H. Ramière: S. J.
Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (3)
[ Chez le Directeur du Messager du Coeur de Jesus, Tolosa 1891]
PRIMA PARTE
CONSIDERAZIONI GENERALI
Capitolo III
L’ADOZIONE DIVINA, FORMA GENERALE DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE
Doppio aspetto della nostra divinizzazione: l’adozione divina e la incorporazione in Gesù.
Dio ha il diritto inalienabile di essere glorificato dagli uomini; e vuole che gli uomini lo glorifichino attraverso la propria divinizzazione. Di per sé, questa divinizzazione può essere considerata sotto due aspetti: uno generale, che consiste nella semplice adozione degli uomini come figli di Dio; l’altro particolare, che consiste nell’incorporazione degli uomini in Gesù Cristo. L’adozione divina è una conseguenza necessaria della nostra incorporazione in Gesù Cristo. Una volta che siamo diventati membri di Gesù Cristo, partecipiamo alla sua filiazione divina, alla grazia che ci fa entrare in un’intima unione con la natura divina. L’incorporazione in Gesù Cristo non è concepibile senza l’adozione divina, ma non è così per il contrario. Infatti, Dio avrebbe potuto comunicarci la grazia senza l’incarnazione del Verbo e innalzarci con questo mezzo alla dignità di figli di Dio, anche se questo modo sarebbe stato molto meno glorioso per Lui e per noi. « Vedete – dice San Giovanni – come il Padre ci ama, che ci chiamiamo figli di Dio: e noi lo siamo » (1 Giovanni III, 1). Una grande meraviglia è questa, ma purtroppo se ne sa molto poco. Ogni giorno chiamiamo Dio nostro Padre. Noi abbiamo ripetuto così tante volte questa parola che siamo diventati insensibili all’onore che il nostro Creatore ci ha dato permettendoci di dirla. Ci sembra naturale parlare a Dio in questo modo e trattarlo come se la nostra nascita ci avesse fatto suoi figli. Il figlio di un mendicante, cresciuto da un re, tratto dalla miseria e adottato come suo erede, poteva considerarsi come nato sui gradini del trono, dal momento che ignorava la bontà di cui era stato oggetto. Ma quale non sarebbe stata la sua umiltà e la sua riconoscenza nel confrontare la bassezza della sua origine con la dignità a cui la gratuità della generosità del padre adottivo lo aveva elevato? Non possiamo trovare in noi, miserabile argilla, qualcosa che ci autorizzi a chiamare Dio « Padre nostro ». È solo per effetto della liberalità di Dio che possiamo legittimamente usare di un nome così onorevole. Noi dobbiamo persuaderci di questo, perché questa persuasione faccia germogliare nella nostra anima due sentimenti: l’umiltà e la gratitudine.
Schiavitù e filiazione.
La forma comune che assume essenzialmente la divinizzazione degli spiriti creati è l’adozione divina: « A tutti coloro che l’hanno ricevuta – dice San. Giovanni – ha dato loro il potere di diventare figli di Dio, quelli che sono nati, non da sangue, né da volontà della carne, né da volontà dell’uomo, ma da Dio » (Giov. I, 12). Parole queste, che ci fanno capire che non dobbiamo alla nostra natura l’appartenenza alla categoria di “figlio di Dio”. San Paolo ci dà una spiegazione della meraviglia annunciata da San Giovanni. « Non avete ricevuto – egli dice – lo spirito di servitù per cui siate di nuovo nel timore; ma avete ricevuto lo spirito di figliolanza, per il quale noi gridiamo: Abba! Padre » (Rom. VIII, 15). L’Apostolo ci dà i due ordini di relazione in cui si trova la creatura razionale rispetto al suo Creatore: la schiavitù e la filiazione. Dio può essere per mezzo di essa un semplice signore o un padre. Lo schiavo è un estraneo alla famiglia del signore. Nato da un altro sangue, può aspettarsi di essere trattato con giustizia, nel migliore dei casi con indulgenza e bontà. Ma non può aspettarsi di ricevere dal suo padrone i segni della fiducia e della tenerezza che un padre elargisce ai suoi figli. Lo schiavo è una “cosa” del suo padrone. A lui deve tutto il suo lavoro, e non ha il diritto di aspettarsi da lui nient’altro che il cibo quotidiano. Se, per beneficarlo, il padrone volesse garantirgli un salario per assicurargli il riposo e il benessere della sua vecchiaia, lo schiavo ha già più di quanto gli si debba. Egli userà volentieri il nome del suo padrone per esprimere la bontà che ha ricevuto, ma nel pronunciare quel nome, egli sa che non ha sulla sua bocca lo stesso significato che ha sulle labbra del vero figlio. La paternità del signore è metaforica. Così, lo schiavo più favorito si rassegna a vivere al di fuori dell’abitazione del signore, ad essere escluso dalla sua tavola e dalla sua casa, a non poter conversare con lui, perché questi privilegi sono riservati al figlio. – In effetti, il figlio ed il padre sono una cosa sola. E la natura non permette al figlio di godere lontano da lui la vita che ne ha ricevuto. Tutto è comune a loro: sangue, cibo, alloggio, beni, disgrazie, gioie, allegrie, dolori, pensieri, sentimenti, interessi. Il padre, felice di vedersi rivivere nel figlio, si adopererà per aumentarne l’eredità. Il figlio, da parte sua, sopporterà più fatiche per il padre che lo stesso schiavo, perché non è spinto dalla paura, né lo stimola l’interesse. Pur non ignorando che le sue fatiche saranno ricompensate, egli è tuttavia spinto da un motivo più nobile. La sua più dolce ricompensa è la gioia di compiacere il padre: nell’amarlo, trova il suo più grande vantaggio, nel rendere cioè felice colui al quale è debitore di tutta la sua felicità.
L’uomo della natura e l’uomo della grazia
Tale è il figlio e tale è lo schiavo. La differenza che separa l’uno dall’altro è proprio quella che distingue l’ordine naturale dal soprannaturale, l’uomo della natura e l’uomo della grazia. Diciamo l’uomo della natura e non l’uomo del peccato, perché, anche se la natura razionale non avesse peccato, forse non sarebbe stata dotata dei doni della grazia, doni che sono puramente gratuiti. Dio avrebbe potuto creare l’uomo senza comunicargli questa vita, dandogli solo le facoltà naturali con gli aiuti interiori ed esteriori necessari al suo sviluppo. – L’uomo, così creato, sarebbe stato un figlio di Dio? Ovviamente no, perché gli sarebbe mancato ciò che costituisce la figliolanza: la comunità della vita. Avrebbe ricevuto la vita umana da Dio e solo impropriamente, avrebbe potuto chiamarlo Padre. Ma poiché la vita donata da Dio all’uomo si differenzia infinitamente dalla vita di Dio, la dignità dell’uomo della natura sarebbe stata inferiore alla dignità di un vero figlio di Dio. Egli non sarebbe stato altro che il servo del suo Creatore e avrebbe avuto solo il diritto di chiamarlo Signore e padrone. – È vero che questo Signore, infinitamente ricco di bontà, non avrebbe potuto resistere, anche nell’ordine della natura pura, all’irresistibile inclinazione che sente di riempire di benefici i suoi servi. Avrebbe manifestato loro il suo amore con i suoi doni e rivelato i suoi attributi con l’organizzazione, lo splendore e la fecondità delle sue opere. Avrebbe permesso loro di vedere la loro bellezza nello specchio delle creature e di sentire la sua parola ripetuta da tutte le voci che, in terra e in cielo, non cessano di cantare la sua gloria. – L’uomo della natura però non avrebbe concepito la possibilità di vederlo faccia a faccia, per conversare intimamente con Lui, per penetrare nella sua dimora, per sedersi alla sua tavola, essere illuminato dalla sua luce, bruciare nel suo amore, per vivere la sua vita ed essere felice della sua felicità. Costretto a cercare la felicità, si sarebbe aspettato dalla Sapienza divina la soddisfazione del desiderio che si sarebbe illuminato nel suo cuore. Ma questa felicità, divina nel suo oggetto, sarebbe stata umana in sé. Questo sarebbe stato allora il salario del servo e non l’eredità del figlio. La felicità è la pienezza della vita, Dio non può dare la propria felicità alla creatura che non vive della sua vita.
Ragione dei privilegi dell’uomo della grazia.
Tutti questi privilegi appartengono all’uomo della grazia. E perché? Perché l’uomo della grazia è suo figlio non solo di nome, ma anche in realtà. La paternità di Dio in relazione a lui non è una figura, ma è una realtà, fondata sulla reale comunicazione della vita di Dio. La grazia non è una pura qualità dell’anima: è la qualità la più eccellente di tutte. È insita nell’anima e fa parte del suo essere. Ma non può rimanere in essa se non in virtù dell’unione dell’anima con lo Spirito Santo, così come l’atmosfera può essere illuminata solo in virtù della sua unione con il sole. Quando a Dio piace innalzare una delle sue creature allo stato soprannaturale, Egli gli dona veramente il suo Spirito, il suo Amore sostanziale, e la sua Vita divina. Infatti Dio vive per amore, e colui al quale viene comunicato lAmore divino, vive in Dio come Dio vive in lui (1 Gv IV, 16). L’uomo della grazia è veramente rigenerato, è generato ex novo. La sua prima nascita lo aveva fatto vivere umanamente, dandogli un uomo per padre. La seconda lo fa vivere divinamente e lo costituisce figlio di Dio. – Ascoltiamo Lesio come ci spiega questo dolce mistero: « La grazia santificante ci rende figli di Dio, non in virtù della sua intrinseca perfezione (in quanto essa è una qualità creata), ma perché è, per la nostra anima, il legame attraverso il quale lo Spirito Santo si unisce a noi e ci comunica la natura divina: perché ciò che fa di un uomo il figlio di un altro uomo non è la comunicazione di un dono, qualunque esso sia, ma la comunicazione della natura fatta dal padre al figlio. Così, come Gesù Cristo è il Figlio di Dio in quanto riceve dal Padre la natura divina attraverso l’unione ipostatica, così il Cristiano è giustamente chiamato figlio di Dio perché riceve quella stessa natura attraverso l’unione della grazia. C’è però una grande differenza tra questi tre modi di possedere la vita divina: il Verbo divino l’ha ricevuta in un modo tale che essa gli appartiene essenzialmente e per identità; l’umanità di Gesù Cristo, attraverso l’unione ipostatica, la possiede sostanzialmente; essa invece non è unita alle anime giuste se non per un’unione accidentale, l’unione della grazia santificante. Questa grazia, quindi, non è la forma principale che ci rende figli di Dio, ma è la divinità stessa che ci viene comunicata; la grazia è il legame attraverso il quale questa forma divina è unita a noi; così come l’unione ipostatica fa dell’uomo Gesù Cristo il Figlio di Dio, in quanto serve come legame tra la sua umanità e la Persona del Verbo » (De Summo Bono, l. II, c. 1).
Differenza tra adozione divina e umana.
Questa spiegazione ci fa capire l’infinita distanza che separa l’adozione divina dall’adozione umana. In questa qui vediamo solo una finzione generosa. Il bambino adottato viene collocato in una casa, dove prima era solo uno sconosciuto; è vestito con abiti ricchi; si siede al tavolo di colui che egli chiamerà padre e acquisirà il diritto di possedere un giorno la sua eredità. Tutto questo è puramente esteriore, perché interiormente rimane tutto uguale, nonostante sia stato oggetto di tanto favore. – Con il suo sangue, con la sua vita, egli rimane estraneo come in precedenza al sangue e alla sostanza di colui che lo riconosce legalmente come suo figlio. Fino a questo punto arriva la paternità umana, desiderosa di estendere la sfera in cui la sua naturale fecondità l’ha racchiusa. – Ma la virtù della Paternità divina è completamente diversa. Per natura Egli può produrre un solo Figlio, la cui infinita perfezione esaurisce la sua infinita fecondità. Eppure l’inclinazione della sua generosità lo spinge ad accrescere la sua famiglia e a dare altri fratelli e sorelle all’unico Figlio. – Cosa farà per raggiungere questo obiettivo? Si allieterà con l’introdurli nella sua casa, con il farli sedere alla sua tavola, con il chiamarli a condividere la vostra eredità? Tutti questi privilegi apparterranno ai figli adottati, ma come conseguenza di un altro privilegio incomparabilmente più prezioso. Non saranno figli di Dio perché suoi eredi, ma saranno suoi eredi perché sono suoi figli (Rm. VIII, 17). E sono i suoi figli perché ricevono veramente la comunicazione della sua vita divina. Dio non si sbaglia quando ci chiama “figli suoi”, perché riconosce in noi la sua vita. E quando lo chiamiamo Padre nostro, non siamo oggetto di illusione, perché questo nome è l’espressione dell’Amore veramente divino che anima i nostri cuori. Dopo Lesio, non conosciamo nessun teologo che abbia esposto la natura della nostra divina adozione più chiaramente di Cornelius a Lapide. Nessuno ha affermato con più chiarezza e stabilito con motivi più validi la verità di questa comunicazione della vita di Dio, in virtù della quale siamo figli adottivi del Padre Celeste. Nessuno ha distinto meglio il dono sostanziale dello stesso Spirito Santo, ipsissima persona Spiritus Sancti, dai doni accidentali della grazia e della carità inerente all’anima.
Conseguenze pratiche della nostra adozione divina
Se potessimo penetrare il significato di queste realtà divine, quanto sarebbe facile per noi sottovalutare le false apparenze che ora ci abbagliano! Quand’è che la corruzione governava la terra e attingeva le acque dell’alluvione? Quando i figli di Dio, dimenticando la loro dignità, cominciarono a bramare le figlie degli uomini. Se vogliamo sfuggire al diluvio, basta ricordare quale dignità sovrumana ci dà il nostro titolo di “figli di Dio” e quali obblighi ci impone. « Siete figli di Dio! Ricordate la vostra dignità! Quando vi sollecita la carne, rispondete: sono un figlio di Dio, sono destinato a cose troppo grandi per diventare tuo schiavo. Quando il mondo vi tenta mettendovi davanti agli occhi il suo oro e le sue ricchezze, rispondetegli: sono un figlio di Dio che ha come eredità le ricchezze celesti; non è dunque degno il lasciarmi prendere prigioniero da un granello di terra bianca o gialla. Quando il diavolo vi tenta, mostrandovi onori e il loro fasto, rispondete: ritirati all’inferno, satana. Vuoi far di me un figlio del diavolo, io che sono il figlio e l’erede di Dio? Orrore! Sono nato per un regno eterno; calpesto e disprezzo tutto ciò che è temporale. Voi siete figli di Dio, le vostre opere sono grandi e difficili; i vostri sforzi incessanti; vostra sia la perfezione che il Padre celeste vi dà come esempio. Siate perfetti, dunque, come è perfetto il Padre vostro celeste » (Mt V, 48).
Capitolo IV
L’INCORPORAZIONE IN GESU’ CRISTO, FORMA PARTICOLARE DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE.
Dio vuole che la nostra divinizzazione si operi attraverso Gesù Cristo.
Dio vuole essere glorificato da Gesù Cristo, ma Dio vuole che la divinizzazione dell’uomo sia operata attraverso Gesù Cristo? È una questione capitale per tutti i servitori del Re Gesù. La soluzione a questa difficoltà ingigantisce la figura di Gesù Cristo, lo costituisce il Sovrano benefattore dell’umanità, la fonte da cui sgorga ogni bene, il restauratore del creato, il centro, il nodo e la soluzione di tutte le questioni del mondo e dell’umanità. Gesù Cristo appare come il medico che ha curato delle nostre ferite, come l’amico la cui generosità ha restituito la nostra fortuna ed il nostro onore, il Re sovrano al quale l’amore e la gloria sono dovuti per sempre. – Questo Dio incarnato è il modello di ogni vera perfezione, il fine di ogni vero progresso. Ci eleva ad una perfezione infinitamente superiore alle forze della nostra condizione naturale. Pur essendo l’esemplare ed il motore sovrano del mondo della materia e del mondo degli spiriti, soprattutto è l’inizio e il fine dell’ordine soprannaturale. Con l’atto stesso con cui assume la nostra miserabile natura, le comunica la sua vita divina. Egli non è solo modello dell’uomo, ma anche il Capo dell’umanità divinizzata (v. in “Le speranze della Chiesa”, I, cap. a. 2, p. 98-101). – Il verbo di Dio non intendeva limitare la comunicazione della sua divinità a un solo corpo e ad una sola anima. I suoi progetti d’amore volevano unire alla natura divina tutta la natura umana e con essa la natura angelica. Come l’uomo, composto da spirito e corpo, è il legame vivente della creazione spirituale e materiale, così il Verbo Incarnato, composto da un vero corpo ed anima e da una Persona divina, sarà successivamente, il legame tra i due mondi – il creato e l’increato – e la Testa ed il Cuore da cui la vita si estenderà alle creature razionali. – Tutte le altre nature appartenenti alla razza di Adamo saranno chiamate ad unirsi a questa natura privilegiata ed a ricevere da questa unione una comunicazione molto reale della loro vita divina. Ci sarà un solo Uomo-Dio, ma tutti gli uomini che riceveranno l’influenza dell’Uomo-Dio, potranno diventare uomini divini, operare in Lui atti divini e raggiungere la felicità divina attraverso di Lui.
La nostra deificazione si realizza con la incorporazione in Cristo
Tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio sono figli di Dio, dice San Paolo (Rom. VIII, 14). Egli è il vero Padre che ci ha comunicato la sua vita. Non era necessario applicare a Dio questo dolce titolo che avrebbe unito la nostra natura alla Persona del suo unico Figlio. La grazia santificante che risulta dall’unione delle nostre anime con lo Spirito Santo, sarebbe stata sufficiente a costituirci figli adottivi del Padre Celeste. Ma per quanto questa unione fosse reale ed elevata, non poteva soddisfare le aspirazioni del Suo amore. Egli voleva che la nostra divinizzazione fosse ancora più sublime, e che la nostra filiazione divina fosse più reale, e che stabilisse un legame più intimo tra i suoi figli adottivi e il suo unico Figlio. – Che cosa ha fatto per questo? Di Lui e di noi ha fatto un grande Corpo, il cui Capo è Suo Figlio e i cui membri siamo noi. Per quanto numerosi possiamo essere – dice San Paolo – siamo un solo corpo in Cristo, e noi stessi siamo membra l’una dell’altro (Rm XII, 5). Gesù Cristo, Capo dei Cristiani, è una di quelle espressioni che si ripetono continuamente nei libri, che sentiamo ripetere ogni giorno e il cui significato è tanto poco compreso quanto familiare a tutte le orecchie. Chiedete a cento Cristiani circa il vero significato della dignità conferita loro dal titolo di membri di Gesù Cristo; chiedete loro se il Corpo mistico del Divin Salvatore abbia più realtà di qualsiasi altro corpo morale. Quanti tra loro sapranno cosa rispondere? Se avessero letto attentamente le lettere di San Paolo, si sarebbero meravigliati dell’insistenza con cui l’Apostolo ne parla. Se l’incorporazione dei Cristiani nell’Uomo-Dio fosse solo una metafora, tutta la teologia dell’Apostolo si fonda allora su di una metafora. Ma non è così. Proprio così come il nostro titolo di figli di Dio non è figurativo, ma del tutto reale, ugualmente lo è la nostra appartenenza a Gesù Cristo. Succede con questa idea come con tante altre dell’ordine spirituale, le cui espressioni, prese dall’ordine del corporale, acquisiscono una realtà più solida ed elevata nel suo nuovo significato. – Il nostro corpo è l’immagine sensibile del Corpo mistico di Gesù Cristo. Senza dubbio lo Spirito Santo, l’anima di quel corpo, è unita a tutte le membra. – La stessa parola “spirito” appartiene, per la sua etimologia, alla materia, perché in origine significa respiro; ma chi non vede che, in un senso nuovo, è tanto più vero che nel primo? Così, la parola corpo, applicata alla Chiesa, esprime, in un grado superiore, tutto ciò che è vero di essa quando è applicata al corpo umano, il più perfetto di tutti quelli che compongono il mondo materiale.
Confronto con il corpo umano.
Per convincerci di questo, consideriamo il nostro corpo. Cosa ci vediamo dentro? Una moltitudine di parti, diverse tra loro non solo nelle forme, ma anche nelle funzioni e nelle proprietà. Ma gli organi, per quanto diversi e diversificati, non formano altrettanti corpi separati. Perché? Ciò che rende i membri e il capo un unico corpo è la comunità della vita. Il principio di quella vita in noi è l’anima razionale, che, presente sia nella testa che nei membri, mantiene tra loro relazioni vitali, li anima, li muove, li fa lavorare l’uno sull’altro. Ascoltiamo sant’Agostino che, attraverso questa misteriosa unione del nostro corpo fisico, chiarisce il mistero molto più profondo dell’unità del Corpo mistico di Gesù Cristo: « Noi formiamo un solo corpo – dice l’Apostolo San Paolo – e siamo animati da uno stesso spirito. Considerate cosa succede nei nostri membri. Per quanto siano molti, essi son tutti vivificati dallo stesso Spirito. Lo spirito umano, che mi rende uomo, unisce tutti i miei membri. Io li comando e loro si muovono; giro gli occhi per vedere, apro le orecchie per sentire, muovo la lingua per parlare, allungo le mani per agire e i piedi per camminare. Le funzioni di queste membra sono diverse, ma un solo spirito è responsabile di tutto il lavorio. Esso li governa tutti; i suoi comandi sono molteplici, e le sue azioni sono molteplici; ma chi comanda e obbedisce è uno solo. Ciò che il nostro spirito, cioè la nostra anima, è per le nostre membra, lo Spirito Santo lo è per i membri di Gesù Cristo e per il Corpo di Gesù Cristo, che è la Chiesa. Quindi l’Apostolo, dopo averci detto che formiamo un solo corpo con Gesù Cristo, non ci permette di immaginarlo come privo di vita. Siamo un corpo solo, ci dice. Sì, però quel corpo è vivo? Sì. -Non c’è dubbio. – E da dove viene la vita? – Da un solo e medesimo Spirito” (S. Aug. Serm. 268, in die Pentec., ML: 38.1233).
Perché le funzioni del capo sono attribuite a Cristoe quelle dei membri del Corpo mistico sono attribuite ai fedeli?
Questa spiegazione ci aiuta a comprendere l’unità del Corpo mistico della Chiesa, ma non ci dice perché le funzioni del capo siano attribuite a Gesù Cristo e i fedeli siano chiamati membri dell’Uomo-Dio. Per comprendere questa seconda verità, torniamo al nostro corpo. Tra i membri di cui è composto, il capo esercita un innegabile primato. È posto al di sopra di tutto, come un re seduto sul suo trono. Gli incarichi che svolge attraverso gli altri membri gli conferiscono una superiorità ancora più indiscutibile della sua situazione. – Supponiamo che dalle regioni di un regno, i resoconti degli eventi relativi ai suoi subordinati raggiungano il monarca ad ogni istante. Supponiamo che, con qualche meraviglioso mezzo, il monarca stesso possa non solo parlare, ma anche agire in tutte le parti del suo regno. Questo doppio assunto, inapplicabile anche nelle monarchie più assolute, ci dà un’idea del potere della testa sui membri. La testa è per tutti i membri, il centro del sentimento ed il principio del movimento. Ma il capo non possiede ed esercita questo doppio primato per propria virtù, ma per quella l’anima. Pur essendo presente in tutto il corpo, ha la sua sede principale nella testa, nella quale svolge le sue operazioni più nobili. È lì che riceve le impressioni che si producono in tutto il corpo, e dà ordini per il suo governo. – Il nostro corpo è l’immagine sensibile del Corpo mistico di Gesù Cristo. Senza dubbio lo Spirito Santo, anima di quel corpo, è unito a tutte le membra. La sua presenza reale in tutte le anime in stato di grazia è una verità certa. Ma è un altrettanto vero dogma di fede il fatto che lo Spirito Santo non si comunica alle anime giuste se non attraverso Gesù Cristo. San Giovanni, dopo aver mostrato nel Verbo fatto carne la pienezza della grazia e della verità, aggiunge: « E dalla sua pienezza tutti noi riceviamo grazia su grazia ». Dio ha un solo Amore, quello del suo Figlio unigenito. In Lui ha messo tutti le sue compiacenze ed amabilità, e siccome la bontà di quel Figlio è infinita quanto il suo potere di amare, non potrebbe amare nulla al di fuori di Lui. Pertanto noi non possiamo essere l’oggetto del suo amore, se non nella misura in cui siamo uniti a Gesù Cristo. – Lo Spirito del Padre è stato dato a Gesù Cristo senza misura e con lo Spirito, Egli ha ricevuto la vita di grazia in tutta la sua pienezza. Noi non possediamo questa vita, se non in unione con il nostro divino Capo. Da Lui riceviamo tutti i doni soprannaturali. La sapienza, il consiglio, la forza, tutte le facoltà divine con cui si manifesta l’azione dello Spirito Santo si esercitano solo nella misura in cui partecipiamo alla divina forza che comunica all’anima il Salvatore. – Sant’Agostino descrive questa somiglianza tra il corpo umano e il corpo dell’Uomo-Dio: « Anche se l’anima – dice il Santo Dottore – anima e vivifica tutto il nostro corpo, è nella testa che usa tutti i sensi, la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto e il tatto, così come nelle altre membra lavora solo attraverso il senso del tatto; inoltre, tutti i membri sono soggetti alla testa come per eseguire i suoi comandi, ed essa, invece, occupa il posto più alto per dirigere tutto, perché svolge, in qualche modo, l’ufficio dell’anima che governa il corpo. Così, sopra il popolo di Dio, il suo Corpo mistico, è posto il suo Capo: Gesù Cristo, uomo e mediatore tra Dio e gli uomini… ragion per la quale la Sapienza divina è unita a Lui in modo incomparabilmente più eccellente e sublime che agli altri santi. Questi sono saggi, ma Egli possiede la pienezza della sapienza divina » (S. Aug. De agone christiano, c. XX, ML.: 40, 301).
Cosa significa il Corpo mistico di Gesù Cristo?
Gesù Cristo è davvero il Capo mistico del Corpo le cui membra siamo noi. La qualifica di mistico non significa che sia “fittizio” ma che, invece di essere composto da parti materiali, come è composto il corpo, lo è di anime intelligenti. Ma questo non significa che sia meno reale e la sua unità meno perfetta. Solo essa non è dello stesso genere del nostro corpo, le cui parti, insieme, formano un’unica sostanza e costituiscono un’unica persona. Nel Corpo mistico di Gesù Cristo ci sono tante sostanze e persone quante sono le membra. Ma questi vivono tutti di una sola vita; e mediante lo Spirito Santo, il principio di esso, sono tutti uniti gli uni agli altri più indissolubilmente che i membri del corpo. – Gli elementi di cui sono composti i nostri membri sono in continuo cambiamento. Ogni giorno, in ogni momento, alcuni di essi sono separati. E dopo qualche anno non ce ne sarà più nessuno di quelli che, in questo momento, costituiscono la parte materiale del mio essere. Al contrario, le anime una volta incorporate in Gesù Cristo, non possono essere separate da questo Capo divino con nessuna forza, sia dalla terra che dall’inferno. Non possono perdere la loro vita divina se non con il suicidio.
Come si perde la vita divina?
Ma questa vita non si può conservare se non si rimane uniti a Colui da cui proviene. Questo completa la somiglianza tra il corpo di Gesù Cristo e il nostro. Se uno dei nostri membri è separato dalla testa, vedremo che perde la vita. Perché? Perché la fonte della vita è nella testa e quando un membro si separa dalla fonte cessa di ricevere la sua influenza. L’arto reciso può conservare per un certo tempo la forma che l’anima gli ha dato, ma presto sarà preso dal marciume. Presto non ci sarà più traccia della vita che una volta possedeva. – La stessa cosa accade nell’anima che si è separata da Cristo: cessando di essergli unita dalla fede agli insegnamenti della Chiesa, lo Spirito di Dio, che l’animava, l’abbandona: essa perde ogni vita soprannaturale; non è capace di fare alcuna opera meritoria, di produrre frutti per l’eternità. Separato dal tronco essa è un tralcio inutile, che ha perso tutta la sua fecondità. « Colui che non rimane in Me – dice il Salvatore – sarà gettato via come un tralcio separato dalla vite, si seccherà, sarà gettato nel fuoco e brucerà in esso » – Ma non ogni peccato separa il Cristiano dal Corpo di Gesù Cristo. Un membro può essere malato o paralizzato e tuttavia rimanere unito al corpo. Così, un membro di Gesù Cristo può essere affetto dalla malattia del peccato veniale. Può anche essere privato, per un peccato mortale, della vita di grazia, eppure appartiene ancora al Corpo. Due legami infatti ci uniscono ad esso: quello della fede, che ci rende Cristiani, e quello della carità, che ci rende Santi. Se questi due legami fossero spezzati, non avremmo mezzi di salvezza. Ma anche se avessimo perso la nostra salute soprannaturale e la nostra vita per la carità, il Corpo del Salvatore, al quale rimaniamo uniti dalla fede, ci fornirebbe mezzi potenti per recuperare questi beni inestimabili: « Colui che è risorto, Gesù, nostro Capo – dice sant’Agostino – è abbastanza potente per guarire i membri malati, purché, per la loro empietà, non si separino dal Corpo, ma rimangano uniti ad esso, bastando Egli che è capace di curarli ». Non bisogna infatti disperare per la salute di un membro che è ancora attaccato al corpo; ma chi è stato tagliato fuori non è suscettibile né della guarigione né del rimedio » (S. Aug.: Serm. 117, I, ML.: 38, 754).
Differenza tra le società umane ed il Corpo mistico di Cristo
Quando a una società viene dato il nome di un corpo morale e si parla della testa e dei membri di quel corpo, tutti sanno molto bene che nessuna realtà fisica corrisponde a quelle figure. Nella società più unita c’è perfetta conformità dei sentimenti, armonia delle tendenze, subordinazione dell’inferiore al superiore. Ma i cosiddetti membri vivono della propria vita e ognuno di loro possiede un’esistenza completa, indipendentemente dall’esistenza degli altri. – Nel corpo di Gesù Cristo le membra che, come uomini, hanno ciascuna la propria vita, non hanno, come Cristiani, che una sola e medesima vita: la vita di Gesù Cristo. Comunicando Egli veramente il suo Spirito, ci rende partecipi della sua grazia. È l’unzione di cui parla la Sacra Scrittura e che, versata abbondantemente sul capo di Aronne, si estendeva fino alle estremità delle sue vesti. Così, versata sulla testa del grande Sacerdote della nuova legge, viene comunicata a tutte le parti del suo corpo. – La grazia che viene riversata dalla Testa alle membra, la vita soprannaturale che anima la testa e il corpo sono le stesse. Per mezzo di questa grazia, Gesù Cristo opera in noi e ci fa operare in Lui, cosicché ciascuna delle nostre azioni soprannaturali è più opera sua che nostra. Lui è veramente Colui che prega in noi; Colui che parla, combatte, soffre, si immola. Egli continua in noi la sua incarnazione, noi cresciamo in Lui e possediamo il sorprendente potere di far crescere Dio in noi.
Il Corpo mistico negli insegnamenti di San Paolo.
L’incorporazione del Cristiano in Gesù Cristo era, per San Paolo, un fatto così innegabile che egli lo pone come fondamento della nostra Religione. Dopo Simone il Mago, anche Cerinto nega la resurrezione dei morti. Per combatterlo, l’Apostolo non usa altra arma che questo argomento: Gesù Cristo è risorto, allora anche noi risorgeremo. C’è una tale connessione tra le due proposizioni che dalla verità dell’una segue necessariamente la verità dell’altra. Poiché Gesù Cristo – secondo San Paolo – è il nostro Capo, e noi siamo suoi membri. formiamo tutti un unico corpo. Ora questo Corpo risorto deve essere vivo e perfetto. Pertanto, è opportuno che dove si trovi il Capo, ci siano anche i membri, in modo che la loro intima unione possa costituire « quell’intero corpo che è armoniosamente unico e saldamente unito da tutti quei contatti per mezzo dei quali fornisce ad ogni membro il cibo per la sua giusta funzione » (Ef. IV, 16). – Poiché i membri non possono essere separati dal Capo, se non risorgiamo, nemmeno Gesù Cristo è risorto. E se Gesù Cristo non è risorto, la nostra fede è vana, e noi siamo i più sfortunati tra gli uomini (1 Cor. XV, 16). San Paolo fa della verità della nostra incorporazione in Nostro Signore la base dell’edificio religioso, il sostegno della nostra fede, la promessa della nostra speranza. Nello stesso spirito, la Chiesa, la Domenica delle Palme, « chiede sinceramente a Dio Padre, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, che in questo stesso Gesù e per mezzo di questo stesso Gesù, di cui Egli ha ritenuto opportuno renderci membri, possiamo meritare di partecipare alla gloriosa risurrezione del nostro Capo ».
Gerarchia delle funzioni nel Corpo mistico.
San Paolo trae due conclusioni che anche noi dobbiamo trarre. La prima è che, essendo membri del Corpo di Gesù Cristo, non possiamo avere tutti la stessa funzione e la stessa distribuzione delle grazie. Perché – dice l’Apostolo – cosa sarebbe un corpo tutto composto di occhi, di mani o di piedi? Una mostruosità! Ognuno ha ricevuto una funzione diversa. « Con la sua anima, una e indivisibile – dice monsignor de Ségur – Nostro Signore esercitava un’infinità di funzioni diverse in ciascuna delle parti che compongono il suo sacro Corpo. Con il cervello e la testa, pensava e dirigeva tutto il corpo; con gli occhi, vedeva per tutto il corpo; con gli orecchi, sentiva; con la lingua, parlava; con il petto, respirava; con il cuore, amava; e così via discorrendo per ciascuno dei suoi organi. C’era, in questa adorabile umanità, una meravigliosa unità, insieme ad una misteriosa molteplicità; ogni parte era al suo posto ed esercitava una funzione specifica. Alcune avevano una funzione più nobile, altre meno, ma tutte contribuivano alla vita e alla perfezione del tutto. Questa stessa armonia si trova nel Corpo mistico di Gesù Cristo. La Chiesa è essenzialmente una sola; la forza trainante è una sola: Gesù! Lo spirito che lo ispira e lo vivifica è uno solo: lo Spirito Santo. Per tutti, uno e medesimo Battesimo, la stessa fede; tutti combattono la stessa battaglia; tutti hanno la stessa vocazione eterna e la stessa speranza; tutti vivono della stessa vita; eppure, nell’unità di quel corpo ci sono un numero infinito di vocazioni, diverse l’una dall’altra; una gerarchia di funzioni divinamente istituita per il bene generale » (Nos grandeurs en Jésus, e. p. 67). – Qual è l’origine di questa distribuzione di grazie? Spesso è la disposizione del soggetto: « Dio – dice San Girolamo – la cui magnificenza è sconfinata, misura l’effusione del suo Spirito secondo la capacità dei destinatari, e lascia che si versi, di questo prezioso liquore, quanto se ne possa ricevere. Il mare è immenso, ma ognuno trae da esso ciò che può ricevere e portare; così, lo Spirito Santo è immenso in se stesso, ma la sua effusione si adatta alle capacità di ciascuno ». – Tuttavia, come avverte san Tommaso, poiché la preparazione nel ricevere la grazia non dipende dall’uomo, ma da ciò che Dio stesso ha deciso con il suo libero arbitrio, dobbiamo confessare che la causa della diversità viene da Dio, che dona in modo diverso i doni della sua grazia, affinché da questa diversità nasca la bellezza della Chiesa, allo stesso modo con cui ha stabilito i vari gradi di perfezione degli esseri naturali in modo che il tutto sia perfetto. Allo stesso modo San Paolo, dopo aver detto che la grazia è stata data a ciascuno di noi secondo il dono di Gesù Cristo, aggiunge: per l’edificazione del Corpo di Gesù Cristo (S. Th. I, II, q. CXII, a. 4). – La seconda conclusione che San Paolo trae è che dobbiamo mostrarci degni del Corpo di cui siamo parte. Far cooperare il Corpo di Gesù Cristo con il male è un sacrilegio intollerabile. (1 Cor. VI, 15). « Non sapete che i vostri corpi sono membra di Gesù Cristo? Mortificate i vostri corpi e continuate la passione di Gesù Cristo (Col. I, 14), affinché la vita del vostro Capo scorra abbondantemente in voi, finché il Corpo mistico non raggiunga la misura dell’età compiuta di Cristo (Ef. IV, 13) ». « Fratelli miei – diceva sant’Agostino al suo popolo – ho sempre guardato a voi come a qualcosa di grande; ma ancora di più vi guardo, quando considero le azioni del mio divino Maestro nei vostri confronti. Voi siete il prezzo dell’Incarnazione del Signore, voi siete il prezzo del suo sangue, voi siete le membra di Gesù Cristo, che abbiamo per Capo … Glorificate, dunque, e portate Dio nel vostro corpo; Egli è nato per voi; è morto per voi; ha fatto la sua dimora in voi se vivete come si debba vivere » (S. Aug. Serm. 372, IV, De Nativ. Domini, ML., 39, 1665). « Voi – dice S. Anselmo – siete il Corpo stesso di Cristo, secondo l’Apostolo S. Paolo. Conservate, quindi, quell’organo e quei membri con l’onore che è loro dovuto. I vostri occhi sono gli occhi di Gesù Cristo. – Volgerete gli occhi di Gesù Cristo, che è la verità, alla vanità, alle sciocchezze, alla menzogna? Le vostre labbra sono le labbra di Gesù Cristo. Le aprirete, pensando che siano consacrate al servizio del vostro Dio e all’edificazione dei vostri fratelli, … le aprirete per calunniare, per pronunciare volgarità, per parlare di facezie e cose frivole? Con quale vigilanza, con quale rispetto dobbiamo governare tutti i sensi e le membra del nostro corpo, perché il Signore stesso presiede alle loro azioni! » (Med. XV).
Capitolo V
LA NOSTRO DIVINIZZAZIONE È L’OPERA DEL CUORE DI GESÙ
La nostra deificazione è un fatto indubbio.
Dio ha detto: « Io l’ho detto, siete tutti dei e figli dell’Altissimo ». Un Vescovo eloquente ha fatto questa solenne affermazione: « Il giorno di Pasqua, in mezzo agli agnelli spirituali, raggianti per il Battesimo, profumati di Cristianesimo, totalmente inebriati dall’Eucaristia, gli antichi fedeli cantavano con il principe dei teologi e dei poeti, san Gregorio: « Siamo come Cristo, perché Cristo è come noi; siamo dei per Lui, perché Egli è uomo per noi ». Non pensate che Dio sia geloso del suo titolo di Dio, o che voglia tenerlo per sé. Egli non vuole una beatitudine solitaria! Ha bisogno di distribuire le sue ricchezze. Non potendo comunicare la sua essenza, vuole comunicare la sua felicità e, per quanto sia delicato e generoso, non osa imporcela. A noi ce la offre soltanto. Pertanto, è nelle nostre mani sceglierla o meno, ed essere gli artefici della nostra trasfigurazione divina. La fede ci innesta a Cristo. Il Battesimo ci comunica la sua linfa. I Sacramenti ci bagnano con la sua rugiada. La parola divina ci manda la sua luce. La grazia ci culla con la sua brezza. La Chiesa ci coltiva con le sue mani. (Mons. Berteaud, Vescovo di Tulle). Siamo, come dice un Padre, dei in fiore: « Quando le piante divine raggiungono il loro perfetto sviluppo e portano frutto, Dio le trapianta nel suo Eden celeste e le colloca nell’assemblea degli dei. »
Chi è Gesù Cristo?
Chi è Gesù Cristo? Ogni Cristiano risponderà senza esitazioni: « Gesù Cristo è il Figlio di Dio, fatto uomo per salvarci. » Perché tutti sanno che, nella Persona del Divin Salvatore, ci sono due nature. Ma non tutti lo capiscono. Anche se hanno imparato nel catechismo che le due nature dell’Uomo-Dio rimangono nella loro unione, molti le confondono nella loro mente. Esagerando il paragone usato dalla Chiesa nel simbolo di Sant’Atanasio, essi comparano completamente l’unione dell’umanità e della divinità in Gesù Cristo all’unione dell’anima e del corpo nell’uomo. Essi immaginano la divinità come se esercitasse nel Salvatore le stesse funzioni dell’anima in noi. – La verità è che l’umanità di Gesù Cristo è assolutamente della stessa natura della nostra. San Paolo ci dice: « Divenuto nostro fratello, è stato fatto come noi in tutto, tranne che nel peccato » (Eb II, 17; IV, 15). In Lui, come in noi, l’anima vivifica il corpo, lo muove, lo governa con perfetta libertà. La Persona del Verbo di Dio divinizza la natura umana, non opera in essa, ma le comunica la propria sostanza. Gesù Cristo-Uomo è Dio, perché la sua volontà sussiste divinamente. Ma i suoi poteri umani sono liberi nelle loro azioni come se fosse semplicemente un uomo.
Con quale delle sue due nature Gesù Cristo ci ha salvati?
Ma Gesù Cristo, ci ha riscattati con la sua divinità o con la sua umanità? Entrambe hanno contribuito a questa opera, anche se in modi diversi. – Tre condizioni erano necessarie per assicurare la nostra salvezza: che le nostre colpe fossero espiate, che ottenessimo la grazia, e che la grazia fosse riversata nelle nostre anime. L’umanità del Salvatore ha compiuto le tre condizioni: come uomo ha espiato le nostre colpe; come uomo ci ha meritato e comunicato la grazia; ma a ciascuna di queste tre condizioni, la divinità ha unito un valore infinito, senza il quale esse sarebbero state assolutamente inefficaci: « La sua umanità ci santifica – dice San Tommaso – ma dalla divinità riceve la virtù di operare la nostra santificazione » (S. Th.: III, 9, 8-6). – I santi Dottori spiegano in questo senso il nome di Cristo, che il Figlio di Dio ha voluto prendere contemporaneamente a quello di Gesù. Questo si riferisce in particolare alla prima condizione della nostra salvezza, che è l’espiazione delle nostre colpe. Il nome di Cristo ha un rapporto più diretto con la terza condizione, cioè con la santificazione delle nostre anime. In realtà, Cristo significa “consacrato”. L’olio dell’unzione è il simbolo della grazia dello Spirito Santo. Ma come può il Figlio di Dio essere chiamato Cristo, cioè unto, e quindi santificato? Sant’Atanosio ce lo spiegherà: « Il Salvatore – dice – sebbene fosse Dio, e come tale avesse il potere di dare lo Spirito Santo, ha voluto come uomo ricevere l’unzione di questo Spirito Divino, per estenderlo ad altri uomini. Questo ci fa intendere attraverso le parole del Vangelo di San Giovanni: « Li ho mandati nel mondo e mi santifico per loro, perché anche loro siano santificati nella verità. » Parole con le quali Egli ci mostra a sufficienza che non ha bisogno di riceverlo da altri, ma ha il potere di darlo. Perché non dice di essere santificato da un altro, ma di santificare se stesso, affinché noi possiamo essere santificati nella verità come a dire: Io che sono il Verbo del Padre, dono alla mia umanità lo Spirito Santo e mi santifico come uomo, affinché d’ora in poi tutti gli uomini siano santificati in Me, che sono la verità » (S. Atanasio, Orat. II, adv. Arianos, MG.: 26, 145).
Gesù Cristo il sacerdote per eccellenza.
Gesù Cristo è diventato il Sacerdote per eccellenza, il Sovrano Pontefice dell’umanità. Tutti gli altri Sacerdoti non sono che suoi ministri. Solo Lui rende grazia con la sua stessa virtù. Solo da Lui gli altri ricevono il potere di darlo. Questa grazia ha la sua origine nella sua divinità, ma la sua umanità è l’oceano senza limiti e il canale obbligato attraverso il quale ci viene comunicata: « Abbiamo visto la sua gloria – dice San Giovanni – gloria che gli appartiene come Figlio unigenito del Padre, la pienezza della grazia e della verità. Dalla sua pienezza, aggiunge San Giovanni, abbiamo tutti ricevuto » (Giov. I). Cosa c’è di più ammirevole di questo piano della bontà divina? La natura umana era stata privata della grazia dalla quale era stata dapprima arricchita e, per le macchie di cui si era coperta, era diventata incapace di recuperare quel tesoro. Gesù Cristo si fa uomo e dona all’umanità, che con Lui fa una persona, la pienezza della grazia, che d’ora in poi si riverserà dolcemente sulla stirpe alla quale si è unito. Mistero grande della nostra salvezza che non sarebbe apprezzato se, confondendo le due nature in Gesù Cristo, non sapessimo distinguere la parte che tocca a ciascuna di esse nell’opera comune. Sappiamo molto bene che il Cuore di Gesù, per la sua unione con la divinità ha la virtù di santificarci. Quindi non escludiamo da questo lavoro la divinità di Gesù Cristo, ma il nostro pensiero va direttamente alla sua umanità. Infatti, Gesù Cristo, in quanto Dio, non ha cuore, poiché è puro spirito. Si può parlare figurativamente anche del Cuore di Dio, per indicare il suo Amore. Ma, poiché il Figlio di Dio non ha altro Amore che quello del Padre suo, sarebbe un errore contro la fede attribuire a Gesù Cristo – considerato come Dio – un cuore tutto suo. No, il Cuore di Gesù è il suo Cuore umano, un cuore in tutto simile al nostro, formato dalla stessa argilla come il nostro e, come il nostro, organo degli affetti della sua anima santa.
Perché dire Cuore di Gesù e non Gesù Cristo?
Possiamo già rispondere a chi ci chiede perché parliamo del Cuore di Gesù, invece di dire semplicemente Gesù Cristo. Non è che i servi del Cuore Divino difettino di rispetto, amore e fiducia nel Nome di Gesù, ma, a questo Nome Divino, amano aggiungere lo speciale appellativo di Cuore, per fissare meglio i loro pensieri. – Gesù Cristo è il Salvatore misericordioso, ma anche il Dio altissimo, il Signore onnipotente, il Giudice terribile. Quando dico il Cuore di Gesù, scompaiono tutti i suoi terrificanti attributi, per non farmi vedere che l’amico compassionevole, il dolce Agnello immolato per espiare le mie colpe, il fratello sacrificato che, unito alla mia natura, ha voluto assumere tutte le mie malattie. – Il nome di Gesù mi avvicina al grande Dio che, per sua stessa natura, abita in una luce inaccessibile. Diventando uomo, Egli è sceso dalle sue altezze per abbassarsi al livello della mia miseria. Ma quando dico il Cuore di Gesù, vedo il Salvatore più vicino a me. Vedo in Lui il modo in cui vuole unirsi a me. Scopro in Lui l’inizio immediato della mia santificazione. – In realtà, non spiego appieno questo dolce mistero anche dopo aver capito che sia stato compiuto dall’umanità del Salvatore, in virtù dell’infinita dignità della sua divinità. L’umanità contiene, nell’unità della sua natura, poteri molto variegati. L’Uomo-Dio aveva, come noi, movimenti naturali ed atti liberi. Per quale di questi poteri è stato il nostro Salvatore? Ci ha salvati necessariamente o liberamente? – Opera ancora alla nostra santificazione necessariamente o liberamente? – Ovviamente questa non è, come potrebbe sembrare, una di quelle questioni di puro passatempo che la sottigliezza dei teologi nel tempo libero delle “Scuole” avrebbe mai potuto proporre. Al contrario, è una questione capitale, la cui soluzione deve ordinare le nostre relazioni con Gesù Cristo. È chiaro che queste relazioni saranno di natura molto diversa, a seconda che si consideri la nostra salvezza come risultato necessario dell’Incarnazione del Figlio di Dio o come effetto della sua libera scelta. C’è una sola risposta a questa domanda ed è riassunta in queste parole: Il Cuore di Gesù. – Se, con un movimento del suo Cuore, con una libera determinazione del suo immenso amore, Gesù mi ha redento: « Si è offerto, dice il Profeta, perché ha voluto ; – « Mi ha amato – esclama san Paolo – e per quell’amore si è dato per me ». Con i ripetuti sforzi di quell’amore libero e tenero ci ha guadagnato le grazie della salvezza, e con l’azione costante e sempre libera di quell’amore, riversa le sue grazie nella mia anima. – Se l’amore umano di Gesù Cristo ha un cuore per organo; se l’uso comune e la rivelazione fatta da Gesù Cristo stesso a Santa Margherita Maria ci autorizzano ad identificare il suo Cuore con il suo amore, possiamo e dobbiamo dire che l’opera della nostra divinizzazione è, in verità, l’opera propria del Cuore di Gesù. Questa formula esprime il grande mistero di cui abbiamo voluto dimostrare la realtà. Ci dice, prima di tutto, che la condivisione della natura divina è comunicata agli uomini attraverso l’umanità del Figlio di Dio. Ci fa capire che questa comunicazione è il risultato di un amore libero e splendido, libero e potente, tenero e forte del Salvatore caritatevole. – Questa formula è tanto sicura quanto commovente. Ci fa considerare il Cuore di Gesù come un immenso oceano, dal quale le acque della divinità sono state riversate in tutta la loro pienezza e dal quale si diffondono a tutte le anime giuste che popolano il cielo, la terra e il purgatorio. A tutte queste anime il Cuore di Gesù comunica la sua vita, i suoi sentimenti e la sua santità. Egli vive in loro, li fa vivere in se stessi, e la loro vita è divina come la sua. Da Lui i beati del cielo ricevono il potere di godere divinamente. Attraverso di Lui i giusti della terra combattono divinamente e riportano i trionfi divini. Attraverso di Lui anche le anime del purgatorio soffrono divinamente. – Il Cuore di Gesù è la casa della vita divina e poiché il mondo naturale non è stato creato e non esiste se non in vista dell’ordine divino, il Cuore di Gesù è in un senso molto reale il centro di tutta la creazione!
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