nella sua epistola a Serapione: « Lo Spirito Santo è il balsamo ed il sigillo con cui il Verbo di Dio consacra e segna coloro che gli appartengono; e tutti coloro che sono stati segnati con il suo sigillo sono, secondo San Pietro, associati alla natura divina… Ma questa intima unione non avrebbe realtà se lo Spirito Santo fosse una creatura. Poiché se siamo veramente associati a Gesù Cristo e a Dio, è chiaro che questa unzione non appartiene alla natura creata, ma alla natura del Figlio che, donandoci il suo Spirito, ci unisce al Padre suo » (S. Agostino, in Joan. Tract. 80 ML.: 35, 1839). – San Giovanni insegna la stessa cosa quando scrive: « Siamo certi di abitare in Dio e che Dio abiti in noi, poiché ci dona il suo Spirito. Se poi la nostra unione con lo Spirito Santo ci fa partecipare alla natura divina, sarebbe sciocco dire che Egli non possieda questa natura in sé, ma che sia del numero degli esseri creati. Perché, con la nostra unione con lo Spirito Santo ci fa partecipare alla natura divina, sarebbe insensato dire che Esso non possieda questa Natura in sé, ma sia uno degli esseri creati. Perché solo essendo Dio, Esso può essere in noi e farci divinità. » – Didimo di Alessandria, nel suo Trattato sullo Spirito Santo, presenta la stessa prova sotto un altro aspetto: « Si dice di certi uomini che siano pieni di Spirito Santo; ma mai, né nella Sacra Scrittura, né nel linguaggio comune, si dice di un uomo che sia pieno di una creatura …. Una tale proprietà può solo adattarsi alla natura divina. Si può benissimo dire di un uomo che sia pieno di virtù e di scienza. Ma lo Spirito Santo non riempie le anime allo stesso modo di queste qualità, perché si comunica alle anime attraverso la sua sostanza. Egli, bontà sussistente, riempie con la sua natura santificante ciò che è veramente buono, ed in tal modo alcune persone giuste sono piene di Spirito Santo (Didimo di A. Lib. 1 MG: 39, 1033). – C’è una differenza essenziale tra la presenza reale dello Spirito Santo nelle anime che Egli santifica e la presenza degli Angeli nelle anime che assistono. Questa, come gli Angeli stessi, è necessariamente limitata, quella è infinita. Ascoltiamo ancora Didimo: « L’Angelo che si è preso cura dell’Apostolo quando stava in Asia, non poteva allo stesso tempo prendersi cura degli altri Apostoli sparsi per il mondo; mentre lo Spirito Santo è presente non solo negli uomini più lontani tra loro, ma in tutti gli Angeli, in tutti i principati, in tutti i troni, in tutte le dominazioni, ed Esso non solo li assiste, ma vi abita » (Ibidem).

La presenza dello Spirito Santo nell’anima dei giustiè diversa da quella che risulta dall’immensità divina.

Va notato che questa presenza dello Spirito Santo nell’anima dell’uomo giusto è molto diversa da quella che risulta dall’immensità divina, per mezzo della quale le tre Persone divine della Santissima Trinità sono ovunque, anche nell’inferno. Anche il Figlio di Dio è immenso ed è presente ovunque, ma questo non ci impedisce di adorarlo soprattutto nell’Eucaristia, perché sappiamo che Egli è lì in un modo particolare. Così, per grazia, lo Spirito Santo è in noi per unirci, per donarsi a noi e santificarci. È questa una presenza particolare, indipendente in un certo senso dalla prima. Suàrez lo spiega dicendo che se, per un caso impossibile, l’immensità divina non rendesse presente lo Spirito Santo in noi, lo farebbe la grazia. Possiamo immaginare un uomo molto povero accanto ad un immenso tesoro, senza che per questo diventi ricco standogli vicino, perché ciò che fa la ricchezza non è la vicinanza, ma il possesso del tesoro. Tale è la differenza tra l’anima giusta e l’anima del peccatore. Il peccatore e il condannato hanno al loro fianco e in se stessi il bene infinito, eppure rimangono nella loro miseria, perché questo tesoro non appartiene a loro. Il Cristiano nello stato di grazia invece ha in sé lo Spirito Santo e, con Lui, la pienezza delle grazie celesti come un tesoro in suo possesso. (Ibidem).

Conseguenze pratiche.

Quanto potere avrebbe questa verità per allargare i nostri cuori! Che influenza avrebbe sulla nostra vita se la tenessimo presente! La persuasione che abbiamo la presenza reale del corpo di Gesù Cristo nel ciborio, ispira in noi l’orrore più profondo della profanazione del calice. Quale orrore non avremmo della profanazione del nostro corpo, se non avessimo dimenticato il dogma della reale presenza in noi dello Spirito Santo! Lo Spirito Santo è per caso meno santo della sacra carne dell’Uomo-Dio? Pensiamo che Egli dia più importanza alla santità di quei calici che ai loro templi viventi e ai tabernacoli spirituali? Impossibile dubitarne: la facilità con cui tanti Cristiani cadono nelle colpe più vergognose nasce soprattutto dalla dimenticanza di questa verità.  – La devozione al Cuore di Gesù, destinata a rigenerare la società cristiana, raggiungerà questo obiettivo dando a tutti, Sacerdoti, religiosi e semplici Cristiani, una perfetta comprensione di questo dogma. Se vogliamo che questa devozione produca in noi tutti i suoi frutti; se vogliamo cooperare alla realizzazione delle promesse che hanno accompagnato la sua rivelazione, abituiamoci a considerarla sotto questo aspetto; sforziamoci di divulgare questa dottrina, con la quale, come con una leva divina, solleveremo sulla terra le anime che il naturalismo del nostro secolo ha così miseramente schiavizzate.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/05/21/il-cuore-di-gesu-e-la-divinizzazione-del-cristiano-8/

SALMI BIBLICI: “ECCE NUNC BENEDICITE DOMINUM” (CXXXIII)

SALMO 133: “ECCE NUNC BENEDICITE DOMINUM”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 133

Canticum graduum.

[1] Ecce nunc benedicite Dominum,

omnes servi Domini: qui statis in domo Domini, in atriis domus Dei nostri.

[2] In noctibus extollite manus vestras in sancta, et benedicite Dominum.

[3] Benedicat te Dominus ex Sion, qui fecit cælum et terram.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXXIII

È Salmo (l’ultimo dei graduali) che esorta i viatori, che aspirano alla patria, a lodare Dio; o meglio, che anima quei che già arrivarono in patria a darsi tutti alle lodi di Dio, ufficio perpetuo di quei che abitano nella casa di Dio.

Cantico dei  gradi.

1. Su via benedite adesso il Signore, tutti voi servi del Signore.

2. Voi che fate vostro soggiorno nella casa del Signore, ne’ cortili della casa del nostro Dio.

3. La notte alzate le vostre mani verso il santuario, e benedite il Signore.

4. Benedica te da Sionne il Signore, che fece il cielo e la terra.

Sommario analitico

In questo salmo, che termina la serie dei salmi graduali, il popolo, nel momento in cui finisce e cessa di lodare Dio, desidera vedersi sostituito da coloro che, consacrati specialmente al suo culto, possono e devono restarvi incessantemente.

I.- Il sommo sacerdote, con il popolo, esorta i sacerdoti, i leviti e tutto il popolo a lodare Dio notte e giorno; e alzando le loro mani verso il tempo, e benedicendo Dio di cuore e di bocca (1, 2):

II. – Il popolo prega Dio di benedire il sommo Sacerdote:

1° Perché egli ha scelto il tempio per farne la sua dimora; 2° Perché Egli è il Creatore del cielo e della terra (3).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-3.

ff. 1. –  « Benedite il Signore, voi tutti che siete  servi del Signore; » voi che non siete più schiavi del peccato, ma i servi di Dio. Pensiamo che sia un lieve vantaggio il dire: «Io sono il servo del Signore? » È il colmo della virtù meritare questo favore. Ci si onora nel mondo nel poter dire: io sono il servo dell’imperatore; è una dignità l’appena avvicinarsi ad un servo dell’imperatore. A maggior ragione è dignità sovrana, infinita, potersi dire servo del Signore. Così l’Apostolo si glorifica di questo titolo, scrivendo all’inizio di tutte le sue Epistole: « Paolo, servo di Gesù-Cristo. » Benedite dunque il Signore, voi tutti servi del Signore, voi che Egli ha riscattato, voi che non riconoscete se non Dio per padrone, voi sui quali la collera non ha impero, che non siete schiavi né della voluttà, né delle altre passioni; ma non è sufficiente che essi siano servi del Signore, bisogna che si tengano in piedi. «Tenetevi in piedi nella casa del Signore. » (S. Girol.). – La benedizione che diamo a Dio viene originariamente da quella che Egli ci dà: Dio ci benedice, quando ci ricolma di beni che ci vengono dalla sua bontà, e che noi, non potendo dargli niente, confessiamo con compiacenza le sue perfezioni e ce ne rallegriamo con tutto il nostro cuore. (Bossuet, Elev. , XVIIIa sem., IXa El.). – È un dovere per tutti i Cristiani, che sono servi di Dio, il benedirlo; ma per una ragione speciale, questo dovere è più rigoroso per i sacerdoti, le cui funzioni chiamano così sovente nelle mura della sua casa, e che sono esclusivamente consacrati al culto del Signore. – Che significa: « Ora? » Nel tempo presente, perché è evidente che dopo che le nostre tribolazioni saranno passate, noi non saremo occupati se non a benedire il Signore: « Beati coloro che abitano nella vostra casa, essi vi loderanno nei secoli dei secoli. » (Ps. LXXXIII, 3). Coloro che allora benediranno il Signore senza mai fermarsi, cominceranno a benedirlo quaggiù, cioè nelle tribolazioni, nelle tentazioni, nelle sofferenze, in mezzo alle avversità del mondo, in mezzo alle insidie del nemico, in mezzo agli inganni ed alle violenze del demonio (S. Agost.). – « Voi tutti che state nella casa del Signore. » Questa casa di Dio, è la Chiesa, secondo queste parole dell’Apostolo san Paolo: « Affinché, se mi capita di tardare lungo tempo, voi sappiate come comportarvi nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, la colonna ed il sostegno della verità. » (I Tim. III, 15). Ora la Chiesa non consiste nelle mura materiali di un edificio, ma nella verità dei dogmi. Là dov’è la vera fede, là c’è la Chiesa (S. Girol.). – « Voi che state nella casa del Signore, » cioè che perseverate; perché è stato detto di colui che era altra volta un Arcangelo: « egli non è nella verità. » (Giov. VIII, 14). È stato ancora detto dell’anima dello sposo: « ma l’anima dello sposo resta là e l’ascolta, ed ella è piena di gioia alla voce dello sposo. » (Giov. III, 19).

II. — 2.

ff. 2. – « Alzate le vostre mani durante la notte, verso le cose sante. » Alzate le vostre mani, perché Gesù le ha stese sulla croce. Perché il Profeta aggiunge: « Verso le cose sante? » Eccolo: Gli eretici, i Giudei, gli stessi pagani, alzano le loro mani. Essi fanno anche delle elemosine; se vedono un povero, essi aprono le loro mani. Non sembra che le elevino? Si, essi le elevano, ma non verso le cose sante, perché essi non conoscono Gesù-Cristo … Voi, al contrario, servi del Signore, alzate le vostre mani verso le cose sante, verso il santuario, cioè confessate Gesù-Cristo, di modo che tutto ciò che fate, lo fate per Lui. .. Tutto ciò che facciamo, lo facciamo nel nome di Gesù-Cristo. noi leggiamo le Scritture, noi apprendiamo i salmi, studiamo i Vangeli, cerchiamo di comprendere i Profeti: noi non dobbiamo farlo per essere glorificati dai nostri fratelli, ma per piacere a Gesù-Cristo, affinché la sua parola risuoni sulle nostre labbra …Costui ha più appreso che poi fatto. Se io traduco nelle mie opere ciò che voi apprendete, queste opere sono molto più impregnate, penetrate dalle scritture che le parola che vi faccio intendere (S. Girol.) – In questa notte di ignoranza, di insidie, di infermità, di concupiscenze, di vizi, eleviamo le mani verso le cose sante, non solo per pregare, ma per fare delle buone opere. La preghiera da sola, non è sufficiente: bisogna elevare le nostre azioni all’altezza delle cose sante, dando i vestiti a coloro che sono ignudi, del pane a coloro che hanno fame, consolando gli afflitti, soccorrendo gli oppressi con una carità che si estenda a tutti senza eccezione. Ecco le opere che ci santificano, che sono sante e gradite a Dio (S. Hil.). – Non bisogna dare al sonno la notte tutta intera, e le nostre preghiere sono più pure quando l’anima è meno caricata dalle faccende, e la calma più profonda (S. Chrys.). –  La notte è il tempo più favorevole per lodare e pregare Dio, allorché tutto è piombato nel riposo ed il silenzio regna tutt’attorno  noi: « Io mi levo nella notte per lodare il Signore: » (Ps. CXVIII); « La mia anima vi ha desiderato di notte; » (Isai. XXVI); « Alzatevi, lodate il Signore durante la notte, all’inizio delle veglie. » (Gerem. Lam. II.). Tutti i santi hanno raccomandato questo esercizio, e la maggior parte degli istitutori di ordini monastici hanno prescritto gli uffici della notte. Il raccoglimento è più profondo quando tutta la natura è nel silenzio; i cantici di lode sono più graditi a Dio, quando si sacrifica una parte del proprio riposo col contemplare le sue perfezioni ed a celebrarne i benefici. È come un apprendistato della vita del cielo, ove gli eletti servono Dio giorno e notte nel suo tempio; è un’opera di opposizione, e nello stesso di riparazione contro gli usi del mondo, che consacra il tempo della notte ai divertimenti, ai piaceri ed all’intemperanza. – Voi che vi alzate durante la notte, che solitari levate a Dio mani innocenti, nell’oscurità e nel silenzio, e voi, Cristiani, che lodate Dio durante le tenebre, benedite il Signore (BOSSUET, Elev. XVIII, S. m, E.). – Pratica notevole, quando ci si svegli di notte è alzare le mani, ed ancor più il proprio cuore a Dio, adorarlo, lodarlo, benedirlo in un tempo in cui è dimenticato da quasi tutti. – « Alzate le vostre mani verso il santuario, » o, secondo un’altra versione: « Elevatele santamente, », cioè che la vostra anima, pregando, debba essere pura dai cattivi pensieri, dall’odio, dall’avarizia, e da ogni peccato che gli dà la morte (S. Chrys.).

ff. 3. Il Signore benedice da Sion; le sue grandi benedizioni sono nella Chiesa, ed il fine di queste benedizioni è il possesso del soggiorno celeste, di cui Sion fu la figura. (Berthier) – Il Profeta eleva in seguito a più alti pensieri lo spirito di coloro ai quali si rivolge, ricordando loro che Dio è dappertutto … che noi possiamo, di conseguenza, pregarlo in ogni luogo, nella campagna, all’interno delle nostre case, sulla pubblica piazza, nella solitudine, sul mare, nelle osterie, in una parola, ovunque noi siamo. Alcun luogo è, per sua natura, contrario alla preghiera, purché la nostra vita non si opponga alla sua efficacia (S. Chrys.). – Nessuno tra voi dica: Questa benedizione non è giunta fino a me. A chi pensate che si indirizzi il Profeta dicendo: « Che il Signore vi benedica da Sion? » Egli ha benedetto l’unità, siate nell’unità, e la benedizione giungerà fino a voi. I fratelli fanno numero, perché sono plurimi, ma essi non sono che uno, perché la carità li unisce. (S. Agost.).