Questa stupenda lettera Enciclica di S. S. Leone XIII, che porta la data del giorno del Corpus Domini del 1902, è una catechesi sul Culto eucaristico, centro di tutta la Religione di Cristo, della Chiesa Cattolica, e principio di salute per i singoli Cristiani e per i popoli del mondo. Ben sapeva questo la “sinagoga di satana” infiltrata da tempo nella Chiesa sotto le sembianze di pia devozione e di una falsa santità da marrani, che giorno dopo giorno, ha lavorato incessantemente fino all’abolizione pressoché totale, almeno di quello apparente e libero, del Sacramento eucaristico, oggi praticato in gran segreto in anfratti e sottoscala, vere moderne catacombe, dai pochi Sacerdoti cattolici, validamente consacrati da Vescovi “veramente” cattolici, cioè consacrati nella pienezza dell’Ordine secondo la formula canonicamente valida del 1947, ed “una cum” il vero Santo Padre da cui hanno ricevuto Giurisdizione e missione. Oggi, è verità di fede ecclesiastica e divina, il culto eucaristico è sparito dalla comune visibilità e validità, secondo la profezia del profeta Daniele, e con modalità analoga alla scomparsa del fuoco sacro del Tempio di Gerusalemme al tempi dei Maccabei, e che gli ingannati e forse in buona fede presunti cattolici, prendono in modo sacrilego, semplice pane mai consacrato da falsi chierici, o il cui ordine è totalmente invalido (quelli ordinati dopo il 18 giugno del 1968, senza tonsura, né ordini minori), o che appartengono al modernismo eretico ed apostatico del c. d. Vaticano II, oppure, come ladri e briganti, appartengono a sette pseudo-tradizionaliste, come i “figliocci” del cavaliere kadosh di Lille, o ai tesisti eretico-scismatici, o a gruppuscoli sedevacantisti eretici, scismatici che mai hanno ricevuto né missione, né tantomeno giurisdizione da chicchessia. Come la Venerabile A. K. Emmerich vide profeticamente, è distribuito pane, pane e soltanto pane senza alcuna forma sacramentale. C’è poi un passaggio attualissimo nell’Enciclica – che fa pure menzione di S. Pasquale Baylon designato come protettore celeste dei congressi eucaristici – « … una gran parte del genere umano sembra proprio volere attirarsi sul capo l’ira celeste, sebbene i mali stessi che ci premono, ci mostrano chiaramente che il giusto castigo è già maturato … »: e cos’è questa se non la profezia dei tempi attuali, tempi di castighi maturati per l’empietà crescente di popoli, di chierici e fedeli, e della apostasia da essi attuata ed accettata ed in atto dal 28 ottobre del 1958?
Leone XIII
Miræ caritatis
Lettera EnciclicaÆ
La santa eucaristia
28 maggio 1902
È nostro altissimo dovere tenere sempre
presenti e diligentemente imitare i luminosi esempi della carità ammirabile di
Gesù Cristo per la salvezza degli uomini. Abbiamo cercato fino ad oggi di fare
questo, col suo divino aiuto, e Ci studieremo di continuare a farlo, fino alla
fine della Nostra vita, Costretti a vivere in tempi assai avversi alla verità e
alla giustizia, per quanto dipendeva da Noi, con gli insegnamenti, con le
ammonizioni, con gli atti, come ne fa fede anche l’ultima lettera apostolica a
voi indirizzata, non abbiamo mai tralasciato nulla di quello che poteva servire
meglio sia a dissipare il molteplice contagio degli errori, sia a rinvigorire
la pratica della vita cristiana. Fra questi atti, ve ne sono due più recenti,
fra loro strettamente connessi, la memoria dei quali Ci torna di opportuna
consolazione, in mezzo a tante cause di amarezza. L’uno ebbe luogo quando stimammo bene che tutta la
famiglia umana si consacrasse al Cuore augustissimo di Cristo redentore;
l’altro quando esortammo seriamente tutti coloro che si professano cristiani ad
unirsi a lui stesso, il quale è in modo divino “via, verità, vita”
non soltanto per i singoli individui, ma anche per l’intera società. – Ora poi
da questa medesima carità apostolica, che veglia sui bisogni della Chiesa, Ci
sentiamo mossi e come spinti ad aggiungere a quei due atti già compiuti,
qualche altra cosa, come a loro coronamento: a raccomandare cioè, quanto più
possiamo, al popolo cristiano la santissima eucaristia, come quel divinissimo
dono uscito dal fondo del Cuore del medesimo Redentore, ardentemente bramoso di
unirsi con questo mezzo agli uomini, mezzo escogitato specialmente per elargire
i salutari frutti della sua redenzione. Anche in questo campo Noi abbiamo già
promosse e raccomandate diverse opere. Ricordiamo con gioia specialmente di
avere approvato e arricchito di privilegi molti istituti e sodalizi, che sono
addetti all’adorazione perpetua della Vittima divina; di aver curato che i
congressi eucaristici fossero numerosi e fruttuosi come conviene; di avere ad
essi e ad altre opere simili assegnato
per protettore celeste san Pasquale Baylon, che si segnalò nella devozione e
nel culto verso il mistero eucaristico. – Perciò, venerabili fratelli, di questo
stesso mistero – nella difesa e illustrazione del quale si adoperò
costantemente sia la solerzia della chiesa, non senza preclare palme di
martiri, sia lo zelo di uomini dottissimi ed eloquentissimi, sia anche il
magistero delle nobili arti -, Ci piace ora rilevare alcuni aspetti, affinché
in modo più vivo risplenda la sua efficacia, specialmente per recare in maniera
notevolissima rimedio ai bisogni dei nostri tempi. In verità, poiché Cristo
Signore, la vigilia della sua morte, ci lasciò questo attestato d’immensa
carità verso gli uomini, e questo presidio massimo « per la vita del mondo »
(Gv 6,52), Noi, cui resta poco da vivere, nulla possiamo desiderare di meglio,
di quello che Ci sia dato d’eccitare negli animi di tutti e coltivare il dovuto
affetto di gratitudine e di devozione verso quell’ammirabile sacramento nel
quale giudichiamo basarsi in modo speciale la speranza e l’efficienza di quella
salvezza e di quella pace che è il sospiro di tutti i cuori. – Questo Nostro
pensiero, che al mondo, da ogni parte turbato e ridotto in così misera
condizione, convenga provvedere principalmente con simili aiuti e rimedi, ad
alcuni certamente farà meraviglia, e da altri sarà forse accolto con superbo
disprezzo. Ma ciò viene soprattutto dalla superbia, vizio che, quando alligna
negli animi, vi snerva necessariamente la fede cristiana, la quale esige un
ossequio religiosissimo della mente, e vi addensa più scura la caligine intorno
alle cose divine, così che a molti si addice quel detto: « Bestemmiano tutto
ciò che non conoscono » (Gd 10). Noi però, invece di desistere per questo dal
Nostro proposito, continuiamo, con più vivo ardore, ad illuminare i ben
disposti e ad impetrare da Dio perdono, interponendovi la fraterna implorazione
dei giusti, ai bestemmiatori delle cose sante. Il conoscere con perfetta fede quale sia
l’efficacia della santissima eucaristia, vale quanto conoscere quale sia
l’opera che, a beneficio del genere umano, Dio fatto uomo compì con la sua
potente misericordia, come e infatti ufficio della fede retta professare e
adorare Cristo quale sommo
fattore della nostra salute, che, con la sapienza, con le leggi, con le
istituzioni, con gli esempi, con l’effusione del sangue, restaurò ogni cosa;
così ad essa appartiene professarlo e adorarlo realmente presente nell’Eucaristia
in modo che, verissimamente egli rimane tra gli uomini sino alla fine del
mondo, e da maestro e pastore buono e intercessore accettissimo verso il Padre,
dà personalmente agli uomini, in continua abbondanza, i benefici della
redenzione operata. – Fra questi benefici poi provenienti dall’Eucaristia, chi
attentamente e religiosamente considera, vedrà primeggiare e risplendere quello
che tutti gli altri contiene: dall’Eucaristia cioè proviene agli uomini quella
vita che è la vera vita; « Il pane che io darò è la mia carne per la vita del
mondo » (Gv 6,52). In più maniere, come abbiamo detto altra volta, Cristo è
“vita”. Egli diede per motivo della sua venuta fra gli uomini il
voler loro portare una sicura abbondanza di vita più che umana: “Io sono
venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza” (Gv 10,10). E
infatti appena sulla terra « apparve la benignità e l’amore del Salvatore Dio
nostro » (Tt 3,4), nessuno
ignora che subito eruppe una certa forza creatrice di un ordine affatto nuovo
di cose, e s’infiltrò in tutte le vene della società domestica e civile.
Di là nuovi vincoli tra uomo e uomo; nuovi diritti privati e pubblici; nuovi
doveri; nuova direzione alle istituzioni, alle discipline, alle arti; e, ciò
che più importa, gli animi e le cure degli uomini furono volti alla verità
della religione e alla santità dei costumi, e anzi fu comunicata agli uomini
una vita del tutto celeste e divina. A ciò infatti si riferiscono quelle espressioni
così frequenti nelle divine Scritture: « legno di vita, verbo di vita, libro di
vita, corona di vita”, e soprattutto “pane di vita ». – Ma poiché
questa medesima vita, di cui parliamo, ha una evidente somiglianza con la vita
naturale dell’uomo, come l’una si alimenta e vegeta col cibo, così bisogna che
anche l’altra, con cibo suo proprio, si sostenti e si accresca. E qui cade a
proposito il rammentare in qual tempo e in qual modo abbia Gesù Cristo mosso e
indotto gli animi degli uomini a ricevere convenientemente e degnamente il pane
vivo che stava per dare. Perché quando si sparse la fama dì quel prodigio che
egli aveva operato sulla spiaggia di Tiberiade, moltiplicando i pani per
saziare la moltitudine, subito molti accorsero a lui, per vedere se per avventura
potesse a loro toccare un ugual beneficio. E Gesù, colta l’occasione, come
quando, dall’attingere che fece la Samaritana l’acqua del pozzo, prese lo
spunto per mettere in lei la sete dell’acqua « che zampillerà in vita eterna »
(Gv 4,14), così allora sollevò le menti avide delle moltitudini a bramare anche
più avidamente un altro pane « che dura per la vita eterna » (Gv 6, 27). Né già
questo pane, insiste ammonendo Gesù, è quella manna celeste che fu apprestata
ai padri vostri pellegrinanti per il deserto; e neppure è quello che voi stessi
testé avete ricevuto da me con tanta meraviglia; ma io medesimo sono questo
pane: « Io sono il pane di vita » (Gv 6,48). E la stessa cosa va sempre più
insinuando a tutti, ora con gli inviti, ora coi precetti: « Chi mangerà di un
tal pane, vivrà eternamente; e il pane che io darò è la mia carne per la salute
del mondo » (Gv 6,52). Dimostra poi la gravità del precetto asserendo: « In
verità, in verità vi dico: Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo, e
non berrete il mio sangue, non avrete in voi la vita » (Gv 6,54). – Si corregga
perciò quel dannosissimo errore comune, che fa credere che l’uso
dell’eucaristia si debba lasciare a quelle persone che, libere da impegni e di
animo gretto, amano dedicarsi alla vita devota. Quella cosa, che fra tutte è la
più eccellente e salutare, appartiene a tutti, qualunque sia il loro grado e il
loro ufficio; appartiene a tutti quelli cioè che vogliono (e ognuno deve
volerlo) alimentare in loro la vita della grazia divina, che conduce al conseguimento
della vita beata in Dio. – E Dio volesse che della sempiterna vita rettamente
pensassero e si prendessero cura principalmente coloro, i quali, o per ingegno
o per industria o per autorità, tanto possono nella direzione delle cose
temporali e terrene, Ma invece siamo costretti a vedere e a deplorare che molti
fastosamente spacciano d’aver essi dato al mondo vita nuova e felice, perché lo spingono a correre
ardentemente all’acquisto di tutte le comodità e di tutte le meraviglie.
Ma intanto, ovunque si guardi, si vede la società umana, che, se è lontana da
Dio, invece di godere l’agognata tranquillità, soffre e trepida come chi è
agitato da smaniosa febbre; mentre cerca ansiosamente la prosperità e confida
solo in essa, se la vede sfuggire dinanzi, e corre dietro ad un’ombra che si
dilegua. Perché gli uomini e la società, come necessariamente provengono da
Dio, così in nessun altro possono vivere, muoversi e fare qualche bene, se non
in Dio, per mezzo di Gesù Cristo; dal quale derivò sempre e deriva quanto vi è
di buono e di eletto. Ma la sorgente e il coronamento di tutti questi beni è
soprattutto l’augusta eucaristia, la quale, come nutre e sostenta quella vita,
che tanto ci sta a cuore, così accresce immensamente quella dignità umana, che
oggi sembra tenersi in gran pregio. Qual cosa infatti è maggiore o più
desiderabile che l’essere reso, per quanto è possibile, partecipe e consorte
della divina natura? Or questo ci fa Gesù Cristo specialmente nell’eucaristia,
nella quale, prendendo l’uomo già innalzato dalla grazia alle cose divine, più
strettamente lo unisce e stringe a sé. La differenza tra il cibo del corpo e
quello dell’anima, sta in questo, che il primo in noi si converte, il secondo
ci converte in lui; perciò Agostino fa dire a Cristo medesimo: « Non tu muterai
me in te, come il cibo della tua carne, ma tu stesso sarai mutato in me ». – Il
grande progresso, che gli uomini fanno in ogni virtù soprannaturale, deriva da
questo eccellentissimo Sacramento, nel quale specialmente appare come gli
uomini vengono inseriti nella divina natura. E prima nella fede. In ogni tempo
la fede ebbe avversari perché, sebbene con la cognizione di importantissime
cose elevi le menti umane, tuttavia sembra deprimere le menti umane, perché
nasconde l’intima qualità di quelle cose che mostrò essere di soprannaturale.
Una volta si combatteva ora questo ora quell’articolo di fede; nei tempi
moderni invece la guerra divampò in campo assai più vasto, e siamo ora al punto
che assolutamente nulla si ammette di soprannaturale. Orbene a ristorare negli
animi il vigore e il fervore della fede nulla è più atto che il mistero
eucaristico, detto per eccellenza il “mistero di fede”; come quello
nel quale tutte le cose soprannaturali, con una singolare abbondanza e varietà
di miracoli, sono comprese: « Ha lasciato un ricordo delle sue meraviglie il
Signore clemente e misericordioso; ha dato un cibo a quelli che lo temono »
(Sal CX, 4-5). Perché, se tutto quello che Dio fece di soprannaturale, lo
riferì all’incarnazione del Verbo, in virtù del quale si doveva riparare la
salute del genere umano, secondo quel detto dell’apostolo: « Ha stabilito… di
riunire in Cristo tutte le cose, e quelle che sono nei cieli, e quelle che sono
in terra » (Ef 1, 9-10); l’eucarestia, per testimonianza dei santi padri, deve
considerarsi come una continuazione e un ampliamento dell’incarnazione. Per
essa infatti la sostanza del Verbo incarnato si unisce coi singoli uomini, e si
rinnova mirabilmente il supremo sacrificio del Golgota, come preannunziò
Malachia: « In ogni luogo si sacrifica e si offre al mio nome un’oblazione pura
» (Mal 1,11). Questo miracolo, massimo nel suo genere, è accompagnato da
innumerevoli altri, perché qui tutte le leggi della natura sono sospese; tutta
la sostanza del pane e del vino si converte nel corpo e nel sangue di Cristo,
le specie del pane e del vino, senza appoggio alcuno, sono sostenute dalla
potenza divina; il corpo di Cristo si trova contemporaneamente in tutti quei
luoghi nei quali si compie simultaneamente il sacramento. Affinché poi si
faccia più intenso l’ossequio dell’umana ragione verso così grande mistero,
vengono, come in aiuto, i prodigi fatti a gloria di esso, in antico, e anche a
nostra memoria; dei quali in più luoghi vi sono pubblici e insigni monumenti. In questo Sacramento dunque
vediamo alimentarsi la fede, nutrirsi la mente, sfatarsi le fisime dei
razionalisti, e illustrarsi grandemente l’ordine soprannaturale. – Allo
snervamento della fede nelle cose divine molto contribuisce non solo la
superbia, come abbiamo detto, ma anche la depravazione dell’animo. Perciò, se
avviene ordinariamente che quanto più uno è morigerato, tanto più è sveglio di
mente, e che i piaceri sensuali annebbiano la mente; come riconobbe la stessa
prudenza pagana, e la sapienza divina ci aveva già prima ammoniti (cf. Sap
1,4); assai più ciò si verifica nelle cose divine, perché le voluttà corporali
oscurano il lume della fede, ed anche, per giusto castigo di Dio, totalmente
l’estinguono. Di questi piaceri oggi arde una insaziabile cupidigia, che quasi
morbo contagioso infetta tutti fin dalla più tenera età. Ma un eccellente
rimedio a questo gravissimo male a nostra disposizione sempre nella divina
eucaristia. Perché, prima di tutto, aumentando la carità, raffrena la libidine,
secondo quanto dice Agostino: “II nutrimento di essa (della carità) è lo
smorzamento della passione, e la sua perfezione è il freno della
passione”. Inoltre la carne castissima di Gesù reprime l’insolenza della
nostra carne, come ammonì Cirillo di Alessandria: « Cristo venendo in noi sopisce
la legge che infuria nelle nostre membra ». È anche un singolare e
giocondissimo frutto dell’eucaristia quello che è significato da quel detto
profetico: « Qual è il buono di lui (Cristo), qual è il bello di lui, se non il
frumento degli eletti e il vino che fa germogliare le vergini? » (Zc 9,17),
cioè il forte e costante proposito della sacra verginità, il quale, anche in
mezzo a un mondo che si stempera nella mollezza, di giorno in giorno più
largamente nella chiesa cattolica fiorisce rigoglioso: e con grande vantaggio e
decoro della religione e della stessa convivenza umana, come ognuno può
constatare. – Si aggiunge che con questo sacramento mirabilmente si rinforza la
speranza dei beni immortali e la fiducia nei divini aiuti, Aumenta infatti
sempre più il desiderio della beatitudine, che in tutti gli animi è insito e
innato, constatando la fallacia dei beni terrestri, la ingiusta violenza dei
malvagi, e tutte le altre molestie dell’anima e del corpo. Ora l’augusto
sacramento dell’Eucaristia è causa insieme e pegno della beatitudine e della
gloria, e ciò non solo per l’anima, ma anche per il corpo. Perché nel tempo
stesso che arricchisce gli animi con l’abbondanza dei beni celesti, li sparge
anche di soavissime gioie, che di molto sorpassano ogni umana estimazione e
speranza; sostenta nelle cose avverse, fortifica nella lotta della virtù,
custodisce per la vita sempiterna, e ad essa conduce quasi apprestando il
viatico. Similmente nel corpo caduco e labile ingenera la futura risurrezione,
perché il corpo immortale di Cristo vi inserisce un seme d’immortalità, che un
giorno dovrà germogliare. La chiesa ha sempre insegnato che questi due beni,
uno per l’anima e l’altro per il corpo, provengono dall’eucaristia; lo ha
sempre insegnato in ossequio alla parola di Cristo: « Chi mangia la mia carne e
beve il mio sangue ha la vita eterna; ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno »
(Gv 6,55). – Torna qui opportuno e molto importa il considerare che
l’eucaristia, essendo stata da Cristo istituita quasi “memoriale perenne
della sua passione”, manifesti al cristiano la necessità della penitenza
salutare. Gesù infatti a quei primi suoi sacerdoti disse: « Fate questo in
memoria di me » (Lc. XXII, 19), cioè fate questo per commemorare i dolori, le
amarezze, le angosce mie, la mia morte di croce. Perciò questo sacramento e
insieme sacrificio è per tutti i tempi un’esortazione alla penitenza e ad ogni
maggiore mortificazione, e insieme è una grave e severa condanna di quei
piaceri, che uomini impudentissimi vanno tanto magnificando: « Tutte le volte
che mangerete questo pane e berrete questo calice, annunzierete la morte del
Signore, nell’attesa della sua venuta » (1Cor XI, 26). – Oltre a ciò, se si
cercano le cause dei mali presenti, si troverà Che esse procedono dal fatto
che, raffreddandosi la carità verso Dio, anche la carità fra gli uomini venne a
languire. Si sono essi dimenticati di essere figli di Dio e fratelli in Gesù
Cristo; non curano se non ciascuno le cose proprie; le cose altrui non solo le
trascurano, ma spesso le combattono e invadono. Quindi sorgono, fra le diverse
classi di cittadini, frequenti turbolenze e contese: arroganza, durezza, frodi
nei potenti; miserie, odi, scioperi nei sottomessi. A questi mali si aspetta
invano il rimedio dalla provvidenza delle leggi, dal timore delle pene, dai
consigli dell’umana prudenza. Bisogna procurare, con ogni sforzo, ciò che più
volte Noi stessi abbiamo particolarmente inculcato, che cioè le classi dei
cittadini si concilino tra di loro mediante uno scambio di buone opere che,
derivate da Dio, siano informate al vero spirito e alla carità di Gesù Cristo.
Cristo portò la carità sulla terra, di questa volle infiammata ogni cosa,
perché essa sola potrebbe fin d’ora far gustare qualche saggio della
beatitudine non solo all’anima, ma anche al corpo. La carità infatti reprime
nell’uomo lo smodato amore di se stesso e frena l’avidità delle ricchezze, che
“è la radice di tutti i mali” (1Tm 6,10). Sebbene poi sia giusto che
tra le classi dei cittadini tutte le parti della giustizia siano convenientemente
tutelate; pure, con gli aiuti e moderazioni suggeriti dalla carità, sarà dato
di ottenere che nell’umana società “si faccia quell’uguaglianza”
(2Cor VIII, 14), che raccomandava san Paolo, e che, una volta realizzata, la si
conservi. Ecco ciò che intese Cristo nell’istituire questo augusto sacramento:
eccitando l’amor di Dio, volle fomentare il mutuo amore fra gli uomini. Perché
questo da quello, com’è chiaro, naturalmente deriva e spontaneamente si
effonde: né potrà mai mancare in parte alcuna, anzi sarà necessario che cresca
e divampi, quando si consideri la carità di Cristo verso gli uomini, in questo
sacramento; nel quale, come magnificamente spiegò la sua potenza e sapienza,
cosi « effuse le ricchezze del suo amore divino verso gli uomini ». Dopo questo
insigne esempio di Cristo, che ci dona tutte le cose sue, quanto dobbiamo noi
amarci e soccorrerci a vicenda, ogni giorno sempre più uniti da un legame
fraterno! E si noti come anche i segni esteriori di questo sacramento sono
opportunissimi incitamenti all’unione. A questo proposito san Cipriano dice: « Infine
anche il sacrificio del Signore dichiara l’universale unione dei Cristiani fra
di loro, e, con ferma e inseparabile carità, uniti a lui. Perché quando il
Signore chiama suo corpo il pane, fatto con l’unione di molti grani, significa
che il popolo nostro da lui condotto è un popolo riunito insieme, e quando suo
sangue chiama il vino, che è spremuto da grappoli e acini moltissimi e fuso in
uno, significa similmente che il nostro gregge è composto di una mista
moltitudine raccolta insieme ». Così l’angelico dottore, ripetendo un pensiero
di Agostino,dice: « II Signore nostro ci lasciò rappresentato il
corpo e il sangue suo in quelle cose che da più si raccolgono in uno; perché
l’una di esse, cioè il pane, è un tutto formato da più grani, l’altra, cioè il
vino, è un tutto composto di più acini: perciò Agostino dice altrove; O
sacramento di pietà, o segno di unità, o vincolo di carità! ». Tutte queste
cose si confermano con la sentenza del Concilio Tridentino, che insegna « avere
Cristo lasciato alla Chiesa l’Eucaristia come simbolo di quella unità e carità,
con la quale volle che i cristiani fossero congiunti e uniti fra loro, …
simbolo di quel corpo uno, di cui egli è il capo, e al quale volle che noi,
come membra, fossimo uniti con strettissimo vincolo di fede, di speranza e di
carità ». E questo aveva detto Paolo: “Siccome vi è un unico pane, noi,
pur essendo molti, formiamo un sol corpo, comunicandoci col medesimo pane”
(1Cor X, 17), Ed è davvero un bellissimo e festosissimo spettacolo di cristiana
fratellanza e uguaglianza sociale, l’accorrere che fanno assieme, ai sacri
altari, il patrizio e il popolano, il ricco e il povero, il dotto e
l’ignorante, partecipando ugualmente al medesimo convito celeste. – Che se giustamente
nei fasti della chiesa nascente si attribuisce a lode sua propria che « la
moltitudine dei credenti formava un solo cuore e un’anima sola » (At IV, 32),
certamente appare che questo gran bene essi dovevano alla frequenza della
comunione eucaristica, perché leggiamo di loro; « Erano assidui alla istruzione
degli apostoli, nell’unione, nello spezzare il pane » (At 2,42), – Inoltre la
grazia della mutua carità fra i viventi, che tanta forza e incremento riceve
dal Sacramento eucaristico, in virtù specialmente del sacrificio, si partecipa
a tutti quelli che sono nella Comunione dei Santi. Poiché, come tutti sanno, la
Comunione dei santi non è altro che una scambievole partecipazione di aiuto, di
espiazione, di preghiere, di benefici, tra i fedeli, o trionfanti nella celeste
patria, o penanti nel fuoco del purgatorio. o ancora pellegrinanti in terra,
dai quali risulta una sola città, che ha Cristo per capo, e la carità per
forma, Sappiamo poi dalla fede che, sebbene l’augusto sacrificio solo a Dio
possa offrirsi, si può pure celebrare in onore dei santi che regnano in cielo
con Dio, “che li ha coronati”, al fine di ottenere il loro
patrocinio, e anche, come sappiamo dalla tradizione apostolica, per cancellare
le macchie dei fratelli, che già morti nel Signore, non siano ancora
interamente purificati.
Dunque quella sincera canta, che a salute e vantaggio di tutti, tutto suole
fare e patire, scaturisce e divampa operosa dalla santissima Eucaristia, dov’è
lo stesso Cristo vivente, dove allenta il freno al suo amore per noi, e spinto
da un impeto di carità divina rinnova perpetuamente il suo sacrificio. Così
facilmente appare donde abbiano avuto origine le ardue fatiche degli uomini
apostolici, e donde tanti e sì svariati istituti di beneficenza, insieme con
l’origine, traggono le forze, la costanza e i felici successi. – Queste poche
cose in materia sì ampia non dubitiamo che torneranno utilissime al gregge
cristiano, se per opera vostra, venerabili fratelli, saranno opportunamente
esposte e raccomandate, Ma un Sacramento così grande ed efficace da ogni punto
di vista non si potrà mai da nessuno né lodare, né venerare secondo il merito.
Sia che esso si mediti, sia che devotamente si adori, sia ancora che con
purezza e santamente si riceva, dev’essere considerato quale centro in cui
tutta la vita cristiana si raccoglie: gli altri modi di pietà, quali che siano,
tutti a questo conducono e in questo finiscono. E quel benigno invito e quella
più benigna promessa di Cristo: “Venite a me, voi tutti che siete
affaticati e oppressi, ed io vi ristorerò” (Mt XI, 28), si compie
specialmente in questo mistero e in esso si avvera ogni giorno. – Infine esso è
ancora come l’anima della Chiesa, e ad esso la stessa ampiezza della grazia
sacerdotale si dirige per i vari gradi degli ordini, La Chiesa di là attinge ed
ha tutta la virtù e gloria sua, tutti gli ornamenti dei divini carismi, infine
ogni bene: ed essa perciò pone ogni cura nel preparare e condurre gli animi dei
fedeli ad una intima unione con Cristo mediante il Sacramento del corpo e
sangue suo: e, con l’ornamento di cerimonie santissime, gli accresce la
venerazione. La perpetua provvidenza di santa madre Chiesa, in questa parte,
emerge chiarissima, principalmente da quella esortazione, che fu fatta nel
sacro Concilio di Trento, spirante una certa carità e pietà mirabile, davvero
degna di essere qui da Noi tutta intera ripresentata al popolo cristiano:
“Con paterno affetto, ammonisce il santo sinodo, esorta, prega e
scongiura, per la bontà misericordiosa del nostro Dio, che, tutti e Singoli,
quelli che appartengono alla professione cristiana, in questo segno d’unità, in
questo vincolo di carità, in questo simbolo di concordia finalmente una buona
volta si uniscano e si accordino; e memori di tanta maestà e di tanto esimio
amore di Gesù Cristo Signore nostro, che diede la diletta anima sua a prezzo
della nostra salute, e la sua carne ci porse a mangiare: con tanta costanza e
fermezza di fede, con tanta devozione e pietà e culto, di cuore credano e
adorino questi sacri misteri del corpo e sangue di lui, affinché possano
frequentemente ricevere questo pane soprasostanziale, ed esso sia veramente la
vita dell’anima loro, e la perpetua sanità della mente, e confortati dal suo
vigore, possano giungere, dalla via di questo misero pellegrinaggio, alla
patria celeste, dove mangeranno senza alcun velo questo medesimo Pane degli
angeli, che ora ricevono velatamente”. – La storia poi ci mostra che la vita
cristiana allora fiorì più rigogliosa, quando fu più in uso l’accostarsi spesso
a questo divin sacramento. Invece è manifesto che quando gli uomini avevano
questo pane celeste in noncuranza e come in fastidio, a poco a poco veniva
languendo il vigore della professione cristiana. Il quale affinché un giorno
non si estinguesse del tutto, opportunamente provvide, nel Concilio
Lateranense, Innocenzo III, gravissimamente ordinando che ogni cristiano
dovesse comunicarsi almeno per Pasqua. È chiaro poi che questo precetto fu dato
a malincuore, e come rimedio estremo; perché il desiderio della Chiesa fu
sempre questo, che ad ogni Messa vi fossero alcuni partecipanti a questa divina
mensa. « Bramerebbe il sacrosanto sinodo che, nelle singole Messe, i fedeli
assistenti si comunicassero non solo spiritualmente ma anche col ricevere
sacramentalmente l’Eucaristia, affinché potessero percepire in maggior
abbondanza il frutto di questo santissimo sacrificio ». – Certamente una ricca
abbondanza di salvezza, non solo per i singoli, ma per gli uomini tutti, ha in
sé questo augustissimo mistero, in quanto è sacrificio; perciò dalla Chiesa
suole assiduamente offrirsi “per la salute di tutto il mondo”, del
quale sacrificio è conveniente che tutti i buoni si uniscano per diffondere la
devozione e il culto, anzi questo è, ai giorni nostri, assolutamente
necessario, E perciò vorremmo che le sue molteplici virtù fossero più
largamente conosciute e più attentamente valutate. – Sono princìpi chiari, al
solo lume naturale, che Dio creatore e conservatore ha un supremo e assoluto
dominio sugli uomini, in privato e in pubblico; che quanto siamo e quanto
abbiamo di bene, in privato e in pubblico, tutto ci viene dalla divina bontà; e
che per conseguenza noi dobbiamo somma riverenza a Dio, come Signore, e massima
gratitudine, come munifico benefattore. Ma quanti sono oggi coloro che apprezzano
e osservano come e quanto dovrebbero questi doveri? Più di ogni altra, l’età
nostra riottosa s’inalbera contro Dio, e fa risuonare di nuovo contro Cristo
quella nefanda parola: « Non vogliamo che costui regni su di noi » (Lc. XIX, 14),
e quel nefando proposito: « Facciamolo sparire! » (Ger XI, 19); né altro con
maggior forza molti cercano, se non che Dio venga allontanato dalla società
civile. E, sebbene non si giunga ovunque a tale eccesso di scellerata demenza,
è però cosa lacrimevole vedere quanti vivono affatto dimentichi della divina
Maestà e dei suoi benefìci, e specialmente della salvezza portataci da Gesù
Cristo, Orbene questa sì grande nequizia, o infingardaggine che dir si voglia,
bisogna che sia riparata con un aumento di ardore nella comune pietà del culto
del sacrificio eucaristico, del quale nulla può tornare a Dio più onorevole,
nulla più gradito. Poiché la Vittima che si immola è divina, ne consegue che
tanto di onore all’augusta Trinità per lei si rende, quanto l’immensa dignità
di questa ne esige; offriamo altresì al Padre un dono e per prezzo e per
soavità infinito, quale è il suo Unigenito; e così non solo alla sua benignità
porgiamo grazie, ma veniamo ad offrirle un vero ricambio, – E un altro doppio insigne frutto si può e si
deve ricavare da tanto Sacrificio. Si stringe il cuore al pensare quanta
colluvie di peccati dappertutto dilaga, una volta trascurata, come dicemmo, e
disprezzata l’autorità di Dio. Una gran parte del genere umano sembra proprio volere attirarsi sul
capo l’ira celeste, sebbene i mali stessi che ci premono, ci mostrano
chiaramente che il giusto castigo è già maturato. Bisogna dunque
eccitare i fedeli anche a questo; che piamente gareggino nel placare Dio,
giusto giudice, e nell’implorarne gli opportuni aiuti al mondo pieno di
calamità. Or queste cose, s’intenda bene, si devono ottenere principalmente per
mezzo di questo sacrificio. – Ché il soddisfare abbondantemente alla giustizia
di Dio e l’impetrare largamente i doni della sua clemenza, non può altrimenti
farsi dagli uomini se non in virtù della morte sofferta da Gesù Cristo. Ma
questa stessa virtù, sia d’espiare sia d’impetrare, volle Cristo che tutta
intera restasse nell’Eucaristia, la quale non è una vuota e semplice memoria
della sua morte, ma ne è una vera e mirabile, sebbene incruenta e mistica,
rinnovazione. Per altro, non poco Ci rallegra, e lo palesiamo volentieri, che
in questi ultimi anni si noti nei fedeli un certo risveglio dell’amore e
dell’ossequio verso il Sacramento eucaristico; donde prendiamo augurio e speranza
di tempi e cose migliori, Molte infatti e varie cose di questo genere, come da
principio dicemmo, furono dalla solerte pietà introdotte, specialmente
sodalizi, sia per accrescere lo splendore del culto eucaristico, sia per
l’adorazione perpetua dell’augustissimo sacramento, sia per la riparazione
delle ingiurie e contumelie che gli si fanno. In queste cose però, venerabili
fratelli, non dobbiamo fermarci, né Noi, né voi; perché troppe altre ne restano
da promuovere o da intraprendere, affinché questo divinissimo dono, presso quei
medesimi che adempiono i doveri della Religione cristiana, sia posto in quella
luce e in quell’onore che merita, e un mistero così grande sia venerato il più
degnamente possibile.
Questo perché le Opere già avviate si hanno da condurre sempre più innanzi; le
antiche istituzioni, se in qualche luogo andarono in disuso, si devono
richiamare in vigore, come sono ad esempio i sodalizi eucaristici, le preghiere
delle Quarantore, le solenni processioni, le visite al Santissimo Sacramento
nel tabernacolo, e altre simili pratiche molto salutari; e di più s’ha da
intraprendere tutto quello che la prudenza e la pietà potranno suggerire a
questo proposito. Ma soprattutto bisogna adoperarsi perché rifiorisca, in ogni
parte del mondo cattolico, la frequenza alla mensa eucaristica. Questo ci
dicono i sopra allegati esempi della Chiesa nascente; questo i decreti dei
condii, questo l’autorità dei padri e dei santi di tutti i secoli: perché come
il corpo, così l’anima spesso abbisogna del proprio cibo, or l’alimento più
vitale è fornito appunto dal Sacramento dell’Eucarestia. Perciò bisogna
togliere del tutto certi pregiudizi degli avversari, certi vani timori di
molti, certi pretesti per astenersene: si tratta di cosa della quale
nessun’altra è più vantaggiosa ai fedeli, sia per redimere il tempo dalle
troppe sollecitudini terrene, sia per risvegliare lo spirito cristiano e
costantemente mantenerlo, Ad ottenere questo saranno di grande aiuto le
esortazioni e gli esempi delle classi più ragguardevoli, e soprattutto la
solerzia e l’industria del clero. Poiché i Sacerdoti, ai quali Cristo redentore
affidò l’ufficio di celebrare e dispensare i misteri del corpo e sangue suo,
non possono meglio ripagarlo del sommo onore ricevuto, che col promuovere con
ogni diligenza, la sua eucaristica gloria, e con l’invitare e condurre,
secondando cosi i desideri del suo sacratissimo Cuore, tutte le anime alle
salutari sorgenti di un cosi grande sacramento e sacrificio. – In tale modo
avverrà, ciò che grandemente bramiamo, che gli eccellenti frutti dell’Eucaristia
si percepiscano sempre più abbondanti ogni giorno, mediante il felice aumento
della fede, della speranza, della carità e d’ogni cristiana virtù, Ciò tornerà
pure a vantaggio dello Stato: sempre più si manifesteranno i disegni della
provvidentissima carità del Signore, che un tale mistero stabilì in perpetuo
“per la vita del mondo”.
Con questa speranza, venerabili fratelli, a pegno dei doni divini e a testimonianza della Nostra carità, a tutti voi, al vostro clero, e al popolo, impartiamo con grande affetto la benedizione apostolica.
Roma, presso San Pietro, il giorno 28 maggio, vigilia della solennità del Corpo di Cristo, dell’anno 1902, anno XXV del nostro pontificato.