LO SCUDO DELLA FEDE (108)

1Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA

Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884

CAPO XVIII.

S’inferisce, da quanto si è dimostrato l’unità di Dio, semplicissima in tanti suoi diversi attributi.

I . Due specie di cecità può temer l’occhio: l’una, per cui egli non vegga ciò che è delle cose: l’altra, per cui egli vegga ciò che non è. Ed eccovi ambedue questi morbi offuscar la mente dell’uomo. V’ha chi non vede il sole della divinità, e v’ha chi ne vede più d’uno, adorando quali sorgenti di luce quei che neppure sono pareli, ma nuvole affatto oscure. Pertanto noi, che finora abbiamo rimproverata agli ateisti la prima cecità, di non conoscere la divinità regnatrice, conviene che agli idolatri rimproveriamo ora l’altra, che è di riconoscerne molte: massimamente giudicandosi reo di fellonia non dissimile chi ardisce scacciare il suo monarca dal soglio, e chi ardisce nel soglio dargli collega. Né molto avremo a stancarci in dilucidare sì nobile verità: mentre quanto siamo certi di avere padrone in cielo, tanto siamo certi di non avervene parimente più d’uno. Deus, si non est unus, non est (Tert. in Marc. 1. 2. c. 13). Veggiamolo con provar tre proposizioni: che la grandezza di Dio richiede per se stessa tale unità; che questa in lui vogliono tutte le creature; e che questa tutte similmente ci predicano ad una voce.

I.

II. Saggiamente Tertulliano ci fè avvisati, che chiunque brami d’intendere se si truovi più di un Dio solo, chiegga innanzi, che cosa è Dio: Deum ut scias unum esse debere, quære quid sit Deus(Tert. ib.). Già di sopra vedemmo, come per Dio vien significato quel sommo bene, sufficiente a se stesso, che accoglie in sé qualunque bene possibile, con pienezza di perfezione: e posto ciò, non si può dubitare che non sia solo.

III. Conciossiachè rappresentatevi al pensiero questo impossibile, che si trovasser più Dei: per qual via dovrebbon distinguersi l’un dall’altro? Per via di qualche perfezione diversa che in loro fosse, o d’imperfezione. Per via d’imperfezione non è possibile, perché il bene sommo debbe essere bene esente d’ogni difetto. Dunque converrebbe che si distinguessero a forza di perfezioni. Ma come ciò, se il bene sommo non può non accorle tutte? Niun di loro in tal caso sarebbe Dio, mentre a ciascuno mancherebbe quel pregio che fosse il proprio e il preciso del suo consorte (Il ragionamento potrebbe assumere quest’altra forma. Gli Dei non possono essere molti, se non a condizione che si distinguano l’uno dall’altro, né possono distinguersi se non a patto che ciascuno possegga in proprio doti e prerogative, che mancano ad ogni altro. Adunque tutti e singoli sono limitati e finiti, perché manchevoli di qualche dote e nessuno perciò merita nome di Dio, il qual è di sua natura infinito). Dunque Iddio non può essere mai più d’ uno: Porro nihil summum bonum, nisi plenis viribus unum (Prudent.).

IV. Di poi chi non vede, che l’essere il supremo di tutti gli enti possibili, senza eguale, senza equivalente, è di sicuro un vanto il più riguardevole che si trovi? Adunque non si può contrastare a Dio, cui conviene ogni preminenza. Una gioia unica al mondo, quanto ha di stima! un fiore unico! un frutto unico! un libro unico! Anche i figliuoli restano commendati da una tal dote, più forse che da alcun’altra, perché li fa in loro genere senza pari.

V. Oltre a che: o questa pluralità sarebbe dispiacevole a ciascun Dio, e ne seguirebbe che ciascuno di loro fosse infelice mentre dovrebbe fra’ suoi contenti divorare questa amarezza di aver collega, senza poterla mai digerire: o non sarebbe dispiacevole punto, e ne seguirebbe, che ciascuno fosse insensato, mentre non sentirebbe un diletto, inevitabile al pari ed interminabile, che non potrebbe dargli altro che confusione: tanto più, che da quelle ingiurie che Dio riporta ogni giorno dai peccatori può cavar qualche gloria che le compensi. Ma quale gloria potrebbe un Dio ricavare da quei discapiti che riportasse dall’altro, di monarchia? Sarebbero di lor genere incompensabili. Adunque tanto è volere moltiplicar la divinità, quanto è volere annullarla.

II.

VI. Questa unità poi del loro fattore desiderano di accordo tutte le cose. Che sarebbe mai del genere umano, se egli avesse per disgrazia più d’un padrone? Avremmo più di un principio da riconoscere, e più di un fine. E però ditemi: ove allor prima ci volgeremmo, ove poi? Quale ci eleggeremmo noi di servire? qual di disprezzare? qual di sopportare? Quale di scuotere? Come una nave, combattuta da più venti al pari gagliardi, non sa qual di loro assecondare, a quale si rompere; così il nostro cuore, combattuto da forze al pari possenti, non saprebbe a quale inchinarsi: ma incerto, fievole, fluttuante, agitato, riputerebbe migliore la condizione di chi non si dilungò mai dal lido, venendo a vivere. Ne ci varrebbe in un tal caso tenersela ben con tutti: conciossiachè lo volontà di quegli Dei, come libere, o sarebbero discordanti fra loro o potrebbero essere. E in tal discordia, quale sarebbe la confusione di noi, poveri di partito pari al bisogno? Senzachè, quando ancora fosse possibile tenersela ben con tutti, secondando i loro voleri; ad ogni modo il nostro cuore qual fiume diviso in vari ruscelli, correrebbe sempre più languido: né potrebbe con tutto l’impeto dello spirito portarsi, come pure è di necessità, ad amare l’ultimo fino sopra ogni cosa.

VII. I medesimi disordini succederebbero poi nel resto di tutto l’ordine naturale. Primieramente l’universo sarebbe in sé mostruoso, come mostruoso sarebbe ogni animale, il quale avesse più capi. Né potrebbero tali capi ordinarsi in una stabilita repubblica di ottimati, a governare di accordo, attesoché possono bene in una somigliante repubblica unirsi gli uomini, convenendo in un fin comune; ma più Dei non possono unirsi, avendo ciascun di loro per fine sé. Onde l’amministrazione della natura non si distinguerebbe da un caos di confusione, odioso in sommo alle cose da lei prodotte. Entia nolunt male gubernari, dice il filosofo (Arist. metaph. 12). Non est bona multitudo principium. Unus ergo princeps.

VIII. Dipoi chi non sa, che qualsisia moltitudine, quanto più va riducendosi all’unità, tanto più nel suo genere ha di perfetto? Un esercito, quanto sta più serrato, tanto è più forte. Un concerto, quanto è più consonante, tanto è più armonico. Una conversazione, quanto è più concorde, tanto è più allegra. Un remigamento, quanto è più di tutti i galeotti ad un’ora, tanto è più celere. Ma il ridurre la moltitudine all’unità, molto più è connaturale di uno che non di molti (S. Th. 1. p. q. 12. art. 3. in c.). Quale dubbio dunque, che il governo del mondo stia meglio in uno?

III.

IX. Per ultimi, non solo l’essere di Dio richiede questa unità di principio, non solo la desiderano tutte le creature, ma tutte le creature ancor ce la scoprono ad una voce: tanto quelle che muovonsi per arbitrio, quanto quelle che sono mosse. E a voler dire in prima delle seconde.

X. Quella bellezza ammirabile che fu da noi lungamente considerata nelle parti dell’universo, quella proporzione, quell’orditura, quell’ordine, quella costanza perpetua nell’operare, troppo altamente ci dichiarano al cuore, che non può si grande opera provenire da altri, che da una cagione infinitamente perfetta. Altrimenti, se storpiata in sé fosse la genitrice, come potrebbe dare ella sempre alla luce partì sì belli? Ora qual maggiore storpio potrebbesi figurare in questa prima cagione, che l’essere costituita in un modo stolto? E pure di siffatto modo sarebbe costituita, se ella consistesse in più Dei. Volete che io vel dimostri? Certo è, che ciascuno di tali Dei come sufficientissimo ad ogni bene, e per sé e per altri, renderebbe tutti i suoi colleghi affatto superflui. Onde l’unione di più divinità che sarebbe? Non sarebbe un collegamento di perfezioni, ma un mucchio casuale di parti non importanti, di cui è proprio l’essere disadatto, disordinato, e senza disegno (Anton. Perez, de Deo disp. 1. c. 4). Pertanto chi potrà giammai darsi a credere, che se il mondo (il quale finalmente ha un esser creato) sussiste nondimeno in una ragion perfettissima, l’Essere increato, che ha per ragion;, anzi per necessità, solamente se stesso, sussista sì pazzamente in ciò che è contra d’ogni regola di ragione, cioè nel superfluo, tanto abborrito dalla natura medesima, che dappertutto altro non fa, che respingerlo, e ributtarlo? Guardate pertanto ciò che succederebbe tra quei più Dei, se diffatto si ritrovassero. Ciascun sarebbe più contentibile all’altro di una formica, perché una formica è bensì inutile a Dio, ma non è superflua, mentre Dio può essere utile alla formica; ed infatti l’è, amandola però anche, come capace di riportare da Lui e vita e vitto e piaceri a lei convenevoli. Ma tra quegli Dei non così: né l’uno potrebbe recare all’altro alcun prò (mentre sarebbero tutti sufficienti a se stessi), né l’un dall’altro lo potrebbe ricevere: onde, se tra loro fosse possibile alcun commercio, altro non farebbero insieme, che vilipendersi come numi da soprappiù. E potete voi divisarvi maggior disordine? Sufficiens est et unum, dice Aristotile (8. phys.tex. 48). Girate per tutto l’ordine naturale, voi non vedrete, che ciò che nel suo genere è sufficiente, sia mai più di uno: che però all’uomo fu determinato un sol cuore, un sol cerebro, un sol collo, perché uno basta al suo fine. E poi volete che più di uno sia Dio, che è il sufficientissimo?

XI. Né state a oppormi, che all’inconveniente ora detto dobbiamo dunque rispondere ancora noi, i quali ammettiamo tre Persone divine, tutte sufficienti a se stesse (mentre nessuna è tra esse che non sia Dio), e pure non ammettiamo veruna superfluità che loro passi, né veruna indigenza. La disparità è manifesta. Le tre persone sono tre Persone si bene, ma un solo Dio: che però in esse la sufficienza è una sola, non essendo la sufficienza di beni ch’esse posseggono fondata nelle personalità, ma fondata nella natura, la quale è unica in tutte. Non così avverrebbe in più Dei. Questi sarebbero ciascun da sé Dio diverso, Dio differente (altrimenti è certo che non sarebbero più): onde, siccome ciascun da sé sarebbe sufficiente a formare un Dio, quando ancora mancassero tutti gli altri; così ciascuno di verità sarebbe agli altri superfluo, e superflui li renderebbe.

XII. E pure notate di peggio. Ciascuno con tutto ciò avrebbe a un’ora degli altri, benché cogli altri un bisogno estremo, mentre nessun potrebbe essere senza gli altri, benché cogli altri non fosse una essenza sola. Ed eccovi però fra più Dii questa più mostruosa contraddizione, che vicendevolmente fossero beni, insieme necessari, insieme superflui. Superflui, perché ciascuno basterebbe a sé da se solo; necessari, perché nessuno potrebbe discacciare via l’altro, qual Dio d’avanzo; onde avrebbesi questo eminente sproposito, che la somma superfluità possibile a figurarsi fosse insieme la somma necessità. Lungi da noi tali insanie. Noi Cristiani intendiamo ciò che sia Dio, e per questo siam paghi di uno. Gli idolatri non lo intendevano, e però ne ammettevano innumerabili: Deus, si non est unus, non est.

XIII. Senonchè gl’idolatri stessi ne’ casi subiti davano a divedere ciò che notò Tertulliano con acutezza, cioè che l’uomo di sua natura è Cristiano, non è idolatra. Quindi è, che non solo colti da un improvviso pericolo, invece di rivoltare i lor occhi in atto di supplichevoli al campidoglio, chiedendo scampo, li sollevavano al cielo, come fu da noi già notato: ma di più nell’istesso Panteon, domicilio di tutti gli Dei bugiardi, se avevano ad asseverare una cosa, a protestare, a promettere, a minacciare, dicevano: Dio sa, Dio vede, Dio vuole, Dio mi castighi, chiamando per loro giudice un solo Dio, nell’atto stesso che d’ogni intorno sacrificavasi a tanti: 0 testimonium animæ naturaliter Christiana, gridò però Tertulliano con gran ragione (In apol. c. 11):mercecchè tutte le creature anche libere, non che le regolate dal puro istinto, hanno in sé  viva questa gran verità, notatavi altresì da Lattanzio, da Atanasio, da Arnobio, da Cipriano, che la cagione prima è una sola (Lattan. 1. 1. c. 2. Athan. c. idolol. Arnob. 1.2.Cypr. de idol. vanit.). Né è meraviglia. Come ella è perfettissima nell’operare, così conviene,che perfettissima sia parimente nell’essere,che è la norma dell’operare: e se ella è perfettissima,dunque è una, perché è quale torna a lei meglio dì essere (Come in aritmetica l’unità precede i numeri, così nell’universo l’uno precede il molteplice, epperò l’unità è la grande, la suprema legge dell’umana ragione. Il pensiero non può dare un passo senza trovarsi di fronte ad un molteplice nell’uno; e come nel mondo ideale tutti i concetti si radicano in un concetto supremo ed in esso hanno la loro ragione ed unità, così nel mondo reale tutti gli esseri sussistenti puntano in un Essere unico dominatore).

XIV. Vero è, che quando di Dio si dice esser uno, non dovete mai divisare che Egli uno sia di quel modo che uno è il sole per verità, e che una stimasi la fenice per favola. Imperocché unico è il sole di fatto, ma pure potrebbe moltiplicarsi dal Creatore al par delle stelle, divenendo il cuore di altrettanti universi che gli fossero dati a vivificare. E così parimente, quando fosse anch’ella unica la fenice, si potrebbe tosto vedere moltiplicata al par di tutti i volatili, perché né il sole, né la fenice hanno l’unità per essenza, come l’ha Dio, il quale non può essere se non quell’uno che Egli è (S. Th. 1. 2. q. 11. art. 4): tanto che il volerlo moltiplicare è l’istesso, che volerlo distruggere, multitudo numinum, nullitas numinum (Athan. c. idolol.). Riman dunque fermo, che Dio non solamente è unico, ma è lo stesso uno, come fu pure conosciuto dal Trismegisto, ipsum unum: ed in questa sua propria, pura, ed unissima unicità, quasi in un abisso senza fondo, contiene in atto tutte le perfezioni possibili. Ma perché noi, a guisa di struzzoli, tanto battiamo l’ale per aria, quanto posiamo ad un’ora i pie sulla terra, cioè tanto conosciamo delle cose divine, quanto ce ne rappresentano le immagini tolte dagli oggetti corporei; però ci figuriamo l’infinito alla foggia delle cose finite, e senza avvedercene veniamo a ritrarre il sole con un tizzone. Quinci è il distinguere che facciamo in questa semplicissima essenza, un numero grande di attributi, di proprietà, e di prerogative che l’accompagnino, benché tutti gli attributi, tutte le proprietà, e tutte le prerogative non sian altro che un solo bene, contenitore di tutti per eminenza. Chiamiamo il mare ora oceano, ora maggiore, ora mediterraneo, ora adriatico, ora icario, ora ionio, ora caspio, ora boreale, ora baltico, ora britannico, ora pacifico, ora getico, ora gelato, ora rosso: eppure ell’è tutta un’acqua. Così, con qualche proporzione, noi possiam dire che nominiamo Dio, ora giusto, ora misericordioso, ora adirato, ora placato, ora avverso, ora propizio, ora operante, ora quieto: benché l’idea che ne dobbiamo formare, sia di un sommo Essere indivisibile, in cui per verità non si distingue una perfezione dall’altra; ma quella essenza medesima che è giustizia, quella è misericordia; quella che è potenza, quella è sapienza; quella che è provvidenza, quella è santità; quella, che è immensità per occupare tutti gli spazi possibili, quella è eternità per accogliere tutte le durazioni. E la ragione di tanta semplicità si è parimente, perché qualunque composto ha la sua cagione (S. Th. contra gentes l. 1 c. 48.n. 4): non potendo parti diverse adunarsi in un tutto, massimamente non casuale, ma saggio, senza cagione adunante, la quale intenda la convenienza che han quelle parti tra loro, a far lega insieme. Ma a Dio non può assegnarsi cagione di alcuna guisa, mentre Egli è la cagion prima. Dunque nemmeno in Dio può trovarsi composizione. Egli è da sé. Dunque Egli possiede anche un essere semplicissimo, che contiene ogni grado di perfezione, ma di perfezione non mista d’imperfezione: come la luce, la quale ha in sé qualunque grado possibile di, colore senza l’opaco (Sotto questo riguardo Iddio potrebbe venir definito l’Essere dotato di infiniti attributi infinitamente perfetti e ridotti a semplicissima unità).

XV. Che se è così, non dobbiam neanche meravigliarci, se sulla terra mai non possiamo conoscer Dio degnamente o almeno adeguatamente. A conoscer Dio di tal modo converrebbe conoscere il bene in sé. Ma ciò non fu mai possibile, dove ogni bene che mirisi, è limitato dentro qualche spezie di bene, non è il ben tutto: Bona domus, bona animalia, bonus aér, etc. (dicea il grande Agostino (De Trin. 8. c. 3) bonum hoc, et bonum illud. Tolle hoc et lolle illud, et vide ipsum bonum si potes: ita Deum videbis; non alio bono bonum, sed bonum omnis boni.

SALMI BIBLICI: “LÆTATUS SUM IN HIS QUÆ DICTA SUNT MIHI” (CXXI)

SALMO 121: “Lætatus sum in his quæ dicta sunt mihi”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 121

Canticum graduum.

[1]  Lætatus sum in his quae dicta sunt mihi:

In domum Domini ibimus.

[2] Stantes erant pedes nostri in atriis tuis, Jerusalem.

[3] Jerusalem, quae ædificatur ut civitas, cujus participatio ejus in idipsum.

[4] Illuc enim ascenderunt tribus, tribus Domini, testimonium Israel, ad confitendum nomini Domini.

[5] Quia illic sederunt sedes in judicio, sedes super domum David.

[6] Rogate quæ ad pacem sunt Jerusalem, et abundantia diligentibus te.

[7] Fiat pax in virtute tua, et abundantia in turribus tuis.

[8] Propter fratres meos et proximos meos, loquebar pacem de te.

[9] Propter domum Domini Dei nostri, quæsivi bona tibi.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXI.

Il Salmo è della Gerusalemme terrena, figura della celeste; e degli Ebrei che bramano il ritorno da Babilonia in Gerusalemme, figura dei viatori che aspirano alla celeste.

Cantico dei gradi.

1. Mi son rallegrato di quel che è stato a me detto: Noi anderemo alla casa del Signore. [1]

2. I nostri piedi si so posati negli atrii tuoi, o Gerusalemme: [2]

3. Gerusalemme, che si edifica come una città. a cui per la concordia si ha parte. [3]

4. Perocché là salirono le tribù, le tribù del Signore, al testimonio d’Israele, a lodare il nome del Signore. [4]

5. Perocché ivi furon collocati i troni per giudicare, i troni sopra la casa di David. [5]

6. Domandate voi quelle cose che sono utili alla pace di Gerusalemme ; e (dite): Sieno nell’abbondanza coloro che ti amano.

7. Sia la pace nella tua moltitudine; e nelle tue torri sia l’abbondanza.

8. Per amore dei miei fratelli e dei miei propinqui, ho io domandata la pace per te.

9. Per amor della casa del Signore Dio nostro, ho desiderato il tuo bene.

(1) In ebraico, cantico dei gradi di Davide, cioè per coloro che a ragione retrodatano molto più dietro la composizione di questo salmo, cantico ad imitazione dei salmi di Davide.

(2)  Aspettando questa felice nuova, i nostri piedi si trovano già sul pavimento con i nostri pensieri con l’ardente desiderio di rientrare nella nostra patria.

(3) La traduzione letterale di questo versetto, secondo l’ebraico, sarebbe: Gerusalemme che fu costruita come una città, per cui tutte le case sono riunite e formano un mirabile insieme. Sant’Agostino qui e soprattutto ove si incontra l’espressione “in idipsum”, lo traduce sempre come se si avesse Dio, cioè Colui che è sempre lo stesso, che non cambia mai, e che tutti i Santi del cielo possiedono egualmente.

(4) Secondo il precetto fatto ad Israele di radunarsi tre volte all’anno presso il Santo tabernacolo; la testimonianza designa la legge.

(5) Là vi sono le sedi supreme della giustizia e del governo: « … i troni della casa di Davide, » vi

Sommario analitico

Il salmista qui esprime la gioia del popolo di Dio alla felice notizia del suo ritorno nella sua patria. Egli parla anche a nome della Chiesa, per la prosperità dei voti che augura, come pure a nome di ogni anima fedele che si sente vicina al termine del suo pellegrinaggio su questa terra.

I. – Egli gioisce:

1° a causa della certezza che gli viene data di giungere alla casa di Dio (1);

2° a causa della prossimità in cui si trova della città santa (2),

II. – Egli descrive e celebra l’eccellenza di questa città, eccellenza che proviene:

1° dalla bellezza dei suoi edifici,

2° dalla concordia e dall’unione dei suoi abitanti (3);

3° dal concorso del popolo di Dio che vi si reca da ogni parte (4);

4° dal potere giudiziario che vi esercita Gesù-Cristo e gli Apostoli (6);

5° dalla pace e dall’abbondanza che regnano nelle sue mura (6);

6° dalla solidità e dalla struttura dei suoi muri, e delle sue torri che nessun nemico può abbattere né distruggere.

III. Egli dichiara che questi desideri che forma per essa, hanno come principio:

1° L’amore che porta ai suoi fratelli (8);

2° lo zelo che ha per la Chiesa (9).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1, 2.

ff. 1, 2. – Noi sospiriamo nell’esilio; noi gioiremo nella città. Ma noi incontriamo nel nostro esilio dei compagni che hanno già visto questa città e che ci invitano a correre verso di essa. È in essa che gioisce il Profeta quando dice: « Ho gioito quando mi hanno detto: andremo nella casa del Signore. » Fratelli miei, la vostra carità porti il vostro pensiero su ciò che accade quando si parla di una festa di martirio, e di qualche luogo santo in cui la folla, in certi giorni, affluisce per la celebrazione di una solennità, e di come queste masse popolari si eccitino mutualmente! Come si esortano al desiderio con queste parole: Andremo, vi andremo, ma… dove? In quale posto? Dicono gli uni; e gli altri rispondono: in tal luogo, in tale luogo santo. Se ne parla, ci si scalda e l’ardore dell’uno particolare forma una medesima fiamma; e questa fiamma unica, prodotta dai discorsi di uomini che si sono mutualmente abbracciati, li conduce verso questo luogo santo, se ne parla, ci si riscalda, e dall’ardore particolare di ciascuno forma una medesima fiamma, e questa fiamma unica, prodotta dai discorsi di uomini che sono tra di loro accomunati, li introduce verso questi luoghi santi, e questo pensiero li santifica. Se dunque un santo amore fa così correre gli uomini verso qualche luogo di questo mondo, cosa deve essere l’amore che introduce verso il cielo delle anime riempite di uno stesso desiderio, e che dicono: « Noi andremo nella casa del Signore! » Corriamo dunque, corriamo poiché arriveremo alla casa del Signore; corriamo senza affaticarci, perché perverremo in un luogo che non conosce la fatica. Corriamo alla casa del Signore! La nostra anima gioisca in coloro che ci dicono tali parole. In effetti, coloro che ci parlano così hanno visto prima di noi questa patria, e gioiscano da lontano coloro che vengono dopo di essi: « Noi andremo alla casa del Signore. » E cosa risponde ciascuno di noi? « Ho gioito in coloro che mi hanno detto: noi andremo alla casa del Signore. » Io ho gioito nel profeta, ho gioito negli Apostoli; perché tutti loro ci hanno detto: « Noi andremo nella casa del Signore. » (S. Agost.). – Quali sono i divini messaggeri a cui Dio ha incaricato di annunciare questa buona novella? È Gesù-Cristo, che ci ha dichiarato che vi sono più dimore nella casa di suo Padre; che Egli andava a prepararci un posto, e che voleva che noi fossimo con Lui; (Joan. XIV); è l’Apostolo san Paolo che ci ha detto che per qualche momento di tribolazione sulla terra, un carico immenso di gloria ci è riservato in cielo; (II Cor. IV, 47); è il Principe degli Apostoli, san Pietro, che ci parla dell’eredità incorruttibile, immutabile ed imprescrittibile che dobbiamo attenderci dopo i giorni del nostro esilio; (I Pietr. I, 4); è l’Apostolo diletto, davanti al quale tutte le porte del cielo sembrano essere aperte perché possa contemplarne gli splendori, e che ce ne descrive le magnificenze con un linguaggio incomparabile; (Apoc.); è questo nugolo di testimoni che la Chiesa onora, queste schiere innumerevoli di Santi che ha visto intorno al trono dell’Agnello, e che dispongono tutto in favore di questa santa patria, in cui tutte le nostre lacrime devono essere asciugate. – Quanto diversi sono i sentimenti nel peccatore e nel giusto, quando bisogna dire che è arrivata per loro la fine della vita. La morte è per l’uno la notizia più triste che si possa annunciare, perché non avendo durante la propria vita regolate le aspirazioni celesti nel suo cuore, egli non può sperare di salire verso la casa del Signore, e non gli si osa portare questa notizia se non con la precauzione più grande. Per l’altro è invece la notizia più gradita che egli possa ricevere, e lo si colma di gioia quando gli si viene a dire che è sul punto di andare nella casa del Signore. –  « I nostri piedi si sono fermati nei tuoi atri, o Gerusalemme. » Coloro che ci hanno annunciato che noi andremo nella casa del Signore non sono nell’ignoranza di ciò che sia questa città verso la quale camminiamo; essi non hanno annunciato delle cose incerte, essi non ci hanno promesso ciò che non conoscono … Questa casa, oggetto di tutti i nostri desideri, abbiamo appreso con gioia che essa ha come fondamento, dodici pietre preziose, che essa è costruita con pietre viventi, tagliate dapprima per l’edificio elevato da Mosè sotto la legge, poi continuata con la sofferenza dei Profeti, dal Signore, nel suo corpo, con il martirio degli Apostoli, con la forza e la virtù dello Spirito Santo. Ecco gli architetti ed i costruttori, ecco l’edificio e la città. Essi si son fermati nei suoi atri, essi che ne sono i guardiani, ai quali sono state rimesse le chiavi di questa città: «Io vi darò le chiavi del regno dei cieli. » (S. Hilar.) – I nostri piedi si sono altre volte fissati nei tuoi atrii. » Sì, noi abbiamo affollato gli atri della celeste Gerusalemme, quando noi abitavamo il Paradiso celeste nella persona di Adamo, nostro progenitore, « ma il paradiso terrestre era come il vestibolo del Paradiso celeste, e questo stato di innocenza era come la soglia e la porta dello stato di gloria. Forse è anche a causa di questo che lo Spirito-Santo non ha voluto scrivere: « i nostri piedi si sono stabiliti nelle tue piazze, ma nei tuoi atri, o sotto le tue porte, » affin di farci comprendere che si tratti, in questo salmo, della Gerusalemme celeste (Bellarm.) – È vero anche il dire, in un altro senso, che dopo la nuova della nostra redenzione, cioè dopo l’Annunciazione del Vangelo, i veri Cristiani si considerano come già negli atri della celeste Gerusalemme. I loro piedi, cioè i loro pensieri e le loro affezioni, sono già fissate nel cielo. « La nostra conversazione è nel cielo, dice l’Apostolo; noi siamo i concittadini dei Santi, e noi apparteniamo alla casa di Dio. Noi non dobbiamo più gustare le cose della terra, ma unicamente quelle che sono sopra di noi. (Filip. III, 20; Colos. III, 2). –  Quale deve essere la disposizione di coloro che camminano verso questa casa? Voi sapete ora quale sia la casa del Signore. Nella casa del Signore, si glorifica con le lodi Colui che ha fondato questa casa; si costituisce Egli stesso come delizie di tutti coloro che abitano la sua casa; Egli è la loro unica speranza quaggiù, il loro unico Bene lassù. Quale deve essere la disposizione di coloro che corrono verso questa casa? Credere di esservi di già. Pensare alla felicità di cui un giorno dovrete gioire; e benché siate ancora lungo il cammino, figuratevi già di esservi insediato, che già possediate, nella società degli Angeli, una gioia imperitura, e che si compia in voi questa parola: « Felici coloro che abitano nella vostra casa, essi vi glorificheranno nei secoli dei secoli. (Ps. LXXXIII, 5). » – « I nostri piedi si sono fissati negli atri di Gerusalemme. » Di quale Gerusalemme? In effetti c’è sulla terra una città con questo nome, ma essa non è che l’ombra dell’altra Gerusalemme. E qual grande felicità sarebbe il restare in questa Gerusalemme dei Giudei, che essi non hanno potuto conservare, e che è caduta in rovina? … A Dio non piace che siano tali, per questa Gerusalemme terrestre, i sentimenti di colui che ha tanto amore, tanto ardore, tanto desiderio di giungere a questa Gerusalemme, nostra madre (Galat. IV, 26), che l’Apostolo dice essere «terna nei cieli. » (S. Agost.). 

II. — 3-7.

ff. 3. – « Gerusalemme che è costruita come una città. » Queste parole possono intendersi del tempo successivo alla cattività. Gerusalemme non era allora che un vasto deserto ed un ammasso di rovine; le sue torri erano abbattute, le sue mura rovinate; triste retaggio di un’antica patria. Alla vista di questa solitudine, i Giudei reduci dalla cattività richiamano il ricordo della sua antica prosperità e del suo antico splendore … il testo stesso del salmista, viene in appoggio a questa spiegazione: « Gerusalemme che è costruita come una città; » perché allora non era ancora una città (S. Giov. Chrys.). – Questa città di Gerusalemme non è ancora completamente costruita; essa si costruisce tutti i giorni con pietre viventi, sul fondamento degli Apostoli e dei Profeti, di cui Gesù-Cristo è Egli stesso la principale pietra d’angolo (S. Girol.). – Il salmista sembra rispondere a questa domanda: Di quale Gerusalemme parlate? Di Gerusalemme che si costruisce come una città. Quando parlava così, la città di Gerusalemme era interamente costruita, non la si costruiva. Egli parla di non so quale città si costruisce al presente, e verso la quale corrono le pietre viventi, di cui l’Apostolo S. Pietro ha detto: « E voi siate assemblati come pietre viventi in un tempio spirituale. » (I Piet. II, 5), che è il tempio santo di Dio. Che significano queste parole: « Siate uniti come pietre viventi? » Voi siete viventi, se credete; e se credete, diventate il tempio di Dio; perché l’Apostolo S. Paolo ha detto: « il tempio di Dio è santo, e siete voi questo tempio. » (I Cor. III, 47). La città è dunque presentemente in costruzione; le pietre sono tagliate nelle montagne dalle mani dei predicatori della verità, esse sono squadrate per entrare nell’edificio eterno. Ecco dunque questa « Gerusalemme che si costruisce come una città; » il suo fondamento è Gesù-Cristo, perché l’Apostolo San Paolo ha detto: « Nessuno può porre un altro fondamento che quello che è stato posto, il quale è il Cristo Gesù. » (Ibid. 11). Dopo aver gettato le fondamenta, si elevano le mura al di sopra, ed il peso delle muraglie tende verso il basso, per cui il fondamento è posto in basso; ma se il nostro fondamento è in cielo, è in cielo che bisogna costruire l’edificio del quale facciamo parte … Noi siamo un edificio spirituale, il nostro fondamento è in alto. Corriamo dunque verso questo fondamento, per far parte della costruzione; perché della Gerusalemme celeste è stato detto: « I nostri piedi sono fissi negli atri di Gerusalemme. » Ma di quale Gerusalemme? « Della Gerusalemme che si costruisce come una città. » Perché non dice: Gerusalemme, città che si costruisce, ma: « che si costruisce come una città, » se non è perché questo assemblaggio di mura che formava, Gerusalemme era una città visibile, o secondo la proprietà volgare del termine, una città; ma la Gerusalemme del Profeta non è costruita come una città, perché coloro che entrano nella sua costruzione non sono che « come pietre viventi, » perché essi non sono realmente delle pietre. E così come essi sono come delle pietre e non delle pietre, così Gerusalemme è “come” una città, perché essa si costruisce, e non è una città (S. Agost.). – Gerusalemme celeste, in cui regna questa pace felice, in cui tutti i cuori sono legati ed uniti insieme; come nella Gerusalemme terrestre, i suoi numerosi edifici sono strettamente collegati tra di loro, senza la minima interruzione, e si prestavano una mutua protezione. La Chiesa della terra è ora privata di questa felicità di cui gioiva altre volte quando « la moltitudine di coloro che credevano non aveva che un cuore ed un’anima, e nessuno considerava ciò che possedeva come proprietà personale, ma in cui tutte le cose erano in comune. » (Act. IV, 32). – Questa partecipazione dello stesso bene, come traduceva Sant’Agostino, trasportava di ammirazione il santo dottore. Egli considerava questo bene nella sua immutabilità e nella sua eternità: ciò non può essere che l’essenza stessa di Colui che è sempre ciò che è; partecipazione che sorpassa tutti gli sforzi del nostro spirito, ma che eleva nello stesso tempo le nostre idee ed infiamma i nostri desideri.

ff. 4. –  « È là che sono salite le tribù, le tribù del Signore. » Nel popolo di Israele c’erano dodici tribù; ma esso conteneva buoni e malvagi … Così il Profeta dicendo: « là sono salite le tribù, » ha aggiunto: «le tribù del Signore. » Quali sono le tribù del Signore? Quelle che hanno conosciuto il Signore. In effetti, tra le dodici tribù perverse, vi erano dei giusti che facevano parte delle buone tribù che hanno conosciuto l’Architetto della città, ed esse erano, in mezzo a queste tribù, come il buon grano mescolato alla paglia. Tra esse sono salite, non mescolate alla paglia, ma purificate, poste nel rango degli eletti, e come appartenenti al Signore (S. Agost.). – « Ecco – diceva Gesù-Cristo – che noi saliamo a Gerusalemme, ed il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai principi dei sacerdoti ed agli scribi, che lo condanneranno a morte. » (Matth. XX, 18). Questa Gerusalemme era riprovata, ed Egli aveva pianto su di essa; questa Gerusalemme non era più la figura della Gerusalemme celeste, ma la figura del mondo corrotto, che perseguiterà sempre Gesù-Cristo e coloro che vogliono essere suoi discepoli. Le tribù del Signore che aspirano alla vera Gerusalemme non salgono verso questa Gerusalemme omicida: esse se ne allontanano per osservare la legge e cantare le lodi del Signore in quella Gerusalemme che gli Apostoli chiamano la nuova, la santa Gerusalemme, la Gerusalemme che è sopra di noi (Berthier). – Queste tribù del Signore, non sono le tribù di Israele o di Giuda. Siamo noi stessi queste tribù del Signore, ed è a noi che il Profeta fa questo invito: « Venite e salite alla montagna del Signore, ed Egli ci insegnerà le sue vie e noi cammineremo nei suoi sentieri, perché è da Sion che uscirà la legge, e la parola del Signore da Gerusalemme. » (Isai. XI, 3) – È da Gerusalemme che è uscita la parola del Signore per arrivare fino ai Gentili. Essi entrano nella città santa come testimonianza per Israele (S. Hilar.).

ff. 5. – « Là sono stabilite le sedi della giustizia. » È notevole che ciò su cui batte il Re-Profeta nel ritorno del popolo alla città santa ed al tempio del Signore, sia il vantaggio di possedervi dei tribunali, dei tribunali ove siedono degli uomini considerevoli che fanno parte della casa di Davide, e che esercitano in nome del principe, questa nobile parte della potenza reale: la distribuzione della giustizia. Nelle nostre chiese cattoliche, due cose soprattutto incutono, fin dall’entrata nel tempio, un profondo rispetto: il Tabernacolo, in cui il Dio che ha fatto il cielo e la terra si degna di riposare solitario e nascosto, ed il confessionale, ove il Cristiano viene spontaneamente ad autoaccusarsi, ed è giudicato sulle proprie confessioni e, con un sincero pentimento, merita un giudizio favorevole. A questo duplice aspetto, è impossibile dispensarsi da una emozione profonda: sì, si dice a se stesso, è certo qui la casa di Dio e la porta del cielo (Rendu). – Potere di rendere la giustizia appartenente a Colui che è il Messia, uscito dalla casa di Davide. – Egli ha comunicato ai Vescovi ed ai Sacerdoti, suoi ministri, il suo potere per conoscere e giudicare delle cose che riguardano le coscienze. È letteralmente nella celeste Gerusalemme che sono stati stabiliti i troni di giustizia, sia perché il trono di Gesù-Cristo e quello degli eletti che regnano con Lui sono stati posti nel cielo in maniera immutabile, sia perché i Santi stessi, regnando e giudicando con Gesù-Cristo, sono i troni di Dio. E questi troni sono fondati sulla casa di Davide, perché tutta la potenza reale e giudiziaria dei Santi proviene da Gesù-Cristo che, secondo il Vangelo, è Figlio di Davide, ha ricevuto il trono di Davide suo padre, e regnerà eternamente sulla casa di Giacobbe (Bellarm.).

ff. 6. – « Chiedete tutto ciò che può contribuire alla pace di Gerusalemme. » Il Profeta esorta gli esiliati che tornano a Gerusalemme a salutare da lontano la città santa, chiedendo per essa la pace e l’abbondanza, questi due beni, i più grandi di tutti, e che fanno il benessere delle città, perché la pace senza l’abbondanza non è che il possesso tranquillo della miseria, e l’abbondanza senza la pace è una felicità dubbia ed incerta. (Bellarm.). – Così, non è solo la liberazione da tutti i mali che egli ha predetto, ma il felice sommarsi di tutti i beni: la pace, l’abbondanza, la fertilità. In effetti a cosa servirebbe la pace a coloro che soffrono la povertà, l’indigenza e la fame, e di quale utilità sarebbe l’abbondanza in mezzo agli orrori della guerra? (S. Crys.). – Domandate la pace, come la intendono e la desiderano i figli di Dio: e la pace ancora, ma certo meglio, di come la desiderano i figli di questo secolo. Pregate per ciò che si riferisce alla pace di Gerusalemme, cioè alla città che si chiama con il nome stesso della pace, perché ne contiene tutti gli elementi e tutte le garanzie; e, come il Profeta Geremia raccomandava ai Giudei che dimoravano in Babilonia: « Cercate la pace della città temporale nella quale siete destinati a vivere, benché il suo nome esprima agitazione e confusione, non omettete di pregare il Signore per essa, perché la sua pace, sarà la nostra pace. » (Jerem XXIV, 7). – In mezzo a questa pace esteriore, il bene spirituale si opera in larghe proporzioni, il regno di Dio vi trova il suo progresso, e dal canto loro, le cose umane hanno tanto da guadagnare; di modo che se la pace esteriore profitta alla casa di Dio, la prosperità di essa serve egualmente gli interessi dei nostri fratelli e dei nostri prossimi. (Mgr. Pie, T. V, 321).

ff. 7. – « Che la pace sia nella forza. » O Gerusalemme! O città costruita come una città! « che la pace sia nella tua forza, » che la pace sia nella tua carità; perché la tua forza, è la carità. Ascoltate il Cantico dei cantici: « l’amore è forte come la morte. » (Cant. VIII, 6). Grande parola, fratelli miei: « l’amore è forte come la morte. » La forza della carità non poteva essere descritta in termini più magnifici: « L’amore è forte come la morte. » In effetti, fratelli miei, chi può resistere alla morte? Mi si presti attenzione con la vostra carità: si resiste al fuoco, all’acqua, al ferro; si resiste alle potenze, ai re; la morte si presenta sola, chi le resiste? Nulla di più forte c’è di essa. Ecco perché le è stata comparata la carità, ed è stato detto: « L’amore è forte come la morte … » Se dunque esso è forte, è potente, di gran forza, anzi è la forza stessa; ed è con l’aiuto di questa forza che i deboli sono retti dai robusti, la terra dal cielo, il popolo dalle autorità; che la pace sia dunque nella tua forza, o Gerusalemme, che la pace sia nella tua carità; e che con questa forza, con questa carità, con questa pace, « l’abbondanza sia nelle tue torri, », cioè in ciò che hai di più elevato. Saranno pochi in effetti coloro che saranno seduti come giudici; ma molti saranno posti alla destra e formeranno il popolo di questa città. Molti si saranno legati a ciascuna di queste sedi sì elevate, e saranno ricevuti da essi nei tabernacoli eterni, e l’abbondanza regnerà nelle torri della città. Ora, Dio stesso, Colui che è, al quale partecipano tutti gli abitanti della città, è Egli stesso la pienezza delle delizie e l’abbondanza delle ricchezze di Gerusalemme e, con Lui, l’abbondanza regnerà nelle sue torri. Ma come? Per mezzo della carità che è essa stessa la forza della città. (S. Agost.). – Il Profeta desidera e domanda l’abbondanza dei beni celesti su coloro sui quali è sicuramente il merito e che, come torri forti, difendono la città con la loro solidità e servono da ornamento con la loro altezza. (S. Gerol.).

ff. 8, 9. – « Io ho parlato di pace, a causa dei miei fratelli e dei miei vicini. » Si vedono in questi due versetti i due caratteri dell’amore. Il Profeta desidera la pace di Gerusalemme, non per se stesso, ma per i suoi fratelli ed i suoi vicini, o per i suoi amici; egli desidera per Gerusalemme tutti i beni, non ancora per se stessa, ma per l’onore della casa di Dio. (Berthier.) – « A causa dei miei fratelli e dei miei prossimi, io ti auguro la pace. » O Gerusalemme, città in cui gli abitanti sono partecipi di Colui che è, che sono ancora in questa vita e su questa terra; io, povero, esiliato, gemente, che non godo ancora della tua pace e che predico tuttavia la pace, io non la predico in vista di me, come fanno gli eretici, che cercano la loro gloria quando dicono: la pace sia con voi, e che non possiedono la pace che predicano ai popoli. Se, in effetti, essi avevano la pace, non avrebbero distrutto l’unità, « Io d’altra parte – egli dice – ho parlato di pace a tuo vantaggio; » ma perché? « A causa dei miei fratelli e dei miei vicini, » e non per il mio onore, non per la mia fortuna, non per la mia vita; « perché, per me, vivere è il Cristo, e morire è un guadagno. » – « A causa della casa del Signore, mio Dio, io ho cercato i beni per te. » Non è a causa mia che ho cercato i beni, perché allora li avrei cercati, non per te, ma per me; ma io li ho cercati «a causa della casa del Signore mio Dio, » a causa della Chiesa, a causa dei Santi, a causa degli esiliati, a causa degli indigenti, affinché possano salire verso questa casa, mentre noi diciamo loro: « Noi andremo alla casa del Signore. » È a causa di questa casa del Signore mio Dio che ho cercato i beni per te! » (S. Agost.). 

TUTTA LA MESSA (L’UNICA “VERA” CATTOLICA ROMANA) MOMENTO PER MOMENTO (5)

TUTTA LA MESSA MOMENTO PER MOMENTO (5)

[Aldéric BEAÜLAÇ, p. S. S.

Vicario & subdiacono (Montréal)

“TOUTE LA MESSE

Par questions et réponses”

TUTTA LA MESSA in Domande e risposte

(Nouvelle édition revue et corrigée)

3425, RUE ST-DENIS MONTREAL

Cum permissu Superioris,

EUGENE MOREAU, p.s.s.

Nihil obstat’.

AUGUSTE FERLAND, p.s.s.

censor deputatus

Marianopoli, die 28a martii 1943

Imprimi potest’.

ALBERT VALOIS, V. G.

Marianopoli, die 28a martii 1943

6 — La purificazione delle mani

155 — Perché il Sacerdote si lava le dita?

La cerimonia della lavanda delle mani ricorda l’antica pratica di offrire doni all’altare. Il ricevimento di questi doni – pane, vino, cera, olio, frutta, ecc. – ed il maneggio dell’incensiere sporcavano le mani del celebrante. In passato, quindi, la lavanda delle mani era un rito di utilità; oggi rimane un rito simbolico.

156 — Cosa figura la lavanda delle mani?

La lavanda delle mani è la purificazione da tutte le contaminazioni: contaminazioni delle mani che presto toccheranno l’Ostia consacrata, contaminazioni dell’anima che sta per ricevere Gesù in sé.

La rubrica prescrive, nella Messa privata, il lavaggio della punta delle dita per marcare la cura che il Sacerdote deve prendere di purificare il suo cuore anche dalle colpe più leggere, dall’ombra stessa del peccato.

157 — Quale preghiera recita il Sacerdote purificandosi le mani?

Il Sacerdote recita una parte del salmo XXV che racchiude il voto di celebrare il sacrificio immacolato dell’Agnello di Dio con la più gran purezza, con il più grande fervore possibile.

Preghiera:

Lavábo inter innocéntes manus meas: et circúmdabo altáre tuum. Dómine: Ut áudiam vocem laudis, et enárrem univérsa mirabília tua. Dómine, diléxi decórem domus tuæ et locum habitatiónis glóriæ tuæ. Ne perdas cum ímpiis, Deus, ánimam meam, et cum viris sánguinum vitam meam: In quorum mánibus iniquitátes sunt: déxtera eórum repléta est munéribus. Ego autem in innocéntia mea ingréssus sum: rédime me et miserére mei. Pes meus stetit in dirécto: in ecclésiis benedícam te, Dómine.

[Laverò fra gli innocenti le mie mani: ed andrò attorno al tuo altare, o Signore: Per udire voci di lode, e per narrare tutte quante le tue meraviglie. O Signore, ho amato lo splendore della tua casa, e il luogo ove abita la tua gloria. Non perdere insieme con gli empi, o Dio, l’anima mia, né la mia vita con gli uomini sanguinari: Nelle cui mani stanno le iniquità: e la cui destra è piena di regali. Io invece ho camminato nella mia innocenza: riscattami e abbi pietà di me. Il mio piede è rimasto sul retto sentiero: ti benedirò nelle adunanze, o Signore.]

7 — La preghiera alla Santa Trinità

158 — Cosa fa il Sacerdote dopo la lavanda delle mani?

Il Sacerdote ritorna al centro dell’altare, alza gli occhi verso il crocifisso e subito li abbassa, mette le mani giunte sull’altare, e poi, in questo atteggiamento, recita una preghiera alla Santissima Trinità.

Preghiera:

Súscipe, sancta Trinitas, hanc oblatiónem, quam tibi offérimus ob memóriam passiónis, resurrectiónis, et ascensiónis Jesu Christi, Dómini nostri: et in honórem beátæ Maríæ semper Vírginis, et beáti Joannis Baptistæ, et sanctórum Apostolórum Petri et Pauli, et istórum et ómnium Sanctórum: ut illis profíciat ad honórem, nobis autem ad salútem: et illi pro nobis intercédere dignéntur in coelis, quorum memóriam ágimus in terris. Per eúndem Christum, Dóminum nostrum. Amen.

[Accetta, o Santissima Trinità, questa offerta che ti facciamo in memoria della passione, risurrezione e ascensione di nostro Signore Gesù Cristo, e in onore della beata sempre Vergine Maria, di san Giovanni Battista, dei santi Apostoli Pietro e Paolo, di questi [martiri le cui reliquie sono nell’Altare], e di tutti i Santi, affinché ad essi sia d’onore e a noi di salvezza, e si degnino d’intercedere per noi in Cielo, mentre noi facciamo memoria di loro in terra. Per il medesimo Cristo nostro Signore. Amen.]

159 — La preghiera alla Santa Trinità riassume tutti gli elementi dell’offerta?

Questa preghiera riassume tutti gli elementi dell’offerta, perché dice a chi si rivolge l’offerta, la parte che il cielo deve prendere in essa, e l’aiuto che la Chiesa sulla terra può aspettarsi da essa.

È a Dio solo che viene offerto il santo Sacrificio. Tuttavia, può essere offerto a Lui in onore di un Santo – cioè per ringraziare il Signore per il trionfo concesso al suo servo – per assicurarci la protezione di un amico di Dio.

Il Concilio di Trento, infatti, citando proprio questa preghiera, afferma: « E sebbene la Chiesa sia stata abituata a volte a celebrare alcune messe in onore e in memoria dei Santi, essa insegna tuttavia che non è a loro che si offre il Sacrificio, ma solo a Dio che li ha incoronati. Per questo il Sacerdote non ha l’abitudine di dire: “Io offro il sacrificio a voi, … Pietro o Paolo; ma, nel rendere grazie a Dio per le loro vittorie, egli implora il loro patrocinio affinché gli stessi di cui ricordiamo la memoria sulla terra, si degnino di intercedere per noi in cielo. »

160 — Perché il Sacerdote menziona i misteri della Passione, della resurrezione e dell’Ascensione di Nostro Signore?

La Messa viene celebrata in memoria della Redenzione le cui parti principali sono: la Passione, la Risurrezione e l’Ascensione di Nostro Signore. Nella Passione, l’Agnello Immacolato è stato immolato; nella Risurrezione, è glorificato; nell’Ascensione, viene a sedersi alla destra del Padre per completare la nostra redenzione e salvezza.

161 — Quali sono i Santi menzionati in questa preghiera?

In questa preghiera, il Sacerdote fa menzione speciale agli stessi Santi che ha invocato nel Confiteor e ai Santi le cui reliquie sono poste nella pietra dell’altare.

162 — Perchè il Sacerdote chiede a Dio per mezzo del Cristo che i Santi preghino per noi?

Chiediamo a Dio per mezzo del Cristo non solo l’effetto delle preghiere che i Santi fanno, ma anche l’ispirazione e il desiderio di farle, perché possiamo chiedergli tutti i mezzi che gli piace usare per manifestare la sua gloria. Dobbiamo chiederlo per mezzo di Gesù Cristo, attraverso il quale solamente, ci deve venire tutto il bene.

« Ci sono intercessori in cielo – dice Bossuet – che pregano con noi: ma essi stessi sono ascoltati solo dal Grande Intercessore e Mediatore Gesù Cristo attraverso il quale tutti hanno accesso, sia gli Angeli che gli uomini, sia i Santi che vi regnano che quelli che combattono ».

163— Quale onore procura ai Santi la menzione del loro nome alla Messa?

La Messa, Sacrificio impetratorio, ottiene da Dio un aumento della gloria accidentale dei Santi, cioè un aumento del loro culto sulla terra. Inoltre, la menzione dei loro nomi nella Messa li associa più strettamente al trionfo dell’Agnello Immacolato in cielo.

8 — Orate Fratres

164— Cosa fa il Sacerdote dopo aver recitato la preghiera alla Santissima Trinità?

Il Sacerdote bacia l’altare, si rivolge ai fedeli, poi, stendendo mani e braccia, invita i presenti alla preghiera.

Preghiera:

Oráte, fratres: ut meum ac vestrum sacrifícium acceptábile fiat apud Deum Patrem omnipoténtem.

[Pregate, fratelli, affinché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre onnipotente.]

Il popolo risponde immediatamente all’invito del Sacerdote, attraverso la voce del servente:

Suscípiat Dóminus sacrifícium de mánibus tuis ad laudem et glóriam nominis sui, ad utilitátem quoque nostram, totiúsque Ecclésiæ suæ sanctæ.

[Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio, a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua Santa Chiesa.]

Il sacerdote aggiunge a bassa voce: Amen, esprimendo così la sua adesione al pio desiderio degli astanti.

165 —Perché il Sacerdote bacia l’altare prima dell’Orate Fratres?

Il sacerdote bacia l’altare in questo momento, perché è nel Nome di Gesù, che l’altare rappresenta, che inviterà i fedeli a pregare.

Le parole Orate Fratres qui prendono il posto della formula ordinaria Oremus e servono come introduzione all’orazione successiva chiamata secreta. In passato, la cerimonia dell’offertorio durava a lungo e poteva distrarre l’attenzione dei fedeli; da qui il richiamo alla preghiera.

Oráte, fratres: ut meum ac vestrum sacrifícium acceptábile fiat apud Deum Patrem omnipoténtem.
M. Suscípiat Dóminus sacrifícium de mánibus tuis ad laudem et glóriam nominis sui, ad utilitátem quoque nostram, totiúsque Ecclésiæ suæ sanctæ.

[Pregate, fratelli, affinché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre onnipotente.
M. Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio, a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua Santa Chiesa.]

166 — A chi si indirizza questa parola “Fratelli”?

Questa parola “fratelli” si rivolge a tutti i fedeli, senza distinzione di condizione o di sesso. Nelle parole degli Apostoli e dei Padri, questo termine designa i membri della Chiesa, rigenerati dallo stesso Sacramento (il Battesimo), nutriti per la vita eterna alla stessa mensa (l’Eucaristia), e uniti gli uni agli altri dai comuni vincoli della stessa fede, speranza e carità.

167— Spiegate questa espressione: “questo mio e vostro sacrificio”.

Nei Sacrifici della croce e nella Messa, è lo stesso Sacerdote che offre; è la vittima stessa che viene offerta, Nostro Signore Gesù Cristo. Ma Cristo si è creato con il Battesimo dei membri che la Cresima ha perfezionato. « Voi siete tutti insieme il corpo di Cristo e singolarmente le sue membra », dice San Paolo. « Non immaginiamoci che Cristo – osserva sant’Agostino – sia nella testa e assente dalle membra. No, è interamente nella testa e nel corpo ». Ecco perché, rinnovando in modo non cruento sui nostri altari il Sacrificio della croce, Cristo non è e non può essere separato da noi, prima di tutto dai suoi Sacerdoti, che ha fatto partecipi del suo Sacerdozio attraverso il Sacramento dell’Ordine, poi dai suoi fedeli intimamente associati a questo Sacerdozio come membri del suo Corpo, «… razza eletta, un sacerdozio regale, un sacerdozio santo, incaricato di offrire le ostie spirituali, gradite a Dio », come li chiama San Pietro. Benché i membri, uniti alla testa, come il ramo al tronco, partecipano all’altare in vari gradi, essi celebrano con Cristo, potendo ciascuno dire, in tutta verità, la MIA Messa, perché Cristo ha voluto che fosse la NOSTRA, dal momento in cui si è unito ai fedeli come membri del Suo Corpo Mistico.

9 — Secreta

168 — Perché questa orazione è chiamata secreta?

Questa preghiera, recitata a bassa voce, si chiama da tempo Secreta, o preghiera silenziosa.

Secondo diversi liturgisti, la parola stessa non significa a “bassa voce”, perché ancora oggi nel rito ambrosiano la preghiera corrispondente viene pronunciata ad alta voce. Secondo essi, la parola “secreta” viene dal latino secernere, che ha il participio secretum e significa “separare”, essendo questa preghiera recitata, alla separazione dei catecumeni dai fedeli, sul pane e sul vino destinati al sacrificio e separati dalle offerte destinate alla distribuzione. Secondo altri liturgisti, la parola “secreta” significa “segreta” o “misterioso”! Costoro considerano la secreta come appartenente al gruppo successivo di preghiere, in cui si trova il “Mistero della fede” per eccellenza: la Consacrazione.

169 — La secreta somiglia alla colletta?

Per quanto riguarda la forma, il numero, l’ordine e la conclusione, valgono le stesse regole che per le collette. Ma il soggetto delle une e delle altre è diverso: nelle collette, in generale, non si fa menzione del Sacrificio; le secrete, al contrario, hanno come obiettivo l’oblazione e contengono più o meno gli stessi pensieri dell’intero offertorio.

170 —Come terminano le secrete?

Il Sacerdote termina la secreta con le parole: per omnia sæcula sæculorum, [per tutti i secoli dei secoli], alle quali il servente risponde Amen. Questo Amen conclude tutta questa parte della Messa. Così sia! un atto di fede, sublime nella sua semplicità, di tutto il popolo cristiano, che approva ciò che è stato fatto, preparato e detto, e si costituisce nel tempo stesso, nell’amore che si offre, ostia con Cristo.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/04/20/tutta-le-messa-lunica-vera-cattolica-romana-momento-per-momento-6/

TUTTA LA MESSA (L’UNICA “VERA” CATTOLICA ROMANA) MOMENTO PER MOMENTO (4)

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5 — Le predica

119 — Di quante parti si compone la predica?

La predica, come si fa oggi alle grandi Messe, si svolge in tre parti:

a) gli annunci delle feste, dei digiuni e dell astinenze che si verificheranno durante la settimana:

b) gli annunzi di nozze, le funzioni settimanali, le preghiere per i bisogni  temporali e spirituali, per la parrocchia e per i fedeli defunti;

c) l’istruzione dei fedeli.

120 — Che cos’è la predica od omelia?

L’omelia è un discorso familiare sul Vangelo.

6 — Il Credo

121— Quali verità contiene il Credo?

Il Credo contiene le principali verità che la Chiesa ci insegna.

Credo in un solo Dio, Padre Onnipotente che ha fatto il cielo e la terra, tutte le cose visibili e invisibili. E in un solo Signore Gesù Cristo, unico Figlio di Dio, che nacque dal Padre prima di tutte i secoli, Dio da Dio, luce da luce, vero Dio da vero Dio; non fatto ma generato; consustanziale al Padre e per mezzo del quale tutto è stato fatto. Che, per noi uomini e per la nostra salvezza, scese dal cielo (qui ci inginocchiamo). E si è incarnato per opera dello Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria E SI È FATTO UOMO. Che fu crocifisso per noi, soffrì sotto Ponzio Pilato e fu sepolto; è risorto il terzo giorno secondo le Scritture. Ascese al cielo e siede alla destra del Padre e verrà di nuovo nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il cui regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, che procede dal Padre e dal Figlio, che con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato; ed ha parlato per mezzo dei profeti. Credo alla Chiesa; una, santa, cattolica e apostolica. Confesso un solo Battesimo per la remissione dei peccati; Aspetto la resurrezione dei morti e la vita del secolo a venire. Così sia.

122 — Perché il Credo viene detto un symbolo?

La parola simbolo significa marchio, segno e ancora stendardo. Diamo il nome di simbolo al Credo perché un tempo era un marchio o un segno che veniva usato per distinguere i Cristiani dagli infedeli: da signum, da symbolum, dà il segno, recita il simbolo, nella Chiesa primitiva si diceva di quelli che si presentavano alle riunioni. Il Credo è in qualche modo lo stendardo dei Cristiani, vale a dire il loro segnale di battaglia, quando la loro fede viene attaccata e quando si uniscono per difenderla, come i soldati attorno alla loro bandiera.

123— Quanti simboli si contano?

La liturgia reconosce tre symboli di fede:

a) Il symbolo degli Apostoli: la Chiesa lo recita nell’officio del breviario, il padrino e la madrina lo formulano a nome del bambino che sta per essere battezzato.

b) Il symbolo di sant’Athanasio: lo si recita all’Ufficio di certe domeniche.

c) Il symbolo di Nicea: lo si recita alla Messa.

124 — Quando si dice  il Credo alla Messa?

Due motivi in ​​particolare hanno determinato l’introduzione del Credo nella Messa: la speciale solennità del giorno e il rapporto che il simbolo ha con la festa celebrata.

Per la prima ragione, il Credo è recitato nelle feste del titolare della chiesa, ad esempio nella festa di Santa Caterina, San Luigi di Francia, ecc., nelle chiese che sono rispettivamente dedicate a loro; nelle feste del patrono del luogo, vale a dire il Santo che è solennemente onorato come il protettore particolare di una parrocchia, una città, una diocesi, una provincia, per esempio alla festa di Sant’Anna, alle due feste di San Giuseppe; alla festa di un Santo di cui è custodita una reliquia emblematica; alle solenni Messe votive, celebrate per una causa grave e generale, su ordine o con il permesso del Vescovo. L’ottava è la continuazione della festa: se questa ha il Credo, ce l’ha anche l’ottava.

Per la seconda ragione, si dice che il Credo sia presente alle Messe di tutte le domeniche, perché la Domenica è soprattutto dedicata all’adorazione della Santissima Trinità; nelle Messe di Nostro Signore, ad esempio: del Preziosissimo Sangue, del Corpus Christi; dello Spirito Santo; della Beata Vergine; degli Angeli, a causa delle parole: Creatore del cielo … e cose invisibili; degli Apostoli, per via delle parole: credo nella Chiesa che è … apostolica; i due evangelisti Luca e Marco, che si collegano agli Apostoli, e Santa Maria Maddalena, che annunciò la risurrezione di Cristo agli Apostoli; del giorno di Ognissanti, della Dedicazione e del suo anniversario, per via delle parole: credo nella Chiesa che è una; dei Dottori della Chiesa, che hanno magistralmente esposto la dottrina del simbolo.

125 — Perché il Sacerdote fa un segno di croce terminando il Credo?

Un tempo i fedeli pronunciando le parole “la risurrezione dalla carne”, solevano mettere le mani sulla fronte per affermare con questo gesto che è nella loro carne che resusciteranno. In seguito questo gesto è stato prolungato nel segno di croce.

TERZA PARTE

La Messa dei fedeli

OFFERTA:

Offertorio

Offerta del pane

Miscela dell’acqua e del vino

Offerta del vino

Invocazione allo Spirito Santo

Lavaggio delle mani

Preghiera alla santa Trinità

Orate Fratres

Secreta

CONSACRAZIONE:

Prefazio

Sanctus

Canone

Te igitur

Memento dei vivi

Communicantes

Hanc igitur

Quam oblationem

Consacrazione del pane e del vino

Unde et memores

Supra quæ

Supplices

Memento dei morti

Nobis quoque peccatoribus

La conclusione del Canono

COMUNIONE

Pater

Libéra nos

Frazione del pane

Agnus Dei

Preghiera per la pace

Preghiere prima della Comunione

La Santa Comunione

Le abluzioni

L’Antifona della Comunione

Il Postcommunio

La Preghiera sul popolo

La dimissione dei fedeli

Il Placeat

La benedizione

L’ultimo Evangelio

Le preghiere dopo la Messa

CAPITOLO IV

126 — Come si divide la Messa dei fedeli?

La Messa dei fedeli è divisa in tre parti: offerta, consacrazione e comunione (preparazione e ringraziamento).

Questa divisione è indicata dalle sante parole che precedono la consacrazione del pane e del vino: “Egli prese il pane… e anche questo prezioso calice” (offerta); “rese grazie, benedisse” (consacrazione); “spezzò e diede” (comunione).

OFFERTA

127 — Qual è lo scopo dell’Offerta?

Attraverso le preghiere e le cerimonie dell’Offerta, i fedeli, prima di offrire il santo Sacrificio dell’altare, affidano al Sacerdote di Dio le loro intenzioni di offerta e di domanda.

1 — Offertorio

128 — Perché il Sacerdote dice il “Dominus vobiscum” dopo il Credo?

Il sacerdote dice Dominus vobiscum dopo il Credo, perché è lì che inizia la Messa dei fedeli. Il sacerdote saluta il gruppo dei battezzati che parteciperanno al Sacrificio della Messa e li invita alla preghiera con questa parola: oremus, preghiamo.

129 — Come si faceva un tempo l’offerta dei doni all’altare?

In passato, i presenti venivano in processione per offrire al sacerdote i doni per il sacrificio, – pane e vino, – o per il fabbisogno personale del celebrante, – pane, vino, latte, miele, – o per il servizio pubblico della Chiesa, – olio, candele, incenso e altri doni.

Ascoltare la Messa o offrire il proprio pane era allora tuttuno per i fedeli. Chi non si è offerto non doveva associarsi al Sacrificio del Vescovo o del Sacerdote. San Cipriano (= 258) rimprovera una donna ricca che, per avarizia, si è astenuta dall’offrire, ma non ha esitato a fare la comunione: “Osi – diceva – partecipare al sacrificio offerto da un povero”.

130 — Donde deriva l’antifona chiamata offertorio?

Fintanto che la durava cerimonia di offerta, due cori eseguivano un canto composto da un’antifona ed alcuni versi. Questo canto processionale, come l’introito, non aveva nulla a che fare con l’offerta fatta all’altare; esprimeva un’idea in linea con la solennità del giorno. Questo carattere è stato generalmente preservato abbreviandolo.

131— Quando oggi i fedeli fanno i loro doni per il santo sacrificio?

Per ragioni pratiche, i fedeli sostituirono le oblazioni in natura richieste per il santo sacrificio – pane e vino – con il loro equivalente in forma di monete o di altri valori materiali. Per le stesse ragioni, i fedeli provvedevano al mantenimento personale dei loro Sacerdoti e al servizio pubblico della Chiesa con contributi in denaro. Questa è l’origine degli onorari per le Messe, delle questue, ecc.

Sant’Epifanio (+ 403) cita il caso di un ebreo che era stato battezzato segretamente sul letto di morte dal Vescovo di Tiberiade e iniziato ai sacri misteri dell’Eucaristia. Terminata la cerimonia, consegnò al Vescovo una quantità d’oro molto importante e gli disse: “Offri per me”. Santa Matilde ( + 968), alla morte del marito, l’imperatore Enrico l’uccellatore, fu sorpresa dagli eventi. Al posto delle normali oblazioni, offrì al sacerdote due braccialetti d’oro, chiedendogli di celebrare la Messa per il defunto.

132 — Con quale spirito i fedeli devono fare le loro offerte?

La nostra vita è legata al nostro pane, chi si aliena il suo pane, dona la sua vita, si dona vivente, si dona da se stesso. Nel portare il pane e il vino all’altare, i fedeli non solo offrivano. ma si offrivano da se stessi con Cristo. Nonostante le nuove modalità, il rito dell’oblazione e il suo significato profondo rimangono ancora oggi. Offrendo oggi le loro monete, i fedeli continuano ad offrire se stessi. Quanto più santo sarà questo atto di oblazione, tanto più sarà gradito a Dio, tanto più agirà sul suo cuore, tanto meglio assicurerà l’abbondanza delle sue grazie, tanto più sarà fecondo.

2 — Offerta del pane

133 — Cosa fa il Sacerdote dopo aver letto l’offertorio?

Il Sacerdote scopre il calice, prende tra le mani la patena su cui poggia l’ostia, la solleva davanti ai suoi occhi, che guardano per un attimo la croce sull’altare e subito ritornano all’ostia; pronuncia la preghiera Suscipe, “Ricevi, Santo Padre” … poi pone l’ostia sul corporale, facendosi il segno della croce con la patena.

Preghiera:

Suscipe, sancte Pater, omnipotens ætérne Deus, hanc immaculátam hóstiam, quam ego indígnus fámulus tuus óffero tibi Deo meo vivo et vero, pro innumerabílibus peccátis, et offensiónibus, et neglegéntiis meis, et pro ómnibus circumstántibus, sed et pro ómnibus fidélibus christiánis vivis atque defúnctis: ut mihi, et illis profíciat ad salútem in vitam ætérnam. Amen.

[Accetta, Padre santo, onnipotente eterno Iddio, questa ostia immacolata, che io, indegno servo tuo, offro a Te Dio mio vivo e vero, per gli innumerevoli peccati, offese e negligenze mie, e per tutti i circostanti, come pure per tutti i fedeli cristiani vivi e defunti, affinché a me ed a loro torni di salvezza per la vita eterna. Amen.]

134 — Perché il pane disposto sulla patena si chiama ostia?

Il pane depositato sulla patena diventerà presto il corpo di Cristo, la vera vittima o ostia reale del sacrificio. Attraverso questo pane materiale, la Chiesa contempla già in anticipo la vittima immacolata, l’ostia immacolata, Cristo Gesù.

135 — Di qual tipo di pane ci si serve per il santo Sacrificio della Messa?

I primi Cristiani offrivano al Sacerdote il pane delle loro case, pane fermentato. A partire dal settimo secolo, si è cominciato a preferire sempre più il pane azzimo. Nell’XI secolo le chiese d’Occidente usavano il pane azzimo e quelle d’Oriente il pane fermentato. Il Concilio di Firenze (1439) dichiarò la perfetta legittimità dell’usanza stabilita. Oggi  « nella celebrazione della Messa il sacerdote deve, secondo il proprio rito, usare pane azzimo o fermentato ovunque si trovi ». Questa è la regola stabilita dal Codice di Diritto Canonico.

136 — Cosa simbolizza il pane senza lievito?

Il lievito rappresenta la malizia e la malvagità. Poiché il pane eucaristico è azzimo, per mangiarlo con dignità, bisogna togliere dal cuore ogni lievito di peccato.

137 — Perché il Sacerdote leva gli occhi al momento dell’offerta?

Quando compieva atti particolarmente solenni, Gesù alzava gli occhi al cielo: per esempio, alla risurrezione di Lazzaro, alla moltiplicazione dei pani. Il sacerdote imita questo gesto durante la Messa, prima dell’oblazione del calice, durante l’invocazione allo Spirito Santo, prima della preghiera alla Santissima Trinità e anche prima della consacrazione.

138 — A chi il Sacerdote indirizza la sua preghiera?

Come farà spesso alla Messa, qui il Sacerdote si rivolge soprattutto a Dio  Padre, in unione con il Salvatore che si immola Egli stesso sull’altare al suo Padre celeste.

139 — Per chi il Sacerdote offre  il Sacrificio?

Prima per se stesso, poi per tutti i presenti, e infine per tutti i Cristiani, vivi e morti.

È normale che gli offerenti – un tempo offrendo in natura, oggi con un’offerta pecuniaria – siano presenti al Sacrificio, poiché è il loro sacrificio. Possono essere materialmente assenti, ma anche in loro assenza sono veramente offerenti; il Sacerdote offre a Dio il sacrificio in loro favore e da parte loro.

140 — Perchè è offerto il santo Sacrificio?

Il santo Sacrificio è offerto per la remissione dei peccati e per la salvezza di tutti nella vita eterna.

La Messa è infatti un Sacrificio propiziatorio, cioè rende Dio propizio, clemente e misericordioso onde perdonarci le nostre miserie, i nostri peccati e così riconciliarci con Lui.

La salvezza è la totalità di tutti i beni portati da Gesù Cristo; possederli significa essere salvati. Per noi qui sulla terra inizia con la grazia e si consuma dopo la morte nella gloria.

3 — Mescolanza dell’acqua e del vino

141 — Cosa fa il Sacerdote dopo aver deposto l’ostia sul corporale?

Il sacerdote si reca al lato dell’Epistola e versa nel calice il vino e qualche goccia d’acqua.

“Il Santo Concilio (di Trento) avverte che la Chiesa impone ai Sacerdoti di mescolare l’acqua con il vino da offrire nel calice, sia perché Cristo Nostro Signore, si crede, lo abbia fatto, sia perché l’acqua sgorga dal suo fianco insieme al sangue; è questo mistero che viene commemorato da questa mescolanza; e come le acque nell’Apocalisse di San Giovanni significano i popoli, così è qui rappresentata l’unione del popolo fedele stesso con il suo capo, Cristo. (Conc. Trid. Sess. XXII, c. VII).

142 — Come la mescolanza dell’acqua al vino rapresenti la nostra unione al Cristo?

Come l’acqua mescolata al vino partecipa alla natura del vino e diventa in qualche modo il vino stesso, così per grazia partecipiamo alla natura divina e diventiamo in qualche modo Dio stesso. Il Sacerdote, attraverso la preghiera che recita in quel momento, chiede a Dio di concederci di essere partecipi della natura divina:

Preghiera:

Deus, qui humánæ substántiæ dignitátem mirabíliter condidísti, et mirabílius reformásti: da nobis per hujus aquæ et vini mystérium, ejus divinitátis esse consórtes, qui humanitátis nostræ fíeri dignátus est párticeps, Jesus Christus, Fílius tuus, Dóminus noster: Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus: per ómnia sæcula sæculórum. Amen

O Dio, che in modo meraviglioso creasti la nobile natura dell’uomo, e più meravigliosamente ancora l’hai riformata, concedici di diventare, mediante il mistero di quest’acqua e di questo vino, consorti della divinità di Colui che si degnò farsi partecipe della nostra umanità, Gesù Cristo tuo Figlio, Nostro Signore, che è Dio e vive e regna con Te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

143 — Quale è alla Messa la conseguenza dell’unione dei fedeli al Cristo?

Come Cristo, il capo del Corpo mistico della Chiesa, guida i suoi membri nella sua offerta, così i fedeli non sono più semplici trasgressori, sono veramente trasgressori. Ogni mattina, partecipando all’oblazione della Messa, versano nel calice del sacrificio di Cristo – come la piccola goccia d’acqua persa nel vino del calice – la somma dei sacrifici che la loro fedeltà alla sua legge richiede a ciascuno di loro, nel corso della giornata.

« Io sono – dice il Cardinale Mercier – la piccola goccia d’acqua che il vino della Messa assorbe, e il vino della Messa diventa il sangue dell’Uomo-Dio ». E il Dio-Uomo è sostanzialmente unito alla Santissima Trinità. La piccola goccia d’acqua viene portata nel fiume della vita della Santissima Trinità. Sarà mai abbastanza pura, abbastanza chiara, la piccola goccia d’acqua destinata a partecipare al santo Sacrificio della Messa?

144 — Perché il Sacerdote benedice l’acqua prima di mescolarla al vino?

L’acqua è l’immagine dei Cristiani, che hanno sempre bisogno di grazia e che traggono il massimo beneficio dalla loro unione con Gesù Cristo.

Nelle Messe dei Morti questa benedizione viene omessa. Tutte le cerimonie di questo ufficio hanno lo scopo di ottenere il maggior numero possibile di grazie per il defunto; pertanto, tutto ciò che può indicare il frutto che va ai presenti o ai vivi viene omesso.

4 — Offerta del vino

145 — Che fa il Sacerdote dopo aver mescolato l’acqua al vino?

Il sacerdote ritorna al centro dell’altare, solleva il calice per presentarlo a Dio e allo stesso tempo recita la preghiera: Offerimus,

Preghiera:

Offérimus tibi, Dómine, cálicem salutáris, tuam deprecántes cleméntiam: ut in conspéctu divínæ majestátis tuæ, pro nostra et totíus mundi salute, cum odóre suavitátis ascéndat. Amen.

[Ti offriamo, o Signore, questo calice di salvezza, e scongiuriamo la tua clemenza, affinché esso salga come odore soave al cospetto della tua divina maestà, per la salvezza nostra e del mondo intero. Così sia.]

146 — Perché il Sacerdote dice questa preghiera al plurale?

Il sacerdote è l’ambasciatore della Chiesa all’altare; perciò egli offre a nome di tutti i fedeli, e questi, specialmente gli assistenti, offrono in unione con il Sacerdote. Con il loro Amen, fanno proprie in qualche modo le parole del sacerdote.

Ci riuniamo in comune – dice San Cipriano – e celebriamo i sacrifici divini con il Sacerdote di Dio. San Paolo ha già scritto (1 Cor., X, 16): « Il calice di benedizione che noi benediciamo », cioè che consacriamo. Con queste parole si intendono i fedeli presenti al Sacrificio.

147 — Perché il Sacerdote chiama il vino offerto a Dio il calice della salvezza?

Presto questo vino sarà trasformato nel sangue di Nostro Signore; questo sangue è stato versato per la nostra salvezza e per la salvezza del mondo intero. È per noi uomini e per la nostra salvezza che il Verbo è sceso dai cieli, come cantiamo nel Credo.

148 — Spiegate l’espressione “salire come un profumo soave”.

Questa espressione allude agli antichi sacrifici, come quelli di Abele. Si bruciava allora una vittima e, vedendo il fumo salire verso il cielo, si stimava che Dio accettasse questo sacrificio odorando con soddisfazione il fumo odoroso.

149 — Quali disposizioni devono avere il Sacerdote ed i fedeli offrendo il santo Sacrificio?

Queste disposizioni sono riassunte nella preghiera che il sacerdote recita con le mani giunte e poste sul bordo dell’altare:

Preghiera:

In spíritu humilitátis et in ánimo contríto suscipiámur a te, Dómine: et sic fiat sacrifícium nostrum in conspéctu tuo hódie, ut pláceat tibi, Dómine Deus.

[Con spirito di umiltà e con animo contrito, possiamo noi, o Signore, esserti accetti, e il nostro sacrificio si compia oggi alla tua presenza in modo da piacere a Te, o Signore Dio.]

150 — Qual è il senso di questa preghiera?

Questa preghiera si trova per la prima volta sulle labbra dei tre giovani israeliti nella fornace di Babilonia. Poiché questi giovani non potevano più offrire a Dio i sacrifici prescritti dalla Legge, si sono offerti come vittime espiatrici, per ottenere misericordia per i loro peccati e per quelli del popolo. Seguendo il loro esempio, in spirito di umiltà e con cuore contrito, dobbiamo offrirci a Dio come olocausti graditi al Signore. Queste sono le migliori disposizioni che possiamo portare all’altare.

151 — Perché questa espressione “Possiamo esserti accetti”?

Le oblazioni – pane e vino – rappresentano gli offerenti stessi, il Sacerdote e i fedeli, esseri imperfetti che devono quindi presentarsi al Signore battendosi il petto.

5 — L’invocazione allo Spirito-Santo

152 — Quale rubrica osserva il Sacerdote recitando la preghiera allo Spirito-Santo?

Il sacerdote, in piedi, alzando e tendendo le mani, inizia l’invocazione allo Spirito Santo, poi, con le parole benedice questo sacrificio, fa il segno della croce sia sull’ostia che sul calice.

Preghiera:

Veni, sanctificátor omnípotens ætérne Deus: et bene dic hoc sacrifícium, tuo sancto nómini præparátum.

[Vieni, Onnipotente Santificatore, Dio Eterno, benedici questo sacrificio preparato per la gloria del tuo Santo Nome.]

153 — Perché questa invocazione allo Spirito Santo?

La liturgia unisce a più riprese i misteri dell’Incarnazione e dell’Eucaristia. Pur essendo prodotte dalla potenza divina delle tre Persone, tuttavia, come opere d’amore, l’Incarnazione e la consacrazione sono attribuite soprattutto allo Spirito Santo. La benedizione a cui si fa riferimento in questa preghiera è la consacrazione.

Senza sosta, la Chiesa tiene gli occhi fissi sulla transubstanziazione delle Oblate, sul corpo e sul sangue di Gesù Cristo. È attraverso la consacrazione e per essa che tutte queste cerimonie preparatorie di offerta hanno il loro significato.

154 — Perché il Sacerdote traccia un segno di croce sui doni deposti sull’altare?

Questo segno della croce rappresenta la benedizione dello Spirito Santo, che viene implorato sui doni offerti; l’alzare gli occhi, che lo precede, e il movimento delle mani mostrano il forte desiderio della discesa dello Spirito Santo e delle sue benedizioni.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/04/17/tutta-la-messa-lunica-vera-cattolica-romana-momento-per-momento-5/

SALMI BIBLICI: “LEVAVI OCULOS MEOS IN MONTES” (CXX)

SALMO 120: “LEVAVI OCULOS MEOS in montes”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 120

Canticum graduum.

[1] Levavi oculos meos in montes,

unde veniet auxilium mihi.

[2] Auxilium meum a Domino, qui fecit cœlum et terram.

[3] Non det in commotionem pedem tuum, neque dormitet qui custodit te.

[4] Ecce non dormitabit neque dormiet qui custodit Israel.

[5] Dominus custodit te, Dominus protectio tua super manum dexteram tuam.

[6] Per diem sol non uret te, neque luna per noctem.

[7] Dominus custodit te ab omni malo; custodiat animam tuam Dominus.

[8] Dominus custodiat introitum tuum et exitum tuum, ex hoc nunc et usque in sæculum.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXX.

Consola il Salmo i pellegrini che ascendono verso la Gerusalemme celeste, promettendo loro la perpetua custodia di Dio. Parla il profeta dapprima in persona del pellegrino, poi in persona propria, a consolar il pellegrino

Cantico dei gradi.

1. Alzai gli occhi miei verso dei monti, donde verrà a me soccorso?

2. Il mio aiuto vien dal Signore, che fece il cielo e la terra.

3. Non permetta egli che vacilli il tuo piede e non assonni colui che è tuo custode.

4. Ecco che non assonnerà, né dormirà colui che custodisce Israele.

5. Il Signore ti custodisce; il Signore è tua difesa al tuo destro fianco.

6. Non ti brucerà il sole di giorno, né la luna di notte.

7. Il Signore ti custodisce da ogni male; custodisca il Signore l’anima tua.

8. Il Signore ti custodisca all’entrare e all’uscire, da questo punto e per sempre.

Sommario analitico

Il salmista personifica qui i pellegrini di Gerusalemme affrancati dai legami dell’esilio, il popolo cristiano entrato nella via della salvezza, e la Chiesa trionfante nella Gerusalemme celeste.

I. – Egli dichiara che mette tutta la sua speranza in Dio:

1° Con l’elevazione dei suoi occhi verso il cielo (1),

2° con la fede del suo cuore nella potenza di Dio 82).

II. – Mostra che ha ottenuto da Dio tutto ciò che è necessario al viaggiatore:

1° È necessario al viaggiatore che il suo piede non traballi; è il vantaggio che gli procura la vigilante sollecitudine di Dio, fedele guardiano suo e di tutto il popolo di Israele (3, 4);

2° la mano del viaggiatore deve raffermarsi appoggiandosi su di un sostegno; è ancora ciò che fa Dio coprendola con la sua ombra protettrice (5);

3° occorre difendere il proprio corpo dagli ardori del sole e dal freddo della notte: « Il sole non vi brucerà, etc. » (6);

4° bisogna che la propria vita sia protetta da ogni danni: « Dio lo preserva da ogni pericolo. »  

5° bisogna arrivare al termine del viaggio, alla patria, al riposo eterno: « Che il Signore custodisca la vostra via. » (8).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-2.

ff. 1, 2. – Se le sofferenze della cattività hanno reso migliori i Giudei, e fatto loro alzare gli sguardi al cielo, malgrado le loro grossolane inclinazioni ed il loro attaccamento alla terra. Ma è giusto che imitiamo la loro condotta, ricorrendo a Dio in mezzo ai nostri guai, noi che siamo tenuti ad una più grande perfezione? Essi erano allora in mezzo ai loro nemici, senza città, senza fortezze, senza alcun soccorso umano, senza denaro, senza alcuna risorsa; essi vivevano come prigionieri, come schiavi in mezzo ai loro padroni e loro nemici. È allora, che schiacciati sotto i piedi dei loro infortuni, riconoscevano la mano invincibile di Dio e che, privi di ogni soccorso umano, trovavano in questo universale abbandono un motivo per elevarsi alla più alta saggezza. Ecco ciò che loro dettava questa preghiera. Tutto ciò che possiamo attendere dagli uomini svanisce, tutto ci manca, tutto ci sfugge, non abbiamo che un’unica speranza: quella che viene da Dio (S. Chrys.). – Tale è la natura dello spirito umano, se assorbito nel pensiero, nella contemplazione di un oggetto qualunque: questo oggetto ci appare sotto la forma che il nostro pensiero gli ha dato. Così, in un giorno d’inverno, se pensiamo alla primavera ed il nostro pensiero si rappresenta tutti i suoi ricchi ornamenti, dimentichiamo la stagione rigorosa che fa tremare dal freddo, per non pensare che alla primavera con tutte le magnificenze che con sé comporta. È  in questo che gli occhi dello spirito hanno un vantaggio sugli occhi del corpo, perché ci fanno dimenticare le cose presenti, per assorbirci interamente nel pensiero delle cose passate o future. Il Profeta leva dunque gli occhi verso le montagne. Quali occhi? Gli occhi dei quali egli dice: « Togliete il velo che copre i miei occhi, perché io consideri le meraviglie della vostra legge » (Ps. CXVIII, 9), ed ancora: « Il precetto del Signore è luminoso, rischiara gli occhi. » (Ps. XVIII, 9). Gli occhi del nostro corpo non sono stati disposti come illuminati da una luce corporea per vedere gli oggetti esteriori? Qual bisogno di togliere il velo che li copre? … Sono dunque gli occhi dello spirito che il Profeta eleva verso i monti (S. Hil.). – Un viaggiatore leva continuamente gli occhi verso il luogo verso il quale è diretto, per vedere se potrà scorgerlo, o verso le montagne che sono vicine. Questo sguarda allevia la sua fatica e gli dà nuova forza per completare il suo viaggio. Il cielo deve essere l’oggetto continuo dello sguardo del Cristiano durante il pellegrinaggio di questa vita, ed è da li che deve attendere tutto il suo soccorso. (Duguet). – Nel linguaggio della Scrittura, la montagna, presa al singolare, figura abitualmente Gesù-Cristo o la Chiesa, mentre le montagne, quando nominate al plurale, sono piuttosto l’emblema delle creature più elevate nell’ordine della religione, come gli Angeli, gli Apostoli, i Profeti, i predicatori, etc. (S. Greg., S Agost.). – Queste montagne sono quelle delle quali è descritto che sono illuminate da Dio; Dio le illumina perché dall’alto delle loro cime, la luce scenda fino al fondo della valle. È attraverso di loro che effettivamente ci arriva la divina parola, quando ci viene dal ministero dei Profeti o degli Apostoli. – Ma non è in esse che termina la nostra speranza, esse ci soccorrono quando Dio viene dapprima in loro aiuto, ed esse non si illuminano se non quando Dio invia loro per primo la sua luce, ed è per questo che il salmista, dopo aver detto: « Io ho alzato gli occhi verso i monti, da dove mi verrà il soccorso, » subito si appresta a dire: « Il mio soccorso viene da Dio che ha creato cielo e terra. » (S. Agos.). – Ecco il ragionamento che racchiudono queste parole: se Dio ha fatto il cielo e la terra, può venir dunque in nostro aiuto in terra straniera, e fin in questi paesi barbari, può tenderci una mano in soccorso e salvare dei poveri esiliati. Una sola parola gli è sufficiente per creare gli elementi, Egli potrà dunque a maggior ragione, liberarci da questo popolo che ci tiene prigionieri. (S. Chrys.). – Si è dappertutto nel territorio che appartiene a Dio, si è dappertutto sotto I suoi occhi e sotto la sua protezione, ed è una malattia del nostro spirito legare il nostro benessere ad un clima piuttosto che ad un altro (Berthier).

II. — 3-8.

 ff. 3, 4. – Il Profeta sviluppa nel prosieguo del salmo qual sia questo soccorso che attende da Dio, e qual sia l’oggetto della sua speranza: 1° Dio non permetterà che la sua volontà, che è come il piede dell’anima, sia lacerata, che essa cada per una caduta mortale. – Il piede è una parte, un membro del corpo che porta il corpo ovunque debba agire. E come la Chiesa si serve di cose corporali e visibili per insegnare cose spirituali ed invisibili, sotto il nome di piede essa intende i movimenti della nostra anima, che sono come i piedi dell’anima … che hanno in se stessi sia la vista dell’intelligenza, sia la determinazione della volontà … Ora, non cerchiamo di intendere queste parole in questo senso: che Dio ci consegni ai vizi nei quali introdurremo i piedi di un’anima corrotta. Non è Lui che ci introduce e ci abbandona, siamo noi che ci separiamo da Lui con il peccato, e che cadiamo allora nei precipizi e negli abissi di tutti i crimini. (S. Hil.). – Si vorrebbero avere nel mondo dei protettori che non fossero soggetti né a dimenticare, né a perderci, che fossero sempre attenti ai nostri interessi e che la morte non possa prenderli. Questo è impossibile; così siamo tutti ingannati in ogni istante nelle nostre speranze. Il Profeta dà al suo popolo un protettore sempre attento e sempre sussistente: è Dio, il Padre di tutti gli uomini, e l’Essere immortale; è Lui che custodisce il vero Israele, cioè l’uomo rivestito dalla forza di Dio (Berthier). – Dal momento che dimoriamo con Dio e che Dio dimora in noi, abbiamo un guardiano dei più vigilanti ed un appoggio che non si stanca mai. Ma se noi veniamo ad addormentarci con l’intiepidire della fede, si addormenta anche Egli stesso in noi. Non è che il sonno né il riposo possano esistere in questa Potenza eterna, di cui gli Angeli mantengono questa vigilanza conforme al loro nome ed alla loro natura … ma, a seconda che la nostra fede vegli o dorma, il soccorso di Dio veglia in nostro favore o cade nel sonno (S. Hil.). – Dio veglia continuamente su di noi, e la conoscenza che ha di noi e dei nostri bisogni non è una conoscenza semplicemente abituale che si possa comparare alla disposizione di un uomo a metà addormentato, ma una conoscenza sempre attuale. (S. Tommaso, – lib. I cont. Gent. 56). – Non temiamo quindi da Lui né abbandono, né isolamento, Egli non vi lascerà alla mercé dei vostri nemici. È questo punto che vuole insegnarci quando aggiunge: « Colui che custodisce Israele? » Che significano queste parole? Se dopo tanti secoli e dai tempi dei vostri ancestri, tutto il suo oggetto è stato il vegliare alla vostra sicurezza, non temete di vederlo mai mancare a questo dovere. (S. Chrys.).  

ff. 5, 6. – 2° Non soltanto Dio non vi abbandonerà, ma vi assicura una protezione che vi metterà al riparo da ogni pericolo: Egli sarà vostro difensore, vostro alleato, vostro soccorso. Notate che Dio esige ancora i vostri sforzi. Prendendo a prestito questa figura dai combattenti, il Salmista vi rappresenta Dio che si tiene alla vostra destra per rendervi invincibile, raddoppiare la vostra azione, la vostra forza, la vostra potenza, assicurarvi la vittoria e farvi riportare uno splendido trionfo, perché la mano destra è lo strumento di tutte le azioni incisive che noi facciamo. Non contenti di difendervi e portarvi soccorso, vi coprirà ancora con la sua protezione (S. Chrys.). – « Il sole non vi brucerà durante il giorno, né la luna durante la notte. » 3° Giorno della prosperità e notte dell’avversità di cui si è ugualmente bruciati, ci si acceca nella prosperità, come ci si abbatte nell’estremo dell’infortunio; ma come sottolineano i santi, è più facile soffrire l’avversità senza lasciarsi abbattere che avere prosperità senza lasciarsi corrompere (Dug.). – Coloro che si consacrano al servizio di Dio devono combattere due tipi di nemici: la fuga dalle loro passioni e l’inerzia della loro tiepidezza. È difficile dire quale di essi sia più pericoloso. Le passioni possono generare grandi traversie, e la tiepidezza può arrestare il progresso delle virtù più grandi (Berthier).

ff. 7, 8. – 4° Il potere dei principi e dei re, anche i più potenti, è estremamente limitato. Se hanno talvolta qualche potere di liberare altri uomini, questo potere non si intende che per qualche male particolare, come la fame, la calunnia, la vessazione, l’infamia, la violenza. Gli uomini vi liberano da una prova, ma non possono salvarvi da un’altra, oppure se possono, non lo vogliono. Non c’è che l’Onnipotente che abbia il potere di preservare i sensi da ogni male, e quando permette che siano afflitti da qualche male, Egli li preserva, se sono veramente fedeli, dal turbamento e dall’amarezza che ne sarebbero il seguito. Egli fa ancora di più: custodisce letteralmente la nostra anima, contro la quale soprattutto si scatena il demonio, e gli dà la forza di sopportare questi mali, ed anche di amarli e preferirli alle delizie della terra; Egli la protegge da ogni male, principalmente dai più grandi, che è poi il solo male propriamente detto, cioè il peccato. « Voi siete custoditi, diceva l’Apostolo San Pietro (I Piet. V. 1, 5), dalla virtù di Dio, e a causa della vostra fede, dalla salvezza che vi sarà manifestata negli ultimi tempi. » (S. Chrys., Dug., Berthier). – .5° Le espressioni di cui si serve il Salmista si estendono a tutta la vita, per cui i due termini abbracciano l’entrata e l’uscita; e per esprimere più chiaramente questa verità, egli aggiunge. « Ora e per sempre. » Egli non vi custodirà solo uno, due, tre, venti o cento giorni, ma per sempre. Questa perseveranza non si riscontra negli uomini, soggetti a tanti ritorni, a tante vicissitudini, Colui che è sempre vostro amico, diviene domani vostro nemico, e colui che vi presta soccorso in questo momento, vi abbandona l’istante successivo, e si dichiara contro di voi; ma al contrario, i doni di Dio sono immutabili, senza interruzione, immortali, stabili, e non hanno limite che nell’eternità. (S. Chrys.). –  Dio ci protegge all’inizio ed alla fine delle nostre azioni, quando entriamo nell’occupazione alla quale la sua Provvidenza ci chiama, e quando ne usciamo, alla fine della nostra vita. (Dug.). – Questa guardia fedele non è limitata ai tempi presenti e non è durante questa vita che possiamo sperare di essere interamente al riparo dal calore del giorno e dal freddo della notte, come pure di essere preservati da ogni male; ma è una grazia riservata al secolo futuro … il Signore proteggerà dunque la nostra uscita, quando lasciando il nostro corpo, andremo a riposarci nel seno di Abramo, separati dagli empi da un caos insormontabile. Il Signore proteggerà la nostra entrata, introducendoci nell’eterno e felice reame, Egli che ha detto: « Io sono la porta. » (Giov. X, 7) e: « Nessuno va al Padre, se non per me. » (Giov. XIV, 6). – Non c’è una gradazione evidente nei versetti di questo salmo. Il Profeta dice che Dio custodisce il suo popolo, perché non abbia più cadute; che lo custodisce perché stia al riparo dalle insidie dei suoi nemici; che lo custodisce perché non sia esposto né al calore del giorno, né al freddo della notte; che lo  custodisce perché sia preservato da ogni male ed anche da ogni peccato, perché custodisce la sua anima; è l’oggetto del 7° versetto; Egli lo custodisce nel corso della sua vita; infine che lo custodisce sempre, sia nel tempo, che per l’eternità (Berthier).

TUTTA LA MESSA (L’UNICA “VERA” CATTOLICA ROMANA) MOMENTO PER MOMENTO (3)

TUTTA LA MESSA MOMENTO PER MOMENTO (3)

[Aldéric BEAÜLAÇ, p. S. S.

Vicario & subdiacono (Montréal)

“TOUTE LA MESSE

Par questions et réponses”

TUTTA LA MESSA in Domande e risposte

(Nouvelle édition revue et corrigée)

3425, RUE ST-DENIS MONTREAL

Cum permissu Superioris,

EUGENE MOREAU, p.s.s.

Nihil obstat’.

AUGUSTE FERLAND, p.s.s.

censor deputatus

Marianopoli, die 28a martii 1943

Imprimi potest’.

ALBERT VALOIS, V. G.

Marianopoli, die 28a martii 1943

7 — L’Introito

63 — Cosa fa il Sacerdote dopo aver baciato l’altare nella direzione ove si trovano le reliquie?

Il Sacerdote, dopo aver baciato l’altare in direzione delle reliquie, va al lato dell’Epistola per leggere l’introito.

64 — Cosa significa la parola Introito?

La parola introito significa entrata; l’introito era un tempo un canto processionale che veniva eseguito mentre il Sacerdote si avvicinava all’altare.

65— Di quanti parti si compone l’introito?

L’Introito è composto da quattro parti: l’antifona, il versetto, la dossologia o Gloria Patri, l’antifona.

Nella formula normale e probabilmente la più antica, l’antifona è presa in prestito da un salmo, e il versetto che segue è il primo del salmo stesso. Spesso il testo dell’antifona è fornito da un passo biblico adattato, e talvolta da altre composizioni. Così, nella domenica di Quasimodo, l’antifona è tratta dalla prima epistola di San Pietro e dal versetto del Salmo LXXX.

66 — Qual è lo scopo dell’Introito?

L’Introito annuncia e commenta brevemente il mistero o la festa che il Santo Sacrificio solennizza. A volte esprime gioia o dolore, altre volte speranza o gratitudine, oppure è un pianto dolorosa o una preghiera, – I nostri antenati vivevano nella fede così uniti alla Chiesa nella celebrazione del suo culto, che chiamavano le domeniche come l’antifona degli Introiti. Si dice infatti: la domenica “Gaudete”, le domeniche “Lætare”, “Quasimodo”; si dice anche la Messa votiva “Rorate” della Beata Vergine, la Messa di Requiem”.

Notiamo qui l’espressione: “Noi ti rendiamo grazie per la tua grande gloria”, La Chiesa non dice: ti ringraziamo per le tue benedizioni e le tue misericordie. Essa usa un modo di dire molto più bello e profondo, dicendo: “Vi ringraziamo per la vostra grande gloria”. Questo modo di parlare esprime l’amore più puro dell’autoindulgenza, un amore che dimentica se stesso, non pensa al proprio vantaggio, ma solo alla gloria del suo amato Signore.

67 — Perché il Sacerdote fa il segno della croce cominciando la lettura dell’introito?

L’Introito costituisce veramente l’inizio del fatto liturgico per eccellenza: la Santa Messa. È abitudine dei Cristiani segnarsi prima degli atti importanti.

68 — Perché il Sacerote fa il segno della croce sul Messale alla Messa da requiem?

Alla Messa dei morti, le prime parole dell’Introito si applicano in modo molto speciale ai morti. È per loro che il Sacerdote, attraverso il frutto del suo Sacrificio, chiede il riposo eterno e la luce infinita. Invece di segnare se stesso per attribuirsi questa benedizione, segna il Messale e attribuisce la benedizione al defunto.

8 — Le Kyrie

69 — Che significa l’invocazione Kyrie eleison?

Questa invocazione, Kyrie eleison, composta da due parole greche, significa: Signore, abbiate pietà di noi.

70Quali suppliche richiama il Kyrie eleison?

Il Kyrie eleison ricorda le suppliche del cieco di Gerico, della donna Cananea, dei dieci lebbrosi.

71 — Perché si dice il Kyrie eleison in greco?

In passato, in Oriente, all’inizio della Messa, il diacono raccomandava ai fedeli i bisogni della Chiesa, dei Vescovi, dei Sacerdoti, dei Cristiani, dei catecumeni, dei malati, ecc… Ad ognuna di queste richieste, i fedeli rispondevano nella loro lingua: Kyrie eleison, Signore, abbi pietà di noi. Queste parole, che si ripetono frequentemente, sono diventate popolari e sono state accettate così com’erano dalla Chiesa latina senza preoccuparsi di tradurle.

La liturgia ha anche le espressioni ebraiche Amen, Alleluta, Sabaoth, Osanna: così troviamo nella Messa le tre lingue che, già sulla croce, proclamavano al mondo la regalità di Gesù Cristo (Giovanni, XIX, 20).

72 — A chi viene indirizzata l’invocazione Kyrie eleison?

I primi tre Kyrie sono rivolti a Dio Padre, i tre Christe a Dio Figlio, gli ultimi tre Kyrie a Dio Spirito Santo.

9 — Il Gloria

Gloria
Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex coeléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

[Gloria a Dio nell’alto dei cieli. E pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi Ti lodiamo. Ti benediciamo. Ti adoriamo. Ti glorifichiamo. Ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa. Signore Iddio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. Signore, Figlio unigenito, Gesù Cristo. Signore Iddio, Agnello di Dio, Figlio del Padre. Tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi. Tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica. Tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. Poiché Tu solo il Santo. Tu solo il Signore. Tu solo l’Altissimo, Gesù Cristo. Con lo Spirito Santo ✠ nella gloria di Dio Padre. Amen.]

73 — Quando sono state pronunciate per la prima volta le parole “Gloria in excelsis”?

Queste parole: « Gloria in excelsis » sono state pronunciate per la prima volta dagli Angeli che annunciano ai pastori la nascita di Gesù a Betlemme. Per questo motivo si chiama Inno degli Angeli.

74 — Quante parti si distinguono nel Gloria?

Nel Gloria si possono distinguere tre parti: la prima è a gloria del Padre, la seconda è una supplica al Figlio, la terza è rivolta allo Spirito Santo.

75 — Mostrate come il Gloria esprima i quattro fini del santo Sacrificio della Messa.

Il Santo Sacrificio della Messa è offerto per:

glorificare Dio (adorazione) – « Noi vi lodiamo, vi benediciamo, vi adoriamo »;

ringraziarlo (ringraziamento) – « Noi vi rendiamo grazie »;

espiare i peccati degli uomini (propiziazione) – « Voi che cancellate il peccato del mondo, abbiate pietà di noi »;

ottenere grazie (impetrazione) – « Accettate la nostra preghiera ».

[Notiamo qui l’espressione: « Noi ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa » – La Chiesa non dice: ti ringraziamo per le tue benedizioni e le tue misericordie. Essa usa un modo di dire molto più bello e profondo, dicendo: “Vi ringraziamo per la vostra gloria immensa”. Questo modo di parlare esprime l’amore più puro dell’indulgenza, un amore che dimentica se stesso, non pensa al proprio vantaggio, ma solo alla gloria del suo amato Signore.]

76 — In quali Messe è omesso il  Gloria e perché?

Il Gloria è un inno di gioia. Viene quindi soppresso nei giorni di lutto e di digiuno: nelle Messe per i defunti, nei giorni di Avvento e di Quaresima, e nella veglia di alcune feste.

Ecco la regola da seguire: ogni volta che il Te Deum viene recitato la mattina dell’ufficio quotidiano, il Gloria viene detto alla Messa in accordo con quell’ufficio; quando il Te Deum viene omesso dall’ufficio, viene omesso anche il Gloria. Ci sono due eccezioni: il Giovedì Santo e il Sabato Santo, dove si dice il Gloria nella Messa, anche se il Te Deum viene omesso dall’Ufficio, perché la Messa di questi due giorni ha un carattere gioioso che contrasta con la tristezza che regna nell’Ufficio.

Il Gloria non si dice nelle Messe votive, se non in quella della Beata Vergine, il sabato, in quella degli Angeli, e nella solenne Messa votiva per un serio interesse.

CAPITOLO III – ISTRUZIONI

77 — Qual è lo scopo dell’Instruzione?

Le preghiere, gli inni e le lezioni di cui si compone l’Istruzione hanno come scopo principale l’illuminazione dello spirito: servono a risvegliare la fede e ad accendere la devozione, affinché il sacerdote e i presenti siano preparati per il grande atto che deve essere compiuto sull’altare.

1 — Colletta e orazione

78  Perché il Sacerdote dice il Dominus vobiscum dopo il Gloria?

Finito il Gloria, il Sacerdote dice il Dominus vobiscum per invitare al raccoglimento il popolo in nome del quale va a pregare.

79 — Qual è il senso della parola colletta?

La parola “colletta” un tempo si usava per designare gli incontri dei fedeli per la preghiera, e soprattutto per la celebrazione della Santa Eucaristia. L’invito a pregare “Oremus”, [preghiamo], era immediatamente seguito dall’enumerazione di varie intenzioni. Il diacono diceva dopo ognuna di esse: “inginocchiamoci”, e l’assemblea pregava in ginocchio con queste intenzioni fino al momento in cui si diceva “levate”, cioè alzatevi in piedi. Il Sacerdote cantava poi una preghiera che riassumeva le preghiere dette in silenzio dai presenti. Il nome di “colletta”, che dapprima designava gli assistenti, ha ben presto designato la preghiera fatta a nome degli assistenti.

80 — Il Sacerdote può recitare più di una colletta

Nelle grandi feste, il Sacerdote dice una sola colletta. Nelle feste minori, il sacerdote può dirne diverse. Queste orazioni aggiunte alla prima, sono o memoriali di Santi la cui festa coincide con quella del giorno, o delle preghiere devozionali che il Sacerdote può aggiungere quando le rubriche glielo permettono, o un’orazione speciale ordinata dal Vescovo della diocesi per una particolare necessità.

81 — Da quante parti è composta la colletta?

La colletta è composta da quattro parti: l’elevazione dell’anima a Dio, il ringraziamento o la glorificazione, la petizione e la conclusione.

a) La preghiera è un’elevazione dell’anima a Dio.

b) Glorifichiamo Dio: o per i suoi attributi, o per i privilegi che ha concesso ai Santi, o per il mistero che celebriamo.

c) Dopo aver spiegato le ragioni della nostra fiducia e il motivo per cui ci rivolgiamo a Dio in un determinato giorno, chiediamo un favore che corrisponda alle qualità così sottolineate.

Questa parte centrale della colletta è di solito introdotta dalle parole: “concedete, accordate, proteggete, noi vi domandiamo”, etc…

d) Infine, poiché è Gesù Cristo il grande intermediario tra Dio e gli uomini, il Sacerdote termina la sua preghiera affidandosi ai meriti di Gesù Cristo per ottenere la grazia richiesta.

Tutte le collette contengono queste quattro parti. Per esempio, la preghiera della Domenica delle Palme:

a) Dio onnipotente ed eterno,

b) che, per dare al genere umano un modello di umiltà, avete voluto che il nostro Salvatore si rivestisse della nostra carne e si sottomettesse al tormento della croce;

c) concedeteci, nella vostra bontà, di meritare che riteniamo la lezione della sua pazienza e di partecipare alla sua risurrezione.

d) dallo stesso Nostro Signore Gesù Cristo. Così sia.

82 — Perché il Sacerdote stende le mani durante la colletta?

Questo rito risale a tempi antichi. Anche prima del Cristianesimo, gli Ebrei e i gentili alzavano le mani al cielo per pregare. Sant’Agostino esorta i fedeli a riprodurre, pregando, il segno di Cristo sulla croce.

83— Quale rubrica osserva il Sacerdote nel terminanre la colletta?

Al termine della colletta, il Sacerdote unisce le mani e si inchina al crocifisso dell’altare.

84 — Perché i fedeli rispondono “amen” alla fine della colletta?

I fedeli rispondono “amen” alla fine della colletta per unirsi alla preghiera che il Sacerdote ha fatto per loro.

2 — Epistola

85 — Quale preghiera fa il Sacerdote dopo aver letto o cantato le orazioni?

Dopo aver letto o cantato le orazioni, il Sacerdote, ponendo le mani sulla base del messale, legge l’epistola. E il servente risponde Deo gratias.

In passato, il chierico incaricato di questo ufficio leggeva gli scritti degli Apostoli e dei Profeti fino a quando la cerimonia lo consentiva, riprendendo da dove si era interrotto la domenica precedente. Per fermare la lettura, chi presiedeva diceva Deo Gratias.

86 — Perché il Sacerdote mette le mani sul messale leggendo l’Epistola?

Il sacerdote pone le mani sul messale mentre legge l’Epistola, per imitare il suddiacono che, durante le Messe solenni, tiene il libro tra le sue mani durante questa lettura.

87 — Donde viene questo nome di Epistola?

I primi Cristiani, riuniti per l’offerta del Sacrificio, leggevano i Libri Sacri. Questa lettura era presa dall’Antico Testamento, secondo l’usanza delle sinagoghe ebraiche, e anche dal Nuovo Testamento, di solito dalle Epistole degli Apostoli, specialmente da quelle di San Paolo. Da qui l’abitudine di chiamare questa lettura Epistola, anche quando è presa dagli Atti degli Apostoli o dall’Antico Testamento.

88— Perchè questi Cristiani leggevano di preferenza le Epistole degli Apostoli?

I primi Cristiani furono Ebrei o Gentili recentemente convertiti dagli Apostoli. Le Epistole loro rivolte dagli Apostoli continuavano l’insegnamento già ricevuto e correggevano gli errori di interpretazione delle loro parole. Così San Paolo raccomanda ai Tessalonicesi, « a tutti i santi fratelli », di leggere la sua lettera.

89— Quali sono gli Apostoli che hanno scritto delle Epistole?

San Pietro, San Giovanni, San Paolo, San Giuda e San Giacomo.

90— Quali parole introducono la lettura dell’Epistola?

L’epistola si intitola lectio, cioè lettura. Le parole Fratres, fratelli miei, e Carissimi, miei cari, ricordano in quali termini San Paolo e gli altri Apostoli si rivolgevano ai loro fedeli.

L’attuale Messale contiene 135 diverse letture dell’Antico Testamento di cui 25 tratte da Isaia; 106 letture dalle Epistole di San Paolo; 22 dal Libro degli Atti; 12 dalle due epistole di San Pietro; 12 dall’Apocalisse.

91 — L’epistola comprende diverse letture?

L’epistola di solito ha una sola lettura. In alcune Messe, come nei quatuor Tempora, ci sono diverse letture.

92 — Che significa la formula Deo gratias?

La formula Deo gratias significa: rendere grazie a Dio; è un’espressione di gratitudine al Signore, Autore di ogni bene. Gesù, fonte di grazia e di santità, è anche la fonte di luce e di verità. È doveroso ringraziarlo per gli insegnamenti che elargisce mediante la bocca dei suoi inviati.

3 — Graduale, Alleluia, Tratto, Sequenza

93 — Quali preghiere dice il Sacerdote dopo l’epistola?

Dopo l’Epistola. Il Sacerdote dice il Graduale e l’Alleluia.

94 — Di quante parti si compone il Graduale?

Il Graduale è composto da due parti, un responsoriale e un versetto preso dai salmi. In passato, dopo la lettura dell’epistola, un cantore cantava un salmo e il coro rispondeva: la parte del cantore era chiamata responsorio, la parte del coro versetto.

Il cantore che intonava il salmo stava su un grado dell’ambone, cioè il pulpito, dove si leggeva l’epistola. Dalla parola latina gradus, che significa gradino, è nata la parola Graduale per designare il canto un tempo eseguito sul gradino dell’ambone.

95 — Che significa la parola Alléluia?

La parola Alleluia significa: lodate il Signore.

96 — L’Alleluia si dice in tutte le Messe?

L’Alléluia è un canto gioioso: lo si sopprime in Quaresima, nelle Messe dei morti, e nei giorni di penitenza.

97 — Cosa si chiama Tratto?

Il Tratto era un salmo eseguito un tempo tutto d’un tratto da un solo cantore nell’ambone, senza essere interrotto da un responsoriale o da un’antifona; il nome Tratto indica quindi il modo in cui questo salmo viene cantato. In seguito, il Tratto, come il Graduale, è stato ridotto al canto di alcuni versetti.

98 — Quando si dice  il Tratto alla Messa?

Si dice il Tratto nella Messa al posto dell’Alleuja, durante la Settuagesima fino al termine della Quaresima.

99 — Cosa si chiama Sequenza?

Si chiama Sequenza dei canti, in prosa o in versi, delle aggiunte all’Alleluia o al Tratto.

100 — Qual è l’origine delle Sequenze?

Era consuetudine in passato prolungarere il canto sull’ultima lettera dell’Alleluia senza aggiungervi nuove parole. Ben presto cominciarono a essere poste delle parole sotto queste note: a questi canti fu dato il nome di Sequenze, cioè canti che seguono l’Alleluia o il tratto.

101 — Perché si dà il nome di Prosa alle Sequenze?

Le Sequenze sono chiamate Prosa perché originariamente erano composte in prosa.

102— Quali sono attualmente le Prose o Sequenze accettate alla Messa?

Quattro antiche Sequenze sono state accettate alla Messa da Papa San Pio V: la Victimæ paschali, a Pasqua; il Veni Sancte Spiritus, a Pentecoste; il Lauda Sion, al Corpus Domini; e il Dies iræ, alle Messe dei Morti. Più tardi è stato aggiunto lo Stabat Mater, per la festa della Madonna dei Sette Dolori.

4 — Evangelio

103— Che significa la parola Evangelio?

La parola Evangelo significa “buona notizia”. La predicazione del Salvatore e le sue opere costituiscono questa buona notizia.

104— Cosa fa il Sacerdote prima della lettura dell’Evangelio?

In piedi al centro dell’altare, il sacerdote alza gli occhi alla croce, poi li abbassa immediatamente e, con il corpo profondamente chinato e le mani unite, chiede a Dio di purificarlo e di benedirlo per la lettura che sta per fare.

Munda cor meum, ac labia mea, omnípotens Deus, qui labia Isaíæ Prophétæ cálculo mundásti igníto: ita me tua grata miseratióne dignáre mundáre, ut sanctum Evangélium tuum digne váleam nuntiáre. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen.

Jube, Dómine, benedícere.

Dóminus sit in corde meo et in lábiis meis: ut digne et competénter annúntiem Evangélium suum. Amen.

[Preghiera:

Purificate il mio cuore e le mie labbra, Dio onnipotente, che avete “purificato le labbra del profeta Jsaia, con un carbone ardente; degnatevi, con la vostra benevola misericordia, di purificarmi affinché io possa annunciare dignamente il vostro santo Vangelo. Per mezzo di Gesù Cristo Nostro Signore. E così sia.

Degnatevi, Signore, di benedirmi.

Che il Signore sia nel mio cuore e sulle mie labbra, affinché io possa annunciare degnamente e convenientemente il Suo santo Vangelo. Così sia.]

105 — Raccontate la visione di Isaia.

In una visione, il profeta Isaia vide il Signore seduto su un alto trono e udì gli Angeli dire più e più volte: « Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti, tutta la terra è piena della sua gloria ». Isaia, ricordando le sue colpe e pieno di sacro timore, gridò: « Guai a me! Mi sono perso! Io, uomo dalle labbra impure, ho visto il Signore delle schiere celesti! » Poi un Serafino prese un carbone ardente dall’altare e volò verso Isaia e gli toccò le labbra, dicendo: « Il fuoco ha toccato le tue labbra; la tua iniquità è stata tolta, il tuo peccato è stato espiato ». E Isaia proclamò al suo popolo gli oracoli divini. (Isaia, VI, 1 ss.)

106 — Perché il Sacerdote demanda a Dio di purificarlo?

Secondo un pensiero frequente negli scritti dei Santi Padri, l’anima deve ricevere la parola di Dio con una purezza pari a quella richiesta per la ricezione della Santa Eucaristia.

107 — Come si posiziona il Messa sull’Altare per la lettura dell’Evangelio?

Per la lettura del Vangelo, il Messale è posto di sbieco, in modo che il retro del libro guardi l’angolo dell’altare. Questo orientamento del Messale permette al celebrante di volgersi leggermente verso il popolo.

108 — Cosa simbolizza l’orientamento del Sacerdote durante la lettura dell’Evangilio?

Ogni altare dovrebbe essere rivolto ad est. Nel Vangelo, il celebrante, volgendosi alla sua sinistra, guarda a nord, la regione del freddo e delle tenebre, che simboleggia la dimora del principe delle tenebre, la cui venuta oscura le menti e raffredda i cuori. Rivolto a nord, il sacerdote legge il Vangelo, la parola stessa di Dio, che illumina gli spiriti e riscalda i cuori.

Inoltre, volgendosi alla sua sinistra, il sacerdote un tempo si faceva sentire meglio dagli uomini che occupavano questa parte della chiesa. Essi dovevano ascoltare bene le parole del Santo Vangelo per poterle poi spiegare con cura alle loro mogli e ai loro figli quando tornavano a casa.

109 — Perchè i fedeli restano in piedi durante la lettura dell’Evangelio?

Questo è l’atteggiamento di un servo alla presenza del suo padrone: designa il rispetto e l’attenzione dovuti alla parola del Salvatore, e la docilità nell’eseguire i suoi ordini.

110— Nominate i quattro Evangelisti.

San Matteo, san Luca, san Marco et san Giovanni.

111— Perché il Sacerdote dice “Dominus vobiscum” prima di cominciare la lettura dell’Evangelio?

Nelle Messe cantate, la lettura del Vangelo è fatta dal Diacono che si rivolge all’assemblea per la prima volta e lo fa con questo saluto.

112 — Come indica il Sacerdote il passaggio dell’Evangelio che sta per leggere?

Le parole: “inizio del Santo Vangelo…” e “sequenza del Vangelo “… indicano da quale evangelista e da quale parte del libro è tratto il brano da leggere. E a queste parole segue l’espressione: “In quel tempo” … , a meno che il Vangelo non inizi con la designazione del tempo in cui si sia verificato l’evento di cui si parla.

113 — Come il Sacerdote segna il Messale e si segna egli stesso all’inizio dell’Evangelio?

Il sacerdote pone la mano sinistra sul libro e, con il pollice della mano destra, fa il segno della croce all’inizio del testo che sta per leggere; e poi, mettendo la mano sinistra sotto il petto, fa il segno della croce sulla fronte, sulla bocca e sul petto con il pollice della mano destra.

114 — Perchè il celebrante traccia tutte queste croci?

Il Vangelo è la parola di Cristo, la bocca di Cristo, secondo l’espressione di sant’Agostino. Il libro dei Vangeli o Testo, come lo chiamavano semplicemente gli antichi, rappresenta la Persona stessa del Salvatore, che con la sua croce ha meritato per noi ogni grazia di illuminazione e di santificazione. Segnando il Libro dei Vangeli, il celebrante prende in prestito da Cristo stesso le grazie d’illuminazione e di santificazione che applica a se stesso segnandosi successivamente:

a) sulla fronte, per illuminare e affinare la sua fede e non arrossire mai nell’apparire Cristiano, cioè come discepolo di Cristo:

b) sulle labbra, per professare coraggiosamente la dottrina del Maestro;

c) sul petto, per conservare gli insegnamenti di Cristo come un tesoro nel proprio cuore e per meditarli con amore.

Tutti i fedeli devono imitare, in comunione di pensiero con il Sacerdote, questi stessi segni della croce sulla fronte, sulle labbra e sul cuore.

115 — Quali passaggi dei santi Evangeli si leggono alla Messa?

Durante l’anno, durante la Messa, leggiamo i passi dei Santi Vangeli che ci manifestano i grandi eventi della vita di Cristo, dalla sua nascita all’Ascensione, e ripetiamo i punti principali della sua dottrina.

Il nostro Messale contiene 198 diversi Vangeli, tra cui 65 da San Matteo, 12 da San Marco, 58 da San Luca, 63 da San Giovanni.

116 — Cosa risponde il servente dopo la lettura dell’Evangelio?

Il servente risponde a nome dell’assemblea: Lode a te, o Cristo! Egli testimonia così la profonda gratitudine dei fedeli che stanno per ricevere la verità e le sue grazie.

117 — Perché il Sacerdote bacia all’inizio l’Evangelio che sta per leggere?

Questo bacio non è solo un segno di venerazione per la parola di Cristo e di comunione con la dottrina evangelica, ma anche un segno di adorazione. Nel baciare il libro dei Vangeli, noi adoriamo Cristo stesso.

L’adorazione con cui onoriamo l’immagine di Cristo, la croce e i santi Vangeli non è rivolta al legno, all’oro, alla pergamena, ecc… ma alla Persona di Cristo, rappresentata da queste immagini o simboli materiali.

118 — Quale preghiera fa il Sacerdote baciando il santo Evangelio?

Nel baciare il Santo Vangelo, il sacerdote dice: « Per Evangélica dicta, deleántur nostra delícta »[Per queste parole evangeliche siano cancellati i nostri peccati]

Il Vangelo – le opere e le parole di Gesù – è stato ispirato dallo Spirito Santo agli evangelisti; la sua lettura, ascoltata con pietà, ha la virtù di produrre le disposizioni che ci ottengono la remissione dei peccati veniali, se abbiamo il fermo desiderio di vivere secondo questa dottrina insegnata.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/04/16/tutta-la-messa-lunica-vera-cattolica-romana-momento-per-momento-4/

TUTTA LA MESSA (L’UNICA “VERA” CATTOLICA ROMANA) MOMENTO PER MOMENTO (2)

TUTTA LA MESSA MOMENTO PER MOMENTO (2)

[Aldéric BEAÜLAÇ, p. S. S. Vicario & subdiacono (Montréal)

“TOUTE LA MESSE Par questions et réponses”

TUTTA LA MESSA in Domande e risposte

(Nouvelle édition revue et corrigée)

3425, RUE ST-DENIS MONTREAL

Cum permissu Superioris,

EUGENE MOREAU, p.s.s.

Nihil obstat’.

AUGUSTE FERLAND, p.s.s.

censor deputatus

Marianopoli, die 28a martii 1943

Imprimi potest’.

ALBERT VALOIS, V. G.

Marianopoli, die 28 martii 1943

SECONDA PARTE

La Messa dei Catecumeni

25 — Come si raggruppano le preghiere della Messa dei Catecumeni?

Le preghiere della Messa dei Catecumeni possono suddividersi in due gruppi: la preparazione e l’istruzione.

Preparazione: Entrata nella chiesa. – Il segno della croce. – Salmo Judica me. – Confiteor.La salita all’altare. Incensamento.Introïto.Kyrie.Gloria.

Istruzione: Colletta e orazione. –  Epistola – Graduale e Alléluia. -Evangelio. – Predica. – Credo.

PREPARAZIONE

26 — Cosa esprimono le preghiere della preparazione?

Le preghiere di preparazione esprimono fiducia in Dio nell’umile confessione delle colpe, il pentimento che implora misericordia. Attraverso di loro, l’anima si ordina, si orientata verso l’ideale primario di ogni Cristiano, la glorificazione del Padre.

1 — L’entrata in Chiesa

27— Descrivete l’andata verso l’altare.

Il sacerdote, vestito dei paramenti, prende il calice preparato con la mano sinistra e lo tiene all’altezza del petto, con la mano destra sulla borsa. Si inchina davanti alla croce o all’immagine in sacrestia e procede verso l’altare, preceduto dal servente.

28— Cosa fa il Sacerdote entrando in Chiesa?

Entrando in chiesa, il Sacerdote prende l’acqua santa e si fa il segno della croce.

L’uso dell’acqua santa quando si entra in chiesa indica che si vuole avere un’anima pura per partecipare alla Messa, e per dedicarsi con dignità alla preghiera.

Nelle religioni antiche era consuetudine non entrare mai nel tempio senza essersi purificati. La stessa religione ebraica prescriveva il lavaggio delle mani. Da lì, nel cortile del tempio si vedeva una vasca di bronzo piena d’acqua, chiamata il mare di bronzo. La Chiesa ha cristianizzato l’uso dell’acqua collocando delle acquasantiere vicino alle porte della chiesa.

29— Perché il Sacerdote sale all’altare prima di cominciare le preghiere della Messa?

Il Sacerdote sale all’altare prima di iniziare le preghiere della Messa per porre il calice sul corporale, che dispiega completamente, e per mettere i segnalibri nelle pagine del messale dove leggerà le preghiere della Messa.

2 — Il segno della croce

In nomine Patris et Filii et Spiritus sancti. Amen.

30— Perché si fa il segno della croce cominciando le preghiere della Messa?

Il segno della croce viene fatto all’inizio delle preghiere della Messa per tre motivi principali:

1) è il Sacrificio della croce che il Sacerdote, in unione con i fedeli, rinnoverà sull’altare;

2) è a nome della Santissima Trinità, cioè a gloria delle tre Persone divine e con il loro aiuto, che il Sacerdote offrirà il Santo Sacrificio a cui tutti i fedeli parteciperanno;

3) è l’inizio di un’azione importante.

31—Qual è l’origine del segno della croce?

Era consuetudine tra i primi Cristiani non iniziare alcuna azione importante senza fare il segno della croce, per indicare che tutto è stato fatto nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo, rendendo grazie a Dio Padre per mezzo suo. Ora, con questo segno, si impiegava di solito la formula: “Nel nome del Padre, e del Figlio, ecc.” per invocare contemporaneamente la Santa Trinità. Da questo deriva la consuetudine di segnarsi, non appena pronunciato il nome della Trinità; questo può avvenire durante la Messa, sia invocando direttamente le Persone divine, sia semplicemente nominandole.

3 — Il salmo “Judica me” e la sua antifona

S. Introíbo ad altáre Dei.
M. Ad Deum, qui lætíficat iuventútem meam.
Postea alternatim cum Ministris dicit sequentem:
Ps. XLII, 1-5.
S. Iúdica me, Deus, et discérne causam meam de gente non sancta: ab hómine iníquo et dolóso érue me.
M. Quia tu es, Deus, fortitudo mea: quare me reppulísti, et quare tristis incédo, dum afflígit me inimícus?
S. Emítte lucem tuam et veritátem tuam: ipsa me deduxérunt, et adduxérunt in montem sanctum tuum et in tabernácula tua.
M. Et introíbo ad altáre Dei: ad Deum, qui lætíficat iuventútem meam.
S. Confitébor tibi in cíthara, Deus, Deus meus: quare tristis es, ánima mea, et quare contúrbas me?
M. Spera in Deo, quóniam adhuc confitébor illi: salutáre vultus mei, et Deus meus.

Sacerdos repetit Antiphonam:
S. Introíbo ad altáre Dei.
M. Ad Deum, qui lætíficat iuventútem meam.

[Quindi, con le mani giunte davanti al petto, comincia l’Antifona:
S. Mi accosterò all’altare di Dio.
M. A Dio che dà letizia alla mia giovinezza.
Alternandosi con il ministro e i fedeli, dice:
Ps. XLII, 1-5.
S. Fammi giustizia, o Dio, e separa la mia causa da quella di una nazione non santa, e liberami dall’uomo iniquo e ingannatore.
M. Perché tu, o Dio, sei la mia forza; perché mi hai tu rigettato? e perché me ne vo’ contristato, mentre il nemico mi affligge?
S. Manda la tua luce e la tua verità: esse mi guidino e mi conducano al tuo santo monte e ai tuoi tabernacoli.
M. E mi accosterò all’altare di Dio; a Dio che dà letizia alla mia giovinezza.
S. Io ti loderò sulla cetra, o Dio, Dio mio. Perché, o anima mia, sei triste? e perché mi conturbi?
M. Spera in Dio, perché io lo loderò ancora: egli salute della mia faccia, e mio Dio.
S. Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.
M. Come era in principio, e ora, e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen.
Il Sacerdote ripete l’Antifona:
S. Mi accosterò all’altare di Dio.
M. A Dio che dà letizia alla mia giovinezza.

A. — L’Antifona

32 —Cosa indica la parola antifona?

La parola antifona si riferisce a un verso, una frase, una parola che apre e chiude i salmi e gli inni.

33 —Da dove è tratta l’Antifona « Io andrò all’altare di Dio »?

Questo antifona è tratta dal salmo “Judica me”.

I neobattezzati, uscendo dal fonte battesimale, si recavano all’altare per ricevere il Corpo del Signore, dicendo: “Andrò all’altare di Dio, del Dio che dà gioia alla mia giovinezza”.

34 — Cosa significa qui la parola giovinezza?

La parola “giovinezza” qui significa la vita soprannaturale, ottenuta attraverso la rigenerazione, effetto della grazia dello Spirito Santo.

Questa grazia distrugge in noi il vecchio peccatore e ci veste dell’uomo nuovo che rinasce nella conoscenza di Dio. Chi, “come un bambino appena nato, spogliato di ogni malizia, inganno, occultamento, invidia e calunnia”, si fa avanti verso l’altare, vede crescere la giovinezza del suo spirito, cioè il suo zelo, il suo ardore al servizio di Dio.

B. — Il Salmo

35 — Cosa esprime il SalmoJudica me”?

Il Salmo “Judica me” è una preghiera, seguita da una santa risoluzione, e si conclude con un atto di speranza e di sottomissione alla volontà di Dio.

36 — Chi ha composto il SalmoJudica me?

Questo salmo è attribuito al santo re Davide. Davide, cacciato da Gerusalemme dalla rivolta del figlio Assalonne, è duramente inseguito dai suoi nemici. La sua separazione dal Tabernacolo lo addolora e gli sembra un segno dell’ira di Dio. Sospira perciò il giorno in cui, liberato dai suoi nemici, verrà al santuario per cantare sull’arpa, mentre sull’altare dell’olocausto vengono offerti sacrifici di ringraziamento.

37 — In chi mette la sua fiducia il re David?

Il re David mette la sua fiducia in Dio, fonte di luce, di salvezza e di riposo.

38 — Si faccia l’applicazione l’applicazione di questo salmo al Sacerdote ed ai fedeli che offrono il santo Sacrificio

Come il re Davide, noi viviamo in esilio in questo mondo dove i nemici delle nostre anime sono molto numerosi. Chiediamo a Dio di liberarci da essi, perché Egli è la forza di coloro che confidano in Lui. Gli chiediamo la sua luce, che dissiperà le tenebre della nostra afflizione, e la sua verità, cioè la salvezza che si è impegnato a dare ai giusti e che deve operare se vuole che le sue promesse siano mantenute.

39 — Perché incliniamo ls testa recitando il Gloria Patri?

Nel recitare il Gloria Patri, chiniamo il capo per rispetto all’infinita maestà di Dio e come testimonianza del nostro nulla e della nostra indegnità.

Il Gloria Patri, chiamato la piccola Dossologia, (canto di gloria), forma la conclusione ordinaria dei salmi.

40 — Perché in certe Messe si omette la recita del salmo Judica me?

Questo salmo cerca di allontanare la tristezza dall’anima. Suppone, in chi lo recita, impressioni che sono soprattutto consolanti e gioiose. Conviene dunque sopprimerlo quando l’anima è permeata dal dolore e dalla pietà, come nelle Messe da Requiem e nelle Messe della Passione.

4 — Le Confiteor

41— Si reciti il “Confiteor”.

Confiteor Deo omnipotenti, beatæ Mariæ semper Virgini, beato Michael Archangelo, beato Joanni Baptistæ, sanctis apostolis Petro et Paulo, omnibus sanctis et tibi, Pater: quia peccavi nimis cogitatione, verbo et opere. Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa. Ideo precor beatam, Mariam semper Virginem, beatum Michaelem archangelum, beatum Joannem Baptistam, sanctos apostolos Petrum, et Paulum, omnes sanctos, et te. Pater, orare pro me ad Dominum Deum nostrum.

Misereatur vestri omnipotens Deus, et dimissis peccatis vestris, perducat vos ad vitam aeternam, Arnen.

Indulgentiam, + absolutionem et remissionem peccatorum nostrorum tribuat nobis omnipotens et misericors Dominus. Arnen.

Confesso a Dio onnipotente, alla beata sempre Vergine Maria, al beato Michele Arcangelo, al beato Giovanni Battista, ai Santi Apostoli Pietro e Paolo, a tutti i Santi e a voi, o fratelli, di aver molto peccato, in pensieri, parole ed opere: per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa. E perciò supplico la beata sempre Vergine Maria, il beato Michele Arcangelo, il beato Giovanni Battista, i Santi Apostoli Pietro e Paolo, tutti i Santi, e voi, o fratelli, di pregare per me il Signore Dio nostro.

 
M. Dio onnipotente, abbia pietà di te, e, perdonati i tuoi peccati, ti conduca alla vita eterna.

 
S. Amen,


S. Il Signore onnipotente e misericordioso ✠ ci accordi il perdono, l’assoluzione e la remissione dei nostri peccati.


R. Amen.

Le Confiteor è introdotto  da un versetto del Salmo CXXIII-8

V. Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cœlum et terram.

[V. Il nostro aiuto ✠ è nel nome del Signore
R. Che ha fatto il cielo e la terra.]

42— Perché il Sacerdote si segna all’Adjutorium?

Il sacerdote si segna all’Adjutorium perché con questa preghiera inizia una nuova azione.

43— In quante parti si divide il Confiteor?

Il Confiteor è diviso in due parti: dapprima prendiamo i Santi come testimoni delle nostre colpe, e poi ricorriamo alla loro onnipotente intercessione davanti a Dio.

44— Quale rubrica osserva il Sacerdote recitando il Confiteor?

Mentre recita il Confiteor, il Sacerdote, con le mani giunte, si inchina profondamente davanti all’altare e si batte tre volte sul petto dicendo mea culpa,

45— Cosa significano questa attitudine e questi gesti durante la récita del Confiteor?

Questo atteggiamento del sacerdote segna la disposizione di un povero peccatore, oppresso dal peso delle sue colpe, contrito ed umiliato, che implora perdono e misericordia.

Il Sacerdote e i fedeli colpiscono il petto tre volte perché hanno offeso Dio in tre modi: nel pensiero, nella parola e nell’azione. Sant’Agostino dice: “Colpire il petto è accusare e punire il peccato nascosto nel nostro cuore”.

46 — La confessione dei peccati prima del Sacrificio è peculiare della Chiesa Cattolica?

La confessione dei peccati ha sempre preceduto il sacrificio. Tra gli Ebrei, quando il sommo sacerdote offriva il capro espiatorio, confessava tutte le iniquità dei figli di Israele.

47 — Perchè nel Confiteor si si invoca in particolare la Santa Vergine, San Michele, San Giovanni-Battista, gli Apostoli San Pietro e San Paolo?

La Beata Vergine Maria è il rifugio dei peccatori; San Michele ha vendicato l’oltraggio di Lucifero fatto a Dio; San Giovanni Battista ha predicato la penitenza per la remissione dei peccati; San Pietro, il capo degli Apostoli, ha ricevuto da Gesù il potere di perdonare i peccati; San Paolo ha ottenuto la grazia di una straordinaria conversione.

48 — Cosa domanda il Sacerdote con la preghiera dell’assoluzione?

Il Sacerdote chiede al Signore, in virtù dell’onnipotenza di Dio, di avere pietà dei fedeli, di perdonare i loro peccati, di elevarli dalla morte spirituale alla vita di grazia e di condurli alla gloria.

Questo è un sacramentale, cioè è una formula e un rito che, in virtù della preghiera stessa della Chiesa e delle buone disposizioni di coloro che assistono alla Messa, cancella i peccati veniali e rimette le punizioni temporali dovute ai peccati.

49—Perché il Sacerdote si segna nel dire le preghiere dell’assoluzione?

Perché è per i meriti della croce che sono cancellati inostri peccati.

5. — Salita all’altare

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
O
rémus,
Aufer a nobis, quœsumus, Dómine, iniquitátes nostras: ut ad Sancta sanctórum puris mereámur méntibus introíre. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen.
Orámus te, Dómine, per mérita Sanctórum tuórum, quorum relíquiæ hic sunt, et ómnium Sanctórum: ut indulgére dignéris ómnia peccáta mea.
Amen.

[V. Volgendoti a noi, o Dio, ci farai vivere.
R. E il tuo popolo si rallegrerà in Te.
V. Mostraci, o Signore, la tua misericordia.
R. E da’ a noi la tua salvezza.
V. O Signore, esaudisci la mia preghiera.
R. E il mio grido giunga fino a Te.
V. Il Signore sia con voi.
R. E con lo spirito tuo.
Preghiamo,
Togli da noi, o Signore, le nostre iniquità: affinché con ànimo puro possiamo entrare nel Santo dei Santi. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Ti preghiamo, o Signore, per i mériti dei tuoi Santi dei quali son qui le relíquie, e di tutti i tuoi Santi: affinché ti degni di perdonare tutti i miei peccati. Amen.]

50 — Qual è il senso di questa espressione: rivolgetevi a noi?

Questa espressione significa: preveniteci, aiutateci a convertirci con la vostra grazia preveniente ed operante.

51— Perchè il Sacerdote dice: “mostrateci, Signore, la vostra misericordia”?

Il Sacerdote, consapevole della sua indegnità di salire all’altare, invita il Signore misericordioso a purificarsi ulteriormente e a meritare di celebrare degnamente.

52 — Perchè il Sacerdote si inchina dicendo questi versetti?

Il Sacerdote si inchina mentre dice questi versi per mostrare il suo rispetto e la sua fiducia.

53 — Perché il Sacerdote dice il “Dominus vobiscum”?

Il Sacerdote dice “Dominas vobiscum” per chiedere a Dio di benedire in modo speciale coloro ai quali rivolge questo desiderio e di invitare i fedeli ad una fervente preghiera, annunciata da questa parola “Oremus”, cioè Preghiamo.

Il sacerdote chiede ripetutamente durante la Messa che Dio sia con coloro che assistono al Santo Sacrificio, e i presenti esprimono il desiderio che Dio sia con lo spirito del celebrante.

54— Il saluto “Dominus vobiscum” è antico?

Booz diceva ai suoi mietitori: il Signore sia con voi, come ripete anche spesso san Paolo nelle sue lettere: la grazia del Signore sia con voi. Il Papa e i Vescovi usano la stessa formula quando si rivolgono ai fedeli.

55 — Che significa l’espressione: entrare nel Santo dei santi?

L’espressione entrare nel santo dei santi qui significa salire all’altare e offrire il santo sacrificio.

Nell’Antica Legge, il Sommo Sacerdote, egli solo, e solo una volta all’anno, poteva entrare in questa parte del Tempio chiamata il Santo dei Santi e offrire il sangue delle vittime.

56— Quali santi invoca il Sacerdote salendo all’altare?

Mentre il sacerdote sale all’altare, invoca i Santi le cui reliquie sono contenute nella pietra sacra. Si rivolge poi a tutti i Santi, in particolare a Gesù Cristo, loro Capo e Re, il cui emblema è l’altare.

57 — Perché il Sacerdote bacia l’altare dicendo la preghiera: Oramus te?

Il sacerdote bacia l’altare per venerare la pietra consacrata dal Vescovo e le reliquie dei Santi contenute in questa pietra.

58 — Perchè si chiudono le reliquie dei santi nella pietra dell’altare?

In ricordo della Messa che un tempo si celebrava presso le tombe dei Santi Martiri sepolti nelle catacombe.

6 L’incensamento dell’altare(nelle Messe cantate)

59 — L’uso dell’incenso è antico?

Il Signore stesso, secondo l’Antica Legge, aveva descritto esattamente come e quando l’incenso doveva essere preparato e quando doveva essere usato. Ogni giorno, mattina e sera, un sacrificio di incenso veniva offerto sull’altare dell’incenso posto nel santuario. L’incenso fu introdotto all’inizio del culto cristiano e divenne di uso generale quando nel quarto secolo, fu data libertà alla Chiesa.

60 — Di cosa l’inceso è figura ed immagine?

L’incenso che viene bruciato, rappresenta il sacrificio interiore dell’anima, e rappresenta la preghiera che piace a Dio. Le nuvole di fumo simboleggiano i frutti della preghiera, cioè la grazia che scende dal cielo o va dal tabernacolo e dall’altare, dove risiede Gesù Cristo.

61— L’incenso è impiegato sempre come segno di adorazione?

No, la Chiesa se ne serve anche come testimonianza della venerazione dovuta a tutto ciò che è santo. Ecco perché, oltre al Santissimo Sacramento, sono incensate le reliquie e le immagini dei santi, il libro dei Vangeli, il Sacerdote celebrante, il clero e il popolo.

62— Perchè si benedice l’incenso prima di servirsene?

Si benedice l’inenso prima di servirsene per fare una cosa santa e consacrata a Dio. Questa benedizione ci presenta più perfettamente l’incenso come un simbolo religioso. Così si fa per le ceneri e per le palme.

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TUTTA LA MESSA (L’UNICA “VERA” CATTOLICA ROMANA) MOMENTO PER MOMENTO (1)

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Avvertenza per il lettore

TUTTA LA MESSA IN DOMANDE E RISPOSTE, potrebbe portare come sottotitolo “Note di un catechista”. Inizialmente avevo redatto queste note per un corso di liturgia dato alla Scuola Marchand (Montréal). Per l’utilità di un maggior numero di fedeli, le ho pubblicate ad episodi nel nostro giornale parrocchiale, “Il faro”. Hanno fatto evidentemente del bene essendomi stata richiesto di raggrupparle in un volume e così diffonderle. – La dottrina si ritrova nel migliori commentari della Messa, in particolare Gihr, Croegaert, Grimaud, Dom Gaspard Lefebvre, Vandeur ed altri. Ho frequentemente citato i commentari dei Padri della Chiesa per dimostrare che noi preghiamo come i primi Cristiani. Questo libro vi viene offerto innanzitutto come come uno strumento di lavoro: io ho mirato all’utilità di coloro che insegnano e di coloro che vogliono apprendere. Non pretendo di aver detto l’ultima parola circa i soggetti trattati, né di aver detto tutto. Se volete, in aiuto di questa opera, per meglio comprendere, stimare ed utilizzare la Messa, leggete lentamente, poco alla volta, riflettete, meditate durante la Messa stessa, i riti; le parole per voi vuote di senso, saranno alfine luce, gioia e vita. Possano queste righe, che io ho dedicato all’Agnello immolato, farvi meglio gustare la vostra Messa per viverne profondamente.

Aldéric BEAULAC, p.s.s.

PRIMA PARTE

Nozioni generali

CAPITOLO I. NOZIONI GENERALI

a) Preliminari

1 — Che significa la parola MESSA?

La parola Messa significa rinvio. In passato, fin dall’inizio del Sacrificio, all’offertorio, coloro che erano in penitenza e coloro che non erano stati battezzati, che erano chiamati catecumeni, venivano rinviati: coloro che erano in penitenza e coloro che non erano stati battezzati – chiamati catecumeni – venivano mandati fuori dalla Chiesa. Alla fine del Sacrificio, il diacono diceva, come fa oggi: ite, missa est, andate, questa è finita, questo è il rinvio. Il popolo si è ricordato di questa parola e l’ha applicata a tutto il rito. – Il nome più antico della Messa era “Ecaristia”: esso significa azione di grazie. Si chiamò anche liturgia, cioè servizio pubblico. Alla Messa sono stati dati altri nomi: Elogio, che significa benedizione, frazione del pane, Cena, per ricordare l’ultimo pasto che Gesù fece con i suoi discepoli e il gesto di distribuire il pane consacrato; Santo Sacrificio, perché la Messa è il Sacrificio della croce rinnovata in mezzo a noi.

2 — Cosa si indica con: le cerimonie della Messa?

Si chiamano « le cerimonie della Messa » gli atti esteriori della Religione e i segni simbolici che la Chiesa usa nella celebrazione del Santo Sacrificio, per elevarne la maestà, istruire i fedeli e alimentare la loro pietà.

3 — Cosa si intende per: liturgia della Messa?

Si chiama « liturgia della Messa » l’ordine delle cerimonie e delle preghiere ufficialmente stabilito per la celebrazione della Messa dall’autorità religiosa competente.

La Messa, liturgia per eccellenza, ufficio pubblico, sempre uguale nella sua essenza, ha ricevuto solo gradualmente la disposizione che oggi vi troviamo. Cristo è stato il primo ad offrire il Sacrificio eucaristico. Nello stesso tempo, Egli diede ai suoi Apostoli e ai loro successori il potere e il comando di fare ciò che Egli stesso fece. Gli Apostoli aggiunsero all’atto essenziale del Sacrificio, varie preghiere ed alcune usanze, secondo le circostanze di tempo, luogo e persona, affinché la celebrazione dei santi Misteri fosse circondata da un maggiore rispetto ed edificazione. Nel corso dei secoli, a seconda della necessità o dell’utilità, questo rito si è sempre di più sviluppato, ordinato e completato. Da ciò sono nate diverse liturgie in tempi diversi, in luoghi diversi e tra popoli diversi. Sono esse però tutte concordi nei punti essenziali; si differenziano più o meno solo per la loro composizione e struttura.

4 — Quali sono le principali liturgie della Messa!

In generale, le varie liturgie sono divise in due gruppi: le liturgie orientali e quelle occidentali. – Le liturgie orientali si differenziano da quelle occidentali non solo per la loro patria d’origine e la loro lingua, ma anche per lo spirito, la forma e la composizione. Le principali liturgie della Chiesa d’Oriente sono: la liturgia di San Giacomo, la liturgia di Alessandria, la liturgia di San Basilio, di San Giovanni Crisostomo, degli Armeni, dei Melchiti, dei Siriani, dei Caldei, dei Bulgari Uniti. Tutte queste varie forme liturgiche sono state approvate dalla Chiesa Romana. Le principali liturgie occidentali sono: quella mozarabica, quella gallicana antica, quella ambrosiana e quella romana.

La liturgia romana ha sempre prevalso su tutte le altre e oggi è diffusa in tutte e cinque le parti del mondo. In Canada, gli orientali seguono la liturgia del loro paese d’origine; i fedeli di altre nazionalità adottano la liturgia romana.

5 — Quali differenze si possono notare nella celebrazione della Messa?

C’è la Messa cantata, in cui i canti liturgici accompagnano l’offerta del Santo Sacrificio, e la Messa bassa, in cui il Sacerdote recita le preghiere, senza alcun canto.

Tutti gli elementi della Messa cantata (o solenne), se spogliati della loro solennità, si ritrovano come raccolti e condensati nella Messa bassa: le parole vi si trovano nella loro interezza, con la differenza che i brani cantati alla Messa solenne sono letti ad alta voce alla Messa bassa.

6 — Siamo noi obbligati ad assistere alla Messa?

La Chiesa ci prescrive di partecipare alla santa Messa la domenica e nelle feste di precetto, non appena compiamo sette anni:

La domenica e nei giorni festivi, ascolterai la Messa.

7 —Come si deve assistere alla Messa?

Al Santo Sacrificio della Messa si deve assistere con la fede e l’amore dimostrato dagli Apostoli nella sua istituzione il Giovedì Santo; lo spirito di sacrificio e di riparazione della Beata Vergine, in piedi della croce, alla consumazione del Sacrificio del Calvario il Venerdì Santo”.

8 — Chi celebra il santo Sacrificio della Messa?

Celebra il Santo Sacrificio della Messa, il Sacerdote. – Il giorno dell’ordinazione, il Vescovo fa sì che l’ordinando tocchi il calice contenente il vino e la patena con l’ostia, dicendo: Ricevi il potere di offrire il sacrificio a Dio e di celebrare la Messa per i vivi e per i morti nel nome del Signore.

9 — Dove si celebra la Messa?

La Messa viene celebrata su un altare, di solito in una chiesa o in un oratorio aperto al pubblico.

10— Che cosa è l’altare?

L’altare è una tavola, sollevata da terra, sulla quale viene offerto un sacrificio. – Si distinguono due tipi di altari: l’altare fisso e l’altare portatile. Il primo è costituito da un grande tavolo di pietra sigillato con una base di pietra, con la quale forma un unico insieme consacrato. L’altare portatile è solo una semplice pietra, ma abbastanza larga per ricevere il calice e  l’ostia, adattandosi a qualsiasi pietra o legno. Che l’altare sia fisso o portatile, viene purificato al momento della sua consacrazione con molte abluzioni; viene unto più volte con l’olio dei catecumeni e del santo Crisma; è marcato con cinque croci; riceve, in una cavità al centro della pietra chiamata sepolcro, le reliquie di alcuni Santi, di cui almeno uno deve essere di un Martire.

11 – Come si addobba l’altare dove il Sacerdote celebrerà la Messa?

Per adornare l’altare dove il Sacerdote celebrerà la Messa, è necessario:

1) Coprirlo con tre tovaglie bianche di lino o di canapa;

La ragione di questo triplice rivestimento dell’altare è la convenienza e la necessità di mantenere l’altare pulito, e anche l’evitare qualsiasi profanazione del prezioso Sangue, qualora dovesse essere versato. Una delle ragioni di questa severa prescrizione è da vedere anche nel significato mistico dell’altare e dei suoi teli: l’altare rappresenta Gesù Cristo, e il rivestimento dell’altare ricorda quei teli di stoffa in cui il corpo di Gesù Cristo fu avvolto con profumi dopo la sua discesa dalla croce. – Anche il candore di questi tessuti si adatta molto bene al loro significato. Secondo la Sacra Scrittura, il bisso, una specie di lino finissimo, bianco brillante, designa la rettitudine dei Santi (Apocalisse, XIX, 8). È la figura della purezza del cuore e dell’innocenza della vita, che si può ottenere solo attraverso la preghiera, la vigilanza e la mortificazione, così come la preparazione di questa tela che richiede molto lavoro.

2) Mettervi, come oggetto principale, una croce con candelieri su entrambi i lati;

3) Collocarvi tre immagini, chiamate canoni, che ricorderanno al Sacerdote le preghiere che non potrebbe facilmente leggere nel messale in certi momenti della Messa.

4) Collocare il messale sul leggio dal lato dell’Epistola;

5) Secondo una pia e lodevole usanza, raccomandata dalla Chiesa, decorare gli altari con fiori, soprattutto nelle feste maggiori.

12—Quali sono i vasi sacri necessari  alla celebrazione della Messa?

I vasi sacri necessari per la celebrazione della Messa sono il calice e la patena.

Nel calice è consacrato il Sangue infinitamente  prezioso di Gesù Cristo, e sulla patena è posto il suo adorabile Corpo. Per questo la Chiesa ha ordinato che questi vasi siano fatti solo con i metalli più nobili e preziosi. Inoltre, il calice e la patena devono essere consacrati, con una cerimonia riservata al Vescovo a causa del santo crisma che vi è utilizzato.

13—Quali sono i teli sacri necessari alla celebrazione della Messa?

I sacri panni necessari per la celebrazione della Messa sono il corporale, la palla ed il purificatoio.

Il corporale è un telo che il Sacerdote stende sull’altare per eseguire la consacrazione della specie santa: porta questo nome per il suo contatto immediato con l’adorabile Corpo di Gesù Cristo. Il purificatoio è un pezzo di stoffa che viene utilizzato per pulire il calice, così come le labbra e le dita del celebrante dopo la Comunione. La palla è un piccolo panno quadrato da cui è ricoperto il calice.

14 — Perché il corporale, il purificatoio e la palla si chiamano teli sacri?

Il purificatoio, il corporale e la palla sono chiamati teli sacri, perché servono  direttamente per l’adorabile Sacrificio della Messa.

Tutti i teli devono essere di lino o di canapa. Solo i sacri Ministri possono lavarli; nessuno può toccarli senza permesso, una volta benedetti e usati.

15— Come si prepara il calice in Sacristia?

Sul calice viene posto dapprima il purificatoio; vi si aggiunge la patena che porta l’ostia; poi vengono la palla, il velo, l’astuccio speciale, detto la borsa, che contiene il caporale.

16 — Cosa fa il Sacerdote prima di preparare il calice?

Prima di preparare il calice, il Sacerdote si lava le dita che non devono essere sporcate da nulla prima di toccare l’ostia, il calice e gli altri oggetti sacri.

17 — Nominate qual sono  i paramenti di cui si riveste il Sacerdote per dire la Messa?

Il Sacerdote nella sacrestia si riveste con i paramenti sacri:

1) Al collo mette un panno bianco chiamato amitto.

L’amitto simboleggia la protezione divina, l’« elmo della salvezza », con cui ogni Cristiano debba essere armato per resistere al diavolo.

2) Si copre con un indumento bianco chiamato alba.

L’alba significa: innocenza, purezza di cuore.

3) Intorno ai suoi fianchi si cinge di un cordone.

Il cordone indica la purezza del corpo e la mortificazione della carne mediante la castità.

4) Al braccio sinistro, pone il manipolo.

Il manipolo è il simbolo del suo lavoro: con esso asciuga il sudore dalla fronte (in passato era usato per asciugare il sudore dal viso) e ci ricorda le opere buone, i dolori e le fatiche del ministero, le lacrime e le sofferenze che meritano il Paradiso.

5) Si sospende al collo e si incrocia sul petto, la stola.

La stola è l’emblema della dignità, del potere sacerdotale e dell’immortalità dell’anima.

6) Si ricopre con una grande veste, chiamata casula.

La casula è solitamente ornata con una croce e rappresenta il giogo di Nostro Signore (De Imit. Christi, L. IV, cap. V, n. 2-4).

7) Si copre la testa con un berretto nero, la berretta.

18 — Di qual colore devono essere i paraenti sacri?

Si distinguono cinque colori liturgici: il bianco, il rosso, il violetto, il verde ed il nero.

19Quale è il significato di ogni colore liturgico?

1) Il bianco è l’emblema della purezza, dell’innocenza e della santità, oltre che della gioia e della gloria.

Serve a celebrare tutti i misteri gioiosi e gloriosi della Madonna, di Tutti i Santi, dei Pontefici, dei Dottori, dei Confessori, delle Vergini e in generale di tutti i Santi che non sono martiri.

2) Il rosso è il colore del fuoco e del sangue, dell’amore e del sacrificio.

Si usa per celebrare le feste dello Spirito Santo, della S. Croce, della Passione, dei Martiri, comprese quelle degli Apostoli.

3) Il verde è il simbolo della speranza.

Si usa durante il tempo che, nella mistica liturgica, significa il pellegrinaggio in cielo, cioè i Tempi dopo l’Epifania e dopo la Pentecoste.

4) Il viola è il simbolo della penitenza.

Si usa in quei giorni in cui la Chiesa ha più bisogno di gridare a Dio: “Misericordia! Pietà! Perdono”, cioè durante l’Avvento, le Quattro Tempora, le Vigilie, le Rogazioni e le tre solenni benedizioni liturgiche dell’anno, quelle della candelora, delle ceneri e delle palme.

5) Il nero è l’immagine della morte.

Si usa nel grande giorno del Venerdì Santo e nelle messe di requiem.

(2)

b) Divisione della Messa

20 — Quali sono le due grandi divisioni della Messa ?

Le due grandi divisioni della Messa sono: la Messa dei Catecumeni e la Messa dei Fedeli.

21 — Qual è l’origine della Messa dei Catecumeni?

Quando i primi Ebrei si convertirono al Cristianesimo, continuarono a incontrarsi il giorno di sabato, come facevano secondo l’Antica Legge. Ma hanno dato un carattere cristiano ai loro incontri, cantando salmi, leggendo brani dei libri sacri, leggendo le Epistole degli Apostoli e brani del Vangelo del Maestro. Ben presto a queste letture si sono aggiunte preghiere e canti che oggi troviamo sotto forma di Kyrie eleison, Gloria in excelsis, la colletta. Poiché queste letture, preghiere e canti erano molto istruttivi, ma non facevano parte del Sacrificio cristiano, sono stati ammessi all’incontro non solo i Cristiani ma anche i catecumeni, cioè coloro che studiavano la dottrina cristiana in preparazione al Battesimo. All’inizio dell’Offertorio, i catecumeni venivano invitati a ritirarsi. È così che il nome della Messa dei Catecumeni si è imposto alla prima parte dei nostri santi Misteri.

22— Donde viene il nome di Messa dei Fedeli?

La Messa è un Sacrificio al quale si partecipa pienamente attraverso la Comunione. Tuttavia, solo il Battesimo ci dà il diritto di ricevere la Santa Comunione, e di conseguenza di essere presenti al Santo Sacrificio. Poiché coloro che avevano ricevuto questo primo Sacramento erano chiamati Fedeli, questa parte durante la quale il Sacerdote, in unione con i fedeli, offre il Santo Sacrificio, si chiama la Messa dei Fedeli.

23 — Cosa si indica come Ordinario della Messa?

Si chiama « Ordinario della Messa » la parte fissa, o quasi, constituente l’Ordo, vale a dire l’enunciazione delle formule e dei riti abituali della Messa.

24— Cos’è che si chiama il Proprio della Messa?

Si chiama « Proprio della Messa » la parte variabile, appropriata ai misteri o feste celebrate.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/04/14/tutta-la-messa-cattolica-momento-per-momento-2/

SALMI BIBLICI: “AD DOMINUM CUM TRIBULARER” (CXIX)

SALMO 119: Ad Dominum cum tribularer

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 119

Canticum graduum.

[1] Ad Dominum cum tribularer clamavi, et exaudivit me.

[2] Domine, libera animam meam a labiis iniquis et a lingua dolosa.

[3] Quid detur tibi, aut quid apponatur tibi ad linguam dolosam?

[4] Sagittæ potentis acutæ, cum carbonibus desolatoriis.

[5] Heu mihi, quia incolatus meus prolongatus est! habitavi cum habitantibus Cedar;

[6] multum incola fuit anima mea.

[7] Cum his qui oderunt pacem eram pacificus; cum loquebar illis, impugnabant me gratis.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXIX

I quindici Salmi che seguono si dicono graduali, perché da intendersi delle ascensioni dei Giudei da Babilonia in Gerusalemme, o di quelle dei 15 gradi per il Tempio di Salomone; o più veramente, delle ascensioni dei giusti, per i diversi gradi di virtù, alla celeste Gerusalemme che le suddette adombravano.

Cantico dei gradi.

1. Alzai le mie grida al Signore, mentre io era nella tribolazione ed egli mi esaudì.

2. Signore, libera l’anima mia dalle labbra inique e dalla lingua ingannatrice.

3. Che ti sarà egli dato, ovver che riceverai tu per giunta per la tua lingua ingannatrice?

4. Stette acute, vibrate da mano possente, e i carboni divoratori.

5. Misero me, il mio pellegrinaggio è prolungato! son vissuto tra gli abitatori di Cedar; lungamente è stata pellegrina l’anima mia.

6. Fui pacifico con quei che odiavan la pace; quando io parlava con essi, eglino mi si voltavan contro senza ragione.

Sommario analitico (1)

(1): I quindici salmi che seguono, dal CXIX al CXXXIII, sono intitolati Cantici dei gradi. Secondo l’opinione dei Giudei, che sembra il più fondato, questo nome sarebbe stato loro dato perché dopo la cattività era uso il cantarli solennemente salendo i quindici gradini che conducevano al sagrato degli israeliti. – Considerando il contenuto di una parte di questi salmi (CXIX, CXXII, CXXIII, CXXV, CXXVIII), lo stile recente di molti tra essi (CXIX, CXX, CXXI, CXXII, CXXVIII, CXXXIII), si è portati a fissarne l’epoca di composizione, al ritorno dalla cattività; forse sono anche tutti di quest’epoca, eccetto i salmi CXXIX e CXXX, che sembrano essere di Davide, ed i salmi CXXVI e CXXXI, che sembrano avere Salomone come autore. Questi quattro salmi, come la maggior parte di quelli di Davide, che fanno parte delle ultime raccolte o libri dei salmi, sono stati riportati qui per uso liturgico. I salmi CXXI, CXXIII, CXXXII, non sono di Davide, ma gli sono attribuiti per il loro titolo, come il libro della Sapienza è attribuito a Salomone, e questo perché sono composti ad imitazione di quelli del Re-Profeta (Le Hir.).

Il salmista parla qui in nome del popolo ebraico, ed esprime il desiderio di rientrare nella sua patria, ed in senso più elevato, di arrivare alla celeste Gerusalemme;

I. – Egli espone a Dio la sua afflizione, e ne fa conoscere:

1° l’effetto, il gridare verso Dio che lo ha esaudito (1);

2° la causa, le lingue inique e le labbra ingannevoli (2).

II. – Egli dichiara:

1° che non c’è rimedio umano a così grande male (3);

2° che spera solo nel soccorso di Dio (4).

III. – Egli deplora le afflizioni di questa vita,

1° a causa della sua lunga durata (5),

2° a causa della necessità di abitare con uomini pericolosi (5),

3° a causa della miseria della sua anima piombata in sì grandi mali (6),

4° a causa del combattimento continuo ed inevitabile contro i suoi nemici (7).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1, 2

ff. 1, 2. – Dal punto di vista storico, questi salmi sono chiamati salmi graduali, perché c’è la questione del ritorno da Babilonia e la cattività del popolo di Dio, ma in senso più elevato, essi sono chiamati così, perché conducono al cammino della virtù. In effetti il cammino che porta alla virtù è simile a gradini che elevano poco a poco l’uomo saggio e virtuoso fino a ciò che lo conduce fino al cielo. È così che i luoghi troppo elevati e che sono inabbordabili diventano accessibili, cioè per mezzo di gradi o scale. (S. Chrys.). – Tre cose importanti sono racchiuse in questo solo versetto. Il Salmista è nella tribolazione, non è esaudito, perché nessuno è nella tribolazione se non colui che vuol vivere con pietà in Gesù-Cristo. (S. Gerol.). – Il Profeta, nella sua persona, volendo formare l’uomo che, per gradi, vuol salire verso le cose eterne, gli insegna i pericoli dai quali deve soprattutto guardarsi; vale a dire, in primo luogo, di questi uomini che, per il loro credito e l’autorità dei loro consigli, per i loro incitamenti, spesso rinnovati, con la seduzione dei loro discordi, ci precipitano nell’inferno; gli uni ci spingono a perseguire gli onori, gli altri cercano di incatenare la nostra vita con i legami vergognosi della pigrizia, dell’intemperanza e della voluttà; questi, affascinandoci nei sentieri che conducono alle false religioni; questi altri sollecitandoci ad abbracciare delle dottrine scismatiche o eretiche. Contro tutti questi discorsi di cui l’Apostolo ha detto: « i cattivi discorsi corrompono i buoni costumi, la nostra anima è debole ed impotente, » ci resta un’unica speranza: gridare verso il Signore, (S. Hil.). – Utilità della preghiera nella tribolazione: – 1° essa è più pronta, a causa della necessità che abbiamo del soccorso divino: « Nella loro afflizione si affretteranno fin dal mattino verso di me; » (Osea, VI, 1); la tribolazione apre l’orecchio del cuore che spesso chiude la prosperità del secolo. (S. Greg. Moral.); – 2° essa è più costante: Giacobbe, temendo la collera di suo fratello Esaù, prega Dio, e non vuol lasciar partire l’Angelo finché non lo abbia benedetto; – 3° essa è più umile: « Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? » (Rom. VII, 24); – 4° essa è più fervente; « Signore, io rivolgerò le mia grida verso di Voi; il fuoco ha divorato le dimore nel deserto, e la fiamma ha bruciato tutti gli alberi delle campagne; gli animali dei campi saranno senza fiato verso di Voi, perché i ruscelli sono disseccati, perché il fuoco ha divorato le dimore del deserto; » (Gioel. I, 20); – 5° essa è più pura e gradita a Dio, e la benevolenza di Dio per voi, più grande; fate dunque in modo che tutta la vostra vita sia laboriosa e penosa, e ricordate che tutti coloro che vogliono vivere con pietà in Gesù-Cristo saranno perseguitati, e che è con le molte tribolazioni che bisogna entrare nel regno dei cieli (S. Chrys.);  –  6° essa è più soave, perché è allora che l’anima si getta interamente in Dio, che succhia a questo latte celeste delle mammelle divine chiudendo gli occhi a tutte le cose della terra; – 7° « essa è animata da una più grande fiducia, al pensiero che Dio è con noi nella tribolazione; – 8° essa è più efficace: « io ho gridato verso il Signore quando ero nella tribolazione, ed Egli mi ha esaudito. »  Signore, essi vi cercheranno nell’angoscia in mezzo ai dolori ed ai mormorii, Voi li istruirete ed essi riconosceranno la vostra mano, (Isai. XXVI, 16). – Che cos’è dunque la lingua ingannevole? È la lingua perfida che sembra mettervi innanzi il vostro bene e non prepara invece che la vostra perdita. Esse dicono: farete dunque ciò che nessuno fa? Sareste dunque solo voi Cristiano? E se voi mostraste loro che altri agiscono come voi; se leggete loro il Vangelo nel quale Dio ordina di fare così, o pure gli Atti degli Apostoli, cosa vi dicono questi uomini dalla lingua ingannevole e dalle labbra ingiuste? Forse non avrete la forza di andare fino al vostro fine; voi intraprendete una faccenda molto difficile. Gli uni vi allontaneranno dal bene con la loro opposizione formale, gli altri vi fermano ancor più pericolosamente con l’elogio che fanno della virtù (S. Agost.). – Il Profeta distingue le labbra inique dalle lingue ingannevoli. L’iniquità è arrogante e senza pudore, manifesta apertamente la sua impudenza, è in pieno giorno che prepara le sue insidie, e persegue l’adempimento dei suoi cattivi disegni: tali sono coloro che, negando l’esistenza di Dio, dicono che la Religione non ha alcune utilità nelle cose umane, che non c’è che un solo bene sulla terra, e cioè il darsi al lusso, ai piaceri del corpo, negando a Dio ogni cura, ogni provvidenza, ogni volontà, ogni potenza sulla condotta degli uomini. La lingua ingannatrice segue una condotta diversa: essa è cauta, ricorre all’astuzia, a pericolose dissimulazioni; essa cerca di distruggere la Religione nel nome stesso della Religione, ed a condurci alla morte sotto l’apparenza della vita (S. Hil.). – Nessuna tentazione è più pericolosa dell’essere soggetto agli attacchi di un uomo ingannevole. Un animale feroce è da temere di meno, perché esso si mostra qual è, mentre l’ingannevole nasconde accuratamente il suo veleno sotto il velo della dolcezza ed è impossibile scoprire queste insidie … Ora, se bisogna evitare gli uomini furbi e dissimulati, quanto più gli ingannatori e coloro che insegnano le false dottrine. Ma guardate soprattutto come libri ingannevoli quelli che cercano di attaccare la virtù e ad immergersi nel vizio. (S Chrys.).- Come Dio libera dalle lingue ingannevoli: – 1° facendo che colui che ne è l’oggetto non ascolti più (Ps. XXXVIII, 15); – 2° ispirandogli una profonda indifferenza verso tutti questi discorsi artificiosi (I. Cor., IV, 15); – 3° facendo in modo che non si dia fede a ciò che pissono dire; – 4° che le loro parole siano disapprovate; – 5° che l’uomo in preda ai loro attacchi metta tutta la sua fiducia nel testimonio divino che, dall’alto dei cieli, vede il fondo della sua coscienza; – 6° che ricordi tutto ciò che è stato detto contro Gesù-Cristo; – 7° che pensi che sia un mezzo per volgersi verso Dio (Ps. LXXXII, 15); – 8° che si ricordi che egli stesso sovente ha parlato male degli altri (Eccl. VII, 22). 

II – 3, 4.

ff. 3, 4. – Questi due versetti sono suscettibili di tre sensi che contengono tutti delle importanti istruzioni: – 1° senso – Cosa si può aggiungere ad un lingua piena di furberia, qual più grande male? In effetti delle labbra ingiuste possono esistere senza una lingua ingannevole, come quando si aprono alla calunnia ed agli oltraggi pubblici; ma quando una lingua ingannevole viene ad aggiungersi a delle labbra ingiuste, non si può aggiungere nulla a questo male. Frecce scoccate da una mano potente e abile che colpisce da lontano, imprevedibile, accompagnate da carboni bruciati, non possono entrare in comparazione con una lingua furba o artificiosa che fa in un istante piaghe che non si possono prevedere, né guarire, che, spinte dal demonio, stendono le loro devastazioni al di là di ciò che si possa immaginare, e accende dei fuochi di dissezioni, di divisioni, di odi ardenti che è impossibile spegnere. « La lingua non è che una piccola parte del corpo, ma quante grandi cose fa! Una scintilla brucia una grande foresta: la lingua pure è un fuoco; è un mondo di iniquità, è uno dei nostri membri che infetta tutto il corpo; essa brucia tutto il corpo della nostra vita, infiammata essa stessa del fuoco dell’inferno (Giac. III, 5, 6). – 2° senso. – Cosa riceverete, o qual frutto vi tornerà dalla vostra lingua ingannevole, cioè qual supplizio sarà degno di un tal crimine? È il linguaggio che Isaia usava con i Giudei: « Come colpirvi di più, voi che non cessate di aggiungere prevaricazioni? » (Isai. I, 5); o meglio, il Profeta vuol dire che l’uomo furbo trova il suo supplizio nel suo crimine, e che previene il castigo che gli è riservato anche quando genera il vizio del proprio fondo. Non c’è in effetti, supplizio più grande per l’anima del vizio, prima che sia punito. Qual castigo dunque sarebbe degno di tale crimine? Non ce n’è uno quaggiù. Dio solo può qui eguagliare il castigo alla colpa. L’uomo resterebbe necessariamente al di sotto perché questo genere di malvagità è al di sopra di ogni castigo. Dio solo può punirlo come merita, ed è ciò che il Profeta vuol fare intendere aggiungendo: « frecce acute, lanciate da mano potente con carboni divoranti. » una di queste espressioni metaforiche fa fuoriuscire la moltitudine di castighi, e l’altra la sua intensità. (S. Chrys.). – Non ci stupiamo allora che il Signore debba lanciare queste frecce acute e questi carboni ardenti contro i furbi. Dio è la verità essenziale; e colui che veste la maschera della verità per accreditare la menzogna, ferisce in qualche modo l’essere di Dio; egli dunque deve aspettarsi tutte le sue vendette. – 3° Senso – Sant’Agostino vede qui un dialogo nel quale l’uomo, in preda alla tribolazione, prega dapprima il Signore; poi il Signore gli risponde: quale rimedio ci sarà dato contro le lingue ingannevoli? Tu ne hai qualcuno a tua disposizione, eccolo: « Le frecce acute di un arciere vigoroso con carboni divoranti; cioè le parole di Dio che trapassano i cuori con gli esempi della carità ardente; perché se a questa parola di Dio, si aggiunge l’esempio della vera carità simile ad un carbone infiammato, nulla potrà resistergli (S. Agost.). – Quest’ultimo senso, benché molto edificante, è il meno letterale. Forse il santo Dottore ha in vista queste parole di San Paolo, invitanti i cristiani a non lasciarsi vincere dal male ed a trionfare del male con il bene, facendo questo, egli dice, voi ammasserete carboni ardenti sulla testa del vostro nemico (Rom. XII, 20).

III. — 5-7.

ff. 5, 6. –  « Me maledetto, perché si è prolungato il mio esilio. » È il grido di dolore dei prigionieri di Babilonia viventi in mezzo a popoli barbari; è anche il grido di dolore di Cristiani sulla terra, e San Paolo, parlando dell’esilio che si prolunga su questa terra, si esprime così: « Mentre siamo in questo corpo come sotto una tenda, gemiamo sotto il suo peso. » (II Cor. V, 4). Ed in altro luogo: « Non solo gemono la creazione, ma pure noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemmiamo internamente. » (Rom. VIII, 23). Che cos’è in effetti la vita presente? Un vero esilio. Cosa dico, un esilio? Essa è mille volte più triste di un esilio. La prima cosa, come la più importante per noi da sapere, è che noi siamo in questa vita come dei viaggiatori. Gli antichi Patriarchi lo riconoscevano altamente, ed è ciò che li rende degni della nostra ammirazione. « Ed è per questa ragione – aggiunge l’Apostolo – che Dio non arrossisce di essere chiamato loro Dio. » (Hebr. XI, 15, 16). Qual è questa ragione? Perché essi hanno confessato che erano stranieri e pellegrini su questa terra (S. Chrys.). – Ma c’è di più: Talvolta un uomo in viaggio vive in mezzo ad uomini migliori di coloro con i quali viveva nella sua patria; ma non è così nel nostro esilio fuori della Gerusalemme celeste. In effetti, un uomo lascia la sua patria, e talvolta si trova felice nel suo esilio; egli incontra degli amici fedeli che non aveva potuto trovare in patria. È necessario che egli abbia avuto dei nemici per essere cacciato dalla sua patria, ed ha trovato nell’esilio ciò che non aveva nella patria. Tale non è la celeste Gerusalemme, ove tutti gli abitanti sono buoni; chiunque si trovi fuori da queste sue mura è in mezzo ai malvagi, e non può ritrarsi da essi se non tornando nella società degli Angeli e dei Santi, ove tutti sono buoni e giusti … perché infine, se abita con dei giusti, non direbbe mai: « Me misero! » Me misero … , è il grido della miseria, il grido della sofferenza e dell’infortunio … « La mia anima è stata per lungo tempo errante in terra straniera. » Per timore che non si pensasse ad un viaggio corporale, il Profeta dice che l’anima è stato per lungo tempo errante. Il corpo viaggia cambiando i luoghi; l’anima viaggia cambiando i sentimenti. Se amate la terra, viaggiate lontano da Dio, se amate Dio, salite verso Dio (S. Agost.). – Quando si è considerata con gli occhi della fede la grandezza dei beni del cielo, la terra, con tutti i beni che racchiude, non sembra più degna di coinvolgere il nostro cuore più di questa tenda mobile che il pellegrino monta nel deserto, o di questi mobili preziosi che il viaggiatore incontra nell’albergo dove si ferma qualche istante per il pasto del mattino o il riposo della notte. – Il Profeta annunzia loro la pace, ma questi nemici della pace, non solo non la ricevono, ma attaccano senza motivo, con la loro malvagità, il predicatore della pace (S. Gerol. e S. Hil.). – Finché viviamo in mezzo al mondo, dimoriamo con gli abitanti del Cedar, con i nemici di Dio e della sua Chiesa, perché le tende del Cedar, tende nere e grossolane, sono quelle dello spirito delle tenebre, queste tende che ci offrono un riparo non racchiudono che il vizio, la menzogna, la furbizia, ed il mio cuore è troppo spesso simile, perché esso stesso non dà asilo che a pensieri vani e a colpevoli voluttuosità. Desideriamo dunque, come il profeta e come l’Apostolo, viaggiare lontano dal nostro corpo piuttosto che lontano da Dio, e non siamo come la maggior parte dei Cristiani, che amano talmente i giorni del loro viaggio e le tende del Cedar, che non hanno discorso più triste di quello che  intrattengono circa la partenza prossima da questa vita.

ff. 7. – Il Profeta dice che ha dimorato con gli abitanti del Cedar, ma non nelle abitazioni del Cedar, perché benché i santi vivano nella carne, tuttavia, se le armi con le quali combattono non sono carnali, ma potenti in Dio, essi abiteranno presso le tende, ma non sotto le tende del Cedar; perché separati dal loro corpo con le loro inclinazioni, e già cittadini del cielo con il cuore, essi intendono l’Apostolo dire loro: « Per voi, voi non siete nella carne ma nello spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi» (Rom. VIII, 9), (S. Hil.). – « Io ero pacifico con coloro che odiavano la pace .» Chi di noi oggi potrebbe avere questo linguaggio? È già molto per noi essere pacifici con gli amici della pace; ma lui lo era con coloro che odiavano la pace. Come potremo noi arrivare a questo grado di virtù? Se noi viviamo quaggiù come degli estranei, come viaggiatori che non si lasciano fermare da alcuna cosa che si presenti ai loro sguardi. In effetti, la causa principale delle controversie e delle guerre, è l’amore per i beni della terra, la passione per la gloria, per il danaro, i piaceri …  è per questo che Nostro Signore vi invia come pecore in mezzo ai lupi. Egli non vuole che possiamo dire: io ho tanto sofferto che il mio carattere ne sia stato amareggiato. Le vostre sofferenze fossero mille volte più numerose, come voi dite, conservate la dolcezza della pecora, e trionferete facilmente dei lupi. Voi siete in lotta con un uomo perverso e corrotto, ma le forze di cui disponete vi rendono superiore a tutti gli sforzi dei malvagi. Cosa c’è di più dolce di una pecora, cosa più feroce di un lupo? E tuttavia la pecora trionfa del lupo come vediamo nella persona degli Apostoli; perché nulla eguaglia la potenza della dolcezza, né la forza della pazienza … « Quando io parlavo loro, essi si levavano contro di me senza ragione. » È nel momento stesso in cui mi intrattenevo con loro, e che davo loro la mia amicizia, indirizzando loro le parole più benevoli, che essi si scagliavano ed ordivano le loro trame, senza che nulla fosse capace di fermarli; ciò nonostante, nei confronti di queste disposizioni odiose, la mia dolcezza non si smentiva. Tali devono essere i nostri sentimenti: non rispondano essi al nostro amore che con i loro oltraggi e con cattivi trattamenti, tendano insidie, non lasciamo opporre loro la stessa virtù. (S. Chrys.). – Vivere in pace con anime pacifiche, con spiriti moderati, con moti socievoli, sarebbe appena una virtù da filosofo e da pagano; molto meno deve essere per una virtù soprannaturale e cristiana. Il merito della carità, diciamo meglio, il dovere della carità, è conservare la pace con uomini difficili, scontrosi, importuni. Perché? Perché può accadere, ed in effetti tutti i giorni accade, che i più importuni ed i più scontrosi, i più difficili ed i più tristi, siano giustamente coloro con cui dobbiamo vivere in più stretta società, coloro dai quali ci è meno possibile separarci, coloro ai quali, nell’ordine di Dio, noi ci troviamo uniti con i legami più indissolubili. (BOURDALOUE, Sur la Nat. de Notre-Seig.).

PREDICHE QUARESIMALI (2020 – VI)

[P. P. Segneri S. J.: QUARESIMALE – Ivrea, 1844, dalla stamp. Degli Eredi Franco – tipgr. Vescov.]

XXXVI

NEL DI’ SOLENNE DI PASQUA

Oportet corruplibile hoc induere in corruptionem, et mortale hoc induere immortalitatem.

S. Paul. l. ad Cor. XV 53.

I. Tra quante religioni, o antiche o moderne, hanno fiorito fra’ popoli, niuna, fuor della cristiana, ritroverassi, che non sia stata singolarmente piacevole verso il corpo concedendogli tutti i piaceri onesti, e molto consentendogli ancora i vituperosi. La nostra sola gli si è mostrata perpetuamente sì rigida e sì ritrosa, che facilmente potrebbe credersi nata a perseguitarlo. Vien ella al mondo; e sfoderando incontanente una spada di dolorosissimo taglio: guerra, guerra, dic’ella; quest’è quel ch’io vengo a cercare fra’ popoli. Chi mi vuol per amica, non mi ragioni di morbidezze e di agi, di riposo e di ozio, perch’io protestomi apertamente che questo non è ‘l mio fine: non veni pacere mittere, sed gladium (Matt. X. 34). Quindi promulgando con ordine più distinto le sue determinazioni: olà, soggiungo, voi che sposaste così gran turba di mogli, licenziatele tutte, che al più sol una mi contenterò di lasciarvene; e questa di modoche non possiate abusarvene per impeto di libidine, ma sol valervene per desiderio di prole. Che se bramate di essermi più graditi, non vi sia grave rinunziar anche a questo gran privilegio, conceduto alla natura, di perpetuare voi stessi col propagarvi. Date volontario rifiuto ad ogni diletto, il quale abbia del sensuale; e se ribelle vi ricalcitri il senso, ascoltate me. Sottraetegli gli agi con la volontaria mendicità, diminuitegli il cibo con le frequenti astinenze, interrompetegli il sonno con le importune vigilie; e se non basta, rintuzzategli ancora con le sanguigne flagellazioni l’ardire. Evvi boscaglia spaventosa in Egitto? Correte lieti per mio consiglio ad ascondervi in quegli orrori. Allora mi sarete più cari, quando io vedrovvi aver per casa o gli scogli, o le sepolture. Là vi offerisco per compagnia fiere orribili, per vitto radiche amare, per bevanda acque insipide, per vesti setole acute, e per letto rottami tormentosissimi. E perché io so che, non ostante la vostra nota innocenza, avrete molti avversarj, che vi vorranno ostinatamente rimuovere dal mio culto, guardate bene, ch’io non voglio essere abbandonata da voi né per prieghi, né per promesse, né per terrori. Quando alcuno vi tratti di ribellione alla fede da voi giuratami, e voi per risposta offrite subito pronte le carni a’ graffi, i nervi alle torture, l’ossa alle seghe, i denti alle tenaglie, gli occhi alle lesine, e ‘l collo stesso alla scure. Vi mostreranno da un lato fornaci ardenti; e voi accettate d’entrarvi: vi additeranno dall’astro stagni gelati; e voi consentite di seppellirvici: né mai vi siano o precipizi sì cupi, o fiere così fameliche, o ruote sì tormentose, o saette sì acute, o graticole sì roventi, per cui timore voi ritrattiate pur uno di quegli articoli ch’io v’insegno. – Queste sono le pubbliche intimazioni che a’ suoi seguaci ha fatte fin da principio la nostra legge: nolite timere eos, qui occidunt corpus (Matth. X. 28). Ebbene che dite, uditori? Vi basta l’animo di porle in esecuzione? Parmi di vedervi a tal nuova, turbati e taciti, non osar di aprire la bocca per lo spavento. Ma allegramente, signori, si, allegramente, che presto alla ferita succede la panacea, e all’aconito nasce vicino ne’ prati stessi l’antidoto. Quella legge medesima, la qual ordina che si debba odiar questo corpo, e perseguitare, e percuotere, e sospendere ancora, se ciò bisogni, con quello del nostro Cristo su un duro tronco; questa medesima è la prima anche a trattar di restituircelo, come fu renduto oggi a Cristo, di lacero intero, d’infermo sano, di livido risplendente, di caduco immortale, e di affaticato impassibile: mentre, qual grano di frumento disfatto sotto la terra, è vero ch’egli morrà, ma per ravvivarsi; è vero ch’egli marcirà, ma per rifiorire; è vero ch’egli si perderà, ma per ricuperarlo nella ricolta più bello assai che non era, e più rigoglioso. Oportet corruplibile hoc induere in corruptionem, et mortale hoc induere immortalitatem. – Sarà pertanto questa sera mio debito di mostrarvi, ma brevemente, quanto sia giusto che venga chiamato anche egli a parte del premio nel paradiso chi a sì gran parte di patimenti è nel mondo; affinché voi siate corti, che se nel corso di questo sagratissimo tempo quaresimale avete molto nella carne patito, digiunando, disciplinandovi, macerandovi, dovrete poscia eternamente godere ancor nella carne, ma già gloriosa.

II. Pirro, capitan celeberrimo nell’Epiro, sentendosi non so qual volta onorare da’ suoi soldati col nome di Aquila, per la velocità con cui egli volava, combatteva, abbatteva ogni suo nemico: è vero, rispose loro, ch’io sono un’aquila; ma voi, soldati miei, siete l’ale, su cui m’innalzo. L’istesso, s’io non m’inganno, l’istesso l’anima può affermar che a lei sieno tutte le membra del corpo, ciò che al capitano i soldati; che è come dire, l’ale che per lui stanno sempre in perpetuo moto, in agitazione, in faccenda. E vaglia la verità, qual è quell’operazione, quantunque minima, che possa fare ora l’anima senza il corpo? Non può dire parola, non può dar passo, non può formare un pensiero. Se afflitta vuol ella esprimere i suoi dolori, convien che prenda dal corpo in prestito le lagrime ed i sospiri; se lieta gode di palesare i suoi giubili, convien che il corpo ancor egli le somministri i risi e i tripudj. Invano per lei risplendono tante stelle nel firmamento, se il corpo negale occhi da vagheggiarle. Dal corpo ell’ha quel diletto che trae da’ cibi; dal corpo quel che le porgono le armonie: dal corpo quel che le rendono le fragranze; dal corpo quello che le offeriscono i giuochi; dal corpo quelle che le conciliano i sonni; e per restringere il tutto con Tertulliano in brevi parole: quem naturæ usura, quem mundi fructum, quem elementorum saporem, non per camera anima depascitur? (De resurr.carnis); – Or immaginatevi, che amorperò non prende subito l’anima a questocorpo, da cui si trova in progresso breve ditempo sì ben servita! Vien ella tosto ad affratellarsitalmente con esso lui, che nienteal mondo teme più del suo danno, o desidera del suo bene.Quanto difficilmente però contenterebbesi ella di soggettarlo a così gravi strapazzi, quali son quei che la nostra Religione o ne insegna, o ne ordina, o ne consiglia, se non datesse riportarne ancor egli qualche profitto! Considerate un magnanimo capitano. Vedrete che a lui non basta d’essere premiato egli solo per la vittoria che ha riportata pugnando; signori no; rea vuol che il premio ripartasi parimente a que’ guastatori ch’hanno scavate le mine: a quegli assalitori che son saliti su’ merli; a que’ sergenti ch’hanno schierate le file; a quelle scorte ch’hanno guidato l’esercito e sino a que’ fantaccini che sono stati a custodire oziosamente il bagaglio tra i padiglioni.  Così fece al certo Davidde d’allor ch’egli era capitano ancora privato. Uscì egli un giorno con seicento de’ suoi a perseguitare una truppa di Amaleciti, i quali gli avevano divampata la terra di suo ricovero con saccheggiarne le masserizie e gli armenti, e con rapirne le femmine ed i bambini; quando in arrivare a un certo torrente, dugento di quei soldati stanchi e scalmati si abbandonarono su le sponde di esso, né il vollero tragittare; gli altri quattrocento passati animosamente, colsero all’improvviso i nemici baldi e festosi per la fresca vittoria, li ruppero, gli sconfissero, li fugarono, e ne riportarono tutta intera la preda. E già volevano allegramente partirsela tra lor soli; quando: fermate (disse loro Davidde), ch’io mi contento che voi molto bene abbiate la parte vostra; ma dov’èla parte di quegli, i quali sono rimasti si lassi al fiume? Come (ripigliarono gli altri) di que’ codardi? E qual fatica è giammai stata la loro, se non giacersene, mentre noi pugnavamo, all’ombra degli alberi ed alla frescura dell’acque? Non accade altro (replicò tosto Davidde), io voglio che così sia. E così fin d’allora promulgò questo editto, rimasto tra gli Ebrei per legge inviolabile, che di qualsivoglia bottino fosse data eguale la parte e a quo’ soldati ch’eran discesi alla zuffa, e a quegli ch’eransi trattenuti al carriaggio. Æqua pars erit descendentìs ad prælium et remanentis ad sarcinas (1 Reg. XXX. 24). – Ora io v’argomento così: se è ragionevole che sia premiato chi al tempo della battaglia non altro fece che custodir fra le tende la munizione, perché in qualche modo può affermarsi di esso, che cooperò alla vittoria; non sarà giusto che sia premiato ancor egli chi ricevé le ferite, chi sparse il sangue, chi perdette le membra, chi die la vita? Ma queste son le parti del corpo ne’ gran conflitti che noi sosteniamo per la fede, o per la giustizia. Del corpo sono, del corpo quelle ferite che ci formano le zagaglie, non son dell’anima; del corpo è quel sangue, di cui s’inebbria il terreno; del corpo quelle membra, onde saziansi i leopardi; del corpo quella vita, che si consacra alla morte: e poi volete che il corpo solo rimanga senza mercede? Se così fosse, pare che l’anima non avria fronte a richiedere tanto da lui, e per conseguente pochi avrebbe la nostra religione, che la difendesser ne’ tribunali; pochi che la sostenessero nelle carceri; e pochi che con dispendio delie proprie comodità perpetuamente cercassero i suoi vantaggi. – Giustamente dunque ha Dio fatto a voler che corpo venga premiato eternamente ancor egli insieme con l’anima; sicché chi è stato così congiunto nell’opera, non resti poi separato nel guiderdone. Oportet, oportet corruplibile hoc induere in corruptionem, et mortale hoc induere immortalitatem. Ma perché oportet, se noi vogliamo stare al parere del Nazianzeno? (Orat. 10. in laud. Cæs.) se non perché è ragionevole che cum anima cognatam carnem receperit, eam quoque ad gloriæ cœlesiis hæreditatem secum admittat, et jucunditates suas cum ipsa comunicet, quæ ærumnarurn particeps fuit!

III.  Quind’io mi avanzo meglio ancora a discorrere in questa forma. Già voi sapete, uditori, che, mercé la gran dipendenza ch’abbiam da’ sensi, più ci sentiamo noi muovere dagli oggetti sensibili e pateriali, che dagli spirituali ed astratti. Esaminate pur voi la maggior parte degli uomini, ancora non popolari: vedrete che essi per lo più non intendono come possa uno ritrovar nello studio piacer sì grande, chea fin di chiudersi a conversare coi morti in un gabinetto, rinunzii a’ giuochi, sdegni le caccie, si dimentichi di mangiare, non pensi a bere; e quando essi odansi, per cagione di esempio, dir da un Plutarco, scrittore di tanto grido, ch’egli, benché morto di fame, lascerebbe il vero convito, imbandito sì lautamente nella Feacia per leggere il finto, descritto sì elegantemente da Omero, se ne fanno beffe, come d’una di quelle millanterie facili a dirsi, perché sono difficili ad impugnarsi. – Or posto ciò, come avrebbe mai Dio potuto ottenere da tanta moltitudine di uomini rozzi, indisciplinati, grossolanissimi, ch’essi venissero volentieri a privarsi per amor suo di tanti beni corporei, quali sono splendor di ricchezze, abbondanza di agi, molteplicità di delizie, se poi per contraccambio lor promettesse una tal sorte solamente di premj che, quantunque sublimi di qualità, non però fossero comprensibili a’ sensi? Perdonatemi, o mio Signore, s’io tanto ardisco d’inoltrarmi a parlare in questa materia. So ben io che la vera beatitudine, la quale in cielo renderà paghi gli eletti, sarà la vista svelata del vostro volto, e la notizia distinta de’ vostri arcani. Così voi concediate a questi occhi miei, che un dì vi possano vagheggiare a lor agio, com’io di null’altro bene mi curerò. Resterà subito il mio pensiero assorbito in quel vasto oceano di una grandezza infinita, ed ivi non ritrovando né spiaggia dove approdare, né fundo ove ghignerò, amerò di andare eternamente annegandomi in un giocondo naufragio di contentezza. Ammirerò quel Ternario ineffabile di Persone, che forma numero, e non moltiplica essenze. Contemplerò quelle tante sorte di relazioni, ma lungi da ogni subordinazione di dipendenza; quelle tante opposizioni di termini, ma esenti da ogni pericolo di discordia. Vedrò un Primo, che di un Secondo è principio; eppure non lo precede; scorgerò un Secondo, che da un Primo ha l’origine; eppure non ne dipende; mirerò un Terzo, che dal Primo trae l’esser col Secondo eppure né al Secondo è fratello, né figliuolo al Primo. Intenderò come possa essere che in Dio sia la fecondità sì perenne, mentre non può generarsi più di un figliuolo; come la facondia così perfetta, mentre non si può esprimere più di un Verbo; e di scorrendo per quel che di esso avrò letto nelle Scrittore, imparerò com’egli si penta, eppur non cambi volere; com’egli si attristi, eppur non provi afflizione; com’Egli si adiri, eppur non abbia contrasto; come Egli si parta, eppur non alteri sito; come, senza sentire alcun peso, il tutto sempre sostenga, e con un sol dito;come, senza patire alcun tedio, al tutto sempre provveda, e con un sol atto; come sia liberale, ma senza scapito; come libero, ma senza mutazione; come intendente, ma senza specie; come presente, ma senza luogo; come antico, ma senza tempo; come nuovo, ma senza incominciamento. Questo sarà, non lo nego, quel sommo bene, che, s’io sarò degno di tanto, mi renderà perpetuamente felice. – Ma qual concetto voi ne formate, uditori? Là uno sta dormendo; là un altro sta per dormire; e tra queste buone donne non mancano ancora alcune che, censurandomi, stanno quasi quasi per mettersi a dir tra loro ch’io vo tropp’alto. Né me ne meraviglio, vedete; perché io medesimo, il quale di tal bene vi parlo, non io capisco. Balbetto come fanciullo, accozzando termini, quanto tra sé per la opposizion più ammirabili, tanto da me per la profondità meno intesi. Figuratevi dunque ch’altra felicità non avesse Dio promessa in Cielo a’ suoi servi, di questa ch’è la maggiore; quam oculus non vidit, quam auris non audivit(1 ad Cor. II. 9); ahimè, ch’io temo che i più gli avrebbero detto  non la curiamo: nauseat anima nostra super cibo isto levissimo(Num. XXI. 5); e, come fecer gli Ebrei, non avrebbero per la manna voluto lasciar le starne, lasciare le coturnici; ch’è quanto dire, non avrebbero voluto per un tal bene, ch’è astruso ed impercettibile all’istesso intelletto, lasciarne tanti, che son chiari e palpabili ancora a’ sensi. – Che ha fatto però Dio pietosissimo in tollerare i difetti umani? Si è accomodato ad una tal debolezza d’inclinazione, ed ha voluto nel cielo apprestarci beni, i quali non solamente fossero pari per equivalenza a’ corporei, ma simili in qualità; sicché queste mani ancor, queste orecchie, queste nari, questo palato, questi occhi, abbian realmente il suo diletto distinto, con cui sfogare i loro innati appetiti. Oportet, oportet corruptibìle hoc induere in corruptionem, et mortale hoc induere immortalitatem; ch’è ciò che intese il beato Lorenzo Giustiniano, ove lasciò scritto, che caro, benché spiritualis effecta, contuttociò per omnes sensus suos multimtodis exuberavit deliciis(Lib. de discipi. perfect. monast.).

IV. Ed ecco che Dio con questo è insieme venuto a rendere inescusabili tutti quei che non giungeranno a salvarsi. Perocché ditemi: che mi potete voi ora opporre, o Cristiani, quando in suo Nome io v’inviti a mortificarvi, ch’è giusto dire, a rinunziar que’ diletti che solete ora sfrenatamente concedere a’ vostri sensi? Potrete storcervi? me lo potrete negare? – Potrebbe, è vero, parervi cosa durissima il vietar ora a’ vostri orecchi il sollazzo ch’essi ricevono da quelle femminili armonie, di cui risuonano spesso i vostri teatri, o i vostri festini, o le vostre veglie, quando mai più voi non doveste provare un diletto simile. Ma mentre io vi assicuro che goderete questo gener medesimo di trastullo in maniera ancor più perfetta e più lusinghevole, né lo godrete sol per brev’ora, ma per tutta l’eternità con aver sempre ad ogni minimo cenno i musici ubbidienti, i sonatori pagati, e gli organi aperti; perché dovrà parervi ora tanto molesto, non dirò perderlo ma dirò differirlo? Non udiste più volte che il primo suono di un violino toccato per mani angeliche bastò ad affogare l’animo di Francesco febbricitante in un torrente di giubilo così alto, che, rotti gli argini, traboccò ancora nel corpo, e vi traboccò di maniera, che ne portò via rapidamente ogni specie d’infermità, benché contumace, ogni debolezza, ogni doglia? Or questo piacere appunto avranno cotesti medesimi vostri orecchi: e non l’avranno momentaneo e fugace, come fu quello, ma stabile e permanente. E non rinunzierete per esso, finché vivrete, a qualunque musica vana? Non voglio, o ghiotti, che vi priviate in eterno di quel diletto che voi provate fra tante varie saporose vivande; voglio che aspettiate anche un poco, finché finiscasi d’imbandir quella tavola, di cui avendo in un suo ratto gustato l’abate Salvi, masticava poi sempre i cibi nostrali, come aconiti tartarei. Non voglio, ogiovani, che rinunziate in eterno a quel godimento ch’or voi cavate dal vagheggiare una lusinghevol bellezza; voglio che induriate anche un poco, finché veniate introdotti a quelle conversazioni, di cui avendo in una sua visione partecipato l’abate Silvano, fuggiva di poi sempre le facce amane, come visaggi diabolici. Che potete a questo rispondermi? Voglio altr’io, se non che siate contenti di ricevere quello stesso che voi siete sì avidi di ottenere? Questa è la vera maniera di persuadere: esortarvi a quel medesimo appunto che voi vorreste. Vera ratio persuadendi est, cum id poscitur, ut impetremus a vobis quod concupiscitis, diceva il santo vescovo Eucherio (Ep. 1. paraen.); e diceva bene. – Voi vi vorreste saziar di gusti corporei: non è così? Ed io di gusti corporei voglio che vi saziate: con quest’unica differenza, che voi li desiderereste sozzi, ed io voglio darveli puri; voi li desiderereste manchevoli, ed io ve li voglio dare perfetti; voi li desiderereste caduchi, ed io voglio darveli eterni: hoc, quod exiguum amatis, insinuamus, ut ametis æternum. Questo è sol quanto discordiamofra noi: che voi vorreste il meno,e io vi offero il più. Vi par però questaofferta da non curare?

V. È vero che dovete aspettare ancor qualche poco a conseguire ì diletti da me promessivi. Patientia vobis necessaria est, (come già diceva l’Apostolo – ad Heb. X. 36) ut reportetis promissionem. Ma quando il cambio è molto più vantaggioso, chi non lo accetta, benché abbia a rimborsarsi al quanto più tardi? Se voi, per figura, vedeste alcun vignajuolo, che sul principio di agosto, quando ancor l’uva tutta è minuta ed acerba, vuol mettersi a vendemmiare, per aver quanto prima piene le grotte; e che però già chiama i vendemmiatori, già ripartisce i coltelli, già mozza i grappoli, già riempie le corbe, già fa gemere i torchi, già spreme il mosto; che gli direste? Approvereste Voi questa sciocca celerità? questa insensata. ingordigia? Ferma, gli direste: che fai, sconsigliatissimo economo de’ tuoi beni? E non è pur meglio riporre l’istesso vino alquanto più tardi, ma quando sarà già dolce, spiritoso, piccante, e così più atto a durare, che rimetterlo un poco prima, ma mentr’egli è ancora agrestino, fiacco, immaturo, e però più disposto ad infradiciarsi? Il simile voi direste ad un giardiniere, il quale volesse cogliere i pomi, ancora non coloriti; il simile a un mietitore, il quale volesse segare le spighe, ancora non bionde; il simile a un cacciatore, il qual volesse importunare le selve, ancora non popolate. E perché non poss’io dire il simile ancor a voi, mentre con tanto discapito vi volete nella vita presente anticipar que’ diletti che vi potreste alla futura serbar con tanto interesse? Giacché, come pur disse acutissimamente Filone ebreo: oblectamenta præsentis vitæ quid sunt, nisi furia delectationum vitæ futuræ? – Ma s’è così, rispondetemi ora, Cristiani miei: non vi par che Iddio con riserbar anche al corpo i suoi guiderdoni, ch’è appunto dire, con ammetterlo a parte di quella gloria, la qual fu oggi donata al corpo di Cristo; non vi par, dico, che gli abbia tolta ogni scusa, quand’egli nieghi di sottoporsi allo spirito, di cedere alla ragione, e di mortificarsi in onor dello stesso Cristo? Anzi io vi dico, ch’ha tolta ancora in questo modo ogni scusa a chiunque or tema codardamente la morte, non che la mortificazione; e non abbia per sommo de’ desiderj quel che si chiamava già l’ultimo de’ terrori. Ma perché lasciare questa volta al discorso le vele gonfie, sarebbe quasi un volere abusar quell’aura che mi concede la vostra benignità, contentatevi un poco che qui, benché quasi in alto, noi gettiamo l’ancore, finattantoché a favore de’ poveri possa farsi una buona pesca, una buona preda, e poi ci studieremo di prendere tosto terra.

SECONDA PARTE

VI. Ben pare adunque che tra noi più non meriti scusa alcuna chi sa di dovere un giorno col Redentore gloriosamente risorgere a miglior vita, e contuttociò segue ancora a temer vilmente, non pur la mortificazione, ma ancor la morte. Catone il forte, veggendo ormai vicino a spirare nella sua romana repubblica quel quasi fiato  sapremo di Libertà che ancora vi rimaneva, deliberò di finir prima la vita, per dimostrare che non potevan sopravvivere o Catone, mancata la libertà, o la libertà, mancato Catone. Si die pertanto una mortal pugnalata con quella mano che fin allora aveva serbata purissima d’ogni sangue; e perché molti incontanente vi accorsero a trattenerlo, poterono bensì questi levargli il ferro e chiudergli la ferita, ma non però sminuirgli punto l’ardire. Perocché, rimasto alfin solo, raccolse subito quell’estremo di forze che gli restavano, ed adirato quanto dianzi con Cesare, tanto allora con sé, che non aveva saputo presto morire a quel primo colpo, si strappò tutte furiosamente le fasce della ferita, ed al suo spirito, disprezzator d’ogni cosa, ancor di se stesso, non permise l’uscita, gli die la spinta: non emisit, sed ejecit. Forsennato ardimento, non può negarsi; né io pretendo qui di recarlo come lodevole, mentre so che tanto empio è voler morire a dispetto della natura, quanto sarìa voler vivere. Ma se voi chiederete a Seneca, come mai Catone avvalorasse il suo petto di tal coraggio, e ‘l suo braccio di tanta lena, che far potesse sì grave insulto alla morte con provocarla, udirete dirvi, che tutto quanto egli fece leggendo quel si bel libro, intitolato il Fedone, cioè quel libro, in cui Platone dimostra l’immortalità dell’anima umana (Ep. ik. lib. 33). Il ferro fece ch’egli potesse morire, Platone ch’egli volesse: Ferrum fecit ut mori posset; Plato ut vellet. Perocché mentre egli rimaneva persuaso che l’anima non moriva insieme col corpo, stimò facile il perdere di se stesso una sola parte; massimamente allor ch’egli, col divenire prigion di Cesare, la dovea tra poco o lasciare a’ piè di un carnefice, o ricevere in dono da un inimico. Or dite a me: se tanto poté Catone animarsi con tal pensiero, che sarìa stato s’egli avesse creduto che neppur quella qualunque parte di sé egli perdeva propriamente; ma che, lasciandola alla terra in deposito, piuttosto che in abbandono, doveva un dì ripigliarsela assai più bella ed assai più vigorosa, ch’allor non era? Non vogliam credere che gli avrebbe aggiunto gran forze, promettersi ancor del corpo quella immortalità, quella gloria, quel godimento, che dell’anima si prometteva? Matanto è quello che noi possiamo prometter a noi medesimi, massimamente da che risorto in questo dì noi vediamo il nostro Gesù, e temeremo, non dirò già di provocare la morte insolentemente, quando Dio ce la nieghi, ma di accettarla quando Dio ce la mandi? Oh codardia! oh debolezza! oh viltà! – Io so che voi vi sarete messi più volte con gran diletto a mirar l’ecclissi del sole. Eppure, oh se voi sapeste che confusione è mai quella che allor succede tra alcuni popoli semplici del Perù, voi vi stupireste! Tosto tra le donne si leva un pianto sì alto, sì dirotto, sì mesto, sì universale, come se non più dovess’esserci sole al mondo. Si squarcian vesti, si strappano capelli, si graffian gote; ed a fin di smorzare quella grand’ira che stimano accesa in cielo, tutte salassansi acerbamente le vene con acute spine di pesce, facendone a gara piovere largo sangue. Laddove noi ci ridiamo di’ tanto affanno, e nelle ecclissi che accadono, ancorché strane, non temiamo, non ci turbiamo, anzi, a fin di mirarle più attentamente, caviamo subito fuori le conche d’acqua, e quivi, come in laghetti, tanto più limpidi, quanto meno agitati, andiamo a parte a parte osservando ne’ riflessi fedeli ogni moto d’esse, i principj, le declinazioni, i progressi, i decrescimenti; né dubitiamo di chiamare altri in gran numero a contemplare, con ardir simile al nostro, gli scolorimenti funesti di un sì bel volto, e a considerarne i languori. E perché franchezza sì grande? Perché per la molta perizia la quale abbiamo de’ rivolgimenti celesti, sappiam che fra poco d’ora ritornerà agli oscurati pianeti la lor chiarezza, e ch’essi stanno nascosti, non son perduti. L’istesso noi, morendo, sappiamo de’ nostri corpi, e temeremo come iGentili medesimi, che non hanno speranza alcuna di vita eterna, né di resurrezione corporale? Et contristabimur sicut et cæteri, qui spem non habent? (ad Thessal. IV. 13)

VII. Oh quanto inescusabile in noi sarebbe una simile codardia! – Che però vediamo oggidì che femmine imbelli, che teneri fanciulletti si son recati a vergogna di temer punto i visaggi ancor della morte più spaventosi; edo su lecroci han cantati Salmi digiubilo, come Mammete e Vito, bambini amabili; o nelle fiamme hanno spiccati salti ancor di trionfo, come Apollonia e Lucia, donzelle innocenti: per non favellar di un Lorenzo, che su l’istessa graticola ardì scherzare, edoffrire le sue carni arrostite per liuto pascolo a’ suoi tiranni voraci. Ne læteris, inimica mea, super me; sentile come i  giusti sibeffano della morte con quell’insulto bellissimo che impararono dal profeta Michea (VII, 8); ne laeteris, inimica mea, super me, quia cecidi. Lascia pure, o morto, di andare di me superba, quasi che tu m’abbia atterrato. Consurgam, cum sedero in tenebri* (Ibid.) Dappoiché sarò stato per alcun tempo a giacere tra l’alte tenebre d’un sepolcro, sorgerò, sorgerò. Dominus lux mea est(Ibid.). E non so io che il mio Signore ha da essere quel bel sole che mi ravvivi? Iram Domini portabo, quoniam peccavi ei(Ib. VII, 9). Porterò, comepeccatone, ilsuo giusto sdegno, coll’andardi presente disciolto in cenere. Ma ciòfin a quanto? Donec causam meam judicet Sino al didel Giudizio; non più, non più.E allor che sarà? Educet me in lucem(ìb.), educet me in lucem. Oh che gioja, oh che giubilo, o che trionfo! Educet me in lucem.Verrò tratto allor dal sepolcro a goderla luce, non già più corruttibile, ma immortale. Et videbo justitiam ejus(Ibid.);e vedrò quanto Dio sia giusto in premiarenel corpo stesso chiunque avrà punto patitoper amor suo. Chi dunque non ammiracome savissima la determinazione del nostroDio, mentre ha voluto che non sial’anima sola a godersi in cielo la propria immortalità e la propria beatitudine, ma che nesia fatto egualmente partecipe ancora il corpo; e però lo rende oggi a Cristo per avvivare, nella trionfale resurrezione di Lui, le speranze nostre? – Se tanto viene a prometterci, può da noi tutti la nostra fede richiedere quanto vuole. Patisca pure questo misero corpo, si maceri, si mortifichi, e con atti ancora più orribili si distrugga; beato lui! Ben intendiamo che non è crudeltà togliere dai granai la semente,  ed esporla all’acque, a’ venti, alle brine,a’ ghiacci, alle vampe, ed a tutte le ingiuriedella campagna; mentre quel frumentomedesimo che marcisce, quel frumentomedesimo ha a rifiorire; né potrìarifiorire, se non marcisse.