DOMENICA IV DOPO PASQUA (2020)

DOMENICA IV DOPO PASQUA (2020)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

La liturgia di questo giorno esalta la giustizia di Dio (Intr., Vang.) che si manifesta col trionfo di Gesù e l’invio dello Spirito Santo. « La destra del Signore ha operato grandi cose risuscitando Cristo da morte » (All.) e facendolo salire al cielo nel giorno dell’Ascensione. È bene per noi che Gesù lasci la terra, poiché dal cielo Egli manderà alla sua Chiesa lo Spirito di verità (Vang.), per eccellenza, che viene dal Padre dei lumi (Ep.). Lo Spirito Santo ci insegnerà ogni verità (Vang., Off., Secr.), esso « ci annunzierà » quello che Gesù gli dirà e noi saremo salvi se ascolteremo questa parola di vita (Ep.). Lo Spirito Santo ci dirà le meraviglie che Dio ha operate per il Figlio (Intr., Off.) e questa testimonianza della splendida giustizia resa a Nostro Signore consolerà le anime nostre e ci sarà di sostegno in mezzo alle persecuzioni. Siccome, secondo quanto dice S. Giacomo, «la prova della nostra fede produce la pazienza e questa bandisce l’incostanza e rende le opere perfette », noi imiteremo in tal modo la pazienza del nostro Dio « e del Padre nostro », nel quale « non vi è né variazione né cambiamento » (Ep.), e « i nostri cuori saranno allora là dove si trovano le vere gioie » (Or.). Lo Spirito Santo convincerà inoltre satana e il mondo del peccato che hanno immesso mettendo a morte Gesù (Vang., Comm.) e continuando a perseguitarlo nella sua Chiesa.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps CXVII: 1-2

Cantáte Dómino cánticum novum, allelúja: quia mirabília fecit Dóminus, allelúja: ante conspéctum géntium revelávit justítiam suam, allelúja, allelúja, allelúja.

[Cantate al Signore un cantico nuovo, allelúia: perché il Signore ha fatto meraviglie, allelúia: ha rivelato la sua giustizia agli occhi delle genti, allelúia, allelúia, allelúia.]

Salvávit sibi déxtera ejus: et bráchium sanctum ejus.

[Gli diedero la vittoria la sua destra e il suo santo braccio.]

Cantáte Dómino cánticum novum, allelúja: quia mirabília fecit Dóminus, allelúja: ante conspéctum géntium revelávit justítiam suam, allelúja, allelúja, allelúja.

[Cantate al Signore un cantico nuovo, allelúia: perché il Signore ha fatto meraviglie, allelúia: ha rivelato la sua giustizia agli occhi delle genti, allelúia, allelúia, allelúia.]

Oratio

Orémus.

Deus, qui fidélium mentes uníus éfficis voluntátis: da pópulis tuis id amáre quod praecipis, id desideráre quod promíttis; ut inter mundánas varietátes ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gáudia.

[O Dio, che rendi di un sol volere gli animi dei fedeli: concedi ai tuoi popoli di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti; affinché, in mezzo al fluttuare delle umane vicende, i nostri cuori siano fissi laddove sono le vere gioie.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Jacóbi Apóstoli. Jac. I: 17-21.

“Caríssimi: Omne datum óptimum, et omne donum perféctum desúrsum est, descéndens a Patre lúminum, apud quem non est transmutátio nec vicissitúdinis obumbrátio. Voluntárie enim génuit nos verbo veritátis, ut simus inítium áliquod creatúræ ejus. Scitis, fratres mei dilectíssimi. Sit autem omnis homo velox ad audiéndum: tardus autem ad loquéndum et tardus ad iram. Ira enim viri justítiam Dei non operátur. Propter quod abjiciéntes omnem immundítiam et abundántiam malítiæ, in mansuetúdine suscípite ínsitum verbum, quod potest salváre ánimas vestras.”

OMELIA I

[A. Castellazzi: Alla Scuola degli Apostoli; Sc. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929]

LA MANSUETUDINE

“Carissimi: Ogni grazia eccellente e ogni dono perfetto vien dall’alto dal Padre dei lumi, nel quale non è variazione, né ombra di mutamento. Egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, ché siamo quali primizie delle sue creature. Voi lo sapete, fratelli miei dilettissimi. Che ogni uomo sia pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira: poiché l’ira dell’uomo non opera ciò che è giusto davanti a Dio. Perciò rigettando ogni sozzura e sovrabbondanza di malizia, accogliete docilmente la parola inserita in voi, la quale può salvare le anime vostre”. (Giac. 1, 17-21).

L’Apostolo S. Giacomo, detto il Minore, era venuto a conoscere che tra i Cristiani convertiti dal Giudaismo e disseminati fuori della Palestina serpeggiavano gravi errori, nell’interpretazione della dottrina loro insegnata, specialmente rispetto alla necessità delle buone opere. Inoltre, in mezzo alle tribolazioni cui andavano soggetti, c’era pericolo che riuscissero a farsi strada le vecchie abitudini. Per premunire contro l’errore questi suoi connazionali dispersi, e per richiamarli a una vita più austera, S. Giacomo scrive loro una lettera. In essa si insiste sulla necessità che alla fede vadano congiunte le buone opere. Si danno, poi, varie norme, perché  tanto nella vita privata, quanto nelle relazioni sociali siano guidati da uno spirito veramente cristiano; e vengono confortati nelle loro tribolazioni. L’Epistola è tolta dal cap. 1 di questa lettera. Da Dio deriva ogni bene. Da Lui abbiamo avuto il dono inestimabile della vita della grazia, per mezzo della predicazione del Vangelo, parola di verità. Questa parola di verità ciascuno deve accogliere con prontezza, con semplicità, con spirito di mansuetudine. Parliamo appunto quest’oggi della mansuetudine, la quale

1. È l’opposto del falso zelo,

2. Non ha a che fare con l’ignavia.

3. È un apostolato efficace.

1.

Che ogni uomo sia pronto ad ascoltare, lento al parlare, lento all’ira. Nelle dispute e nelle discussioni è molto facile l’accalorarsi, il risentirsi e, infine, l’ira. Coloro, ai quali si rivolge S. Giacomo, potevano dire che, trattandosi di discussioni sulla parola di Dio ad essi predicata, la loro ira era frutto di zelo. Non è difficile osservare che la loro ira, invece di edificare, distruggeva, perché contrariava le eventuali buone disposizioni dell’altra parte. Nessuna cosa è più raccomandabile dello zelo. Basterebbe ricordare la consolantissima promessa che leggiamo, un po’ più avanti, nella lettera di S. Giacomo: « Fratelli miei, se alcuno di voi abbia deviato dalla verità, e un altrove lo riconduce, sappia che egli ha ricondotto un peccatore dall’errore della sua via salverà l’anima sua dalla morte, e coprirà la moltitudine dei suoi peccati » (Giac. V, 20.). Ma non è encomiabile uno zelo incomposto, a base di sentimenti e di invettive fuori di luogo. Noi ammiriamo la grandezza dello zelo di S. Paolo. Restiamo come sbalorditi, considerando quanto egli ha operato per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime. Sentiamo, però, da lui stesso di che sorta era il suo zelo: «Mi son fatto debole coi deboli: mi faccio tutto a tutti, per fare a ogni costo alcuni salvi» (1 Cor. IX, 22). Non vuol imporsi senza necessità; non fa valere, senza bisogno, la sua superiorità, ma si adatta a tutti, pur di poter trarre anime a Dio. Anche il medico, quando può ottenere la guarigione con mezzi blandi, non ricorre ai mezzi forti. Questi li riserva per il caso di inutilità degli altri mezzi. Gesù ci ha detto tutta la grandezza del suo zelo in quelle parole: «Sono venuto a portar fuoco sulla terra, e che cosa desidero, se non che si accenda?» (Luc. XII, 49). Ma il suo zelo si esercita nella più perfetta mansuetudine. Il Profeta, parlando di Lui, aveva detto: «Egli non griderà e non sarà accettator di persone, né si udrà di fuori la sua voce. Egli non spezzerà la canna fessa, e non spegnerà il lucignolo che fuma…» (Is. XLII, 2-3). Ed infatti, egli mostra sempre e in tutto una mansuetudine inarrivabile. Con grande pazienza e carità avvicina i deboli, i vacillanti, e ravviva in loro la vita dello spirito, che sta per spegnersi. La sua mansuetudine risalta nelle contraddizioni, nelle derisioni, nelle contumelie, nelle insolenze, nelle minacce, nell’abbandono, nella negazione, nel tradimento. « Egli maledetto, non rispondeva con maledizioni, e, maltrattato, non minacciava ». Per non sbagliare quando esercitiamo lo zelo facciamoci questa domanda: Come farebbe Gesù Cristo, se fosse al mio posto?

2.

S. Giacomo dà la ragione del perché l’uomo deve lasciarsi dominare non dall’ira, ma dallo spirito di mansuetudine: poiché l’ira dell’uomo non opera ciò che è giusto davanti a Dio. Chi si lascia prendere dall’ira non può operare virtuosamente; anzi si metterebbe nella circostanza di trasgredire su molti punti la legge di Dio. Con l’animo tranquillo e sereno, invece, si è nella miglior disposizione per accogliere la parola di Dio, farla fruttificare e progredire così, di virtù in virtù. Stiamo attenti, però, a non scambiare la mansuetudine con l’ignavia, pericolo molto facile e assai comune, «Bisogna far attenzione — osserva in proposito il Crisostomo — che uno, avendo un vizio, non creda di possedere una virtù… che cosa è dunque la mansuetudine, che cosa è l’ignavia? Quando tacciamo, invece di prender le difese, se altri sono maltrattati, è ignavia; quando, al contrario, essendo maltrattati noi, sopportiamo, è mansuetudine » (In Act. Ap. Hom. 48, 3). Quando p. e. si commette il male alla nostra presenza, e noi, intervenendo, potremmo impedirlo, il tacere non è mansuetudine, ma ignavia. Un bel tacer non fu mai scritto, diciamo per scusarci. Verissimo; ma a suo tempo e a suo luogo, non qui. Quando i genitori, i superiori, i padroni chiudono gli occhi sulle mancanze dei figli e dei dipendenti; non cercano di porre un freno al loro malfare, non sono dei mansueti, ma dei cani muti. E spesso, la loro creduta mansuetudine è una vera cooperazione al male degli altri. La scusa non manca mai. Io ho un cuore troppo buono, ho un carattere mite. Ci sono di quelli che hanno un carattere austero e pensano di dover trattare con austerità: io, invece, preferisco vivere e lasciar vivere. Scuse che, ridotte al loro vero valore, vogliono dire: Non voglio noie; ho paura a fare il mio dovere; ci tengo ai privilegi del mio stato, ma non ne voglio i pesi. Costoro scambiano un atto di debolezza con una virtù che richiede dell’eroismo. «La mansuetudine — dice ancora il Crisostomo — è indizio di grande fortezza; essa richiede un animo generoso e virile». Di fatti, si tratta di vincere noi stessi, cosa assai più difficile che vincere gli altri. I genitori non devono provocare i figli all’ira, trattandoli con durezza o con soverchio rigore; sarebbe uno sbaglio. Ma sarebbe uno sbaglio ancor peggiore non ammonirli, e, quando è il caso, non castigarli. I superiori devono trattare con benevolenza i loro dipendenti e soggetti; ma quando si tratta di preservare i buoni dal contagio e dallo scandalo, è santo e lodevole il rigore, è giusta la punizione. Nessuno oserebbe condannare il pastore che percuote il lupo per salvare le pecore. Quando si tratta di por fine all’ingiustizia degli uni, e di mettere al riparo dai soprusi gli altri, nessun superiore sarà criticato, se prende delle misure severe; e, nessuno potrebbe, ragionevolmente, fargli appunto di mancanza di mansuetudine. L’Apostolo che era tanto mansueto da poter dire: « Maledetti, noi benediciamo; perseguitati, sopportiamo: ingiuriati, supplichiamo» (1 Cor. IV, 12-13); quando a Corinto un Cristiano dà un gravissimo scandalo pubblico, non solo, per mezzo della scomunica, separa il peccatore dalla Chiesa; ma lo sottopone al dominio di satana, perché lo tormenti nel corpo con malattie e dolori, che servano ad indurlo al pentimento. Gesù Cristo, che si presenta a noi come modello di mansuetudine; non ha mancato di usare parole roventi contro gli scandalosi, contro i Farisei, contro i profanatori del tempio. In certi casi è nostro dovere usare del rigore, e allora, «beato chi sa unire insieme la severità e la mansuetudine» (S. Ambrogio. Epist. 74, 10).

3.

Accogliete docilmente la parola inserita in voi, la quale può salvare le anime vostre. Come la superbia è di ostacolo a ricevere con frutto la parola di Dio, similmente, come abbiamo già osservato, la mansuetudine è condizione favorevole ad accoglierla e a farla fruttificare. Ora vogliamo far notare che non solo la mansuetudine cristiana è ottima disposizione ad accogliere e a far fruttificare per la vita eterna la parola di Dio in noi; ma è un’ottima condizione a farla ricevere con frutto dagli altri. Generalmente, l’uomo che non si inquieta per un affronto, che non si scoraggia per una ripulsa, che non si turba per un’ingiuria, esercita molta forza sopra i suoi oppositori. Se è costante, riesce a vincerli e a dominarli. E questo avviene nel mondo, dove il comportamento mansueto è effetto di temperamento, più spesso di calcolo, non raramente di propositi malvagi. Più efficace deve, necessariamente, riuscire un contegno mansueto, quando è ispirato dalla fede. Chi è assuefatto a dominare il proprio cuore con la vittoria sulle passioni, trova la via a dominare il cuore degli altri. Gli Apostoli, cresciuti alla scuola di Gesù Cristo, compivano la missione loro affidata tra numerosi contrasti e difficoltà; ma senza che si potesse scorgere in essi un’ombra di amarezza, di risentimento, di collera. I loro successori, che vanno a portar la luce del Vangelo tra le nazioni che vivono nell’ignoranza e nell’errore, cominciano a guadagnar gli animi, magari dopo anni e anni, quando hanno dato una prova costante del loro animo mite e mansueto. Accolti male, osservati con diffidenza, importunati, angariati in mille modi, si mostrano sempre uguali a se stessi. Non parole aspre, non inquietudini, non ripicchi. A questo modo si comincia a vincere la diffidenza degli abitanti e le loro prevenzioni, e si finisce con edificarli mediante l’esercizio delle altre virtù. Allora la via delle conversioni è aperta. Gesù Cristo ha detto: «Beati i mansueti, perché essi possederanno la terra (Matt. V, 4). I banditori del Vangelo son riusciti a farlo trionfare in tutte le parti della terra, con l’arma della mansuetudine. Anche nella nostra vita quotidiana, nel piccolo cerchio dei parenti, degli amici, dei compagni, in circostanze diverse, possiamo esercitare un apostolato salutare con un contegno mansueto. Un giovanotto si reca un giorno, a Milano, dalla Venerabile Maddalena di Canossa a chiederle, con minacce, ove si trovava una giovane, che, per sfuggire alle sue insidie, si era rifugiata presso la santa fondatrice. Maddalena risponde che dal suo labbro non l’avrebbe saputo mai. Allora il giovanotto, estratta una pistola, l’accosta alle tempia di Maddalena. Ma essa, con tranquillo sorriso, gli disse: «Oh, povero giovane! Quanto mi fate pietà!… Orsù, date a me quell’arma, ed io ne farò assai miglior uso». Il giovane, commosso e meravigliato della calma imperturbabile della Madre, piega il capo e le consegna l’arma, e s’avvia confuso alla porta. Maddalena lo accompagna, e gli dà una medaglietta d’argento come pegno di gratitudine per la visita che le aveva fatto. Qualche tempo dopo, un rispettabile Sacerdote viene dalla Madre a raccontarle il pentimento del giovane. La fondatrice le consegna l’arma pregandolo di appenderla a un Santuario dell’Addolorata (L’angelo di Canossa. Pavia 1922, p. 60-62). Proprio vero che « nulla è più forte della mansuetudine » (S. Giov. Crisostomo. In Gen. Hom. 58, 5). Quante volte abbiamo lasciato passare la circostanza di far del bene a qualche anima con la nostra dolcezza, e forse di ricondurla a Dio! Quel che non abbiam fatto per il passato, lo faremo per l’avvenire. Vogliamo usare del rigore? Usiamolo con noi. «Poiché, che cosa v’ha di più giusto, che ciascuno si adiri dei propri peccati, anziché dei peccati degli altri?» (S. Agostino. En. in Ps. IV, 7).

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps CXVII: 16. Déxtera Dómini fecit virtútem: déxtera Dómini exaltávit me. Allelúja

[La destra del Signore operò grandi cose: la destra del Signore mi ha esaltato. Allelúia.]

Rom VI: 9 Christus resúrgens ex mórtuis jam non móritur: mors illi ultra non dominábitur. Allelúja.

[Cristo, risorto da morte, non muore più: la morte non ha più potere su di Lui. Allelúia]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XVI: 5-14

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Vado ad eum, qui misit me: et nemo ex vobis intérrogat me: Quo vadis? Sed quia hæc locútus sum vobis, tristítia implévit cor vestrum. Sed ego veritátem dico vobis: expédit vobis, ut ego vadam: si enim non abíero, Paráclitus non véniet ad vos: si autem abíero, mittam eum ad vos. Et cum vénerit ille, árguet mundum de peccáto et de justítia et de judício. De peccáto quidem, quia non credidérunt in me: de justítia vero, quia ad Patrem vado, et jam non vidébitis me: de judício autem, quia princeps hujus mundi jam judicátus est. Adhuc multa hábeo vobis dícere: sed non potéstis portáre modo. Cum autem vénerit ille Spíritus veritátis, docébit vos omnem veritátem. Non enim loquétur a semetípso: sed quæcúmque áudiet, loquétur, et quæ ventúra sunt, annuntiábit vobis. Ille me clarificábit: quia de meo accípiet et annuntiábit vobis.

 “In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: Ora vo a Colui che mi ha mandato; e nissun di voi mi domanda: Dove vai tu? Ma perché vi ho dette queste cose, la tristezza ha ripieno il vostro cuore. Ma io vi dico il vero: È spediente per voi che io men vada: perché, se io non me ne vo, non verrà a voi il Paracleto; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. E venuto ch’egli sia, sarà convinto il mondo riguardo al peccato, riguardo alla giustizia, perché io vo al Padre, e già non mi vedrete: riguardo al giudizio poi, perché il principe di questo mondo è già stato giudicato. Molte cose ho ancora da dirvi: ma non ne siete capaci adesso. Ma venuto che sia quello Spirito di verità, v’insegnerà tutte le verità: imperocché non vi parlerà da se stesso, ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annunzierà quello che ha da essere. Egli mi glorificherà, perché riceverà del mio, e ve lo annunzierà. Tutto quello che ha il Padre, è mio. Per questo ho detto che egli riceverà del mio, e ve lo annunzierà” (Jo. XVI, 5-15).

Omelia II

 [M. J. Billot, Discorsi parrocchiali, II ediz. S. Cioffi ed. Napoli, 1840 – impr. ]

Sulla falsa coscienza.

“Cum venerit Spiritus veritatis, docebit vosomnem veritatem”. Jo. XVI.

Benché Gesù-Cristo nel corso di sua vita mortale e dopo la sua risurrezione avesse istruiti gli Apostoli nelle verità del regno di Dio, nulladimeno non erano ancora forniti di tutti quei lumi che loro erano necessari per fondare quella religione, che per comando del loro divin maestro annunziare dovevano a tutte le nazioni. Attaccati troppo sensibilmente alla corporea presenza di Gesù-Cristo, erano pieni ancora d’idee troppo materiali, e solo imperfettamente conoscevano i misteri che loro erano rivelati; onde era espediente, come disse loro Gesù-Cristo, che Egli si separasse da essi, affinché fossero più atti a ricevere lo Spirito Santo, che doveva perfezionare la loro fede. Egli è ben vero che Gesù-Cristo poteva da se stesso dar loro tutti i lumi e la forza necessaria per la grande opera della conversione del mondo; ma voleva lasciare allo Spirito Santo la perfezione di quest’opera, e nondimeno n’era sempre Egli fautore, giacché a suo nome era mandato lo Spirito Santo, che doveva insegnare agli uomini tutte le verità di cui abbisognavano. – E perciò, sceso che fu lo Spirito Santo sopra gli Apostoli, essi furono dalla più viva luce illuminati, e tutte le verità conobbero che al mondo tutto dovevano predicare: animati da una forza veramente divina, ebbero il coraggio di confermare queste verità a costo ancora della lor vita. – Predicarono difatti gli Apostoli quelle verità che loro lo Spirito Santo aveva insegnate, e purgarono il mondo dagli errori, ne sbandirono l’idolatria e ne riformarono i costumi. Invece della menzogna e della corruzione che regnavano sulla terra, fondarono una religione tutta santa, una morale tutta pura e un culto tutto divino. Noi abbiamo ricevuto, fratelli miei, per mezzo degli Apostoli questa santa Religione, questa pura dottrina; ma se la religione si è tra di noi serbata illesa, quanto mai si è depravata questa morale nel cuor degli uomini! Ora l’unica cagione di questo disordine si è la falsa coscienza che si fecero e si fanno gli uomini circa le verità della morale. – Lo Spirito Santo ha insegnato ed insegna tuttora la strada della verità; ma gli uomini accecati dalle passioni chiudono gli occhi a questa verità e la sottopongono al loro falso giudizio, alle loro inclinazioni perverse; e preferiscono le tenebre d’una falsa coscienza, di cui debbo oggi scoprirvi i principi, e i rimedi additarvi per rettificarla. Dio voglia che lo Spirito Santo, sorgente d’ogni verità, riformi oggi queste coscienze sregolate, false e perverse. – Quali sono dunque i principi di una falsa coscienza? questione importantissima. Io la tratterò nel primo punto. Quali ne sono i rimedi? Istruzione necessaria! Io ve la darò nel secondo punto.

I. Punto. V’è una strada, dice lo Spirito Santo, che all’uomo sembra diritta, ma conduce alla morte. Est via quæ videtur homini recta, et novissima eius ducunt ad mortem (Prov. XVI). Qual è, fratelli miei, questa strada? Ella è la falsa coscienza, cioè la coscienza che non è secondo Dio, che non è conforme alla legge di Dio: imperciocché la coscienza, che è la scienza del cuore, al dire di s. Tommaso, è un lume interno che ci addita il bene da praticare ed il male che dobbiamo fuggire in quella tale circostanza, in quella tale occasione in cui ci troviamo. Questa coscienza è come un’applicazione che ognun fa a se stesso della legge di Dio, per sapere ciò che da questa divina legge è vietato o ciò che è permesso. – Quest’applicazione deve dunque essere giusta e fatta con discernimento e prudenza: imperciocché se la coscienza prende il falso per vero e ci insegna cose diverse da quelle che sono dalla legge di Dio prescritte, allora seguendosi il dettame di questa sregolata coscienza, ci scostiamo dalla regola principale, alla quale dobbiamo uniformare tutte le nostre azioni, che è la volontà di Dio. Quindi ne viene in conseguenza che quantunque non sia lecito di operare contro la propria coscienza, perché ciò che non è secondo la coscienza è peccato, come dice s. Paolo, quod non est ex fide, peccatum est (Rom. XIV), non si può nulladimeno seguitare ogni sorta di coscienza, perché vi sono coscienze false, coscienze perverse, che rendono viziose quelle azioni che da esse procedono. Queste sono guide cieche, le quali menano al precipizio coloro che da esse si lascian condurre. Di questa falsa coscienza appunto convien che io vi faccia conoscere i principi, affinché ne possiate schivare i pericoli e gli scogli. – Ora, gli ordinari principi della falsa coscienza sono l’errore, le passioni e l’usanza: errore di spirito, passioni del cuore, usanza del mondo, ecco ciò che pervertisce la maggior parte degli uomini. Egli è ben vero che, qualunque precauzione l’uomo prenda per conformare le sue azioni alla legge di Dio, può cadere in qualche errore di coscienza che gli faccia prendere il falso per vero; siccome l’uomo non è infallibile nel suo ragionare, può talvolta ingannarsi e credere permessa una cosa che difatti è vietata: ma se egli è mosso da buona volontà, se è pura e retta la sua intenzione, se prende tutte le precauzioni che la prudenza gli detta per bene operare, non essendo volontario il suo errore, non gli sarà ascritto a peccato. Questo è un principio certo e sicuro e ben valevole a recare consolazione a quelle persone d’inquieta e scrupolosa coscienza che desidererebbero di accertarsi con prove evidenti della rettitudine delle loro azioni e del buon stato dell’anima loro: esse s’inquietano e si tormentano senza necessità a fare inutili ricerche, le quali ad altro non servono che a sviarli dalla strada della salute. Imparino queste persone dal grande Apostolo ad essere sagge con sobrietà, che per questo basta avere una certezza morale della bontà d’un’azione, cioè di operare per un motivo valevole a determinare una persona prudente: io le rimando agli avvisi d’un saggio e prudente direttore, al quale debbono, per tutto ciò che riguarda la salute, un’intera sommissione. – Ma se si trovano persone di coscienza scrupolosa, delle quali si debbono raddolcir le pene, molte più sono quelle ne hanno una coscienza rilassata, a cui si deve incuter timore: coscienza larga che proviene da un errore in cui si cade volontariamente, da ignoranza e da falsi principi che ciascun si forma a suo piacere e secondo le sue inclinazioni perverse: larga e falsa coscienza ch’è in certa maniera cagione sì dei disordini che regnano nel mondo come della depravazione del cuore dell’uomo. – Si trovano peccatori, per dir vero, che offendono Dio per pura malizia e contro tutti i lumi e rimorsi della loro coscienza; che altro motivo non hanno del loro peccato, fuorché il piacere che provano nel contentare le loro passioni; che non dissimulano a se stessi né altrui i propri delitti; che se li rimproverano eziandio; in una parola, che peccano con tutta la conoscenza e pienezza di volontà che costituisce la malizia del peccato. Ma in quanto maggior numero sono coloro i quali per mezzo di una falsa coscienza si fanno lecite molte cose che veramente non lo sono, e trasgrediscono in mille occasioni la legge del Signore, sotto vani pretesti che una mal fidata coscienza non lascia mai di loro suggerire! Imperciocché pochi sono quei peccatori che non cerchino di difendere i loro disordini con qualche ragione che calmi i rimorsi della coscienza: essi non vorrebbero andare direttamente contro la volontà di Dio, ma vogliono affettatamente ignorarla per fare con maggiore tranquillità ciò che ella proibisce: non vogliono instruirsi sui loro doveri, perché non vogliono adempierli: Noluit intelligere, ut bene ageret (Ps. XXXV). Tali sono coloro che non intervengono alle istruzioni o che non vogliono applicare a se stessi le verità che vi ascoltano. – Altri confessano bensì esservi la legge obbligatoria, ne sono informati, ma vi portano mille modificazioni per esentarsene, le danno false interpretazioni, cercano di raddolcirla per poter essere tranquilli nelle loro prevaricazioni, ricorrono a certi princìpi sui quali si credono bene appoggiati per operare diversamente da ciò che viene dalla legge permesso; vorrebbero ubbidire a Dio, ma non vorrebbero contrariare le loro passioni. Quindi ne viene ch’essi non vogliono dilucidare certi dubbi ben fondati, per tema di dover adempiere una obbligazione che sarebbe contraria alla loro libertà, o fare qualche restituzione che l’incomoderebbe. In questi dubbi si determinano piuttosto a favore della libertà che della legge, e ciò spesso per sì deboli ragioni che ad esse non si affiderebbero in ogni altro affare che la salute non riguardasse, mentre chiudono gli occhi alle forti ragioni d’un sentimento ch’è più sicuro e migliore. E perciò vanno in cerca eziandio di facili direttori e benigni, che in pregiudizio della legge divina decidono sempre a favore delle passioni. Imperciocché si è la coscienza, fratelli miei, che genera tanti errori in materia di morale, nella stessa guisa che ella è degli errori circa la fede sorgente e cagione. Alcuno non cercherebbe tanto ad ingannarsi, ad accecarsi con falsi ragionamenti, se il cuore non fosse dalla passione predominato. Ma tosto che la passione viene ad impadronirsi del cuore, si decide sempre a favore di essa; si reputa giusto e ragionevole tutto ciò che le piace, dice s. Agostino: allora è forza che la retta coscienza ceda alla passione, non v’ha ragione, non v’ha pretesto che non si trovi per autorizzare i vizi e premunirsi contro le minacce della legge. Che cosa fece trovar pretesti ai Giudei per condannar Gesù Cristo, se non la passione? Una pretesa trasgressione della legge di Mosè di cui l’accusavano, ecco ciò che gli autorizzava a domandar la sua morte: ma la sola passione dirigeva le loro azioni. Così veggiam tutto il giorno che la passione dell’invidia e della vendetta sotto l’apparenza di zelo cerca di rovinare un nemico; perché 1’uomo facilmente si persuade di non cercar che la gloria di Dio nel castigare l’altrui colpa, mentre a perdere il colpevole unicamente rimira. Evvi alcuno appassionato per i piaceri? Egli risguarda come innocenti tutti quelli a cui si dà in preda. Quindi troppo indulgente verso di sé medesimo, per tema d’incomodarsi non si fa scrupolo della vita molle e voluttuosa che mena. Quindi trasgredisce di leggere le leggi della Chiesa, dalle quali si crede immune; per un minimo pretesto si dispensa dal digiuno, non osserva l’astinenza della quaresima per non logorare la sua sanità, mentre fa tante altre cose ben più valevoli ad alterarla. Similmente se la passione giunge a predominare nel cuore, quante false coscienze non produce ella mai? Ella acceca l’avaro a tale che il suo smisurato affetto ai beni di questo mondo vien da lui trattato per accorta prudenza e saggio prevedimento dell’avvenire. Oh quanti ricchi sono insensibili alla miseria de’ poveri; perché, dalla falsa coscienza ingannati, si persuadono essere tutto allo stato loro necessario quanto posseggono. A questa insensibilità va non di rado compagna l’ingiustizia: imperciocché spesso si usurpano i beni del vicino; e perché questi non è in istato di supplire alle spese d’una ingiusta lite e di difendersi, una forzata convenzione viene creduta un legittimo titolo per impadronirsi degli averi del povero, della vedova e del pupillo. Quanti usurpatori dell’altrui si credono dall’obbligo esenti della restituzione, perché questa, per quanto vogliono immaginarsi impoverirebbe la casa, ne sconcerterebbe gli affari e macchierebbe l’onore. Altro falso pretesto d’una sregolata coscienza. – Oh quanti si accecano in questo punto e non vogliono vedere i torti che fanno altrui! Essi sono ingegnosi a palliare con mendicati pretesti le loro usure, le loro ingiustizie, mentre hanno occhi perspicacissimi per vedere i torti che ricevono, e nel difendere i propri diritti sono diligentissimi. Ma di tal fatta è il disordine di cui è cagione una falsa coscienza che agevolmente ciò perdona l’uomo a se stesso che in altri non sa tollerare: vede una pagliuzza nell’occhio altrui, e nel proprio una trave non sente. Donde proviene questo disordine? Dalla passione che appicca l’uomo a tal segno che lecito crede tutto ciò ch’è conforme ai suoi desideri. Ma quanto maggiori sono i falli in cui ci fa cadere la falsa coscienza quando è dal costume sostenuta! Noi siamo obbligati a vivere nel mondo, e perciò dobbiamo conformarci alle usanze del mondo: la società vuol che si eviti ogni singolarità, e perché non potremo noi fare ciò che gli altri fanno? Non sono essi al par di noi interessati nell’affare della salute? Essi temono di perdere l’anima loro e hanno desiderio di salvarla egualmente che noi: possiamo dunque vivere con essi senza timore. Noi veggiamo non poche persone di regolata vita ed irreprensibile che si conformano all’usanza: e non sarebbe ella un’ardita imprudenza il condannarle? E perché dunque non potremo imitarle? Tali sono, fratelli miei, le perniciose massime che l’usanza somministra alla falsa coscienza e sulle quali questa s’appoggia. Da questi perversi principi nascono per la maggior parte gli abusi che regnar vediamo fra i Cristiani. Perciò è che non si fanno scrupolo di passare il tempo nell’ozio, nel giuoco, negli spettacoli, nei divertimenti, perché a tanti altri li vedono fare. Perciò regna la sontuosità nei banchetti, il lusso nel vestire, nelle mode l’immodestia e negli arredi la magnificenza: ciò tutto è necessario, dicono essi, per sostenere con decoro il proprio grado: tale è la costumanza, il mondo lo vuole, e ridicolo sarebbe altamente riputato chi diversamente operasse. E finalmente ci comanda forse Iddio che noi ci facciamo schernire dal mondo e ci rendiamo l’oggetto dei motteggi e delle risa altrui? L’umana società, che da Dio è stata stabilita, ha le sue regole che noi dobbiamo seguitare; dunque non è cosa biasimevole il conformarvisi, e possiamo in sicura coscienza vivere come gli altri, purché gli eccessi e i disordini si evitino ai quali si abbandonano coloro che vivono senza religione; purché non facciamo torto ad alcuno e ci serviamo onestamente di ciò che possediamo, che si richiede di più? Egli sarebbe impossibile a salvarsi nelle condizioni del mondo se si dovesse menar vita da’ solitari e lontani dalle adunanze, passarla nella mortificazione e nella preghiera. Iddio comanda forse cose impossibili? A che dunque renderci impraticabile e troppo stretta la via del cielo con l’imporci un giogo che portare non possiamo? Così ragiona la falsa coscienza di molti che credono in sicuro la loro salute, affidati a qualche virtù morale da essi praticata e ad una vita esente bensì da vizi enormi cui la ragione riprova, ma priva di quelle buone opere che sono dalla religione prescritte. Falsi principi, ch’io spero di distruggere nel secondo punto, ove i rimedi additerò per riformare la coscienza. Altre persone si trovano che fanno, per dir vero, certe opere di divozione dalla maggior parte degli uomini non praticate; che sono scrupolosamente diligenti nella recita di certe preci e nell’osservanza di certi esercizi di pietà ordinati dalle regole della compagnia a cui sono ascritti; ma che alcuna cura non mettono per riformare il loro cuore: somiglianti ai farisei, che si stimavano persone molto dabbene perché osservavano esteriormente certe cerimonie dalla legge prescritte, mentre avevano il cuore d’ogni vizio ripieno e d’ogni iniquità. Questi Cristiani si credono di avere un sicuro diritto al cielo a cagione di queste pratiche di divozione che loro vanno a genio, mentre nutriscono in sé l’odio contro del prossimo e lasciano in pungenti motteggi trascorrere la lingua ed in atroci calunnie. Sperano di salvarsi con qualche limosina, mentre non vogliono svellere dal cuore l’oggetto della loro passione. Altri di propria capricciosa scelta in qualche cosa si mortificheranno, ed allorché ciò vien dalla Chiesa ordinato trascureranno di farlo. Altri celebrano feste di divozione e profanano quelle che sono comandate. False coscienze che menano alla perdizione coloro che vogliono seguirle: e per riformarle si dovranno mettere in pratica i rimedi che ora sono per insegnarvi.

II. Punto. Giacché l’errore, le passioni, il costume sono i principi della falsa coscienza, oppongasi il lume di una coscienza retta e bene istruita; alle passioni un sincero desiderio di piacere a Dio e di osservare la sua santa legge; al costume, l’esempio delle persone dabbene e dei santi. Ecco le regole che debbono dirigere la coscienza, e i rimedi che adoperar si debbono per le coscienze erronee. Rinnovate la vostra attenzione. – La coscienza è, per dir così, l’occhio dell’anima nostra, perché ci fa vedere il bene che dobbiamo fare e il male che dobbiamo fuggire. Se l’occhio del corpo è puro, dice Gesù-Cristo, tutto il corpo sarà illuminato; ma se l’occhio è tenebroso, tale eziandio sarà il corpo. Convien dunque, o fratelli, per evitare gli errori d’una falsa coscienza, cercare la luce che diriga i vostri passi nella via della salute. Bisogna che, secondo l’avviso dello Spirito Santo, ad ogni vostra azione preceda la verità e il consiglio della prudenza: Ante omnia opera tua verbum verax præcedat te, et omnem actum consilium stabile (Eccli. XXXVII). Ciò chiedere dobbiamo a Dio ad esempio del reale profeta. Additatemi, Signore, quali sono le vostre vie ed insegnatemi a fare la vostra volontà: Vias tuas demonstra mihi, et semitas tuas edoce me (Ps. XLIV). Il timore ch’io ho d’ingannarmi nella strada che debbo tenere mi fa ricorrere a Voi: degnatevi, o Signore, di essere la mia guida, affinché io cammini sicuro in mezzo a’ pericoli che mi circondano: Cum ignoremus quid agere debeamus, hoc solum habemus residui, ut oculos nostros dirigamus ad te (2 Par. XX). Dopo di esservi indirizzati, fratelli miei, al padre dei lumi, dal quale ci viene ogni dono perfetto, come dice l’Apostolo san Giacomo, voi dovete consultare la vostra fede, consultare il Vangelo. Imperciocché queste sono le regole che debbono dirigere la vostra coscienza. Che vi dice la fede? Che vi dice il Vangelo? Sovvengavi delle sue massime in ogni occasione in cui si tratta di deliberare su di ciò che avrete a fare. Seguitando, queste regole, siete sicuri di non errare, di non confondere il vero col falso, il bene col male. Una coscienza erronea vi dice, per esempio, che sotto certi pretesti voi potete conversare con quella persona a voi utile e cara, che per altro è a voi occasione di peccato, ma il Vangelo vi dice che sebbene l’occasione di peccato vi fosse cara egualmente e vantaggiosa che l’occhio, il piede, la mano, bisogna cavare questo occhio, recidere il piede e la mano affinché a voi non sia cagione di scandalo; la passione dell’interesse vi dice che potete accumular beni con certi mezzi che vi sembrano leciti, ma che sono dalla legge vietati: per reprimere questa cupidigia, riflettete a ciò che dice il Vangelo sui beni del mondo, sull’amor delle ricchezze: Beati i poveri: beati pauperes (Matt. V). Guai ai ricchi, perché sono nella via della perdizione: Væ vobis divitibus (Luc. VI). La passione della vendetta vi dice, che il vostro onore esige che voi prendiate soddisfazione dell’insulto che un nemico vi ha fatto: ma ben diversamente vi parla il Vangelo, il quale vi dice che convien perdonare e rendere ben per male. Chi dovete voi ascoltare? chi dovete seguire? Se voi andate dietro la passione, questa cieca scorta vi condurrà al precipizio ma se voi seguitate il Vangelo, se consultate la legge di Dio, questa luce dirigerà i vostri passi e vi condurrà al porto di salute. Questa era la guida che il reale profeta aveva scelta, e alla quale faceva ricorso per dissipare i suoi dubbi e la sue incertezze, per essere sicuro della rettitudine delle sue operazioni: Lucerna pedibus meis verbum tuum, et lumen semitis meis (Psal. CXVIII). Seguite fedelmente questa guida e non ve ne dipartite giammai. A tal fine è necessario che voi le sacrifichiate i lumi del vostro intelletto e, diffidando di voi medesimi, non vi appoggiate sulla vostra prudenza: ne imitaris prudentiæ tuæ (Prov. III) Corre rischia di errare chi non ha altra guida che se stesso; perché nella propria causa facilmente si accieca, ed ognun naturalmente pensa e ragiona secondo la propria inclinazione. Ora i nostri desideri, le nostre passioni portar ci sogliono più sovente al male che al bene. Egli è dunque necessario di aver ricorso ad una scorta più sicura del nostro intendimento. La fede, il Vangelo, ecco le fiaccole che debbono illuminarci e che abbiamo a seguire. Siccome noi possiamo ingannarci, eziandio nell’applicare a noi stessi le massime che questa fede c’insegna, ella è cosi ben fatta consultare persone sagge e istruite nelle vie del Signore, animate dallo spirito di Dio, che non cerchino che la gloria di Lui e la salute delle anime, e non cercar direttori, che lusinghino le passioni, e mettano le coscienze in una falsa tranquillità funesta, i quali, secondo il linguaggio della Scrittura, mettono cuscini sotto i gomiti del peccatore, conducendolo per la via larga che va a finire nella perdizione. – Non vi fidate, fratelli miei, a questi falsi profeti, non cercate, per condurvi nella via della salute, quelle persone che accomodandosi alle vostre perverse inclinazioni, vi danno le decisioni secondo i vostri desideri e i vostri interessi. Ma cercate quelle che abbiano il coraggio di dirvi la verità e non vi lusinghino nei vostri vizi e vi parlino schiettamente. Se la loro dottrina non sarà per qualche tempo secondo il vostro gusto, un giorno sarete loro obbligati d’avervi condotto per una strada sicura. Aprite loro il vostro interno con tutta schiettezza e senza punto dissimulare: qualunque fallo abbiate commesso, dichiaratelo ingenuamente al vostro direttore ordinario; e non cangiate ad ogni tratto, come certe persone che passano la vita nel cercare una guida e non sanno a quale attenersi, perché loro non riesce d’incontrar direttori che, accomodandosi ai loro sentimenti, siano di lor genio. Allorché ne avrete trovato uno di cui abbiate sperimentati salutevoli gli avvisi, seguitelo fedelmente, ubbiditegli puntualmente, perché risguardar lo dovete come un inviato da Dio che vi manifesta la di Lui volontà. – Prese che abbiate tutte queste precauzione per formar la vostra coscienza secondo le massime delle fede e della prudenza, attendete seriamente a praticar il bene ch’essa vi detterà per vostra salute; imperciocché nella buona volontà principalmente e nell’osservanza della legge di Dio consiste la buona coscienza. Può bensì l’intelletto cadere nell’errore, ma se questo non è volontario, Iddio non lo ascriverà a peccato: per lo contrario vi è sempre colpa se è perversa la volontà, per quanto di belle cognizioni sia arricchita la mente. Fate dunque una ferma risoluzione e sincera di osservare la legge di Dio e sacrificarla tutti i vostri interessi e piaceri: e se sarete in queste disposizioni, conformerete la coscienza alla legge di Dio, non già la legge di Dio alla vostra coscienza: voi vi asterrete, secondo l’avviso dell’Apostolo, da tutto ciò che avrà la menoma apparenza di male: Ab omni specie mali abslinete vos (1 Thesshal. V.). Voi terrete sempre il partito della legge di Dio contro la vostra libertà nelle cose che dubiterete se lecite siano oppur vietate. Giacché io ho motivo di credere (direte tra voi medesimi) che Dio proibisce quest’azione, voglio piuttosto tralasciarla che espormi al pericolo di trasgredir la sua legge e mettere in rischio la mia salute. Imperciocché non dovete voi, fratelli miei, tenere la stessa prudente condotta sull’affare della salute che tenete per la sanità del corpo e negli affari terreni? Ora, di due mezzi che adoperar potete pel buon esito d’un affare, de’ quali uno è certo e l’altro dubbioso, non preferite voi il sicuro all’incerto? Di due rimedi che vi sono offerti per guarirvi da una malattia, uno dei quali sapete che vi darà la sanità, e l’altro per avventura la morte, siete voi forse irresoluti nel prendere piuttosto il primo che il secondo? E non dovrete voi nella stessa maniera nell’affare dell’eternità prendere il più sicuro partito? Imperciocché si può egli mai prendere troppe precauzioni quando si tratta d’una eterna felicità o di una eterna miseria? Nulla satis magna securitas ubi periclitatur æternitas. Ah quanto è valevole il pensiero dell’eternità a farci risolvere a favor della legge di Dio piuttosto che delle passioni! Avvi forse alcun piacere che non si debba sacrificare quando si considera che questo piacere, questo interesse ci sarà cagione di eterni tormenti? Fortificatevi, fratelli miei, con questo pensiero quando le passioni si troveranno in contrasto con la legge di Dio, quando si tratterà di risolvere mentre sarete in dubbio se sia lecito un’azione o proibita. Operate come se subito dopo doveste morire, come se doveste allora allora comparire al giudizio di Dio. Ah! Come vorreste allora aver fatto? Como vorreste esservi diportati? Operate adesso e diportatevi come vorreste in quel punto aver fatto, e tutti i vani barlumi d’una falsa coscienza svaniranno: prenderete certamente il partito sicuro; ubbidirete a Dio, farete la sua santa volontà, eviterete l’ombra stessa del peccato. Lungi dall’usurpare o ritenere l’altrui direte come Zaccheo, che se si trova in vostre mani qualche cosa che non vi appartenga, volete restituire il quadruplo: Si quem defraudavi, reddo quadruplum (Luc. XIX). Lungi dal frequentar quella persona ch’è cagione di vostra rovina, non le darete nemmeno uno sguardo. invece di quella vita molle e priva di buone opere della quale non vi fate scrupolo alcuno, abbraccerete la penitenza, la mortificazione, gli esercizi della vita cristiana: invece di andar dietro al torrente del costume su cui tanto temerariamente vi appoggiavate per calmare i rimorsi della coscienza, imiterete le persone dabbene e prenderete i santi per modello della vostra condotta; imperciocché questo è il rimedio di cui dovete servirvi per preservarvi dalla contagione delle usanze del mondo. Infatti se l’usanza conduce alla rilassatezza, perché si crede di poter fare senza scrupolo ciò che gli altri fanno, i buoni esempi ravvivano il fervore, facendoci vedere ciò che è d’uopo di fare. Ora mirate, fratelli miei, ciò che han fatto i santi, e le virtù che hanno praticato. Erano essi forse di voi più interessati a far il bene che fecero? E non dovete voi egualmente temere se fate il male da cui si guardarono? Voi sperate la stessa ricompensa e dovete prendere le stesse precauzioni per meritarla: avete a temere gli stessi castighi e dovete usar la stessa diligenza per evitarli. Essi camminarono per la stretta via perché sapevano essere quella che Gesù Cristo additò per giungere al cielo. Prender non vollero la strada spaziosa perché alla perdizione conduce. Guardatevi dunque di entrar in questa via, ma scegliete la stretta, come fu scelta da loro, e non vi crediate di poter fare certe azioni sul fallace pretesto che gli altri le fanno. Non allegate l’usanza per vostra difesa, ma conchiudete piuttosto non doversi fare appunto perché gli altri le fanno e perché tale è l’usanza: e vivete come il piccol numero perché il più piccolo numero sarà quel degli eletti. – Prendete ad imitare quelle anime sante e fervorose che fuggono con diligenza tutto ciò che può offendere la delicatezza della loro coscienza, che si allontanano dalle compagnie pericolose, dai giuochi, dagli spettacoli, che sono assidue alle preghiere, agli esercizi di divozione, caritatevoli verso il prossimo, esemplari nei loro discorsi, sobri, casti, modesti, mortificati e riserbati in tutta la loro condotta. Ecco le regole di coscienza che si possono seguire senza timore, e non già i perniciosi esempi di quelle persone rilassate che vivono secondo l’usanza e non sanno che cosa sia preghiera, frequenza di sacramenti, santificazione delle feste, licenziosi nei loro discorsi, che altro non cercano fuorché i piaceri, i divertimenti del mondo, e si conformano alle sue massime ed alle sue usanze. Ricordatevi che il mondo è stato riprovato da Gesù Cristo. Dunque il mondo e le sue usanze non sono una regola buona a seguire, ma quelle a cui dovete attenervi si è il Vangelo, si è l’esempio di Gesù-Cristo e dei Santi. Seguendo queste regole, sarete sicuri di non errare, e la vostra coscienza formata su tali esemplari sarà per voi una sorgente di consolazione e di gaudio il più puro e verace che si possa provar sulla terra. Quantunque afflitti dalle malattie o da sinistri accidenti, sarete felici, anche in mezzo alle disgrazie, se la vostra coscienza è ben regolata e tranquilla, se vi dice che siete in istato di grazia ed amico di Dio. – Non v’ha piacer sulla terra che possa paragonarsi a quello che ci dà una buona coscienza; egli è un paradiso anticipato che portiamo con noi. Per lo contrario una coscienza sregolata è una specie d’inferno che si prova vivendo. Qualunque bene possegga, di qualunque piacere gioisca d’altra parte non sarà mai contento colui la cui coscienza è in stato cattivo: ella è un carnefice che dappertutto lo segue per tormentarlo: Non fugit se ipsam mala conscientia (s. Aug.). Egli ha bel fare per allontanarne i rimproveri, calmarne i rimorsi, essa glieli fa sentire in ogni luogo; in ogni luogo ella dice al peccatore: ah sciagurato! tu sei in stato di dannazione se la morte ti coglie, eccoti perduto per sempre. – Fortunato ancora il peccatore che ascolta i rimorsi della coscienza, che non è insensibile alla sua voce, la quale lo stimola ad uscir dallo stato di peccato. Considerate in che stato siete al presente e ascoltate ciò che la coscienza vi dice. Se ella vi fa qualche rimprovero, calmatela quanto prima riconciliandovi con Dio mediante una penitenza sincera: s’ella è tranquilla, conservatevi in questo stato e operate sempre secondo che vi sarà dalla pura e retta coscienza ispirato.

Pratiche. Per render pura e retta la vostra coscienza, in ogni vostra azione sovvengavi di questa massima: non si può prendere troppa precauzione allorché si tratta dell’eternità: nulla satis magna securitas ubi periclitatur æternitas. Operate come vorreste aver fatto al punto di morte. Esaminate spesso e principalmente prima di confessarvi, esaminate se la vostra vita è conforme a quella che mena la maggior parte degli uomini: voi dovete temere se pensate, parlate ed operate come la maggior parte, e infallibilmente perirete col maggior numero se non vi separate da essi. Attenetevi alla legge di Dio, alle massime del Vangelo; all’esempio dei santi, perché queste sono le vie che vi condurranno al regno dei cieli. Così sia.

Credo …

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus Ps LXV: 1-2; LXXXV: 16

Jubiláte Deo, univérsa terra, psalmum dícite nómini ejus: veníte et audíte, et narrábo vobis, omnes qui timétis Deum, quanta fecit Dóminus ánimæ meæ, allelúja.

[Acclama a Dio, o terra tutta, canta un inno al suo nome: venite e ascoltate, tutti voi che temete Iddio, e vi narrerò quanto il Signore ha fatto all’anima mia, allelúia.]

Secreta

Deus, qui nos, per hujus sacrificii veneránda commércia, uníus summæ divinitátis partícipes effecísti: præsta, quaesumus; ut, sicut tuam cognóscimus veritátem, sic eam dignis móribus assequámur.

[O Dio, che per mezzo degli scambi venerandi di questo sacrificio ci rendesti partecipi dell’unica somma divinità: concedici, Te ne preghiamo, che come conosciamo la tua verità, così la conseguiamo mediante una buona condotta.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Joann XVI:8

Cum vénerit Paráclitus Spíritus veritátis, ille árguet mundum de peccáto et de justítia et de judício, allelúja, allelúja.

[Quando verrà il Paràclito, Spirito di verità, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio, allelúia, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.

Adésto nobis, Dómine, Deus noster: ut per hæc, quæ fidéliter súmpsimus, et purgémur a vítiis et a perículis ómnibus eruámur.

[Concédici, o Signore Dio nostro, che mediante questi misteri fedelmente ricevuti, siamo purificati dai nostri peccati e liberati da ogni pericolo.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/13/ringraziamento-dopo-la-comunione-1/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2020/04/13/tutta-la-messa-cattolica-momento-per-momento-1/

LO SCUDO DELLA FEDE (111)

Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA

Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884 vol. I

CAPO XXI.

Si risponde alle accuse date alla provvidenzaper la ineguale distribuzione de’ beni, massimamentedonati agli empi.

I. Gli occhi, i quali sporgono in fuori, non però sono abili a veder più degli altri, ma solamente a restar più degli altri, offesi dal fumo (Aristot. problem. sect. 31. n. 6). Che vale dunque agli intelletti presuntuosi l’uscire tanto dai termini, per mirare ciò che non è concesso a guardi mortali? Il frutto del loro ardire sarà rimaner sopraffatti dalla caligine di quei divini consigli, che, se si contenessero in umiltà, sarebbero bensì loro di ammirazione, ma non di scandalo. Dovrebbe dunque uno di essi piuttosto dir con Salviano (De gubern. 1.3) in questo proposito: Homo sum non intelligo: secretum Dei investigare non audeo: e pure all’incontro, quanto più vuoti di senno, tanto più queruli, dove non giungono ad investigar con la mente debole, giungono ad insultar con la lingua bestemmiatrice. Chieggo io frattanto: può il governo di questo mondo andar meglio di ciò che vada, o non può andar meglio? Se non può andar meglio, di che dunque si dolgono gli ateisti? Se può andar meglio, dunque v’è chi può fare che vada meglio. E tale è la medesima provvidenza da lor negata. Che se ella v’è, basta questo. Non è follia da giumento stimar possibile ch’ella lasci di fare in tempo veruno ciò che va fatto? An usque adeo desipiendum est, ut homo videat melius aliquid fieri debuisse, et hoc Deum vidisse non putet? (S. Aug. I . 1. c. 14. contr. adv. leg.) Oh quanto più frutterebbe a tanti uomini temerari l’accusare sé d’ignoranti, che Dio d’iniquo! Ma perché non credano che ciò si dica a sfuggir la difficoltà, seguano pure a sfogarsi.

II. Ciò che agli ateisti cagiona maggior travaglio in tal governo, non può riputarsi certamente che siano i disordini delle colpe, mentre essi appunto sono quei che gli accrescono più d’ogni altro: è la distribuzione de’ beni. Vorrebbero eglino, che questa fòsse in man loro, sicché la provvidenza, quasi minore, dovesse aver per tutore il lor senno nell’ eseguirla. Ma ciò non può mai succedere. Però dacché non han forze da rendere a sé soggetta la provvidenza, si volgono ad accusarla spargendo con espressa sollevazione, tra ‘l volgo credulo, che troppo male ella amministri l’entrate del nostro mondo, mentre, quanto prodiga ella è nel donarle agli empi, altrettanto avara è nel concederle ai giusti. Ed è possibile, dicono essi, che vi sia provvidenza se alla fine, come la calamita, fra tanti metalli nobili, non si sceglie a sollevare altro da terra, che il ferro vile, così dia gode per lo più d’innalzare chi meno il merita? Che se pure da lei vengan talvolta i meritevoli ancora rimeritati, tosto si scorge, ch’ella operò di capriccio, non di consiglio: mentre appena fa loro un dono che lor ritoglie; e più incostante del medesimo mare nei suoi flussi e riflussi non sorba legge, lasciando nel meglio aride quelle spiagge che allora allora aveva pigliate a inebriare con larghi flutti. E noi vogliamo poi credere, che sia più che qualche cieca podestà, casuale quella che amministra sì male le sorti umane, senza distinguere nelle rimunerazioni benefiche le opere virtuose dalle viziose, sicché o nulla vi sia ch’ella doni al merito, o nulla che pentita non gli ritolga? S’intitoli provvidenza quanto a lei piace: non è provvidenza, è fortuna.

I.

lII. Se ivi sono i sogni più strani, dove sono gli umori più sconcertati, non è meraviglia, che gli ateisti vaneggino in simil guisa. Ma compatiamoli, e facciamo prova, se ci riesca con amorevole purga cambiar loro i sogni in dottrine.

IV. Fate però ragione, che il governo della provvidenza sia simile ad una tessitura di arazzo: Telam, quam orditus est super omnes nationes(Is. XXV. 7). Per lavorarlo, conviene in primo luogo, che alcune fila vadano rette e formino l’orditura, altre a traverso, e formino il pieno : alcune sian tinte col sangue della porpora, altre col sugo di guado: alcune si giacciano in fondo a formar gli orli dell’opera, altre sian collocate nel più vistoso a formarne il campo. Così conviene in prima, che alcuni tra gli uomini siano ricchi, altri poveri: altri superiori, altri sudditi: altri nobili, altri plebei: altrimenti l’opera non solo non avrebbe vaghezza alcuna, ma né anche potrebbe aver compimento.

V. Non avrebbe vaghezza, porche non avrebbe la debita varietà: e al più sarebbe una Tela rozza, non un arazzo ingegnoso. La limitazione delle creature è quel poverissimo fondo su cui Dio ricama il più bello che abbiano i suoi lavori, cioè la diversità delle cose e l’inegualità. Imperocché non potendo veruna creatura capire in sé, come limitata, tutte quelle perfezioni che Dio vuole dimostrare operando, convenne di necessità ch’Egli le ripartisse in più nature tra loro varie, e non di rado anche opposte, affinché contenessero tutte insieme quel che ciascuna da sé non poteva accogliere, posta l’angustia del vaso. Cosi, perché una semplice corda non è capace di dimostrar nel liuto tutta l’armonia che sa dargli la mano musica, se ne aggiungono molte, quale più sottile, quale più grossa, quale più tesa, quale più lenta, che poi, toccate diversamente dall’arte, fanno quel concerto bello che incanta le nostre orecchie.

VI. Dissi poi, che. senza questa ineguaglianza di alto e di basso, di abbondanza e di bisogno, non poteva nemmeno sussistere il governo dell’uman genere, ne compirsi. Perocché fingete che vadano esuli dalla città tutti i poveri, tutti i plebei, quale inimico le recò mai tanta desolazione in un attimo, quanta le recherebbe un tal bando? Che se in riguardo a quei che vanno, sarebbe esilio; in riguardo a quei che rimangono senza loro, sarebbe morte. Chi lavorerebbe in quel mezzo tempo la terra? Chi le darebbe quasi ad usura quel seme, che poscia moltiplicato a tanti doppi mantiene la vita agli uomini di ogni stato? Che sarebbe delle arti, sì delle liberali, sì delle meccaniche, le quali tutte o nacquero dalla necessità o vengono allevate dalla speranza? Non vedete voi che la copia e l’inopia sono quelle due braccia che stringono amichevolmente il genere umano in perpetua corrispondenza, e che mantengono in lui la vita civile? Il bisogno di educazione nella fanciullezza stringe i figliuoli ai padri, e il bisogno di sostentazione nella vecchiaia stringe i padri ai figliuoli. Il povero ha bisogno della mano del ricco per essere sollevato, il ricco ha bisogno delle braccia del povero per esser servito. Il bisogno di governo soggetta i popoli al sovrano, e il bisogno di assistenza soggetta il sovrano stesso ai suoi popoli; sicché, a dir breve, possiamo concludere con le dotte parole di un Agostino, che la necessità vicendevole è la genitrice di tutte le azioni umane: Omnium actionum humanarum mater est necessitas (S. Aug. in Ps. 81).

VII. Pertanto ciò che ci manca al mantenimento più agiato di noi medesimi, non è materia di accusa della Provvidenza, è materia di ammirazione, massimamente che Dio nella distribuzione de’ beni terreni ha fatto come un accorto padre, il quale dovendo al fìgliuol maggiore lasciare il maiorasco, per decoro e per durevolezza della famiglia, lo stringe nel testamento ad alimentare i suoi fratelli minori; e da che lo fa possessore di tutto il fondo, l’obbliga insieme a partirne i frutti tra quei che ebbero comune con esso lui, come il sangue illustre e la nascita, così l’amor fraterno e la cura. L’arte quasi unica dell’agricoltura consiste singolarmente a disseccare i terreni troppo umidi, e inumettare i più asciutti. E questo è ciò che richiede la Provvidenza: che chi abbonda di facoltà, ne faccia parte a chi è scarso. Ma l’avarizia, come è una sete, non della natura, ma della febbre, così non si spegne mai: onde si persuade, che crescano in lei le necessità a proporzione del crescere che in lei fanno le brame accese. E ciò fa che i poveri divengano troppo queruli, quasi non soccorsi abbastanza; e i ricchi troppo tenaci quasi non pieni; pervertendo l’ordine dei disegni divini per mero vizio. Ma frattanto ci parrà giusto rifondere nella Provvidenza i nostri difetti, e rivoltare in biasimo del legislatore quelle trasgressioni medesime ch’Egli vieta con le sue leggi?

II.

VIII. Vero, direte voi : sono necessari ipoveri e i ricchi, inobili ed iplebei, i sovrani ed i sudditi; né senza tal varietà avrebbe il mondo la sua vaghezza presente, né la sua vita. Ma questa risposta non solve il nodo, lo salda. Per qual ragione non ha collocata Iddio l’abbondanza in mano de’ buoni, e non ne ha privati al tutto i cattivi? Perché il vizio naviga sempre col vento in poppa, e la virtù non può mai spiegare le vele: tante son le procelle che l’assaliscono? Non è ciò un giuocare che a nostro costo fa Dio su gli avvenimenti mortali, piuttosto che un governarli?

IX. Ah temerità di coloro che rimirando il volto della Provvidenza negli ondeggiamenti delle umane vicende, lo credono mostruoso! Primieramente mi si dica ove leggasi, che i buoni siano stati sempre depressi, e icattivi sempre esaltati? Prenda pure in mano le istorie chi vuol chiarirsi di questa orrenda calunnia che dassi al vero. E perché gli aspetti dei luminari maggiori sono più agevoli ad osservarsi, miri quanto di raro sia succeduto, che i principi più segnalati nella pietà non fossero parimente i più segnalati nella prosperità del governo, e che i più malvagi non fossero similmente i più malavventurati. Quando Roma, dopo aver levata ai popoli stranieri la libertà, non dubitò di levarla ancora a se stessa, ebbe a tollerare una lunga fila di Cesari sì scorretti, che potevano più veramente chiamarsi bestie coronate, che Cesari. Or chi non sa, di numero così grande, quanto pochi furono quei che terminarono tranquillamente i lor giorni? Anzi tutti o quasi tutti caddero vittime per mano di sudditi risentiti o di soldati ribelli. Ciò che può fare ampia fede ai privati ancora, quanto sia falso, che l’empietà sia comunemente felice, la pietà misera.

X. Dissi comunemente; perché questo è un tratto fino altresì della Provvidenza: né sempre accompagnar la pena alla colpa su questa terra, né sempre disgiungerla. Se Dio punisse ogni colpevole in vita, noi di leggieri trascorreremmo a stimar, che la sua giustizia non avesse altro tribunale più formidabile da vendicare le ingiurie che a lei facciamo, né altri tormenti più feroci di questi: onde ella verrebbe a rendersi disprezzevole nell’atto stesso di voler farsi apprezzare. Dall’altro lato se Dio mai non pagasse in contanti le sfrenatezze degli uomini con l’esempio di qualche castigo visibile, gli uomini potrebbero sospettare, ch’Egli non distinguesse nell’amor suo la virtù dal vizio, ma che li trattasse del pari. Pertanto convenne mescolare un modo con l’altro, per adeguare le provvisioni al bisogno. Tanto più, che questo tenore medesimo di governo, il quale riserba il più del premio e della pena a quel tempo che non ha fine, serve meravigliosamente a farci calpestare i beni caduchi com’essi meritano. Apparteneva alla Provvidenza insegnare agli uomini la virtù, ch’è l’unica via per cui si giunge alla vera beatitudine. Ora il maggiore ostacolo a chi cammina per questa via sono gl’inviti che ad ogni passo gli fanno i beni terreni per arrestarlo. E però con qual mezzo potevasi dimostrare più apertamente la vanità di sì fatti beni che con accomunarli anche agli empi ? Poteva mai caderci in pensiero, che questo fosse il pane preparato ai figliuoli, mentre a tutto pasto il vediamo gettare ai cani? Troppo era naturale argomentare, che quello che da Dio si concede ancora ai bestemmiatori del suo gran nome, agli spergiuri, ai sacrileghi, non era la mercede da lui destinata a rimeritare gli ossequi de’ suoi diletti. Questi anni addietro, essendosi in Vittemberga introdotta una moda nuova e dispiacevole al principe, che fece egli? la diede ad usare al boia; e con tale atto le tolse tosto ogni seguito ed ogni stima. Un’arte somigliantissima di governo ha la provvidenza. Per toglierci l’affezione ai beni manchevoli della terra, gl’infanta con guarnirne ancora i ribaldi: Nullo modo magis potest Deus concupita traducere, dice Seneca (De prov. c. 5), quam si illa ad turpissimos defert, ab optimis abigit.

XI. Aggiungete che i ribaldi medesimi hanno bene spesso ne’ loro costumi tal cosa che sia lodevole, non trovandosi quassù così facilmente scelleraggine tutta pura, com’è giù tra i diavoli e tra i dannati. La vipera non è già velenosa in ogni sua parte, anzi col tossico ha tanto accompagnato di sanativo, che può tenere un posto onorevolissimo nella composizione de’ medicamenti. Quel ricco che voi vorreste subito in fondo, perché rapisce l’altrui sostanza, forse somministra cortese a più di un bisognoso il suo patrocinio. Quel lascivo sa perdonare alla fama del prossimo, se non sa perdonare alla pudicizia. Quel linguacciuto sa rattemperarsi dalle bestemmie nell’ira, se non sa raffrenarsi dalle mormorazioni. Taluno tradì la fede all’amico, ma insieme fu fedelissimo alla consorte: come appunto raccontasi che i romani fra tante loro rapine amarono la fortezza, i goti l’onestà, i vandali la religione, gli unni il rigore, i turchi l’ubbidienza ai loro sovrani. E così fate ragione che se è difficile ritrovare infermo sì disperato, che fra ì suoi molti cattivi indizi di morte, non ne tramischi alcun buono: non è meno d’incile ritrovare iniquo sì discolo. Ora appartiene a Dio non lasciar senza premio verun’azione che in qualunque modo sia retta. E però come superficiale è la virtù di costoro, così guiderdonasi con una felicità parimente, che non ha fondo, qual è quella di questa vita. E con ciò viene la provvidenza di vantaggio a manifestare quanto ella si compiaccia della virtù, mentre l’ama insino dipinta.

Xll. Finalmente fingete un empio tanto penetrato dalla malvagità, che non dia luogo a virtù, neppure apparente; non è necessario, ch’egli però vada esente dal provare gli effetti della divina clemenza con qualche temporale prosperità. Ad un ladrone condannato al patibolo, non consente ogni ragion che si porga qualche ristoro prima di mandarlo alla morte? Come però abbiamo a sdegnarci che un tal costume sia praticato dalla clemenza divina: sicché a quel reo. che è già destinato ad ardere senza fine i n un rogo eterno, concedasi per lo spazio di pochi dì antecedenti qualche sollievo? Andate ora e invidiate quei reprobi, perché godono. Non è ciò maggiore stoltezza che invidiare la cena del giustiziato? Quel pesce che guizza così lieto per l’onde, ha l’amo già nello viscere sì inoltrato che non vi vuole altro più, se non che il pescatore tiri a sé di colpo la canna per ìstrappargliele. E in tale stato può mai quel pesce meritarsi il bel titolo di felice?

XIII. Tanto più che gli empi con lo loro passioni, con le invidie, con le inimicizie, con le alterezze s’infettano quel poco stesso di bene che loro viene concesso da Dio: ad imitazione di quei mastini che non sanno godersi in pace tra loro ciò che loro vieri dato in cibo; ma digrignano i denti e si feriscono insieme alla disperata. Se non che i malvagi fanno ancora di peggio; mentre rivolgono la loro perversità contra se medesimi, e fanno in pezzi il lor cuore; onde vedete che loro tanto manca quel bene che hanno, quanto quel che non hanno. Il lince non ingrassa mai, perché mentre si pasce in un prato, tien gli occhi all’altro, e si strugge per ansietà di mettere quanto vi è nel suo ventre solo.

XIV. Ma checché siasi di ciò, chi negli avvenimenti umani teme di vertigine faccia come chi passa un torbido torrente, e non vuol cadere. Non fissi gli occhi nelle acque che vengono giù rovinose dalla montagna; li fissi alla riva stabile che lo attende di là dall’acque. Non miri ciò che scorre col tempo, miri ciò che dura per tutta l’eternità: e con questa misura retta, e non col palmo di una felicità transitoria, che è sì calante, rinvenga i beni che sono comuni agli empi, e rinvenga i mali che sono comuni ai giusti. Questa è l’altra opposizione che fanno gli uomini di corto senno alla Provvidenza, volendo misurarle audaci le mani, per dare a credere, ch’ella ne abbia una più lunga dell’altra, come già le aveva Artaserse. Se non che di tale opposizione mi serbo a discorrere da per sé nel seguente capo per minor tedio.