QUARE ERGO RUBRUM EST INDUMENTUM TUUM, ET VESTIMENTA TUA SICUT CALCANTIUM IN TORCULARI? … ET ASPERSUS EST SANGUIS EORUM SUPER VESTIMENTA MEA, ET OMNIA VESTIMENTA MEA INQUINAVI . – Gestito dall'Associazione Cristo Re Rex Regum"Questo blog è un'iniziativa privata di un’associazione di Cattolici laici: per il momento purtroppo non è stato possibile reperire un esperto teologo cattolico che conosca bene l'italiano, in grado di fare da censore per questo blog. Secondo il credo e la comprensione del redattore, tutti gli articoli e gli scritti sono conformi all'insegnamento della Chiesa Cattolica, ma se tu (membro della Chiesa Cattolica) dovessi trovare un errore, ti prego di segnalarlo tramite il contatto (cristore.rexregum@libero.it – exsurgat.deus@libero.it), onde verificare l’errore presunto. Dopo aver verificato l’errore supposto e riconosciuto come tale, esso verrà eliminato o corretto. Nota: i membri della setta apostata del Novus Ordo o gli scismatici ed eretici sedevacantisti o fallibilisti, o i "cani sciolti" autoreferenti falsi profeti,non hanno alcun diritto nè titolo per giudicare i contenuti di questo blog. "
« … Noi veramente adoriamo umilissimamente gli imperscrutabili giudizi di Dio, cui piacque farci vivere in questi infelicissimi tempi nei quali, per opera di alcuni uomini, e particolarmente di coloro che nell’infelicissima Italia reggono e governano la cosa pubblica, i comandamenti di Dio e le leggi della Santa Chiesa sono interamente calpestati, e l’empietà leva impunemente più alta la testa e trionfa. … Nostro vediamo. Quindi quelle molteplici falangi che, camminando nelle empietà, militano sotto il vessillo di Satana, su cui sta scritto menzogna, e che ispirandosi alla ribellione, e parlando contro il cielo, bestemmiano Dio, contaminano e disprezzano ogni cosa sacra e, conculcato ogni diritto divino ed umano, simili a lupi rapaci anelano alla preda, spargono il sangue e perdono le anime coi loro scandali gravissimi, e cercano nei modi più ingiusti di fare guadagni con la loro malizia, rapiscono violentemente l’altrui, contristano il povero ed il debole, aumentano il numero delle misere vedove e dei pupilli e, accettando doni, perdonano agli empii, mentre negano giustizia all’uomo giusto e lo spogliano; corrotti di cuore, si adoperano a soddisfare turpemente tutte le loro prave passioni, col massimo danno della stessa società civile. Oggi siamo circondati da questa razza d’uomini scellerati … » Se il Santo Padre S. S. Pio IX, fosse ancora vivo ed operante, oggi scriverebbe le stesse identiche cose nei confronti dei governanti italiani, che dal suo tempo non sono affatto migliorati, anzi sono sempre più coinvolti nel giogo di satana e delle conventicole luciferine anticattoliche che li guidano con feroce scaltrezza. Ma la loggia più funesta, soprattutto per l’anima, si trova oggi nel luogo – un tempo – santo, ove ha posto la sua cattedra di pestilenza eclissando la vera Chiesa Cattolica e riducendo il Santo Padre impedito in una vita di catacomba, come nei tempi passati. Ma come allora questo farà risplendere ancor più la gloria del Signore e del Cuore Immacolato di Maria che ci ha già da tempo predetto il suo trionfo. Analoga situazione di persecuzione, anche se più grossolana ed evidente, è quella che ugualmente si verificava nella Russia e perdura oggi nei Paesi comunisti un tempo cattolici. Ma la fede avrà modo di risplendere più brillantemente in coloro che impavidi saranno forti e perseveranti fino alla fine. Tremino i nemici del Cristo, laici, finti prelati, atei e nemici dell’uomo, il loro tempo è oramai prossimo, e quando sembrerà loro di aver tutto conquistato, saranno ribaltati in un attimo dal soffio della bocca di Cristo, così come nella Pasqua di 2000 anni or sono.
Pio IX
Levate
Venerabili Fratelli, levate in giro i vostri occhi e vedrete, e insieme con Noi sentirete grandissimo dolore per le pessime abominazioni dalle quali oggi questa misera Italia è specialmente funestata. Noi veramente adoriamo umilissimamente gli imperscrutabili giudizi di Dio, cui piacque farci vivere in questi infelicissimi tempi nei quali, per opera di alcuni uomini, e particolarmente di coloro che nell’infelicissima Italia reggono e governano la cosa pubblica, i comandamenti di Dio e le leggi della Santa Chiesa sono interamente calpestati, e l’empietà leva impunemente più alta la testa e trionfa. Da ciò originano tutte le iniquità, i mali e i danni che con sommo dolore dell’animo Nostro vediamo. Quindi quelle molteplici falangi che, camminando nelle empietà, militano sotto il vessillo di Satana, su cui sta scritto menzogna, e che ispirandosi alla ribellione, e parlando contro il cielo, bestemmiano Dio, contaminano e disprezzano ogni cosa sacra e, conculcato ogni diritto divino ed umano, simili a lupi rapaci anelano alla preda, spargono il sangue e perdono le anime coi loro scandali gravissimi, e cercano nei modi più ingiusti di fare guadagni con la loro malizia, rapiscono violentemente l’altrui, contristano il povero ed il debole, aumentano il numero delle misere vedove e dei pupilli e, accettando doni, perdonano agli empii, mentre negano giustizia all’uomo giusto e lo spogliano; corrotti di cuore, si adoperano a soddisfare turpemente tutte le loro prave passioni, col massimo danno della stessa società civile. – Oggi siamo circondati da questa razza d’uomini scellerati, Venerabili Fratelli. Questi uomini, animati da spirito veramente diabolico, vogliono collocare la bandiera della menzogna in questa Nostra alma città, accanto alla Cattedra di Pietro, che è il centro della verità e dell’unità cattolica. I reggitori del Governo piemontese, che dovrebbero frenare tali uomini, non arrossiscono di favorirli in ogni modo, di procurare loro le armi e tutte le cose, e di rendere loro sicuro l’ingresso a questa città. Ma tutti questi uomini, benché costituiti nel grado e nel posto supremo del potere civile, tremino, perché con questo modo veramente iniquo di procedere si tirano addosso nuove pene ecclesiastiche e censure. Benché però nell’umiltà del Nostro cuore non cessiamo di pregare caldamente e di scongiurare Dio ricco di misericordia, perché si degni di richiamare a salutare penitenza sul retto sentiero della giustizia, della religione, della pietà tutti questi miserabilissimi uomini, tuttavia non possiamo tacere i gravissimi pericoli a cui in quest’ora delle tenebre siamo esposti. Noi con animo veramente tranquillo aspettiamo gli eventi, qualunque essi siano, benché eccitati con nefande frodi, calunnie, insidie, bugie, avendo posto ogni Nostra speranza in Dio, Nostra salute, che è Nostro aiuto e forza in tutte le Nostre tribolazioni. Egli non permette che rimangano confusi coloro che sperano in Lui, e disperde le insidie degli empi e spezza le cervici dei peccatori. Intanto non possiamo fare a meno di denunziare a voi principalmente, Venerabili Fratelli, ed a tutti i fedeli affidati alla vostra cura la tristissima condizione ed i gravissimi pericoli in cui Ci troviamo per opera specialmente del Governo piemontese. Infatti, quantunque siamo difesi dal valore e dalla devozione del fedelissimo Nostro esercito, il quale con gloriose imprese diede prove di un valore quasi eroico, tuttavia è chiaro che esso non può resistere a lungo contro il numero assai maggiore degli ingiustissimi aggressori. Benché non sia piccola la Nostra consolazione per la filiale pietà, verso di Noi, dei Nostri sudditi ridotti a pochi dagli scellerati usurpatori, tuttavia siamo costretti a dolerci grandemente, mentre essi non possono non sentire i gravissimi pericoli che loro sovrastano per parte delle feroci bande d’uomini iniqui, i quali continuamente con ogni sorta di minacce li spogliano ed in ogni modo li tormentano. Ma abbiamo da lamentare altri mali non mai abbastanza deplorati, Venerabili Fratelli. Specialmente dalla Nostra Allocuzione nel Concistoro del 29 ottobre dell’anno scorso e poi dall’esposizione corredata da documenti e stampata, avete benissimo appreso da quante sciagure la Chiesa Cattolica ed i suoi figli nell’Impero di Russia e nel Regno di Polonia siano, in modo miserando, vessati e lacerati. Infatti i Vescovi Cattolici, gli ecclesiastici, i laici fedeli sono cacciati in esilio, incarcerati, tormentati in ogni maniera, spogliati dei loro beni, travagliati ed oppressi da severissime pene; i canoni e le leggi della Chiesa sono interamente calpestati. Non contento di ciò, il Governo russo continuò, secondo l’antico suo proposito, a violare la disciplina della Chiesa, a rompere i vincoli dell’unione e della comunione di quei fedeli con Noi e con questa Santa Sede, e ad adoperare ogni mezzo ed ogni sforzo per potere in quegli Stati rovesciare dalle fondamenta la Religione Cattolica, strappare quei fedeli dal seno della Chiesa e trascinarli nel funestissimo scisma. Con Nostro incredibile dolore vi comunichiamo che, dopo l’ultima Nostra Allocuzione, da quel Governo furono pubblicati due decreti. Col decreto del 22 del mese di maggio ultimo scorso, con orrendo attentato, fu soppressa la diocesi di Podlachia nel Regno di Polonia, insieme con quel Capitolo di Canonici, col Concistoro generale e col Seminario diocesano; il Vescovo della diocesi medesima, strappato al suo gregge, fu costretto ad uscire immantinente dai confini della diocesi. Un simile decreto fu pubblicato il 3 giugno dell’anno scorso; di esso non potemmo fare menzione perché non era giunto a Nostra conoscenza. Con quel decreto lo stesso Governo non esitò di proprio arbitrio ed autorità a sopprimere la diocesi di Kameniek e a disperdere il Capitolo dei Canonici, il Concistoro, il Seminario, e a cacciare violentemente il Vescovo dalla sua diocesi. – Essendoci poi chiusa ogni via e soppresso ogni mezzo per comunicare con quei fedeli, ed anche per non esporre nessuno al carcere, all’esilio ed alle altre pene, fummo costretti a pubblicare nel Nostro giornale l’atto con cui credemmo in proposito di provvedere all’esercizio della legittima giurisdizione ed ai bisogni dei fedeli, affinché per mezzo della stampa giungesse colà la notizia del provvedimento da Noi adottato. Ognuno facilmente capisce con quale animo e con quale scopo tali decreti sono pubblicati dal Governo russo, facendo sì che all’assenza di molti Vescovi si congiunga la soppressione di molte diocesi. – Ma ciò che aumenta la Nostra amarezza, Venerabili Fratelli, è l’altro decreto pubblicato dallo stesso governo il 22 del passato mese di maggio, con cui a Pietroburgo venne costituito un Collegio chiamato ecclesiastico cattolico romano, a cui presiede l’Arcivescovo di Mohilow. Cioè: tutte le domande, anche relative alle cose di fede e di coscienza che dai Vescovi, dal Clero e dal Popolo della Russia e della Polonia sono dirette a Noi ed a questa Sede Apostolica, si debbano prima trasmettere a quel Collegio, il quale deve esaminarle e decidere se le domande oltrepassino le facoltà dei Vescovi, ed in tal caso possa procurare che siano a Noi trasmesse. Dopo che colà sarà giunta la Nostra decisione, il presidente del detto Collegio è obbligato a mandarla al ministro dell’Interno, il quale esaminerà se in essa si contenga qualche cosa di contrario alle leggi dello Stato ed ai diritti del Sovrano; qualora ciò non esista, a suo arbitrio, sia eseguita. – Vedete certamente, Venerabili Fratelli, quanto sia da riprovarsi e condannarsi un tale decreto emanato da un potere laico e scismatico, con cui viene distrutta la divina costituzione della Chiesa Cattolica, si rovescia la disciplina ecclesiastica, e si fa alla Nostra suprema potestà ed autorità pontificia, e di questa Santa Sede e dei Vescovi, la massima ingiuria; s’impedisce la libertà del sommo Pastore di tutti i fedeli, ed i fedeli sono spinti ad un funestissimo scisma; viene violato e conculcato lo stesso diritto naturale riguardo alle cose che concernono la fede e la coscienza – Inoltre, l’Accademia cattolica di Varsavia è stata chiusa; ed è imminente la trista rovina della diocesi rutena di Chelma e Belz. E, ciò che è maggiormente doloroso, si rinvenne un certo prete Voicichi, uomo di fede sospetta, il quale, disprezzate tutte le censure e le pene ecclesiastiche, senza tener conto del terribile giudizio di Dio, non ebbe in orrore di ricevere da quella civile potestà il governo e la cura della medesima diocesi, e di emanare già diverse ordinanze, le quali, mentre si oppongono alla disciplina ecclesiastica, favoriscono il funestissimo scisma. – In mezzo a tante calamità ed angustie Nostre e della Chiesa, non essendovi altri che pugni per Noi se non il Nostro Iddio, con quanta forza abbiamo vivamente vi scongiuriamo dunque, Venerabili Fratelli, che, per il singolare amore e zelo per la causa cattolica e per la egregia vostra pietà a Nostro riguardo, vogliate unire alle Nostre le fervide vostre preghiere, e insieme al vostro Clero e al Popolo fedele pregare Iddio senza tregua e scongiurarlo che, memore delle Sue eterne misericordie, allontani da Noi la Sua indignazione, salvi la Santa Chiesa e Noi da tanti mali, protegga e conforti con la Sua virtù tanti figli a Noi carissimi della stessa Chiesa, sparsi in quasi tutti i paesi, e specialmente in Italia, nell’Impero russo e nel Regno di Polonia, ed esposti a tante insidie; li corrobori, li confermi, li conservi sempre più nella professione della fede cattolica e della sua salutare dottrina; disperda tutti gli empi consigli dei nemici degli uomini, li richiami dal baratro dell’iniquità alla via della salvezza, e li guidi sul sentiero dei Suoi comandamenti. – Vogliamo pertanto che entro sei mesi per le diocesi di qua dal mare, ed entro un anno nelle diocesi di là dal mare, sia intimato un triduo di pubbliche preghiere, da stabilirsi da Voi. Affinché i fedeli con maggiore impegno intervengano a queste pubbliche preci e preghino il Signore, concediamo misericordiosamente nel Signore una plenaria indulgenza di tutti i loro peccati, a quanti fedeli d’ambo i sessi interverranno a questo triduo pregando per le presenti necessità della Chiesa, secondo la Nostra intenzione, purché, espiati i peccati nella confessione sacramentale, si accostino alla sacra Eucaristia. A coloro poi i quali, per lo meno contriti, avranno in ciascuno dei predetti giorni compiuto le opere prescritte, condoniamo sette anni ed altrettante quarantene delle pene loro ingiunte od in qualsiasi altro modo da essi dovute nella consueta forma della Chiesa. Concediamo ancora nel Signore che tutte e singole le indulgenze, le remissioni di peccati e i condoni delle penitenze siano applicabili alle anime dei fedeli defunti nella carità di Dio. Nulla ostando ogni altra disposizione in contrario. – Infine, nulla certo per Noi è più gradito che valerci con sommo piacere di questa occasione per manifestarvi e nuovamente confermarvi la speciale benevolenza con la quale vi abbracciamo nel Signore. Come pegno certissimo di essa accettate l’Apostolica Benedizione che, con effusione di cuore, amorevolmente impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli, a tutti i Chierici e ai laici fedeli affidati in qualsiasi modo alle vostre cure.
Dato in Roma, presso San Pietro,
il 27 ottobre 1867, anno ventiduesimo del Nostro Pontificato.
Doppio di I cl. con ottava privilegiata.
– Paramenti bianchi.
Come a Natale, così a Pasqua, la più grande festa dell’anno, la Stazione si tiene a S. Maria Maggiore. Il Cristo risuscitato rivolge anzitutto al divin Padre l’omaggio della sua riconoscenza (Intr.). La Chiesa a sua volta ringrazia Iddio di averci, con la vittoria del Figlio Suo, riaperto la via, del Cielo e lo prega di aiutarci a raggiungere questo bene supremo (Oraz.) Come gli Ebrei mangiavano l’Agnello pasquale con pane non lievitato, dice S. Paolo, così noi pure dobbiamo mangiare l’Agnello di Dio con gli azzimi di una vita pura e santa (Ep.,Com.) cioè, esente dal fermento del peccato. Il Vangelo e l’Offertorio ci mostrano la venuta delle Marie che vogliono imbalsamare il Signore. Esse trovano una tomba vuota, ma un angelo annunzia il grande Mistero della Risurrezione. Celebriamo con gioia questo giorno nel quale Cristo, risuscitando, ci ha reso la vita (Pref. di Pasqua) ed affermiamo con la Chiesa, che “il Signore è veramente RISUSCITATO” (Inv.); secondo il suo esempio, operiamo la nostra Pasqua, o passaggio, vivendo in modo da poter dimostrare che noi siamo risuscitati con Lui.
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Ps CXXXVIII: 18; CXXXVIII: 5-6.
Resurréxi, et
adhuc tecum sum, allelúja: posuisti super me manum tuam, allelúja: mirábilis
facta est sciéntia tua, allelúja, allelúja. [Son risorto e
sono ancora con te, allelúia: ponesti la tua mano su di me, allelúia: miràbile
si è dimostrata la tua scienza, allelúia, allelúia.]
Ps CXXXVIII: 1-2.
Dómine, probásti me et cognovísti me: tu cognovísti
sessiónem meam et resurrectiónem meam. [O
Signore, tu mi provi e mi conosci: conosci il mio riposo e il mio sòrgere.]
Resurréxi, et adhuc tecum sum, allelúja: posuísti super me manum tuam, allelúja: mirábilis facta estsciéntia tua, allelúja, allelúja. [Son risorto e sono ancora con te, allelúia: ponesti la tua mano su di me, allelúia: miràbile si è dimostrata la tua scienza, allelúia, allelúia.]
Oratio
Deus, qui hodiérna die per Unigénitum tuum æternitátis nobis áditum, devícta morte, reserásti: vota nostra, quæ præveniéndo aspíras, étiam adjuvándo proséquere. [O Dio, che in questo giorno, per mezzo del tuo Figlio Unigénito, vinta la morte, riapristi a noi le porte dell’eternità, accompagna i nostri voti aiutàndoci, Tu che li ispiri prevenendoli.]
Per eundem Dominum nostrum Jesum Christum filium tuum, qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti, Deus, per omnia saecula saeculorum. R. Amen.
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad
Corinthios. 1 Cor V: 7-8
“Fratres: Expurgáte vetus ferméntum, ut sitis nova
conspérsio, sicut estis ázymi. Etenim Pascha nostrum immolátus est Christus.
Itaque epulémur: non in ferménto véteri, neque in ferménto malítiae et
nequitiæ: sed in ázymis sinceritátis et veritátis.”
Omelia I
[A. Castellazzi:
Alla Scuola degli Apostoli; Sc. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929]
LA RISURREZIONE SPIRITUALE
“Fratelli: Togliete via il vecchio fermento,
affinché siate una pasta nuova, voi che siete già senza lievito. Poiché Cristo,
che è la nostra pasqua, è stato immolato. Pertanto celebriamo la festa non col
vecchio lievito, né col lievito della malizia e delle perversità, ma con gli
azimi della purità e della verità”. (1 Cor. V, 7-8).
L’Epistola è un brano della prima lettera di S.
Paolo ai Corinti. Siamo alle feste pasquali. Gli Ebrei celebravano la loro
pasqua, mangiando l’agnello con pane azimo, dopo aver fatto scomparire tutto il
pane fermentato. Anche i Corinti devono liberarsi da tutte le tendenze
grossolane e carnali, e rinunciare al lievito del peccato. – Gesù Cristo, il
nostro agnello pasquale, immolando se stesso, ha istituito una pasqua che dura
sempre. Anche i Corinti, rinnovellati in Gesù Cristo, devono condurre
continuamente una vita innocente e retta davanti a Dio. Cerchiamo di ricavare
anche noi qualche frutto dall’insegnamento dell’Apostolo.
1. Dobbiamo liberarci dal peccato.
2. Specialmente nel tempo pasquale,
3. Sigillando la nostra conversione col banchetto
eucaristico.
1.
Fratelli: Togliete via il vecchio fermento. Comunque si vogliano intendere queste parole, che l’Apostolo indirizza ai Corinti, è certo che li esorta a vivere santamente, lontani da ogni peccato, tanto più che si avvicinava la solennità di Pasqua. « Non c’è uomo che non pecchi », dice Salomone (3 Re, VIII, 46). E si pecca non solo venialmente: da molti si pecca mortalmente con la più grande indifferenza. Forse cesserà il peccato di essere un gran male, perché è tanto comune? Una malattia non cessa di essere un gran male, perché molto diffusa; e il peccato non cessa di essere il gran male che è, perché commesso da molti. Dio, autorità suprema, ci dice: «Osservate la mia legge e i miei comandamenti» (Lev. XVIII, 5). E noi non ci curiamo della sua legge e dei suoi comandamenti, che mettiamo sotto i piedi. Quale guadagno abbiamo fatto col peccato, e qual vantaggio riceviamo dal non liberarcene? Se non hai badato al peccato prima di commetterlo; consideralo almeno ora che l’hai commesso. Col peccato avrai acquistato beni, ma hai perduto Dio. Avrai avuto la soddisfazione della vendetta; ma ti sei meritato un condegno castigo; perché « quello che facesti per gli altri sarà fatto per te: sulla tua testa Dio farà cadere la tua mercede » (Abdia, 15). Se non aggraverà su te la sua mano in questa vita, l’aggraverà nella futura. Avrai provato godimenti terreni, ma hai perduto il diritto ai godimenti celesti. Ti sei attaccato a ciò che è momentaneo, ma hai perduto ciò che è eterno. Ti sarai acquistata la facile estimazione degli uomini, ma hai perduto l’amicizia di Dio. Hai abusato un momento della libertà; ma sei caduto nella schiavitù del peccato. « Che cosa hai perduto, che cosa hai acquistato?… Quello che hai perduto è più di quello che hai acquistato » (S. Agostino Enarr. in Ps. CXXIII, 9). – Il peccatore, però, da questo stato di perdita può uscire, rompendo le catene del peccato. Egli lo deve fare. Dio stesso ve lo incoraggia: « Togliti dai tuoi peccati e ritorna al Signore » (Eccli. XVII, 21), dice Egli. « Io non voglio la morte dell’empio, ma che l’empio si converta dalla sua via, e viva… E l’empietà dell’empio non nuocerà a lui, ogni qual volta egli si converta dalla sua empietà » (Ezechiele XXXIII, 11…. 12). Non si è alieni dal ritornare a Dio; ma non si vuole far subito. Si vuole aspettare in punto di morte. Ma la morte ha teso le reti a tutti i varchi, e frequenti sono le sue sorprese. Può coglierci da sani, quando nessuno ci pensa; può coglierci da ammalati; quando non si crede tanto vicina, o si crede di averla già allontanata. Non sono pochi quelli che muoiono senza Sacramenti, perché si illudono che la malattia non sia mortale, o che il pericolo sia stato superato. E poi, non è da insensati trattare gli affari della più grande importanza, quando non si possono trattare che a metà, con la mente preoccupata in altre cose? E nessuno affare può essere importante quanto la salvezza dell’anima nostra; ed è imprudenza che supera ogni altra imprudenza volerlo trattare quando il tempo ci verrà a mancare, quando non avremo più la lucidità della mente. – Nessuno che è condannato a portare un peso, aspetterebbe a levarselo di dosso domani, se potesse levarselo quest’oggi. Nessuno che ha trovato una medicina, che può guarire una malattia recente, si decide a prenderla quando la malattia sarà inveterata. Nel nostro interno c’è la malattia del peccato; non lasciamola progredire. Un medico infallibile, Gesù Cristo, ci ha dato una medicina per la nostra guarigione spirituale, la confessione; non trascuriamola.
2.
Cristo, che è la nostra pasqua, è stato immolato. Per i Cristiani la festa pasquale è una festa che dura per tutta la vita,
perché Gesù Cristo, nella festa pasquale, si è immolato una volta per sempre.
Per tutta la vita, dunque, i Cristiani devono vivere in unione con Dio,
mediante la santa grazia. E se il Cristiano avesse perduta la grazia? Non deve
lasciar passare la Pasqua, senza riacquistarla Nei giorni della settimana santa
la Chiesa ci ha rappresentato al vivo i patimenti di Gesù; e con questa
rappresentazione voleva dire: Ecco, o peccatore, a qual punto i tuoi peccati
hanno ridotto l’Uomo-Dio. Ecco in quale stato si è trovato per volerti liberare
da essi. Ecco la croce su cui è morto per riparare i danni della colpa. Ecco il
fiele da cui fu abbeverato, ecco le spine che gli forarono il capo, ecco i
chiodi che gli trapassarono le mani e i piedi, ecco la lancia che gli aperse il
costato, da cui uscirono acqua e sangue per lavacro delle anime. E tu
rifiuterai di purificarti in questo lavacro? Davanti allo spettacolo di Dio che
muore in croce per liberare gli uomini dal peccato, persino la natura si
commuove: la terra trema, e le pietre si spezzano, e tu solo, o Cristiano
resterai indifferente, mostrandoti più duro delle pietre? Imita piuttosto la
moltitudine convenuta a quello spettacolo, che « tornava battendosi il petto »
(Luc. XXIII, 48). Questa mattina la Chiesa ti invita a risorgere dal peccato
col ricordo della risurrezione di Gesù Cristo. Essa ti rivolge le parole del
salmista: « Questo giorno l’ha fatto il Signore, esultiamo e rallegrandoci in
esso » (Salm. CXVII, 24. — Graduale —). Come prender parte all’esultanza della
Chiesa in questo giorno, se l’anima nostra è morta alla grazia? Poiché
l’esultanza che la Chiesa ci domanda non è l’esultanza delle piazze, delle
osterie, dei caffè, degli spettacoli. È l’esultanza che viene dalla
riconciliazione dell’uomo con Dio, dalla riacquistata libertà di suoi figli. Il
peccatore non è insensibile all’invito della Chiesa. Ma la voce della Chiesa è
soffocata da un’altra voce, per lui più forte, dalla voce del rispetto umano.
Che diranno, se si verrà a sapere che sono andato a confessarmi? Se si tratta
di curare una ferita non si ascoltano le voci dei profani, ma quella del
chirurgo. Trattandosi di guarire le ferite prodotte dal peccato, saremmo ben
stolti, se dessimo più peso alle chiacchiere dei negligenti, dei superbi, dei
viziosi, che alla voce autorevole della Chiesa. Pensa quale consolazione procurò
alla vedova di Naim la risurrezione del figlio. Le lagrime che avevano commosso
Gesù, ora si sono cangiate in lagrime di consolazione. « Di quel giovane
risuscitato gioì la vedova madre; degli uomini risuscitati spiritualmente goda
ogni giorno la santa madre Chiesa» (S. Agostino Serm. 98, 2). Nel suono delle
campane più festoso del solito essa vorrebbe farti sentire le parole
dell’Apostolo: «E’ ora di scuoterci dal sonno» (Rom. XIII, 11). Svegliati,
dunque, e non voler persistere nel pericolo di passare, senza svegliarti, dal
sonno del peccato al sonno della morte.
3.
Gli Ebrei, purificata la casa da tutto ciò che era fermentato, mangiavano l’agnello pasquale. I Cristiani, devono anch’essi mangiare il vero Agnello pasquale, di cui l’antico agnello era tipo. Purificati, nella confessione, dal lievito dei peccati della vita trascorsa, con coscienza pura e retta intenzione, partecipino al banchetto pasquale. È quanto inculca l’Apostolo. Pertanto celebriamo la festanon col vecchio lievito, ne col lievito della malizia e dellaperversità; ma con gli azimi della purità e della verità. – Quando si fanno feste solenni il banchetto ha sempre una parte principale. Il banchetto eucaristico deve avere una parte principalissima nella letizia della solennità pasquale. Poco importa assidersi a un banchetto materiale, se l’anima si lascia digiuna.« Peccando non abbiamo conservato né la pietà, né la felicità; ma, pur avendo perduto la felicità, non abbiam perduto la volontà di essere felici » (De Civitate Dei, L. 22, c. 30). L’uomo ha perduto il Paradiso terrestre, ma vi ritornerebbe ancor volentieri. Il Paradiso terrestre, perduto da Adamo, non possiamo più possederlo; ma possiamo possedere, ancor pellegrini su questa terra, un altro paradiso. Sta da noi, dopo aver preparato l’anima nostra ad accogliere l’Ospite divino, andargli incontro, riceverlo, metterlo nell’anima nostra, come su un piccolo trono. Il nostro cuore diventerebbe l’abitazione di Dio, e, dove c’è Dio, c’è il Paradiso. La Chiesa vorrebbe che noi li gustassimo sovente questi momenti di Paradiso. E, visto che noi non siamo tanto docili alla sua voce, ci prega, ci scongiura, ci comanda di voler provare queste delizie interne almeno a Pasqua. Pasqua! Due parole che spaventano tanti Cristiani, e che, invece, dovrebbero essere accolte con la brama con cui un assetato accoglie l’annuncio d’una vicina sorgente ristoratrice. Accostarsi alla Confessione e alla Mensa eucaristica, vuol dire mettere il cuore in pace, trovare la felicità perduta. – Sulla fine d’Ottobre del 1886 si presenta al confessionale dell’abate Huvelin, nella chiesa di S. Agostino a Parigi, un giovane ragguardevole, Carlo de Foucald. Era stato luogotenente dei Cacciatori d’Africa, coraggioso e fortunato esploratore del Marocco. Nel suo cuore c’era l’inquietudine e la tristezza.« Signor abate — dice dopo un leggero inchino —io non ho la fede, vengo a chiederle d’istruirmi ». L’abate Huvelin lo guardò: « Inginocchiatevi confessatevi a Dio; crederete ». — « Ma non sono venuto per questo». —« Confessatevi ».Quel giovane cedette. S’inginocchiò, e confessò tutta la sua vita. Quando il penitente fu assolto, l’abate gli domanda: « Siete digiuno? » — « Sì ». — « Andate e comunicatevi». Il giovane si accostò subito alla sacra Mensa e fece « la sua seconda Prima Comunione ». Quella Confessione e quella Comunione furono il principio d’un’altra vita. Egli esce dal tempio con la pace nel cuore; pace che gli trasparisce sempre dagli occhi, dal sorriso, nella voce e nelle parole. Egli, da oggi, si prepara alla vita di trappista, di sacerdote, di eremita, che finirà nel Sahara, dopo esser vissuto vittima di espiazione per sé e per gli altri (Renato Bazin, Carlo de Foucauld. Traduzione dal Francese di Clelia Montrezza. Milano 1928, p. 48-49). Forse, il pensiero di dover cominciare una vita nuova, dopo essersi accostati alla Confessione e alla Comunione, intrattiene parecchi dal compiere il loro dovere in questi giorni. Eppure è nostro interesse procurare al nostro cuore una pace vera e una santa letizia, oltre essere nostro dovere è nostro interesse, e massimo interesse, incominciare una vita nuova, intanto che ne abbiamo il tempo; senza contare che « una grave negligenza richiede anche una maggiore riparazione » (S. Leone M. Serm. 84, 2). Facciamo una buona Pasqua col proponimento di camminare in novità di vita, e di non volere imitare gli Ebrei, che dopo aver mangiato l’agnello pasquale nella notte della loro liberazione, rimpiangono l’Egitto, la terra della loro oppressione. « Noi pure mangiamo la Pasqua, cioè Cristo… Nessuno di coloro che mangiano questa pasqua si rivolga all’Egitto, ma al cielo, alla superna Gerusalemme » (S, Giov. Crisost.); da dove ci verrà la forza di compiere il nostro pellegrinaggio, senza ritornare sui passi della vita passata.
Alleluja
Alleluia, alleluia Ps. CXVII: 24; CXVII: 1 Hæc dies, quam fecit Dóminus: exsultémus et lætémur in ea. [Questo è il giorno che fece il Signore: esultiamo e rallegriàmoci in esso.]
V. Confitémini Dómino, quóniam bonus: quóniam in saeculum misericórdia ejus. Allelúja, allelúja. [Lodate il Signore, poiché è buono: eterna è la sua misericòrdia. Allelúia, allelúia.]
1 Cor V: 7
V.Pascha nostrum immolátus est Christus. [Il Cristo, Pasqua nostra, è stato immolato.]
Sequentia
“Víctimæ pascháli laudes ímmolent Christiáni. Agnus
rédemit oves: Christus ínnocens Patri reconciliávit peccatóres. Mors et vita
duéllo conflixére mirándo: dux vitæ mórtuus regnat vivus. Dic nobis, María,
quid vidísti in via? Sepúlcrum Christi vivéntis et glóriam vidi
resurgéntis. Angélicos
testes, sudárium et vestes. Surréxit Christus, spes mea: præcédet vos in
Galilaeam. Scimus Christum surrexísse a mórtuis vere: tu nobis, victor Rex,
miserére. Amen. Allelúja.” [Alla Vittima pasquale, lodi òffrano i Cristiani. – L’Agnello ha
redento le pécore: Cristo innocente, al Padre ha riconciliato i peccatori. – La
morte e la vita si scontràrono in miràbile duello: il Duce della vita, già
morto, regna vivo. – Dicci, o Maria, che vedesti per via? – Vidi il sepolcro
del Cristo vivente: e la glória del Risorgente. – I testimónii angélici, il
sudàrio e i lini. – È risorto il Cristo, mia speranza: vi precede in Galilea.
Noi sappiamo che il Cristo è veramente risorto da morte: o Tu, Re vittorioso,
abbi pietà di noi. Amen. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.
Marc. XVI: 1-7.
“In illo témpore: María Magdaléne et María Jacóbi et
Salóme emérunt arómata, ut veniéntes úngerent Jesum. Et valde mane una
sabbatórum, veniunt ad monuméntum, orto jam sole. Et dicébant ad ínvicem: Quis
revólvet nobis lápidem ab óstio monuménti? Et respiciéntes vidérunt revolútum
lápidem. Erat quippe magnus valde. Et introëúntes in monuméntum vidérunt
júvenem sedéntem in dextris, coopértum stola cándida, et obstupuérunt. Qui
dicit illis: Nolíte expavéscere: Jesum quǽritis Nazarénum, crucifíxum:
surréxit, non est hic, ecce locus, ubi posuérunt eum. Sed ite, dícite
discípulis ejus et Petro, quia præcédit vos in Galilǽam: ibi eum vidébitis,
sicut dixit vobis.”
[In quel tempo: Maria Maddalena, Maria di Giacomo, e
Salòme, comperàrono degli aromi per andare ad úngere Gesú. E di buon mattino,
il primo giorno dopo il sàbato, arrivàrono al sepolcro, che il sole era già
sorto. Ora, dicévano tra loro: Chi mai ci sposterà la pietra dall’ingresso del
sepolcro? E guardando, vídero che la pietra era stata spostata: ed era molto
grande. Entrate nel sepolcro, vídero un giòvane seduto sul lato destro,
rivestito di càndida veste, e sbalordírono. Egli disse loro: Non vi spaventate,
voi cercate Gesú Nazareno, il crocifisso: è risorto, non è qui: ecco il luogo
dove lo avévano posto. Ma andate, e dite ai suoi discépoli, e a Pietro, che
egli vi precede in Galilea: là lo vedrete, come vi disse.]
Omelia II
[Mons. G. Bonomelli:
MISTERI CRISTIANI, Brescia, Tip. E lib. Queriniana; vl. II, 1894]
RAGIONAMENTO
VIII
Cristo che risorge adombra in se stesso la storia
della sua Chiesa.
Chi è desso il Cristiano? domandava a se
stesso Tertulliano. Egli è, rispondeva in quello stile audacissimo e scultorio,
che è tutto suo, egli è un altro Cristo – Alter Christus -. Egli è un uomo,
che nella mente e nei pensieri, nel cuore e negli affetti, nelle parole e nelle
opere, vi presenta l’immagine fedele di Cristo – Alter Christus -.
Chi vede ed ascolta un Cristiano, un vero Cristiano, deve dire: Ecco il ritratto di Cristo, ecco Cristo redivivo sulla terra! Che se ogni Cristiano individualmente debb’essere nella sua vita una copia di Gesù Cristo, quanto maggiormente lo deve essere la Chiesa, chiamata da S. Paolo suo corpo e suo compimento? Nella vita pertanto di Gesù Cristo e più particolarmente nei più grandi misteri della medesima, noi possiamo e dobbiamo vedere adombrata e delineata la vita della sua Chiesa. Ora i più grandi misteri della vita di Gesù Cristo sulla terra si raggruppano intorno alla sua passione, e alla sua morte e alla sua Risurrezione; là si scioglie e si compie l’opera per la quale Gesù Cristo venne sulla terra; là si termina il terribile duello tra Cristo e il mondo: là dal fianco squarciato di Cristo esce la Chiesa, qual vergine sposa, che a Lui si impalma e là comincia la sua vita, che deve riempire il tempo e lo spazio. In Cristo, che soffre e muore e soffrendo e morendo vince e trionfa, noi vedremo compendiata la storia eterna della Chiesa. Il campo, che ci si apre dinanzi, è vastissimo; ma io mi studierò di percorrerlo a volo: a me il precedervi, a voi il seguirmi e il frutto, che ne coglierete, attesi i tempi, che volgono, sarà prezioso e degna mercede della vostra attenzione. Gesù Cristo, il Capo e lo Sposo della Chiesa, scoccata l’ora della giustizia e della misericordia per Lui stabilita, volontariamente si dà in mano de’ suoi nemici. In quella povera natura assunta, che vediamo, si occulta una forza infinita, si nasconde la stessa onnipotenza di Dio, che non vediamo: essa si eclissa e si cela per guisa che si direbbe non esservi, tantoché non solo l’occhio dell’uomo, ma l’occhio stesso sì acuto del maligno non la discerne; se l’avesse conosciuta non avrebbe spinte contro di Lui le turbe e le podestà della terra (Il Demonio poté sospettare che Gesù Cristo fosse Dio, ma prima della sua morte non lo conobbe con certezza; apparisce dal Vangelo, dalle lettere di S. Paolo e lo affermano parecchi Padri e tra questi in termini S. Leone Papa.). E che fanno i nemici di Gesù, avutolo in loro balìa? Voi lo sapete: lo traggono dinanzi al gran Consiglio della nazione e lo coprono di accuse. Egli è violatore della legge mosaica; Egli è falso profeta; Egli ha bestemmiato, ha levato la voce contro il tempio; Egli si dichiara Figlio di Dio; perciò è reo di morte. Lo traggono dinanzi ad Erode e Pilato e si mutano le accuse: dinanzi al gran Consiglio giudaico, tribunale eminentemente religioso, le accuse sono religiose: dinanzi ad Erode e Pilato, uomini politici, politiche sono anche le accuse. Gesù, dicono i suoi nemici, mette sossopra il popolo della Galilea fino nella Giudea; seduce e ammalia le turbe; vieta di pagare il tributo a Cesare; vuol farsi Re; è nemico di Cesare (I capi del popolo, incredibile a dirsi! Accusano Cristo di quel delitto, di cui essi erano rei, o almeno consideravano non come delitto, ma come un dovere, un titolo di onore. Essi detestavano e abbominavano il dominio romano: ne avrebbero spezzato il giogo, se avessero potuto, e più tardi sappiamo ciò che fecero). Eppure accusano Gesù di avversare la signoria straniera, essi che 1’avversavano fieramente, che presso la nazione ne avrebbero fatto argomento di vanto. Tanto è vero che l’odio non ragiona! L’accusavano presso Pilato di ciò che altamente apprezzavano e reputavano dovere). – Coll’oro guadagnano un discepolo di Gesù, Giuda, e ne fanno un traditore: colle promesse, colle minacce, coll’intrigo seducono la folla e colle grida furibonde di questa riempiono di terrore il pubblico potere e se lo rendono docile strumento ed esecutore fedele de’ loro voleri: gli strappano la sentenza di morte e morte di croce. Dopo averlo calunniato, martoriato, straziato, schernito, conficcato alla croce, spentolo senza pietà, si impadroniscono del corpo lacero e disfigurato e permettono che sia calato in una tomba…. È finito lo strazio di Gesù? È sazio l’odio de’ suoi nemici? No. Ancora tremano e paventano dinanzi a quel cadavere, che è pure nelle loro mani. – Quel seduttore, così essi, disse già: Dopo tre dì risorgerò: bisogna dunque vegliare alla sua tomba, affinché per avventura non vengano i suoi discepoli, ne involino il corpo e poi dicano alle turbe: è risorto; ne verrebbe errore più fatale del primo – E vi collocano a guardia una mano di soldati. Voi lo vedete: l’odio, il furore, la rabbia dei nemici di Cristo non hanno limiti né per ragione del tempo, né pel grado d’intensità: abbracciano tutta la vita di Lui, ma toccano il colmo gli ultimi giorni: non rispettano nulla in Lui, né la vita, né l’onore, nemmeno la morte e la maestà della tomba. Tutte le armi sono buone contro di Lui, le insinuazioni più maligne, le menzogne più sfacciate, le calunnie più nere: a suo danno si appella alle autorità politiche e sacre, alle ire e passioni della folla, al sentimento nazionale e religioso, alla legge di Mosè come al Codice di Roma. Vi domando: che ha Egli fatto di male quest’uomo per provocare contro di sé odio sì profondo, ire sì cupe e feroci? Egli non ha fatto, né poteva far male a chicchessia – Egli ha rispettato scrupolosamente tutte le leggi, ha ubbidito a tutti i poteri, ha insegnato a tutti il rispetto e la ubbidienza a tutte le autorità: ha guarito a migliaia gli infermi, ha ridonato la vista a’ ciechi, ha raddrizzato gli zoppi, ha risanato i paralitici, ha mondato i lebbrosi, ha risuscitati perfino i morti: ha consolato gli afflitti, ha istruito gli ignoranti, ha satollato turbe di affamati, ha predicato l’umiltà, la purezza del cuore, il perdono delle offese, il disprezzo delle ricchezze, l’amore di Dio e de’ fratelli e in questo amore ha compendiato tutta la sua Religione. Ma come dunque e perché gli uomini poterono odiare e perseguitare sì barbaramente tanto maestro e tanto benefattore? Come e perché? Perché annunziava la verità; lo disse Egli stesso: Voi cercate di uccidere me, uomo, che vi ho detto la verità. (S. Giov. VIII. 40) -. Il suo fallo, il suo delitto imperdonabile era quello d’aver detta sempre a tutti la verità. Carissimi! E non è questa la storia della Chiesa dal dì che nacque fino ad oggi? Ella, come il suo Capo divino, ci si presenta debole, inerme, ma racchiude in sé una forza invincibile, la forza dell’Uomo-Dio stesso, che le disse: Ecco ch’Io sono con te fino al terminare dei secoli (S. Matt. XXVIII. 20) -. Ma come il Verbo divino era nascosto in Cristo sotto le forme sì deboli dell’umana natura e si manifestava a quando a quando nell’opere sue, così la potenza e vita divina della Chiesa si cela sotto le sue apparenze sì deboli e risplende nelle lotte, che affronta e vince e nelle opere sovrumane che compie esemina nel suo cammino. La Chiesa, come Gesù Cristo, ha uomini numerosi e potentissimi, in basso e più ancora in alto, che la odiano, che la vituperano, che la perseguitano e straziano crudelmente. Ma che ha Ella fatto di male per avere contro di sé tanti e sì feroci nemici? Ella in tutti i tempi e su tutti i punti della terra, come Cristo, non ha fatto, né poteva far male a persona, Ella che è madre amorosa di tutti gli uomini; Ella non ha fatto che eseguire il comando di Cristo, predicare il suo Vangelo, inculcarne l’osservanza: Ella ha reso perenne l’opera di Lui sulla terra, l’ha allargata e spande dovunque i benefici della sua fede, sugli individui e sulla società, su chi tiene il potere e su chi al potere è soggetto, sui corpi e sugli spiriti: Ella è come il sole, ai raggi e al calore del quale non v’è creatura terrestre che possa sottrarsi. Come dunque e perché questa Chiesa, incomparabile e perpetua benefattrice della società umana tutta, è fatta segno di ire implacabili, bersaglio di calunnie e per alcuni si vorrebbe sterminato dalla terra? Perché anch’Ella, come Gesù Cristo, annunzia sempre la verità e la sua sorte quaggiù non può essere diversa da quella del suo divino Fondatore, col quale tutto ha comune. Ella si presenta ai popoli col Simbolo nella destra e col Decalogo nella sinistra: con quello domanda l’ossequio pieno e assoluto della mente; con questo esige l’ossequio del cuore e l’opera della mano senza eccezione: non patteggia con chicchessia e grida doversi ubbidire a Dio e perciò a Lei più che agli uomini, siano pure questi collocati sulle più alte cime del potere. Di qui in ogni tempo e in ogni regione le diffidenze, i dispetti, le gelosie, le ire e gli odi più atroci contro della Chiesa: mutano forma, ma non la sostanza: è la stessa lotta tra Cristo e la Sinagoga, che si perpetua attraverso ai tempi e che non avrà termine che con essi, colle stesse vicende e collo stesso esito finale. – Questa Chiesa esce dal cenacolo inerme come Cristo che inerme esce dall’officina di Nazaret: inerme si lancia nel mondo alla conquista delle anime come Cristo inerme percorse le contrade di Palestina e formò i primi discepoli: inerme lotta coi nemici, che la circondano e versando fiumi di sangue, il sangue de’ suoi figli, vince e trionfa, come Cristo inerme lotta, vince e trionfa, spargendo, non il sangue altrui, ma il proprio. Seguiamola questa Chiesa sulla gran via dei secoli che percorse, quasi immenso fascio di luce, che fende il fitto buio della notte. I nemici a gara, con rabbia sempre crescente ed armi sempre nuove si scagliano sopra di lei; sono schiere di giudei e di pagani; sono turbe e filosofi: sono presidenti di Repubbliche, Re ed Imperatori. I figli della Chiesa sono designati come, empi, disonesti, seduttori, atei, divoratori di bambini, rei di delitti nefandi, di orge senza nome, ribelli, settari, nemici del genere umano, meritevoli d’ogni supplizio, razza pestifera. Sono queste le accuse e le calunnie, sotto le quali ne’ primi secoli si fa opera di schiacciare la Chiesa e voi le potete leggere in Giustino, Tertulliano, Teofìlo di Antiochia, Atenagora ed altri Apologisti che le ribattono. Nei secoli, che corrono dal quarto, in cui la Chiesa esce vincitrice dalle spire del paganesimo, fino al nostro, la guerra contro la Chiesa muta la forma e le armi, ma non l’accanimento e la violenza dell’odio. Sono eresiarchi e scismatici, che lacerano il seno della Chiesa; sono prepotenti, che la spogliano; sono monarchie e repubbliche, che la vogliono far serva: sono uomini che armati della scienza muovono a suoi danni. Che dire del nostro secolo? Esso ha chiamato a raccolta gli uomini della ricchezza, della scienza e del potere, ne ha ordinato l’esercito, l’ha fornito d’ogni maniera di armi, l’ha riempito d’odio, e in nome del progresso, della libertà, della uguaglianza, della felicità comune, lo spinge contro della Chiesa per opprimerla e disperderla dalla faccia della terra. Essa è la nemica delle scienze: essa fa schiavi i popoli e li immiserisce: essa qui blandisce i tiranni e i loro alleati; là accende le passioni popolari e aizza le moltitudini contro i poteri costituiti. Perciò la si scaccia dalla scuola, dall’esercito, dai tribunali, dalle officine, da tutti i luoghi del dolore, dov’essa è chiamata dalla sua missione: essa è confinata nel tempio e là pure sorvegliata. Un tempo i re della terra le dicevano: Noi ti proteggeremo e ti onoreremo e ci inchineremo dinanzi a te purché tu ci ceda un po’ della tua libertà: oggi i poteri quasi tutti della terra le dicono brutalmente: Non ci curiamo di te: non vogliamo l’opera tua: essa non ci giova, anzi ci nuoce: non ti conosciamo, né vogliamo conoscerti, bastiamo a noi stessi. E proclamando il divorzio pieno e totale dalla Chiesa, che sembrerebbe doverle procurare perfetta libertà, stendono intorno a Lei una fitta rete di leggi, che la impacciano e stringono ad ogni passo. – Noi, così gridava non sono molti anni un celebre Professore d’una Università Tedesca, noi dobbiamo stringere le vene e i polsi della Chiesa e impedire la circolazione della vita nel suo corpo: così essa infallibilmente morrà e ne avremo compiuta vittoria -. Era questo il fine delle leggi sancite in Germania ed in Isvizzera durante la gran lotta che si osò chiamare della civiltà: a questo tendevano tante altre leggi promulgate in tanti altri paesi acattolici e cattolici, alcune delle quali durano anche al dì d’oggi. Si volle e si vuole fare colla Chiesa quello che fecero gli uomini del Sinedrio, che uccisero Cristo, e avvolto il corpo nel funebre lenzuolo e calato nel sepolcro, ne suggellarono la pietra, che ne chiudeva la bocca, affidandone la custodia a’ loro sgherri. Questi uomini della politica, venduti alle sette, che non ammettono nulla al di là di ciò che si vede, non possono comprendere, che nella Chiesa vi è una forza divina precisamente come i Giudici di Gesù Cristo non la comprendevano nella umanità di Lui. Quando colle loro leggi l’hanno flagellata, denudata, schernita; quando l’hanno confitta alla croce, squarciata in mille modi, credono d’averla uccisa e sepolta: ma in Lei, come in Cristo, vi è una forza, una energia divina e quando questa sembra estinta, allora si manifesta in tutta la sua grandezza, rovescia la pietra del sepolcro, in cui voleano seppellirla, vi lascia il lenzuolo mortuario, onde la volevano coperta, si ride delle guardie, confonde tutti i calcoli de’ suoi nemici e mostra tutta la potenza della vita divina, che attinge nel suo celeste Fondatore. A’ nostri tempi, per tacere delle cose a noi più vicine, la vedemmo questa Chiesa ne’ suoi Vescovi e ne’ suoi sacerdoti in non poche Repubbliche dell’America meridionale e centrale vessata e spogliata; la vedemmo in Francia in cento modi tribolata con leggi odiose, con profonda malizia architettate in guisa da farne l’ancella, se fosse stato possibile, ora della Monarchia, ora dell’Impero, ora di una Repubblica conservatrice o radicale o settaria che fosse: vedemmo tre Arcivescovi della sua capitale cadere sotto il pugnale o sotto il piombo di assassini: la vedemmo in Germania alle prese con un uomo, che a ragione fu detto di ferro, che era l’arbitro del più formidabile Impero di Europa e che un dì aveva detto: – Molti tentarono di atterrare questa Chiesa cattolica; ma indarno: io tengo tal potere che spero di riuscire. Vedemmo i suoi Vescovi, i suoi Arcivescovi, i suoi preti sbandeggiati, insultati, gettati in carcere e dispersi, chiusi i templi, proclamato delitto battezzare, confessare, dir Messa senza il permesso del terribile uomo. La vedemmo questa Chiesa in Polonia stretta tra i ceppi d’una legislazione crudele, fatta più crudele per opera di spietati proconsoli, che la eseguivano. Pastori e fedeli condannati a languire nelle steppe abbandonate di Siberia, sulle rive della Lena e dell’Obi e non rare volte uccisi dai cosacchi a colpi di lancia nelle chiese, stretti agli altari. La vedemmo questa Chiesa bagnare del sangue de’ suoi Missionari i deserti del Sahara, le rive dei laghi Africani, le pianure della Cina, della Corea e del Tonchino. Stretta dovunque da nemici potentissimi, avvolta nelle maglie insidiose di leggi intese a farla schiava de’ Poteri laici, seppe sciogliersene e dalle patite persecuzioni trasse nuova forza e si circondò di gloria immortale. Contemplatela al presente in Germania, in Francia, in Inghilterra, nel Belgio, nelle Americhe, in Oriente, in Africa, dovunque: ha Essa guadagnato o perduto? Ha essa allargate o ristrette le sue tende? Ditelo voi. Il numero de’ suoi figli in pochi anni è cresciuto di parecchi milioni: di molte decine aumentato quello de’ Vescovi: da trent’anni è raddoppiato quello de’ suoi intrepidi Missionari, triplicato quello delle magnanime sue Suore: ritemprato lo spirito de’ fedeli: il prestigio del nome cattolico senza confronto maggiore che in passato e la potenza morale del Capo della Chiesa salita a tanta altezza quale da molti secoli non fu mai vista. Oh! dessa può ben sollevare la fronte cinta della aureola della vittoria e come Cristo gridare ai suoi nemici: Quando voi mi avete levato in alto sulla croce, io ho attirato a me ogni cosa -. Anch’Essa come Cristo, che balza dal sepolcro, serba sul suo corpo profonde cicatrici: ma scintillano come gemme preziose e ne accrescono la bellezza. Anch’Essa, come Cristo, allora vince e trionfa quando i suoi nemici maggiormente l’opprimono e la straziano e con Paolo esclama: Allora sono più forte quando maggiore apparisce la mia debolezza: Cum infirmustum potens sum. Noi, figli della Chiesa Cattolica, tra gli altri abbiamo un obbligo grandissimo coi nostri nemici miei ed è, ch’essi colle calunnie, colle ingiurie, colle persecuzioni legali ed illegali, onde ci fan segno, ci addestrano alle lotte, ci costringono a vegliare, ci fanno sentire la necessità di levare la voce supplichevole a Dio e svegliano più gagliarda in noi la coscienza dei nostri diritti e della nostra forza. Non mai come in questi ultimi tempi di fiere lotte, che dobbiamo sostenere su tutti i punti della terra e sotto tutte le forme, sentimmo la virtù divina, che Cristo spande nella sua Chiesa, la certezza della vittoria e della perfetta libertà che ne sarà il frutto più prezioso. – Un giorno passeggiava soletto per una via solitaria che metteva ne’ campi: giunsi ad un punto, dove la via faceva una svolta e là sul ciglio sorgeva una giovane quercia, che in alto stendeva vigorosi i suoi rami. Alcuni fanciulli erano affaccendati intorno ad essa e si adoperavano a stringere il robusto tronco con vimini, con funicelle ed anche con cerchi di ferro tantoché tutto intorno ne era coperto e avvinto. – Che fate, miei figli? dissi loro -. Ed essi: – Noi vogliamo, risposero, che non cresca e che dissecchi. – Voi farete opera vana, replicai loro: la quercia spezzerà tutti i vostri legami – e passai oltre. Due anni dopo ripassai per quella via e giunto presso alla quercia, mi fermai, la guardai e la rividi più alta, più bella e più vigorosa. Mi ricordai dei fanciulli, dell’opera loro e delle loro parole: mi accostai maggiormente e coll’occhio cercai dei vimini, delle funicelle e dei cerchi di ferro, onde avevano stretto il fusto: non li trovai; solamente m’accorsi ch’esso qua e là conservava alcune tracce di quelle ritorte. Abbassai l’occhio e tra l’erbe e le foglie disseccate vidi ridotte in pezzi le ritorte di vimini, logorate e pressoché disfatte le funi, irrugginiti e spezzati i cerchi di ferro. La quercia, crescendo piena di vita, senza sforzo, senza rumore, senza aiuto di mano amica, per virtù propria, a poco a poco, l’uno dopo l’altro aveva fatto cadere a’ suoi piedi quei poveri legami e drizzava sicura verso del cielo la sua cima, inondata della luce del sole. O politici antichi e moderni, che pieni di sospetti ingiusti e di ridicoli timori, tenete sempre aperti gli occhi sulla Chiesa e ne spiate ogni parola, ogni atto, quasi fosse vostra nemica, mentre vuol essere vostra madre! Voi moltiplicate le vostre leggi, i vostri regolamenti per restringere l’azione della Chiesa, per ridurla all’impotenza: la vostra è opera vana: siete simili a quei fanciulli, che vi ho descritti intorno alla quercia. La Chiesa, simile a quella quercia, piena di quella vita, che le viene dall’alto, crescerà, crescerà sempre malgrado i vostri sforzi e farà cadere l’una dopo l’altra le vostre leggi, manderà in pezzi i vostri regolamenti, coi quali credevate stringerla o almeno impedire la sua espansione. Gittate lo sguardo sulla storia, risalite di secolo in secolo sino alla sua culla. Contate tutte le leggi, tutti i regolamenti, tutti i decreti, che Repubbliche, Re ed Imperatori, dai nostri giorni fino a Nerone, sancirono contro la Chiesa di Gesù Cristo: sono senza numero. Essi caddero tutti e dormono nella polvere degli archivi, se pure ne resta memoria; e quelli che ancor durano infallibilmente cadranno, non ne dubitate, e la Chiesa sta e starà, allargando le sue conquiste da un capo all’altro della terra. Essa non domanda che una sola cosa alle potenze tutte della terra, la libertà. Gliela accordano? Essa lieta e grata le benedice e ne usa a loro beneficio. Gliela rifiutano? Essa tranquilla e sicura di sé, senza fasto e senza timore, se la piglia e passa oltre egualmente, spargendo dovunque i suoi benefìci, anche a favore de’ suoi nemici, perché è simile a Cristo, che morì e risuscitò per tutti: è simile a Dio, che fa spuntare il sole sopra i buoni e sopra i malvagi e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. (S. Matt. V. 45).
Terra trémuit,
et quiévit, dum resúrgeret in judício Deus, allelúja. [La terra tremò e ristette, quando sorse Dio a fare giustizia, allelúia.]
Secreta
Súscipe, quaesumus, Dómine, preces pópuli tui cum oblatiónibus hostiárum: ut, Paschálibus initiáta mystériis, ad æternitátis nobis medélam, te operánte, profíciant. [O Signore, Ti supplichiamo, accogli le preghiere del pòpolo tuo, in uno con l’offerta di questi doni, affinché i medésimi, consacrati dai misteri pasquali, ci sérvano, per òpera tua, di rimédio per l’eternità.] –
Pascha nostrum immolátus est Christus, allelúja: itaque epulémur in ázymis sinceritátis et veritátis, allelúja, allelúja, allelúja. [Il Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato, allelúia: banchettiamo dunque con gli àzzimi della purezza e della verità, allelúia, allelúia, allelúia.]
Postcommunio
Orémus.
Spíritum nobis, Dómine, tuæ caritátis infúnde: ut, quos sacraméntis paschálibus satiásti, tua fácias pietáte concordes. [Infondi in noi, o Signore, lo Spírito della tua carità: affinché coloro che saziasti coi sacramenti pasquali, li renda unànimi con la tua pietà.]
(Messale Romano
di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G.
LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)
Ciclo di Pasqua:
4) Tempo
della Settuagesima (Settuagesima-Ceneri).
5) Tempo di
Quaresima (Ceneri-Dom. di Passione).
6) Tempo de
la Passione (Dom. di Passione-Pasqua).
7) Tempo
Pasquale (Pasqua-Trinità).
8) Tempo
dopo la Pentecoste (Trinità-Avvento).
VII. – TEMPO PASQUALE.
Commento
dogmatico: Pasqua.
La Chiesa, che
ogni anno rinnova nella sua liturgia i ricordo degli avvenimenti della vita del
Salvatore, ai quali ci invita a partecipare, celebra nella festa di Pasqua il
trionfo di Gesù, vincitore della morte. Questo, come tutti sanno, è
l’avvenimento centrale di tutta la storia, è il punto verso il quale tutto
converge nella vita di Cristo, ed è anche il punto culminante della vita della
Chiesa nel suo Ciclo liturgico. La Resurrezione del Salvatore è la prova più
luminosa della sua divinità, perché bisogna essere Dio per poter, come diceva
Gesù, « lasciare la propria vita e riprenderla di nuovo ». La fede nella
Risurrezione di Gesù è dunque la base stessa della fede cristiana. [Se Cristo non fosse risuscitato, vana e la
vostra fede • I ai Corinti, XV, 14] Infatti la Pasqua di Cristo,
ossia il suo passaggio dalla morte alla vita e dalla terra al cielo, è la
consacrazione definitiva della vittoria che l’uomo, l’umanità intera hanno riportato
in Gesù sul demonio, sulla carne e sul mondo. [Ai Col. , II, 15]Infattinoi siamo morti e risuscitati con Lui. Effettivamente la virtù diquesti
misteri opera nei fedeli durante tutta la loro vita, e più specialmentedurante
il Triduo Pasquale (Venerdì Santo, SabatoSanto, Domenica di Pasqua)
allo scopo di farli passare dal peccatoalla grazia e più tardi dalla
grazia alla gloria [« Dio ci ha dato la vittoria per nostro Signor G . C. » – I
ai Cor., XV, 57). « Egli ci ha fatto risuscitare con Cristo e ci ha
fatti sedere con lui nei cieli » – Agli Efes., II, 6). Il Martirologio romano
dichiara che « la Resurrezione di nostro Signor Gesù Cristo secondo la carne è
la Solennità delle Solennità e la nostra Pasqua ». Questa formola è il degno riscontro
di quella che a Natale annunziava la nascita del Messia, poiché il Ciclo di
Natale, cronologicamente il primo, logicamente dipende da quello di Pasqua. Dio
si è fatto uomo (Natale) per far noi tutti partecipi della divinità (Pasqua).
Nell’Incarnazione era l’anima di Gestì che nasceva alla vita divina,
godendo della visione beatifica; nella Risurrezione era il suo corpo, che,
a sua volta, entrava nella gloria di Dio. E come Gesù, nascendo in modo
miracoloso dal seno di Maria, inizia la sua vita mortale, così risorgendo
miracolosamente dal sepolcro, inizia la sua vita gloriosa [ « Tu, che nato una
volta dalla Vergine, sorgi ora dal sepolcro » (Inno del Matutino). Egli
nacque da Maria Vergine, come uscì dal sepolcro sigillato]. Perciò la settimana
di Pasqua è la festa dei Battezzati e la Chiesa, concentrando tutte le sue cure
di madre su questi, che S. Paolo chiama « I suoi neonati », li fortifica, dando
loro, insieme all’Eucarestia [durante i giorni dell’Ottava di Pasqua, i neofiti
assistevano alla Messa e si comunicavano; era un precetto generale] per 7
giorni esecutivi, alcune istruzioni riguardanti la Resurrezione, modello della
nostra vita soprannaturale. « Se siete risuscitati con Cristo, dice S. Paolo,
ricercate le cose celesti e non le cose di questa terra » [Ai Col. III,1] «
Mortificate le vostre membra, spogliatevi dell’uomo vecchio e rivestitevi del
nuovo». Dunque conclude S. Agostino: « Quando deponete la veste bianca del battesimo,
custoditene sempre il candore nell’anima vostra » (Dom. in Albis). Il
Tempo Pasquale rappresenta, dunque, un’epoca di rinnovellamento. In corrispondenza
col periodo di quaranta giorni, nel quale dopo la sua Risurrezione, Gesù
stabili la sua Chiesa, esso ci ricorda più specialmente la Chiesa nascente.
Al Ciclo
dell’Incarnazione, nel quale noi adoriamo il Figlio di Dio fatto Uomo,
corrisponde il Ciclo della Redenzione, in cui colla Sua immolazione,
Egli ci merita la grazia. I Tempi della Settuagesima, della Quaresima,
e della Passione, sono i tempi della lotta e della vittoria. Il Tempo
Pasquale glorifica la vita divina che penetra e trasfigura l’umanità di Gesù
Cristo nella sua Resurrezione e nella sua Ascensione. Il Tempo della
Pentecoste ci mostra lo Spirito Santo che alimenta le nostre anime con
questa vita divina e ci prepara alla resurrezione futura, allorché questa vita si
manifesterà nei nostri corpi. Infatti tutti ricevevano una volta i Sacramenti
del Battesimo, della Cresima e dell’Eucarestia nel giorno della Resurrezione
del Redentore o nel giorno di Pentecoste, che ricordavano loro, ogni anno, il doppio
anniversario del trionfo di Cristo e del suo corpo mistico. [Come la liturgia
quaresimale era più specialmente destinata ai sacramenti dei morti, la liturgia
pasquale faceva partecipare ai sacramenti dei vivi. Fino al XII secolo in tutte
le cattedrali di Occidente, i bambini dopo il Battesimo, amministrato nella
notte del sabato, ricevevano immediatamente la Cresima e l’Eucarestia, che
è un pegno della vita futura (0 sacrum convivium), poiché Gesù ha detto:
« Colui che mangia la mia carne lo risusciterò nell’ultimo giorno » (S . Giov.,
VI, 55). Il Ciclo di Pasqua rievoca ogni anno il ricordo del nostro Battesimo, della
nostra prima Comunione e della nostra Cresima; esso deve farci penetrare sempre
più nella divina nuova vita che avrà il suo pieno sviluppo all’ultima venuta di
Gesù [« Come tutti muoiono in Adamo, così tutti nel Cristo saranno vivificati.
Ciascheduno, però, nel suo ordine: da prima il Cristo, che è la primizia, poi, alla
sua venuta, quelli che gli appartengono. Quindi sarà la fine: quando rimetterà
il regno a Dio eal Padre, quando avrà abolito ogni principato, ogni
potestà, ogni virtù, poiché è necessario che Egli regni, fino a quando abbia posto
sotto aj suoi piedi tutti i suoi nemici » – I Cor., XV. 22-25].
Il Tempo
Pasquale è una figura del cielo, un irradiamento della Pasqua eterna, fine
ultimo della nostra esistenza. E la Chiesa, che piangeva al tempo della Passione
su Gesù e sui peccatori, ha adesso un doppio motivo di gioia, poiché Gesù è
risuscitato e gli sono nati numerosi figliuoli. Questa allegrezza ci fa
pregustare quella della nostra risurrezione e del nostro ingresso nella patria celeste,
dove il Maestro è andato a prepararci un posto, verso il quale lo Spinto Santo,
che Egli manda, ci condurrà.
Commento
storico; Pasqua.
Fino
all’Ascensione, la liturgia del Tempo Pasquale ci fa seguire Gesù nelle
sue diverse manifestazioni presso il Santo Sepolcro, a Emmaus, al Cenacolo e in
Galilea. Ce lo mostra mentre pone le basi della sua Chiesa e prepara i suoi
discepoli al Mistero della sua Ascensione L’indomani del Sabato, prima che
spuntasse il giorno, Maria Maddalena e altre due pie donne andarono al
sepolcro, arrivarono che il sole era appena sorto. Era il primo giorno della settimana
ebraica o domenica di Pasqua Un angelo aveva rovesciato la grande pietra che
chiudeva la bocca del sepolcro e le guardie atterrite erano fuggite. Maddalena,
vedendo il sepolcro aperto, corre a Gerusalemme per avvertire Pietro e Giovanni,
mentre l’Angelo annunzia alle altre due pie donne la risurrezione di Gesù
[Vang. del Sab. Santo e della Dom. di Pasqua]I due Apostoli
vanno allora correndo al sepolcro (vedi pianta seguente) e constatano che il
Maestro è sparito [Sab. Pasqua]. Maddalena, tornata alla tomba, fu la prima a
vedere il Cristo risorto [Giov. di Pasqua]. Verso sera, i due discepoli, che vanno
a Emmaus, vedono essi pure Gesù e ritornando immediatamente ad annunziarlo agli
Apostoli, viene loro detto che il Salvatore è apparso a Pietro [Lun. di
Pasqua]. La sera di quello stesso giorno Gesù Cristo si mostrò ai suoi
discepoli, riuniti nel Cenacolo [Mart. di Pasqua] .Otto giorni dopo apparve
loro di nuovo e convinse l’incredulo Tommaso [Dom. di Quasimodo]. Dopo l’Ottava
di Pasqua i discepoli se ne tornarono in Galilea. Un giorno, in cui alcuni di
loro attendevano alla pesca, ecco che Gesù si manifestò loro di nuovo Merc. Di Pasqua]
. Si mostrò anche a 500 discepoli su di un monte che aveva loro indicato e che
forse era il Thabor, o, più verosimilmente, una collina in riva al lago, come
il Monte delle Beatitudini.
Il Vangelo
della 2a Domenica dopo la Pasqua parla della parabola del Buon Pastore che Gesù
pronunziò nel terzo anno del suo ministero, durante le feste dei Tabernacoli a
Gerusalemme. I Vangeli delle tre domeniche seguenti sono presi dal discorso che
Gesù pronunciò nell’ultima Cena. Questo discorso, riferito da S. Giovanni (dal
Cap. XIV al XVII) è ripartito come segue nel Messale:
In tale discorso Gesù svolge queste idee: Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; lascio di nuovo il mondo e vado presso il Padre. Rallegratevi perché vado a prepararvi un posto, affinché là dove sono Io siate voi pure. Ancora un poco e non mi vedrete più e
sarete allora nella tristezza; ma non vi lascerò orfani e ritornerò a voi per
mezzo del mio Spirito Santo, poiché se alcuno mi ama in questo Spirito Santo,
mio Padre pure amerà lui e noi verremo a lui e presso lui faremo la nostra
dimora. Domanderò dunque al Padre mio di inviarvi lo Spirito Santo e voi sarete
allora nella gioia per sempre. E allorché questo Spirito sarà venuto renderà
testimonianza di me, e pregherete allora il Padre nel mio Nome (cioè, unendovi
a me, come le membra al loro capo e appoggiandovi sui miei meriti di cui
conoscerete allora tutta l’efficacia). E voi mi renderete testimonianza davanti
agli uomini, poiché vi ho scelti perché andiate e portiate frutto. Io sono la
vite, voi i tralci. Se qualcuno dimora in me, Io in lui; egli porta molti
frutti e sarà mondato per portarne ancora di più. Come il mondo ha perseguitato
me, così perseguiterà voi pure. Ma non temete, poiché lo Spirito Santo parlerà
per voi, e per bocca vostra convincerà il mondo del suo peccato. Per mezzo
vostro mostrerà che insieme a satana è già giudicato, per aver rinnegato colui
che il Padre ha inviato ed ha glorificato (resurrezione e ascensione),
risuscitandolo e facendolo salire al cielo come lo prova la venuta di questo
Spirito.
Commento
liturgico: Pasqua.
Il Tempo
Pasquale, che comincia il Sabato Santo e termina il Sabato dopo Pentecoste,
forma come un unico giorno di festa, nel quale si celebrano i Misteri della
Risurrezione, dell’Ascensione del Signore e della discesa dello Spirito Santo
sulla Chiesa. La data di Pasqua che impera su tutte le feste mobili, è stata
l’oggetto di solenni decisioni conciliari. Gesù era morto e risuscitato nell’epoca
della Pasqua ebraica; e, dato che la celebrazione di questi misteri doveva
sostituire i riti mosaici che ne erano soltanto la figura, la Chiesa conservò
per la festa di Pasqua lo stesso modo di contare degli Ebrei. Fra l’anno
lunare, in uso fra loro, e quello solare vi è un divario di undici giorni,
donde risulta per la festa di Pasqua una variazione di data che va dal 22 Marzo
al 25 Aprile. Fu deciso nel Concilio di Nicea di celebrarla sempre nella
domenica dopo il plenilunio che cade il 21 marzo o lo segue immediatamente.
Durante il
Tempo Pasquale la Chiesa orna i suoi santuari con ogni possibile magnificenza e
l’organo prorompe negli accordi più festanti. II canto dell’Asperges viene sostituito da quello dei
Vidi Aquam, che allude alla visione di Ezechiele che
figura il sangue e l’acqua che sgorgano dal costato destro di Gesù trapassato
dalla lancia e che sono simbolo delle grazie dell’Eucarestia e del Battesimo.
Alcune preghiere, come l’Antifona Regina cœli, si recitano
in piedi, come si conviene a trionfatori, e durante questi 50 giorni la Chiesa
sopprime il digiuno. [Ciò che si osserva anche in tutte le Domeniche dell’anno,
appunto perché la Domenica ricorda, ogni settimana, il mistero pasquale]. Dimenticando
per così dire la terra, essa intona il canto ufficiale dell’allegrezza che S.
Giovanni dice di aver udito in Cielo [Udii nel cielo come una grande voce di
una folla immensa che diceva: Alleluia» (Apocalisse, XIX, 1)]. –
Introito, antifona, versetti, responsori, tutto è seguito da questo ritornello
entusiasta, di cui la Messa del Sabato Santo diceva: « V i annuncio una grande
gioia che è Alleluia, Alleluia, Alleluia ». Fino al giorno
dell’Ascensione il Cero pasquale, simbolo della presenza visibile di Gesù sulla
terra, illumina l’assemblea con la sua fiamma radiosa e si usano paramenti
bianchi che sono segno di gioia e di purezza. « Mostrate nella vostra condotta
l’innocenza che il candore delle vostre vesti simboleggia », diceva Sant’Agostino
ai neofiti rivestiti di tuniche bianche per tutta l’Ottava di Pasqua.
Anticamente la Chiesa non ammetteva durante il Tempo Pasquale alcuna festa
secondaria di Santi, per non distrarre il pensiero dei fedeli dalla contemplazione
di Gesù trionfante. Durante tutto il Tempo Pasquale, i Martiri hanno una Messa speciale,
perché sono stati associati più particolarmente alle lotte ed alla vittoria di
Cristo. I Martiri formano in questa parte del Ciclo, il corteo del divino
Risuscitato.